9. Destra e sinistra hegeliana
Già da quando era ancora in vita Hegel, tra i suoi seguaci si delinearono dei dissensi, che non erano solo d'ordine teorico. I temi hegeliani su cui avvenne la frattura erano proprio quelli da Hegel sviluppati nell'ultima fase del suo insegnamento, su cui egli aveva lasciato la grave ipoteca dell'ambiguità. Come bisognava intendere i rapporti tra religione e filosofia? Che cosa significa che lo stato è la massima incarnazione della razionalità dello spirito nella sua dimensione "oggettiva"? Problemi, questi, di non poco conto: perché a seconda delle interpretazioni scaturiva, relativamente al primo, la possibilità o l'impossibilità di un accordo tra visione hegeliana e verità religiose, e in particolare tra hegelismo e chiesa luterana tedesca; e, relativamente al secondo, la valutazione positiva o la critica rigorosa dell'assetto politico tedesco, e in particolare della gestione autoritaria dello stato prussiano.
La "scuola" quindi si divise ben presto in due gruppi contrapposti che David Strauss definí "destra" e "sinistra", prendendo a prestito i termini dalla fraseologia politica francese, che con il primo indicava i conservatori e con il secondo i progressisti, riferendosi al posto che questi due gruppi politici occupavano rispettivamente nel parlamento francese, rispetto al banco della presidenza. Peraltro quei termini, nell'applicazione ai due gruppi filosofici, conservavano il loro originario significato politico, se si tien conto che, schematizzando, intorno ai filosofi della destra - "conservatori" della tradizione culturale, religiosa e politica - si riunirono uomini dalla collocazione politica "conservatrice", cioè quei docenti universitari e quei teologi che esprimevano la cultura ufficiale del regime prussiano; mentre i filosofi della sinistra raccolsero simpatie e consensi soprattutto in ambienti giovanili, tra coloro che contestavano la cultura accademica e nutrivano un atteggiamento fortemente critico nei confronti del vigente ordinamento politico-sociale, cioè nell'ambiente dei "progressisti".
Seguiremo quindi la storia di questa frattura, sia pure per linee generalissime, sulla scorta della tripartizione, ormai comunemente accettata in sede di storiografia filosofica, della vita della scuola hegeliana.
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Il primo periodo della scuola hegeliana (1816-1831) è il periodo in cui Hegel insegna all'Università di Heidelberg e a quella di Berlino. I contrasti tra i suoi discepoli restano allo stato latente, perché mitigati dai frequenti interventi dello stesso Hegel. Ma questi, tuttavia, non nasconde la sua simpatia per le posizioni assunte da Wilhelm Hinrichs (1794-1861) e da Karl Friedrich Göschel (1781-1861), che, dopo la sua morte, diventeranno i massimi esponenti della "destra". Infatti manifesta il suo consenso all'opera La religione nei suoi rapporti con la scienza (1822), in cui Hinrichs sostiene la conciliabilità di ragione e fede, di filosofia e religione, per la coincidenza dei loro oggetti; e al saggio Aforismi sul Non-sapere e sul Sapere assoluto (1829), in cui Göschel afferma che solo una teologia ispirata ai principi hegeliani può offrire una giustificazione razionale alle verità di fede.
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Il secondo periodo della scuola hegeliana (1831-1839) si apre alla morte di Hegel. Si delineano netti i contorni dei due gruppi di discepoli su due problemi d'ordine religioso, cioè: a) sulla possibilità di sostenere l'immortalità dell'anima individuale, che la "destra" afferma e la "sinistra" nega, e b) sul valore della narrazione evangelica, che la "destra" giudica racconto autenticamente "storico" e la "sinistra" valuta "racconto mitico".
Infatti, quando nel 1833 FRIEDRICH RICHTER pubblica l'opera La nuova immortalità, in cui sostiene che nessuna dottrina sull'immortalità dell'anima possa trovar fondamento nel sistema hegeliano, contro di lui intervengono, trovando nella polemica la loro aggregazione e la loro coagulazione teorica, Kasimir Conradi (1784-1849), Christian Hermann Weisse (1801-1866) e il già citato Göschel; essi difendono la possibilità e la legittimità di una fondazione speculativa, sulla base dei principi hegeliani, dell'immortalità dell'anima (Göschel, anzi, presenta anche "tre prove"); e ribadiscono, in generale, la possibilità che la ragione speculativa dia fondamento razionale alle verità dogmatico-religiose, e la possibilità della conciliazione tra l'hegelismo e la verità di fede propugnata dal cristianesimo.
La divisione poi si consolida quando David Friedrich Strauss (1808-1874) pubblica, nel 1835, la celebre Vita di Gesù. In quest'opera si sostiene:
•1) bisogna distinguere i vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), che rappresentano solo la "lettera" del racconto evangelico, dal vangelo di Giovanni, che ne rappresenta invece lo spirito; •2) il racconto evangelico non è "storia" ma "mito"; il Gesù in esso presentato non è "storico", ma è il "Cristo della fede"; •3) il mito evangelico non è che un'idea metafisica che trova espressione non nel discorso razionale, ma in un racconto fantastico; •4) Gesù, il Cristo, nasce dall'aspettazione popolare del Messia, per cui il Vangelo, come racconto mitico della vita di Gesù, rappresenta una risposta che un popolo storicamente s'è data ad un bisogno reale; •5) c'è pertanto differenza sostanziale tra religione cristiana, fondata sul mito, e filosofia, che è discorso razionale, anche se i contenuti sono identici; •6) l'identità di contenuto è l'unità di finito e infinito, di uomo e Dio, che religiosamente trova forma nella dottrina dell'incarnazione; •7) ma proprio tale dottrina sancisce non solo la differenza, ma la inconciliabilità di cristianesimo ed hegelismo, perché a) il primo concepisce l'incarnazione avvenuta una sola volta, con Cristo, nella storia, mentre per l'hegelismo l'incarnazione del divino nell'umano è evento continuo nel processo storico, b) proprio perché per il cristianesimo l'incarnazione è avvenuta una sola volta, esso può propugnare quel dualismo tra mondo divino e mondo umano che è assolutamente estraneo all'hegelismo.
