Vangelo della vita e scienze della vita

di Roberto Colombo

Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano

 

 

Il titolo di questa riflessione su Evangelium vitae richiede anzitutto una precisazione. Il dittico potrebbe apparire parziale o riduttivo rispetto alla portata dell'Enciclica di Giovanni Paolo II, un documento di ampio respiro, che varca i confini — assunti dalla questione bioetica a partire dagli anni ’70 — di un'etica della vita fisica, della medicina e della ricerca biologica per abbracciare ed approfondire alcuni grandi capitoli di morale sociale, propri della tradizione della dottrina sociale della Chiesa. E questo all'interno di un organico quadro biblico e teologico capace di fondare una solida antropologia cristiana.

Ma l'intervento magisteriale e il contesto culturale e sociale, da cui è stato provocato e nel quale è recepito, si confrontano con temi e problemi suscitati dalle recenti acquisizioni delle scienze biomediche e dalle loro applicazioni, soprattutto nelle fasi iniziale e terminale della vita umana. A proposito della vita, l'accostamento del sapere della fede al sapere delle scienze non è dunque arbitrario, ma suggerito dalle argomentazioni dello stesso testo pontificio (nn. 60, e 63-65) e legittimato da una consistente tradizione documentale che l'ha preceduto. Si tratta, più recentemente e precisamente, delle Dichiarazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede sull'aborto procurato (1974) e sulla eutanasia (1980) e dell'Istruzione Donum vitae (1987), ripetutamente citati in Evangelium vitae. Mi riferirò in particolare alla questione dell'inizio della "vita umana personale", ampiamente e aspramente dibattuta in diverse sedi culturali e socio-politiche e puntualmente affrontata dall'Enciclica (nn. 58-63), lasciando la questione del termine della stessa vita ad altra riflessione.

La "verità cristiana sulla vita"

La vita di cui ci parla, con stupore e ammirazione commossi, questo "lieto annunzio" non è solo quella biologico-organismica del corpo ("vita corporis", n. 47) che i nostri genitori ci hanno trasmesso attraverso la generazione (n. 43); la quale non è "pura materialità", "semplice complesso di organi, funzioni ed energia", ma già "realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo" (n. 23). L'Enciclica mette anche e soprattutto a tema la "vita della persona umana" ("vita hominis", n. 3, o "personalis vita humana", n. 60), nella cui unità somato-psico-spirituale si esprime la peculiarità — "vita propriamente umana" (n. 43) — dell'unico essere vivente nel quale "risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. [...] La vita che Dio dona all'uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere della terra (cf. Gn 2,7; 3,19; Gb 34,15; Sal 103[102],24; 104[103],29), è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria (cf. Gn 1,26-27; Sal 8,6)" (n. 34).

Ma c'è di più. Ed è così che "giunge al suo culmine la verità cristiana sulla vita" (n. 38) e si manifesta non solo la natura dell'uomo ma anche il suo significato e il suo destino, senza dei quali la conoscenza della prima non ne rivela lo "splendore della verità" e non orienta la libertà "a mantenere la vita in questa verità, che le è essenziale" (n. 48). "L'uomo è chiamato ad una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio": è la "vocazione soprannaturale" ("vita aeterna", n. 37) che "rivela la grandezza e la preziosità della vita umana" e nella quale "acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell'uomo" (n. 1-2). Anche la vita "nella carne" e "nel tempo" rivela un aspetto della "vocazione soprannaturale" dell'uomo e trova al contempo significato e valore in essa: "proprio nella "carne" di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell'uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo" (n. 104). Perché — come ricorda il Concilio — "con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo" (GS, 22; cit. al n. 104). La verità dell'uomo e del suo corpo si dispiega così dalla teologia dell'imago Dei a quella della caro Verbi, esplicitando esemplarmente la dimensione cristologica dell'"antropologia dell'immagine" che Gaudium et spes aveva solo ripresa e rivalutata.

