Perfectae caritatis
Decreto sul rinnovamento della vita religiosa
II decreto conciliare Perfectae caritatis è indirizzato a tutti gli istituti di perfezione, i cui membri professano di proseguire la perfezione cristiana sotto la disciplina speciale dei consigli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza. Quindi riguarda non solo le così dette Religioni dove si emettono i tre voti pubblici semplici o solenni; si estende anche alle Società senza voti pubblici, sia di vita comune, che prive di tale vita comune, quali sono le Società di Vita apostolica, secondo l'ordinamento della Costituzione Apostolica Provida Mater (n. 1).
Per sua finalità e tenore, Perfectae caritatis s'inserisce armoniosamente nel grandioso quadro dell'opera rinnovatrice del Vaticano II.
Fondamento teologico dello stato di perfezione
La Commissione Preparatoria dei Religiosi, fu, fin dall'inizio dei suoi lavori, sollecita di porre in piena evidenza e maggior rilievo il fondamento teologico dello stato di perfezione e la sua organica inserzione nella compagine ecclesiastica. Infatti, lo stato di perfezione non è una creazione puramente giuridica del potere gerarchico della Chiesa. Emerge nella sua sostanza dal Vangelo stesso, scaturisce dalla dottrina e dagli esempi del Divino Maestro e Fondatore della Chiesa. Perciò, nonostante il suo compatto apparato giuridico e la sua stretta dipendenza ecclesiale, non sembra lecito vedere nello stato di perfezione un semplice aggiunto contingente venuto in tempo opportuno a completare e arricchire l'organizzazione della Chiesa. Nella sua essenza, appartiene alla struttura stessa della Chiesa, essendo un elemento, non della Gerarchia, ma della compagine ecclesiale voluta da Cristo, non per modo di precetto imposto a tutti, bensì con chiaro e premente invito alle anime generose capaci di abbracciarne gli obblighi come di gustarne i pregi.
Onde prestare maggior forza al fondamento teologico dello stato di perfezione, la Commissione Preparatoria dei Religiosi ha chiesto ed ottenuto dalla Commissione Teologica che esso venisse trattato nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium. Così è sorto il Capitolo VI De Religiosis, che descrive, tra l'altro, il fondamento teologico dello stato di perfezione e della professione dei consigli evangelici.
Indole pastorale del Decreto
Tenendo conto dell'orizzonte prefissato, il decreto Perfectae caritatis non doveva essere un trattato dottrinale e neppure giuridico, della vita religiosa, ma un'opera pastorale del rinnovamento vitale degli istituti di perfezione, proponendo norme pratiche, benché generali, al fine di stimolare e guidare la loro attività in riguardo.
Inoltre, il Decreto intende far splendere, quasi in luce copiosamente derivata dal Vangelo, la vita religiosa, rinnovando anche i suoi concetti e presentandola nell'armoniosa e vitale sintesi della vita spirituale intimamente unita alla persona di Gesù Cristo.
Norme fondamentali del rinnovamento
Come norma suprema s'impone il seguire Cristo verso la santità, sulla via, specialmente dei consigli evangelici, mostrataci nel Vangelo, istruiti dai suoi insegnamenti e attratti dai suoi esempi (n. 2,a). Per altro, gli istituti religiosi nascono dal cuore dei loro Fondatori, i quali, ispirandosi al Vangelo e docili agli impulsi dello Spirito Santo, danno loro vita, quasi trasfondendo in essi la propria anima. Quindi nessun istituto può autenticamente rinnovarsi senza ritornare a chi l'ha ideato, costituito, orientato, animato, assegnandogli un compito speciale e sacro da svolgere nella Chiesa (n. 2, b).
Tuttavia, appartenendo alla Chiesa, essi devono in qualche modo commensurarsi alle sue dimensioni (n. 2, c).
Ma perché il rinnovamento proceda sicuro, è necessario sempre tener conto della gerarchia dei valori. La vita religiosa è ordinata anzi tutto a seguire Cristo sulla via dei Consigli Evangelici, coltivando l'unione spirituale con Dio nella perfetta carità; quindi, il primo posto spetta al rinnovamento spirituale delle anime (n. 2, e). Perciò viene rilevato che l'aggiornamento delle costituzioni, benché opportuno, rimarrebbe sterile senza il rinnovamento effettivo interiore (nn. 2 - 4).
Consolidamento delle istituzioni dello stato di perfezione
Passando in rassegna le principali forme di vita religiosa, il Decreto ne esalta l'eccellenza e ne rivendica l'utilità. Gli istituti di vita contemplativa, comunemente detti di clausura, conservano, oggi come prima, il loro posto privilegiato nel Corpo mistico di Cristo; sono dunque da mantenersi ed incoraggiarsi, considerando che la loro vita di preghiere e di penitenze non è soltanto culto divino e santificazione dell'anima, ma anche autentico apostolato (n. 7). Gli istituti dediti alle attività esterne attraggono più facilmente l'attenzione e la stima. Però, è indispensabile che i toro membri si applichino a ricavare dalla vita religiosa interna stessa l'ispirazione e il sostegno dell'apostolato (n. 8). La vita monastica, prima forma di vita religiosa organica, che lungo il corso dei secoli si acquistò insigni benemerenze verso la Chiesa e la società, è giustamente lodata e incitata a continuare nel suo genuino spirito sia in Oriente che in Occidente la sua provvida missione (n. 9).
Confermate varie forme dello stato di perfezione, il Concilio con la stessa sollecitudine ed autorità appoggia i recenti istituti secolari, i cui membri si consacrano autenticamente, colla professione dei consigli evangelici, al servizio di Dio e della Chiesa, che servono secondo un ordinamento adatto alla loro condizione secolare e rispondente all'ambiente sociale che hanno missione di impregnare di vita cristiana (n. II).
Rinvigorimento della prassi dei consigli evangelici
Il rinnovamento della vita religiosa non può essere effettivo senza un certo rinvigorimento della prassi dei consigli evangelici, il Concilio pone nella luce evangelica l'eccellenza e il pregio della castità, della povertà e dell'obbedienza
*di cui Cristo è il modello+ (n. 25), e corregge alcune opinioni errate che turbano gli istituti religiosi.Afferma che la continenza è normalmente possibile, purché prudentemente vigilata. Lungi di recare danno alla personalità, la sublima al disopra della condizione puramente umana; perciò, il celibato consacrato a Dio è da abbracciarsi
*anche come un bene per lo sviluppo integrate della propria persona+ (n. 12).La povertà religiosa non è unicamente disaffezione interna dai beni terreni; è privazione effettiva di quanto non è necessario o veramente utile, sia per l'individuo che per la comunità. Anzi una rinuncia al proprio patrimonio da chi ha voti semplici potrà essere permessa dalle Costituzioni (n. 13).
L'obbedienza non è semplice disciplina dell'ordine sociale e delle opere da compiere; è sottomissione filiale e universale della propria volontà, per il tramite dei Superiori, alla volontà di Dio Padre nostro, a somiglianza di Cristo ubbidiente in tutto e fino alla Croce.
Così intesa, l'obbedienza religiosa, non è avvilimento della persona, ma sublimazione della medesima in quanto l'unisce intimamente e amorevolmente a Dio in cui
*la fa pervenire al suo pieno sviluppo+ (n. 14).Conclusione
Dopo aver offerto alcune norme concrete e di proficuo rinnovamento [cfr nn.15-24], il Concilio conclude esprimendo con compiacenza la sua stima verso lo stato di perfezione di questo genere di vita verginale, povero e ubbidiente, di cui Gesù Cristo è l'esemplare. Nutre la speranza che i Religiosi, fedeli alla loro vocazione e pronti ad eseguire le norme del Decreto Perfectae caritatis,
*progrediranno ogni giorno più ed apporteranno frutti di salvezza sempre più abbondanti+ (n. 25).
