Studio su Dietrich Bonhoeffer
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Introduzione
"Come si può annunciare Cristo ad un mondo divenuto adulto?", questa domanda, che anima l'ultima riflessione di Dietrich Bonhoeffer, può essere considerata la chiave di interpretazione di tutto il seguente lavoro. Alla base di tutto c'è una questione che sia io, che mi sto criticamente confrontando con i testi bonhoefferiani, sia lo stesso teologo crediamo essenziale per ogni persona che voglia dirsi autenticamente cristiano: un annuncio che sia comprensibile e significativo per l'uomo di oggi, che possa andare al di là del dilemma, che lo stesso J.Moltmann ha posto nell'incipit della sua fondamentale opera "Il Dio crocifisso"1, il dilemma cioè tra rilevanza ed identità dell'annuncio stesso. Moltmann si chiede come possa essere annunciato il Cristianesimo all'uomo di oggi tenendo fermo che ogni qualvolta io cerchi di dare rilevanza al Cristianesimo, sia costretto a far emergere dati che non siano l'essenza del Cristianesimo stesso oppure ogni qualvolta io mi rintani nella specifica identità cristiana, rischi di rendere il mio annuncio del tutto insignificante per l'uomo moderno; un uomo cioè che ha saputo con la sua intelligenza comprendere il mondo facendo a meno di Dio. La risposta di Bonhoeffer è "cominciamo con il prendere sul serio l'età adulta dell'uomo, e a non ritenere questo fatto una deprecabile ineluttabilità del mondo moderno, ma come un vero progresso".
Ed eccoci alla domanda iniziale: "Come annunciare Cristo ad un mondo adulto?"
Il lavoro è diviso in tre parti molto diverse tra loro:
• la prima parte, breve descrizione della vita di Bonhoeffer, scevra da ogni difficoltà, credo possa valere come piacevole e mi auguro, interessante, lettura;
• la seconda parte è una introduzione generale al pensiero del teologo. In questa sezione, pur optando per la maggiore semplicità possibile, ho cercato di inserire la problematica bonhoefferiana all'interno della teologia e, non di rado, della filosofia del '900. Chi si addentra nella lettura di questa parte dovrà munirsi di buona volontà di capire e pazienza nel sopportare le mie, necessariamente, sintetiche, note;
• nella terza parte alla fine ho messo da parte ogni remora di cedimento alla facile comprensibilità; in essa è presente tutto il mio sforzo di comprendere, chi voglia seguirmi in questo itinerario sia con me in tutta la difficoltà di penetrare nei testi e, possibilmente, dopo aver compreso, mi aiuti nel procedere, con e oltre Bonhoeffer.
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La vita
Sembra di sfruttare la classicità dei manuali ad iniziare la trattazione del nostro autore con lo stendere un resoconto della sua vita; potrebbe apparire banale.
Ma l'esistenza terrena di un teologo che in soli 39 anni ha lasciato una traccia così profonda nel pensiero di questo secolo e che ha concluso la sua breve vita su un patibolo del campo di concentramento di Flossenbürg non può essere taciuta solamente per la paura di apparire scontati.
In Dietrich Bonhoeffer il pensiero e la vita sono inscindibilmente uniti; la sua evoluzione da teologo a cristiano, a testimone di Cristo insieme ai suoi fratelli1 non può essere spiegata altrimenti che dalla sua biografia, che già Ebeling nel suo famoso scritto raccomandava come essenziale per la comprensione del pensatore berlinese2.
Ho parlato di Bonhoeffer come di un pensatore berlinese dato che è innegabile che, anche se la sua carta di identità portava come luogo e data di nascita Breslavia 1906, tutta la sua vita ed il centro del suo operare, dall'età di sei anni in poi è stata la capitale tedesca ed in particolare la chiesa evangelica di Berlino Brandeburgo.
