Lezionario "I Padri vivi" 63

XXIII Domenica

63 Letture:
    
Ez 33,7-9
     Rm 13,8-10
     Mt 18,15-20

1. La correzione fraterna

       "Se tuo fratello ha mancato contro di te, riprendilo fra te e lui solo" (Mt 18,15). Perché quel riprendilo? Perché ti rincresce che ha mancato contro di te? Non sia mai. Se fai ciò per amore di te, nulla fai. Se lo fai per amore di lui, fai cosa ottima. Dunque presta attenzione alle parole in sé, per capire per quale dei due amori tu devi far ciò, se di te o di lui. "Se ti avrà ascoltato, dice, avrai conquistato tuo fratello (Mt 18,15)." Dunque, agisci per lui, al fine di conquistarlo. Se agendo lo conquisterai, se tu non avessi agito egli si sarebbe perduto. Perché dunque la maggior parte degli uomini disprezzano codesti peccati, dicendo: Cosa ho fatto di grande? Ho peccato contro l’uomo. Non disprezzare. Hai peccato contro l’uomo: vuoi conoscere perché peccando contro l’uomo ti sei perduto? Se colui contro il quale hai peccato, ti avesse ripreso fra te e lui solo, e tu gli avessi dato ascolto, egli ti avrebbe conquistato. Che vuol dire ti avrebbe conquistato, se non che si sarebbe perduto se non avesse cercato di conquistarti? Infatti, se non stavi per perderti, in che modo ti avrebbe conquistato? Dunque, nessuno disprezzi, quando pecca contro il fratello. Dice infatti in un certo passo l’Apostolo: "Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo" (1Co 8,12): questo perché tutti siamo stati fatti membra di Cristo. Come puoi dire di non peccare contro Cristo, se pecchi contro un membro di Cristo?...

       "Se tuo fratello ha mancato contro di te, riprendilo fra te e lui solo". Se lo avrai trascurato, tu sei peggiore. Egli ti arrecò ingiuria, e ciò facendo inferse a se stesso una grave ferita: tu disprezzi la ferita di tuo fratello? Tu lo vedi perire, od anche che si è già perduto, e lo trascuri? Sei peggiore tu nel tacere che non lui nell’ingiuriare. Perciò, quando qualcuno pecca contro di noi, cerchiamo di avere grande cura, non per noi; infatti è cosa gloriosa dimenticare le ingiurie: ma tu dimentica la tua ingiuria, non la ferita di tuo fratello. Quindi, "riprendilo fra te e lui solo", con l’intenzione di correggerlo, vincendo ogni pudore. Infatti, preso da forte vergogna, egli comincia a difendere il suo peccato, e tu rendi peggiore colui che volevi correggere. "Riprendilo", perciò, "fra te e lui solo. Se ti avrà ascoltato, avrai conquistato tuo fratello": perché sarebbe perduto, se tu non lo facessi. "Se però non ti avrà ascoltato", cioè, se avrà difeso il suo peccato quasi fosse un’ingiuria fattagli, "prendi con te due o tre testimoni, perché tutto si risolva sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non avrà ascoltato neppure costoro, riferisci la cosa alla Chiesa: se non avrà ascoltato neppure la Chiesa, sia per te come un pagano e un pubblicano" (Mt 18,16-17). Non annoverarlo più nel numero dei tuoi fratelli. E tuttavia, ciò non significa che si debba trascurare la sua salvezza. Infatti, questi stessi pagani e gentili noi non li annoveriamo nel numero dei fratelli; e nondimeno sempre cerchiamo la loro salvezza. Questo, quindi, abbiamo udito dal Signore che così ammoniva, prendendosi tanta cura, di modo che avessimo sempre presente: "In verità vi dico, che tutto ciò che avrete legato sulla terra, sarà legato anche in cielo; e tutto ciò che avrete sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo" (Mt 18,18). Hai cominciato a ritenere tuo fratello come un pubblicano, legalo sulla terra: ma, attento, legalo da giusto. Infatti, la giustizia rompe gli ingiusti legami. Quando, per contro, tu lo hai corretto e ti sei messo d’accordo con tuo fratello, tu lo hai sciolto sulla terra. Quando lo avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche in cielo. Molto tu accordi, non a te, ma a lui; infatti, molto egli ha nociuto, non a te, ma a se stesso.

