
PAULO VI-PACE
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»
Ascoltatemi ancora, uomini giunti alle soglie del nuovo anno 1974.
Ascoltatemi ancora: sono davanti a voi in atto di umile supplica, energica supplica.
Naturalmente, voi lo intuite, io voglio ancora parlarvi della Pace.
Sì, della Pace. Forse voi pensate di conoscere tutto a riguardo della Pace; se ne è già parlato tanto, da tutti. Forse questo nome invadente provoca un senso di sazietà, di noia, fors'anche di timore ch'esso nasconda nel fascino della sua parola una magia illusoria, un nominalismo ormai abusato e retorico, e perfino un incantesimo pericoloso. La storia presente, caratterizzata da feroci episodi di conflitti internazionali, da implacabili lotte di classe, da esplosioni di libertà rivoluzionarie, da repressioni dei diritti e delle libertà fondamentali dell'uomo, e da improvvisi sintomi di precarietà economica mondiale, sembra demolire, come fosse la statua d'un idolo, l'idea trionfante della Pace. Al nominalismo vacuo e imbelle ch'essa sembra assumere nell'esperienza politica e ideologica di quest'ultimo tempo, ora di nuovo si preferisce il realismo dei fatti e degli interessi, e si ripensa all'uomo come all'eterno insolubile problema d'un auto-conflitto vivente; l'uomo è così; un essere che porta nel cuore il destino della lotta fraterna.
Al confronto di questo crudo, rinascente realismo noi proponiamo non un nominalismo, sconfitto da nuove e prepotenti esperienze, ma un invitto idealismo, quello della Pace, destinato a progressiva. affermazione.
Credete, uomini fratelli, uomini di buona volontà, uomini saggi, uomini sofferenti, alla nostra ripetuta umile voce, al nostro grido instancabile. La Pace è l'ideale della umanità. La Pace è necessaria. La Pace è doverosa. La Pace è vantaggiosa. Non è un'idea illogica e fissa, la nostra; non è una ossessione, una illusione. È una certezza; sì, una speranza; ha per sé l'avvenire della civiltà, il destino del mondo; sì, la Pace.
Noi siamo così convinti che essa, la Pace, è il traguardo dell'umanità in via di coscienza di sé e di sviluppo civile sulla faccia della terra, che oggi, per l'anno nuovo e per gli anni futuri, noi osiamo proclamare come già abbiamo fatto l'anno scorso: la Pace è possibile.
Perché, in fondo, ciò che compromette la solidità della Pace e lo svolgimento della storia in suo favore, è la segreta e scettica convinzione che essa sia praticamente impossibile. Bellissimo concetto, si pensa senza dirlo, ottima sintesi delle umane aspirazioni; ma sogno poetico, utopia fallace. Una droga inebriante, ma debilitante. Ancora risorge negli spiriti, come una logica inevitabile: ciò che conta è la forza; l'uomo ridurrà al più il complesso delle forze all'equilibrio del loro contrasto; ma dalla forza non può prescindere l'umana organizzazione.
Noi dobbiamo soffermarci un istante su questa obbiezione capitale per risolvere un possibile equivoco, quello che confonde la Pace con la debolezza, non solo fisica, ma morale, con la rinuncia al vero diritto e alla equa giustizia, con la fuga dal rischio e dal sacrificio, con la rassegnazione pavida e succube all'altrui prepotenza, e perciò acquiescente alla propria schiavitù. Non è questa la Pace autentica. La repressione non è la Pace. L'ignavia non è la Pace. L'assetto puramente esteriore e imposto dalla paura non è la Pace. La recente celebrazione del XXV Anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo ci ricorda che la Pace vera deve essere fondata sul senso dell'intangibile dignità della persona umana, dalla quale scaturiscono inviolabili diritti e rispettivi doveri.
È pur vero che la Pace accetterà di obbedire alla legge giusta e all'autorità legittima, ma non sarà mai aliena dalla ragione del bene comune e dalla morale libertà umana. La Pace potrà arrivare anche a gravi rinunce, nella gara del prestigio, nella corsa agli armamenti, nell'oblio delle offese, nella remissione dei debiti; arriverà perfino alla generosità del perdono e della riconciliazione; ma non mai per servile mercato dell'umana dignità, non mai per tutela del proprio egoistico interesse a danno dell'altrui legittimo interesse; non mai per viltà; essa non sarà mai senza la fame e la sete della giustizia; non dimenticherà mai la fatica che occorre spendere per difendere i deboli, per soccorrere i poveri, per promuovere la causa degli umili; essa non tradirà mai per vivere le ragioni superiori della vita (cf. Io 12, 25).
