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I diritti umani nell'insegnamento di Giovanni Paolo II:
fondamenti e principi.
Giorgio Filibeck
Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
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Con questo articolo, e con gli altri che seguiranno nel prossimo fascicolo della rivista, intendiamo inserirci nella celebrazione del L anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU (1948). L’Autore mostra come il sapiente magistero di Giovanni Paolo II sui diritti umani si fonda nella Redenzione, nella forza dell’amore e nella Verità. Senza entrare nell’esame di specifici diritti umani, l’Autore considera l’ambito tematico dello Stato di diritto e della democrazia.
Il panorama dei diritti umani, egli conclude, "non è un paesaggio idilliaco, non è la riposante visione di un morbido prato. É un terreno di scontro, è un teatro di sofferenze sul quale molti cristiani hanno versato il loro sangue fin dagli albori della Chiesa, molto prima che nel mondo si cominciasse a parlare dei diritti umani".
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1. Il problema del fondamento
"Come la moda crea il gusto,
così crea anche la giustizia"
Pascal, Pensieri, n. 309 (Ed. Brunschvicg)
Le parole di Pascal non sono tranquillizzanti: vi si avverte il tono sicuro di chi tutto sa rimettere in discussione, quasi beffandosi dei valori prestabiliti e sottoponendo alla sua critica corrosiva le convenzioni più condivise. Se pensiamo che scriveva più di tre secoli fa, restiamo sconcertati dal timbro contemporaneo delle sue affermazioni e insieme affascinati dallo spessore non datato delle sue intuizioni. Con la frase citata, Pascal sembra cogliere un dato per noi "post-moderni" piuttosto familiare: in mancanza di solide basi antropologiche, ogni deriva è possibile e perfino la giustizia, uno dei concetti più tradizionalmente "forti", si capovolge diventando una nozione "debole", tanto debole da seguire l'estro capriccioso di un fenomeno effimero per eccellenza come la moda.
Il tagliente giudizio di Pascal si potrebbe oggi applicare anche alla nozione dei diritti umani, i quali rappresentano sempre più nella coscienza moderna un'incarnazione della giustizia stessa, fino a diventarne un sostanziale sinonimo.
Un illustre giurista italiano, Norberto Bobbio, ha sostenuto alcuni anni fa (1987) che la seconda metà di questo secolo poteva essere chiamata "l'età dei diritti". Ciò malgrado, negli ultimi anni sono circolate interpretazioni e proclamazioni che sembrano stravolgere senso e portata di un concetto diventato un faro luminoso nel cammino travagliato della famiglia umana verso una sempre più consapevole rivendicazione della sua dignità.
In tale contesto, bisogna riconoscere nel magistero di Giovanni Paolo II un vigoroso contributo non solo alla difesa e alla promozione dei diritti umani, ma anche e specialmente al loro sicuro fondamento nella prospettiva cristiana. Un ancoraggio che assume un particolare significato davanti al progressivo venir meno dei punti di riferimento cardinali capaci di orientare la dottrina e la pratica dei diritti umani nel mondo attuale.
2. Il mistero della Redenzione
Nella sua prima enciclica, Redemptor hominis (4 marzo 1979), Giovanni Paolo II offre la chiave di volta del suo insegnamento sui diritti umani, che può riassumersi essenzialmente in due sole parole: Cristo Redentore. É Cristo a rivelare "pienamente l'uomo all'uomo stesso" e questa è "la dimensione umana del mistero della Redenzione": in tale dimensione, "l'uomo ritrova la grandezza, la dignità e il valore propri della sua umanità" (RH 10).
Il Papa scrive che se l'uomo arriva a entrare in Cristo, allora comprenderà interamente se stesso, fino ad essere preso da "profonda meraviglia" nel constatare il valore che ha davanti a Dio, nel rendersi conto di costituire il motivo dell'Incarnazione del Figlio di Dio: "Quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell'uomo si chiama Vangelo". É un simile stupore che "giustifica la missione della Chiesa nel mondo" ed è la Redenzione che, mediante il sacrificio della Croce, "ha ridato definitivamente all'uomo la dignità" (RH 10).
Se "in Cristo e per Cristo, l'uomo ha acquistato piena coscienza della sua dignità", ne consegue che tutti i cristiani, a prescindere dalle divisioni tra loro tuttora persistenti, possono e devono manifestare la loro unità "nel lottare con instancabile perseveranza per la dignità che ogni uomo ha raggiunto e può raggiungere continuamente in Cristo" (RH 11).