       Agostino, Sermo 82, 4 e 7


2. Amare il prossimo per Cristo

       "Dove due o tre sono uniti nel mio nome, ivi sono io in mezzo ad essi" (Mt 18,20). Orbene non vi sono forse due o tre uniti nel nome suo? Vi sono, sì; ma raramente. Gesù infatti non parla semplicemente di unione materiale, né ricerca solo questo, ma anche e soprattutto, come già vi ho detto, le altre virtù insieme a ciò; inoltre esige questo con molto rigore. È come se dicesse: Se qualcuno mi tiene come fondamento e causa principale della sua amicizia per il prossimo, io sarò con lui a condizione che egli abbia anche le altre virtù. Vediamo invece al giorno d’oggi che la maggior parte degli uomini hanno altre, diverse motivazioni alle loro amicizie. Ecco: un uomo ama perché è amato; un altro perché è onorato; un altro ancora perché qualcuno gli è stato utile in qualche affare o per altro analogo motivo. Ma è difficile trovare qualcuno che per Cristo ami il suo prossimo autenticamente, come si deve amare. Generalmente gli uomini si uniscono fra di loro per interessi terreni. Non così amava Paolo: egli amava per Cristo; il motivo del suo amore era Cristo. Per questo, anche se non era riamato come egli amava, il suo amore non veniva meno, poiché aveva gettato in profondità la forte radice dell’amore. Ma purtroppo, oggi, non si ama più in questa maniera. Se si esamina ogni caso, si troverà che generalmente l’amicizia ha una causa ben diversa dall’amore di Cristo. E se mi fosse consentito di fare tale indagine presso una grande moltitudine di persone, io vi dimostrerei che la maggior parte degli uomini sono uniti tra loro per motivi inerenti alle necessità della vita terrena. E quanto dico risulta evidente considerando anche le cause che provocano l’inimicizia, l’odio. Dato che gli uomini si cercano per motivi passeggeri, la loro amicizia non è ardente né costante. Un cenno di disprezzo o una parola aspra, una minima perdita di denaro, un sentimento di invidia, un desiderio di vanagloria e qualunque altro simile incidente basta per rompere l’amicizia. Il fatto è che essa non ha una radice spirituale; niente di terreno e di materiale potrebbe infatti spezzare un vincolo spirituale, non lo si potrebbe vincere né distruggere. Né le calunnie, né i pericoli, né la morte o altro possono infrangerlo, né strapparlo dall’anima dell’uomo. Colui che ama per Cristo, anche se dovesse patire infiniti dolori, mirando alla causa del suo amore, non cesserà mai di amare; chi invece ama per essere amato, smette di amare non appena soffre qualche amarezza. Colui che si è legato con l’amore di Cristo, non desisterà mai dall’amare. Perciò anche Paolo afferma: "La carità non viene mai meno" (1Co 13,8).

       Che cosa vuoi replicare? Che l’altro ha risposto con disprezzo e ingiurie ai tuoi servizi e al tuo rispetto? che dopo essere stato beneficato ha tentato di toglierti la vita? Ma se tu ami per Cristo, tutto ciò ti spinge ad amare di più. Ciò che per gli altri distrugge l’amore, per noi produce e rafforza l’amore. Mi chiedi come questo può accadere? Anzitutto perché colui che è ingrato e per te causa di ricompensa, in secondo luogo, perché costui ha bisogno di maggior aiuto, di intensa sollecitudine e cura. :E dunque chiaro che chi ama così, non guarda né ricerca nell’altro la nobiltà, la patria, le ricchezze e neppure l’amore per sé, né altre simili cose, ma anche se è odiato, insultato, minacciato di morte, egli continua ad amare, poiché gli basta, quale motivo d’amore, Cristo: e guardando a lui sta fermo, saldo, immutabile.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 60, 3


3. Nella Chiesa ci si consola a vicenda

       Se uno giunge in piazza e vi trova anche un solo amico, tutta la sua tristezza sparisce. Ma noi non andiamo in piazza, bensì in chiesa: vi incontriamo non uno solo, ma molti amici, ci uniamo a molti fratelli, a molti padri. Non dovremmo dunque allontanare ogni nostro scoraggiamento e riempirci di letizia? Non solo per il numero delle persone che vi si radunano la riunione in chiesa è migliore degli incontri sulla piazza, ma anche per gli argomenti che vi si trattano. Vedo infatti come quelli che perdono il tempo in piazza e vi si siedono in circolo parlano spesso di cose inutili, fanno discorsi frivoli e si intrattengono su argomenti per nulla convenienti. Anzi, c’è l’abitudine di indagare e investigare con gran cura gli affari degli altri. Quanto sia incerto e pericoloso abbandonarsi a tali discorsi, oppure ascoltarli e lasciarsene influenzare, e quanto spesso questi convegni abbiano fatto sorgere dissidi nelle famiglie, non intendo trattarlo qui. Tutti senz’altro concorderanno che quei discorsi sono inutili, frivoli e mondani, ed anche che non è facile far entrare una parola spirituale in simili riunioni.