Allievo promettente, proveniente dall'alta borghesia, (suo padre deteneva la cattedra di psicologia nell'università statale, e sua madre, nata Von Hase annoverava tra i suoi avi anche Karl August Von Hase, storico della chiesa e dei dogmi a Breslavia; lo zio Paul Von Hase era comandante di piazza a Berlino e con Dietrich finì i suoi giorni per aver partecipato all'attentato contro Hitler), manifestò fin dall'infanzia il desiderio di diventare teologo scegliendo l'ebraico come materia facoltativa, all'età di 15 anni, per il suo curricolo di studi.
Dottore in teologia all'età di soli 21 anni, con la tesi Sanctorum Communio, una ricerca dogmaticasulla sociologia della chiesa, dette inizio alla sua attività di pastore in un parrocchia evangelica a Barcellona. Ebbe già modo in quella occasione di dimostrare la sua non comune volontà di predicazione, con una serie di conferenze, del cui felice esito non abbiamo certezza, sulla evoluzione del dogma e sulla teologia dialettica. Nel contempo procedeva il suo lavoro per la abilitazione alla libera docenza che fu pubblicato nel 1932 con il titolo Atto ed essere. Anche in questo scritto, come in Sanctorum Communio Bonhoeffer aveva ancora messo un piede in due staffe; nel suo primo lavoro la ricerca dogmatica prendeva in prestito dalle scienze sociali alcuni principi di riferimento assumendoli criticamente, in Atto ed Essere la filosofia trascendentale veniva ad essere posta sotto accusa in un tentativo di giustificare la sua ecclesiologia precedente. Entrambi questi lavori vennero per lo più snobbati dalla critica teologica, ma già Bonhoeffer aveva perso interesse a queste sue opere. In questo periodo si colloca la sua decisione di passare un anno di studio all'estero, e per la precisione negli Stati Uniti, all'Union Theological Seminary di New York. Nell'ambiente statunitense, così lontano dalla scientificità asettica dell'università berlinese, Bonhoeffer venne a contatto con il Social Godspel3, celebrò funzioni religiose nei ghetti negri, consumò i suoi soldi e le sue energie in un viaggio in Messico da cui tornò affrontando aspre difficoltà, ma pronto a riprendere la rotta europea, e quindi la sua carriera di libero docente, carico di nuove motivazioni. Nel suo viaggio di ritorno si fermò a Bonn a conoscere personalmente K. Barth, il teologo che più di tutti lo aveva influenzato e coinvolto nella scelta della sua carriera e del suo percorso esistenziale, e che diventerà poi suo amico e compagno nel Kirchenkampf degli anni a venire4.
Nel suo insegnamento accademico mostrò una vera carica innovativa, coinvolgendo gli studenti in iniziative non esclusivamente accademiche, prendendo anche spesso parte nella situazione politica esistente.
Fin dal febbraio del 1933 critica in una trasmissione radiofonica l'aspirazione del popolo a trovare in Hitler un Fürher (capo) che rischia di diventare un Verfürher (seduttore). La trasmissione viene interrotta.
Dal suo insegnamento accademico ci rimangono oggi i corsi pubblicati con il titolo Creazione e caduta, ma soprattutto la postuma Cristologia, ultimo corso tenuto da Bonhoeffer nel 1933 e di fondamentale importanza per la sua successiva teologia prima della sospensione ed il divieto ad insegnare e parlare in pubblico pervenutogli il 5 agosto 1936. Dal 1933 al 1935 si occupa di due piccole parrocchie evangeliche in terra inglese ed ha l'occasione di conoscere George Bell, Vescovo di Chichester e di farsi notare come figura significativa per il movimento giovanile ecumenico. Dietro la motivazione di una volontà di partecipare più attivamente al ministero pastorale stava probabilmente la voglia di sottrarsi momentaneamente alla lotta contro il nazismo imperante, alla disillusione di vedere la sua chiesa lacerata e divisa tra odi, dubbi e meschinità di ogni tipo; ma dal suo ritorno in patria nel 1935, fino alla sua carcerazione, la volontà di servizio alla causa della chiesa confessante non può essere messa in discussione.