Davanti alle difficoltà, alle delusioni e alle incertezze emerse nel dialogo ecumenico, è benefico rileggere a quasi venti anni di distanza queste parole del Papa, che mettono in luce la sua apertura ecumenica e il suo impegno, ripetutamente sottolineato durante il suo pontificato, per un'accresciuta collaborazione tra tutte le Chiese cristiane, soprattutto in favore della dignità umana, come segno credibile della missione affidata da Dio ad ogni cristiano e a tutti i cristiani.
Tale missione comporta l'obbligo di annunciare la verità ricevuta da Dio con un atteggiamento di profondo rispetto per il destinatario di un simile annuncio e per la sua libertà. Così, "la stessa dignità della persona umana diventa contenuto di quell'annuncio" e siccome "non in tutto quello che i vari sistemi ed anche singoli uomini vedono e propagano come libertà è la vera libertà dell'uomo, tanto più la Chiesa, in forza della sua divina missione, diventa custode di questa libertà, la quale è condizione e base della vera dignità della persona umana" (RH 12).
Tali parole, scritte dieci anni prima dei fatti che, nel 1989, hanno mutato profondamente i tratti della geografia politica e della vita istituzionale di larga parte dell'Europa, acquistano una dimensione profetica perché tale sorprendente sconvolgimento avvenne proprio come una reazione imprevista, ma in fondo prevedibile, contro un sistema di potere totalitario che per lunghi decenni aveva soffocato le aspirazioni di interi popoli alla libertà e alla verità, delle quali propagandava invece una maschera deformante e ripugnante.
Evocando l'affermazione del Concilio Vaticano II, il Papa ricorda che "Cristo si è unito ad ogni uomo", un uomo "in cui permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso" (RH 13) e sottolinea che l'uomo "è la prima e fondamentale via della Chiesa": da tale equazione discende la necessità per la Chiesa di "essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché "la vita umana divenga sempre più umana", perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell'uomo" (RH 14).
Giovanni Paolo II è ben consapevole dei rischi incombenti sulla civiltà contemporanea, nella quale l'uomo "sembra essere sempre minacciato da ciò che produce", per cui "vive sempre più nella paura", temendo che i frutti della sua inventiva e della sua capacità "possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso" fino a divenire "mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione" (RH 15). Da qui la necessità che allo sviluppo della tecnica che domina il nostro tempo corrisponda "un proporzionale sviluppo della vita morale e dell'etica", affinché l'uomo "diventi veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità" (RH 15). Davanti alla realtà del mondo attuale, la Chiesa ritiene suo dovere interrogarsi sulla direzione che prende il progresso e se esso si ponga veramente a servizio dell'uomo e della sua dignità: "il principio di questa sollecitudine essa lo trova in Gesù Cristo stesso, come testimoniano i Vangeli" (RH 15).
3. La forza dell'amore
L'esame della situazione in cui si trova l'uomo nel mondo attuale porta il Papa a una diagnosi severa ma lucida: si tratta di una situazione che "sembra lontana dalle esigenze oggettive dell'ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e, ancor più, dell'amore sociale" (RH 16). Al momento della pubblicazione dell'Enciclica, Giovanni Paolo II si rendeva ben conto che il suo giudizio poteva suonare aspro e che la sua denuncia poteva correre il rischio di essere fraintesa o addirittura sfruttata da una delle "parti" che si affrontavano nel contesto geo-politico esistente Egli, tuttavia, ricorda che la Chiesa "non disponendo di altre armi che di quelle dello spirito, della parola e dell'amore, non può rinunciare ad annunciare "la parola ... in ogni occasione opportuna e non opportuna"" ( RH 16). La motivazione dell'intervento della Chiesa in campo sociale è l'amore.
Nella sua seconda enciclica, Dives in misericordia (30 novembre 1980), il Papa mette in rilievo la connessione esistente tra la giustizia e l'amore, un amore testimoniato, tra l'altro, dalla celebre parabola del "figliol prodigo". Nel vedere il ritorno del figlio a casa, "il padre è consapevole che è stato salvato un bene fondamentale: il bene dell'umanità di suo figlio ... La fedeltà del padre a se stesso è totalmente incentrata sull'umanità del figlio perduto, sulla sua dignità ... si può dire che l'amore verso il figlio, l'amore che scaturisce dall'essenza stessa della paternità, obbliga in un certo senso il padre ad aver sollecitudine della dignità del figlio ... la relazione di misericordia si fonda sulla comune esperienza di quel bene che è l'uomo, sulla comune esperienza della dignità che gli è propria" (DM 6).