Il Decreto Perfectae Caritatis fu approvato da 2325 Padri il 28 ottobre 1965 con 2321 voti favorevoli e 4 voti contrari.
Perfectae caritatis
a colloquio con P. Arnaldo Pigna o.c.d.
________________________________________
Il 28 ottobre 1965 il Concilio promulgava il Decreto sulla vita religiosa, con il titolo definitivo: De accommodata renovatione vitae religiosae. Esso è l'unico tra i documenti conciliari che porta, già nel titolo, il richiamo esplicito al rinnovamento.
In una nota del progetto dell'ottobre 1964 si spiegava chiaramente il senso della espressione: accommodata renovatio. Essa include due concetti fondamentali: la restauratio pristinorum e la accommodatio rationibus temporum nostrorum. Tali concetti saranno ripresi nel numero due del testo definitivamente approvato:
*Il rinnovamento della vita religiosa comporta, a un tempo, sia il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo degli istituti, sia l'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi+.Per presentare in sintesi il senso e il contenuto del rinnovamento voluto dal Concilio, non faremo altro che commentare brevemente questo numero due del Perfectae Caritatis.
Il ritorno alle fonti e l'attenzione ai tempi costituiscono i due poli essenziali del rinnovamento promosso dal Concilio e ne definiscono anche la originalità. A ragion veduta non si parla di Riforma, perché, storicamente, tale parola suppone una precedente situazione di decadimento o rilassatezza, mentre il Concilio vuole solo sottolineare che la necessità di un rinnovamento è legata alla esigenza dei tempi. A differenza di altri periodi, quando il rinnovamento veniva presentato come un ritorno al passato e, sostanzialmente, come una restaurazione, il Vaticano II propone un rinnovamento come una riscoperta e, insieme, una nuova incarnazione e traduzione dei valori perenni in forme nuove, attuali e, almeno in un certo senso, diverse. Tutto ciò a prescindere dal fervore con cui i vari istituti, al momento, vivono il loro impegno.
Si tratta di un rinnovamento che, essendo legato alla evoluzione della storia e ai cambiamenti che continuamente sopravvengono, si impone aldilà di quelle che potrebbero essere le "pure esigenze e bisogni" interiori all'istituto.
Tale rinnovamento, inoltre, ha in sé, implicito ma chiaro, il concetto che esso non sarà mai interamente compiuto e che, pertanto, è necessariamente permanente, almeno finché la storia continuerà a mutare e svilupparsi. Un rinnovamento, dunque, che non è semplice ritorno o nostalgia del passato, ma impegno a vivere autenticamente il presente, con l'occhio aperto e attento al futuro da costruire.
Va sottolineato anche che l'indicazione del Concilio si riferisce alla vita religiosa e alle comunità come tali. Si tratta, dunque, di un rinnovamento che riguarda tutti, non solo alcuni casi più o meno generalizzati. Nessuno può esimersene, nemmeno con la scusa della propria fedeltà alle leggi e alle attività prescritte, proprio perché sono anche le leggi e le attività che devono essere aggiornate. Il rifiuto del rinnovamento e del relativo cambiamento in nome della fedeltà sarebbe già segno evidente che non si è sufficientemente attenti alla voce dello Spirito, cioè che non si è fedeli.
L'apertura al mondo, per andare incontro ai suoi bisogni e alle sue speranze è così fondamentale per la vitalità degli istituti che senza di essa si cade fatalmente nel rischio di pensare unicamente alla propria sopravvivenza finendo col chiudersi in una sterile e penosa autocommiserazione.
La storia postconciliare è stata, a riguardo, istruttiva, e lo è ancora. Non mancano, in effetti, istituti che invece che mettere a servizio della Chiesa e del mondo le loro risorse (poche o tante che siano) non fanno altro che pensare a se stessi e a puntellare il loro inesorabile decadimento! Ugualmente indispensabile è la fedeltà ai valori perenni del Vangelo e alle ispirazioni primitive, altrimenti si cade altrettanto fatalmente nella assimilazione e nella mondanizzazione, come mostreranno chiaramente la secolarizzazione
C intesa come riferimento esclusivo ai valori naturali C e l'efficientismo C inteso come preminenza del fare sull'essere C in cui sono talvolta caduti interi istituti religiosi o parti consistenti di essi.I due concetti fondamentali che definiscono il rinnovamento voluto dal Concilio
C ritorno alle fonti e adattamento alle mutate condizioni dei tempi C devono essere tra loro armoniosamente e necessariamente integrati, proprio perché esso non è né ottusa restaurazione né passivo adattamento.Aggiornamento e fedeltà sono due punti su cui il magistero, anche in seguito, continuamente tornerà proprio perché si tratta di due aspetti essenziali di una stessa realtà.
Infatti; se è vero che non c'è autentico rinnovamento senza fedeltà, è altrettanto vero che non c'è fedeltà senza rinnovamento. Quando una vita non si rinnova più è fatalmente orientata verso la estinzione. La fedeltà è di sua natura
*dinamica, aperta all'impulso dello Spirito che passa attraverso gli eventi ecclesiali e i segni dei tempi+ (RPU 29), essa è pertanto, anche e essenzialmente, rinnovamento. Rinnovamento dunque, che è fedeltà, fedeltà che è anche continuo rinnovamento. La fedeltà, in altri termini, deve riguardare sia il passato che il presente. Non per nulla il documento Religiosi e promozione umana (1978) nel parlare delle fedeltà che i religiosi devono coltivare, insieme alla fedeltà a Cristo e al Vangelo, alla Chiesa e alla sua missione, alla vita religiosa e al proprio carisma comincia col ricordare prima di tutto la *fedeltà all'uomo e al nostro tempo+ (n. 14-16).Si intuisce facilmente come non sia facile raggiungere la unità nella armonia.
Già nel Concilio si sono confrontate le posizioni che sottolineavano l'uno o l'altro aspetto; alcuni che insistevano di più sull'adattamento aperto, generoso e coraggioso alle esigenze dei segni dei tempi, e altri che ritenevano più necessario insistere sul ritorno alle origini e agli ideali primitivi. Come detto il Concilio raccoglie i due elementi in sintesi, affermando la necessità di ambedue, perché si possa parlare di autentico rinnovamento; ciò non toglie, però, che si tratta di prospettive e di valori chiaramente distinti e, anche, distanti. La storia post-conciliare della vita religiosa sarà anche la storia del confronto, più o meno positivo, di queste due tendenze mentre la riuscita del suo rinnovamento sarà strettamente legata alla creazione di una sintesi vitale tra questi due valori o esigenze fondamentali. Purtroppo il ritorno indietro o il ritorno al presente, sono stati talvolta assolutizzati, con il pericolo di voler "fermare" ancora una volta la storia, e la conseguenza di rinnegare lo stesso concetto di rinnovamento promosso dal Concilio, che ha come contenuto essenziale proprio quello di essere aperto verso l'avvenire sempre nuovo e sempre da scoprire.
Il Concilio non solo dà un descrizione concreta del rinnovamento desiderato, ma offre anche indicazioni precise perché venga realmente posto in atto.
Prima di tutto bisogna evitare in modo assoluto di cadere nel "formalismo" e ridurre il rinnovamento al cambiamento della "lettera" o forma esteriore, sia nel senso di appiattimento sulla tradizione e sul passato, sia nel senso di semplice adattamento e adeguamento alle mode correnti. Il rinnovamento comporta essenzialmente una vera e propria conversione interiore, sia come riscoperta, approfondimento e assimilazione dei valori perenni, sia come apertura, sensibilità e generosa dedizione all'uomo di oggi e alle sue esigenze. Il Concilio dà, poi, delle indicazioni precise su come attuare tutto questo.
