Salvifici doloris 19

V. Partecipi alle sofferenze di Cristo

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19. Il medesimo carme del Servo sofferente nel libro di Isaia ci conduce, attraverso i versetti successivi, proprio nella direzione di questo interrogativo e di questa risposta: "Quando offrirà se stesso in espiazione, / vedrà una discendenza, vivrà a lungo, / si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. / Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce / e si sazierà della sua conoscenza, / il giusto mio servo giustificherà molti, / egli si addosserà la loro iniquità. / perciò io gli daro in premio le moltitudini, / dei potenti egli farà bottino, / perché ha consegnato se stesso alla morte / ed è stato annoverato fra gli empi / mentre egli portava il peccato di molti / e intercedeva per i peccatori" (
Is 53,10-12).

Si può dire che insieme con la passione di Cristo ogni sofferenza umana si è trovata in una nuova situazione. Ed è come se Giobbe l'avesse presentita, quando diceva: "Io so infatti che il mio Redentore vive..." (Gb 19,25), e come se avesse indirizzato verso di essa la propria sofferenza, la quale senza la redenzione non avrebbe potuto rivelargli la pienezza del suo significato. Nella croce di Cristo non solo si è compiuta la redenzione mediante la sofferenza, ma anche la stessa sofferenza umana è stata redenta. Cristo - senza nessuna colpa propria - si è addossato "il male totale del peccato". L'esperienza di questo male determino l'incomparabile misura della sofferenza di Cristo, che divento il prezzo della redenzione. Di questo parla il carme del Servo sofferente di Isaia. A loro tempo, di questo parleranno i testimoni della nuova alleanza, stipulata nel sangue di Cristo. Ecco le parole dell'apostolo Pietro dalla sua prima lettera: "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma col sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia" (1P 1,18-19).

E l'apostolo Paolo nella lettera ai Galati dirà: "Ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso" (Ga 1,4), e nella prima lettera ai Corinzi: "Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!" (1Co 6,20).

Con queste e altre simili parole i testimoni della nuova alleanza parlano della grandezza della redenzione, che si è compiuta mediante la sofferenza di Cristo. Il Redentore ha sofferto al posto dell'uomo e per l'uomo. Ogni uomo ha una sua partecipazione alla redenzione. Ognuno è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza, mediante la quale si è compiuta la redenzione. E' chiamato a partecipare a quella sofferenza, per mezzo della quale ogni umana sofferenza è stata anche redenta. Operando la redenzione mediante la sofferenza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione. Quindi anche ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo.

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20. I testi del Nuovo Testamento esprimono in molti punti questo concetto. Nella seconda lettera ai Corinzi l'Apostolo scrive: "Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dappertutto nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre, infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifestata nella nostra carne mortale... convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù" (
2Co 4,8-11 2Co 4,14).

San Paolo parla delle diverse sofferenze e, in particolare, di quelle di cui diventavano partecipi i primi cristiani "a causa di Gesù". Queste sofferenze permettono ai destinatari di quella lettera di partecipare all'opera della redenzione, compiuta mediante le sofferenze e la morte del Redentore. L'eloquenza della croce e della morte viene tuttavia completata con l'eloquenza della risurrezione. L'uomo trova nella risurrezione una luce completamente nuova, che lo aiuta a farsi strada attraverso il fitto buio delle umiliazioni, dei dubbi, della disperazione e della persecuzione. perciò, l'Apostolo scriverà anche nella seconda lettera ai Corinzi: "Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione" (2Co 1,5). Altrove egli si rivolge ai suoi destinatari con parole d'incoraggiamento: "Il Signore diriga i vostri cuori nell'amore di Dio e nella pazienza di Cristo" (2Th 3,5). E nella lettera ai Romani scrive: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale" (Rm 12,1).

La partecipazione stessa alla sofferenza di Cristo trova, in queste espressioni apostoliche, quasi una duplice dimensione. Se un uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo, ciò avviene perché Cristo ha aperto la sua sofferenza all'uomo, perché egli stesso nella sua sofferenza redentiva è divenuto, in un certo senso, partecipe di tutte le sofferenze umane. L'uomo, scoprendo mediante la fede la sofferenza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato.

