La Bioetica personalista

 

Évêque Elio Sgreccia




Il punto di partenza: le teorie etiche in Bioetica

Quando mi accinsi a scrivere il Manuale di Bioetica mi si presentò subito l'urgenza di una indagine non facile da compiere. Non era difficile raccogliere le prime informazioni presenti in quel momento sui vari temi particolari della bioetica: l'ingegneria genetica, la procreazione artificiale, i trapianti di organi e tessuti, la sperimentazione e così via...

Il punto più delicato era invece quello di identificare le point de départ, il fondamento e il riferimento cardine per il giudizio etico e per le prospettive della bioetica. Per poco che si conoscesse dalla letteratura internazionale, si comprendeva bene che erano presenti già varie impostazioni, vari modelli di bioetica. Noi desideravamo proporre un modello che fosse valido e comprensibile, di carattere positivo e non semplicemente polemico e rivendicativo, a misura della rilevanza dei problemi e della responsabilità di chi esercita la professione di ricercatore, di medico, di legislatore o di educatore nella società: un modello che avesse una sua coerenza e un suo fondamento e desse unità di visione alla trattazione dei singoli problemi.

Avevo seguito in modo speciale nella mia giovinezza e durante gli studi universitari lo sviluppo del filone di pensiero personalista che, a partire dai classici e poi da Agostino e Tommaso, aveva ripreso vigore più recentemente nelle proposte culturali in Europa con J. Maritain, E. Mounier, G. Marcel, E. Gilson, la neoscolastica, il neotomismo, e più recentemente J. Seifert. Avevo valutato come questo pensiero fosse stato presente - nel dopoguerra - nell'elaborazione dei diritti dell'uomo ed avesse influito su molte costituzioni.

Sulla scorta di tale eredità, classica, cristiana e contemporanea, si poteva trovare il punto di riferimento per questa nuova elaborazione culturale: la bioetica.

C'erano dunque già allora presenti - e ci sono ancora - modelli di pensiero che già influenzavano il dominio della bioetica: l'etica liberale, l'etica utilitarista, e il contrattualismo, la sociobiologia, la bioetica dei principi1. E c'erano già impostazioni a prevalente caratterizzazione teologica sia in ambito protestante che in ambito cattolico. Risultava evidente che in tutte queste posizioni era presente certamente una generica istanza personalista: si intendeva valorizzare l'uomo come destinatario e autore ad un tempo della scienza e della tecnica, ma la visione dell'uomo risultava fortemente diversificata, talora si presentava riduttiva ed evanescente, e altrettanto incerto risultava il criterio orientativo per il giudizio etico, il cosiddetto fondamento del giudizio etico.

La corrente liberale2, come sappiamo, trae le sue origini da A. Smith, J. Locke e J. Stuart Mill e arriva fino ai nostri giorni all'interno di una complessa area dove si ritrovano neoilluministi, decisionisti, emotivisti, liberatoristi da Sartre e Marcuse, Ayer, Stevenson, Scarpelli. A questa corrente si deve riconoscere il merito, nell'ambito dell'etica medica, di aver sottolineato le istanze relative ai diritti del malato e la necessità del consenso informato, ridimensionando il cosiddetto "paternalismo medico". Ma l'insistenza unilaterale sulla libertà e su un concetto di libertà svincolato dalla verità in cui vengono, per così dire, risolte l'intera soggettività e la realtà della persona, porta a misconoscere l'ontologia, la realtà fontale stessa della persona umana, il suo statuto, sfociando nell'individualismo relativistico, cancellando la dimensione della responsabilità di fronte all'essere umano in quanto tale e di fronte al futuro dell'umanità. La prospettiva soggettivista propria del liberalismo attuale comporta anche la concentrazione in ambito morale e valoriale del concetto di persona nel soggetto di età adulta, quello che è capace di autonomia ed è in grado di avere e di esercitare la libertà. Ne consegue la svalutazione del soggetto non ancora capace di esistenza autonoma o non più in grado di esercitare l'autonomia. Provengono soprattutto da questa ideologia le richieste per la liberalizzazione dell'aborto e dell'eutanasia.

Contro questa posizione libertaria prende posizione molto chiara la Lettera Enciclica "Evangelium vitae" sia per quanto riguarda la sua concezione antropologica, sia in relazione alla triste possibilità di trasformare la democrazia in regime di discriminazione e di sostanziale totalitarismo3. L'Enciclica porta infatti la sua attenzione critica nei confronti di quella mentalità che, esasperando e perfino deformando il concetto di soggettività, riconosce come titolare dei diritti solo chi si presenta con piena o almeno incipiente autonomia ed esce da condizioni di totale dipendenza da altri....4

Parlando del "principio di tolleranza", proposto come necessario per la coesistenza delle scelte dei singoli, dai cultori di questo pensiero liberale e considerato essenziale alla democrazia, la stessa Enciclica commenta: "Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione tirannica nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso. La coscienza universale giustamente reagisce nei confronti dei crimini contro la umanità di cui il nostro secolo ha fatto così tristi esperienze"5. Una critica più intrinseca, direi, a questo sistema, in cui la persona viene risolta nella soggettività, l'aveva già avanzata in modo netto lo stesso Karol Wojtyla, ancor prima di essere Giovanni Paolo II: "Bisogna ... fin dall'inizio rendersi ben conto del fatto che ogni soggetto è nello stesso tempo essere oggettivo, è oggettivamente qualcosa o qualcuno"6. Commenta a proposito J. Seifert: "Anzi, la persona è in un certo senso l'ente più reale e più obiettivo di tutti; attraverso il suo autopossesso cosciente e la sua libertà essa esiste in un senso più proprio che tutti gli altri enti ed è l'essere in senso proprio"7.

L'autore spiega che il termine "oggettività" qui non significa la cosificazione del soggetto, ma "oggettivo significa qui reale in sé, significa tutto ciò che non è mera apparenza o fenomeno ... La persona è invece in se stessa assolutamente reale, è la realtà più reale del mondo"8. Vedremo più avanti la ricchezza di questa affermazione che risale a S.Tommaso: "Ens quod est perfectissimum in tota natura"9. Del resto se la persona non avesse una sua consistenza reale, dove e come si realizzerebbe la soggettività, l'autonomia e la libertà?

Il nostro orizzonte di pensiero non vuole certamente sottovalutare la qualificazione della libertà nella persona, ma intende fondarla ontologicamente e metafisicamente, aprendola alla verità e alla responsabilità. Ogni scelta libera ha un contenuto e questo contenuto va giudicato secondo verità e del contenuto scelto portiamo la responsabilità.

Per questi motivi abbiamo parlato sempre di personalismo ontologicamente fondato per distinguerlo da altri personalismi di ispirazione soggettivista10 e individualista.

Il panorama che ci veniva dischiuso già dieci anni fa soprattutto dalla bioetica statunitense comprendeva altre correnti di pensiero: il principialismo, l'utilitarismo e il contrattualismo. Il cosiddetto principialismo, che negli USA, e un po' ovunque, ha trovato ampia diffusione, ha rappresentato certamente uno sforzo importante, come ha rilevato anche lo storico Diego Grazia11, per sintetizzare quanto la storia della etica medica aveva prodotto nei secoli e cioè: il principio di beneficenza/non maleficenza proprio dell'etica ippocratica, di cui è stato sempre interprete e sacerdote il medico con la sua autorità paternalistica; il principio di autonomia su cui si regge l'etica moderna, che rivendica i diritti del paziente di fronte al suo medico, e il principio di giustizia attorno al quale si sono sviluppate le visioni e le istanze sociali dell'epoca contemporanea. Tuttavia tali principi venivano presentati come concetti di mediazione, linee regolative senza una precisa antropologia di riferimento.