Cominciò con l'occuparsi della formazione dei nuovi pastori nel seminario di Finkenwalde, presso Stettino in Pomerania, dove rimase fino al 1937, data della chiusura del seminario stesso decisa da Himmler in persona.Da questa sua esperienza pastorale Bonhoeffer rimase profondamente influenzato; le sue lettere agli ex allievi, le sue commemorazioni per le loro morti al fronte, scandiranno da allora in poi la sua esistenza Nella casa fraterna di Finkenwalde Bonhoeffer inaugurò una vera e propria vita comune e da questa esperienza nasceranno libri indimenticabili e che gli conferiranno la notorietà che i suoi precedenti testi accademici non gli avevano portato, come Sequela e Vita comune.
In essi troviamo il Bonhoeffer cristiano, quello che si interroga sulla Grazia a caro prezzo e che propone il Discorso della Montagna di Mt.5-7 come documento e guida essenziale per la vita cristiana; il Bonhoeffer che si avvicina anche a tematiche che gli procureranno accuse di cattolicesimo, come la proposta della confessione personale e della vita e meditazione comune5.
Il tempo passato negli Stati Uniti porterà nel 1939, nel periodo di maggiore difficoltà in Germania, ad un passo dall'inizio ufficiale della Seconda Guerra Mondiale e quando essa era ormai indubitabile6, ad un invito per una serie di conferenze oltre oceano che gli permettesse di sottrarsi alla sciagura definitiva.Lungi però dall'interpretare questo come un possibile privilegio, Bonhoeffer scrive in questo periodo:
"Ho commesso un errore nel venire in America. Devo attraversare questo periodo di difficoltà della nostra storia nazionale con i cristiani della Germania. Non avrò il diritto di prendere parte alla ricostruzione della vita cristiana in Germania, dopo la guerra, se non parteciperò alla prove di questo tempo con il mio popolo... In Germania i cristiani dovranno affrontare la terribile alternativa di volere la fine della loro nazione perché sopravviva la civiltà cristiana, o di volere la vittoria della loro nazione e, conseguentemente, la distruzione della nostra civiltà. Io so quale di queste alternative devo scegliere, ma non posso fare questa scelta nella sicurezza..."7
Dopo poche settimane, rischiando anche di offendere l'amico Niebhur, che tanto si era prodigato per farlo giungere fino a lì, eccolo riprendere la nave che doveva riportarlo in patria per l'ultima volta e riprendere la lotta con maggior vigore, ed anche con nuove intenzioni. Al suo ritorno in Germania diventerà sempre più partecipe nella resistenza attiva, coinvolto da altri membri della sua famiglia, per partecipare alla organizzazione dell'attentato contro il Fürher.
Anche guardando indietro dalla sua cella di Tegel, al periodo della scelta di tornare in patria, nelle sue lettere non rimpiangerà questa sua decisione. Il suo impegno lo porterà in Norvegia (per prendere contatti per possibili garanzie a favore di una Germania libera e democratica dopo la eventuale resa, seguita alla morte di Hitler) alla Svizzera, per espatriare di nascosto gruppi di ebrei e assumendo anche per i suoi amici più vicini atteggiamenti inspiegabili (al punto che anche Barth, una volta, rifiutò di garantire per lui alle autorità elvetiche).
Cominciò allora anche un graduale distacco dalla Chiesa Confessante: la polemica si stava insterilendo in sottigliezze dogmatiche, ed oltre a ciò Bonhoeffer non voleva coinvolgere altri appartenenti alla organizzazione nella sua decisione di partecipare attivamente ad una lotta, cui lui stesso aveva preso parte con molta indecisione.
"La nuova svolta richiese il suo sacrificio, il sacrificio della sua reputazione di parroco, se non addirittura di cristiano. Essa lo trasferì dall'ambiente relativamente chiaro ed univoco, nel quale si trattava solo di confessare e rinnegare, del sì o del no, in un mondo ambiguo, nel quale bisognava accuratamente e faticosamente valutare le opportunità, il successo e l'insuccesso, il camuffamento e la tattica... Attorno ai suoi amici e alla sua persona crebbe la solitudine dell'uomo di azione, che non può più attingere fuori di se alcuna giustificazione, ma deve lasciarla unicamente a Dio. Solo adesso il teologo e cristiano Dietrich Bonhoeffer realizzò la presenza al suo tempo e al suo luogo. Come membro di quella classe borghese che fino allora non aveva fatto nulla per impedire l'avvento del Terzo Reich, accolse sulle proprie spalle il peso della responsabilità... Per la seconda volta... la vita di Bonhoeffer prese una direzione nuova"8.