Non pertanto la Pace dev'essere considerata un'utopia. La certezza della Pace non consiste soltanto nell'essere, ma altresì nel divenire. Come la vita dell'uomo, essa è dinamica. Il suo regno si estende ancora e principalmente nel campo deontologico. Cioè nella sfera dei doveri. La Pace si deve non solo mantenere, ma produrre. La Pace è, e dev'essere perciò in fase di continua e progressiva affermazione. Anzi noi diremo: la Pace è possibile, solo se è considerata doverosa. Non basta nemmeno che essa sia stabilita sulla convinzione, di solito giustissima, ch'essa è vantaggiosa. Essa deve entrare nella coscienza degli uomini come una suprema finalità etica, come una necessità morale, una àvàyxn (ananche), derivante dalla esigenza intrinseca della convivenza umana.
Questa scoperta, perché tale è nel processo positivo della nostra razionalità, c'insegna alcuni principii dai quali non dovremo deflettere mai più. E dapprima ci illumina sulla natura primigenia della Pace: essa è innanzi tutto un'idea. Essa è un assioma interiore, un tesoro dello spirito. La Pace deve germinare da una concezione fondamentale e spirituale dell'umanità: l'umanità dev'essere pacifica, cioè unita, coerente in se stessa, solidale nella profondità del suo essere. La mancanza di questa radicale concezione è stata, ed è tuttora, l'origine profonda delle disgrazie; che hanno devastato la storia. Concepire la lotta fra gli uomini, come esigenza strutturale della società, non costituisce soltanto un errore ottico-filosofico, ma un delitto potenziale e permanente contro l'umanità. La civiltà deve finalmente redimersi dall'antica, superstite e sempre operante fallacia: homo homini lupus. Essa funziona da Caino in poi. L'uomo d'oggi deve avere il coraggio morale e profetico di affrancarsi da questa nativa ferocia, e arrivare alla conclusione, ch'è appunto l'idea della Pace, come essenzialmente naturale, necessaria, doverosa, e perciò possibile. Bisogna pensare d'ora in poi l'umanità, la storia, il lavoro, la politica, la cultura, il progresso in funzione della Pace.
Ma che vale questa idea, spirituale, soggettiva, interiore e personale; che vale così disarmata, così distante dalle vicende vissute, efficaci e formidabili della nostra storia? Noi dobbiamo purtroppo registrare, a mano a mano che la tragica esperienza dell'ultima guerra mondiale tramonta nella sfera dei ricordi, una recrudescenza di spirito contenzioso fra le Nazioni e nella dialettica politica della società; oggi il potenziale di guerra e di lotta è molto cresciuto, non diminuito, al confronto di quello di cui disponeva l'umanità prima delle guerre mondiali. .Non vedete, ci può obiettare un osservatore qualsiasi, che il mondo va verso conflitti ancora più terribili e orrendi di quelli di ieri? Non vedete la scarsa efficacia della propaganda pacifista e la non sufficiente incidenza delle istituzioni internazionali, sorte durante la convalescenza del mondo insanguinato e estenuato dalle guerre mondiali? Dove va il mondo? non si prepara ancora a più catastrofici ed esecrabili conflitti? Ahimé! noi dovremmo ammutolire dinanzi a così incalzanti e spietati ragionamenti, come dinanzi ad un disperato destino!
Ma no! Siamo anche noi ciechi? siamo ingenui? No, uomini Fratelli! noi siamo sicuri che la nostra causa, quella della Pace, dovrà prevalere. Primo, perché essa, nonostante le follie della contraria politica, l'idea della Pace è ormai vittoriosa nel pensiero di tutti gli uomini responsabili. Noi abbiamo fiducia nella loro moderna sapienza, nella loro energica abilità: nessun Capo di Popolo può oggi volere la guerra; tutti aspirano alla Pace generale del mondo. È grande cosa! noi osiamo scongiurarli a non smentire mai più il loro, anzi il comune programma di Pace!
Secondo. Sono le idee, ancor più ed ancor prima degli interessi particolari, che guidano il mondo, nonostante le apparenze contrarie. Se l'idea della Pace guadagnerà effettivamente il cuore degli uomini, la Pace sarà salva; anzi essa salverà gli uomini. È superfluo che in questo nostro discorso noi spendiamo parole per dimostrare la potenza odierna dell'idea diventata pensiero del Popolo, cioè dell'opinione pubblica; essa oggi è la regina che di fatto governa i Popoli; il suo imponderabile influsso li forma e li guida; e sono poi i Popoli, cioè l'opinione pubblica operante che governa i governanti. In gran parte almeno è così.
Terzo punto, allora. Se l'opinione pubblica assurge a coefficiente determinante il destino dei Popoli, il destino della Pace dipende anche da ciascuno di noi. Perché ciascuno di noi fa parte del corpo civile operante con sistema democratico, che, in varia forma ed in differente misura, caratterizza oggi la vita delle Nazioni modernamente organizzate. Questo noi volevamo dire: la Pace è possibile, se ciascuno di noi la vuole; se ciascuno di noi ama la Pace, educa e forma la propria mentalità alla Pace, difende la Pace, lavora per la Pace. Ciascuno di noi deve ascoltare nella propria coscienza il doveroso appello: La Pace dipende anche da te.