Sapere della fede e sapere della scienza

Sin qui il Vangelo della vita. Con esso le scienze della vita si incontrano, non solo perché hanno in comune l'"oggetto" vita, ma perché i loro interessi (conoscitivo e operativo) sono complementari in ordine al sapere e all'agire dell'uomo, i quali hanno bisogno dell'uno e delle altre per essere intelligibili e praticabili. Da tutta la scienza non si può ottenere — se vale la legge di Hume — un solo grammo di morale o di senso della vita; essa, come scriveva Einstein in Scienza e Religione, "può accertare solo ciò che è, ma non ciò che dovrebbe essere, e al di fuori del suo ambito restano [... ] i giudizi di valore di ogni genere". Il senso e il non-senso, il bene e il male non sono problemi che la scienza può risolvere da sé. D'altro canto, la fede può risvegliare la ragione (nn. 2 e 101), e mostrare all'uomo la legge naturale della vita che Dio ha inscritto indelebilmente "nel cuore di ogni persona", solo mediante un richiamo a ciò che l'uomo conosce attraverso il sapere della ragione, filosofico e scientifico. Così, "pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine" (n. 2).

È quanto Evangelium vitae ha cercato di mostrare a proposito del riconoscimento della dignità umana personale della vita embrionale e fetale. Qui più facilmente che in altre stagioni della vita dell'uomo si è con diverse istanze tentato di separare diacronicamente la vita biologica umana che è ancora in fase ontogenetica dalla vita organismica individuale morfologicamente già organizzata, e quest'ultima a sua volta dalla vita di una persona umana "attiva" nelle sue facoltà psicofisiche. L'identità, l'individualità o la personalità di un essere umano vengono affermate o negate in base alla presenza o alla assenza di determinati livelli di organizzazione morfo-funzionale capaci — a dire dei fautori di tali ipotesi — di sostenere una attività manifestamente "umana" (come, ad esempio, la sensitività o la cognitività) o di recepire un "principio spirituale" (ominizzazione o animazione): viene così tirata una arbitraria linea di demarcazione tra vita umana, non ancora degna di assoluto rispetto, e persona umana, titolare del diritto alla vita.

L'argomentazione sviluppata dal Papa supera il gioco delle ipotesi attraverso una fondazione antropologica diversa. Già con la chiamata alla vita da parte di Dio si stabilisce l'"identità" di ogni uomo che viene al mondo: "l'esistenza di ogni individuo, fin dalle sue origini, è nel disegno di Dio" (n. 44). È nella nostra irripetibilità per l'atto creatore di Dio che si fonda il nostro essere originale e unico. La ragione della individualità personale deve essere ricercata nel rapporto tra "procreazione" umana e "creazione" divina: nella dipendenza ontologica di questi due atti si istituisce la relazione tra "biologico" e "umano", tra "individuazione" e "personalizzazione". Sarà così possibile evitare quella "mescolanza di scienza biologica e di filosofia, nella quale l'unità di anima e di corpo dell'essere umano viene disconosciuta e si dà spazio ad un ragionamento ultimamente arbitrario sul rapporto tra corporeità, individuo ed essere personale" (J. Ratzinger). Già nella Lettera alle Famiglie dello scorso anno Giovanni Paolo II aveva ricordato che "quando dall'unione coniugale dei due nasce un uomo nuovo, questi porta con sé al mondo una particolare immagine e somiglianza di Dio stesso: nella biologia della generazione è inscritta la genealogia della persona. Affermando che i coniugi, come genitori, sono collaboratori di Dio Creatore nel concepimento e nella generazione di un nuovo essere umano non ci riferiamo solo alle leggi della biologia; intendiamo sottolineare piuttosto che nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in modo diverso da come avviene in ogni altra generazione "sulla terra". Infatti soltanto da Dio può provenire quella "immagine e somiglianza" che è propria dell'essere umano, così come è avvenuto nella creazione. La generazione è la continuazione della creazione" (Gratissimam sane, 9; cit. al n. 43).