Questa scoperta detto a san Paolo parole particolarmente forti nella lettera ai Galati: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita, che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Ga 2,19-20). La fede permette all'autore di queste parole di conoscere quell'amore, che condusse Cristo sulla croce. E se amo così, soffrendo e morendo, allora con questa sua sofferenza e morte egli vive in colui che amo così, egli vive nell'uomo: in Paolo. E vivendo in lui - man mano che Paolo, consapevole di ciò mediante la fede, risponde con l'amore al suo amore - Cristo diventa anche in modo particolare unito all'uomo, a Paolo, mediante la croce. Quest'unione ha dettato a Paolo, nella stessa lettera ai Galati, ancora altre parole, non meno forti: "Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo" (Ga 6,14).

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21. La croce di Cristo getta in modo tanto penetrante la luce salvifica sulla vita dell'uomo e, in particolare, sulla sua sofferenza, perché mediante la fede lo raggiunge insieme con la risurrezione: il mistero della passione è racchiuso nel mistero pasquale. I testimoni della passione di Cristo sono contemporaneamente testimoni della sua risurrezione. Scrive Paolo: "Perché io possa conoscere lui [Cristo], la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (
Ph 3,10-11). Veramente, l'Apostolo prima sperimento "la potenza della risurrezione" di Cristo sulla via di Damasco, e solo in seguito, in questa luce pasquale, giunse a quella "partecipazione alle sue sofferenze", della quale parla, ad esempio, nella lettera ai Galati. La via di Paolo è chiaramente pasquale: la partecipazione alla croce di Cristo avviene attraverso l'esperienza del Risorto, dunque mediante una speciale partecipazione alla risurrezione.

perciò, anche nelle espressioni dell'Apostolo sul tema della sofferenza appare così spesso il motivo della gloria, alla quale la croce di Cristo dà inizio.

I testimoni della croce e della risurrezione erano convinti che "è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio" (Ac 14,22). E Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, dice così: "Possiamo gloriarci di voi... per la vostra fermezza e per la vostra fede in tutte le persecuzioni e tribolazioni che sopportate. Questo è un segno del giusto giudizio di Dio, che vi proclamerà degni di quel regno di Dio, per il quale ora soffrite" (2Th 1,4-5).

Così dunque la partecipazione alle sofferenze di Cristo è, al tempo stesso, sofferenza per il regno di Dio. Agli occhi del Dio giusto, di fronte al suo giudizio, quanti partecipano alle sofferenze di Cristo diventano degni di questo regno. Mediante le loro sofferenze essi, in un certo senso, restituiscono l'infinito prezzo della passione e della morte di Cristo, che divenne il prezzo della nostra redenzione: a questo prezzo il regno di Dio è stato nuovamente consolidato nella storia dell'uomo, divenendo la prospettiva definitiva della sua esistenza terrena. Cristo ci ha introdotti in questo regno mediante la sua sofferenza. E anche mediante la sofferenza maturano per esso gli uomini avvolti dal mistero della redenzione di Cristo.

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22. Alla prospettiva del regno di Dio è unita la speranza di quella gloria, il cui inizio si trova nella croce di Cristo. La risurrezione ha rivelato questa gloria - la gloria escatologica - che nella croce di Cristo era completamente offuscata dall'immensità della sofferenza. Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo sono anche chiamati, mediante le loro proprie sofferenze, a prender parte alla gloria. Paolo esprime questo in diversi punti. Scrive ai Romani: "Siamo... coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi". Nella seconda lettera ai Corinzi leggiamo: "Infatti, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili" (
2Co 4,17-18). L'apostolo Pietro esprimerà questa verità nelle seguenti parole della sua prima lettera: "Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare" (1P 4,13).