Certamente l'influsso individuale sull'opinione pubblica non può essere che infinitesimale; ma non mai vano. La Pace vive delle adesioni, sia pure singole ed anonime, che le persone le danno. E tutti sappiamo come si forma e si pronuncia il fenomeno dell'opinione pubblica: un'affermazione seria e forte è facilmente diffusiva. L'affermazione della Pace da individuale deve diventare collettiva e comunitaria; deve diventare affermazione di Popolo e della Comunità dei Popoli; convinzione, ideologia, azione; deve aspirare a penetrare il pensiero e l'attività delle nuove generazioni e invadere il mondo, la politica, l'economia, la pedagogia, l'avvenire, la civiltà. Non per istinto di paura e di fuga, ma per impulso creativo della storia nuova e della costruzione nuova del mondo; non per ignavia e per egoismo. ma per vigore morale e per accresciuto amore all'umanità. La Pace è coraggio, è sapienza, è dovere; e alla fine è per di più interesse e felicità.
Tanto noi osiamo dire a voi, uomini Fratelli; a voi, uomini di questo mondo, se avete in mano, per qualche titolo, il timone del mondo: uomini di comando, uomini di cultura, uomini d'affari: occorre imprimere alla vostra azione un indirizzo robusto e sagace, verso la Pace; essa ha bisogno di voi. Se voi volete, potete! La Pace dipende anche e specialmente da voi.
***
Noi riserveremo per di più ai nostri Confratelli di fede e di carità una parola anche più fiduciosa e più pressante: non abbiamo noi forse possibilità nostre, originali e sovrumane, con cui concorrere con i promotori di Pace, a rendere valida l'opera loro, l'opera comune, affinché Cristo con loro, secondo la beatitudine del Vangelo, tutti ci qualifichi quali figli di Dio? (cf. Mt Mt 5,9) non possiamo noi predicare la Pace, innanzi tutto, nelle coscienze? e chi più di noi è tenuto ad essere con la parola e con l'esempio maestro di pace? come poi potremo noi suffragare l'opera della Pace, nella quale la causalità umana assurge al suo più alto livello, se non mediante l'inserimento nella causalità divina, disponibile all'invocazione delle nostre preghiere? e saremo insensibili all'eredità di pace, che Cristo, solo Cristo, ha lasciato a noi, viventi in un mondo che perfetta non la sa dare, la sua pace trascendente e ineffabile? non possiamo forse proprio noi riempire la implorazione della Pace di quell'umile e amoroso vigore, al quale non resiste la divina misericordia? (cf. Mt Mt 7,7 ss.; Io 14, 27). È meraviglioso: la Pace è possibile, e anche da noi, per Cristo, nostra Pace (Ep 2,4), essa dipende.
Ne sia pegno la nostra pacificatrice apostolica benedizione.
Dal Vaticano, 8 dicembre 1973.
PAULUS PP. VI
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»
A tutti gli Uomini di buona volontà!
Ecco il nostro messaggio per l'anno 1975.
Ormai voi lo conoscete, né può essere diverso:
Fratelli! facciamo la pace!
Il nostro messaggio è molto semplice, ma esso è nello stesso tempo tanto grave, tanto esigente da sembrare offensivo: non esiste già la pace? che cosa si può fare d'altro e di più di quanto per la pace già è stato fatto, e tuttora si fa? La storia dell'umanità non cammina ormai, per virtù propria, verso la pace universale?
Sì, così è; o meglio così pare. Ma la pace dev'essere « fatta », dev'essere generata e prodotta continuamente; essa risulta da un equilibrio instabile, che solo il movimento può assicurare e che è proporzionato alla velocità di esso. Le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e di conservare la pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace.
Questa necessità risulta principalmente dal divenire umano, dal processo evolutivo incessante della umanità. Gli uomini succedono agli uomini, le generazioni alle generazioni. Anche se nessun cambiamento si verificasse nelle situazioni giuridiche e storiche esistenti, sarebbe pur sempre necessaria un'opera continuamente « in fieri » per educare la umanità a restare fedele ai fondamentali diritti della società: questi devono rimanere e guideranno la storia per un tempo indefinito, a condizione che gli uomini mutevoli, e che i giovani sopravvenuti al posto degli anziani scomparsi, siano incessantemente educati alla disciplina dell'ordine per il bene comune e all'ideale della pace. Fare la pace, sotto questo aspetto, significa educare alla pace. E non è piccola né facile impresa.
