I ministeri nella Chiesa antica

Alessandro Cortesi op.

Testi di riferimento:

E.Cattaneo, Introduzione generale, in AA.VV., I ministeri nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli, (Letture cristiane del primo millennio 25), Milano, Paoline 1997, pp.17-215 (bibliografia alle pagg.211-215).

E.Franco, Chiesa come koinonia: immagini, realtà mistero, RivBiblIt 44(1996)157-192.

J.Lecuyer, Ministeri (ministri ordinati), in Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, a cura di A.Di Berardino, vol. II, Casale M., Marietti 1983, coll.2251-2259.

E.Dal Covolo, Laici e laicità nei primi secoli della Chiesa, "Rassegna di Teologia" 37(1996)359-375.

 

Il Nuovo Testamento non è preoccupato di fissare un terminologia tecnica per quel che riguarda l'organizzazione della comunità: la chiesa è presentata come una casa ben ordinata in cui c'è chi sovrintende o come gregge dove ci sono i pastori. I nomi utilizzati per indicare queste persone sono diversi: guide piloti, presidenti, faticanti, anziani (presbiteri), sovrintendenti (episcopi) ministri (diaconi).

Nei testi patristici prima di Nicea è maggiormente sottolineata l'identità cristiana e dei credenti a partire dal battesimo e dal sacerdozio comune di tutti i fedeli, senza che questo comporti una assenza di considerazione della specificità dei ministeri ordinati nella comunità; a partire dal III secolo si fa strada una tendenza a distinguere sempre più il clero dal laicato.

(Su questa problematica cfr. gli studi di A.Faivre, Naissance d'une hierarchie. Les premières étapes du cursus clérical, Paris, Beauchesne 1977; Ordonner la fraternité. Pouvoir d'innovere et retour à l'ordre dans l'Eglise ancienne, Paris Cerf 1992; I laici alle origini della Chiesa, tr.it. Cinisello B., Paoline 1986; cfr. anche gli studi di Siniscalco, Laici e laicità. Un profilo storico, Roma, Ave 1986; I laici alle origini del cristianesimo, in AA.VV., Il laicato nella Bibbia e nella storia, Roma, Ave 1987).

Faivre sottolinea che nei primi due secoli del cristianesimo non esistevano né chierici né laici; solamente dal III secolo in poi prende piede la separazione che produsse la scissione in due dell'unico popolo di Dio tra clero e laicato che caratterizzò in termini negativi tutta la successiva storia del cristianesimo. Siniscalco legge le testimonianze dei primi secoli cogliendovi il concetto di laicità. Egli avverte che tale concetto non appartiene al mondo moderno, ma ha le sue radici nel modo di impostare il rapporto tra chiesa e mondo sin dall'inizio delle prime comunità cristiane, secondo una logica di distinzione, né di confusione né di separazione. In questo senso nei primi due secoli vi è una percezione del primato del battesimo e vengono sottolineate le caratteristiche comuni dei battezzati all'interno di una ecclesiologia di comunione in cui non vengono trascurati la struttura gerarchica della comunità e il ruolo dei ministeri ordinati. Certamente la situazione cambia in età dei Severi, nella quale si realizza una situazione paradossale: da un lato il cristianesimo è perseguitato, dall'altro cristiani sono ammessi alle relazioni con la famiglia imperiale. In età prenicena, secondo l'analisi di Dal Covolo, non è mai venuta meno "una feconda dialettica tra la fondamentale unità della 'stirpe eletta' e la struttura gerarchica della Chiesa. Si deve parlare piuttosto di una differente bilanciatura delle due istanze. (...) Nel contesto apradossale dell'età severiana (...) la diffusione allargata del cristianesimo comportò in primo luogo un parallelo incremento quantitativo e qualitativo dei laici nella chiesa,. In secondo luogo gli scambi più intensi tra cultura pagana e cultura cristiana esposero l'istituzione ecclesiale a una serie di influssi eterogenei. (...) L'urgenza di strutture organizzative più definite ed efficienti per la missione doveva riflettersi in una marcata gerarchizzazione della comunità." (Dal Covolo, Laici e laicità, RdT 37, 371)

La "Tradizione Apostolica"