Ancor più problematico diventava il loro impiego dal momento che non veniva proposta una gerarchia fra i diversi principi né una definizione precisa della loro portata. Che cosa significa beneficenza e quale è l'idea di bene che vi è presupposta? Il principio di autonomia è esso stesso assoluto, oppure è regolato dal principio di beneficenza? Queste critiche ci hanno convinto a considerare utilizzabili questi principi soltanto all'interno di un'antropologia fondata sulla realtà della persona umana.In rapporto alla persona umana si dovrà definire cosa significa il bene e la beneficenza, quale sia l'ambito dell'autonomia e la misura della giustizia.

Gli indirizzi dell'utilitarismo e del contrattualismo, sganciati come sono dalla verità ontologica e da ogni fondazione veritativa della norma, per la loro impostazione "non cognitivista", ci sono apparsi come modelli insufficienti e anche pericolosi. Come e con quale criterio si può definire ciò che è utile per il singolo nell'ambito di quella che si è voluta chiamare "l'etica pubblica"? Se per utilità s'intende secondo il programma di Bentham la ricerca del piacere (il principio felicifico), allora la diminuzione della sofferenza e l'estensione massimale di questo elemento nella società favorisce soltanto chi può esprimere il suo giudizio sul piacere/dolore12. Non per nulla c'e stato tra gli utilitaristi chi ha declassato la norma morale fino al punto di privare di ogni protezione chi non è in grado di sentire dolore o piacere, come l'embrione precoce. E' stata data in questa ottica rilevanza assiologica agli esseri viventi a secondo della capacità di sentire dolore e piacere13. E sorgono gli interrogativi: chi stabilisce quando un determinato atto è utile? A chi dovrebbe essere rivolta questa utilità? E come conciliare l'utilità del singolo con quella della società? Si è tentato di introdurre, per moderare l'utilitarismo, alcune regole di beneficialità più ampia, come il concetto dell'equità o del minimo assistenziale, mitigando l'utilitarismo dell'atto con l'"utilitarismo della norma". Le regole di "equità", "imparzialità", di "osservazione naturale", di "estensione sociale dell'utilità" o del "calcolo felicifico sociale", di "minimo etico" non valgono però ad annullare una situazione di relativismo e di assenza di un fondamento veritativo della norma. Anche il concetto di "qualità della vita", modernamente introdotto in questa prospettiva, rivela il suo carattere selettivo quando viene negata la "qualità della vita" alla persona gravemente compromessa dalla malattia e dall'handicap e quando si giustifica l'eliminazione dei soggetti la cui sofferenza possa ricadere sulla società. In questa ottica si suggerisce la soluzione impietosa di eliminare i nascituri affetti da patologie incurabili14.

Recentemente viene proposta da Dworkin la teoria fondata sul concetto di "interesse del soggetto". Indubbiamente si tratta ancora di una teoria a sfondo utilitarista: non si può chiedere all'embrione affetto da una malattia se ha interesse o no a che sia rispettata la sua propria vita15. Il contrattualismo fa da ponte tra l'utilitarismo e il liberalismo: a partire dalla presupposta impossibilità di trovare una verità a fondamento della norma si fa ricorso al principio liberale del "consenso", alla "comunità etica". La società in quanto comunità dovrebbe definire e fondare, volta a volta, il bene in concreto secondo la maggioranza dei consensi. L'esponente principale di questo indirizzo è H.T. Enghelardt16. L'etica pubblica si dovrebbe distinguere secondo questo autore da quella privata, la quale potrebbe essere fondata a sua volta, in modo del tutto soggettivo e intimista, sulla fede religiosa di ciascun individuo.

La conseguenza più abnorme di questa impostazione contrattualistica, che fra l'altro porta ancora alla legittimazione dell'aborto, dell'eutanasia terminale e neonatale, è rappresentata dal differenziato concetto di persona che viene proposto: la persona in senso pieno potrebbe essere riconosciuta in colui che, facendo parte della comunità etica, può prendere parte alla contrattualità. Ne consegue una sottovalutazione e un declassamento etico sia di coloro che sono ritenuti "non ancora persone" (nascituri e infanti) sia di coloro che sono definiti come "non-più persone" (malato in coma, malato mentale cronico).

L'abbandono del criterio oggettivo del bene e del male alla libera contrattazione, specialmente nella società attuale in cui il consenso stesso viene costruito da coloro che influenzano l'opinione, essendo portatori di interessi forti e coalizzati, significa l'abbandono del debole e dell'indifeso alla mercé di chi più conta economicamente e in termini di potere.

Nell'area culturale tedesca l'etica fenomenologica presentava con Husserl, Scheler e Hartman un'apertura ampia ai valori etici, in quanto ogni realtà viene intuita e sentita come valore, e la vita stessa viene considerata come realizzazione di valori e "ricerca di senso".

Tuttavia anche in questa filosofia il fondamento etico si risolve nell'intuizionismo emotivo e religioso o, al massimo, nel riconoscimento della universalità formale dell'etica. Il valore nella situazione concreta rimane dipendente dalla scelta del soggetto: siamo di fronte ad una larga apertura all'individualismo nel presupposto che non si possa mai dare nel concreto un giudizio assoluto per nessun tipo di azione17. La fenomenologia ha tuttavia ricevuto una nuova formulazione anzi un vero superamento nell'opera di J.Seifert con un ritorno al personalismo ontologico di cui più ampiamente ci occuperemo.

Certamente interessante è da considerare l'apporto alla bioetica da parte di alcuni autori tedeschi, in particolare K.Q. Apel e di J.Habermas: la teoria della comunicazione che viene proposta da questi autori in area culturale tedesca pone alla base del consenso sociale la comunicazione che dovrebbe consentire da una parte il superamento della "ragione calcolante" dell'utilitarismo e dall'altra dovrebbe aprire la possibilità dell'intesa sui contenuti e i destinatari dei valori. Bisogna riconoscere che alcuni valori sono impliciti certamente nella stessa comunicazione, come la veridicità, il rispetto dell'opinione dell'altro, il rispetto della libertà di espressione, ma sono valori previ e preparatori per la fondazione di una norma. Lo stesso principio fondamentale (Grundnorm) posto da questa corrente secondo cui "le norme da giustificare devono essere capaci di ottenere il consenso sulle loro prevedibili conseguenze per tutti gli interessati" rischia di subordinare la validità della norma al consenso18.

Più evasivo si presenta il discorso della cosiddetta deontologia prima facie. Secondo questa impostazione, infatti, non si danno doveri sempre e comunque validi, ma soltanto doveri che sono validi prima facie, come dire in linea ideale, ma in concreto nella loro applicazione tali principi ammettono eccezioni e conflitti per i quali non può essere data una soluzione omogenea e certa. Noi pensiamo che se non si vuole evitare il relativismo delle scelte concrete, in cui si realizza storicamente il comportamento morale, bisognerà sottolineare l'obbligo e la necessità di chiarire e risolvere gli eventuali conflitti dei valori, componendoli in gerarchia e in armonia tra loro. La scienza etica e l'esercizio delle virtù etiche prendono significato dall'assunto di poter giungere all'affermazione del bene in concreto valido per tutti19.