Ma tutti sappiamo che non mutano solo gli uomini sulla scena della storia. Mutano anche le cose. Cioè le questioni, dalla cui equilibrata soluzione dipende la pacifica convivenza fra gli uomini. Nessuno può sostenere che ormai l'organizzazione della società civile e del contesto internazionale sia perfetta. Restano tuttora potenzialmente aperti molti, moltissimi problemi; restano quelli di ieri e sorgono quelli di oggi; domani altri sorgeranno e tutti attendono soluzione. La quale, noi affermiamo, non può, non deve mai più scaturire da conflitti egoisti o violenti, né tanto meno da guerre micidiali fra gli uomini. Lo hanno detto gli uomini saggi, studiosi della storia dei Popoli ed esperti nell'economia delle Nazioni. Noi pure, inermi fra le contese del mondo, e forti d'una divina Parola, lo abbiamo detto: tutti gli uomini sono fratelli. Finalmente la civiltà intera sembra aver ammesso questo fondamentale principio. Dunque: se gli uomini sono fratelli, ma fra loro esistono tuttora e insorgono sempre cause di conflitto, bisogna che la pace diventi operante e sapiente. La pace si deve fare, si deve produrre, si deve inventare, si deve creare con genio sempre vigilante, con volontà sempre nuova e instancabile. Siamo perciò tutti persuasi del principio informatore della società contemporanea: la pace non può essere né passiva, né oppressiva; dev'essere inventiva, preventiva, operativa.
Noi siamo lieti di osservare che questi criteri direttivi della vita collettiva nel mondo sono oggi, in linea di principio almeno, universalmente accolti. E noi ci sentiamo in dovere di ringraziare, di elogiare, d'incoraggiare gli uomini responsabili e le istituzioni oggi destinate a promuovere la pace sulla terra per avere scelto questo assioma fondamentale, come primo articolo del loro operare: solo la pace genera la pace.
Lasciateci, Uomini tutti, ripetere profeticamente il messaggio del recente Concilio ecumenico fino ai confini dell'orizzonte: « ... Noi dobbiamo sforzarci con ogni impegno di preparare quel tempo, nel quale, mediante l'accordo delle Nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra... La pace deve nascere dalla mutua fiducia delle Nazioni, piuttosto che essere imposta ai Popoli dal terrore delle armi.
... I reggitori dei Popoli, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie Nazioni e fautori insieme del bene dell'umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la Pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui l'estrema e urgente necessità d'una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell'opinione pubblica.
Coloro che si dedicano all'attività educatrice, specialmente della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace.
E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, mirando al mondo intero ed ai compiti che gli uomini possono intraprendere insieme per condurre l'umanità verso un migliore destino» (Costituzione Gaudium et Spes GS 82).
Ed è a questo riguardo che il nostro messaggio s'incentra nel suo punto caratteristico e ispiratore, affermando che la Pace tanto vale quanto, prima d'essere esteriore, mira ad essere interiore. Bisogna disarmare gli spiriti, se vogliamo impedire efficacemente il ricorso alle armi che colpiscono i corpi. Bisogna dare alla Pace, cioè agli uomini tutti, le radici spirituali d'una comune forma di pensare e di amare. Non basta, scrive Agostino, maestro ideatore d'una Città nuova, non basta ad associare gli uomini fra loro l'identità della loro natura; occorre insegnare loro a parlare un medesimo linguaggio, cioè a comprendersi, a possedere una comune cultura, a condividere gli stessi sentimenti; altrimenti « l'uomo preferirà trovarsi col suo cane, che con un uomo estraneo» (cfr. De Civ. Dei, XIX, VII; PL. 41, 634).
Questa interiorizzazione della Pace è vero umanesimo, vera civiltà. Essa, per fortuna, è già in corso. Matura col progresso del mondo. Trova la sua virtù persuasiva nelle dimensioni universali dei rapporti d'ogni genere che gli uomini stanno stabilendo fra loro. È un lavoro lento e complicato, ma che, per molti versi, s'impone da sé: il mondo cammina verso la sua unità. Tuttavia non possiamo farci illusioni: mentre la pacifica concordia fra gli uomini si diffonde: - mediante la progressiva scoperta della complementarietà e interdipendenza dei Paesi, mediante gli scambi commerciali, mediante la diffusione d'una stessa visione dell'uomo, sempre rispettosa, peraltro, dell'originalità e specificità delle varie culture, mediante la facilità dei viaggi e dei mezzi di comunicazione sociale, eccetera - , dobbiamo notare che oggi si affermano nuove forme di gelosi nazionalismi, chiusi in manifestazioni di scontrose rivalse basate sulla razza, la lingua, la tradizione; permangono tristissime situazioni di miseria e di fame; sorgono potenti espressioni economiche multinazionali, cariche di antagonismi egoisti; si organizzano socialmente ideologie esclusiviste e dominatrici; scoppiano conflitti territoriali con impressionante facilità; e soprattutto gli ordigni micidiali per possibili catastrofiche distruzioni crescono di numero e di potenza così da imporre al terrore il nome di Pace. Sì, il mondo cammina verso la sua unità, mentre però aumentano le terrificanti ipotesi che prospettano maggiore possibilità, maggiore facilità, maggiore pericolo di urti fatali e, sotto certi aspetti, ritenuti inevitabili e necessari, come reclamati dalla giustizia. La giustizia non sarà più un giorno sorella della pace, ma della guerra? (cfr. S. Ag., ibid.).