Contro l'opera di Strauss si sollevano, insieme, Weisse, già citato, Georg Andreas Gabler (1786-1853), Julius Schaller (1807-1868) e, infine, Bruno Bauer (1809-1882), un giovane pensatore che ora si riconosce nella posizione della "destra" (e polemicamente fonda la "Rivista di teologia speculativa", quale organo di diffusione dell'orientamento del suo attuale gruppo), ma che presto cambierà opinioni e partito, fino a professare esplicitamente l'ateismo. Questi filosofi, com'è prevedibile, sostengono l'autenticità storica dei vangeli, e, naturalmente, ribadiscono la conciliabilità tra cristianesimo e dottrina hegeliana anche in riferimento agli argomenti addotti da Strauss.
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Nel terzo periodo della scuola hegeliana (1840-1845) permangono gli strascichi delle polemiche sui temi religiosi. Strauss pubblica infatti La fede cristiana nel suo sviluppo e nella lotta con la scienza moderna; e Bauer, ora collocato nella sinistra, dà alle stampe La critica dell'evangelo di Giovanni e La critica degli evangeli sinottici.
Ma questo periodo è caratterizzato piuttosto dal contrasto su problemi d'ordine giuridico, politico e sociale. Da una parte si sostiene che l'assetto dello stato prussiano costituisce la piena realizzazione della razionalità dell'Idea, e quindi il punto d'arrivo della dialettica storica; dall'altra si afferma che la stessa legge dialettica implica la negazione di ogni punto d'arrivo, e quindi un superamento dell'assetto dello stato prussiano in una nuova forma politica che incarni una piú piena attuazione dello Spirito universale. Su questa seconda linea si muove Arnold Ruge (1802-1880) e il gruppo dei "giovani hegeliani"; gruppo che peraltro non ebbe vita facile, perché oggetto di azioni repressive da parte dell'autorità politica a causa della sua posizione critica nei confronti dell'ordine costituito.
L'orientamento di questo gruppo non rimase però omogeneo, se si considera che ad esso parteciparono anche intellettuali come Max Stirner, Feuerbach e Marx, i quali, dopo un breve periodo di adesione alla linea teorica dominante, se ne distaccarono o capovolgendo il pensiero hegeliano e spingendolo verso esiti del tutto imprevisti, o criticando rigorosamente gli stessi presupposti hegeliani.
JOHANN KASPAR SCHMIDT, noto con lo pseudonimo Max Stirner (1806-1856), sebbene scolaro di Hegel a Berlino, pubblicò l'opera L'unico e la sua proprietà (1845), in cui contrappone all'universalismo del suo maestro un radicale individualismo. L'individuo è l'unica realtà e l'unico valore storico. Ogni singolo uomo è un "dato" unico e irripetibile. Egli stesso è dunque la misura di tutto, anche del suo comportamento etico; pertanto non deve modellarsi su ideali (gli ideali sono analoghi alle idee fisse della follia), ma deve vivere secondo la sua tendenza egoistica, e libero dal condizionamento di qualsivoglia autorità, sia essa ecclesiastica, sociale o politica. Si deve pertanto rifiutare anche l'ideale socialista, che se da una parte si propone di liberare l'individuo dall'asservimento al potere della proprietà privata, dall'altra si propone di ridurlo nella totale dipendenza dalla società. Il socialismo dunque non propugna la vera libertà; e non potrebbe farlo, perché essa nasce nel singolo e per il singolo: l'io, quello individuale, dev'essere il principio, il centro e il fine di ogni cosa. A questo precetto deve informarsi anche l'amore: "Anch'io amo gli uomini, ma li amo con la coscienza dell'egoista, li amo perché il loro amore mi rende felice, perché l'amore è incarnato nella mia natura, perché cosí mi piace". E non ci si scandalizzi, dice Stirner, che in base a questi presupposti l'altra persona si riduca ad oggetto; infatti non potrebbe essere altrimenti. Sicché l'unica forma di convivenza civile tra gli uomini non è la società organizzata in uno stato, ma solo una libera associazione che costituisca non un fine ma un mezzo che permetta al singolo di realizzare le sue infinite possibilità. Tale associazione non può nascere se non dalla distruzione dell'ordinamento sociale, attraverso l'insurrezione.
Contro l'annegamento del singolo "nel gran mare dell'Idea", proposto da Hegel, Stirner prospetta la riappropriazione che l'individuo deve compiere di se stesso. E contro il mito hegeliano dello stato-razionalità, egli oppone una concezione radicalmente anarchica. Tutto ciò a partire dallo stesso insegnamento di Hegel.
Discorso a parte naturalmente meritano Feuerbach e Marx, il cui iter di pensiero è ben piú ricco e articolato, anche se, essi, come Stirner, partiti dall'entusiasmo per il sistema hegeliano, giungono ma stavolta attraverso un acuto e maturo ripensamento critico - ad esiti non solo diversi ma opposti.