       Ma qui in chiesa non è così, anzi precisamente l’opposto. Ogni discorso inutile è bandito ed ogni insegnamento spirituale ha il suo posto. Parliamo della nostra anima e dei beni che interessano l’anima, della corona che c’è riposta nel cielo, della rettitudine nella vita, della bontà di Dio, e della sua provvidenza per tutto il mondo e ancora di tutte le cose che ci riguardano, il motivo per cui siamo stati creati e la sorte che ci aspettiamo quando ce ne partiamo da quaggiù, e la situazione che verrà per noi decisa. A queste riunioni non solo noi prendiamo parte, ma anche i profeti e gli apostoli; anzi, il fatto più grande è che il Signore di noi tutti, Gesù, sta in mezzo a noi. Egli stesso ha detto: "Dove due o tre sono raccolti nel mio nome, ivi sono io in mezzo a loro (Mt 18,20). Ma se Cristo è presente dove sono radunati due o tre, quanto più sarà in mezzo a noi quando tanti uomini, tante donne, tanti padri sono insieme con gli apostoli e i profeti. Per questo anche noi parliamo con tanto coraggio, nella certezza del suo aiuto.

       Crisostomo Giovanni, In Genes. 5


4. La preghiera deve essere comunitaria

       Il Dottore della pace e il Maestro dell’unità non vuole che la preghiera si faccia individualmente e in privato, nel senso che chi prega preghi solo per sé.

       Non diciamo: Padre mio, che sei nei cieli; e neppure: dammi oggi il mio pane quotidiano; e ciascuno non domanda che gli sia rimesso solo il suo debito; né prega solo per sé affinché non sia indotto in tentazione e sia liberato dal male.

       La nostra preghiera è pubblica e comune: e quando noi preghiamo, preghiamo non per uno solo, ma per tutto quanto il popolo: e ciò perché noi, tutto intero il popolo, siamo uno.

       Il Dio della pace e il Maestro della concordia, che ha insegnato l’unità, vuole che uno preghi per tutti, così come in uno egli portò tutti.

       Proprio questa legge della preghiera osservarono i tre fanciulli gettati nella fornace ardente: essi pregarono in piena consonanza, spiritualmente uniti in un cuor solo. Ce lo testimonia la divina Scrittura, la quale, indicandoci come essi pregavano, ci dà il modello da imitare noi nelle nostre preghiere affinché possiamo essere come quelli. "Allora" - sta scritto - "loro tre, come con una sola voce, cantavano un inno e benedicevano Iddio" (Da 3,51). Essi pregavano come con una sola voce, e tuttavia Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare! Ebbene, la loro preghiera fu efficace, poté essere esaudita, perché una preghiera pacifica, semplice e spirituale attira la benevolenza di Dio.

       Così vediamo che pregarono anche gli apostoli, riuniti coi discepoli, dopo l’ascensione del Signore. "E tutti" - sta scritto - "perseveravano unanimi nella preghiera, con le donne, e Maria la madre di Gesù, e con i fratelli di lui" (Ac 1,14). Persevera vano unanimi nella preghiera, testimoniando in tal modo, in questa loro preghiera, e l’assiduità e il loro amore scambievole: ché Dio, il quale fa abitare nella stessa casa coloro che sono una sola anima (Ps 67,7), non ammette nella divina ed eterna dimora se non quelli che pregano essendo un’anima sola.

       Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 8


5. La Chiesa è adunata nel nome di Gesù

       Già tre riuniti nel Tuo nome formano la Chiesa. Conserva dunque le migliaia di adunati nella Tua casa, che prima hanno eretto nel loro cuore una chiesa e poi l’hanno portata nel tem pio edificato nel Tuo nome! Che la chiesa interiore sia magnifica come lo è l’esteriore ! Abita nella chiesa interiore e conserva l’esteriore, poiché sia il cuore che l’edificio sono consacrati nel Tuo nome!