Quella direzione che Bethge qualifica come il diventare 'compagno del nostro tempo' e a cui io ho preferito aggiungere la qualifica 'testimone di Cristo tra i fratelli'.
"Ad un detenuto italiano che gli chiedeva come lui, cristiano e pastore, potesse prendere parte ad un complotto che cercava la morte di Hitler, Bonhoeffer rispose: "Quando un pazzo, nella Kunfüsterdamm, lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante."9
Con lui si ritrovarono molti della sua cerchia sociale e dei suoi familiari; la famiglia Bonhoeffer pagherà un tributo molto caro al tentativo di reimpostare una nuova Germania.10
Questa attività, tesa a preparare l'attentato al dittatore, avrà esito negativo, dopo vari tentativi falliti in partenza, il 20 luglio del 1944, quando Dietrich era già in carcere, e segnerà la fine di tutti i cospiratori giustiziati in vari campi, pochi giorni prima della liberazione, a dimostrazione che, nella rovina generale, ciò che era rimasto efficiente nel nazismo era solamente la mostruosa macchina poliziesca ed assassina.
Poco prima del suo arresto era avvenuto per Bonhoeffer un evento che lo avrebbe segnato per il pur breve tempo della sua vita reclusa: l'incontro con Maria Von Wedemeyer, nipote della signora Ruth Von Kleist-Retzov, che abitava presso Stettino e che aveva condiviso con lui le gioie di Finkenwalde. Nella sua soffitta egli aveva steso le pagine di Sequela. Da lei aveva incontrato per la prima volta Maria dodicenne, aveva condotto alla Cresima il fratello di lei che nel 1943, insieme al padre, aveva perso la vita sul fronte russo.
Proprio questo evento, insieme ad una certa ostilità della madre per la differenza di età che separava i due fidanzati, impedì loro la ufficializzazione del loro amore, ufficializzazione che non avvenne mai a causa dell'arresto di Dietrich avvenuto il 5 aprile del 1943. Sulla sua scrivania, al momento dell'arresto si trovò una striscia di carta su cui era scritto: esserci per questo mondo. Finché l'accusa fu di disfattismo e la sua reclusione si consumò nel carcere berlinese di Tegel, Bonhoeffer godette di una certa possibilità di contatto con l'esterno, ed a ciò dobbiamo l'insieme di lettere che compongono il testo, di cui ci occuperemo dettagliatamente in seguito, e che ha ricevuto da Bethge il titolo di Resistenza e resa.
L'8 ottobre del 1944, in seguito alla scoperta dell'archivio segreto del Maresciallo Canaris, uno dei capi della congiura per il fallito attentato, l'accusa divenne di alto tradimento, Bonhoeffer venne trasferito nel carcere della Gestapo e di lui, da allora in poi, sappiamo solo ciò che i pochi testimoni oculari sopravvissuti ci hanno raccontato pochi mesi dopo la fine della guerra. La stessa Maria seppe della morte di Dietrich, avvenuta nell'aprile, solo a luglio 1945.
Riprendiamo il tutto da Gli ultimi giorni di Dietrich Bonhoeffer di E. Bethge, pubblicato in appendice alla edizione italiana di Resistenza e Resa.