Per garantire il primo aspetto del rinnovamento è necessario innanzitutto un sincero ritorno a Cristo, quale ci viene presentato nel Vangelo, perché questa è la norma fondamentale della vita religiosa e questa deve essere dunque la sua regola suprema (PC 2a). La vita religiosa si definisce essenzialmente come sequela Christi; ora che senso avrebbe parlare di rinnovamento della sequela senza che questa sia autentica e reale? Senza, cioè, che Cristo torni a essere il valore centrale della vita e la ragione della propria esistenza? Oggi prendiamo sempre più coscienza quanto fondamentale e assolutamente primario sia questo principio posto dal Concilio. Non per nulla uno dei nodi centrali della vita religiosa è proprio quello dell'evangelismo, cioè del ritorno al Vangelo.
A questo primo criterio si deve, poi, immediatamente aggiungere la fedeltà allo spirito e alle finalità dei fondatori, come anche la cura delle autentiche ricchezze che i vari istituti sono venuti progressivamente accumulando nella loro storia (PC 2b).
L'attaccamento alla propria storia, lontana e recente, si mostrerà elemento essenziale per riscoprire le proprie radici e far prendere coscienza della propria identità. Non vi è, in effetti, coscienza di sé senza il senso di appartenenza, e questo non è possibile se non nella misura in cui ci si sente vitalmente inseriti e partecipi di una storia. Chi non conosce le proprie origini non si conosce; e chi le rinnega, rinnega se stesso.
Anche per garantire il secondo aspetto del rinnovamento C ossia l'adattamento ai tempi C il Concilio propone due criteri fondamentali: la partecipazione alla vita della Chiesa, e la conoscenza dei suoi bisogni e di quelli del mondo (PC 2c-d).
Innanzitutto la partecipazione alla vita della Chiesa con relativa e opportuna collaborazione a tutte le sue iniziative. La vita religiosa è stata, per tanto tempo, forse troppo chiusa in se stessa. L'affermazione della sua dimensione e destinazione essenzialmente ecclesiale sottolineata dalla Lumen Gentium, viene qui tradotta in criterio di rinnovamento e in impegno concreto a sentirsi Chiesa, a vivere di essa e per essa, al punto da non considerarsi estranei da nessuna delle sue iniziative nei vari campi della sua vita e della sua missione: biblico, liturgico, dogmatico, pastorale, ecumenico, missionario e sociale. Se si tiene presente la autarchia e la totale autosufficienza delle nostre comunità tradizionali ci si rende facilmente conto come anche questa indicazione del Concilio constituisca una specie di rivoluzione. Con il tempo essa si dimostrerà sempre più importante, e non solo per riscoprire la propria identità all'interno del mistero del corpo mistico, ma anche per ridefinire i tempi, i modi, i luoghi e i contenuti della propria missione. Se i religiosi avessero tenuto presente questo principio avrebbero evitato uno degli errori più frequentemente commessi, quello cioè, di andare al mondo senza passare per la Chiesa locale, con la conseguenza di rendere spesso disorganico il loro servizio e finendo, talvolta, col lasciarsi dal mondo assorbire.
L'altro criterio che il Concilio presenta come necessario e la *conoscenza sia delle condizioni dei tempi e degli uomini, sia dei bisogni della Chiesa+ per poter adottare, alla luce della fede, quelle scelte che *siano in grado di giovare agli altri più efficacemente+. Anche qui, quanti errori avremmo evitati se, seguendo questa indicazione, avessimo letto un po' meno superficialmente il mondo contemporaneo e avessimo fatta un'analisi un poco più approfondita della società attuale alla luce dei fondamentali criteri della storia della salvezza.
Ma tutto ciò non basta: è necessario *ardere di zelo apostolico+, senza il quale la conoscenza dei bisogni del mondo rischierebbe di lasciare indifferenti.
E con ciò si arriva a cogliere la condizione primaria o, meglio, il nucleo centrale e l'elemento formale di qualunque autentico "aggiornamento": il rinnovamento spirituale.
Al riguardo il Concilio è esplicito: *Bisogna tenere ben presente che le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale, al quale spetta sempre il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato+ (PC 2e).
Nell'immediato post-concilio, con una buona dose di ingenuità, si è spesso dato per scontato tale rinnovamento spirituale e ci si è spesso preoccupati del rinnovamento delle strutture credendo C per il resto C che bastasse un radicale aggiustamento a livello di organizzazione per rinnovare la vita. Questa ingenuità la si è pagata molto cara, perché non solo non ha favorito l'impegno di conversione personale, ma ha anche creato un alibi a coloro che andavano cercando una via facile di salvezza, al punto che lo snellimento e la umanizzazione delle strutture si è talvolta risolto in imborghesimento puro e semplice. Forse anche oggi una delle lacune più rilevanti e preoccupanti della vita religiosa è proprio la mancanza della esperienza di Dio e di dinamismo spirituale. Non per nulla dalla preoccupazione per il cambiamento e l'aggiornamento delle strutture e dei mezzi di vita sentiamo sempre più vivo il bisogno C come singoli e come comunità C di riscoprire la preoccupazione e rinnovare l'impegno per la ripresa della vita stessa, cioè l'entusiasmo per Dio, il Vangelo, la preghiera, il sacrificio, il dono gratuito e generoso.
A partire dal Concilio Vaticano II il magistero della Chiesa ha seguito passo passo il cammino della vita religiosa. Possiamo dire che i vari documenti ne registrano puntualmente le tappe più importanti e ne preparano le successive?
Il contenuto dei Documenti del Magistero costituiscono già la descrizione del complesso cammino che si è venuto compiendo in questi anni.
Nell'economia di questo colloquio, ripercorriamo in modo forzatamente breve le tappe suddette richiamando semplicemente i documenti della Chiesa che le caratterizzano. Ricordiamo soltanto come si sia iniziato con un forte impegno di aggiornamento (spesso identificato con cambiamento) che, pero, ha presto evidenziato l'esigenza di un rinnovamento interiore e profondo. Ciò ha spinto alla riscoperta e all'approfondimento del carisma congregazionale che, a sua volta, ha fatto meglio scoprire il proprio posto e la propria missione nella Chiesa. Tutto ciò ha sollecitato la ricerca di un principio unificante e della ragione ultima della propria identità, e lo si è individuato nella consacrazione. Tutto questo ha avuto il suo sigillo nella Esortazione apostolica post-sinodale Vita Consecrata. A partire da questa categoria fondamentale ora ci si proietta di nuovo nella missione, nella profezia, nel dinamismo carismatico, nella qualificata e creativa presenza in mezzo al mondo, per preparare la vita consacrata del duemila.
La Lumen Gentium pone la Vita Religiosa come costitutivo essenziale ed espressione privilegiata della vita e della santità della Chiesa. Segno particolarmente eloquente della presenza del mistero di Cristo, proiezione e anticipazione della sua definitiva pienezza.
Il Motu Proprio di Paolo VI Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966) e la istruzione della Congregazione dei religiosi e degli Istituti di Vita Consacrata Renovationis Causam (6 gennaio 1969, che riguarda esplicitamente la prima formazione) ha, poi, fornito le indicazioni e i criteri per la loro effettiva attuazione. Questo documento ha avuto una grande importanza perché ha di fatto guidato tutta l'opera di revisione che gli Istituti hanno compiuto circa la propria legislazione, la vita e le opere (anni 1966-1975). Intanto il rinnovato Rito della professione religiosa (2 febbraio 1970) insieme al Rito della consacrazione delle vergini (31 maggio 1970) traducevano in "lex orandi" la "lex credendi" sulla consacrazione proposta dal Concilio Vaticano.
Nell'immediato dopo Concilio ci siamo trovato nel periodo del cambiamento e della ricerca del nuovo che rischia di trasformarsi in contestazione radicale e in disorientamento.