       Balaj, Madrase per la chiesa di Aleppo




XXIV Domenica

64 Letture:
    
Si 27,30 Si 28,9
     Rm 14,7-9
     Mt 18,21-35

1. I vantaggi del perdono ai nemici

       Questa parabola cerca di ottenere due cose: che noi riconosciamo e condanniamo i nostri peccati, e che perdoniamo quelli degli altri. E il condannare è in funzione del perdonare, affinché cioè il perdonare diventi più facile. Colui infatti che riconosce i propri peccati, sarà più disposto a perdonare al proprio fratello. E non solo a perdonare con la bocca, ma di cuore. Altrimenti noi rivolgeremo la spada contro noi stessi. Che male può farti il tuo nemico che possa essere paragonato a quello che tu fai a te stesso, accendendo la tua ira e attirando contro di te la sentenza di condanna da parte di Dio? Se infatti tu sei vigilante e vivi filosoficamente, tutto il male ricadrà sulla testa di chi ti offende e sarà lui a pagare il malfatto; ma se ti ostini nella tua indignazione e nel risentimento, allora sarai tu stesso a riportare il danno: non quello che ti procurerà l’offesa del nemico, ma quello che ti deriverà dal tuo rancore. Non dire che t’insultò e che ti calunniò e ti fece mille mali, quanti più oltraggi tu enumeri, tanto più dimostri che egli è tuo benefattore. Egli infatti ti ha dato modo di espiare i tuoi peccati. Quanto più infatti egli ti ha offeso tanto più è diventato per te causa di perdono. Infatti se noi vogliamo, nessuno potrà danneggiarci; anzi i nostri stessi nemici saranno per noi causa di bene immenso. Ma perché parlo soltanto degli uomini? C’è qualcosa di più perverso del demonio? Eppure anche lui può essere per noi occasione di grande gloria, come lo dimostra Giobbe. Se dunque il diavolo può essere per te occasione di ricompensa, perché temi un uomo, tuo nemico? Considera infatti quanto tu guadagni sopportando con mansuetudine gli attacchi dei tuoi nemici. Il primo e più grande vantaggio è il perdono dei tuoi peccati. In secondo luogo tu acquisti costanza e pazienza e inoltre mitezza e misericordia: infatti chi non sa adirarsi contro coloro che l’offendono, tanto più sarà mite verso gli amici. Infine, sradicheremo per sempre da noi l’ira: e non vi è bene pari a questo. Chi infatti è libero dall’ira, evidentemente sarà libero dalla tristezza di cui l’ira è fonte e non consumerà la sua vita in vani affanni e dolori. Chi non s’adira né odia, non sa neppure essere triste, ma godrà di gioia e di beni infiniti. Odiando infatti gli altri, noi puniamo noi stessi; e, al contrario, benefichiamo noi stessi, amando. Oltre a tutto questo, tu sarai rispettato persino dai tuoi nemici, anche se essi sono demoni; anzi, con questo tuo atteggiamento non avrai più neppure un nemico. Infine, ciò che vale più di tutto ed è prima di tutto: tu ti guadagnerai la benevolenza di Dio; se hai peccato, otterrai il perdono; e se hai praticato il bene, aggiungerai nuovi motivi di fiducia e di speranza.

       Sforziamoci dunque di non odiare nessuno, affinché Dio ci ami. Anche se noi siamo debitori di mille talenti, egli avrà misericordia di noi e ci perdonerà. Ma tu dici che sei stato offeso dal tuo nemico . Ebbene, abbi compassione di lui e non odiarlo; compiangilo vivamente, non disprezzarlo. Infatti, non sei stato tu ad offendere Dio, ma lui; tu, invece, hai acquistato gloria se hai sopportato con pazienza il suo odio. Ricorda che Cristo, quando stava per essere crocifisso, si rallegrò per sè e pianse per i suoi crocifissori. Tale deve essere la nostra disposizione d’animo; e quanto più noi siamo offesi, tanto più dobbiamo piangere per coloro che ci offendono. A noi provengono molti beni da questo fatto mentre a loro accade tutto il contrario. Costui - tu replichi - mi ha oltraggiato e schiaffeggiato dinanzi a tutti. E io ti dico che egli si è disonorato davanti a tutti ed ha aperto la bocca di mille accusatori; per te invece ha intrecciato più grandi e splendide corone e ha aumentato il numero degli araldi della tua pazienza. Ma egli mi ha insultato davanti agli altri - tu obietti ancora. E che è questo, quando Dio solo sarà il tuo giudice e non coloro che hanno inteso quelle calunnie? Per sé, infatti, ha aggiunto nuovo motivo di castigo, cosicché egli dovrà render conto non solo dei propri atti, ma anche delle parole che pronunciò contro di te. Se ti ha accusato presso gli uomini, egli però si è screditato davanti a Dio. Se poi queste considerazioni non ti bastano, pensa che anche il tuo Dio è stato calunniato non solo da Satana, ma anche dagli uomini e da quelli che amava sopra tutti.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 61, 5


2. Il perdono dato è misura della misericordia che otterremo

       "E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). O ineffabile clemenza di Dio! Non solo ci ha dato un modello di preghiera e ha stabilito una regola di vita che ci rende a lui accetti, non solo - attraverso la formula insegnataci con la quale ci prescrive di pregarlo sempre - strappa via le radici dell’ira e della tristezza, ma offre a chi prega un’occasione e apre una via a fare su di noi un giudizio indulgente e misericordioso; egli ci dà in certo modo la possibilità di addolcire noi stessi la nostra sentenza, di forzarlo al perdono delle nostre colpe con l’esempio della nostra indulgenza, poiché gli diciamo: "Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri".

