Gregorio di Nissa: 0052

Lista delle opere:
De Divinitate Filii et Spiritus Sancti
De Sacrificio Abraham
De anima et resurrectione
In Ecclesiasten 1-8
In Gregorium Thaumaturgum

Notizie generali

Gregorio, fratello minore di Basilio e vescovo di Nissa, [così è identiticato nella subscriptio di un excerptum da un'opera non identificata che si trova in un ostracon copto di provenienza sconosciuta: ed. W. E. CRUM, Short Texts from Coptic Ostraca and Papyri, London-New York 1921, n' 31 p. 10. Di questo testo non parleremo più] è autore che non ci si aspetterebbe di trovare molto rappresentato in seno alla letteratura copta, o per meglio dire, in seno al gruppo delle traduzioni dei grandi padri greci eseguite fra IV e V secolo negli ambienti monastici copti. [A torto nei manuali viene spesso riportata l'opinio communis che la letteratura copta sia quasi esclusivamente letteratura di traduzione. Essa lo fu fra IV e V secolo (ma in quel periodo operò anche uno Shenute), mentre fra VII e IX secolo troviamo un'abbondante produzione di testi originali. Per questa messa a punto rimandiamo a T. ORLANDI, The Future of Studies in Coptic Biblical and Ecolesiastical Literature, in: R. McL. WILSON (ed.), The Future of Coptic Studies, Leiden 1978, p. 143-163; T. ORLAN- DI, Omelie copte, Torino 1981, Introduzione, p. 5-24.]
In effetti, nei confronti degli altri due ``padri cappadoci'' Basilio e Gregorio di Nazianzo, e anche di Giovanni Crisostomo, egli rimase sostanzialmente non solo e non tanto una figura minore (o sarebbe meglio dire un autore con una produzione meno popolare), ma soprattutto una figura caratterizzata da qualità che non dovevano renderlo appetibile ai divulgatori copti: quelle della riflessione filosofica.
Occorre intendersi bene: da un lato, è ovviamente incontestabile che fra i testi copti esistano opere prevalentemente speculative. Anche lasciando da parte le opere di Gregorio di cui ci occupiamo in questa sede, un gruppo di testi monastici di carattere teologico è noto da lungo tempo, anche se a torto non è stato ritenuto degno di particolare attenzione [cf. T. ORLANDI Il dossier copto di Agatonico di Tarso: studio letterario e storico, in: D. W. YOUNG (ed.), Studies Presented to Hans Jacob Polotsky, Beacon Hill 1981, p. 269-299]. Un'opera di Shenute, finora solo parzialmente conosciuta, contiene una controversia con gli gnostici di tipo sufficientemente teoretico [T. ORLANDI, Catechesis by Shenoute Against Apocryphal Texts, di prossima pubblicazione (probabilmente in Harvard Theol. Studies)].
Ma d'altro lato tali opere formano una minima parte di quanto è pervenuto della letteratura copta, e soprattutto non hanno avuto alcun séguito nell'ambito della produzione ascrivibile ai secoli VI-VIII, che pure fu piuttosto abbondante, e, ciò che più conta, scritta direttamente in copto. Si considerino le opere di tale periodo che possono definirsi in qualche modo teologiche, cioè non solo narrative o esortatorie. [Pensiamo ad opere come (Ps.) Gregorio Naz. De diabolo et Michaele arch. (ed. LAFONTAINE, Le Muséon, 92 (1979) 37-60), o (Ps.) Atanasio De bonitate Patris (ed. BERNARDIN, JTS 38 (1937) 113-129 = CPG 2184)]. Esse sonomolto interessanti, ma nell'ambito di quella che vorremmo definire una teologia folkloristica, che sta alla teologia patristica come le narrazioni copte sulla vita di Atanasio, Teofilo e Crisostomo stanno alle Storie ecclesiastiche di Socrate, Sozomeno o Teodoreto.
In realtà poi la questione va posta in modo diverso. Allo stato attuale delle ricerche bisogna partire dalla situazione piú tardiva (IX-X secolo), quella che conosciamo meglio perché i codici che abbiamo appartengono in maggioranza al IX- XI secolo. Ebbene, le opere raccolte dai monaci copti nei codici venuti a nostra conoscenza erano da usare per la massima parte come pubblica lettura edificatoria, e non per studio e approfon- dimento teologico. Che poi in questo modo siano sopravvissute opere che prese per sé hanno un diverso carattere all'origine (anche talora per volontà di ``dotti'' diciamo così non- conformisti) è cosa che non sorprende (anzi, sorprenderebbe il contrario), e va messa nella semplice categoria delle eccezioni che accompagnano ogni regola.
Alcune delle opere di Gregorio non rientrano semplicemente nella categoria di quelle eccezioni. Invece siamo di fronte, a nostro parere, ad un fatto diverso. Sembra singolare non tanto che queste opere siano state conservate fino a tardi, [v. Ia datazione dei vari manoscritti, a suo luogo] ma proprio che siano state oggetto di traduzione. Appare logico mettere in relazione stretta le traduzioni dei due trattati di Gregorio, e a questo punto aggiungere forse anche la traduzione del De vita Gregorii Thaumaturgi e l'eventuale traduzione originale saidica del De deitate Filii et spiritus sancti; e attribuirne l'esecuzione ad uno degli ambienti monastici dell'inizio del V secolo. A noi sembra anche inevitabile riconoscere questo ambiente nella parte di monaci egiziani di tendenza origenista.
Si ripresenta a questo proposito un problema che già abbiamo affrontato quando abbiamo riconosciuto in alcuni testi tradotti in copto una matrice di ambiente evagriano. Chi poteva avere interesse a tradurli in saidico? Ebbene, noi riproponiamo la medesima ipotesi: che cioè alcune frange del movimento origenista di Nitria e Sceti abbiano trovato rifugio presso l'organizzazione pacomiana.
Anche qui occorre però intendersi bene. Non vogliamo affermare che ``i pacomiani'' all'inizio del V secolo fossero origenisti. Ma, allo stato attuale delle nostre conoscenze, ci vediamo auto- rizzati a pensare che all'interno del movimcnto pacomiano vi fossero all'inizio del V secolo varie tendenze, più o meno palesemente espresse. Ad alcune di esse può essere attribuita vuoi l'introduzione, vuoi una certa diffusione, nella letteratura copta (allora ai primi passi come veicolo d'informazione non-biblica) di opere di carattere origenista, o evagriano, o anche (l'opinione è ormai diffusa, anche se non saldamente provata [cf. J.M. ROBINSON in: The Nag Hammadi Library in English, San Francisco (etc.) 1977, Introduction, p. 13-21]), di carattere gnostico.

