Lo Spirito nell’Antico Testamento

Fr Pierbattista Pizzaballa ofm

 

Nell’anno dedicato allo Spirito Santo (1998) è opportuno fermare l’attenzione su questo grande "sconosciuto" della Ssma Trinità. In questo anno sentiremo parlare spesso di Spirito e certamente leggeremo sullo Spirito nel Nuovo Testamento, in Gesù, nella Chiesa. Credo, invece, che si parlerà meno di Spirito Santo nell’Antico Testamento. Eppure è importante parlarne, perché in esso si trovano tutti gli elementi che saranno poi ripresi e sviluppati nel Nuovo Testamento. Ed è stupendo vedere quanta unità vi sia in tutta la millenaria storia della salvezza.

Secondo alcuni studiosi, però, non si dovrebbe parlare di Spirito Santo nell"AT. Essi lo ritengono una "affermazione teologica" cristiana e quindi neotestamentaria. Certo non si può pretendere di trovare nell’Antico Testamento il concetto di Spirito Santo come persona della Trinità, unita e distinta. Tuttavia, la nostra fede ci dice che la Scrittura è una, e che in essa si trova il fondamento di ciò che crediamo. Con il solo metodo interpretativo chiamato storico-critico, non troviamo nell’AT affermazioni chiare e definite di Spirito Santo. Ci sono comunque elementi che ne dichiarano l’esistenza e ne preparano la rivelazione.

L’idea di spirito dell’Antico Testamento non è fissa, ma dinamica. Man mano che in Israele si sviluppa la coscienza di essere popolo e cresce l’idea che esso si fa di Dio, si sviluppa contemporaneamente anche il concetto di spirito di Dio. Esso viene inteso ora come una sorta di "assistenza di Dio" (Dio che assiste il suo popolo nel deserto, Dio che assiste i Giudici per compiti specifici), ora come "presenza di Dio" (il roveto o la colonna di fuoco), oppure "forza di Dio" fino ad arrivare, nei libri più tardivi, ad essere inteso quasi come un essere separato da Dio. I testi di Sapienza 15, 11, Proverbi 8, Siracide 24, Salmo 51 sono alcuni tra gli esempi classici. Va detto che non tutti sono d’accordo sull’interpretazione di questi passi, ma l’esegesi cristiana, dai Padri fino ad oggi, non ha mai cessato di vedere in questi brani la presenza del Dio trino che agisce, opera e vivifica.

Dio non si è rivelato in un solo momento, ma lentamente, "rispettando" i tempi del suo popolo. La rivelazione di Dio, cioè, è continua e progressiva. Non dobbiamo perciò aspettarci di trovare la stessa idea di spirito nella Genesi e in Isaia.

Cerchiamo allora di vedere, un po’ sommariamente, quali sono le principali "idee di spirito" che si riscontrano nell’Antico Testamento.

L’espressione Santo Spirito è presente solo tre volte nell’Antico Testamento: Sal 51, 13 (Non privarmi del tuo Santo Spirito), Is 63, 10.11 (Ma essi si ribellarono ed afflissero il tuo Santo Spirito; Dov’è colui che infuse il tuo Santo Spirito?). Per capire dove e come si parla di Spirito, perciò, dobbiamo cercare anche altre espressioni. La lingua dell’Antico Testamento è l’ebraico che, come tutte le lingue semitiche, non ama le astrazioni. Per esprimere concetti astratti ricorre spesso ad immagini o simboli. Attraverso i simboli, infatti, abbiamo una prima descrizione dello Spirito.