       Pertanto, fidando in questa preghiera, domanderà perdono con certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo verso i suoi debitori. Verso i suoi debitori, non verso quelli del Signore. Si nota infatti in molti una cosa ancora peggiore: le ingiurie fatte a Dio, per quanto gravissime, ci trovano dolci e pieni di clemenza; ma quando si tratta di offese anche minime fatte a noi, esigiamo una riparazione con severità inesorabile. È certo però che chiunque non avrà perdonato di cuore i torti ricevuti dal fratello, con questa preghiera otterrà per sè non l’indulgenza ma la condanna poiché chiederà lui stesso un giudizio più severo dicendo: "Perdonami come io ho perdonato". Se sarà trattato secondo la sua domanda, che altro gli potrà toccare se non di venir punito, a suo esempio, con una collera implacabile e una sentenza senza remissione? Se dunque vogliamo essere giudicati benignamente, anche noi dobbiamo mostrarci benigni verso coloro che ci hanno arrecato qualche offesa. Infatti ci sarà perdonato nella misura in cui avremo perdonato loro, qualunque cattiveria ci abbiano fatto.

       Molti tremano a questo pensiero, e quando in chiesa questa preghiera è cantata in coro da tutto il popolo lasciano passare queste parole senza dirle, per paura di condannarsi con la loro stessa bocca, invece di giustificarsi; e non s’accorgono che queste sono sottigliezze vane, con cui cercano invano di coprirsi agli occhi del Giudice di tutti, il quale ha voluto mostrare in anticipo, a coloro che lo pregano, in che modo li giudicherà. È perché non vuole che lo troviamo severo e inesorabile, lui che ci ha rivelato la regola dei suoi giudizi, affinché noi così giudichiamo i nostri fratelli, qualora abbiano commesso qualcosa contro di noi "poiché il giudizio sarà senza misericordia per colui che non ha usato misericordia" (Jc 2,13).

       Cassiano Giovanni, Collationes, 9, 22


3. Nell’orazione stringiamo un patto con Dio

       "Perdono da dare al fratello per poterlo ricevere da Dio". Se dunque, chiunque tu sia, rivolgi il tuo pensiero a Cristo, e desideri ricevere quello che egli ti ha promesso, non essere pigro nel fare quel che egli ha ordinato. Cosa infatti ha promesso? La vita eterna. E cosa ha ordinato? Di perdonare il fratello. Come se ti dicesse: Tu, uomo, da’ il perdono all’uomo affinché io, Dio, ti possa perdonare... Intendo dire, non vuoi tu dunque ricevere dal tuo Signore quanto ti è ordinato di dare al tuo fratello? Dimmi se non vuoi, e non vuoi dare. Cos’è questo, se non che tu disconosci chi lo domanda, mentre chiedi di essere ignorato? Oppure se non hai di che essere ignorato, oso dire, non voler essere ignorato. Per quanto non avrei dovuto dire una cosa simile, anche se non hai di che essere ignorato, ignora.

       "Sull’esempio di Dio, si devono condonare i debiti". Forse sei sul punto di dirmi: Ma io non sono Dio, sono un uomo peccatore. Grazie a Dio, poiché ti è dato di confessare la tua realtà di peccato. Perciò ignora affinché ti sia rimessa. Peraltro siamo esortati ad imitare lo stesso Signore nostro Dio. Anzitutto, lo stesso Dio Cristo, del quale l’apostolo Pietro ha detto: "Cristo ha patito per noi, lasciandovi l’esempio, perché ne seguiate le orme; egli che non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca" (1P 2,21-22). E in ogni caso, egli che non aveva peccato è morto per i nostri peccati ed ha effuso il suo sangue per la remissione dei peccati. Accettò per noi ciò che non doveva, perché fossimo liberati dal delitto. Egli non doveva morire e noi non dovevamo vivere. Perché? Perché eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte, né a noi la vita: ciò che non gli era dovuto, egli lo accettò; ciò che a noi non era dovuto, egli lo dette. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non pensiate di imitare Cristo da voi, ascoltate l’Apostolo che dice: "Donando voi stessi, così come Dio si dette a voi in Cristo" (Col 3,13). "Siate dunque imitatori di Dio" (Ep 5,1). Sono parole dell’Apostolo, non mie. È certamente presuntuoso imitare Dio? Ascolta l’Apostolo: "Siate imitatori di Dio, come figli carissimi ()". Sei detto figlio: se respingi l’imitazione, perché cerchi l’eredità?

       "Il peccatore compatisca chi pecca". Questo potrei dire se tu non avessi in te ombra di peccato, qualora tu desideri essere confortato. Ma, in ogni caso, chiunque tu sia, sei un uomo; anche se giusto, sei un uomo; anche se laico, monaco chierico, vescovo o apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce dell’apostolo: Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi. Egli, l’evangelista Giovanni, colui che Cristo Signore prediligeva fra gli altri, che riposava sul suo petto, proprio lui dice: "Se dicessimo": non ha detto: Se diceste di non aver peccato, bensì: "Se dicessimo di non aver peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi" (1Jn 1,8). Si congiunse alla colpa, per esser congiunto anche al perdono. "Se dicessimo": osservate chi dice: "Se dicessimo di non avere peccato, inganneremmo noi stessi, e la verità non è in noi. Se invece avremo confessato i nostri peccati, colui che è fedele e giusto, rimetterà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità (1Jn 1,8-9) .