De Divinitate Filii et Spiritus Sancti. De Sacrificio Abraham. = clavis 0196 (CG3192)

-- Periodo: traduzioni classiche.
-- Manoscritti: MACA.BI.
-- Problemi: È un riadattamento del De deitate filii et spiritus sancti (CPG 3192 = BHG 2354 = PG 46, 553-576), che nel manoscritto è attribuito a Gregorio di Nazianzo. È il Vaticano copto 61,6, proveniente dalla biblioteca dello stesso monastero di S. Macario (cf. sopra) ed ascrivibile al X secolo [V. A. VAN LANTSCHOOT, Codices coptici vaticani, Roma 1937, p. 426-8].
L'omelia serviva alla lettura del giorno della festa dei tre patriarchi (Abraham Isaac Iacob) insieme ad un'altra (probabilmente il Testamento dei tre patriarchi attribuito ad Atanasio), come attesta una nota in margine [Van Lantschoot: ``In summo folio 185 manu recentiore: [tradu- ciamo] 28 Mesore, tres patriarchae: duo sermones continuo /. È stato pubblicato dal Chaine [M. CHAINE, Une homélie de Saint Grégoire de Nysse, ROC 17 (1912) 395-409 e 18 (1913) 36-38]. L'attribuzione all'altro Gregorio è comprensibile e quasi naturale, data la grande differenza di presenza dell'uno e dell'altro nella tradizione letteraria copta che accennavamo all'inizio. Basterà notare di sfuggita che anche sull'attribuzione a Gregorio di Nazianzo dell'omelia originale De deitate filii et spiritus sancti sembra sussistere qualche dubbio, se l'edizione nel corpus jaegeriano, affidata al Rhein, è prevista sotto il titolo ``Gregorii quod fertur... / [cf. M. HARL (ed.), criture et culture philosophique dans la pensée de Grégoire de Nysse, Leiden 1971: (anonimo) Infor- mations sur les travaux en cours, p. 68-84]. L'omelia originale, il cui contenuto è principalmente teologico, nella redazione boairica è stata trasformata, utilizzando solo la parte strettamente relativa all'esegesi morale del brano biblico, onde renderla utile in occasione della relativa celebrazione liturgica. Questo rientra nei normali canoni della letteratura copta, ma ci si chiede se la traduzione saidica, certo alla base di quella boairica, non potesse essere a suo tempo completa, e anche fatta su quella migliore redazione testuale greca che Chaine intravedeva attraverso il boairico.
È possibile che una precedente traduzione saidica, che è quasi sicuramente alla base della versione boairica, fosse a suo tempo completa, e anche fatta su quella migliore redazione testuale greca che Chaine intravedeva attraverso il boairico. Ad ogni modo il manoscritto boairico attribuisce l'omelia a Gregorio di Nazianzo. Il fatto però non stupisce, data la grande differenza di presenza fra l'uno e l'altro Gregorio nella tradizione letteraria copta. Si noti tuttavia che sussistono dubbi anche sull'attribuzione a Gregorio di Nazianzo dell'originale omelia greca (cf. annuncio nel corpus jaegeriano).
Per l'affinità fra questa omelia e Efrem In Abraham cf. CPG ad 3954 (Haidacher Rede Liber Abraham... ZKT 25 (1905) 764-766; Danielou RSR 55 (1967) 150-1; Mercati Ephrem Opera I, Introduzione).
-- Contenuto: Traduzione parziale rimaneggiata dell'omelia di Gregorio di Nissa. PG 46, 553-576.