Intervenne Paolo VI con la Esortazione Evangelica Testificatio (29 giugno 1971). Il Papa si rivolge direttamente alle persone consacrate per confermare e incoraggiare, orientare e stimolare, affinché non si lascino irretire o forviare da dubbi e difficoltà o da concezioni troppo naturalistiche, ma ritrovino tutta la forza e la novità del Vangelo, per diventarne autentica testimonianza all'interno delle moderne vicissitudini. Si tratta di un documento indubbiamente fondamentale, che illustra la natura carismatica e cristocentrica della vita religiosa, la sua funzione epifanica e profetica di fronte al mondo, il suo valore umanizzante.
Nel suo cammino di rinnovamento e di revisione della vita e delle opere la vita religiosa deve intanto fare continuamente i conti con la realtà ecclesiale, in cui si trova profondamente inserita; allo stesso tempo si vengono a creare tensioni la cui soluzione è spesso resa difficile da una non sufficiente visione teologica della Chiesa e della vita religiosa stessa o da una non chiara definizione dei rapporti anche a livello giuridico. Viene incontro a tutto ciò il documento redatto dalla Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari insieme alla Congregazione per i Vescovi su alcuni Criteri direttivi sui rapporti tra vescovi e religiosi nella Chiesa (14 maggio 1978), normalmente citato con le parole iniziali Mutuae Relationes. Dal punto di vista dottrinale si offrono riflessioni di grande interesse, soprattutto per quanto riguarda l'origine e la natura carismatica degli istituti religiosi e il mutuo rapporto tra Chiesa particolare e istituto religioso a partire dalla originale identità dei responsabili, vescovo e superiore regolare.
Ma C all'epoca C problemi molto seri venivano posti soprattutto dall'inserimento sempre più pieno e impegnato dei religiosi nel contesto sociale in cui si trovavano ad operare.
Si trattava di essere davvero efficacemente presenti nel mondo, senza però cadere nel pericolo di venire in qualche modo assorbiti dal mondo. Il tema della secolarizzazione era profondamente sentito e ampiamente praticato. La Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari rispose a questa problematica con due importanti documenti: Religiosi e promozione umana (Optiones evangelicae) e Dimensione contemplativa della vita religiosa pubblicati ambedue il 12 agosto 1980, anche se redatti in due "assemblee plenarie" diverse (il primo nell'aprile del 1978, il secondo nel marzo dell'80). Si tratta di documenti che si integrano a vicenda per sostenere nella delicata posizione di chi è nel mondo ma non del mondo. In effetti il sempre più deciso impegno dei religiosi verso l'uomo, in situazioni socio-politiche spesso delicate, esige da loro un altrettanto forte radicamento in Dio e una vera capacità contemplativa per restare fedeli alla propria identità religiosa e alla propria missione di portatori del Vangelo.
Dopo aver presentato i problemi emergenti (la scelta per i poveri e per la giustizia; le attività e opere sociali dei religiosi; l'inserimento nel mondo del lavoro; l'impegno diretto nella "prassi politica") il documento Religiosi e promozione umana offre i criteri generali di discernimento che si riassumono in una quadruplice fedeltà (fedeltà all'uomo e al nostro tempo; fedeltà a Cristo e al Vangelo; fedeltà alla Chiesa e alla sua missione nel mondo; fedeltà alla vita religiosa e alla missione del proprio istituto). Per quanto riguarda le esigenze formative il documento richiama in modo particolare quattro punti da sottoporre a speciale verifica, a rinnovamento e a programma di formazione, perché si percepisca sempre più e si viva sempre meglio la propria missione, oggi. Tali punti sono: C la natura profonda della vita religiosa e la specifica identità congregazionale con il conseguente tipico inserimento creativo nella Chiesa e nella società;
C
le nuove modalità di vivere e testimoniare i consigli evangelici nel mondo di oggi;C
una vita comune che sia soprattutto esperienza di comunione e ne dia testimonianza, con ciò che comporta di capacità nel vivere i rapporti interpersonali sia all'interno che all'esterno delle proprie comunità;C
la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa in atteggiamenti di corresponsabilità e complementarità.Come detto il documento Dimensione contemplativa della vita religiosa è complementare al precedente. Esso presenta una completa descrizione della contemplazione e mostra la necessità che l'apostolo realizzi la sua unità di vita mediante una mutua integrazione tra esteriorità e interiorità, che si raggiunge attraverso una progressiva purificazione nello Spirito. A mano a mano che l'azione viene animata dalla fede e dalla carità, si trasforma a sua volta in fonte di comunione con Dio, e così tutta l'esistenza diviene davvero consacrata. Il documento offre, inoltre, indicazioni concrete sia per gli istituti di vita attiva che per quelli di vita specificamente contemplativa. Esso si conclude con la precisa affermazione che
*la dimensione contemplativa è il vero segreto del rinnovamento di ogni vita religiosa+ (n 30).All'inizio degli anni ottanta gli istituti religiosi hanno praticamente compiuto la complessa e delicata opera di revisione della propria legislazione.
Si cominciò ad avvertire il bisogno di una parola definitiva che favorisse la riflessione e l'approfondimento. Sarà poi il Codice di Diritto Canonico (1983) che porrà la parola fine al lungo processo di revisione promosso dal Concilio. Esso, in effetti, ne costituisce come una sintesi conclusiva. Il Codice parla della vita consacrata nella parte III del libro II (canoni 573-746). Per quanto riguarda la teologia della vita religiosa esso non porta particolari novità riguardo ai documenti precedenti, se escludiamo la canonizzazione definitiva della parola consacrazione e della espressione vita consacrata.
Una sintesi completa della dottrina della Chiesa sulla vita religiosa è esposta nel documento della Congregazione dei religiosi pubblicato nello stesso anno (31 maggio 1983), dal titolo Elementi essenziali dell'insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa. Questo documento ha una importanza fondamentale proprio perché riassume davvero tutta la dottrina che
C dal Concilio in poi C è stata proposta dalla Chiesa; e questo in un momento particolarmente significativo e opportuno quando gli istituti religiosi, concluso il periodo di ricerca, si avviavano verso una nuova fase della loro storia. Il documento mette bene in luce l'elemento portante che è la consacrazione in cui l'intervento di Dio, la mediazione della Chiesa e la risposta del soggetto contribuiscono a creare un nuovo e particolare rapporto di alleanza. Allo stesso tempo si sottolineava come la consacrazione includa necessariamente la missione, per cui l'impegno dei tre voti non può essere mai disgiunto dal servizio apostolico.Durante l'Anno Santo della Redenzione (1983-1984) il Papa Giovanni Paolo II ha offerto ai religiosi una esortazione dal titolo Redemptionis Donum (25 marzo 1984).
Tale Documento non fa riferimento a problematiche e questioni particolari, ma è piuttosto una meditazione teologico-spirituale che presenta la vita consacrata come alleanza di amore vissuta con Dio-Padre, in Cristo-Sposo, nella forza dello Spirito-Amore. All'interno di questa alleanza il consacrato condivide in pieno il disegno universale di salvezza e partecipa in pienezza dell'apostolato essenziale della Chiesa. Anche questo documento, insieme al Codice e a Elementi essenziali, contribuisce in modo decisivo a mettere in primo piano la consacrazione e a presentarla come realtà fondante di tutta la vita.
L'incessante, anzi vorticoso, attuale cammino della storia continua a porre sempre nuovi problemi, soprattutto per quanto riguarda la formazione. Ed ecco un altro documento della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari: Potissimum institutioni (2 febbraio 1990), con il quale si vuole venire incontro alle esigenze dei giovani che si affacciano alla vita religiosa. Vengono toccati temi di forte attualità come la pastorale delle vocazioni, la formazione e la cultura, il rapporto con i movimenti laicali, la collaborazione tra i vari istituti per la formazione.