Non giochiamo alle utopie, né ottimiste, né pessimiste. Vogliamo attenerci alla realtà. La quale, con cotesta fenomenologia di speranza illusoria e di deprecabile disperazione, ci avverte ancora una volta che qualche cosa non funziona bene nella macchina monumentale della nostra civiltà; questa potrebbe scoppiare in una indescrivibile conflagrazione per un difetto nella sua costruzione. Diciamo difetto, non mancanza; il difetto cioè del coefficiente spirituale, che tuttavia noi ammettiamo già presente ed operante nell'economia generale del pacifico sviluppo della storia contemporanea e degno d'ogni favorevole riconoscimento e incoraggiamento: non abbiamo noi forse attribuito all'UNESCO il nostro premio intitolato a Papa Giovanni XXIII, autore dell'Enciclica Pacem in terris?
Ma noi osiamo dire che occorre fare di più, occorre così valorizzare ed applicare il coefficiente spirituale da renderlo capace non solo d'impedire i conflitti fra gli uomini e di predisporli a sentimenti pacifici e civili, ma di produrre la riconciliazione fra gli uomini stessi, cioè di generare la Pace. Non basta contenere le guerre, sospendere le lotte, imporre tregue e armistizi, definire confini e rapporti, creare fonti di comuni interessi, non basta paralizzare le ipotesi di contese radicali mediante il terrore d'inaudite distruzioni e sofferenze, non basta una Pace imposta, una Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere ad una Pace amata, libera, fraterna, fondata cioè sulla riconciliazione degli animi.
Lo sappiamo che è difficile; più difficile d'ogni altro metodo. Ma non è impossibile, non è fantastica. Noi abbiamo fiducia in una fondamentale bontà degli uomini e dei Popoli. Dio ha fatto sanabili le generazioni (Sg 1,14). Lo sforzo intelligente e perseverante per la mutua comprensione degli uomini, delle classi sociali, delle Città, dei Popoli, delle civiltà fra loro non è sterile. Ci rallegriamo, specialmente alla vigilia dell'Anno Internazionale della Donna, proclamato dalle Nazioni Unite, della sempre più ampia partecipazione delle donne alla vita della società, alla quale esse apportano un contributo specifico di grande valore, grazie alle qualità che Dio ha dato loro: intuizione, creatività, sensibilità, senso di pietà e di compassione, vasta capacità di comprensione e di amore, permettono alle donne di essere, in una maniera del tutto particolare, artefici della riconciliazione nelle famiglie e nella società.
Ci è parimenti motivo di speciale soddisfazione il poter constatare che l'educazione dei giovani ad una nuova mentalità universale della convivenza umana, mentalità non scettica, non vile, non inetta, non dimentica della giustizia, ma generosa e amorosa, sia già incominciata e già progredita; essa possiede imprevedibili risorse per la riconciliazione; e questa può segnare la via della Pace, nella verità, nell'onore, nella giustizia, nell'amore, e perciò nella stabilità e nella nuova storia dell'umanità.
Riconciliazione! Uomini giovani, uomini forti, uomini responsabili, uomini liberi, uomini buoni: vi pensate? non potrebbe questa magica parola entrare nel dizionario delle vostre speranze, dei vostri successi?
Ecco, questo è per voi il nostro augurale messaggio: la riconciliazione è la via alla pace!
Per voi, Uomini di Chiesa!
Fratelli nell'Episcopato, Sacerdoti, Religiosi e Religiose!
Per voi membri del nostro Laicato militante e Fedeli tutti!
Il messaggio su la Riconciliazione come via alla Pace esige un complemento, anche se questo a voi è già noto e presente.
Esso non è solo una parte integrante, ma essenziale del nostro messaggio, voi lo sapete. Perché esso ricorda a noi tutti che la prima e indispensabile riconciliazione da conseguire è quella con Dio. Non vi può essere per noi credenti altra via alla pace, che questa; anzi, nella definizione della nostra salvezza riconciliazione con Dio e pace nostra coincidono, sono l'una causa dell'altra. Questa è l'opera di Cristo. Egli ha riparato la rottura, che il peccato produce nei nostri rapporti vitali con Dio. Ricordiamo, fra le tante, una parola di San Paolo a questo riguardo: « Il tutto è da Dio, che ci ha a sé riconciliati per mezzo di Cristo » (2 Cor 2Co 5,18).
L'Anno Santo, che stiamo per incominciare, a questa prima e felice riconciliazione ci vuole interessare: Cristo è la nostra pace; Egli è il principio della riconciliazione nell'unità del suo mistico corpo (cfr. Eph Ep 2,14-16). A dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II faremo bene a meditare più profondamente sul senso teologico ed ecclesiologico di queste verità basilari della nostra fede e della nostra vita cristiana.
Donde una conseguenza logica e doverosa; facile anche, se davvero noi siamo in Cristo: dobbiamo perfezionare il senso della nostra unità; unità nella Chiesa, unità della Chiesa; comunione mistica, costitutiva, la prima (cfr. 1 Cor. l, 10; 12, 12-27); ricomposizione ecumenica dell'unità fra tutti i cristiani, la seconda (cfr. Decreto Conciliare Unitatis redintegratio ); l'una e l'altra esigono una loro propria riconciliazione, che deve apportare alla collettività cristiana quella pace, ch'è un frutto dello Spirito, susseguente alla sua carità e al suo gaudio (cfr. Gal Ga 5,22).