De anima et resurrectione. = clavis 0195 (CG3149)

-- Periodo: traduzioni classiche.
-- Manoscritti: MONB.GT.
-- Problemi: (CPG 3149 = PG 46, 11-160). Conosciamo un solo codice del testo copto, di cui purtroppo sono pervenuti solo frammenti. Esso apparteneva alla biblioteca del Monastero Bianco (cf. sopra). Quanto resta è accuratamente descritto e pubblicato da Coquin e Lucchesi, a cui anche si deve l'identificazione [R. G. COQUIN et E. LUCCHESI, Une version copte du De anima et resurrectione (. Macrina /) de Grégoire de Nysse, ``Orient. LOV. Per.'' 12 (1981) 161-201]. Solo due fogli erano stati pubblicati precedentemente da Vergote [J. VERGOTE, Zwei koptische Fragmente..., OCP 4 (1938) 47-64; cf. anche W. C. TILI2, Bemerkungen... ``Orientalia'' 12 (1943) 328-337] che aveva pensato ad un'opera di Ippolito romano. Il codice può essere datato al X-XI secolo. Si noti che quanto rimane del codice non consente di sapere a chi fosse attribuito il testo, ne se la redazione corrispondesse in tutte le sue parti a quella greca; ma in ogni caso le considera- zioni che faremo dovrebbero rimanere valide. L'opera non solo è di carattere esclusivamente filosofico, ma oltretutto di scuola platonica ed origenistica. Se facciamo un semplice calcolo (Macrina morì nel 380, e dunque il testo è posteriore), concedendo anche solo un paio di decenni perché arrivasse in Egitto, e meglio al Sud dell'Egitto, e ne fosse compiuta la traduzione, ci troviamo al culmine della controversia origenistica. Secondo la ``conventional wisdom'' I'ambiente monastico della valle del Nilo avrebbe dovuto essere schierato compatto dietro il Teofilo ``seconda maniera'' (anti-origenista), ed anche se la controversia ecclesiastica non toccò mai Grego- rio, la scelta di una sua opera è sorprendente.
-- Contenuto:

In Ecclesiasten 1-8. = clavis 0197 (CG3157)

-- Periodo: traduzioni classiche.
-- Manoscritti: MONB.GV.
-- Problemi: (CPG 3157 = Opera V 277-442 = PG 44, 616-753). Un solo codice, proveniente dal Monastero Bianco (cf. sopra) ne conserva la traduzione in saidico; e purtroppo ne sono pervenuti solo frammenti, sia pure abbastanza consistenti. Essi sono pubblicati da molto tempo [i fogli di Napoli in E. AMELINEAU, Oeuvres de Shenoudi, Paris 1907-14, vol. II, nx XXI (p. 415 sgg.). Il foglio di Parigi parzialmente da J. LEIPOLDT, Shinuthii arch. Vita et opera omnia, vol. III, Paris 1908 (CSCO 42), p. 224, insieme con altri frammenti da un'opera davvero di Shenute (n. 47 De iudicio finali)], ma sfortunatamente fra le opere di Shenute, per motivi che non è qui il caso di specificare. L'attribuzione a Shenute ha così sempre impedito di fatto il riconoscimento del vero autore, oltre al vero contenuto dell'opera [la presentazione che si trova nelle edizioni rende molto difficile rendersi conto che si tratta di un commentario all'Ecclesiaste]. Poiché si tratta di una novità, daremo qui l'elenco completo dei frammenti, quale oggi ci risulta, senza pregiudizio per possibili future aggiunte.
Napoli, Bibl. Naz., IB 11.51 = p. 5-6 = Eccl. 1,1 (Omel. I) [questo foglio è stato erroneamente collocato da Amélineau dopo la p. 110, con recto e verso invertiti] 43 = p. 7-8 = Eccl. 1,2 44 = p. 9-10 (lacuna)
45 = p. 99-100 = Eccl. 2,14a (Omel. V)
46 = p. 101-102 = Eccl. 2,14b 47 = p. 103-104 = Eccl. 2,15-23 48 = p. 105-106 = Eccl. 2,24-26 49 = p. 107-108 50 = p. 109-110 (lacuna di 1 foglio) 52 = p. 113-114 53 = p. 115-116 54 = p. 117-118 = Eccl. 3,1 (Omel. VI) 55 = p. 119-120 56 = p. 121-122 57 = p. 123-124 = Eccl. 3,2a 58 = p. 125-126 59 = p. 127-128 = Eccl. 3,2b 60 = p. 129-130 (lacuna) Paris, Bibl. Nat., P 130(5)77 = p. 175-176 = Eccl. 3,8 (Omel. VIII)