"Ma non passò molto tempo che la porta si spalancò e due civili gridarono: "Prigioniero Bonhoeffer, prepararsi e venire via!". Riuscì a raccogliere le sue cose. Con la matita spuntata scrisse a grandi lettere nome e indirizzo sul frontespizio, a metà volume e sull'ultima pagina del Plutarco. Lasciò il libro in quella stanza, affinché nel caos che stava per venire esso fornisse una sua traccia. Uno dei figli di Goerdeler poi lo prese, lo tenne con sé e solo dopo anni lo consegnò alla famiglia Bonhoeffer, come ultimo segno della vita di Dietrich... "E' la fine, per me l'inizio della vita!", furono le sue ultime parole...A Flossenbürg, all'alba di quel lunedì 9 aprile vennero giustiziati coloro che non dovevano assolutamente sopravvivere. Il medico del campo vide Bonhoeffer, nella cella preparatoria, inginocchiarsi a pregare: "Attraverso la porta semiaperta di una stanza delle baracche vidi che il pastore Bonhoeffer, prima di svestire gli abiti di prigioniero, si inginocchiò in una profonda preghiera con il suo Signore. La preghiera così devota e fiduciosa di quell'uomo straordinariamente simpatico mi ha scosso profondamente. Anche al luogo del suo supplizio egli fece una breve preghiera, quindi salì coraggioso e rassegnato il patibolo. La morte giunse dopo pochi secondi. Nella mia attività medica di quasi cinquanta anni non ho mai visto un uomo morire con tanta fiducia in Dio". (H.M. Lunding)11
Data la sua notorietà è appena il caso di ricordare come una delle sue ultime poesie uscite dalle fredde stanze del carcere berlinese e indirizzata all'amico Eberhard si intitola Stazioni sulla via verso la libertà, e l'ultima stazione è appunto la morte.
Morte
Vieni, ora, festa suprema sulla via verso la libertà
morte, rompi le gravose catene e le mura
del nostro effimero corpo e della nostra anima accecata,
perché finalmente vediamo, ciò che qui c'è invidiato di vedere.
Libertà, a lungo ti cercammo nella disciplina, nell'azione e nella sofferenza.
Morendo, te riconosciamo ora nel volto di Dio.
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Il pensiero
"Io credo che i cristiani che stanno sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in Paradiso"1.
E' molto difficile, per non dire impossibile tracciare un itinerario del pensiero bonhoefferiano dagli esordi accademici alla tragica conclusione della sua esistenza nel Lager di Flossenbürg, un'esistenza che, pur essendo socialmente terminata qualche tempo prima (fin dal 5 aprile 1943), ha comunque avuto il tempo di lanciare, nel ristagnare teologico della Germania della fine della guerra, il sasso delle sue ultime riflessioni, più distruttive che costruttive, più negative che positive, più sentieri interrotti che lineari strade di meditazione ordinate e concluse.
Ma è proprio a partire da queste misere membra disiecta del suo epistolario teologico che è nato il suo frutto maggiore. A queste note si sono rifatti i teologi più recenti, spesso con esiti divergenti: da un ateismo mascherato con il nome di teologia della secolarizzazione, o della morte di Dio, ad altri che hanno visto nelle sue ultime lettere solo il balbettio di un uomo che ormai solo di fronte alla morte e distrutto dalla tensione, avrebbe sillogizzato incoerenze perdonabili solo alla luce dei suoi scritti precedenti.
Molti hanno visto una o più fratture o svolte nel suo pensiero, io preferirei collocarmi nella scia, secondo me indubitabile dopo la monumentale biografia di Bethge, della tradizione interpretativa italiana, che vede nel suo pensiero solo una evoluzione alla luce di un unico punto di riferimento. Si tratta magari di discutere per individuare quale sia il centro del suo pensiero, e secondo me questo centro non può essere altri che il Cristo.
Già in Sanctorum Communio la chiesa veniva definita Christus praesens, nel suo corso di Cristologia del 1933, l'essenza di Cristo veniva definita l'essere-per-gli-altri ; nella sua rivalutazione dell'età adulta del mondo, nell'Etica prima, e nelle lettere dal carcere poi è l'essere per gli altri di Cristo, e consequenzialmente di tutti gli uomini, che costituisce la possibilità di dialogo tra Dio ed un mondo divenuto adulto.2
In generale comunque io credo che il grande interesse per il pensiero di Bonhoeffer consista nella grande apparente antinomia tra due temi caratteristici del suo teologare:
- la fedeltà alla terra
- la fedeltà a Cristo.