Ai nuovi fermenti riguardanti la missione il magistero offrì alcuni orientamenti attraverso il documento: I cammini del Vangelo (29 giugno 1990), lettera apostolica di Giovanni Paolo II in occasione del V centenario dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo.
A questo splendido documento pontificio, per quanto riguarda la missione, va ovviamente aggiunta la enciclica Redemptoris Missio (1990), rivolta dal Papa a tutti i cristiani. Mentre per quanto riguarda la vita comunitaria
C che correva il rischio di essere impoverita non solo dalla diminuzione del numero dei membri, ma anche dall'individualismo e dal professionalismo nel lavoro C il magistero venne nuovamente in aiuto attraverso la Istruzione sulla vita fraterna in comunità dal titolo Congregavit nos in unum Christi amor (19 febbraio 1994). Documento prezioso che, con uno stile piano, cordiale e familiare, offre spunti, indicazioni e incoraggiamenti per camminare verso una maturazione teologale, mistico-ascetica, culturale e operativa, che permetta di raggiungere l'ideale desiderato e proposto da Cristo: *Che siano una cosa sola perché il mondo creda+.Gli sforzi di sistematizzazione, le indicazioni e i tentativi di risposta alle ricorrenti problematiche, che hanno costituito oggetto degli insegnamenti del magistero, sono serviti come punto di riferimento per la vita dei religiosi e la relativa riflessione teologica del post-concilio.
Ma è evidente che né la vita né la riflessione teologica si identificano con gli insegnamenti e gli orientamenti della gerarchia. Anzi bisogna dire che negli ultimi tempi si è venuto sempre più accentuando un certo pluralismo, al punto che è diventato quasi comune parlare di "diverse teologie". Tutto ciò rischiava di portare a una divaricazione eccessiva, con il conseguente disorientamento e perdita di identità da parte di molti religiosi. Di qui la necessità di fare il punto della situazione e di rielaborare una "nuova" sintesi. Il Papa ne ha avuta piena consapevolezza e ha voluto che la IX Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi avesse come oggetto la Vita consacrata. Celebrato tra il 2 e 29 ottobre 1994, il Sinodo ha trovato la sua naturale conclusione nella Esortazione apostolica Vita Consecrata (25 marzo 1996), in cui il Papa presenta la sua sintesi e le sue indicazioni.
Il Sinodo su La vita consacrata e la missione nella Chiesa e nel mondo ha costituito senza dubbio un momento significativo per la vita religiosa nelle circostanze attuali. Le aspettative che lo hanno preceduto e le iniziative molteplici, con le quali è stato preparato, hanno contribuito a sottolineare l'importanza e ad amplificarne l'interesse presso la comunità cristiana.
Sia a livello dottrinale che a livello pratico l'attesa era grande. Ci si aspettavano indicazioni e orientamenti che avrebbero dovuto costituire un nuovo stimolo C se non propio una svolta C nella riflessione e nella prassi della vetusta e un poi provata vita religiosa. Molti avevano auspicato e proposto una sostanziale revisione della dottrina, diventata, a loro parere, anacronistica e non più capace di presentare, di motivare e di sostenere un tipo di vita così particolare e impegnativo in un mondo divenuto sempre più complesso e cangiante. Per questo il lavoro del Sinodo si presentava ben più impegnativo e, benché subito dopo la sua conclusione vi siano stati dei soddisfatti e dei meno insoddisfatti, sembra evidente che tante questioni, anche di rilevante importanza, non siano state da esso portate a definitiva conclusione. E questo, forse, non tanto perché non ci sarebbero stati i presupposti dottrinali per farlo, quanto piuttosto perché c'erano altri presupposti, psicologici e umani, che non lo hanno permesso.
A che cosa si riferisce specificamente?
Mi riferisco alla moltiplicazione delle problematiche che in questi ultimi tempi ha avuto un'accelerazione e che rende obiettivamente difficile il raggiungimento di una sintesi che tutte le contempli e in qualche modo le soddisfi; soprattutto tenendo presente che la spinta convergente non sembra aver preso ancora il sopravvento su quella divergente in continua ricerca di sempre più aggiornate acquisizioni. Supposta una situazione del genere, un'assise assembleare che, oltre tutto, aveva l'obiettivo di raggiungere una quasi unanimità di consensi nel formulare una decisione, non poteva che venirsi a trovare in una condizione di stallo.
Il Sinodo ha trattato della vita consacrata seguendo il classico schema: natura, comunione, missione. Ognuno di questi aspetti si prestava, evidentemente, non solo a considerazioni di ordine pratico e pastorale, ma anche ad approfondimenti e chiarificazioni di ordine dottrinale e teologico.
Anche il Sinodo sulla Vita Consacrata si è concluso con la presentazione al Papa delle propositiones, ossia, i punti di riflessioni dei Padri scaturite nel coso dei lavori del Sinodo. Tutto ciò ha costituito per il Pontefice Giovanni Paolo II provvida documentazione per scrivere l'Esortazione apostolica C cui ha fatto riferimento C Vita consecrata.
Possiamo accostarne, brevemente i tratti salienti?
Nel documento pontificio viene ripreso sia il discorso riguardante la natura e la identità della vita consacrata, sia quello riguardante la sua missione e le risposte da dare alle sfide attuali, sia le prospettive e le aperture verso l'avvenire.
Per quanto riguarda la natura, al Sinodo sono fatalmente venute al pettine le divergenze esistenti tra le diverse teologie ed è parso evidente che alcune di esse non erano conciliabili. La scelta è stata lasciata al Papa, ed Egli, in Vita Consecrata, l'ha data in modo inequivocabile. Le sue risposte sono nella linea del magistero precedente che, del resto, egli aveva già chiaramente riproposto attraverso una lunga serie di catechesi sulla vita consacrata, durante e immediatamente dopo il Sinodo.
Giovanni Paolo II ribadisce la origine evangelica della vita consacrata, la sua appartenenza alla costituzione della Chiesa per volontà di Cristo e la centralità della nuova e speciale consacrazione. Il Papa invita ad approfondire queste verità e, insieme, stimola a proseguire il cammino con fedeltà creativa.
Nel parlare di fedeltà creativa e di fedeltà dinamica (37) il Papa riprende un concetto già chiaramente espresso in Religiosi e promozione umana, dove al numero 29 si parla di fedeltà dinamica e, al numero 33, di inserimento creativo. Paolo VI ne aveva già chiaramente esposto i contenuti in un celebre testo della Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975), al numero 69. Ai numeri 36 e 37 di Vita Consecrata l'attuale Pontefice ne descrive meglio la natura e le condizioni. La fedeltà comporta la ricerca sincera della volontà di Dio, la comunione di vita e di missione con Gesù, la docilità e la disponibilità all'azione dello Spirito (36). La creatività, poi, comporta la perseveranza nel cammino di santità, l'impegno di sempre più piena conformazione a Cristo e di preparazione specifica, un rinnovato riferimento alla Regola di vita, la fedeltà dinamica alla missione in atteggiamento di docilità allo Spirito e al discernimento ecclesiale (37).
L'invito a guardare e ad andare avanti in un continuo dinamismo di fedeltà (70), viene dal Papa così efficacemente espresso: *Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi+ (110).
Tra le proposte e le richieste che il Sinodo dei Vescovi aveva fatto al Papa, hanno una particolare rilevanza quelle riguardanti l'indole e la natura della vita consacrata. Con esse si chiedeva che fossero studiate meglio alcune questioni importanti, di modo che la prevista Esortazione post-sinodale avesse, poi, una indicazione precisa.