Il motivo della sofferenza e della gloria ha la sua caratteristica strettamente evangelica, che si chiarisce mediante il riferimento alla croce e alla risurrezione. La risurrezione è diventata prima di tutto la manifestazione della gloria, che corrisponde all'elevazione di Cristo per mezzo della croce. Se, infatti, la croce è stata agli occhi degli uomini lo spogliamento di Cristo, nello stesso tempo essa è stata agli occhi di Dio la sua elevazione. Sulla croce Cristo ha raggiunto e realizzato in tutta pienezza la sua missione: compiendo la volontà del Padre, realizzo insieme se stesso. Nella debolezza manifesto la sua potenza, e nell'umiliazione tutta la sua grandezza messianica. Non sono forse una prova di questa grandezza tutte le parole pronunciate durante l'agonia sul Golgota e, specialmente, quelle riguardanti gli autori della crocifissione: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno"? (Lc 23,34) A coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo queste parole si impongono con la forza di un supremo esempio. La sofferenza è anche una chiamata a manifestare la grandezza morale dell'uomo, la sua maturità spirituale. Di ciò hanno dato la prova, nelle diverse generazioni, i martiri e i confessori di Cristo, fedeli alle parole: "E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28).

La risurrezione di Cristo ha rivelato "la gloria del secolo futuro" e, contemporaneamente, ha confermato "il vanto della croce": quella gloria che è contenuta nella sofferenza stessa di Cristo, e quale molte volte si è rispecchiata e si rispecchia nella sofferenza dell'uomo, come espressione della sua spirituale grandezza. Bisogna dare testimonianza di questa gloria non solo ai martiri della fede, ma anche a numerosi altri uomini, che a volte, pur senza la fede in Cristo, soffrono e danno la vita per la verità e per una giusta causa. Nelle sofferenze di tutti costoro viene confermata in modo particolare la grande dignità dell'uomo.

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23. La sofferenza, infatti, è sempre una prova - a volte una prova alquanto dura -, alla quale viene sottoposta l'umanità. Dalle pagine delle lettere di san Paolo più volte parla a noi quel paradosso evangelico della debolezza e della forza, sperimentato in modo particolare dall'Apostolo stesso e che insieme con lui provano tutti coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo. Egli scrive nella seconda lettera ai Corinzi: "Mi vantero quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo" (
2Co 12,9). Nella seconda lettera a Timoteo leggiamo: "E' questa la causa dei mali che soffro, ma non me ne vergogno: so infatti a chi ho creduto" (2Tm 1,12). E nella lettera ai Filippesi dirà addirittura: "Tutto posso in colui che mi dà la forza" (Ph 4,13).

Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo hanno davanti agli occhi il mistero pasquale della croce e della risurrezione, nel quale Cristo discende, in una prima fase, sino agli ultimi confini della debolezza e dell'impotenza umana: egli, infatti, muore inchiodato sulla croce. Ma se al tempo stesso in questa debolezza si compie la sua elevazione, confermata con la forza della risurrezione, ciò significa che le debolezze di tutte le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza di Dio, quale si è manifestata nella croce di Cristo. In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo. In lui Dio ha confermato di voler agire specialmente per mezzo della sofferenza, che è la debolezza e lo spogliamento dell'uomo, e di voler proprio in questa debolezza e in questo spogliamento manifestare la sua potenza. Con ciò si può anche spiegare la raccomandazione della prima lettera di Pietro: "Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome" (1P 4,16).

Nella lettera ai Romani l'apostolo Paolo si pronuncia ancora più ampiamente sul tema di questo "nascere della forza nella debolezza", di questo ritemprarsi spirituale dell'uomo in mezzo alle prove e alle tribolazioni, che è la speciale vocazione di coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,3-5). Nella sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù, che l'uomo deve esercitare da parte sua. E questa è la virtù della perseveranza nel sopportare ciò che disturba e fa male. L'uomo, così facendo, sprigiona la speranza, che mantiene in lui la convinzione che la sofferenza non prevarrà sopra di lui, non lo priverà della dignità propria dell'uomo unita alla consapevolezza del senso della vita. Ed ecco, questo senso si manifesta insieme con l'opera dell'amore di Dio, che è il dono supremo dello Spirito Santo. Man mano che partecipa a questo amore, l'uomo si ritrova fino in fondo nella sofferenza: ritrova "l'anima", che gli sembrava di aver "perduto" a causa della sofferenza.