       Come ci purificherà? Ignorando, non quasi non trovando di che punire, bensì trovando di che perdonare. Perciò, se abbiamo peccato, fratelli, comprendiamo chi chiede venia. Non coviamo nel nostro cuore inimicizia verso gli altri. Infatti, le inimicizie covate dentro viziano ancor più il nostro cuore.

       "Nell’orazione si chiede a Dio il perdono con il patto di donarlo agli altri". Voglio quindi che tu sia comprensivo, perché ti so alla ricerca di perdono. Ti si prega, disconosci; ti si prega e pregherai a tua volta; ti si prega, disconosci; pregherai per essere disconosciuto.

       Agostino, Sermo 114, 2-5



XXV Domenica

65 Letture:
    
Is 55,6-9
     Ph 1,20-27a
     Mt 20,1-16a

1. Le ore della divina chiamata

       L’operaio, dunque, (che fu chiamato) al mattino, all’ora terza, sesta e nona, indica quell’antico popolo ebraico che fin dagli inizi del mondo, nei suoi eletti, si studiò di onorare Dio con retta fede, come se non cessasse di faticare nel coltivare la vigna. All’undicesima ora sono chiamati i pagani, ai quali anche è chiesto: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?" (Mt 20,6). Essi, infatti, per così lungo tempo non si erano curati di lavorare per la loro vita, come se stessero in ozio tutto il giorno. Ma pensate, fratelli carissimi, cosa risposero alla domanda: Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi" (Mt 20,7). Nessun patriarca, nessun profeta era stato mandato loro. E cosa significa: «Nessuno ci ha presi a lavorare», se non questo: «Nessuno ci ha predicato le vie della vita»? Cosa dunque diremo a nostra scusa, quando abbiamo omesso di fare il bene noi che fin dal grembo della madre siamo venuti alla fede, che fin dalla culla abbiamo udito le parole di vita, che insieme al latte carnale abbiamo attinto il liquore della predicazione celeste al seno della santa Chiesa?

       Possiamo anche distinguere le diverse ore in relazione ad ogni uomo, secondo i diversi momenti delle sue età. Così il mattino è la puerizia del nostro intelletto. L’ora terza può indicare l’adolescenza, perché quando cresce il calore dell’età è come se il sole salisse in alto. L’ora sesta è la gioventù, perché come il sole sembra fermarsi nel mezzo (del cielo), in essa viene raggiunto il pieno vigore. L’ora nona raffigura la maturità, nella quale il sole comincia a declinare, perché in questa età comincia a venir meno il calore della gioventù. L’undicesima ora è quella età che viene detta decrepita, cioè la vecchiaia... Siccome poi uno chiamato alla vita santa durante la puerizia, un altro nell’adolescenza, un altro nella gioventù, un altro nella vecchiaia, un altro ancora nell’età decrepita, ecco che gli operai sono chiamati alla vigna in ore diverse. Osservate pertanto i vostri costumi, fratelli carissimi, e vedete se siete già operai di Dio. Ciascuno esamini le sue opere e consideri se sta faticando nella vigna del Signore. Chi infatti in questa vita cerca le cose sue, non è ancora giunto alla vigna del Signore. Lavorano invece per lui coloro che pensano non ai propri guadagni, ma a quelli del Signore, e che per lo zelo della carità si dedicano ad opere pie, si adoperano a conquistar anime, si affrettano a condurre con sé anche gli altri alla vita. Chi invece vive per sé e si pasce dei piaceri della sua carne, è giustamente accusato di essere ozioso, perché non aspira al frutto dell’opera divina.

       Chi poi ha trascurato fino a tarda età di vivere per Dio, è come se fosse stato in ozio fino all’undicesima ora. Per cui, giustamente, vien detto a coloro che sono rimasti indolenti fino all’undicesima ora: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi"? È lo stesso che dire: «Anche se non avete voluto vivere per Dio nella puerizia e nella giovinezza, ravvedetevi almeno nell’ultima età, e, sia pure in ritardo, quando ormai non c’è più molto da faticare, venite alla via della vita». Anche questi chiama il padrone di casa, e il più delle volte essi sono ricompensati prima, perché uscendo prima dal corpo, vanno al regno prima di quelli che sembravano essere stati chiamati fin dalla puerizia. Non giunse forse all’undicesima ora il buon ladrone? Se non giunse a quell’ora per l’età, vi giunse certo quanto alla sofferenza, egli che riconobbe Dio mentre era in croce e spirò quasi mentre faceva tale professione. Il padrone di casa cominciò così la distribuzione della paga dall’ultimo, perché condusse al riposo del paradiso il ladrone prima di Pietro. Quanti patriarchi vissero prima della Legge, quanti sotto la Legge, e tuttavia coloro che furono chiamati alla venuta del Signore giunsero senza alcun indugio al regno dei cieli!...