Una fedeltà alla terra sostenuta in modo tale che molti interpreti hanno visto in lui una specie di Nietzsche cristianizzato, richiamandosi alla analoga proposizione del pensatore di Röcken.
Il nostro matrimonio sarà un sì della terra di Dio", scrive alla sua fidanzata3; "E' la terra di Dio da cui è tratto l'uomo. Da essa riceve il suo corpo. Il suo corpo fa parte del suo essere. Il suo corpo non è la sua prigione, il suo involucro, il suo esterno, ma è lui stesso. L'uomo non 'possiede' un corpo, né 'possiede' un'anima; ma 'è' corpo e anima... La serietà dell'esistenza umana consiste nel suo legame con la terra... La sua esistenza egli l'ha come esistenza sulla terra, che è madre.4
Fedeltà alla terra non significa chiaramente un disprezzo del cielo, ma la volontà di non rapportarsi a Dio trascurando ciò che l'uomo stesso è. Questo significherebbe cadere in una immagine dell'uomo che Bonhoeffer ha qualificato come anhr diyukoV (uomo dalle due anime). e non anqrwpoV teleioV (cioè uomo completo). Per cercare di descrivere il più compiutamente possibile ciò che Bonhoeffer vuole significare diventa fondamentale riferirsi all'unico suo corso accademico che abbia visto la sua revisione prima di passare alle stampe a partire dagli appunti degli studenti, e cioè il già citato Creazione e Caduta, (non a caso immediatamente precedente al suo ultimo anno accademico sulla Cristologia).
In questo testo, che possiamo definire di antropologia protologica5,
"la sorte che tocca all'uomo peccatore viene letta attraverso la dialettica vita/morte: infatti non solo la promessa del serpente ('non morirete affatto'), ma anche quella del creatore si adempie, ed Adamo, che ha mangiato del frutto proibito, non può più morire, ma, allo stesso tempo, deve morire. La morte di Adamo deriva dal fatto di non avere più un centro da cui ricevere la vita, ed essere divenuto egli stesso questo centro... L'immortalità, dopo la caduta e prima della condanna di Dio, non è l'immortalità donata originariamente all'Adamo ancora innocente, appunto perché essa non è più per Adamo un dono... Trasformarsi da imago dei a sicut Deus significa trasformarsi, da uomo che vive in relazione, a despota che vive nella solitudine e nella scissione; salario della caduta è il dover vivere pur non essendone in grado,... Perciò la sorte che Dio ora, dopo la caduta, assegna ad Adamo, questa nuova morte cui è condannato dalla parola nuovamente rivoltagli da Dio, e che consiste nel tornare polvere, è sì maledizione, ma anche promessa, perché è la morte del suo attuale essere morto... Con la Parola di Dio la morte diventa volontà di Dio per l'uomo caduto; è maledizione ma anche promessa, perché mantiene l'uomo in relazione a Dio, non lo abbandona a quel vivere come morto, che sarebbe il suo destino di uomo che ha voluto rendersi uguale a Dio... Con la morte viene vinta la morte: già nelle prime parole di Dio dopo la caduta, Bonhoeffer vede operante l'economia della salvezza che si realizza con Cristo... Questa è infatti la disperazione di Adamo, il vivere delle proprie risorse, prigioniero di se stesso, l'essere capace di volere solo se stesso, di aspirare solo a sé, poiché egli è ormai Dio a se stesso, creatore della propria vita; nel cercare Dio e la vita, non fa che cercare se stesso, questo essere in sé, è proprio la causa della sua sete infinita... La strada che apre ad Adamo e all'umanità adamitica l'uscita dalla disperazione è quella che parte dalla ricostituzione di un nuovo centro; un centro che permetta all'uomo di attingere la vita nuovamente ab extra, allo stesso modo che nello stato originario.
