LA CARITA PASTORALE DEL PRESBITERO

di Azzolino Chiappini

Caritas: una parola chiave del linguaggio cristiano, che ritroviamo centrale, per esempio, in tutta la riflessione di sant'Agostino. Questa riflessione vuole coniugare caritas in maniera particolare con il ministero presbiterale. E questo si può fare in modi diversi.

Uno dei modi migliori mi è sembrato quello di partire dal significato del presbiterato. Se si considera la storia dei ministeri, si constata che fin dall'inizio, da quando, con sant'Ignazio di Antiochia, si ha la divisione del ministero ordinato secondo la struttura tradizionale nella Chiesa, la coscienza del ministero ordinato è chiara.

La storia bimillenaria ci mostra però che in tempi diversi sono stati messi accenti differenti per spiegare il presbiterato, come anche sono stati diversi i modi di esprimere i rapporti tra presbiteri e vescovi.

C'è però un dato che si è fatto sempre più chiaro nella storia (fino ai documenti del Vaticano II, per esempio Sacrosanctum Concilium) e che permette di dire un rapporto particolare tra ministero presbiterale e servizio del corpo di Cristo.

Certo il servizio del corpo di Cristo nell'eucaristia, memoriale del Signore, crocifisso e risorto, è il momento più forte del ministero " sacerdotale" (episcopale e presbiterale): perché quella celebrazione è anche culmen et fons nell'esistenza della Chiesa.

Dire che il presbitero è al servizio del corpo di Cristo significa anche dire che è al servizio della Chiesa. L'espressione " corpo di Cristo " nella tradizione è riferita sia (e potremmo dire indistintamente) alla Chiesa, sia al corpo di Cristo nell'eucaristia.

Il prete, nel presbiterio e con il vescovo, è al servizio del Christus totus: al servizio del corpo di Cristo-Chiesa perché (in virtù del sacramento dell'ordine) al servizio del corpo di Cristo-eucaristia.

Questo è l'orizzonte, che spiega e dà tutto il suo significato alla " carità pastorale ": è un servizio continuo, pieno, senza riserve, di Cristo, il Signore risorto, e della Chiesa che in lui si identifica.

Non si tratta, di fronte alle difficoltà odierne, di immaginare una classe di specialisti, che sono sopra o fuori la comunità. E’ però importante scoprire o riscoprire ciò che è essenziale nell'esistenza presbiterale e, di conseguenza, nella carità pastorale dei presbiteri. Senza la riscoperta dell'essenziale, saremo sempre davanti a crisi, e non alle crisi utili alla crescita, ma a quelle sterili.

Tra altro, l'idea di servire Cristo nella sua totalità - il Chistus totus - fa subito capire come sono inadeguate, anzi spesso negative, certe immagini correnti e certa prassi relative al presbiterato. Penso, in particolare, a una certa immagine dei prete come funzionario o impiegato; dunque, limitata a ore, settori, uffici. Il presbitero può anche esser chiamato ad assumere compiti non immediatamente o strettamente ministeriali-presbiterali. Ma sempre deve agire secondo la grazia del sacramento che abilita e rende capaci di quel servizio pastorale di carità al Cristo-eucaristia e al Cristo-Chiesa.

In sintesi: l'ordo presbiterale mette al servizio del corpo di Cristoeucaristia, che è anche il corpo di Cristo-Chiesa. E questo servizio pastorale si può compiere soltanto con la totalità dell'" essere per ". Con una caritas che, in qualche modo, ripete quella di Cristo.

Ritroviamo il tema della carità pastorale in due testi. Uno, fondatore, nella Scrittura. E l'altro dalla grande tradizione ecclesiale.

Il testo biblico è quello del giovedì santo, e prima ancora del culmine della vita di Gesù, dove, come in una parabola per azioni egli manifesta il suo " essere per ", il suo pro-esistere. E la lavanda dei piedi: gesto che vescovi, ma anche presbiteri possono compiere secondo il rito. " Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi " (Gv 13,12-15). E la parola di Colui che è venuto non per essere servito ma per servire.

San Gregorio Magno è stato il primo, e forse già prima di essere vescovo di Roma, a chiamarsi "servo dei servi di Dio".