1. I simboli biblici dello Spirito

Diversi sono i simboli adoperati nella Bibbia per descrivere lo Spirito Santo. Il vento, l’acqua e il fuoco sono i più comuni. L’acqua è il segno dello spirito che purifica: "Vi aspergerò di acque pure e sarete purificati da tutte le vostre impurità e da tutti gli idoli con cui vi macchiaste" (Ez. 36, 25), ma anche dello spirito che riporta alla vita: "Farò scorrere acqua nella steppa e fiumi in terra arida", e poi aggiunge fuori di metafora: "Effonderò il mio spirito sulla tua stirpe e la mia benedizione sulla tua prosperità" (Is 44, 3; vedi anche Is 5, 6). "Acque vive sgorgheranno da Gerusalemme" (Zc 14, 8). "Queste acque sfociano nella regione orientale, scendono nell’Araba e sboccano al mare ... ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà; il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà" (Ez 47, 8). Sono tantissime le citazioni, e non è il caso di elencarle tutte. Bisogna comunque anche ricordare che l’acqua dà la vita, ma può anche toglierla. Basti pensare al diluvio (Gen 6). Certamente il popolo al tempo di Gesù aveva ben presente il significato dell’immagine dell’acqua, poiché tutta la tradizione ne era ricca. Basti ricordare il colloquio tra Gesù e il rabbino Nicodemo. "Se uno non nasce da acqua e da spirito non può entrare nel regno di Dio" (Gv 3, 5). "Chi beve dall’acqua che io gli darò non avrà più sete" (Gv 4, 7-14). Essa era ed è tuttora il simbolo di Dio che purifica, che dà la vita, che fa nascere e a volte anche fa perire gli empi.

Un’altra immagine assai importante è il fuoco, che è uno dei simboli preferiti per esprimere l’essere e l’agire di Dio. È celebre il brano in cui Dio parla a Mosè attraverso il roveto ardente (Es 3,2). È noto anche il racconto in cui si parla di Dio presente sotto forma di colonna di fuoco: "Il Signore andava davanti a loro di giorno con una colonna di nube per condurli nella strada, e di notte con una colonna di fuoco per illuminarli, perché potessero andare di giorno e di notte. Nè la colonna di nube di giorno nè la colonna di fuoco la notte si ritirava dalla vista del popolo" (Es 13, 21-22). È una immagine bellissima nella quale si mette bene in evidenza che Dio e il popolo camminano insieme, e che il Signore è sempre presente. L’interpretazione cristiana ha sempre visto in questi passi una chiara allusione allo Spirito di Dio. Anche in Ezechiele troviamo un’immagine molto significativa: "Ecco cosa vidi: un vento impetuoso proveniente dal Nord, una grande nube con lampi e splendore all’intorno e nel centro come il luccicare dell’elettro, in mezzo al fuoco" (1, 6). In Dan 7, 10 leggiamo: "Un fiume di fuoco colava scorrendo dalla sua presenza". È con il fuoco che Dio purifica i suoi profeti dall’impurità (Is 6). Di fuoco sono anche i serafini che stanno alla presenza di Dio e ardono (serafino deriva dal verbo ebraico "saraf" che significa bruciare). Il fuoco che scaturisce dal trono (Dan 7, 10) o la colonna di fuoco e fumo sono segni visibili, quasi come "intermediari" della presenza e dell’agire di Dio, che nessuno può vedere e con il quale nessuno può parlare direttamente. S. Francesco aveva certamente queste immagini in mente quando in una delle sue preghiere ha scritto: "Concedi o Signore, che.... illuminati dal fuoco dello Spirito Santo.... possiamo seguire le tue orme" (Preghiera al Capitolo).

Come l’acqua, anche il fuoco può purificare, distruggere, e può rappresentare persino l’ira divina (Ger 21, 12), il suo furore (Sal 18, 9), e la sua collera (Dt 32, 22).

Non bisogna interpretare questi passi in senso panteistico, cioè come se affermassero che Dio è presente nell’acqua o nel fuoco. Si tratta solo di immagini, certamente comuni in tutto l’Antico Vicino Oriente, e che indicano la presenza e l’azione di Dio in circostanze precise.