       Ma è terribile ciò che segue a queste (parole): "Molti sono chiamati, ma pochi eletti" (Mt 26,16), perché molti vengono alla fede, pochi giungono al regno dei cieli. Ecco infatti in quanti siamo convenuti alla festa di oggi e riempiamo le mura di questa chiesa; e tuttavia chissà quanto pochi sono quelli che sono annoverati nel gregge degli eletti di Dio! Ecco infatti la voce di tutti grida: «Cristo!», ma la vita di tutti non grida altrettanto. I più seguono Dio a parole, lo fuggono con la condotta pratica di vita...

       Di questi tali, fratelli carissimi, ne vedete molti nella Chiesa, ma non dovete né imitarli e neppure disperare (della loro salvezza). Noi vediamo infatti quello che è oggi ciascuno, ma non sappiamo che cosa potrà diventare domani. Molte volte anche chi sembra venire dopo di noi ci precede con l’agilità delle buone opere, e a stento seguiamo quello che oggi crediamo di precedere. Certamente, mentre Stefano moriva per la fede, Saulo custodiva le vesti di coloro che lo lapidavano. Egli dunque lapidò con le mani di tutti, perché rese tutti più spediti nel lapidare; e tuttavia con le sue fatiche precedette nella santa Chiesa quello stesso che con le sue persecuzioni aveva reso martire. Ci sono dunque due cose alle quali dobbiamo seriamente pensare. Siccome infatti "molti sono chiamati, ma pochi eletti", per prima cosa nessuno deve minimamente presumere di se stesso, perché anche se è già stato chiamato alla fede non sa se è degno del regno eterno. La seconda cosa è che nessuno osi disperare del prossimo, che forse ha visto giacere nei vizi, perché ignora le ricchezze della misericordia divina.

       Gregorio Magno, Hom. XIX, 1-3.5-6


2. I chiamati e gli eletti

       Che nessuno di voi, carissimi, si creda in sicurezza sotto il pretesto che è battezzato, poiché alla stregua di coloro che corrono negli stadi dei quali non tutti ricevono il "bravium", cioè il premio della vittoria, ma solo colui che è arrivato primo nella corsa, così non sono salvati tutti coloro che hanno la fede, bensì solamente coloro che perseverano nelle buone opere cui hanno posto mano. E come colui che lotta contro un altro «si astiene da tutto», così anche voi dovete astenervi da tutti i vizi, per poter vincere il diavolo, vostro avversario. Uomini infelici servono un re terreno con il pericolo della propria vita e passano per enormi difficoltà in vista di un risultato quanto mai effimero e presto scomparso; perché non servite invece il re del cielo per ottenere la felicità del Regno? E visto che per la fede il Signore vi ha già chiamati nella sua vigna, cioè nell’unità della santa Chiesa, vivete, comportatevi in modo tale che, grazie alla divina liberalità, voi possiate ricevere il denaro, cioè la felicità del regno celeste.

       Che nessuno disperi a causa della grandezza dei suoi peccati, e non dica: Numerosi sono i peccati nei quali ho perseverato fino alla vecchiaia e all’estrema vecchiaia, non potrà più ormai ottenere il perdono, soprattutto per il fatto che sono i peccati che mi hanno lasciato e non io che li ho rigettati. Che costui non disperi affatto della misericordia divina, poiché alcuni sono chiamati nella vigna di Dio alla prima ora, altri alla terza, altri alla sesta, altri alla nona, altri alla undicesima, come dire che gli uni sono portati al servizio di Dio nell’infanzia, altri nell’adolescenza, altri nella giovinezza, altri nella vecchiaia, altri nell’estrema vecchiaia.

       E, come nessuno, quale che sia la sua età, deve disperare se vuole convertirsi a Dio, così nessuno deve credersi nella sicurezza solo in forza della propria fede, ma deve piuttosto temere quanto è detto: "Molti sono chiamati, ma pochi sono eletti" (Mt 20,16). Che noi siamo chiamati per la fede, lo sappiamo; ma se siamo eletti, lo ignoriamo. Ciascuno deve quindi essere tanto più umile in quanto ignora se è eletto.

       Che Dio onnipotente vi accordi di non essere nel numero di coloro che a piedi traversarono il Mar Rosso, mangiarono la manna nel deserto, bevettero la bevanda spirituale, e tuttavia perirono a causa delle mormorazioni fatte nel deserto, bensì nel numero di coloro che entrarono nella terra promessa e ottennero, lavorando fedelmente nella vigna della Chiesa di ricevere il denaro della felicità eterna, di modo che con il Cristo vostro capo voi possiate, voi sue membra, regnare per tutti i secoli dei secoli. Amen.