Va sottolineato che fu il Sinodo stesso a chiedere al Papa una chiarificazione; non certo perché contrario al pluralismo o alla ricerca teologica, ma perché convinto che le posizioni contrastanti o confuse sui punti in questione, erano e sono dannose. Il Sinodo C e il Papa che ne ha colto l'invito C non ha certamente inteso di ingessare la vita consacrata, ma solo difenderla da chi scambia l'approfondimento della verità con la confusione delle idee e il disorientamento nei comportamenti.
Il Sinodo, in sostanza, chiedeva
C
che si precisasse la relazione tra la consacrazione che avviene nel battesimo e quella che avviene nella professione dei consigli evangelici; C che si evidenziassero gli elementi essenziali costitutivi della vita consacrata;C
che si chiarisse, infine, il rapporto tra gli ordini o stati di vita della Chiesa.Nel rispondere, il Papa in Vita consecrata comincia col ribadire ciò che il Concilio aveva già chiaramente insegnato (LG 44a; PC 11) e cioè che la professione dei consigli evangelici conferisce al battezzato una
*nuova e speciale consacrazione+. Tale consacrazione è ordinata ad abilitare il fedele a compiere nella Chiesa la missione di rendere presente e come ripresentare *la forma di vita praticata personalmente da Gesù, e da lui proposta ai discepoli+ (VC 31). Tale forma di vita non è inclusa nello sviluppo normale del battesimo che, chiaramente, *non comporta per se stesso la chiamata al celibato o alla verginità, la rinuncia al possesso dei beni, l'obbedienza a un superiore, nella forma propria dei consigli evangelici+ (VC 30). Questo è il motivo per cui si richiede un particolare dono di Dio e un particolare intervento dello Spirito (ivi). In effetti, se il religioso rinuncia ai valori fondamentali e più importanti della vita (possesso personale, amore coniugale e famiglia, autonomia e libertà) per dedicarsi totalmente al Regno di Dio non è perché è più buono o più bravo degli altri, ma perché lo Spirito, in forza di una consacrazione particolare, lo ha chiamato e reso capace. La consacrazione non è segno della superiorità dell'uomo, ma della superiorità di Dio. Solo chi la nega finisce con l'affermare il contrario.Per quanto riguarda l'identità della vita consacrata la Esortazione pone in particolare evidenza il rapporto speciale stabilito da Gesù con i suoi primi discepoli, la conformazione e configurazione a Lui mediante la partecipazione piena alla sua vita di castità, povertà e obbedienza (VC 14).
Al punto che la Vita Consecrata si può definire come
*memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù+ e *vivente tradizione+ della sua vita e del suo messaggio (VC 22). E' il classico tema della speciale sequela che qui viene particolarmente evidenziato. Non si tratta di riservare solo ad alcuni la sequela del Signore, ma è chiaro che, secondo il Vangelo, non tutti seguono Cristo allo stesso modo, come dimostra il caso degli Apostoli. Affermare che c'è una sola forma di sequela significa dire che buona parte dei battezzati non segue Cristo; visto che Gesù si è dedicato esclusivamente all'annuncio del Regno nella verginità e nella rinuncia a qualunque possesso personale. Ciò che caratterizza la speciale sequela, a cui sono invitati solo pochi, è la pratica radicale dei consigli evangelici. E anche in questo caso è chiaramente falso affermare, in assoluto, che i consigli sono per tutti, perché equivarrebbe a sostenere che coloro che si sposano o posseggono beni non sarebbero autentici cristiani!Infine il Sinodo chiedeva ulteriori chiarimenti circa "i tre ordini di persone ovvero gli stati di vita nella Chiesa".
L'Esortazione ribadisce in modo perentorio tale insegnamento. Il popolo di Dio è composto da tre vocazioni fondamentali, paradigmatiche, che danno origine a tre "ordini" o "stati di vita" a cui tutte le forme possono essere ricondotte: sono le vocazioni alla vita laicale, al ministero ordinato e alla vita consacrata (VC 31). Anche la vita consacrata
C si sottolinea C fa parte essenziale di questa costituzione divina del popolo di Dio, per cui *la concezione di una Chiesa unicamente composta da ministri sacri e da laici non corrisponde alle intenzioni del suo divino Fondatore+ (VC 29). Con ciò il Papa vuole chiaramente rispondere a coloro che continuano a sostenere che la vita consacrata non è essenziale per la Chiesa e forse anche alla curiosa posizione di coloro che, avendo letto solo il primo e secondo capitolo della Lumen Gentium, si appellano al Concilio per negare gli stati di vita.Questi stati di vita sono tra loro irriducibili e complementari, e tutti insieme formano la Chiesa, contribuendo ciascuno per la sua parte, a realizzarne la missione.
A fondamento di ogni stato di vita c'è una consacrazione.
*Tutti nella Chiesa sono consacrati nel battesimo e nella cresima, ma il ministero ordinato e la vita consacrata suppongono ciascuno una distinta vocazione ed una specifica forma di consacrazione, in vista di una missione peculiare+ (VC 31). I Laici, chiamati a *cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio+, hanno già ricevuto nel battesimo e nella cresima tutti i doni di grazia per vivere da cristiani nel mondo e svolgervi la propria missione. Eventuali e ulteriori aiuti (oltre ai carismi personali ) verranno loro offerti da altri, destinati esplicitamente a questo scopo e, per ciò, anche opportunamente abilitati da una adeguata consacrazione. Così i presbiteri ricevono la consacrazione sacerdotale per continuare il ministero apostolico in favore del popolo di Dio. Mentre coloro che abbracciano i consigli evangelici *ricevono una nuova e speciale consacrazione+ che li abilita e li impegna a riprodurre in sé la stessa forma di vita di Gesù per continuare a renderlo presente nella storia mentre vive le sua comunione con il Padre o si mette a servizio di tutti i bisogni dei fratelli (cfr. LG 46).La speciale e nuova consacrazione è, dunque, in funzione del particolare compito che si è chiamati a svolgere e per il quale c'è bisogno di una abilitazione particolare.
Si è particolarmente consacrati non per essere costituiti superiori agli altri, ma per essere posti a loro servizio! Sostenere, dunque, che la consacrazione speciale discrimina i battezzati perché porrebbe in uno stato elitario, significa solo mostrare di non averne colto il senso; e, allo stesso tempo, conduce a una alternativa pericolosa, quale è quella di negare logicamente anche la consacrazione del presbitero oppure di proclamarne e giustificarne la pretesa di superiorità di fronte agli altri battezzati.
Allo stato attuale si possono individuare degli aspetti particolari o punti nodali attraverso i quali sembra passare il futuro della vita religiosa?
Il primo punto riguarda il rapporto dei religiosi con il Vangelo. É il problema di sempre, ma che oggi sembra essere sentito con maggiore urgenza. Come rendere più evangelica la propria vita. Superata la fase del formalismo e del legalismo, del moralismo e del sociologismo, rimane sempre da scoprire o ritrovare non solo la persona del Signore Gesù, ma anche quei criteri e valori evangelici che ne permettano una sequela reale e appassionata attuale e testimoniante. Il primo impegno e, perciò, il primo servizio della vita religiosa è quello di mostrare il Vangelo vissuto, in modo da dimostrare che esso è realmente vivibile, e non solo predicabile. Va sottolineato che c'è un impegno ancora più primario: prima che preoccuparsi di evangelizzare gli altri è necessario che i cristiani si lascino evangelizzare da Cristo, si aprano, cioè, a Lui e Lo accolgano nella propria vita. La prima evangelizzazione, dunque, è quella di lasciarsi evangelizzare. E se ciò vale per tutti, vale in modo particolare per i religiosi che, del resto, sono sempre stati i rappresentanti più dinamici, spesso unici, della missionarietà della Chiesa. Questa esigenza di ritorno al Vangelo, per mostrarlo vissuto, è particolarmente necessaria nel nostro mondo che, nonostante tutti i fallimenti, crede ancora di potersi salvare da solo e, pertanto, non trova nessun interesse nel sentirsi dire che Gesù è il Cristo. Se non si mostra una forma alternativa di esistenza, l'annuncio del Vangelo è pressoché nullo.