Un’altra immagine conosciuta è quella della nube (riferita ancora all’Esodo, o al dono dei comandamenti), un’altra ancora è l’espressione "dito", "destra", o "mano di Dio". "Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi....tutte queste cose ha fatto la mia mano" (Is 66, 1-2); "Le tue mani mi hanno plasmato" (Gb10, 8). La mano è anche simbolo dell’amore di Dio per gli uomini: "La mia mano è il suo sostegno, il mio braccio è la sua forza" (Sal 89, 22). La mano, in breve, come il fuoco e l’acqua, è un’immagine che indica Dio che agisce, opera e salva. Questa immagine è senza dubbio tra le più usate e nei passi in cui ricorre ha ispirato, soprattutto presso i Padri, l’interpretazione trinitaria.

L’espressione "mano di Dio" o "dito di Dio" è usata moltissimo per indicare lo spirito creatore di Dio. "Se guardo il tuo cielo opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate... " (Sal 8, 4). S. Ireneo scrive in proposito: "L’uomo è una mescolanza di anima e di carne, modellata ad immagine di Dio e plasmata dalle mani di Dio, cioè dal Figlio e dallo Spirito, ai quali disse: "Facciamo l’uomo" (Gen 1, 26). La tradizione della chiesa nel noto inno Veni Creator aggiunge il titolo: "Dito della destra di Dio".

Ma l’immagine certamente più importante è quella del vento. È importante tenere presente che in ebraico - come in molte altre lingue - è la parola "vento" che a seconda del contesto indica il concetto di spirito.

In ebraico il vento è"ruah", che significa anche respiro, alito, soffio. Non è sempre semplice, dunque, cogliere il giusto significato di ogni caso. In breve, possiamo dire che i due significati principali di questo termine esprimono anche i due modi diversi di apparire dello spirito: quello legato ai fenomeni naturali (ruah come vento) e quello incentrato sull’uomo (ruah come respiro, soffio). Diamo uno sguardo ora al primo significato.

Il vento è sempre legato in qualche modo all’apparizione o all’agire di Dio, e indica comunque una realtà che è sempre in movimento. Nel Salmo 18, 11 si dice: "Cavalcava un cherubino e volava, si librava sulle ali del vento". Dio appare a Ezechiele in un turbine di vento (Ez. 1, 4). Dio parla a Giobbe "di mezzo al Turbine" (Gb 38, 1). L’incontro di Elia con il Signore (1Re 19) si è manifestato attraverso il venticello, "il sussurro di una brezza leggera" (1Re 19, 12). Ma anche qui bisogna fare attenzione a non fraintendere. Il fuoco, il vento impetuoso, il terremoto sono solo manifestazioni. Dio "non era nel vento, ... nel terremoto, ... nel fuoco". (1Re 19, 11-12). "Il Signore sospinse il mare con un forte vento di Oriente" (Es 14, 21), e così il popolo potè attraversare il Mar Rosso. In Giona Dio suscita "un forte vento orientale, sicché il sole dardeggiò sulla testa di Giona" (Gn 4, 8); "Nell’uragano e nella tempesta è il cammino del Signore" (Na 1, 3). Insomma, sia che si tratti di brezza leggera (Gb 4, 15) o di vento impetuoso (Gb 8, 2) o travolgente (Sal 55, 9), è sempre Dio che lo muove, è sempre Dio la sorgente dell’azione suscitata dalla ruah. Interessante è la profezia di Is 32, 15-20, dove la ruah trasformerà il deserto in giardino e farà fiorire la pace la giustizia. Qui non è già più possibile tradurre con vento; ruah significa espressamente spirito, inteso come forza capace di trasformare non solo i fenomeni naturali, ma anche i cuori degli uomini. Il vento è quasi sempre oggetto dell’azione di Dio, l’uomo lo può osservare (2Re 3, 17), ma non non lo può comandare (Eccle 8, 8). La forza presente nel vento e il non conoscerne la provenienza sono elementi che hanno fatto vedere in esso la presenza misteriosa di Dio. Il vento non viene da Dio quando indica una realtà carnale, futile, che perisce: "Ecco tutti sono un nulla, un niente le loro opere, vento e vuoto i loro simulacri" (Is 41, 29). "I profeti (falsi) sono come vento" (Ger 5, 13).