Questo nuovo centro è la croce, il singolare albero della vita del mondo caduto... La impostazione che collega theologia crucis e centro... si annuncia già ora con evidenza.6
Ma è solo a partire dalla Cristologia7 che il sottofondo cristologico diventa esplicito oggetto del suo teologare; Cristo viene sottoposto alla analisi del Chi? (wer) e non del che cosa? (was) o del come? (wie) e concepito come antilogos. La domanda classica della Cristologia sul che cosa è Gesù diventa nella sua opera un tentativo di scendere nella profondità del chi, cioè di entrare nell'ubi consistam, nel tentativo di descrivere il punto focale e l'essenza del Dogma Calcedonese della divino-umanità di Gesù di Nazareth.8
La sua risposta è che Gesù è l'anti-logos, un logos cioè che si caratterizza come opposizione alla razionalità concreta di questo mondo.
"Tutto si riassume per Bonhoeffer in una definizione: il Logos umano è un Logos che si inquadra in un ordine, è un logos dell'immanenza: un oggetto che non si conosce diviene un oggetto conosciuto attraverso la possibilità dell'inquadramento nello schema preesistente... La cristologia pretende di parlare di un logos che si sottrae ad un tale processo; un logos che non si lascia giudicare, ma che giudica, che rompe l'ordnung (ordine) della conoscenza e si presenta come irriducibile, perché anche quando viene messo a morte... si ripresenta nella figura del risorto. Il risorto è persona; la persona non può essere inquadrata attraverso la domanda sul 'come', ma impone la domanda sul 'chi', che è la domanda propria delle relazioni in cui la trascendenza reciproca dei soggetti resta invalicabile. L'essere persona garantisce la trascendenza. La persona non può essere imprigionata nell'immanenza; se mai può essere solo uccisa, e lo è inevitabilmente quando si presenta come contestazione radicale dell'ordine. il Logos di Dio incarnato deve essere crocifisso dal Logos umano. La resurrezione è dunque la definitiva sconfitta della strategia del Logos umano, in quanto rende vana l'uccisione dell'altro."9
L'ubi consistam di Gesù, il suo essere anti-logos è, come già detto in precedenza, l'essere per gli altri; la sua essenza è il dono di sé fino all'annullamento, la sua obbedienza è vuotarsi fino alla morte, e alla morte di croce.10
Non è chi non veda come tutti questi ultimi riferimenti, in modo particolare, richiamino da vicino sia le riflessioni di Martin Buber, sia le speculazioni ulteriori di Emmanuel Levinas.
Sono molto diverse le riflessioni che, in Ich und Du, Buber faceva a proposito della relazione IO-TU o IO-ESSO, quando collocava la differenza tra le due relazioni proprio nella parola?
"Sono tre le sfere in cui si instaura il mondo della relazione. La prima è la vita con la natura. Qui la relazione oscilla nel buio, al di sotto della parola. Le creature reagiscono di fronte a noi, ma non hanno la possibilità di giungere fino a noi, e il nostro dir-tu a loro è fissato alla soglia della parola. La seconda è la vita con gli uomini. Qui la relazione è manifesta, in forma di parola. Possiamo dare e ricevere il tu. La terza è la vita con le essenze spirituali. Qui la relazione è avvolta nelle nubi, ma capace di manifestarsi, muta, ma creatrice di parola. Non usiamo alcun tu e tuttavia ci sentiamo chiamati, rispondiamo - costruendo, pensando, agendo: diciamo con il nostro essere la parola fondamentale, senza poter dir tu con le labbra. Ma come possiamo rapportare al mondo della parola fondamentale ciò che è al di fuori della parola? In ogni sfera, attraverso ogni cosa che ci si fa presente, lanciamo uno sguardo al margine del Tu eterno, in ogni sfera secondo il suo modo."11
Cerchiamo di richiamare anche le principali problematiche enucleate dall'altro grande del pensiero dialogico: Emmanuel Levinas.