Se lo spazio di questa relazione lo consentisse dovrei fermarmi a lungo nella critica del cosiddetto modello sociobiologista e dell'etica descrittiva. Questo modello è fondato sull'evoluzionismo Darwiniano e sul sociologismo di M. Weber. In netta opposizione alla "legge di Hume" si sostiene la fondazione fattuale della norma morale: i valori sono visti come il risultato dell'evoluzione sociale e la morale concepita come il meccanismo di difesa e legittimazione dei valori via via conquistati con il progresso. Per quanto riguarda la medicina e le scienze biomediche in generale si sostiene il criterio del progresso senza limitazioni esterne: è lecito ciò che rappresenta un progresso scientifico e tecnologico; si sostiene la legittimità, perciò, dei criteri eugenistici sia in senso negativo (eliminazione dei soggetti che possono appesantire la vita della specie) che in senso positivo (per la creazione di condizioni di vita superiore e migliorativa)20. Si possono, tuttavia, riconoscere in questa corrente di pensiero delle sottocorrenti: alcuni sono portati semplicemente al riconoscimento giustificativo dei valori esistenti nelle società; altri sono propensi anche alla giustificazione degli interventi innovativi e selettivi sul patrimonio genetico dell'umanità. In ogni caso in questa corrente prevale l'identificazione vichiana del verum ipsum factum e quindi del bonum ipsum factum.

L'individuo, secondo questa teoria, viene sommerso nella specie, la verità è identificata con l'opinione prevalente e la morale è affidata alla fatticità con un completo capovolgimento di primato: non è la morale che giudica i fatti, ma i fatti che fondano l'eticità. Sappiamo come questa idea del progresso, concepita prevalentemente in senso biotecnologico e sociologico, ha avuto in questo secolo una forte problematizzazione a partire da Hiroshima e Nagasaki e ancor prima dalla condanna dell'eugenismo nazista. La bioetica è nata anzi come un grido di allarme per rendere il mondo cosciente che non tutto quello che è tecnicamente possibile è anche eticamente lecito; perciò in una posizione opposta a quella sociobiologista. I fondatori della bioetica, come Potter, Jonas, Callaghan, hanno inteso la bioetica come difesa nei confronti dei pericoli inerenti nel progresso tecnologico.

 

ALLA RICERCA DEL FONDAMENTO

Il nostro secolo si sta chiudendo dunque anche per la bioetica, a 25 anni dalle sue origini, con una sorta di bilancio paradossale. Da una parte la bioetica ha ampliato il suo intervento e il suo ambito di osservazione prima ancora che ci sia l'accordo sulla sua definizione e senza che si sia raggiunto un vasto consenso sui criteri fondativi. La nuova definizione21 contenuta nell'Encyclopedia of Bioethics risulta ancor più generica e descrittiva della precedente e, come si sa, si discute ancora se la bioetica sia una nuova disciplina oppure un nuovo modo di trattare i problemi della biomedicina con metodologia interdisciplinare in rapporto ad un insieme di istanze umanistiche o se debba essere mantenuta ad un livello di filosofia morale o come un aspetto di questa.

Intanto si è ampliato il suo campo di indagine come abbiamo detto; si riconoscono pertinenti alla bioetica ormai i quattro ambiti ricordati nel Documento di Erice22: l'etica delle professioni sanitarie; l'etica della ricerca anche non terapeutica; l'etica della gestione e organizzazione sanitaria e dell'impiego delle risorse sanitarie in ambito di macro e microeconomia, a livello nazionale e internazionale; infine, l'etica dell'ambiente. La bioetica sta generando, inoltre, il biodiritto e quindi una nuova serie di leggi, un nuovo tipo di legislazioni. Qualcuno ha scritto che il biodiritto caratterizza una nuova fase delle democrazie occidentali: la prima fase è stata quella del riconoscimento dei diritti individuali, la seconda quella della legislazione sociale, e ora si prospetta la terza fase in cui si avverte la necessità di legiferare sul futuro delle generazioni e quindi sulla corporeità, sul patrimonio genetico e sull'ambiente23. Il biodiritto rappresenta quindi una tappa di capitale importanza per il futuro delle nostre società. Un'analoga espansione della riflessione bioetica sta delineandosi nell'ambito della bioecologia e delle biotecnologie in ambito vegetale e animale.

Infine c'è da registrare come la bioetica stia creando le sue istituzioni e le sue strutture: cattedre, centri, istituti, comitati di bioetica locali, regionali e nazionali con capacità di controllo sulla ricerca e sulla sperimentazione.

Nello stesso tempo - ed ecco il paradosso - come è stato sopra descritto, siamo di fronte alla molteplicità delle posizione e dei modelli, per quanto riguarda la stessa fondazione della bioetica. Secondo alcuni dovremmo rinunciare del tutto a porre il problema delle fondazioni e impegnarci semplicemente a descrivere storicamente l'insieme delle problematiche e delle relazioni umane implicite nella medicina, nella cura e nell'assistenza24.

Da questa sorta di sfiducia verso le teorie etiche è nata in ambito bioetico la proposta dell'etica delle virtù25. Siamo portati a pensare che con l'etica delle virtù - relativamente almeno agli autori più noti - ci si trovi tuttavia di fronte ad un'antropologia personalista fondante, anche se non esplicita, in cui viene dato rilievo agli aspetti della relazionalità, della comunicazione e delle qualità del rapporto interpersonale specialmente nell'ambito dell'etica sanitaria. Senza tale antropologia, peraltro, verrebbe meno un preciso concetto di ciò che costituisce l'agire virtuoso. Non dobbiamo ignorare infine l'apporto positivo che è stato dato alla discussione e soluzione dei problemi di bioetica a partire dalla teologia. La serie dei teologi moralisti che si sono impegnati in quella che si definisce la Christian ethics26 è numerosa e ha dimostrato di poter delineare un'antropologia di fondo, che può illuminare la discussione di singole problematiche. Non mancano aperture di dialogo tra la religione cristiana e le altre grandi religioni del mondo, come ascolteremo anche in questo congresso.

Di fronte a questo complesso panorama noi abbiamo avanzato la proposta del personalismo ontologicamente fondato27 aperto al confronto critico con le istanze umanistiche che sono presenti in ogni teoria, aperto soprattutto alla luce della rivelazione cristiana, cui il personalismo in occidente e nel mondo è debitore.

Cristianamente parlando si può partire dalla fides quaerens intellectum come hanno fatto nell'antichità i Padri della Chiesa e i grandi teologi di tutti i tempi, oppure si può partire dall'intellectus quaerens fidem, e cioè da una posizione filosofico-razionale che s'incontra con il dato della fede e rimane da esso ampliato e rafforzato nel suo sguardo. Il paragone che abbiamo usato nei nostri scritti per definire questo rapporto epistemologico è quello dell'occhio e del microscopio (o telescopio). Quando l'occhio osserva gli oggetti attraverso il microscopio o il telescopio non perde la sua importanza né la sua propria funzione. In altre parole vogliamo dare alla ragione il suo sviluppo più pieno e, sapendo che anche l'intelletto umano è certo dato da Dio, non può subire pregiudizi dal contatto con la fede, anzi riteniamo la fede un dono che perficit non destruit naturam. In bioetica la ragione ha un ruolo molteplice perché sono diversi i campi di indagine che concorrono a configurare lo spazio del giudizio in bioetica.

C'è anzitutto il dato sperimentale, di natura medico-biologica, come ad esempionel caso della procreazione artificiale, di cui bisogna ben conoscere le dimensioni e la portata. Spesso alcune affermazioni di natura etica o etico-teologica non tengono il debito conto del fatto biologico-scientifico. Interviene poi la riflessione filosofico-metafisica che costituisce l'orizzonte e il presupposto per il giudizio etico: per stabilire il divieto dell'aborto non si può prescindere dal fatto dell'identità e dello statuto reale, ontologico dell'essere umano dal concepimento. C'è infine la riflessione etica vera e propria che, se da una parte presuppone la metafisica, ha tuttavia una sua propria logica fondata sulla legge morale universale, che comanda di fare il bene ed evitare il male e che si esprime nei principi e nelle norme che realizzano questo itinerario al bene. Su tutto questo ampio panorama epistemologico e sul reciproco rapporto delle varie discipline, la luce della rivelazione non può sostituire né oscurare il dato delle discipline umane, ma può ampliare e rafforzare soprattutto gli orizzonti metafisici ed etici, sulla realtà uomo e sulla norma morale.