In tutte le parti della Bibbia è presente la ruah, specialmente negli inni e nei salmi, e sarebbe impossibile passare in rassegna tutti i brani.

Come nelle immagini precedenti, la ruah può vivificare, ma anche distruggere. In Isaia gli ubriachi di Efraim sono distrutti in un turbine rovinoso (Is 28, 2); In Ezechiele Dio scatena la sua ira attraverso il vento: "Scatenerò un vento impetuoso nel mio furore..." (Ez 13, 13).

Il vento, in alcuni passi, è inteso anche come respiro di Dio che fa vivere i morti (Ez 37; 2Sam 22, 16; Sal 18, 16). Ed è proprio il respiro l’altro importante significato di ruah, anche se non è sempre facile, come abbiamo detto, distinguere tra i due significati. Il celebre passaggio, ad esempio di Gen 1, 2 in cui si dice che il "soffio di Dio aleggia sulle acque", potrebbe essere inteso come vento o, simbolicamente, come l’alito del Creatore. "Mandi il tuo soffio (o vento?) ed essi sono creati, e rinnovi così la faccia della terra" (Sal 104, 30). I brani in cui ruah è chiaramente inteso come "alito" o "respiro" sono numerosissimi e tutti molto significativi per la progressiva rivelazione dello Spirito Santo.

È bene ricordare comunque che in molti casi i significati "concreti" di vento e respiro non sono molto percepibili dal punto di vista fisico; non sempre, cioè, è possibile avere una idea precisa della consistenza reale delle immagini di vento e respiro. In molti di questi passaggi i significati sono "fluttuanti".

Quando ha il significato di alito o respiro la parola ruah viene spesso associata ad un altro termine che è quasi un sinonimo, neshamah.

"Ha conferito il respiro (neshamah) al popolo che abita la terra, e il soffio (ruah) a quelli che in essa camminano" (Is 42, 5). È il Signore che "ha creato lo spirito nell’intimo dell’uomo" (Zc 12, 1). Durante il diluvio "ogni essere che ha un alito, uno spirito di vita nelle sue narici, fra tutto ciò che è sulla terra asciutta, morì" (Gen 7, 22). Non solo nell’uomo, ma anche negli animali, dunque, vi è un "alito di vita" (Gen 1, 30), anche se è certamente ben distino da quello dell’uomo, al quale gli animali sono sottomessi. È Dio stesso che soffia l’alito di vita nell’uomo: "Allora il Signore Dio modellò l’uomo con la polvere del terreno e soffiò nelle sue narici un alito di vita; così l’uomo divenne un essere vivente" (Gen 2, 7). Il Signore è il "Dio degli spiriti che sono in ogni carne" (Nm 16, 22), e tiene in potere il soffio (ruah) di ogni uomo (Gb 12, 10).

Bisogna fare attenzione a non confondere questi significati di ruah con quelli che indicano invece semplicemente stati d’animo psicologici ("Alla mattina il suo spirito (ruah) era conturbato" 1Sam 1, 15).

Da questa breve presentazione possiamo già trarre alcune importanti considerazioni. Lo spirito non è mai una entità autonoma dell’uomo o del cosmo e nemmeno una qualità superiore che distingua l’uomo dagli animali, ma sempre ed esclusivamente una realtà che proviene da Dio. È lui che dà il soffio vitale agli esseri viventi, è lui che fa crescere ed assiste il suo popolo, è lui che suscita il vento, il fuoco, l’acqua attraverso i quali ogni realtà si trasforma. Bisogna aggiungere, inoltre, che lo spirito è sempre opposto alla carne (Is 31, 3) che è la sola realtà che dipenda dalla volontà dell’uomo. Lo spirito lo dà Dio; infatti egli, quando vuole, se lo riprende. È la presenza dello spirito che dà la vita al mondo e all’uomo e, senza di esso, senza cioè la presenza di Dio, la carne perisce.