       Anonimo IX sec., Hom. 4, 4-7


3. La chiamata è per tutti e alla prima ora

       A quale scopo, dunque, è stata composta questa parabola, e che fine vuol conseguire? Essa mira a incoraggiare gli uomini che si sono convertiti e hanno cambiato vita in età avanzata, e a evitare che si ritengano inferiori. Questa è la ragione per cui il Signore presenta altri che mal sopportano il fatto che costoro ottengano quei doni; non tanto per mostrare che quelli siano realmente rosi e consumati dall’invidia. Dio ci liberi da tale pensiero; quelli vengono introdotti solo per farci comprendere che gli ultimi arrivati godono di tale onore, che può anche causare invidia. La stessa cosa facciamo anche noi molte volte, quando diciamo ad esempio: Il tale mi ha rimproverato d’averti fatto tale onore. Con ciò noi non vogliamo dire che realmente siamo stati rimproverati, né pensiamo di screditare quell’altro, ma vogliamo dimostrare la grandezza del dono che abbiamo fatto all’amico.

       Ma voi ora mi domanderete perché il padrone non fa venire gli operai tutti insieme a lavorare nella vigna. Per quanto dipende dal padrone, egli li ha chiamati tutti insieme, alla stessa ora; però non tutti hanno obbedito subito, e ciò per le diverse disposizioni dei chiamati. Per questo alcuni sono chiamati di buon mattino, altri all’ora terza, altri alla sesta, alla nona, fino all’undicesima ora, ciascuno nel momento in cui è pronto ad ascoltare la sua chiamata. La stessa cosa dichiara anche Paolo dicendo: "Quando è piaciuto a Dio, che mi ha separato dal ventre di mia madre" (Ga 1,15). E quando a Dio è piaciuto? Quando Paolo era pronto ad obbedirgli. Il Signore avrebbe certo desiderato chiamarlo fin dall’inizio della sua vita, ma sapendo che allora Paolo non avrebbe ceduto, ha atteso a chiamarlo nel momento in cui sarebbe stato disposto. Per questo, chiamerà il ladrone all’ultimo momento, ché altrimenti costui non avrebbe risposto alla chiamata. Paolo non gli avrebbe risposto prima, e molto meno, gli avrebbe obbedito il ladrone.

       Orbene, se gli operai dicono qui che nessuno li ha presi a soldo, non bisogna pretendere, come già vi dissi, di esaminare e di spiegare ogni minimo dettaglio nelle parabole. E non dimentichiamo che non è il padrone a dire queste parole, ma gli operai dell’ultima ora: il padrone non li rimprovera per non turbarli, e per indurli a lavorare anch’essi nella vigna. Infatti, che egli abbia l’intenzione di chiamarli tutti dal principio lo dimostra la parabola stessa, quando dice che il padrone di casa uscì la mattina di buon’ora ad assoldare operai.

       Da ogni parte, quindi, risulta evidente che la parabola è indirizzata sia a coloro che dalla prima età, sia a quelli che in età avanzata e più tardi si danno alla virtù. Ai primi, perché non si insuperbiscano né insultino coloro che vengono all’undicesima ora; agli ultimi, perché sappiano che possono, in breve tempo, recuperare tutto. Siccome, infatti, il Signore aveva in precedenza parlato di fervore e di zelo, di rinuncia delle ricchezze, di disprezzo di tutto ciò che si possiede - il che richiede grande sforzo e un ardore giovanile - per accendere negli ascoltatori la fiamma dell’amore e dar tono alla loro volontà, dimostra ora che pure quelli che sono giunti tardi possono ricevere la ricompensa di tutta la giornata. Tuttavia, non dice esplicitamente questo, per timore che questi si insuperbiscano e siano negligenti e trascurati; mostra invece che tutto è opera della sua bontà e, grazie ad essa, costoro non saranno trascurati, ma riceveranno anch’essi beni ineffabili. Questo è lo scopo principale che Cristo si prefigge nella presente parabola.

       Né meravigliatevi se il Signore aggiunge che "saranno primi gli ultimi e ultimi i primi e molti saranno i chiamati e pochi gli eletti" (Mt 20,16). Egli non afferma ciò deducendolo dalla parabola, ma vuole far comprendere che come è successo questo succederà anche quello. Perché qui i primi non sono diventati ultimi ma tutti hanno ottenuto, al di là di quanto potevano aspettarsi e sperare, la stessa ricompensa. Orbene, come è accaduto questo contro ogni speranza e aspettativa e gli ultimi furono messi alla pari coi primi, così accadrà un fatto ancor più grande e straordinario, vale a dire che gli ultimi saranno i primi e i primi saranno dopo di essi.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 64, 3 s.





Lezionario "I Padri vivi" 63