Testimonianza di questo passaggio è costituita dal testo della Tradizione Apostolica, riconducibile al periodo severiano - fu composta verso il 215 - in cui compare la chiara distinzione delle tre categorie dei clerici, vescovi presbiteri e diaconi, ai quali è conferita l'ordinazione per mezzo dell'imposizione delle mani: essi appartengono quindi ai ministeri ordinati da distinguere dagli altri ministeri istituiti senza imposizione delle mani e senza ordinazione. Nella Tradizione apostolica si tratta dapprima di coloro che nella comunità ecclesiale hanno un compito particolare: vescovi, presbiteri, diaconi, confessori della fede, vedove, lettori, vergini, suddiaconi e coloro che hanno il dono di operare guarigioni. Vengono definiti i ministeri conferiti mediante la cheirotonia (imposizione delle mani) in vista del servizio divino (leitourgia) e i ministeri istituiti come le vedove. Compare chiaramente in questo testo il primato del sacerdozio episcopale in cui è sottolineata l'iniziativa gratuita e assoluta di Dio, e in cui l'origine del ministero è individuata in Gesù Cristo che ha comunicato lo Spirito di guida prima agli apostoli e ora ai vescovi. Viene posta la continuità tra Gesù, apostoli e vescovi come successori degli apostoli: ogni vescovo nel momento dell'ordinazione è aggiunto al collegio degli apostoli per mezzo dell'atto creatore di Dio, il dono dello Spirito, che consacra. Nella "Tradizione apostolica" il vescovo compare come il centro della comunità dei fedeli; deve essere eletto da tutto il popolo e poi consacrato. Il presbitero è presentato come appartenente ad un collegio che affianca il vescovo ed è a lui subordinato, sul modello del rapporto tra Mosé e il gruppo dei settanta anziani, collaboratori e consiglieri; i presbiteri sono ordinati al sacerdozio, ossia in rapporto all'eucaristia; il diacono è al servizio del vescovo ma non partecipa al sacerdozio. Questi tre ministeri compongono una unità che si esplica nell'amministrazione dei sacramenti in cui c'è collaborazione dei tre tipi di ministri. La "Tradizione apostolica" parla anche dei ministeri non ordinati: i confessori della fede, con particolare importanza, le vedove, il maestro (didaskalos), il lettore, le vergini, il suddiacono, colui che ha il dono delle guarigioni.

Nella preghiera di ordinazione di un vescovo, riportata dall'autore della Tradizione Apostolica - probabilmente lo 'pseudo Ippolito' autore dell'Elenchos, Confutazione di tutte le eresie - come canovaccio o modello di preghiera, compare chiaramente il ruolo di fondamentale importanza del vescovo, come di colui che è guida, successore degli apostoli, che partecipa allo Spirito del sommo sacerdozio.

 

"Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione,

che abiti nelle altezze,

e guardi le cose umili,

che conosci ogni cosa prima ancora che esista,

tu che desti le norme della chiesa

mediante la parola della tua grazia,

e predestinasti fin dall'inizio

la stirpe dei giusti (a partire) da Abramo,

istituendo capi e sacerdoti e non lasciando il tuo santuario senza servizio liturgico,

(tu) che dalal fondazione del mondo ti compiacesti

in coloro che scegliesti per essere glorificato:

effondi anche ora da presso di te

la potenza dello Spirito sovrano,

che tu desti al tuo diletto figlio Gesù Cristo,

(e) che egli diede ai santi apostoli,

i quali fondarono la chiesa in ogni luogo,

(quale) tuo santuario,

per la lode e la gloria incessante del tuo nome.

Tu, Padre, che conosci i cuori,

concedi a questo tuo servo, che scegliesti per l'episcopato,

di pascere il tuo santo gregge, e di esercitare davanti a te in modo irrepresnibile

il sommo grado del sacerdozio,

e, servendoti notte e giorno,

di propiziare incessantemente il tuo volto

e di offrire i doni della tua santa chiesa;

di avere, in forza dello Spirito del sommo grado sacerdotale,

il potere di rimettere i peccati,

secondo il tuo comando, di assegnare gli uffici secondo il tuo volere,

di sciogliere ogni legame

secondo il potere che desti agli apostoli;

che egli inoltre sia a te gradito

per la mansuetudine e purezza di cuore,

offrendoti un profumo di soavità,

per mezzo del tuo figlio Gesù Cristo,

per il quale a te sia gloria e potenza e onore,

(Padre e Figlio) con lo Spirito Santo,

<nella santa Chiesa>

ora e nei secoli dei secoli. Amen.

 

Dopo che sarà stato fatto vescovo, che tutti gli diano il bacio di pace, salutandolo perché è diventato degno. A lui quindi i diaconi presentino l'oblazione, ed egli, imponendo le mani su di essa con tutto il presbiterio, dica rendendo grazie: 'Il Signore sia con voi...'". (Trad. Ap. 2-4, ed. Botte 1972, 4-10, tr.it. E.Cattaneo, I ministeri nella Chiesa antica, pp.657-660).

La "Tradizione apostolica" presenta una articolazione dei ministeri all'interno della vita delle comunità cristiane che ha elementi di continuità e di sviluppo rispetto alla situazione descritta negli scritti neotestamentari e nelle testimonianze tra I e III secolo.

E' importante cogliere alcuni dati fondamentali in questa evoluzione:

La Didaché (Did. 15,1-2) parla di vescovi e diaconi scelti dalla comunità con l'incarico di un ministero, descritto come leitourgia, specifico e distinto da altri ministeri quali i profeti e dottori. La lettera ai Corinzi di Clemente parla di una leitourgia, ossia del ministero di vescovi e presbiteri, due termini che sembrano essere utilizzati - accanto al termine diaconi - per indicare il medesimo ruolo dei successori degli apostoli che compiono ciò che nell'Antico Testamento era stato prefigurato (Clem., Ad Cor. 40.41.43-44). Il Pastore di Erma parla di ministri della chiesa ma in senso collegiale, anche se c'è un primus che ha funzione di ministro per i rapporti con le altre chiese (Herm., Past. vis. 2,4,2,3). Policarpo nella lettera ai Filippesi parla di presbiteri e diaconi.