Siamo ancora lontani dalle affermazioni sull’esistenza dello spirito che si riscontrano nei libri sapienziali della bibbia e poi nel NT. Ma certamente è su questo sfondo e su questa mentalità che si fondano quelle affermazioni teologiche. Qui si trova la radice preziosa e importante dei discorsi di Gesù e poi di Paolo. L’antitesi tra carne e spirito così conosciuta nel Nuovo Testamento e che riscontriamo in Giovanni (È lo spirito che vivifica, la carne non serve a nulla, 6, 63) o in Paolo (Romani 6-8) non sono forse radicate nel contesto appena visto? E così anche l’accostamento spirito e fuoco molto diffuso nel Nuovo Testamento (Mt 3, 11-12; Eb 1, 6-7) non ha forse i suoi germogli nelle immagini che abbiamo presentato? L’espressione "la mano del Signore era su di lui" (Lc 1, 66; At 11, 21; 13, 11) non è forse radicata nei brani che abbiamo visto?

Riflettendo attentamente risulta evidente che lo spirito nell’Antico Testamento non solo è presente, ma è anche protagonista della narrazione, e che nell’Antico Testamento si trova già chiaro lo sfondo della concezione di spirito sul quale poggia solidamente la rivelazione dello Spirito Santo da parte di Gesù e di tutto il NT.

Ci sono ancora altre espressioni legate al concetto di spirito ("Spirito di Dio", o "Spirito del Signore") e sono molto importanti. Esse non appartengono più al mondo delle immagini, ma hanno acquisito un loro significato preciso, e meritano di essere studiate a parte.

2. Lo spirito del Signore

Lo "spirito del Signore" è presente anzitutto nella storia di Israele.

Nel Pentateuco non si trova l'espressione "spirito del Signore" ed è rara anche l'altra espressione "spirito di Dio". Non è sempre facile, perciò, delineare e circoscrivere con precisione le esperienze della ruah. "Potremo trovare un uomo come questo in cui sia lo spirito di Dio?" (Gen 41, 38). Esiste però lo spirito di sapienza, che Mosè prima di morire, attraverso l’imposizione delle mani, trasmette a Giosuè (34, 9): "Giosuè figlio di Nun era pieno dello spirito di sapienza, perché Mosè gli aveva imposto le mani" (Cf Es 28, 3; 31, 3; 35, 31). Certamente, anche se non c’è l’espressione precisa, vi è comunque sempre stata chiara la consapevolezza che l’uomo giusto è in grado di comprendere il volere del Signore e di compiere il bene solo attraverso l’aiuto di Dio. I patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, il "sognatore Giuseppe" e tanti altri non hanno certo realizzato le loro opere di loro iniziativa. L’uso delle immagini e dei simboli è ancora molto accentuato.

Nel periodo antico l’azione dello spirito non è un dono permanente, ma sempre una forza dinamica e dirompente che si impadronisce di una persona per breve tempo e per un compito specifico, quasi sempre allo scopo di guidare il popolo di Israele. Secondo l’interpretazione giudaica, fa eccezione Mosè, l’unico che ha visto il Signore faccia a faccia (Dt 34, 10) e che ha avuto per tutta la vita un potere speciale ricevuto da Dio.