Ci sono in particolare alcune verità profonde della metafisica quali la esistenza di un Dio personale e creatore, la spiritualità dell'anima umana e quindi del suo io, che sono verità di confine in cui la fede religiosa, pur non sostituendo la ragione umana, la rafforza e ne ampia le prospettive. La stessa norma etica razionale collegandosi alla legge di Dio rivelata acquista una solidità nuova e più garantita.

 

IL PERSONALISMO ONTOLOGICAMENTE FONDATO

Guidati dalla ragione aperta alla fede, di fronte alla molteplicità delle proposte che abbiamo ricordato, anche in presenza degli apporti certamente positivi della teologia, abbiamo ritenuto necessario approfondire la prospettiva personalista per dare fondamento e orientamento alla bioetica.

La persona umana per la bioetica (come per l'etica in generale) rappresenta il valore fondamentale, il criterio di discernimento, il fine stesso dell'operare morale. Non possiamo qui riassumere e argomentare in maniera compiuta questa visione della realtà che mantiene anche oggi la sua validità. La storia del pensiero in Occidente, a partire dall'epoca classica, che pur privilegiava come campo di indagine la natura cosmologicamente intesa, ha concentrato sempre più, specialmente in seguito all'apporto cristiano, lo sguardo sull'essere e sull'essere-persona. È nella persona umana che l'essere del mondo prende significato e trova il suo punto di concentrazione, perché è la persona che con l'intelletto e la coscienza riassume in sé il cosmo e i suoi significati, la storia e le sue vicende. Anche per chi ha voluto interpretare il mondo in modo evoluzionistico ha dovuto ammettere che l'evoluzione ha faticato nel corso dei millenni per "mettere l'uomo in piedi". Non credo che si possa negare la centralità dell'uomo nell'universo materiale e penso che, anche di fronte alle nuove correnti ecologiste, si possa e si debba difendere razionalmente la differenza e superiorità ontologica e assiologica dell'uomo come vertice e responsabile dell'universo e delle altre specie viventi. Un'ecologia che non riconoscesse all'uomo, alla persona umana, una posizione di responsabilità e di diversità sarebbe una contraddizione.

Conosciamo l'argomentazione sulla spiritualità dell'anima umana che si muove a partire dalle operazioni intellettive dell'uomo e della sua coscienza morale. Operari sequitur esse et huic proportionatur: è l'equivalente del principio di causalità applicato alle attività spirituali. Sta nella spiritualità la differenza ontologica e assiologica. La persona umana è anche il centro della società: dai tempi della classicità all'epoca moderna fino all'elaborazione dei diritti dell'uomo questa posizione è sempre più chiara. In ogni persona umana è riassunta, nella sua singolarità, la ricchezza ontologica dell'umanità in quanto tale e la persona non può mai essere considerata una particella di un tutto, di un collettivo concepito come un organismo vivente, in cui le parti abbiano significato soltanto nel tutto. La nostra epoca ha vissuto l'assurdo tentativo di instaurare un tipo di società organicistica, come quella nazista e quella nel marxismo reale, ma la nostra generazione ha fatto in tempo a vederne la fine, il fallimento.

Il bene comune di una società dovrà essere concepito perciò anche in rapporto ai concetti di giustizia, non come la media statistica dei beni particolari né come il vantaggio della maggioranza, ma come il bene di tutti da realizzare come risultato del bene di ciascuno. Questa concezione della persona porta con sé dunque una concezione coerente di società solidarista e aperta. Questo aspetto ha un'importanza particolare nelle questioni di bioetica da quelle concernenti l'obbligo della difesa della vita di ogni persona umana a quelli riguardanti la distribuzione delle risorse in ambito sanitario.

La persona umana ha una posizione di centralità anche di fronte alla storia e ai processi evolutivi della società. La storia passa dentro la libertà e dentro la responsabilità dell'uomo; ogni atto che la persona compie rispecchia la persona senza per altro esaurire le sue risorse. Anche questa osservazione non è senza importanza nella bioetica e nella relazione terapeutica. Tale è ad esempio la ricchezza del gesto e il suo significato nella relazione medico-paziente, quale è la ricchezza della persona e la pienezza, o povertà, delle sue motivazioni e delle sue virtù.

Esiste un'eticità nel senso formale, come si sa, quando l'azione è conforme alla norma nella sua obiettività e modalità, come quando la infermiera adempie scrupolosamente ad un protocollo terapeutico; ma esiste un'eticità intensiva nel senso profondo della comunicazione e della disponibilità che nessuna regola minimale potrà mai valutare. Peraltro la ricchezza ontologica della persona che non può essere esaurita né in un atto né in una serie di atti; per cui anche l'assassino, che rispecchia nella sua azione un momento negativo e violento della sua soggettività, non esaurisce in quel gesto la sua ricchezza esistenziale, e, perciò, può cambiare; conserva la sua dignità essenziale, compresa la immagine di Dio Creatore. Il killer vale di più del suo killing.

Stiamo ragionando della persona quanto al suo primato nel cosmo, nella società e nella storia, universale e soggettiva, ma è necessario che qualifichiamo questo concetto e questa realtà più in profondità. Severino Boezio ha definito la persona come rationalis naturae individua substantia. Una sostanza, dunque, anzitutto un'essenza razionale che ha una sua esistenza, un'esistenza autonoma. L'essenza umana - che si definisce natura umana, quando viene considerata come principio di attività propria - implica la facoltà razionale. Questo fatto esige che questa definizione vada ulteriormente approfondita, perché la sostanzialità può essere soltanto analogicamente intesa quando la si considera in rapporto alle altre sostanze materiali. Nel soggetto umano il grado di autonomia e la ricchezza ontologica radicata nella razionalità conferiscono a questa sostanzialità le note della sussistenza (Ens subsistens ratione praeditum) e dell'autonomia propria dello spirito. La persona è dunque sostanza, ma in senso superiore: nel senso della sussistenza cosciente.

L'analisi fenomenologica condotta come intuizione e accoglienza della realtà e la riflessione ontologica che si fonda sulla consequenzialità tra operare ed essere (operari sequitur esse) ci portano ad affermare la spiritualità della persona e la sua inesauribile ricchezza interiore, che sorpassa e trascende ogni concezione materialistica e deterministica. La persona è capace perciò di trascendersi, perché è un essere spirituale radicato nella trascendenza rispetto al mondo ed al suo stesso corpo. "Possiamo dire" - afferma Seifert - "non solo che la persona è sostanza in un modo più pieno di quanto possa esserlo qualunque sostanza materiale, ma anche che fra la sostanzialità spirituale della persona (dell'anima umana) e la sostanzialità della materia non sussiste solo una differenza di grado...il soggetto cosciente della coscienza personale possiede il proprio essere in un senso incomparabilmente più proprio che le sostanze non personali"28.

L'autore spiega questa superiorità con gli attributi della unità (unità della coscienza nella molteplicità degli atti), dell'autopossesso e dell'autodeterminazione, dell'autonomia, della coscienza e della conoscenza della capacità di distinguere le nozioni di bene e di male e di formulare il giudizio etico, di stabilire un comportamento. Infine è importante notare la capacità della persona di autorealizzarsi e di trascendersi, capacità che Seifert identifica con la parola transtelechia29. "L'uomo è oggettivamente qualcuno ed in questo consiste ciò che lo distingue dagli altri esseri del mondo visibile che sono sempre solo qualche cosa. Questa distinzione semplice, elementare, mette in evidenza tutto l'abisso che separa il mondo delle persone da quello delle cose"30.