Nel II secolo le lettere di Ignazio di Antiochia sono testimonianza di una strutturazione dei ministeri attorno alla figura del vescovo: accanto al vescovo i presbiteri e i diaconi; il diacono è indicato come colui che svolge un ministero ufficiale accanto al vescovo e inferiore rispetto a lui. Questa struttura gerarchica è indicata come essenziale alla vita della chiesa:

"Quando infatti vi sottomettete al vescovo come a Gesù Cristo, mi apparite come (persone) che vivono non secondo l'uomo ma secondo Gesù Cristo, che è morto per causa nostra affinché, credendo nella sua morte, evitiate di morire. Pertanto è necessario, come già fate, non intraprendere nulla senza il vescovo, ma essere sottomessi anche al presbiterio come agli apostoli di Gesù Cristo, nostra speranza: in lui vivendo, (in lui) saremo trovati. Occorre anche però che coloro che sono ministri dei misteri di Gesù Cristo cerchino in ogni modo di venire incontro a tutti. Non sono infatti dispensatori di cibi o di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio. Bisogna pertanto che essi si guardino dalle accuse come dal fuoco. Similmente tutti rispettino i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è figura del Padre, e i presbiteri, come senato di Dio e come legame degli apostoli: senza di essi la Chiesa non può essere detta tale. Su questo sono sicuro che la pensate così. Infatti nel vostro vescovo ho ricevuto e ho con me il ritratto della vostra carità. (IGN., Trall. 2-3, ed. Ayan Calvo 138-140, tr. it. Cattaneo, pp.276-277)

Il vescovo nella chiesa è riproduzione visibile e figura del Padre, mentre il diacono rappresenta Cristo:

"Poiché dunque nelle persone nominate prima ho visto e amato tutta la (vostra) comunità nella fede, vi esorto: cercate di fare tutto nella concordia di Dio, sotto la presidenza del vescovo che tiene il posto di Dio, e dei presbiteri che tengono il posto del collegio degli apostoli, e dei diaconi, a me carissimi, a cui è stata affidata la missione di Gesù Cristo, il quale prima dei secoli era presso il Padre e alla fine si è manifestato. Tutti pertanto, conformandovi a Dio rispettatevi a vicenda e nessuno consideri il prossimo secondo la carne, ma amatevi sempre a vicenda in Gesù Cristo. Non ci sia nulla in mezzo a voi che possa dividervi, ma siate uniti al vescovo e a coloro che presiedono, a immagine e insegnamento di incorruttibilità. Come dunque il Signore (Gesù Cristo) nulla ha fatto senza il Padre, essendo uno (con lui), né per se stesso né per mezzo degli apostoli, così anche voi non fate nulla senza il vescovo e i presbiteri. Neppure cercate di far apparire giusto ciò che fate separatamente, bensì ciò che è fatto insieme: una sola preghiera, una sola supplica, una sola mente, una sola speranza nell'amore, nella gioia immacolata che è Gesù Cristo, di cui nulla è migliore. Tutti correte insieme verso l'unico tempio di Dio, come verso l'unico altare, verso l'unico Gesù Cristo, il quale è uscito dall'unico Padre e nell'Uno è ritornato ed è." (IGN., Magn. 6-7, ed. Ayán-Calvo 130-132; tr.it. Cattaneo pp.273-274)

 

Nelle lettere di Ignazio appare che il ministero dei presbiteri accanto al vescovo unico per ogni città è un collegio chiamato alla concordia e sottomesso al vescovo stesso:

"Preoccupatevi pertanto di essere resi saldi negli insegnamenti del Signore e degli apostoli, affinché tutto ciò che fate riesca bene nella carne e nello spirito, nella fede e nell'amore, nel Figlio e nel Padre (e nello Spirito), nel principio e nella fine, con il vostro degnissimo vescovo e con il vostro presbiterio, splendida corona spirituale, e con i diaconi che vivono secondo Dio. Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo secondo la carne (lo fu) al Padre, e gli apostoli a Cristo (e al Padre e allo Spirito), affinché l'unità sia corporale e spirituale." (IGN., Magn. 13, ed. Ayán-Calvo 136, tr.it. Cattaneo p.275)