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24. Tuttavia le esperienze dell'Apostolo, partecipe delle sofferenze di Cristo, vanno ancora oltre. Nella lettera ai Colossesi leggiamo le parole, che costituiscono quasi l'ultima tappa dell'itinerario spirituale in relazione alla sofferenza. San Paolo scrive: "perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa" (
Col 1,24). Ed egli in un'altra lettera interroga i suoi destinatari: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?" (1Co 6,15).

Nel mistero pasquale Cristo ha dato inizio all'unione con l'uomo nella comunità della Chiesa. Il mistero della Chiesa si esprime in questo: che già all'atto del battesimo, che configura a Cristo, e poi mediante il suo sacrificio - sacramentalmente mediante l'eucaristia - la Chiesa di continuo si edifica spiritualmente come corpo di Cristo. In questo corpo Cristo vuole essere unito con tutti gli uomini, e in modo particolare egli è unito con coloro che soffrono. Le citate parole della lettera ai Colossesi attestano l'eccezionale carattere di questa unione. Ecco, infatti, colui che soffre in unione con Cristo - come in unione con Cristo sopporta le sue "tribolazioni" l'apostolo Paolo - non solo attinge da Cristo quella forza, della quale si è parlato precedentemente, ma anche "completa" con la sua sofferenza "quello che manca ai patimenti di Cristo". In questo quadro evangelico è messa in risalto, in modo particolare, la verità sul carattere creativo della sofferenza. La sofferenza di Cristo ha creato il bene della redenzione del mondo. Questo bene in se stesso è inesauribile e infinito.

Nessun uomo può aggiungervi qualcosa. Allo stesso tempo, pero, nel mistero della Chiesa come suo corpo, Cristo in un certo senso ha aperto la propria sofferenza redentiva ad ogni sofferenza dell'uomo. In quanto l'uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo - in qualsiasi luogo del mondo e tempo della storia -, in tanto egli completa a suo modo quella sofferenza, mediante la quale Cristo ha operato la redenzione del mondo.

Questo vuol dire, forse, che la redenzione compiuta da Cristo non è completa? No. Questo significa solo che la redenzione, operata in forza dell'amore soddisfattorio, rimane costantemente aperta ad ogni amore che si esprime nell'umana sofferenza. In questa dimensione - nella dimensione dell'amore - la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente. Cristo ha operato la redenzione completamente e sino alla fine; al tempo stesso, pero, non l'ha chiusa: in questa sofferenza redentiva, mediante la quale si è operata la redenzione del mondo, Cristo si è aperto sin dall'inizio, e costantemente si apre, ad ogni umana sofferenza. Si, sembra far parte dell'essenza stessa della sofferenza redentiva di Cristo il fatto che essa richieda di essere incessantemente completata.

In questo modo, con una tale apertura ad ogni umana sofferenza, Cristo ha operato con la propria sofferenza la redenzione del mondo. Infatti, al tempo stesso, questa redenzione, anche se compiuta in tutta la pienezza con la sofferenza di Cristo, vive e si sviluppa a suo modo nella storia dell'uomo. Vive e si sviluppa come corpo di Cristo, che è la Chiesa, e in questa dimensione ogni umana sofferenza, in forza dell'unione nell'amore con Cristo, completa la sofferenza di Cristo. La completa così come la Chiesa completa l'opera redentrice di Cristo. Il mistero della Chiesa - di quel corpo che completa in sé anche il corpo crocifisso e risorto di Cristo - indica contemporaneamente quello spazio, nel quale le sofferenze umane completano le sofferenze di Cristo. Solo in questo raggio e in questa dimensione della Chiesa-corpo di Cristo, che continuamente si sviluppa nello spazio e nel tempo, si può pensare e parlare di "ciò che manca" ai patimenti di Cristo. L'Apostolo, del resto, lo mette chiaramente in rilievo, quando scrive del completamento di "quello che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo corpo, che è la Chiesa".