Il male commesso dal figlio è superato, dal momento che egli è stato capace di prenderne coscienza in verità e si è quindi posto sul cammino della conversione.
A tale cammino di salvezza, Cristo chiama ognuno di noi e, come suggello del suo irrevocabile invito, offre la sua vita per la redenzione dell'umanità: "Proprio questa redenzione è l'ultima e definitiva rivelazione della santità di Dio, che è la pienezza assoluta della perfezione: pienezza della giustizia e dell'amore, poiché la giustizia si fonda sull'amore, da esso promana e ad esso tende" (DM 7).
Nel sacrificio della Croce, si rivela interamente la misericordia divina e si eleva al massimo la dignità umana, dato che l'uomo "trovando misericordia, è anche, in un certo senso, colui che contemporaneamente "manifesta la misericordia"" (DM 8). Per Giovanni Paolo II, la sintesi di tutta la Buona Novella si può trovare nelle parole di Gesù "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7): esse riflettono "il profondo mistero di Dio: quella inscrutabile unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in cui l'amore, contenendo la giustizia, dà l'avvio alla misericordia, che, a sua volta, rivela la perfezione della giustizia" (DM 8).
La prospettiva dell'amore è l'orizzonte in cui si situa l'azione del cristiano per i diritti umani.
Indicando una serie di comportamenti che prefigurano l'azione del cristiano per i diritti umani, Gesù stesso lo dice chiaramente: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi ..., l'avete fatto a me" (Mt 25,40). É in tale prospettiva che "la Chiesa condivide con gli uomini del nostro tempo questo profondo e ardente desiderio di una vita giusta sotto ogni aspetto", pur nella convinzione che "la giustizia da sola non basta e, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni" (DM 12).
Il Papa ha identificato nel concetto teologico di "pro-esistenza" l'amore di Cristo Redentore, il quale ha offerto la sua vita e ha chiesto ai suoi discepoli di essere pronti allo stesso dono totale, affermando: "Se noi riscopriamo il significato autentico dell'amore "pro-esistente", allora i diritti umani possono e devono farne parte, in nome, si può dire, del sacrificio pasquale di Cristo stesso" (Discorso alla Commissione Teologica Internazionale, 5 dicembre 1983).
Giovanni Paolo II svilupperà ancora il tema dell'"amore sociale" nell'enciclica Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), tramite la nozione di solidarietà, definita come una "virtù cristiana": "alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora, il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale uguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal Sangue di Gesù Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo" (SRS 40).
Inoltre, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1998, il Papa scrive: "... è importante considerare anche la promozione dei diritti umani: questa è frutto dell'amore per la persona come tale, giacché "l'amore va oltre quanto è in grado di assicurare la semplice giustizia" (Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 78)" (n. 2).
4. "La verità vi farà liberi" (Gv 8,32)
Nella visione di Giovanni Paolo II, un nesso inscindibile lega la verità alla libertà. Su tale nesso insiste specialmente l'Enciclica Centesimus annus, pubblicata nel centenario della Rerum novarum (1° maggio 1991), indirizzata - come già la Redemptoris hominis - non solo ai membri della comunità ecclesiale, ma anche "a tutti gli uomini di buona volontà", per mostrare che i temi dibattuti dal documento hanno una rilevanza anche al di fuori della Chiesa. Tra l'altro, l'Enciclica riflette in modo particolare sulla genesi, sul senso e sulle conseguenze degli avvenimenti del 1989. Nel solco di quanto già affermato da Leone XIII, il legame tra libertà e verità è considerato da Giovanni Paolo II come "costitutivo" (CA 4); il suo mancato rispetto rappresenta "l'errore fondamentale del socialismo", un errore "di carattere antropologico", in quanto colpisce la persona umana nella sua essenza e ne mina la dignità (CA 13). Per il Papa, la causa di tale errore è l'ateismo: "La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e, di conseguenza, induce a riorganizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona" (ib.). Da una simile posizione discende "una concezione della libertà umana che la sottrae all'obbedienza alla verità e, quindi, anche al dovere di rispettare i diritti degli altri uomini" (CA 17). Disattendere il "diritto-dovere di cercare Dio, di conoscerlo e di vivere secondo tale conoscenza" e ignorare "i diritti della coscienza umana, legata solo alla verità sia naturale che rivelata" significa aprire la strada a sistemi totalitari, a società prive di una gerarchia di valori, a spinte fondamentaliste che discriminano anche tra i cittadini di un medesimo Stato: "Nessun autentico progresso è possibile senza il rispetto del naturale e originario diritto di conoscere la verità e di vivere secondo essa" (CA 21).