Ignazio attesta quindi la figura dell'episcopato di tipo monarchico o meglio la figura del monoepiscopato, cioè di un unico vescovo a capo di un collegio di presbiteri. Nel Nuovo Testamento non compare la figura del 'monoepiscopo' attestato ovunque nel III secolo, distinto dal presbiterio e capo della chiesa locale: il termine 'presbitero' sembra designare maggiormente uno stato ed 'episcopo' più una funzione di sorveglianza sovrintendenza. Per spiegare il modo in cui sia avvenuto questo passaggio sono state elaborate vare ipotesi sintetizzabili in tre impostazioni fondamentali: la prima di tipo sociologico parte dalla organizzazione delle primitive chiese come chiese domestiche: i capifamiglia delle chiese domestiche hanno un ruolo direttivo che si esplica nel culto e nella carità. Solo dopo la metà del II secolo le chiese domestiche sentono il bisogno di riunirsi anche per contrastare l'eresia e avere un centro di unità che risulta essere il vescovo (è la tesi di Harnack ma già presente in Girolamo che vede nel vescovo un presbitero che viene preposto agli altri per evitare scismi e divisioni, mentre all'inizio le comunità erano governate da un collegio di presbiteri: Commento a Tito PL 26,597 ep 146,1).

La seconda interpretazione di impostazione teologica ruota attorno alla considerazione delle comunità primitive come comunità che sorgono attorno all'Eucaristia. Le comunità primitive hanno al loro centro l'eucaristia con un unico presidente, che era capo della comunità e diviene sovrintendente episcopo. Il vescovo era unico per ogni città; un solo altare una sola cattedra e una sola eucaristia. A metà III secolo con l'aumento dei cristiani e per le persecuzioni che portavano molti vescovi a stare lontani dalle loro sedi i presbiteri vengono delegati a celebrare l'eucaristia e l'unica eucaristia passa ad essere una molteplicità di sinassi con la nascita delle parrocchie (è la tesi di Zizioulas, 1994; Barlea, 1975 e Nautin in Eph Lit 95,1981, 510-522). Attestazione di questo processo sarebbe l'uso del fermentum a Roma: qui papa Milziade sarebbe stato il primo a dare la facoltà ai presbiteri di celebrare nei loro tituli portando però sempre un pezzetto dell'eucaristia del vescovo (fermentum).

La terza ipotesi afferma che il vescovo assomma in sé le caratteristiche del presidente del collegio dei presbiteri e degli uomini successori degli apostoli. I delegati degli apostoli divengono successori. Essendosi stabilizzati essi hanno una duplice funzione quella di successore degli apostoli e quella di presidente di un presbiterio. Nel periodo di transizione vi sarebbero due tipi di vescovo: il vescovo capo del presbiterio che è attestato nelle lettere di Ignazio e il vescovo regionale investito della successione apostolica con capacità di ordinare. Verso metà II secolo sarebbe avvenuta la fusione con la possibilità anche per i vescovi locali di ordinare sempre con l'assenso degli altri vescovi.

Dalla seconda metà del II secolo il monoepiscopato è attestato ovunque, frutto di un naturale sviluppo. Certamente c'è una situazione di collegialità nella prima chiesa: le fonti tacciono su come questa collegialità veniva esercitata. La chiesa è vista prima come comunità che nelle sue articolazioni specifiche e l'elemento comunitario e collegiale non è visto in contrapposizione all'elemento di una responsabilità specifica. Ma tutto ci va colto in continuità con le attestazioni riguardanti i ministeri nel Nuovo Testamento.

Nel Nuovo Testamento compare la dimensione comunitaria e la responsabilità specifica di uno solo: la figura di Pietro emerge nel gruppo dei Dodici (cfr. le tradizioni di Matteo e Giovanni); a Gerusalemme emerge la figura di Giacomo fratello del Signore come sovrintendente della chiesa. Nelle Pastorali Timoteo e Tito non sono presentati come membri di un collegio o dipendenti da un collegio di presbiteri. Segni di un monoepiscopato latente. Per quel che riguarda il linguaggio ministeriale, Ireneo, che pure vive in un periodo in cui è affermato il monoepiscopato usa un linguaggio in cui non parla di vescovi ma di presbiteri. Policarpo è detto da Eusebio presbitero apostolico. Ireneo usa 'presbitero' e 'episcopo' come sinonimi; nella controversia pasquale nel suo rivolgersi a Vittore a Roma Ireneo sembra parlare solo di presbiteri a Roma e non di vescovi:

"Per questo occorre dare ascolto a coloro che nella Chiesa sono i presbiteri, quelli cioè che hanno la successione a partire dagli apostoli, come l'abbiamo dimostrato. Essi, con la successione episcopale hanno ricevuto il carisma certo della verità, secondo il beneplacito del Padre. Quanto agli altri, che si separano dalla successione originaria, qualunque sia il modo con cui raccolgono attorno a sé, bisogna averli in sospetto, sia come eretici e fautori d'errore, sia come scismatici orgogliosi e pieni di sé, sia ancora come ipocriti, che si danno da fare a motivo di lucro e di vanagloria." (IREN., Adv. Haer. 4,26,2-5, ed.Rousseau 718-728).