Che il ritorno al Vangelo sia il nodo fondamentale da risolvere non sembra si possa discutere....
... e anche se può sembrare un po' vago, è tuttavia indispensabile che i religiosi lo tengano costantemente presente, perché tutti i giorni, singolarmente e comunitariamente, si confrontino con il Vangelo, prima che con tutto il resto. Senza questa esigenza di evangelismo la vita religiosa rischia di continuare ad errare ed affondare nelle sabbie mobili della problematica moderna.
Un altro punto nodale riguarda il rapporto con il mondo. Non si tratta tanto di risuscitare la vecchia questione della fuga dal mondo che, del resto, va recuperata nel suo senso genuino ("il distacco dalle cose si congiunge con l'arte di ben usarle", diceva Paolo VI) altrimenti si finisce col sostituirla con la "fuga nel mondo", quanto piuttosto di prendere atto del cambiamento radicale che si è operato nella nostra società con la scomparsa del regime di cristianità; per cui il nostro modo di essere presenti e di operare nel mondo ne viene profondamente condizionato e modificato.
Per quanto riguarda il modo di essere va ricordato che quando la vita sociale era sostanzialmente cristiana, i religiosi, per differenziarsi, dovevano accentuare le peculiarità (spesso molto marginali). Ora, nella società, si rifiuta, per principio, qualunque etichetta cristiana, ma, allo stesso tempo, molti pensano che, per essere cristiani e religiosi, sia necessario adottare uno stile di vita proprio di questa società che rifiuta di essere cristiana.
Si tratta di una scelta metodologica o di una valutazione assiologica? A riguardo, comunque, molti pensano che lo scopo della vita religiosa è quello di creare uno stile di vita che è alternativo a quello fondato sulla mentalità corrente e imperante. Non si tratta, dunque di accettazione, ma di contestazione che, a partire dal Vangelo, si traduca in un tipo di esistenza che va contro ed è, comunque, alternativo a quello che si vive e si respira nell'ambiente. Non va sottovalutato il rischio di trasformare il dialogo e l'ascolto in mezza misura e in compromesso; o di confondere l'amore per l'uomo e per il mondo, con l'ingenuità che fa rincorrere e pretende di volere a tutti i costi battezzare esigenze e comportamenti che gli stessi figli della società dei consumi contestano e rifiutano sempre più frequentemente. Oggi si parla volentieri di radicalismo evangelico, ma non è facile vedere in concreto in cosa esso effettivamente consista. Sembra, ancora una volta, che una fondamentale richiesta che il mondo (e la Chiesa in esso) fa alla vita religiosa di oggi è quello di mostrare che il Vangelo può essere vissuto.
Tutto ciò, naturalmente, ha le sue applicazioni anche nell"'agire" dei religiosi.
Quando la Chiesa occupava una specie di egemonia attraverso il controllo e la gestione dei centri e delle forze che ispiravano e regolavano i comportamenti sociali con relative iniziative, ne seguiva che le scuole, le attività assistenziali, le opere sociali, la cultura, la stampa, l'arte, apparissero come veicoli spontanei e ovvi di cristianizzazione. E i religiosi, che normalmente ne erano i gestori principali, si sentivano perfettamente a loro agio, consapevoli di compiere opera sociale ed evangelizzatrice allo stesso tempo.
Spesso i religiosi facevano un tutt'uno con l'Opera nella quale trovavano la loro identità e compivano la loro missione. Non avevano difficoltà a vivere la loro consacrazione a Dio attraverso la consacrazione all'Opera, proprio perché l'opera era intesa come una missione e modo molto concreto per costruire il Regno di Dio. Non c'era motivo di pensare che ci dovesse essere differenza tra regime di cristianità e Regno di Dio.
Oggi tutto questo non è più vero. Cultura, assistenza, arte, e via dicendo, sono diventati valori laici che, di per sé, non sono più sinonimo né canali scontati di evangelizzazione. Se prima le "opere" erano già in sé testimonianza di carità cristiana, oggi certamente non lo sono più. Anzi le istituzioni scolastiche e assistenziali sono per definizione "neutre", cioè non portatrici di messaggi religiosi, e questo proprio perché lo stato laico le ha fatte sue. Si tratta, dunque, di cambiare tutto uno stile di vita che dava per scontata una simbiosi tra le "opere di carità" e l'annuncio cristiano; e, allo stesso tempo, inventare nuovi modi di evangelizzazione.
Molte volte è lo stesso "luogo apostolico" che cambia, perché il posto di lavoro non è più "religioso", ma "secolare"; spesso i religiosi si trovano a lavorare fianco a fianco con persone di convinzioni e fedi diverse, a contatto con tutte le difficoltà e le rivendicazioni degli uomini di oggi, e con le quali ci si deve continuamente confrontare.
Tutto ciò costituisce, di fatto, una autentica rivoluzione che può mettere in discussione la stessa sopravvivenza di tanti istituti. In ogni caso dovrebbe fare un po' più seriamente riflettere quanti ancora pensano che, ad esempio, basti fare scuola per compiere automaticamente opera apostolica. Si dice, talvolta, che dobbiamo fare le stesse cose "in modo diverso". In realtà, però, è difficile capire quale sarebbe il modo diverso di insegnare matematica da parte di un cristiano e un non cristiano; o quale sarebbe il modo diverso di svolgere la mansione di infermiere da parte di una signorina di azione cattolica e di una suora; o quale il modo diverso di predicare e amministrare i sacramenti da parte di un prete e da parte di un frate. Si tratta, in definitiva di fare le stesse cose in modo diverso oppure di fare cose diverse? O, più semplicemente, di essere diversi?
Qualunque sia la risposta che si dà a questa nuova sfida, riguardante sia la qualità che lo stesso luogo del nostro servizio, è evidente che non la si può ignorare; altrimenti o si diventa dei professionisti che non hanno altro vangelo che la loro attività o ci si estranea dalla storia diventando inutili e, perciò, insignificanti. In ogni caso si perde il senso della propria vocazione e della propria identità religiosa.
Un altro punto nodale è il rapporto dei religiosi con la Chiesa locale. Fino all'immediato dopo Concilio vigeva della Chiesa una visione "universale"; ed è secondo questa visione che i religiosi hanno sempre vissuto e si sono organizzati. La dimensione internazionale dell'Istituto e il riferimento alla Sede apostolica, la disponibilità ai cambiamenti e l'apertura più o meno esplicita a tutte le frontiere della missione, faceva sentire i religiosi membri vivi della Chiesa, anzi suoi rappresentanti qualificati. Lo spostamento della ecclesiologia sulla Chiesa locale ha cambiato radicalmente i quadri di riferimento, rimettendo in discussione tutto il modo di essere e di operare.
La Chiesa universale vive concretamente incarnata nelle chiese locali. Una comunità, dunque, è concretamente Chiesa nella misura in cui è realisticamente parte di una Chiesa locale.
Per sentirsi Chiesa, allora, non è più sufficiente sentirsi membri di un Istituto religioso, aperti e disponibili solo alle indicazioni delle Curie generalizie e della Santa Sede; è necessario essere anche inseriti come membri vivi in una Chiesa locale, aperti e disponibili a riceverne le ricchezze e soddisfarne le richieste. La vitalità di un membro, in effetti, è data, in uguale misura, dalla sua capacità di ricevere e di dare. Per essere della Chiesa, dunque, bisogna essere in una Chiesa; e non solo lavorando per essa, bensì anche vivendo di essa. É facile immaginare come anche questo costituisca una specie di rivoluzione. Basti pensare alla autarchia e totale autosufficienza delle nostre comunità tradizionali, comprese quelle che offrivano i loro servizi attraverso le loro "opere proprie". L'esperienza ci sta insegnando quanto sia difficile compiere una tale rivoluzione.