L'Enciclica fa discendere il fenomeno del totalitarismo moderno "dalla negazione della verità in senso oggettivo"; in tal modo, infatti, "trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinone, senza riguardo ai diritti dell'altro" (CA 44). E ancora: "La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e proprio per questo, per la sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare" (ib.).
Giovanni Paolo II tiene a precisare, forse avendo presente alcune critiche riaffioranti periodicamente soprattutto nel mondo occidentale, che "non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell'uomo si realizza in condizioni diverse e non perfette" (CA 46): pertanto la Chiesa "riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà. Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall'accettazione della verità: in un mondo senza verità perde la sua consistenza, e l'uomo è esposto alla violenza delle passioni e a condizionamenti aperti od occulti" (ib.). Perciò il cristiano non può rinunciare a proporre la "sua" verità, rispettosamente ma fermamente, rimanendo teso a scoprire "ogni frammento di verità che incontri nell'esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle nazioni" (ib.).
La riflessione antropologica dell'enciclica salda persuasivamente il piano della ricerca naturale con quello della grazia soprannaturale: nella visione cristiana, l'edificio dei diritti dell'uomo poggia su pilastri capaci di resistere ad ogni scossa tellurica.
5. Lo Stato di diritto
Nel capitolo V dell'Enciclica Centesimus annus, dedicato al tema dello Stato e della cultura, si rimanda al seguente passo della Rerum novarum: "Per quanto si mutino e rimutino le forme di governo ... vi saran sempre pubblici ministri, legislatori, giudici ...". Giovanni Paolo II commenta al riguardo: "... ciò in quel tempo costituiva una novità nell'insegnamento della Chiesa" (CA 44). Da tale riconoscimento, seppure indiretto, della teoria della divisione dei poteri, corrono cento anni in cui l'insegnamento della Chiesa circa l'organizzazione e il funzionamento dello Stato si è sviluppato e approfondito fino ad esprimersi nella CA così: "É preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. É, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge e non la volontà degli uomini" (ib.).
Anche un simile riferimento è una "novità" nel linguaggio del Magistero; formulato in modo conciso ma sostanziale, mostra la sollecitudine per un'organizzazione statuale a servizio della "libertà di tutti" e si pone in sintonia con l'evoluzione che lo Stato ha conosciuto nel mondo occidentale, il cui attuale assetto istituzionale è giudicato funzionale ai compiti che deve assumere.
Naturalmente, il Papa sa fin troppo bene che tale processo non è stato sempre lineare e che, anzi, ha conosciuto traumi di lunga durata e di tragiche conseguenze. Perciò, dopo aver manifestato il suo consenso allo "Stato di diritto", si affretta a rinnovare il suo monito contro i sistemi totalitari, identificandone il tratto distintivo nella "negazione della verità" (ib.).
Per Giovanni Paolo II, lo Stato totalitario, qualunque sia il suo orientamento ideologico, è la negazione dello "Stato di diritto". Inoltre, il totalitarismo esercita i suoi effetti dissolutori su ogni soggetto sociale, sia esso individuale o collettivo, poiché tende ad assorbire in se stesso la Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone" (CA 45).
L'Enciclica si fa eco della dolorosa persecuzione sofferta dalla Chiesa nei contesti totalitari e ne traccia una lucida analisi: "Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può tollerare che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male oltre la volontà dei governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a giudicare il loro comportamento. Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato ideologico" (ib.). Giovanni Paolo II tiene a ribadire che la Chiesa, nel difendere la propria libertà, abbraccia in tale difesa tutti i soggetti sociali, dalla persona alla nazione, passando per la famiglia, "realtà tutte che godono di una propria sfera di autonomia e di sovranità" (ib.).