Inoltre, la persona è, come ricordava Marcel, "una conquista e non un possesso" e la sua realizzazione positiva si compie nella donazione di sé come ha fortemente sottolineato Karol Woytila, in armonia con il concetto di sovrabbondanza del filosofo Hilderbrand31.

La metafisica della persona porta a configurare così la sua dignità in relazione all'imago Dei e in rapporto alla spiritualità, e porta anche ad una concezione che orienta verso il raggiungimento della plenitudine dell'essere personale nella donazione di sé. La metafisica della persona ci aiuta a scoprire la sua origine creaturale attraverso l'approfondimento conoscitivo e causale di sé: la persona scopre in sé la sua origine dal dono di Colui che è fonte dell'essere ed è Persona, perché intuisce e comprende l'impossibilità dell'autoderivazione e dell'immanenza dell'assoluto; questo fatto rafforza e non attenua la consistenza del suo essere, la ricchezza del suo donarsi e del suo operare.

Quello che può essere insufficiente nella speculazione filosofica classica e medievale ed anche in molti personalisti contemporanei è la riflessione metafisica sulla dimensione della corporeità. Seifert stesso ne ha trattato troppo fugacemente e semplicemente per affermare che la individualità e irripetibilità della persona non può essere determinata dalla materia signata quantitate e per riprendere l'orizzonte di Scoto e Suarez che legano l'irripetibilità dell'individuo alla singolarità dell'Io spirituale. Ma più complesso e più ampio deve essere il discorso sulla corporeità nell'ambito della bioetica.

L'accesso alla persona è infatti mediato dal corpo. Il corpo d'altra parte riceve l'esistenza dallo spirito, non ha un atto esistenziale proprio e rigorosamente parlando non è il corpo che contiene l'anima, ma è precisamente l'anima spirituale che attualizza, informa la corporeità e la unisce a sé con vincolo sostanziale in linea essentiae e in linea existentiae. La persona umana per essenza non è solo spirito ma è spirito incarnato e corpo spiritualizzato. Il corpo non ha perciò importanza e rilevanza soltanto come Körper, cioè come organismo fisico, ma anche come leib, come corpo vissuto. La dimensione corporea incarna l'Io nel tempo e nello spazio, conferisce alla persona il dasein, così come è lo spirito che si manifesta nel corpo che ad un tempo è epifania e nascondimento delle ricchezze della persona32. Il corpo è linguaggio, strumento e limite dell'Io. È nel corpo che leggiamo la semantica dell'amore coniugale e del dolore fisico. Ed è nel corpo che si celebrano i due grandi fatti i più ricchi e i più limitanti: il concepimento e la morte. Nel concepimento la corporeità costituita nella sua identità individuale inizia, in forza dell'atto esistenziale unico e unificante che è trasmessa dallo spirito, la sua vicenda unica e irripetibile; nella morte la separazione dello spirito dal corpo apre alla persona umana la nuove e definitiva tappa dell'esistere. La vincolazione corpo-spirito in unico Io irripetibile stabilisce l'unità fontale della persona, e ad un tempo la sua ricchezza, la sua contingenza e la sua storicità.

La concezione personalista della corporeità è fondamentale per la bioetica, perché ogni intervento sul corpo, nello statuto genetico o nel complesso organico, rappresenta un intervento sulla persona; ogni atto medico, assistenziale o terapeutico, diventa un atto interpersonale di comunicazione di responsabilità e di corresponsabilità. I grandi problemi della bioetica come, ad es., quelli relativi alla terapia genica o alla procreazione artificiale non possono non tenere in conto questo fatto. La riduzione dell'atto procreativo ad un procedimento di laboratorio equivale alla spersonalizzazione della procreazione stessa.

 

DALLA PERSONA ALLA BIOETICA PERSONALISTA

Il fatto che la persona umana possieda questo spessore ontologico, questa centralità intramondana e questa trascendenza che abbiamo voluto ricordare, non è sufficiente ancora a stabilire il fondamento della bioetica e dell'etica in generale. L'etica non può essere assorbita ed esaurita nel discorso metafisico.

Il fatto che la persona umana sia l'ens quod est perfectissimum in tota natura; ens subsistens ratione praeditum non è sufficiente per trarre delle conclusioni sulla liceità della terapia genica o la fecondazione artificiale o il trapianto di organi. Il primato della persona e la sua verità ontologica rappresenta il valore di riferimento per un discorso etico e bioetico.

Ma può rappresentare anche il criterio di giudizio nei confronti del comportamento morale?Il criterio per stabilire ciò che è bene e ciò che è male si può trovare all'interno della persona oppure bisogna ricorrere ad un criterio esterno? La sua coscienza soggettiva, che è il tribunale che pronuncia il giudizio etico e assume le responsabilità dove poggia il suo giudizio dove fonda i criteri? È completamente autonoma o deve rivolgersi a criteri esterni ed eventualmente quali? A queste domande dobbiamo dare una risposta.

Occorre a questo punto chiarire le nozioni di natura, di legge naturale, e di coscienza personale: queste nozioni fanno da ponte tra l'ontologia personalista e l'etica personalista e sono nozioni che si richiamano a momenti distinti del giudizio etico.

La natura umana è la stessa essenza o verità propria di ogni uomo considerata come principio e origine della sua attività. L'essenza dell'uomo, ciò che lo distingue da ogni altro vivente, è quella di essere uno spirito incarnato. La natura umana è l'essenza stessa dell'uomo considerata come radice e principio attivo in ogni soggetto umano, che la fa agire a livello umano. La natura umana è dunque la stessa essenza considerata, non in astratto, ma come principio attivo di tutte le attività proprie dell'uomo. La persona umana possiede la natura umana per definizione: è un essere sussistente dotato di razionalità, spirito incarnato in un corpo che agisce e non può agire se non in forza della sua natura. Ogni individuo umano possiede la natura umana, è persona umana e agisce da persona umana33.

La legge morale naturale, insita nella sua stessa razionalità, è l'istanza che chiama il singolo uomo, la singola persona a realizzare il bene stesso della persona con la sua autodeterminazione. La legge morale naturale va quindi distinta dalla natura intesa nella sua realtà ontologica: la legge morale naturale è l'esigenza connaturata nello spirito umano ad agire utilizzando la propria natura ontologica per realizzare il bene della stessa natura con la propria autodeterminazione, a realizzare cioè tutte le potenzialità della natura stessa, nell'ordine dei suoi valori. Ciò implica il fatto che la natura dal punto di vista ontologico non è soltanto un dato determinato dalle coordinate essenziali, ma è anche un compito da assolvere. È la persona che autodeterminandosi realizza le capacità della natura umana ed è chiamato a realizzare se stessa, rispettando tali esigenze naturali.

La legge morale naturale presuppone perciò la libertà, la facoltà di autodeterminarsi al bene, e di scegliere i mezzi più idonei per realizzarlo. Nella situazione storica dell'uomo questa capacità di libera e cosciente autodeterminazione non soltanto può essere limitata da errori e condizionamenti, ma può anche negarsi al bene. La fede cristiana ci illumina sulla fallibilità di questo giudizio e sulla debolezza delle capacità di realizzare tale bene.