È da notare che la scelta fra i commentarii all'Ecclesiaste era abbastanza vasta, a cominciare da quello di Didimo, autore egiziano che, sebbene anch'egli origenista (in senso generico), fu ritenuto ortodosso fino al concilio di Costantinopoli del 553 [per altri commentari rimandiamo alle indagini di S. LEANZA, Procopii Gazaei Catena... (Corpus christ. ser. gr. 4) Turnhout 1978]. La scelta dunque non fu né obbligata né naturale, ma (come crediamo) dettata da una precisa volontà, i cui scopi tuttavia vanno chiariti. La scelta tra i commentarii all'Ecclesiaste a disposizione di un traduttore copto era abbastanza vasta: ricordiamo in particolare il commentario dell'egiziano Didimo. La scelta non fu dunque naturale ed ovvia, e deve essere probabilmente messa in relazione con la scelta dell'opera precedente. L'esecuzione di queste due traduzioni, e forse anche quella della Vita di Gregorio taum., deve essere attribuita ad uno degli ambienti monastici dell'inizio del V secolo che era di tendenza origenista. È possibile che questa tendenza sia stata portata in ambiente saidico (dunque meridionale) da alcuni dei monaci del movimente origenista di Nitria e Sceti che abbiano trovato rifugio presso l'organizzazione monastica pacomiana.
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In Gregorium Thaumaturgum. = clavis 0198 (CG3184)

-- Periodo: traduzioni classiche.
-- Manoscritti: CC.-ABUMAQAR.024.1-5. LU.1086.06. LU.1086.28-29. LU.1086.34. LU.1086.41. LU.1087.14. LU.1087.17. LU.1087.24. MR.CRAWFORD49.
-- Problemi: (CPG 3184 = PG 46, 893-957) Può rientrare nelle normali scelte dei traduttori in copto, dato il carattere fantasioso e miracolistico degli eventi narrati e il posto fatto alla conversione al cristianesimo di genti pagane, all'ascesi e alla spiritualità.
La versione boairica (fatta probabilmente sul saidico) era stata segnalata da Leipoldt [In: K. VOLLERS (ed.), Katalog... Leipz,ig, Leipzig 1906, p. 389] e poi da Crum. [W. E. CRUM, Hagiographica frol1l Leipzig Manuscripts, PSBA 29 (1907) p. 294]. Tutti i frammenti noti sono stati poi pubblicati dall'Evelyn White. [H.G. EVELYN WHITE, New Coptic Texts from the Monastery of Saint Macarius, New York 1926, p. 144-156 (n. XXVIII)] Provengono tutti da un unico codice del IX secolo che era a suo tempo conservato nella biblioteca del monastero di S. Macario (Dair abu Maqar) di Sceti (Wadi al Natrun).
La versione saidica era stata segnalata dal Crum; solo recentemente Van Esbroeck ha pubblicato i frammenti della Bodleian Library, quelli appunto segnalati dal Crum [M. VAN ESBROECK, Fragments sahidiques du panégyrique de Grégoire le Thaumaturge par Grégoire de Nysse, ``Orient. Lov. Period.'' 6/7 (1975/6) 555-568 (= Miscellanea Vergote)]. Essi fanno parte di un codice che nella ricostruzione presso il Corpus dei Manoscritti Copti Letterari [cf. Bollettino d'lnformazione (del C.M.C.L.), nn. 1, 2, 3, Roma 1979-80. Distribuito gratuitamente su richiesta] porta la sigla MONB.FO. Esso proviene dalla biblioteca del Monastero Bianco (Dair al Abiad, Dair anba Shenuda) presso Achmim e può datarsi al X-XI secolo [esso conteneva altri testi agiografici attinenti a Claudio, Colluto].
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