Proprio la Chiesa, che attinge incessantemente alle infinite risorse della redenzione, introducendola nella vita dell'umanità, è la dimensione nella quale la sofferenza redentrice di Cristo può essere costantemente completata dalla sofferenza dell'uomo. In ciò vien messa in risalto anche la natura divino-umana della Chiesa. La sofferenza sembra partecipare in un qualche modo alle caratteristiche di questa natura. E perciò essa ha pure un valore speciale davanti alla Chiesa. Essa è un bene, dinanzi al quale la Chiesa si inchina con venerazione, in tutta la profondità della sua fede nella redenzione. Si inchina, insieme, in tutta la profondità di quella fede, con la quale essa abbraccia in se stessa l'inesprimibile mistero del corpo di Cristo.

VI. Il vangelo della sofferenza

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25. I testimoni della croce e della risurrezione di Cristo hanno trasmesso alla Chiesa e all'umanità uno specifico Vangelo della sofferenza. Il Redentore stesso ha scritto questo Vangelo dapprima con la propria sofferenza assunta per amore, affinché l'uomo "non muoia, ma abbia la vita eterna" (
Jn 3,16). Questa sofferenza, insieme con la viva parola del suo insegnamento, è diventata una fonte abbondante per tutti coloro che hanno preso parte alle sofferenze di Gesù nella prima generazione dei suoi discepoli e confessori, e poi in quelle che si sono succedute nel corso dei secoli.

E' innanzitutto consolante - come è evangelicamente e storicamente esatto - notare che a fianco di Cristo, in primissima e ben rilevata posizione accanto a lui, c'è sempre la sua Madre santissima, per la testimonianza esemplare che con l'intera sua vita rende a questo particolare Vangelo della sofferenza. In lei le numerose e intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che se furono prova della sua fede incrollabile, furono altresi un contributo alla redenzione di tutti. In realtà, fin dall'arcano colloquio avuto con l'angelo, ella intravide nella sua missione di madre la "destinazione" a condividere in maniera unica e irripetibile la missione stessa del Figlio. E la conferma in proposito le venne assai presto sia dagli eventi che accompagnarono la nascita di Gesù a Betlemme, sia dall'annuncio formale del vecchio Simeone che parlo di una spada tanto acuta da trapassare l'anima, sia dalle ansie e ristrettezze della fuga precipitosa in Egitto, provocata dalla crudele decisione di Erode.

E ancora, dopo le vicende della vita nascosta e pubblica del suo Figlio, da lei indubbiamente condivise con acuta sensibilità, fu sul Calvario che la sofferenza di Maria santissima, accanto a quella di Gesù, raggiunse un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza dal punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell'universale salvezza. Quel suo ascendere al Calvario, quel suo "stare" ai piedi della croce insieme col discepolo prediletto furono una partecipazione del tutto speciale alla morte redentrice del Figlio, come del resto le parole, che poté raccogliere dal suo labbro, furono quasi la solenne consegna di questo tipico Vangelo da annunciare all'intera comunità dei credenti.

Testimone della passione del Figlio con la sua presenza, e di essa partecipe con la sua compassione, Maria santissima offri un singolare apporto al Vangelo della sofferenza, avverando in anticipo l'espressione paolina riportata all'inizio. In effetti, ella ha titoli specialissimi per poter asserire di "completare nella sua carne - come già nel suo cuore - quello che manca ai patimenti di Cristo".

Nella luce dell'inarrivabile esempio di Cristo, riflesso con singolare evidenza nella vita della Madre sua, il Vangelo della sofferenza, mediante l'esperienza e la parola degli apostoli, diventa fonte inesauribile per le generazioni sempre nuove che si avvicendano nella storia della Chiesa. Il Vangelo della sofferenza significa non solo la presenza della sofferenza nel Vangelo, come uno dei temi della buona novella, ma la rivelazione, altresi, della forza salvifica e del significato salvifico della sofferenza nella missione messianica di Cristo e, in seguito, nella missione e nella vocazione della Chiesa.