Il linguaggio monoepiscopale è attestato da Tertulliano, dalla "Tradizione apostolica" all'inizio del III secolo; però la struttura monoepiscopale è più antica (e ne parla l'epistolario di Ignazio). E' da considerare però che il sorgere del monoepiscopato non ha segnato la fine della collegialità: il senso della collegialità rimane vivo nelle chiese. Monoepiscopato significa un solo vescovo per ogni città: questo risulta chiaro nelle lettere di Ignazio, è implicito nella "Tradizione apostolica" e diviene esplicito nelle lettere di Cipriano e con Cornelio nel III secolo. La unicità del vescovo implica infatti la non liceità di un vescovo concorrente (è il caso dello scisma di Novaziano a Roma); invece Cipriano mentre è in esilio nomina tre suoi ausiliari durante la persecuzione di Decio a Cartagine. Vi sono regioni in cui ogni piccolo villaggio aveva il suo vescovo e regioni in cui c'era una sola sede episcopale per una grande area: è il caso dell'Egitto, fino al tempo di Demetrio (189-231/2) Alessandria era la sola sede episcopale dell'Egitto (notizia tratta da Eutichio vissuto tra 877-940, Storia della chiesa).

Presbyteri

Il termine 'presbyteros' ha una grande evoluzione: solo a fine II secolo si stabilizza per definire un ufficio ecclesiastico di secondo grado, sotto l'autorità del vescovo. Fino ad allora ha un significato generico: anziani, capi della chiesa, però al loro interno alcuni avevano una funzione di insegnamento, altri una funzione di presidenza. Clemente ai Corinzi parla di un gruppo dirigente nominandolo come 'presbiteri'; nella pseudoclementina 2Cor. i responsabili della comunità sono detti avere il compito di 'annunciare ciò che concerne la salvezza'. Il Pastore di Erma parla di 'presbyteroi che sono a capo della chiesa'. Papia parla di presbyteroi come anziani o antenati nella fede, come gli apostoli e i loro discepoli. Ancora non vi è definita una chiara differenza con episcopo. Con le lettere di Ignazio e con Tertulliano e la Tradizione apostolica 'presbiteri' sono definiti come i membri del presbiterio, cioè il consiglio del vescovo, e i presbiteri stanno sotto l'autorità del vescovo. Però le decisioni vengono prese in accordo dal vescovo con il suo presbiterio. E i presbiteri partecipano agli atti ministeriali propri del vescovo, insegnamento, amministrazione del battesimo e celebrazione dell'eucaristia (anche quando egli è assente: è attestata l'esistenza fin dal II secolo di parrocchie presbiterali; a Roma c'erano i tituli ma i tituli non sono parrocchie). Solo l'ordinazione di altri presbiteri è un atto che il vescovo non delega. E' interessante che Ireneo a metà del II secolo utilizzi il termine 'presbiteri' per indicare la funzione dei vescovi successori degli apostoli quale riferimento essenziale di fronte alla pretesa gnostica di riferirsi a rivelazioni segrete e speciali che non sono giunte in modo pubblico all'interno della comunità cristiana. Ireneo sviluppa così il criterio della successione apostolica : gli apostoli, i Dodici, a cui si è aggiunto Paolo, hanno predicato il vangelo e hanno fondato le chiese e le hanno affidate a vescovi loro successori. Questa successione fa parte della costituzione, della struttura della chiesa. Ireneo in polemica antignostica afferma che gli unici maestri nella chiesa sono i vescovi indicati anche con il termine 'presbiteri'. Essi hanno un ruolo eminente e posseggono i carismi di apostolo, di profeta e di maestro, anche se non in modo esclusivo.

"Tutti coloro che vogliono vedere la verità delle cose possono osservare come la tradizione degli apostoli, resa manifesta nel mondo intero, è presente in ogni Chiesa. E possiamo elencare coloro che dagli apostoli furono costituiti vescovi nelle chiese, nonché i loro successori fino ai nostri giorni: essi non hanno insegnato né conosciuto nulla di quanto costoro (=gli gnostici) vanno delirando. Se gli apostoli infatti fossero stati a conoscenza di misteri segreti, che avrebbero insegnato ai perfetti, a parte e di nascosto dagli altri, li avrebbero trasmessi in primo luogo a coloro ai quali affidavano le chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tuto coloro che lasciavano come successori, col trasmettere il loro stesso ufficio di insegnamento: dal corretto comportamento di quelli sarebbe dipeso infatti un grande vantaggio per le chiese, mentre il loro venir meno avrebbe comportato per le medesime un atotale rovina. Ma siccome sarebbe troppo lungo in un libro come questo elencare le successioni di tutte le chiese, (basterà prendere) la grandissima e antichissima Chiesa, conosciuta da tutti, fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo, e mostrare che la tradizione che essa ha dagli apostoli e quella fede resa nota a (tutti) gli uomini è giunta sino a noi attraverso le successioni dei vescovi. Saranno così confutati tutti coloro che, in qualsiasi modo, sia per arroganza, sia per vanagloria, sia per accecamento e falsa dottrina, creano dei gruppi paralleli. Con questa Chiesa infatti, a motivo della sua origine più eccellente, deve necessariamente accordarsi ogni Chiesa, cioè i credenti sparsi dappertutto, (Chiesa) nella quale è stata sempre conservata, da quelli che sono <i presbiteri>, la tradizione che viene dagli apostoli". (IREN., Adv.Haer. 3,3,1-2, ed.Rousseau Doutreleau 30-44; tr.it. Cattaneo pp.330-332).