Ma in che consiste il bene della persona? Nel discorso della filosofia personalista il bene consiste nel rispetto e nella realizzazione della dignità plenaria della persona in quanto tale. Il rispetto di ogni persona nella sua esistenza, nella sua dignità, quella dignità che è propria della persona in quanto spirito incarnato aperto alla trascendenza e all'amore oblativo verso gli altri e verso l'Altro. La realizzazione della pienezza del suo essere: questo è il bene della persona; realizzandosi questo bene sul rispetto della natura umana e donandosi nella pienezza dell'oblatività realizza anche il bene delle altre persone. Non siamo nel soggettivismo ma nella comunione.

Scrive Seifert: "La persona umana deve venir compresa nella sua verità integrale ed oggettiva e deve essere personalmente affermata, cioè deve essere affermata in ciò che essa è veramente. Tale verità sull'uomo che deve stare alla base della sua affermazione, implica la sua dignità oggettiva, le sue libertà e i suoi diritti umani, il suo lavoro e le sue rivendicazioni di un giusto salario e di condizioni umane di lavoro, il suo corpo e la ordinazione della procreazione e della sessualità nel contesto di un'autodonazione personale"34. La rivelazione cristiana rafforza anche il concetto di creazione fa comprendere che la vita stessa è all'origine un dono; inoltre offre una spiegazione al problema del male e una possibilità del superamento del male; rivela, anche, che la pienezza della vita non è soltanto risultato dello sforzo e dell'ascesi, ma è dono dall'Alto, Grazia redentiva.Il giudizio morale ha due componenti: a. anzitutto la componente oggettiva e cioè la corrispondenza dell'atto con il bene vero della persona, nella costruzione della sua dignità e della sua plenitudine, oppure la non corrispondenza di fatto e il conseguente impoverimento o la rovina della persona; b. ha, inoltre, una componente soggettiva, che è rappresentata dalla coscienza che percepisce tale corrispondenza o non corrispondenza: la coscienza può percepire tale verità dell'atto con chiarezza e allora si ha il giudizio vero e certo; talvolta può accadere che la coscienza percepisca imperfettamente questa verità e si trovi ad essere ingannata, allora si può avere una coscienza certa ma erronea. La coscienza retta si sforza di far corrispondere il giudizio soggettivo con la realtà oggettiva: per questo sente la necessità di essere illuminata circa la verità.

La realizzazione di questo piano di perfezione non chiede soltanto una serie di principi e norme direzionali per tutta l'attività umana al fine di precisare i confini tra il bene e il male, ma richiede anche di sviluppare delle qualità e di porre in atto delle energie. In altre parole c'è un'etica dei principi e delle norme per raggiungere un giudizio vero e certo di moralità e c'è un'etica delle virtù per avere la capacità di attuare tale giudizio. Non potremmo parlare di etica in senso pieno limitandoci allo studio delle teorie etiche o dei principi - il che è pure necessario - ma dovremo oltrepassare tutto questo non per trasgredirlo ma per riempirlo di realtà attraverso le virtù. Da quanto abbiamo detto possiamo in un certo senso anche concludere che la coscienza etica dell'uomo è autonoma, perché il giudizio è fondato nella percezione interiore della corrispondenza dell'atto con il bene della natura umana, ma questa autonomia è relativa, perché la natura umana non è autocostruita, ma creata.

LA BIOETICA PERSONALISTA: PRINCIPI NORME E VIRTÙ

Nella persona umana troviamo la fondazione dell'etica; nella persona troviamo la sorgente dell'etica, il criterio veritativo dell'attività morale e il valore da realizzare. Da questa focalizzazione si possono trarre alcuni principi che definiscono le linee di delimitazione dell'ambito proprio della bioetica. Abbiamo riassunto i principi applicabili nella riflessione bioetica nei seguenti quattro principi. Essi possono essere anche confrontati con quelli del principialismo della bioetica statunitense, a patto che si consideri una gerarchia fra tali principi e si dia ad essi inoltre un'antropologia fondante35. Presentiamo brevemente tali principi:

1. Il principio del rispetto e della difesa della vita fisica di ogni individuo umano. La vita fisica si esprime nella corporeità. La corporeità fa parte integrante della persona, è l'incarnazione, l'epifania, l'elemento consustanziale della persona nella sua totalità.

La soppressione della vita fisica rappresenta l'offesa più grave della persona, al suo esserci. E ciò vale fin dal primo istante del costituirsi di tale corporeità dal momento della fecondazione in cui si costituisce l'individuo nella sua unità organica ed unica. S. Tommaso ha affermato l'impossibilità di separare la realtà della persona dall'individuo, affermando "Omne individuum rationalis naturae dicitur persona"36. Abbiamo sviluppato il nostro impegno, anche con documenti ufficiali per chiarire l'applicazione del concetto di persona all'embrione e al feto umani, confutando le obiezioni di ordine pseudoscientifico o psicosociale. Ma il rispetto e la considerazione personalistica della vita fisica comanda in positivo tutto un insieme di atteggiamenti e comportamenti nell'ambito medico e sanitari che possono essere considerati e assunti nell'ambito del principio del rispetto della vita e della dignità della persona e possono anche essere richiamati dal principio di beneficenza/non maleficenza. Il principio del rispetto e difesa della vita fisica si completa nel secondo che è collegato e conseguente.

2. Il principio terapeutico. Questo principio giustifica e fonda ogni intervento medico-sanitario a partire dalla cura della salute in senso preventivo, curativo e riabilitativo fino alle cure palliative e, di recente, alla geneterapia. L'intervento sulla corporeità, e perciò sulla persona, è giustificato da una necessità e utilità che si deve risolvere in un reale beneficio per la persona stessa su cui si interviene. Questo principio richiede per la sua corretta applicazione condizioni ben precise; che riguardano il tipo di intervento, l'attesa del risultato, la proporzionalità del rischio, il consenso. Il trapianto d'organo da vivente che si fonda prevalentemente sul principio di socialità più che sul principio terapeutico strettamente inteso, è lecito soltanto se preserva comunque l'integrità sostanziale del corpo. Anche il principio terapeutico rientra comunque nell'ottica della beneficenza.

3. Il principio di libertà-responsabilità. Con questo principio abbiamo inteso inquadrare nell'ottica personalistica e nell'ambito del rapporto interpersonale il cosiddetto principio di autonomia. Il concetto di libertà, infatti, non può essere inteso senza il contenuto dell'atto e perciò senza quello di responsabilità specialmente in campo bioetico in cui si agisce sulla vita degli esseri viventi, sulle condizioni di vita, sull'uomo stesso e sulle generazioni future. Abbiamo inteso qui raccogliere lo stimolo e la lezione di H. Jonas (Il principio di responsabilità) considerando da parte nostra non soltanto l'orizzonte dell'umanità futura, ma già il quadro veritativo di tutto l'uomo in ogni uomo. L'esercizio di questo principio implica il discorso sul consenso informato ma implica anche la responsabilità verso chi non può consentire, implica il rapporto di comunicazione medico-paziente e all'interno dell'équipe curante, nonché il rapporto di corresponsabilità con le altre componenti della società civile, giuridica ed economica. Naturalmente questo rapporto intersoggettivo si misura con un criterio oggettivo che è al di sopra di ogni paternalismo e di ogni opposto individualismo ed è costituito dal bene oggettivo della persona, contro il quale non può operare né consentire neppure il paziente nei confronti di se stesso. Si confrontano qui i problemi delle richieste di eutanasia o suicidio, di rifiuto delle terapie oltre che, del rapporto di consenso nella sperimentazione, nelle terapie e diagnosi a rischio, come pure prende ricchezza il normale rapporto medico-paziente. Abbiamo così potuto valutare in questa ottica anche il pensiero di Apel e Habermas che insistono sull'etica della comunicazione, sottolineando comunque da parte nostra anche il contenuto della comunicazione37.