Gli inizi della "vita umana personale"

Il Papa, che con l'Enciclica si rivolge "al cuore di ogni persona, credente e anche non credente", sa bene che "la questione della vita e della sua difesa e promozione non è prerogativa dei soli cristiani". Se dalla fede essa riceve "luce e forza straordinarie", si tratta però "di un valore che ogni essere umano può cogliere anche alla luce della ragione e che perciò riguarda necessariamente tutti" (n. 101). L'affermazione può apparire per qualche aspetto sorprendente, data la fondazione eminentemente teologica dell'imperativo morale di Evangelium vitae e nota la controversa — e tuttora inconclusa — questione sullo "statuto" degli inizi della vita umana, che ormai da due-tre decenni agita le discussioni tra biologi, medici, filosofi, teologi e giuristi, sollecitati in un primo momento dalla problematica dell'aborto e successivamente anche da quella delle manipolazioni embrionali nel corso della procreazione assistita e della sperimentazione. Il documento ha presente che alcuni tentano di giustificare l'aborto e altri interventi non terapeutici sull'embrione e sul feto "sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fino a un certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale" (n. 60), e conosce "anche le discussioni di carattere scientifico e filosofico circa il momento preciso dell'infusione dell'anima spirituale" (n. 61). Vi è tra teologi e pensatori cattolici, per non dire di numerosi non credenti, chi mette in dubbio che sia possibile definire l'embrione o anche il feto come essere umano nel pieno senso della parola, titolare dei "diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita" (n. 60). Ad essi il Papa risponde con una duplice argomentazione razionale, di carattere prevalentemente scientifico-biologico la prima e logico-probabilistico la seconda. Basandosi quest'ultima sull'"osservazione indiscutibile" (J. Ratzinger) che "basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano" (n. 60), essa non richiede altra legittimazione che il rimando a ciò che sostiene, se non la certezza, almeno la "probabilità" che fin dalla formazione e dal suo primissimo sviluppo il "frutto della generazione umana" è una "vita umana personale". Consideriamo brevemente la prima delle due tesi, alla quale rinvia, logicamente, anche la seconda. Essa è anche quella che si confronta più direttamente con il sapere (empirico) delle scienze biologiche e mediche, la portata ontologica dei cui asserti non può essere ridotta con facilità anche da una argomentazione filosofica e teologica, ultimamente competente a definire la questione dello statuto ontologico dell'embrione e del feto umano.

Il contributo delle scienze della vita

Richiamando le parole della Dichiarazione sull'aborto procurato, Giovanni Paolo II afferma che "dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto". Si tratta di una "evidenza" alla quale "la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e trovarsi pronta ad agire" (n. 60). Le caratteristiche biologiche che qui vengono riprese sono ancor più chiare e scientificamente documentate oggi che non nel 1974, anno di pubblicazione della Dichiarazione. È quindi fuori luogo ogni critica che — nel tentativo di demolire l'argomentazione — insinui il dubbio di un uso scorretto di affermazioni scientifiche non aggiornate o smentite da più recenti dati sperimentali, o che agiti lo spettro di nuovi conflitti "galileiani" o "darwiniani" tra fede e scienza.

Ad esempio, l'individualità genetica ("programma" genetico) di ogni nuovo organismo si va sempre più precisando nella suo contenuto informazionale (cf. il Progetto Genoma Umano, in fase di realizzazione) e nella sua espressione (cf. le numerose ricerche sui markers fenotipici e sul linkage tra genotipi e fenotipi normali e patologici). Non solo sappiamo con certezza, ora come vent'anni fa, che nella riproduzione sessuata è garantita — attraverso la segregazione indipendente dei cromosomi omologhi e la ricombinazione genica (crossing-over), che avvengono nel corso della meiosi — la originale differenza informazionale del genotipo di ogni individuo, anche se i gameti provengono dagli stessi due genitori. Ma siamo oggi anche in grado di rilevare e quantificare tale identità biologica attraverso le tecniche della genetica molecolare (DNA fingerprinting), della biochimica (protein patterns) e della immunologia (monoclonal antibodies), applicabili anche alla tipizzazione di fasi molto precoci dello sviluppo (cf. la cosiddetta "diagnosi pre-impianto" sugli embrioni).