I diaconi

I termini derivanti dalla radice diakon- sono utilizzati nel Nuovo Testamento per indicare il ministero degli apostoli, in quanto inviati che compiono una attività nel nome o sotto l'autorità di un altro, cioè sotto l'autorità del kyrios. La diakonia così come è indicata nel Nuovo testamento risente del significato del termine diakonos nel contesto greco ed ellenistico. Si tratta di una attività di tipo intermediario. In questo senso il concetto di diakonia si avvicina molto al concetto di apostolato, come invio da parte di Cristo: Paolo accosta il termine apostolos a doulos (servo) in Rom 1,1. La diakonia nel linguaggio neotestamentario non è solo un'attività ma un mandato che investe tutta l'esistenza. Altri ministeri presenti nelle chiese dei primi secoli furono i ministeri del profeta, del maestro, della vedova, della vergine.

 

Profeta

La chiesa era convinta di avere ricevuto lo spirito profetico promesso per i tempi escatologici (Cfr. AA.VV., Il profetismo da Gesù di Nazareth al montanismo, "Ricerche storico-bibliche 5/1, a cura di R.Penna 1993). Un carisma profetico è attestato nelle comunità primitive, collegato con l'evento di pentecoste; esercitato anche da donne (attestazioni di Paolo e Luca). La funzione e ruolo del profeta sta nel ministero della parola, nell'opera di esortazione e consolazione; non manca l'aspetto di rivelazione, svelare ciò che è nei cuori in riferimento agli avvenimenti futuri. I profeti svolgono anche un ruolo caritativo: l'annuncio di una carestia suscita l'iniziativa di una colletta: cfr. At 11,29. Così pure essi rivestono anche un ruolo eucologico-liturgico proprio perché uomini della parola che è la parola di Dio agli uomini ma anche la parola degli uomini a Dio.

Profeti itineranti, locali, profezie assembleari

L'accoglienza del carisma profetico è compiuta attraverso un discernimento: nel Nuovo Testamento ci sono avvertenze contro i pseudoprofeti La parola dei profeti esige di essere passata al vaglio della tradizione che ha origine nel Gesù storico, attraverso i primi testimoni, quindi non va accolta senza condizioni. Nella lettera agli Efesini apostoli e profeti sono due ruoli fondamentali nella chiesa (Ephes. 2,20) Nella Didaché apostoli e profeti sono accostati: i profeti hanno un carisma di insegnamento ma anche liturgico e caritativo e sono paragonati ai sommi sacerdoti del culto mosaico (Did. 13,3) però la Didaché conosce comunità che sono senza profeti. Il carisma profetico attraversa tutto il II secolo. Ignazio però non ne parla mai, così anche Clemente: Ignazio attesta un intervento profetico assembleare:

"quando ero in mezzo a voi gridai e a voce alta, con la voce di Dio: 'state uniti al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi. Quanto a quelli che hanno sospettato che io gridai prevedendo lo scisma di alcuni mi sia testimone colui per il quale sono incatenato che non ne ebbi notizia da carne di uomo. Fu lo Spirito che me lo annunziò dicendo: non fate nulla senza il vescovo, custodite la vostra carne come tempio di Dio, amate l'unità, fuggite le faziosità, siate imitatori di Gesù Cristo come gli lo è del Padre suo". (IGN., Filad. 7)

Lo scritto 'Ascensione di Isaia' proviene forse da un circolo profetico di area antiochena. Il 'Pastore' di Erma conosce profeti nella comunità ma essi non sono tra i più eminenti della comunità (HERM., Past. 43: come distinguere il falso profeta). Giustino parla di carismi profetici che ci sono tra uomini e donne nella comunità. Il montanismo che compare in Frigia tra 170-173 (cfr. G.Visonà, Il fenomeno profetico nel montanismo, in Penna 1993, pp.149-163) ma aveva già prodromi prima, verso il 160 segna un risveglio del carisma profetico con accento millenaristico escatologico. Nella chiesa si apre un dibattito sia sul modo estatico di profetare sia sulla possibilità di una successione profetica. Sorge poi il problema di quale valore dare a questo tipo di profezia qualora venisse scritta. In reazione a montanismo e marcionismo la chiesa prende consapevolezza del carattere chiuso del canone del Nuovo Testamento: contestazioni ci furono per l'apocalisse di Giovanni per il vangelo stesso. Così il Pastore di Erma è escluso dal Frammento muratoriano dai libri profetici. Il montanismo venne giudicato incompatibile con la tradizione della chiesa in una serie di sinodi locali in Frigia e Asia minore. Ireneo però opponendosi ad una tendenza opposta afferma che il rifiuto dei falsi profeti non implica un rifiuto della profezia in quanto dono necessario alla chiesa e sviluppa un'ampia riflessione sui profeti dell'Antico Testamento proprio in relazione a Cristo (IREN., Adv. Haer. III 11,9). Queste opposizioni portarono ad un estinguersi del profetismo neotestamentario; la parola profeta fu usata in senso proprio solo per indicare i profeti dell'Antico Testamento.