6. Una democrazia dei valori
L'Enciclica Centesimus annus guarda con speranza agli esiti dei rivolgimenti che hanno dischiuso in diverse parti del mondo, e specialmente in Europa orientale, "nuove forme di democrazia" (CA 22). Il Papa osserva che, "dopo il crollo del totalitarismo comunista e di altri regimi totalitari e di "sicurezza nazionale", si assiste al prevalere, non senza contrasti, dell'ideale democratico, unitamente ad una viva attenzione e preoccupazione per i diritti umani", insistendo sulla necessità "che i popoli che stanno riformando i loro ordinamenti diano alla democrazia un autentico e solido fondamento mediante l'esplicito riconoscimento di questi diritti" (CA 47). L'Enciclica offre una significativa lista dei diritti definiti "tra i principali": "il diritto alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; il diritto ad avere una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; il diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; il diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra e ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; il diritto a fondare liberamente una famiglia e ad accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità. Fonte e sintesi di questi diritti è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona" (ib.).
Si tratta, a ben guardare, di una serie di diritti strettamente connessi con il fondamento antropologico sopra descritto. Gli stessi si ritrovano, "in nuce", nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ma sono qui formulati in un modo diverso, come arricchiti dalla luce della "trascendente dignità" della persona umana.
Per Giovanni Paolo II, "un'autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persone umana" (CA 46). Se lo Stato di diritto è il tronco, il concetto di persona è la linfa che nutre l'albero della democrazia. La tesi oggi ricorrente, secondo la quale "l'agnosticismo ed il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondente alle forme politiche democratiche", va respinta perché "se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per i fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come dimostra la storia" (ib.).
La visione del Papa è realistica: "Anche nei Paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto rispettati" (CA 47). La sua diagnosi è precisa: tali Paesi vivono una crisi dovuta al fatto che le attese della popolazione non sono vagliate "secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono", con la conseguenza di una "diminuzione della partecipazione politica e dello spirito civico" e di una "crescente incapacità di inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune" (ib.). La nozione di bene comune è cruciale in tale contesto: "infatti, non è la semplice somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad un'equilibrata gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad un'esatta comprensione della dignità e dei diritti della persona" (ib.).
7. L'azione della Chiesa
I limiti della presente relazione non consentono di affrontare altri principi fondamentali dell'insegnamento di Giovanni Paolo II in materia di diritti umani come il significato radicale della libertà religiosa (cfr. Enciclica Redemptor hominis 17), il ruolo della cultura nella difesa della sovranità dell'uomo e della nazione (cfr. Discorso all'UNESCO, 2 giugno 1980), l'identificazione della famiglia quale soggetto di diritti (cfr. Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981), il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine naturale (cfr. Enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995), la concezione del lavoro come un bene che esprime la dignità umana (cfr. Enciclica Laborem exercens, 14 settembre 1981).
Tale vasto e ricco patrimonio dottrinale ispira l'azione della Chiesa nel campo dei diritti umani. Lungi dall'essersi appropriata di un concetto che le era estraneo, secondo le critiche mosse da alcuni ambienti laicisti, la Chiesa ha saputo andare oltre gli aspetti contingenti e polemici nei confronti dell'elaborazione storica dei diritti umani - segnata dall'esperienza della Rivoluzione francese - e ravvisare nella dignità umana la loro corretta base, rileggendo con uno sguardo nuovo i principi antichi e sempre vivi nella tradizione.
Giovanni Paolo II ha particolarmente approfondito il fondamento cristologico dei diritti umani, già emerso nel Concilio Vaticano II, completando così la classica argomentazione teologica che vede la dignità umana scaturente dalla creazione dell'uomo a "immagine di Dio" (cfr. Gn 1,26). Forte di tale insegnamento, la Chiesa si è avviata verso il Terzo Millennio accompagnando con un sempre maggior impegno pastorale la lotta in favore della dignità umana, percepita come "un elemento essenziale della sua missione" (RH 15).
Diritti dell'uomo, o uomo senza diritti?
Il panorama dei diritti umani non è un paesaggio idilliaco, non è la riposante visione di un morbido prato. É un terreno di scontro, è un teatro di sofferenze sul quale molti cristiani hanno versato il loro sangue fin dagli albori della Chiesa, molto prima che nel mondo si cominciasse a parlare dei diritti umani. La loro testimonianza continua ad essere offerta ancora ai giorni nostri: basti pensare al nome, a voi ben noto, di Jerzy Popieluszko, o al recentissimo caso del vescovo Juan Gerardi, assassinato a Città di Guatemala. Martiri della dignità umana, sì, perché testimoni del Vangelo di Cristo.