4. Il principio di socialità-sussidiarietà. La medicina e la scienza, come la tecnologia, comportano una molteplice significazione sociale. L'organizzazione dei servizi e l'impiego delle risorse economiche in ambito sanitario rivelano una dimensione sociale e implicano la relazione del ricercatore e del medico con la società.

La persona peraltro è per natura sua bisognosa delle società e chiamata a realizzarsi nella società. Ogni professionista, preparato e approvato dalla società, dovrà sapere esercitare la sua professione a servizio della persona e in nome della società ed è chiamato a promuovere il bene della società attraverso la realizzazione del bene delle singole persone. La società a sua volta dovrà provvedere a impegnare le risorse per il bene sociale primario che è rappresentato dalla difesa e promozione della vita e della salute dei cittadini. Questo impiego delle risorse per essere giusto ed equo dovrà tener conto anche del cosiddetto principio di sussidiarietà, che completa il principio di socialità. Ciò comporta che la società dovrà rispettare le iniziative private e le capacità di iniziativa dei cittadini, ma dovrà anche intervenire tanto più quanto più forte è il bisogno, per chi non è capace di provvedere da sé. Su questo punto la nostra posizione si distacca in modo evidente dalle concezioni liberista, equalitarista e utilitarista, che oggi insidiano il vero concetto di giustizia sociale in ambito sanitario. Ognuno di questi principi nel momento applicativo, come è evidente, si dettaglia nelle cosiddette norme particolari di comportamento: la richiesta del consenso informato, il segreto medico, l'obbligo della informazione, l'obbligo di intervenire in caso di urgenza etc.: sono norme particolari che riflettono i principi più generali. Così la visione etica globale della vita e della società si riflette sulla fondazione del giudizio etico e si esprime nell'ambito particolare della bioetica nei principi generali e nelle norme particolari.

 

L'ETICA DELLE VIRTÙ

Non ho intenzione di svolgere questo tema che di per sé è molto ampio e godrà di una trattazione aparte. Vogliamo soltanto dire che non si può ridurre l'etica, e perciò neppure la bioetica o l'etica sanitaria, all'elemento sistematico e conoscitivo. L'etica chiede di essere attuata nei comportamenti concreti e in stili di comportamento. L'attuazione dei valori, del bene di ogni singola persona, l'esercizio della responsabilità richiedono nelle persone coinvolte per l'applicazione concreta un insieme di capacità requisite che si chiamano virtù38.

Queste virtù hanno ricevuto diverse classificazioni fin dai tempi di Aristotele, che offrì la classificazione delle quattro virtù cardinali fatta propria dal Catechismo della Chiesa e tuttora valida; altri hanno descritto altre virtù più tipicamente mediche come la compassione, l'empatia, la libertà e sincerità, a quelle più sociali come l'altruismo e ci sono le virtù più propriamente cristiane su cui è cresciuto - in occidente per tanti secoli - l'albero della medicina e cioè le virtù della carità e della misericordia. Anche lo scienziato e il ricercatore hanno da coltivare le loro virtù che si confondono con la deontologia: lo scrupolo, la veridicità, il rispetto del lavoro altrui, l'avversione ad ogni frode e guadagno smodato.

Credo che sempre di più si possono identificare ulteriori qualità e affinamenti che, in ogni caso ci riportano a quella fondamentale attitudine della persona che è chiamata alla realizzazione di sé, all'oblatività dell'amore e del servizio di cui spesso ci parla Giovanni Paolo II.

 

CONCLUSIONI

Due tipi di umanesimo oggi si confrontano nell'elaborazione del pensiero bioetico.

Da una parte l'umanesimo secolarizzato, in cui l'uomo è considerato nell'orizzonte immanentistico e temporale, in un'ottica riduzionista e in chiave individualista; questo umanesimo è portatore di una visione morale che si ispira al relativismo, all'utilitarismo edonista e alla cosiddetta "tolleranza" che privilegiano le libertà individuali. Questo tipo di umanesimo influenza l'elaborazione del biodiritto nella direzione dell'eugenismo e dell'antinatalismo. L'ideale - si dice - consiste nell'essere in pochi per stare meglio sulla terra e garantire il benessere; si intende influire sul patrimonio genetico e sui processi di procreazione per garantire il benessere a tutti i costi, ed eliminare i soggetti affetti da malattie ereditarie. La stessa concezione della salute è intesa come benessere non solamente fisico ma anche e soprattutto psicologico e sociale. Le conferenze internazionali di questi ultimi anni hanno reso evidente e fatto apparire maggioritario questo tipo di umanesimo. Di fronte a questo umanesimo manipolatorio della cui pericolosità forse ancora molti non hanno avuto la percezione, desideriamo proporre un umanesimo personalista e solidarista che afferma la dignità plenaria della persona umana, di ogni persona umana dal concepimento alla morte e per tutti gli uomini; desideriamo proporre una visione dell'uomo, ricca di affermazioni di libertà anche di fronte agli egoismi, capace di responsabilità di fronte al presente e al futuro della umanità, perché solidamente ancorato alla ricchezza dell'essere e ai valori immutabili, aperto alla Trascendenza. Questo umanesimo sarà capace di assumere il compito storico del passaggio della società ad una nuova tappa della storia umana, in cui la solidarietà tra gli uomini cominci dalla solidarietà della persona con la propria natura, affermi la solidarietà dell'uomo e della donna nel matrimonio e l'armonia della morale con il diritto nella società, dell'etica e della tecnica nella ricerca dello sviluppo, nonché la sinergia della ragione e della fede di fronte ai compiti e ai destini dell'umanità.

La realizzazione di questo umanesimo comporta una riflessione più profonda, uno sforzo della volontà per superare gli egoismi ed anche un aiuto che venga dall'Alto, come sanno coloro che hanno il dono della Fede, ma è l'unica strada per la realizzazione simultanea della persona singola e del bene comune. Abbiamo voluto esprimere questo concetto nel logo del nostro Centro: la montagna la cui vetta è offerta a chi intende salire con coraggio per allargare gli orizzonti.

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1. Per una visione d'insieme dei diversi indirizzi di pensiero nella etica medica e nella bioetica si possono consultare utilmente le seguenti opere: D. GRACIA, Fundamentos de Bioetica, Eudema, Madrid 1989; C. VIAFORA (a cura di), Vent'anni di Bioetica, Fondazione Lanza - Gregoriana Libreria Editrice, Padova 1990; A. BOMPIANI, Bioetica in Italia, Dehoniane, Bologna 1992; F.BELLINO, I Fondamenti della Bioetica. Aspetti antropologici, ontologici e morali, Città Nuova, Roma 1993. Per consultazione, vedi: W. Reich (ed), Encyclopedia of Bioethics, MacMillan, New York 19942, 4 Voll.; E. Sgreccia, Manuale di Bioetica. I.Fondamenti ed etica biomedica, Vita e Pensiero, Milano 19943, pp. 29-221.

2. L. PALAZZANI - E. SGRECCIA, Il dibattito attuale sulla fondazione etica in bioetica, Medicina e Morale 1992, 5, pp. 847-870; U. SCARPELLI, La bioetica. Alla ricerca dei principii, Biblioteca della Libertà 1987, 99, pp.7-32. M. MORI (a cura di), Questioni di Bioetica, Roma, 1988; G.MUCCI, La coscienza antilluministica dei cattolici, La Civiltà Cattolica 1996, I, 17-27.

3. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica "Evangelium vitae", 25 marzo 1995, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1995, nn. 19-20.