Checché ne sia delle difficoltà, è certo che, senza inserimento autentico nella Chiesa locale, la vita religiosa non si può rinnovare. Dunque anche questo è un grosso appuntamento con la storia che la vita religiosa non può perdere, perché ne va di mezzo non solo la sua vitalità, ma la verità stessa del cammino delle chiese locali, le quali, senza quel riferimento continuo alla Chiesa universale
C oltre che allo spirito delle beatitudini che la vita religiosa è chiamata a garantire C rischiano di chiudersi nel loro particolarismo e di cadere nell'appiattimento.Un altro punto su cui si gioca il presente e il futuro della vita religiosa
C e che in un certo senso riassume sia quello della evangelicità che il rapporto con il mondo e con la Chiesa C è certamente quello della missione.
Stante il fatto che la missione è dimensione essenziale di qualunque forma di vita cristiana e che l'attività apostolica e caritativa, dove è presente per vocazione, è parte integrante della stessa vita religiosa, rimane sempre da stabilire quale è l'attività che si deve compiere.
Non si può non tener presente che il religioso, come tale, sta agli avamposti della missione, né, quindi, si può accontentare di restare nella retroguardia. Che fare, allora, delle opere e delle attività che un tempo erano di avanguardia e che oggi, assunte dallo stato sociale, sono diventate di ordinaria amministrazione? Rimane, poi, sempre il problema dell'annuncio del Vangelo, che è il fine primario di qualunque iniziativa del religioso. La attività è un mezzo di evangelizzazione, ma non si identifica con essa. Si tratta di vedere perché la si compie, il modo come la si compie e, insieme, (tenuto presente il contesto sociale e personale) la sua idoneità a divenire parola che dice l'annunzio evangelico. Si tratta, dunque, di dire Cristo attraverso le opere e di dirlo in modo adeguato. Anche questo suppone un cambiamento radicale di mentalità e, spesso, di attività, dato il trapasso di civiltà, per cui ciò che prima era veicolo spontaneo di evangelizzazione oggi, come dicevamo, non lo è più. Tutto ciò non è per niente facile. Ma è indispensabile, altrimenti invece che evangelizzare non facciamo che metterci a servizio delle nostre istituzioni o di chi sa quali ideologie. Non a caso si nota un po' dovunque una nuova tensione tra coloro che vogliono essere più vicini ai poveri rinunciando a tante posizioni acquisite, e coloro che le difendono in favore delle proprie opere e attività.
Ma è necessario non illudersi: nemmeno una revisione radicale delle opere e delle attività potrebbe essere sufficiente. Soprattutto nel nostro mondo post-cristiano e super-consumista la Chiesa diventerà credibile solo se sarà capace di dare testimonianza di una esistenza alternativa di fronte al mondo, ed è altrettanto chiaro che sono soprattutto i religiosi che devono cominciare a dare l'esempio. Da questo punto di vista, "aggiornare" la vita e la missione, non solo non significa adeguarsi al "mondo moderno", ma esattamente il contrario: significa contrapporvisi. La rivoluzione culturale che i cristiani sono chiamati a compiere è una vita che sia contestazione radicale delle divinità moderne: l'avere, il godere, il potere. La realtà è che ci troviamo in un mondo che vive in un tragico vuoto di valori. A questo mondo bisogna presentare il Vangelo in modo chiaro e forte vivendolo senza compromessi e senza accomodamenti. Ancora una volta, dunque, appare chiaro quanto sia necessario che la vita religiosa torni ad essere trasparenza di vita evangelica.
Guardando la situazione attuale possiamo costatare non solo dei sintomi, ma un reale cammino di rinnovamento in atto nella vita religiosa.
Dobbiamo, però, riconoscere le difficoltà che ancora ci troviamo di fronte e le nuove risposte che siamo chiamati con urgenza a dare, se non vogliamo perdere il treno della storia e restare inesorabilmente vittime del nostro invecchiamento. Di fronte alla crudeltà delle statistiche non possiamo più cullarci su attese provvidenzialistiche. É finito, peraltro, il periodo dei sogni, delle illusioni e anche delle lotte appassionate per il rinnovamento. É arrivato il tempo di riscoprire l'impegno quotidiano e di adottare la politica dei piccoli passi, per cominciare ad attuare quello che è già stato chiaramente definito e proposto.
Tutto ciò non deve far dimenticare che la vita religiosa appartiene alla dimensione profetica della Chiesa, e che la parola dei profeti non viene da una tradizione codificata, bensì direttamente da Dio.
Inseriti concretamente nel loro mondo e vitalmente compromessi fino in fondo, essi sono continuamente aperti a Dio, per accogliere e riferire la parola che indica la via che porta alla salvezza. Quali figli dei profeti anche i religiosi sono chiamati, oggi più di ieri, ad essere pienamente inseriti e solidali con il mondo, per essere luogo nel quale esso possa incontrare Dio; ma, proprio per questo, è indispensabile che essi, per primi, si siano lasciati da Lui incontrare.
*Che sarebbe del mondo se non ci fossero i religiosi?+ (S. Teresa).Se guardiamo in modo preoccupato la riduzione delle vocazioni e il progressivo invecchiamento degli istituti è necessario, però, non essere allarmisti, perché c'è anche un'altra chiave di lettura. Le varie componenti della Chiesa cominciano a prendere sempre più coscienza delle rispettive responsabilità, e della necessità della collaborazione nella complementarità dei carismi.
Deve arrivare il momento che finisca l'epoca delle deleghe, e che ognuno faccia la sua parte; non sarà più, dunque, nemmeno necessaria l'opera di supplenza che i religiosi hanno svolto al posto dei laici e dei preti. Ma sappiamo come non sia facile staccarsi da opere e tradizioni che ci hanno dato forza e prestigio, nella Chiesa e nella società; ebbene, la diminuzione delle "forze" può essere un ottimo aiuto a compiere questo distacco. D'altra parte l'essere meno autarchici, potrà costituire una ottima occasione perché la vita religiosa riacquisti la sua libertà e la sua forza carismatico-profetica. Una vita religiosa di "supplenza" può anche fare il suo tempo, anzi bisogna positivamente lavorare perché altri diventino capaci di prenderne il posto! Una carismatica ars moriendi non ha niente a che vedere con la rassegnazione, ma è elemento necessario per imparare l'ars vivendi; proprio perché segno della presenza dello Spirito che rende supremamente liberi e, quindi, realmente capaci di vivere senza lasciarsi condizionare o appiattire.
Ma se una vita religiosa di "supplenza" può sparire, una vita religiosa che sia
*provocazione al mondo e alla Chiesa stessa+ (EN 69) avrà sempre una missione essenziale e insostituibile da compiere. Ma, appunto, è necessario che essa resti o torni a essere provocazione.Non è senza motivo che i giovani religiosi dell'Europa post-moderna, (a differenza di quelli di altre regioni che non hanno raggiunto questa fase storica),
C scriveva J. Rovira C *spesso non valutano come noi il nostro attivismo, il nostro efficientismo, le nostre istituzioni, talune nostre modernità. Più che l'azione valutano l'essere segno escatologico, parabola di vita, profezia dei tempi futuri. Apprezzano il gratuito. E, tra i valori umani, la comunità, la vicinanza al popolo semplice, la pace, la giustizia, l'ecologia, i diritti umani, a cominciare da quelli dei poveri ed emarginati (carcerati, immigrati, tossicodipendenti, ammalati di aids, ecc.), la vita contemplativa+.Tutto ciò deve essere attentamente valutato perché è soprattutto nei giovani che i segni dei tempi, e conseguenti indicazioni dello Spirito, si rivelano.