Maestri

I didaskaloi non erano gli unici che svolgevano l'insegnamento: portatori della didaché o didaskalia; per comprenderne il ruolo è importante risalire agli scribi, alla loro importanza nel giudaismo postesilico a partire da Esdra. Gesù stesso appare come un maestro: è maestro con caratteri di diversità rispetto ai rabbini: è lui che cerca i suoi discepoli e non tra i più istruiti (cfr At 4,13 sono considerati agrammatoi e idiotai). Nella prima comunità di Gerusalemme ci sono persone colte che provengono da scuole farisaiche: tra questi didaskaloi sorgono dissensi e difficoltà nel confronto con le posizioni più aperte di Paolo e dei giudeo-cristiani ellenisti. Paolo non si chiama mai didaskalos o rabbi. Però in 1Cor 12,28 apostoli, profeti e didaskaloi sono al vertice della lista dei carismi. I didascaloi sono riconosciuti come ministero carismatico accanto ad apostoli, evangelisti pastori in una lista di ministeri carismatici (cfr. Ephes. 4,11). Il vangelo di Matteo presenta una controversia e una reazione contro il predominio del didaskalos (Mt 23,8-10): non è solo una reazione ad extra ma anche ad intra nella comunità. I didaskaloi cristiani devono sapere che c'è un solo kathegetes e che i loro ascoltatori dovevano divenire discepoli al servizio della tradizione e loro discepoli. Cfr. anche Gc 3,1: 'Fratelli miei, non vi fate maestri in molti, sapendo che noi riceveremo un giudizio più severo'.

C'è una linea antididascalica anche in 1Gv 2,27 sulla scia di Ger 31,31. Ps Barnaba rifiuta di essere chiamato didaskalos: forse perché troppo richiamante il modello del maestro ellenistico, troppo esigente e avido di retribuzione. Questa linea antididascalica si fa sentire perché come la profezia e l'apostolato anche nell'ambito della didaskalia si presenta la situazione degli pseudo maestri. La ekklesia nel suo insieme svolge una funzione di didaskaleion però appare la tendenza a ricondurre la figura dei didaskaloi alla figura dei presbyteri-episcopi e di subordinarla ad essi. Ignazio è sulla linea di Matteo: Cristo è il solo didaskalos e in un contesto dove sembra ci fossero molti didaskaloi itineranti con dottrine di tipo doceta ebionita Ignazio contrappone il riferimento al vescovo (IGN., Ephes. 15,1). Ignazio non esplicita la nozione di successione apostolica ma per lui è chiaro che la chiesa che sta attorno al vescovo è erede e garante dell'insegnamento apostolico. Contro i falsi maestri è un testo nelle Ps clementine (Lettere ai vergini 1,10,4-11,9: protesta contro asceti itineranti che 'girano per le case dei fratelli o delle sorelle vergini col pretesto di visitarli o di leggere le Scritture o di praticare un esorcismo su di loro o di insegnare loro. Essendo oziosi e non avendo nulla da fare, indagano ciò che non bisogna investigare e con discorsi allettanti fanno commercio col nome di Cristo' (1,10,4).

"Temiamo dunque la condanna che sovrasta i maestri. Una grave condanna infatti riceveranno quei maestri che insegnano e non fanno". (Mt 23,3)

A Roma verso la metà del II sec è attestata la presenza di didaskaloi (citati nel Pastore di Erma con polemica contro i maestri opportunisti e contro i cristiani presuntuosi che vogliono saper tutto e fare i maestri. Sim . 9,22). Giustino, che a Roma dirige una scuola si lamenta per il pullulare di falsi maestri (1Apol. 12,9; 15,5; 19,6; 21,1; 32,2; 2Apol. 8,5). Tuttavia a Roma non c'è un atteggiamento di generale tolleranza per ogni tipo di dottrina: Giustino si rivela sensibile al fatto che esiste una precisa tradizione dottrinale. A Roma però confluiscono i grandi fondatori dello gnosticismo, tra cui Basilide e Valentino.

"Sono le dispute tra didascali cristiani rivali e i tentativi di alcuni di essi di far riconoscere ufficialmente dalla chiesa le loro dottrine come espressione della fede tradizionale autentica che hanno provocato, sembra, l'intervento del vescovo e del collegio dei presbiteri" (Dix 1955, Ministère 38).