4. Ibi., n. 19.

5. Ibi., n. 70.

6. K. WOJTYLA, Amore e Responsabilità, Marietti, Torino 1978, pp. 11.

7. J. SEIFERT, Essere e Persona, Vita e Pensiero, Milano 1989, p.388.

8. Ibi., p. 388.

9. S. TOMMASO, Summa Theologicae, I, q, 29, a. 3.

10. K. WOJTYLA, Persona e atto, Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 1982; J. MARITAIN, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia, 1948; A. MILANO; Persona e personalismi, Dehoniane, Napoli 1987; E. MOUNIER, Il Personalismo, AVE, Roma 1980; A. RIGOBELLO, v. Persona, in Dizionario delle idee politiche, AVE, Roma, 1993; ID., Lessico della persona umana, Studium, Roma 1986; ID., Persona e norme nella esperienza morale, Ed. Iapadre, L'Aquila 1982; ID. (a cura di), Il personalismo, Città Nuova, Roma 1985.

11. GRACIA, Fundamentos de bioetica,...

12. Sull'utilitarismo in bioetica, si veda: J. BENTHAM, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, ...., London 1979; J.S. MILL, Utilitarianism (1781), trad. it. L'Utilitarismo, Il Mulino, Bologna 1981; R.M. HARE, The Language of Morals (1952), trad. it. Il Linguaggio della morale, Ubaldini, Roma 1968; J.J. SMART - B. WILLIAMS (eds), Utilitarianism: For and Aganist, Cambridge University Press, Cambridge 1973; R. BRANDT, Ethical Theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs 1959. Sugli sviluppi più recenti, si può vedere: M. MORI, Utilitarismo e morale razionale, Giuffré, Milano 1986; ID., Bioetica. Una riflessione in corso, L'Informazione Bibliografica 1990, XVI/3, pp. 442-452; E. LECALDANO, Il contributo di una filosofia laica non religiosa, in E. BERTI (a cura di), Problemi di etica: fondazione norme e orientamenti, Gregoriana, Padova 1990, pp. 23-68; ID., Etica e significato, in C. VIANO (a cura di) Teorie etiche contemporanee, Boringhieri, Torino 1990; PALAZZANI-SGRECCIA, Il dibattito attuale sulla fondazione etica in bioetica....

13. P. SINGER, Etica pratica, Liguori, Napoli 1979; ID., Liberazione animale, Roma 1986.

14. SGRECCIA, Manuale di bioetica..., pp. 82-87.

15. R. DWORKIN, Il dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà individuale, Ed. Comunità, Torino 1994.

16. T.H. ENGELHARDT, Manuale di bioetica, Mondadori, Milano 1991.

17. GRACIA, Fundamentos de bioetica..., pp.363-382. Vedi anche: M. SCHELER, Nature et formes de simpathie, Paris 1950; G. FERRETTI, M. Scheler. Filosofia della religione, Vita e Pensiero, Milano 1972.

18. K.O. APEL, Comunità e comunicazione, Rosenberg e Sellier, Torino 1977; J. HABERMAS, Teoria e prassi della società tecnologica, Laterza, Bari 1978; GRACIA, Fundamentos de bioetica..., pp. 558-591.

19. J.L. BEAUCHAMP - J.F. CHILDRESS, Principles of Bioethics, Oxford University Press, New York 1989.

20. E.O. WILSON, Sociobiologia. La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna 1979; B. VOORZANGER, No norms and no nature: the normal relevance of evolutionary biology, Biology and Philosophy 1987, 2, pp.569-570. B. CHIARELLI, Storia naturale del concetto di etica e sue implicazioni per gli equilibri naturali attuali, Federazione Medica 1984, 6, pp. 542-546.

21. REICH, Encyclopedia of Bioethics, pp. 247-255. La prima edizione del 1978 portava questa definizione: "Studio sistematico della condotta umana nell'ambito delle scienze della vita e della salute esaminata alla luce di valori e principii morali". La nuova definizione recita: "Studio sistematico delle dimensioni morali - inclusa la visone morale, le decisioni, la condotta, le linee guida ecc. - delle scienze della vita e delle cure sanitarie, con l'impiego di una varietà di metodologie etiche in un'impostazione interdisciplinare ".

22. SOCIETA' ITALIANA DI MEDICINA LEGALE E DELLE ASSICURAZIONI, Il documento di Erice sui rapporti della bioetica e della deontologia medica con la medicina legale, Medicina e Morale 1991, 4, pp. 561-567.

23. P. ZATTI, Bioetica e diritto (Editoriale), Rivista di Medicina Legale, XVII, 1995, p.2; D. GRACIA, I Diritti in sanità nella prospettiva della bioetica, L'Arco di Giano 1994, 4, pp. 29-44; I. ARA PANILLA, Las transformaciones de los derechos humanos, Tecnos, Madrid 1990; E. SGRECCIA, Questioni emergenti in bioetica, Medicina e Morale 1995, 5, pp. 931-949.

24. Questa posizione sta prendendo voce anche al Kennedy Institute della Georgetown University in alcuni tra i fondatori della bioetica.

25. A. McINTYRE, After Virtue: A Study in Moral Theory, Notre Dame Press, Notre Dame (Indiana) 1981; E. PELLEGRINO - D.C. THOMASMA, For the Patient's Good. The Restoration of Beneficience in Health Care, Oxford University Press, New York 1986 (trad. it., Per il bene del paziente. Traduzione e innovazione nell'etica medica, Paoline, Cinisello Balsamo, 1992).

26. Molti sono i teologi all'estero e in Italia impegnati sui temi di bioetica. Ricordo semplicemente alcuni contributi: D. TETTAMANZI, Bioetica, nuove frontiere per l'uomo, PIEMME, Casale Monferrato 1990; G.R. DUNSTAN, The moral status of the human embryos: a tradition recalled, J. Med. Ethics 1984, 10, pp.38-44; C. CAFFARRA, Il problema morale dell'aborto, in A. FIORI - E SGRECCIA (a cura di), L'aborto. Riflessioni di studiosi cattolici, Vita e Pensiero, Milano 1975, pp. 313-320;ID., Aborto e obiezione di coscienza, Medicina e Morale 1977, 1/2, pp. 101-109; ID., La legge 194/1978: sua scelta e sue conseguenze, Medicina e Morale 1978, 3, pp. 335-346. A sfondo pure teologico sono i due volumi di L. CICCONE, Non uccidere. Morale della vita fisica (I) eSalute e Malattia: questioni di morale della vita fisica, ARES, Milano 1986. Si ricordano, tra gli altri, i teologi J. Finnis in Inghilterra, P. Patrick Verspieren in Francia, B. Haring e S. Spinsanti in Italia, N. Ford in Australia, G. Grisez in USA. Bisogna considerare anche l'apporto del Magistero stesso delle Chiese, quella cattolica in particolare: esso rappresenta una fonte imprescindibile di principi, valori e concezioni forti per l'elaborazione del pensiero bioetico.

27. SGRECCIA, Manuale di bioetica..., pp. 87-186. Per gli autori della tradizione personalista e per i personalisti recenti, vedi la nota 10.

28. SEIFERT, Essere e persona..., p. 339.

29. Ibi., p.353.

30. WOJTYLA, Amore e responsabilità..., pp. 11-12.

31. ID., Persona ed atto..., pp. 196-197.

32. SGRECCIA, Manuale di Bioetica..., pp. 123-152, con un'ampia e aggiornata bibliografia.

33. S. TOMMASO, Summa theologiae, I, q.29; a3 ad 2.

34. SEIFERT, Essere e persona..., p. 401.

35. SGRECCIA, Manuale di bioetica..., pp.153-199.

36. Cfr. la nota 33.

37. APEL, Comunità e comunicazione; HABERMAS, Teoria e prassi della...; GRACIA, Fundamentos de bioetica.., pp. 558-591.

38. MacINTYRE, After Virtue; PELLEGRINO - D.C. THOMASMA, For the patient's good...