Anche in questi campi noi dobbiamo « fare la pace »! Arriverà certamente nelle vostre mani il testo d'una nostra Esortazione sulla riconciliazione all'interno della Chiesa, pubblicata in questi giorni; noi vi supplichiamo, in nome di Gesù Cristo, di voler meditare questo documento, e di volerne trarre propositi di riconciliazione e di pace. Che nessuno pensi di poter eludere queste indeclinabili esigenze della comunione con Cristo, la riconciliazione e la pace, attestandosi su abituali posizioni contestatrici con la sua Chiesa; procuriamo invece che da tutti e da ciascuno la filiale, umile, positiva edificazione di questa sua Chiesa abbia un nuovo e leale contributo. Non ricorderemo noi forse la parola estrema del Signore, per l'apologia del suo Vangelo: ut sint consummati in unum et cognoscat mundus quia Tu me misisti (Io. 17, 23)? Non avremo noi la gioia di rivedere Fratelli amati e lontani ritornare all'antica e lieta concordia?
Noi dovremo pregare affinché quest'Anno Santo dia alla Chiesa Cattolica l'ineffabile esperienza della ricomposizione dell'unità di qualche gruppo di Fratelli, già tanto vicini all'unico ovile, ma ancora esitanti a varcarne le soglie. E pregheremo anche per i seguaci sinceri di altre Religioni, affinché si sviluppi l'amichevole dialogo che abbiamo con loro iniziato, e insieme possiamo collaborare per la pace mondiale. E dovremo innanzi tutto chiedere a Dio per noi stessi l'umiltà e l'amore per dare alla professione limpida e costante della nostra fede la virtù attrattiva della riconciliazione e il carisma fortificante e gaudioso della pace.
E col nostro benedicente saluto « la pace di Dio, che sorpassa ogni intendimento, custodisca i vostri cuori ed i vostri pensieri in Cristo Gesù » (Ph 4,7).
Dal Vaticano, 8 dicembre 1974.
PAULUS PP. VI
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»
A voi, Uomini di Stato!
A voi, Rappresentanti e Promotori delle grandi Istituzioni internazionali!
A voi, Politici! A voi, Studiosi dei problemi della convivenza internazionale, Pubblicisti, e Operatori, e Sociologi, e Economisti circa i rapporti fra i Popoli.
A voi, Cittadini del mondo, affascinati dall'ideale di una fratellanza universale, ovvero delusi e scettici circa la possibilità di stabilire fra le Genti relazioni di equilibrio, di giustizia, di collaborazione!
E a voi finalmente, seguaci di Religioni fautrici d'amicizia fra gli uomini; a voi, Cristiani, a voi Cattolici, che della pace nel mondo fate principio della vostra fede e termine del vostro amore universale!
Noi osiamo anche quest'anno 1976 rispettosamente presentarci, come negli anni precedenti, col nostro messaggio di Pace.
Un invito lo precede: che Voi lo abbiate ad ascoltare: siate cortesi, siate pazienti. La grande causa della Pace merita la vostra ascoltazione, la vostra riflessione, anche se può sembrare che la nostra voce si ripeta su questo tema ricorrente all'alba dell'anno nuovo; e anche se voi, edotti dai vostri studi e forse ancor più dalle vostre esperienze, pensate di conoscere ormai tutto circa la Pace nel mondo.
Forse può essere tuttavia di qualche interesse per voi conoscere quali siano i nostri spontanei sentimenti, derivati da immediate esperienze della vicenda storica, nella quale tutti siamo immersi, circa questo implacabile tema della Pace.
I nostri primi sentimenti a tale proposito sono due, e discordi l'uno dall'altro. Vediamo innanzi tutto con piacere e con speranza progredire l'idea della Pace. Essa guadagna importanza e spazio nella coscienza dell'umanità; e con essa si sviluppano le strutture della organizzazione della Pace; si moltiplicano le celebrazioni responsabili e accademiche in suo favore; il costume si evolve nel senso indicato dalla Pace: viaggi, congressi, convegni, commerci, studi, amicizie, collaborazioni, soccorsi. La Pace guadagna terreno. La Conferenza di Helsinki, in luglio-agosto del 1975, è avvenimento che fa bene sperare in tale senso.
Ma vediamo purtroppo, nello stesso tempo, attestarsi fenomeni contrari al contenuto e allo scopo della Pace; e anche questi fenomeni progrediscono, se pur contenuti spesso allo stato latente, ma con indubbi sintomi di incipienti o di future conflagrazioni. Rinasce, ad esempio, col senso nazionale, legittima e auspicabile espressione della polivalente comunione d'un Popolo, il nazionalismo, che accentuando tale espressione fino a forme di egoismo collettivo e di antagonismo esclusivista, fa rinascere nella coscienza collettiva germi pericolosi e perfino formidabili di rivalità e di ben probabili competizioni.