Dal punto di vista del pensatore francese la storia della filosofia occidentale è stata prevalentemente un "imperialismo del medesimo, una riduzione dell'altro al medesimo", una storia del concetto. Nell'incontro gnoseologico l'alterità è un non-senso; il processo conoscitivo stesso implica una riduzione di ciò che si presenta come estraneo a categorie conoscitive già presenti nell'individuo, è quindi una riduzione di ciò che non si conosce al già appreso, al già posseduto, e questo avviene necessariamente nell'eliminazione di ciò che nell'estraneità si presenta come novità. Di ciò che io ho davanti, la gnoseologia coglie solamente ciò che mi si approssima al concetto, il grande dominatore di tutto il pensiero occidentale. Di tutto ciò di cui non posso avere un concetto, cioè, in termini genericamente kantiani, che non posso inquadrare nelle mie categorie, io non riesco a farmi una ragione; è destinato ad essere rimosso. La storia della cultura occidentale è costellata di queste rimozioni, dallo sterminio degli indio nel centro-America, alla tratta degli schiavi, all'antisemitismo o al razzismo di qualunque genere. Ciò che può infrangere questo dominio del concetto è l'eliminazione della prospettiva epistemologica nell'approccio esistenziale: la prospettiva che Levinas propone è quella etica (senza ulteriori caratterizzazioni).12
"Il superamento della totalità e delle barriere dell'immanenza non avviene nella sintesi teorica e conciliatrice della filosofia, ma nel non-sintetizzabile evento pratico del faccia-a-faccia degli uomini"13
Nell'incontro con ogni singolo uomo io posso percepire epistemologicamente di lui solo ciò che lo caratterizza come individuo appartenente ad una specie, o ad un gruppo determinato, o comunque ciò che lo rende uguale, medesimo, rispetto ad una preesistente conoscenza. Senza voler entrare indebitamente in ciò che non compete nè al presente lavoro, nè alle mie competenze, è ancora una volta l'antico problema aristotelico, mutatis mutandis, che viene a riproporsi: da una parte la vera sostanza il livello ontologico per eccellenza è l'individuo, dall'altra il mio livello conoscitivo si fermerà, nel suo caso per il modello esclusivamente sillogistico del perfetto asserto scientifico, solo ed esclusivamente a livello della definizione e dei propria dell'essenza, cioè delle carattersitiche specifiche di ciascuna forma (eidoV) Il concreto manifestarsi dell'assoluta alterità d'altri viene chiamato invece da Levinas, volto. Ed in questa assoluta alterità di altri che io scopro la trascendenza, l'assoluta impossibilità della concettualizzazione. Questa relazione con l'altro, che si definisce poi come relazione con l'Altro, cioè con l'alterità somma, coincide con la rottura dell'ipseità autosufficiente del medesimo e con l'apertura verso la trascendenza e l'infinito.
Rispetto a questa assoluta impossibilità di identificazione verso l'altro di qualsiasi genere, l'unica alternativa è la prossimità, una prossimità che richiama la cura heideggeriana, e che si colloca come desiderio dell'altro, o dell'Altro. Ad un soggetto rivolto verso se stesso Levinas oppone un desiderio dell'altro che proviene da un essere già interamente pago. L'altro non è compimento, né complemento dell'io ma bisogno di chi non ha più bisogni.14
Diventa semplice allora comprendere come per il pensatore ebreo-francese la metafisica si trasformi in etica, in responsabilità per l'altro che ti viene incontro senza che né tu, né lui abbiate bisogno di niente, ma il cui incontro fa nascere l'incomprensibile e inconcettuabile desiderio dell'alterità. Non è questo il luogo per cercare di verificare chi tra Levinas e Bonhoeffer abbia attinto dall'altro, o a chi spetti la priorità di alcune riflessioni, basti per il momento averne segnalato la viciniorità. Ma come conciliare la suddetta interpretazione cristologica ed i riferimenti al pensiero ebraico dell'alterità che sembrano presupporre un rifiuto di se stessi e del mondo con la ineliminabile fedeltà alla terra? E soprattutto, e qui veniamo alla caratteristica domanda dell'ultimo Bonhoeffer ed a ciò che più ci interessa da vicino: come poter annunciare Cristo ad un mondo diventato adulto, che cioè può fare a meno di Dio nella sua vita ordinaria?