È nel libro dei Giudici che, secondo gli studiosi, abbiamo l’attestazione più antica dell’espressione "spirito del Signore", che nel libro ricorre sette volte. Lo spirito "investe" (6, 34), "penetra" (14, 6, 19), "spinge" (13, 25), è insomma una potenza che Dio invia su personaggi specifici allo scopo di salvare il popolo. Nel libro dei Giudici è lo "spirito del Signore" il vero protagonista, ed è attraverso lo spirito, effuso di volta in volta sui diversi personaggi, che Dio salva il popolo dalla corruzione e dall’idolatria, che sconfigge i nemici nelle guerre e che riporta la pace. Il libro dei Giudici è un po’ come quello degli "Atti degli Apostoli" del NT e la stessa tradizione giudaica, nei suoi commenti a questi passi, ha sempre affermato esplicitamente che spesso quello "spirito del Signore" è lo "Spirito Santo" (Midrashim, Rashi e altri ad. loc.). Un passo esemplare si trova in Giud 3, 7-11: "Gli israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore [...] perciò l’ira del Signore si accese e li mise nelle mani [...] del paese dei due fiumi. [...] Gli israeliti alzarono il loro grido al Signore, il quale suscitò loro un salvatore che li liberò: fu Otniel [...] Lo spirito del Signore fu sopra di lui, cosicché egli potè salvare Israele".

Anche negli altri libri storici, cioè quelli che si trovano subito dopo il Pentateuco, lo spirito è presente sui diversi personaggi. Prima di tutto su Samuele, accanto al qualo lo stesso Signore si è adagiato (1Sam 3, 10). Ma anche sui re esso si posa in maniera del tutto particolare. L’unzione dei re è una vera e propria liturgia, non molto diversa dalle nostre attuali liturgie. Dopo l’unzione con olio, Samuele dice a Saul: "Allora irromperà su di te lo spirito del Signore e ti metterai a fare il profeta insieme a loro e sarai trasformato in un altro uomo" (1Sam 10, 6). Tutto ciò, comunque, non impedisce a Saul di peccare e di commettere il male davanti al Signore, cosicché lo spirito si ritira da lui, come conosciamo dal racconto. Naturalmente, come su Saul, anche e soprattutto su Davide, con l’unzione, si posò lo spirito del Signore (1Sam 16, 13).

Anche Elia ed Eliseo ricevono lo "spirito del Signore" (2Re 2, 9.15), ma è difficile capire se si tratta veramente di spirito del Signore o semplicemente di forza particolare. In questo caso manca con chiarezza un elemento fondamentale: la provenienza divina. A prescindere dal significato di tale espressione, è comunque chiaro che in questi due personaggi Dio è presente e operante con il suo spirito. Ciò è evidente soprattutto in Elia. L’incontro con Dio narrato 1Re 19, 9-18 è una affascinante descrizione di "esperienza di Dio".

In questi libri storici esiste anche un’altra forma di spirito: è quello del cosiddetto profetismo estatico, che noi chiameremmo semplicemente "estasi" (2Re 3, 15; 1Re 18, 46) e che era molto diffuso. Saul "spedì messaggeri per catturare Davide, ma quando essi videro la comunità dei profeti in atto di profetare e Samuele che li presiedeva, lo spirito di Dio venne sui messaggeri di Saul e anch’essi si misero ad agire come profeti" (1Sam 19, 20).

Nei profeti la presenza dello spirito è abbondantissima, ma solo negli ultimi. In Osea, Amos, Abacuc e negli altri primi profeti vi sono stranamente pochi accenni alla presenza operante dello spirito. Probabilmente c’era una sorta di presa di distanza da certe forme degenerate di profetismo estatico. Nei profeti tardivi come Ezechiele e deutero Isaia, invece, lo spirito torna protagonista. È difficile scegliere tra le numerosissime citazioni. Il celebre capitolo 37 di Ezechiele (visione delle ossa che risorgono) si apre solennemente e fa capire subito che il soggetto è lo spirito: "Fu su di me la mano del Signore e il Signore mi fece uscire in Spirito". Lo spirito interviene e opera ben otto volte in questo capitolo e almeno cinquanta in tutto il libro.