Cristo non nascondeva ai propri ascoltatori la necessità della sofferenza. Molto chiaramente diceva: "Se qualcuno vuol venire dietro a me... prenda la sua croce ogni giorno", e ai suoi discepoli poneva esigenze di natura morale, la cui realizzazione è possibile solo a condizione di "rinnegare se stessi" (Lc 9,23). La via che porta al regno dei cieli è "stretta e angusta", e Cristo la contrappone alla via "larga e spaziosa", che peraltro "conduce alla perdizione". Diverse volte Cristo diceva anche che i suoi discepoli e confessori avrebbero incontrato molteplici persecuzioni, ciò che - come si sa - è avvenuto non solo nei primi secoli della vita della Chiesa sotto l'impero romano, ma si è avverato e si avvera in diversi periodi della storia e in differenti luoghi della terra, anche ai nostri tempi.

Ecco alcune frasi di Cristo su questo tema: "Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Questo vi darà occasione di rendere testimonianza. Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa: io vi daro lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime" (Lc 21,12-19).

Il Vangelo della sofferenza parla prima in diversi punti della sofferenza "per Cristo", "a causa di Cristo", e ciò fa con le parole stesse di Gesù oppure con le parole dei suoi apostoli. Il Maestro non nasconde ai suoi discepoli e seguaci la prospettiva di una tale sofferenza, anzi la rivela con tutta franchezza, indicando contemporaneamente le forze soprannaturali, che li accompagneranno in mezzo alle persecuzioni e tribolazioni "per il suo nome".

Queste saranno insieme quasi una speciale verifica della somiglianza a Cristo e dell'unione con lui. "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me...; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia... Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi... Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato... Vi ho dette queste cose, perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!" (Jn 16,21-33).

Questo primo capitolo del Vangelo della sofferenza, che parla delle persecuzioni, cioè delle tribolazioni a motivo di Cristo, contiene in sé una speciale chiamata al coraggio e alla fortezza, sostenuta dall'eloquenza della risurrezione. Cristo ha vinto il mondo definitivamente con la sua risurrezione; tuttavia, grazie al rapporto di essa con la passione e la morte, ha vinto al tempo stesso questo mondo con la sua sofferenza. Si, la sofferenza è stata in modo singolare inserita in quella vittoria sul mondo, che si è manifestata nella risurrezione. Cristo conserva nel suo corpo risorto i segni delle ferite della croce sulle sue mani, sui piedi e nel costato. Mediante la risurrezione egli manifesta la forza vittoriosa della sofferenza, e vuole infondere la convinzione di questa forza nel cuore di coloro che ha scelto come suoi apostoli e di coloro che continuamente sceglie e invia. L'apostolo Paolo dirà: "Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati".

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26. Se il primo grande capitolo del Vangelo della sofferenza viene scritto, lungo le generazioni, da coloro che soffrono persecuzioni per Cristo, di pari passo si svolge lungo la storia un altro grande capitolo di questo Vangelo. Lo scrivono tutti coloro che soffrono insieme con Cristo, unendo le proprie sofferenze umane alla sua sofferenza salvifica. In essi si compie ciò che i primi testimoni della passione e della risurrezione hanno detto e hanno scritto circa la partecipazione alle sofferenze di Cristo. In essi quindi si compie il Vangelo della sofferenza e, al tempo stesso, ognuno di essi continua in un certo modo a scriverlo: lo scrive e lo proclama al mondo, lo annuncia al proprio ambiente e agli uomini contemporanei.

Attraverso i secoli e le generazioni è stato constatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l'uomo a Cristo, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti santi, come ad esempio san Francesco d'Assisi, sant'Ignazio di Loyola, ecc. Frutto di una tale conversione non è solo il fatto che l'uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo. Egli trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa scoperta è una particolare conferma della grandezza spirituale che nell'uomo supera il corpo in modo del tutto incomparabile. Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l'uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l'interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali.

Questa interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la grazia del Redentore crocifisso. E' lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito consolatore. E' lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all'uomo sofferente un posto vicino a sé. E' lui - come maestro e guida interiore - a insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione. La sofferenza è, in se stessa, un provocare il male. Ma Cristo ne ha fatto la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna. Con la sua sofferenza sulla croce Cristo ha raggiunto le radici stesse del male, del peccato e della morte. Egli ha vinto l'artefice del male, che è Satana, e la sua permanente ribellione contro il Creatore. Davanti al fratello o alla sorella sofferenti Cristo dischiude e dispiega gradualmente gli orizzonti del regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell'amore. E, lentamente ma efficacemente, Cristo introduce in questo mondo, in questo regno del Padre, l'uomo sofferente, in un certo senso attraverso il cuore stesso della sua sofferenza. La sofferenza, infatti, non può essere trasformata e mutata con una grazia dall'esterno, ma dall'interno. E Cristo mediante la sua propria sofferenza salvifica si trova quanto mai dentro ad ogni sofferenza umana, e può agire dall'interno di essa con la potenza del suo Spirito di verità, del suo Spirito consolatore.