In questo contesto romano si sviluppa con Egesippo e Ireneo il concetto di successione apostolica: in contrasto con lo gnosticismo che esalta una conoscenza religiosa centrata sulla scoperta dell'io divino di se stessi e sganciata da un legame storico ed etico Ireneo sviluppa il concetto che nella chiesa c'è un solo maestro, contro la pretesa di tutti di essere maestri e la sua dottrina si trova presso i successori degli apostoli che sono i vescovi che hanno conservato la tradizione e hanno ricevuto un carisma certo di verità (IREN., Adv. Haer. 4,26,1). La figura del vescovo sin dal II sec viene connessa alla cattedra, ossia il luogo da cui veniva impartito l'insegnamento.

Ireneo non usa mai il titolo di didaskalos per i ministri nella chiesa. A fine II secolo a Cartagine Tertulliano prima mette la sua intelligenza a servizio della chiesa, poi aderisce al montanismo però non si designa mai come doctor. Nella Passione di Perpetua e Felicita Saturno appare come catechista laico accanto a presbyter doctor (Passio 132). La catechesi poteva essere svolta da laici e i presbiteri doctores potevano essere presbiteri incaricati della catechesi. (Cfr. Neymeyr 1989, Lehrer 118-124). Il martirio di Pionio presenta un presbitero catechista. In Clemente alessandrino l'ufficio di magistero non deve essere ristretto solo ai vescovi: nelle Scritture c'è un livello profondo; la gnosis che non tutti possono intendere e che può essere comunicato solo a persone a cui è stato affidato dagli apostoli, per via orale: si tratta di una linea magisteriale che non si oppone a quella dei vescovi ma che si integra con essa. Ed è quella dei maestri della gnosi, maestri spirituali, che per Clemente rientra a pieno titolo nella tradizione apostolica (Strom. 6,7,61,3: "Questa è la conoscenza che, trasmessa oralmente per successione a partire dagli apostoli, è giunta soltanto a pochi"). La pistis è per Clemente il primo passo per costruire su di essa la gnosi.

La gnosi di Clemente si differenzia da quella degli gnostici perché resta ancorata sulla ecclesia dei vescovi. Origene pur essendo 'ekklesiastikos' deve subire l'incomprensione e il conflitto da parte del vescovo Demetrio che, irritato per la sua ordinazione fa sì che un sinodo gli interdicesse il soggiorno ad Alessandria e riesce ad avere l'assenso del papa Ponziano. Attriti che continuarono quando fu vescovo Eracla. Origene non se ne va dalla chiesa ma viene accolto dai vescovi della Palestina e continua a Cesarea la sua attività culturale e di predicatore. Con la scuola di Alessandria scompare il didaskalos di tipo giudaico il cui compito era concentrato sull'insegnamento della volontà di Dio presente nella Scrittura ed appare invece il didaskalos di tipo ellenistico che deve difendere e dimostrare la verità del cristianesimo. Per Rengstorf questo passaggio porta all'intellettualizzazione del cristianesimo e della fede contro cui Gesù e Paolo hanno combattuto. (Rengstorf, 1966). Però Origene si chiama didaskalos non quando insegna nel didaskaleion ma quando predica la Scrittura al popolo di Dio nell'assemblea (In Ez. Hom. 2,2). Origene non parla solo di dottori nella chiesa ma di dottori della chiesa, cioè che insegnano alla chiesa: questo è il ministero del vescovo. Origene insegna da laico nell'assemblea e questo scatena le ire di Demetrio ma non di Teoctisto, vescovo di Cesarea che comprende l'importanza della cultura al servizio della Parola di Dio.

Conclusione

Paolo pone la trilogia apostoli profeti maestri come fondamento dei ministeri ma non come ministeri rigidamente distinti. Funzioni che si intersecano e si sovrappongono nelle stesse persone e non si contraddicono. A metà II secolo Policarpo viene presentato come didaskalos profetico e apostolico vedendo in lui la sintesi dei ministeri principali. E soprattutto la non opposizione tra didascalia e profezia.

Reiling così sintetizza:

"gli apostoli predicano il vangelo ai non credenti, mentre il ministero profetico è primariamente centrato sulla chiesa. Questo è ciò che la profezia ha in comune con il ministero di insegnamento. Ma la differenza tra questi due è che la profezia non ha un contenuto fisso. Il maestro deve trasmettere e spiegare la tradizione del vangelo e le scritture. Su questo punto, il maestro è in una posizione simile a quella dell'apostolo. Ma questa differenza tra profezia da una parte, apostolato e insegnamento dall'altra può condurci al punto cruciale. Tutti e tre sono ministeri dello Spirito, tutti e tre sono ministeri della parola. Ma l'apostolo e il maestro possono, per così dire, esercitare il loro ministero in ogni momento. Il profeta invece può parlare solo quando lo Spirito lo ispira e lo incarica" (Reiling 1973,13)

Sulla distinzione tra profezia e didaskalia Cothenet sostiene che la profezia è praticata principalmente come attualizzazione della parola nell'assemblea come parola che viene da Dio, mentre la didascalia ha il carattere più continuativo per una conoscenza della parola più approfondita.