In Isaia è anche molto importante la relazione tra lo spirito e il Messia, discendente della casa di Davide. È importante notare, infatti, che con la monarchia, soprattutto con Davide, l’idea di spirito muta in maniera radicale. Se prima lo spirito era una forza dirompente e temporanea, con l’avvento di Davide al trono esso si trasforma lentamente in una forza stabile, in un’assistenza continua alla casa di Davide. Se prima la ruah veniva "inviata", ora "riposa" sull’eletto del Signore (2Re 2, 15). Il fatto stesso, ad esempio, che lo spirito fosse "legato" ad un rito con l’imposizione delle mani o l’unzione, indica chiaramente come il periodo dei Giudici sia ormai molto lontano. Si dice di Davide che "il Signore si è creato un uomo secondo il suo cuore" (1Sam 13, 14). Il Messia, dunque, suo discendente, farà giustizia, annienterà gli empi, parlerà a favore dei poveri del paese (Is 11, 4). "Riposerà su di lui lo spirito del Signore, spirito di sapienza e discernimento, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore" (Is 11, 2). "Ho posto il mio spirito sopra di lui, egli proclamerà il diritto alle nazioni" (Is 42, 1). "Lo spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi unse, mi inviò ad evangelizzare gli umili" (Is 61, 1).

Lo spirito, inoltre, sempre negli ultimi profeti, non è inviato solo a singole persone, ma anche a tutto il popolo (Gl 3, 1s; Agg 2, 5; Is 32, 15; 44, 3 59, 21 ecc.). "Toglierò il cuore di pietra dal vostro corpo e vi metterò un cuore di carne. Metterò il mio spirito dentro di voi, farò si che osserviate i miei decreti e seguiate le mie orme" (Ez 36, 27). Qui lo spirito non è più il vento o il soffio vitale, ma una realtà che purifica l’uomo, lo trasforma completamente. Lo stesso spirito nel capitolo seguente farà risorgere le ossa.

Uno degli ultimi profeti sarà ancora più esplicito: "Dopo questo sopra ogni carne io effonderò il mio Spirito" (Gl 3, 1).

Nonostante la presentazione un po’ sommaria, lo sviluppo del concetto di spirito nell’AT appare comunque chiaro. Inizialmente esso è una forza di Dio. È Dio stesso che attraverso immagini o espressioni specifiche agisce ed opera. Dapprima compito dello spirito è quello di operare in una situazione concreta, temporale. Poco alla volta, però, il termine ruah acquisisce un significato autonomo. Negli ultimi profeti e nei sapienziali, dopo la tragedia dell’esilio babilonese, della distruzione del tempio, della fine della monarchia e della perdita dell’indipendenza politica, la concezione di spirito si è ampliata teologicamente. Esso non è più solo un intervento di Dio che sconfigge il nemico, ma una forza che converte i cuori e trasforma gli animi. È in questo periodo che troviamo l’espressione "Spirito Santo" (Is 63, 10.11; Sal 51, 13). La Sapienza, il Siracide, i Proverbi e parte dei Salmi parleranno dello spirito come di una realtà quasi separata da Dio (Sap 15, 11), e comunque saranno meno legati a immagini o simboli.

Credo che sia molto appropriato, come conclusione, questo brano di San Gregorio Nazianzeno:

"L’Antico Testamento proclamava chiaramente il Padre, più oscuramente il Figlio. Il Nuovo ha manifestato il Figlio, ha fatto intravedere la divinità dello Spirito. Ora lo Spirito ha diritto di cittadinanza in mezzo a noi e ci accorda una visione più chiara di se stesso. Infatti non era prudente, quando non si professava ancora la divinità del Padre, proclamare apertamente il Figlio e, quando non era ancora ammessa la divinità del Figlio, aggiungere lo Spirito Santo come un fardello supplementare, per usare un’espressione un po’ ardita... Solo attraverso un cammino di avanzamento e di progresso "di gloria in gloria", la luce della Trinità sfolgorerà in più brillante trasparenza" (Orationes Theologicae, 5, 26).

 

 

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