Non basta: il divin Redentore vuole penetrare nell'animo di ogni sofferente attraverso il cuore della sua Madre santissima, primizia e vertice di tutti i redenti. Quasi a continuazione di quella maternità, che per opera dello Spirito Santo gli aveva dato la vita, Cristo morente conferi alla sempre vergine Maria una maternità nuova - spirituale e universale - verso tutti gli uomini, affinché ognuno, nella peregrinazione della fede, gli rimanesse insieme con lei strettamente unito fino alla croce e, con la forza di questa croce, ogni sofferenza rigenerata diventasse, da debolezza dell'uomo, potenza di Dio.

Non sempre, pero, un tale processo interiore si svolge in modo uguale.

Spesso inizia e si instaura con difficoltà. Già il punto stesso di partenza è diverso: diversa è la disposizione, che l'uomo porta nella sua sofferenza. Si può, tuttavia, premettere che quasi sempre ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo "perché". Ciascuno si chiede il senso della sofferenza e cerca una risposta a questa domanda al suo livello umano. Certamente pone più volte questa domanda anche a Dio, come la pone a Cristo. Inoltre, egli non può non notare che colui, al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla croce, dal centro della sua propria sofferenza. Tuttavia, a volte c'è bisogno di tempo, persino di un lungo tempo, perché questa risposta cominci ad essere internamente percepibile. Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo.

La risposta che giunge mediante tale partecipazione, lungo la strada dell'incontro interiore col Maestro, è a sua volta qualcosa di più della sola risposta astratta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa è, infatti, soprattutto una chiamata. E' una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: "Seguimi!". Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia croce. Man mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza. L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso, pero, da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l'uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale.

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27. Di tale gioia parla l'Apostolo nella lettera ai Colossesi: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi" (
Col 1,24). Fonte di gioia diventa il superamento del senso d'inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell'umana sofferenza. Questa non solo consuma l'uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri. L'uomo si sente condannato a ricevere aiuto e assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questa sensazione deprimente. La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo porta in sé la certezza interiore che l'uomo sofferente "completa quello che manca ai patimenti di Cristo"; che nella dimensione spirituale dell'opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle.

Non solo quindi è utile agli altri, ma per di più adempie un servizio insostituibile. Nel corpo di Cristo, che incessantemente cresce dalla croce del Redentore, proprio la sofferenza, permeata dallo spirito del sacrificio di Cristo, è l'insostituibile mediatrice e autrice dei beni, indispensabili per la salvezza del mondo. E' essa, più di ogni altra cosa, a fare strada alla grazia che trasforma le anime umane. Essa, più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell'umanità le forze della redenzione. In quella lotta "cosmica" tra le forze spirituali del bene e del male della quale parla la lettera agli Efesini, le sofferenze umane, unite alla sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene, aprendo la strada alla vittoria di queste forze salvifiche.

E perciò la Chiesa vede in tutti i fratelli e sorelle di Cristo sofferenti quasi un soggetto molteplice della sua forza soprannaturale. Quanto spesso proprio ad essi ricorrono i pastori della Chiesa, e proprio presso di essi cercano aiuto e appoggio! Il Vangelo della sofferenza viene scritto incessantemente, e incessantemente parla con le parole di questo strano paradosso: le sorgenti della forza divina sgorgano proprio in mezzo all'umana debolezza.

Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell'infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri. Quanto più l'uomo è minacciato dal peccato, quanto più pesanti sono le strutture del peccato che porta in sé il mondo d'oggi, tanto più grande è l'eloquenza che la sofferenza umana in sé possiede. E tanto più la Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mondo.


Salvifici doloris 19