Cresce a dismisura, - e l'esempio mette brividi di timore - , la dotazione degli armamenti, d'ogni genere, in ogni singola Nazione; abbiamo il giustificato sospetto che il commercio delle armi raggiunga spesso livelli di primato sui mercati internazionali, con questo ossessionante sofisma: la difesa, anche se progettata come semplicemente ipotetica e potenziale, esige una gara crescente di armamenti, che solo nel loro contrapposto equilibrio possono assicurare la Pace.
Non è completo l'elenco dei fattori negativi, che corrodono la stabilità della Pace. Possiamo chiamare pacifico un mondo radicalmente diviso da irriducibili ideologie, potentemente e ferocemente organizzate, che si dividono i Popoli, e, quando libertà è loro concessa, li suddividono nell'interno delle loro compagini, in fazioni, in partiti, che trovano ragion d'essere e di operare nell'invelenire le loro schiere con odio irriducibile e con lotta sistematica nell'interno stesso del medesimo tessuto sociale? L'apparente normalità di simili situazioni politiche non nasconde la tensione d'un rispettivo braccio di ferro, pronto a schiantare l'avversario, appena questo tradisca un segno di fatale debolezza: è Pace cotesta? è civiltà? è Popolo un agglomerato di cittadini, avversi gli uni agli altri fino alle estreme conseguenze?
E dov'è la Pace nei focolai di conflitti armati, o appena contenuti dall'impotenza di più violente esplosioni? Noi seguiamo con ammirazione gli sforzi in atto per spegnere questi focolai di guerre e di guerriglie, che da anni funestano la faccia del globo, e che ad ogni momento minacciano di scoppiare in lotte gigantesche nelle dimensioni di continenti, di razze, di religioni, di ideologie sociali. Ma non possiamo nasconderci la fragilità d'una Pace, ch'è solo tregua di già delineati futuri conflitti, l'ipocrisia cioè d'una tranquillità, che solo con fredde parole di simulata rispettosa reciprocità si definisce pacifica.
La Pace, lo riconosciamo, è, nella realtà storica opera di una continua terapia; la sua salute è di natura sua precaria, composizione di rapporti, com'è, fra uomini prepotenti e volubili; essa reclama un continuo e sapiente sforzo di quella superiore fantasia creativa, che chiamiamo diplomazia, ordine internazionale, dinamica delle trattative. Povera Pace! Quali sono allora le tue armi? lo spavento di inaudite e fatali conflagrazioni, che potrebbero decimare, anzi quasi annientare l'umanità? la rassegnazione ad un certo stato di subìta sopraffazione, quale il colonialismo, o l'imperialismo, o la rivoluzione da violenta diventata inesorabilmente statica e terribilmente autoconservatrice? gli armamenti preventivi e segreti? un'organizzazione capitalista, cioè egoista, del mondo economico, obbligato dalla fame a contenersi sottomesso e tranquillo? l'incantesimo narcisistico d'una cultura storica, presuntuosa e persuasa dei propri perenni trionfanti destini? ovvero le magnifiche strutture organizzative, intese a razionalizzare e ad organizzare la vita internazionale?
È sufficiente, è sicura, è feconda, è felice una Pace sostenuta soltanto da tali fondamenti?
Occorre di più. Ecco il nostro messaggio. Occorre innanzi tutto dare alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a sterminare l'umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forza e prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’'osservanza dei patti. Pacta sunt servanda; è l'assioma tuttora valido per la consistenza della conversazione effettiva fra gli Stati, per la stabilità della giustizia fra le Nazioni, per la coscienza onesta dei Popoli. La pace ne fa suo scudo. E dove i Patti non rispecchiano la giustizia? Ecco allora l'apologia delle nuove Istituzioni internazionali, mediatrici di consultazioni, di studi, di deliberazioni, che devono assolutamente escludere le così dette vie di fatto, cioè le contese di forze cieche e sfrenate, che sempre coinvolgono vittime umane e rovine senza numero e senza colpa, e raramente raggiungono lo scopo puro di rivendicare effettivamente una causa veramente giusta; le armi, le guerre in una parola, sono da escludere, dai programmi della civiltà. Il giudizioso disarmo è un'altra armatura della Pace. Come diceva il profeta Isaia: « Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci » (). Ed ascoltiamo la Parola di Cristo: « Riponi la tua spada al suo posto; perché tutti quanti si serviranno della spada, di spada periranno » (Mt 26,52). Utopia? Per quanto tempo ancora?