Ma — come ha rilevato il Card. Ratzinger presentando l'Enciclica — "a questo dato di fatto oggi indiscusso si contrappone però da molte parti che l'embrione iniziale possiede sì un'individualità genetica, ma non un'identità multicellulare, e pertanto nel senso ontogenetico si potrebbe qualificare l'embrione iniziale come pre-individuale. Detto con altre parole: individualità genetica e individualità personale sarebbero da distinguere". Da qui le "discussioni di carattere scientifico e filosofico circa il momento preciso dell'infusione dell'anima spirituale" (n. 61), alle quali risponde indirettamente Evangelium vitae. "Anche se la presenza di un'anima spirituale non può essere rilevata dall'osservazione di nessun dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull'embrione umano a fornire "un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?" (Donum vitae I,1)" (n. 60).

Di quali conclusioni della scienza si tratta? Con l'emergere di nuovi dati citologici e funzionali (ultrastrutturali, genetici e biochimici) sui blastomeri, sulle loro reciproche relazioni, e sulla base genetico-molecolare della epigenesi, le attuali conoscenze sulla morfologia e la fisiologia dell'embrione anche nelle primissime fasi del suo sviluppo (prima dello stadio di blastociste) si stanno precisando. E rivelano sempre più chiaramente una unità biologica individuale di tipo organismico impegnata in un altamente organizzato processo di accrescimento e di sviluppo, piuttosto che mostrare — come alcuni continuano a ritenere — un semplice "aggregato di cellule" citogeneticamente umane ma ontogeneticamente indipendenti o irrelate le une dalle altre. Anche i fenomeni della totipotenzialità dei blastomeri e della gemellanza monozigotica, che presentano la maggior difficoltà per molti filosofi e teologi, possono oggi essere ricompresi sulla base di una migliore conoscenza della struttura e delle proprietà delle cellule e delle componenti extracellulari dell'embrione precoce. Un esempio tra i molti: il recente studio (1994) pubblicato dal gruppo di Jacques Cohen della Cornell University di New York suggerisce l'esistenza di una relazione causale tra la struttura fisica della zona pellucida (il rivestimento glicoproteico dell'oocita e dell'embrione prima dell'impianto) e la generazione di gemelli monozigoti per separazione della massa cellulare interna della blastociste umana. La formazione di due gemelli a partire da un solo embrione allo stadio di blastociste risulterebbe determinata, nel corso dell'"hatching" (la fuoriuscita della blastociste dalla zona pellucida, che precede l'inizio dell'impianto nell'endometrio uterino), da un alterazione o difetto di questa struttura embrionale e non da una proprietà generale e intrinseca dell'embrione umano o delle sue cellule, le quali sono teleologicamente orientate — all'interno di una struttura morfologicamente normale — allo sviluppo di un organismo individuale. Se confermata, questa osservazione mostrebbe a livello embriogenetico la ragione di ciò che già sappiamo dalla statistica medica: la gemellanza monozigotica è solo una eccezione rispetto alla regola, e quindi non in grado di accreditare una disgiunzione normativa tra "individualità genetica" e "individualità personale".

Per concludere, nella letteratura scientifica c'è quanto può sostenere almeno la "probabilità" che ci si trovi di fronte, sin dall'avvenuto processo di fecondazione, ad un "individuo umano" (e "come un individuo umano non sarebbe una persona umana?"). Probabilità che le scienze della vita potranno eventualmente arricchire di ulteriori evidenze empiriche, ma che già basta "per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano" (n. 60), anche nei primissimi stadi del suo sviluppo.

Occorre riconoscere la verità della vita per rispettarla: su questa strada ci è maestro il Vangelo e amica la scienza. Ma ciò che consente alla libertà dell'uomo di scegliere il rispetto non è diverso da ciò che permette all'intelligenza di coglierne la verità: l'amore alla vita. Intelligitur quod amatur tantum.