Qui entriamo nel campo futuribile dell'umanità ideale, dell'umanità nuova da generare, da educare; dell'umanità spoglia dalle sue pesantissime e micidiali armature militari, ma tanto più rivestita e corroborata da connaturati principii morali. Sono principii già esistenti, allo stato teorico e praticamente infantili, deboli e gracili ancora, solo all'inizio della loro penetrazione nella coscienza profonda e operante dei Popoli. La loro debolezza, che pare inguaribile ai diagnostici, così detti realisti degli studi storici e antropologici, proviene specialmente dal fatto che il disarmo militare, per non costituire un imperdonabile errore di impossibile ottimismo, di cieca ingenuità, di eccitante occasione propizia all'altrui prepotenza, dovrebbe essere comune e generale. Il disarmo o è di tutti, o è un delitto di mancata difesa: la spada, nel concerto dell'umana convivenza storica e concreta, non ha forse la sua ragion d'essere, per la giustizia, per la pace? (cf. Rom.13,4). Sì; dobbiamo ammetterlo. Ma non è entrata nel mondo una dinamica trasformatrice, una speranza non più inverosimile, un progresso nuovo ed effettivo, una storia futura e sognata, che può farsi presente e reale, da quando il Maestro, il Profeta del Nuovo Testamento ha proclamato la decadenza del costume arcaico, primitivo e istintivo, e ha annunciato con Parola avente in sé potestà, non solo di denunciare e di annunciare, ma di generare, a certe condizioni, un'umanità nuova: « Non vogliate credere che io sia venuto per abolire la Legge, o i Profeti; non sono venuto per abolirli, ma per completarli... Voi avete udito che fu detto agli antichi: Non uccidere; e chi ucciderà sarà sottoposto al giudizio. Io invece dico a voi: chiunque si adira contro il suo fratello, merita d'essere giudicato... » (Mt 5,17 Mt 5,21-22)?
Non è più semplice ed ingenua e pericolosa utopia. È la nuova Legge dell'umanità che progredisce, e arma la Pace con un formidabile principio: « Voi tutti siete fratelli » (Mt 23,8). Se la coscienza della fratellanza universale penetrerà davvero nel cuore degli uomini, avranno essi ancora bisogno di armarsi fino a diventare ciechi e fanatici omicidi di fratelli di per sé innocenti, e a perpetrare in omaggio alla Pace stragi d'inaudita potenza (come ad Hiroshima, il 6 agosto 1945)? Del resto non ha avuto il nostro tempo un esempio di ciò che può fare un debole Uomo, solo armato del principio della non-violenza, Gandhi, per riscattare una Nazione di centinaia di milioni di esseri umani alla libertà e alla dignità di Popolo nuovo?
La civiltà cammina al seguito d'una Pace armata soltanto d'un ramo d'ulivo. Dietro ad essa seguono i Dottori con i pesanti volumi sul Diritto evolutivo dell'umanità ideale; seguono i Politici sapienti, non tanto circa i calcoli degli eserciti onnipotenti a vincere guerre e a soggiogare uomini vinti e avviliti, ma circa le risorse della psicologia del bene e dell'amicizia. La giustizia, anch'essa, segue il sereno corteo, non più fiera e crudele, ma tutta intenta a difendere i deboli, a punire i violenti, ad assicurare un ordine, estremamente difficile, ma l'unico che possa portare quel nome divino: l'ordine nella libertà e nel dovere cosciente.
Rallegriamoci: questo corteo, anche se disturbato da attacchi ostinati e da incidenti inattesi, prosegue sotto i nostri occhi, in questo nostro tragico tempo, con passo, forse un po' lento, ma sicuro e benefico per il mondo intero. È un corteo deciso a usare le vere armi della pace.
Anche questo messaggio deve avere la sua appendice per i seguaci del Vangelo, in senso proprio e al suo servizio. Una appendice che ci ricorda quanto Cristo nostro Signore sia esplicito ed esigente su questo tema della pace disarmata d'ogni strumento, e armata solo di bontà e di amore.
Il Signore arriva ad affermazioni, lo sappiamo, che sembrano paradossali. Non ci sia discaro ritrovare nel Vangelo i canoni d'una Pace, che potremmo dire rinunciataria. Ricordiamo, ad esempio: « Se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello » (Mt 5,40). E poi quel divieto di vendicarsi, non indebolisce la Pace? Anzi non aggrava invece di difendere, la condizione dell'offeso? « Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche la sinistra » (ib. 39). Dunque niente rappresaglie, niente vendette (e ciò tanto più se queste fossero compiute come preventive ad offese non ricevute!). Quante volte nel Vangelo ci è raccomandato il perdono, non come atto di vile debolezza, né di abdicazione di fronte alle ingiustizie, ma come segno di fraterna carità, eretta a condizione per ottenere noi stessi il perdono, ben più generoso e a noi necessario, da parte di Dio! (cfr. Mt Mt 18, 23, ss.; 5, 44; Mr.11, 25; Lc 6,37 Rom Lc 12,14 etc. ).
Ricordiamo l'impegno da noi assunto all'indulgenza e al perdono, che invochiamo nel Pater noster da Dio, per aver noi stessi posta la condizione e la misura della desiderata misericordia: « rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Mt 6,12).
Anche per noi quindi, alunni alla scuola di Cristo, questa è una lezione da meditare ancora, da applicare con confidente coraggio.
La Pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità.
Dal Vaticano, 18 ottobre 1975.
PAULUS PP. VI
PAULO VI-PACE