Storia della salvezza,

storia dello Spirito Santo

Don Maurizio Gronchi

In Occidente, cioè nel nostro mondo latino e in Italia, abbiamo più familiarità con Gesù Cristo piuttosto che con lo SPIRITO SANTO L'Oriente, invece ha più familiarità con lo Spirito, ad esempio nelle maggiori solennità liturgiche: l'Occidente nel Natale sottolinea l'incarnazione, il figlio di Dio che si fa uomo; in Oriente, invece, il culmine dell'evento dell'Incarnazione, del Natale è l'Epifania, la 'manifestazione'. A poco sarebbe valsa l'Incarnazione se poi la vita non si fosse fatta visibile. Noi sottolineiamo nella Pasqua la morte e la risurrezione di Gesù e poi cinquanta giorni dopo c'è la Pentecoste. In Oriente il compimento, la pienezza della Pasqua è il dono dello Spirito. Per l'Oriente quindi l'accento è spostato più in avanti: l'azione di Dio non sta nella puntualità di un evento, ma nel suo compiersi, nel suo andare oltre. Lo Spirito è questo 'oltre' di Dio, tant'è che è imprendibile. Parlare dello Spirito è un po' come parlare del vento: non sai da dove viene, né dove va. Lo Spirito scende come una colomba, non è una colomba, plana. Nell'Antico Testamento si chiama "RUAH" femminile, ebraico; in greco viene tradotto con "PNEUMA", neutro; in latino diventa "SPIRITUS", maschile. C'è quasi una transessualizzazione dello Spirito: da femminile a neutro a maschile. Sfugge, quindi, anche alla sua stessa identificazione. Infatti noi lo chiamiamo Spirito Santo, ma potremmo anche dire che il Padre è Spirito e che Gesù è Spirito. Dov'è allora lo Spirito? Certo è nei Segni Sacramentali, ma la caratteristica della spiritualità è di tutto Dio, di Dio in sé. Quindi dare un nome proprio ad una Persona della Trinità che si chiama Spirito è dire qualcosa, ma allo stesso tempo è dire qualcosa che ci sfugge. È così ineffabile, eppure così familiare. È la presenza più intima di Dio in noi, più intimo a noi di noi stessi, eppure così sfuggente. Vedete quindi quale difficoltà a parlare di quella Persona che è nelle altre due Persone. Dobbiamo fare attenzione, perché nella nostra mentalità di Occidentali siamo portati a pensare Dio con la distinzione, con la numerazione: noi sappiamo che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo e ogni tanto parliamo del Padre, del Figlio e un po' meno dello Spirito. Procediamo pensando più alla distinzione che all'unità. Mentre in Oriente fanno il contrario. Il papa recentemente ha ricordato che non perché noi siamo in Occidente dobbiamo ragionare solo in termini occidentali, ma l'Occidente e l'Oriente sono i due polmoni con i quali la Chiesa Cattolica respira: non potrebbe respirare con l'uno senza l'altro. Invece nella Storia ci sono state anche divisioni sulla questione dello Spirito; come sempre divisioni di carattere politico, non di sostanza. Ad esempio gli Ortodossi si sono scissi dalla Chiesa Cattolica per quella che noi oggi definiremmo una sottigliezza: noi nel Credo diciamo "Lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio", mentre in Oriente dicono "Lo Spirito procede dal Padre per mezzo del Figlio". Direte voi: che differenza fa? Sono in tre, si vorranno bene (!), si metteranno d'accordo, non avranno problemi di precedenze, come in una Processione, in cui c'è chi sta prima e chi sta dopo. Eppure sullo Spirito si parla anche di Processioni: è il nostro linguaggio, il nostro modo di cercare di catturare l'incatturabile, colui che mostra che Dio è per se stesso sfuggente, imprendibile, eppure così intimo, così penetrante, così pervasivo di tutte le cose. Lo Spirito di Dio aleggia sulle acque della Creazione appena uscita dalle Sue mani e continua lungo la Storia a preparare un evento centrale: l'Incarnazione. E dopo quest'evento continua a soffiare finché tutte le cose non saranno ricondotte al loro principio, alla fine, a Cristo, al Padre. Quindi difficile prendere 'uno' che non si fa prendere. Dirò di più: lo Spirito Santo è stato dimenticato, soprattutto nella Chiesa latina e di questa dimenticanza forse è responsabile lui stesso, perché direi che è proprio Colui che si fa dimenticare, colui che nascosto ci sta non per forza, ma volentieri, per natura sua. Perché voi sapete che Dio, quando vuole si fa presente, alla sua maniera, non alla nostra. Si è fatto presente talmente nel Figlio da sembrare soltanto un uomo, che la più grande tentazione che gli è stata permanentemente, dall'inizio alla fine, rivolta è: "Se sei figlio di Dio faccelo vedere, alla nostra maniera: mostraci che sei potente, sottraiti alla croce, sottraiti alla morte!" Al contrario, la potenza di Dio, la potenza dello Spirito di Dio è proprio la Croce, non è salvare se stesso dalla morte, ma salvare nella morte, attraverso la morte e non sé, ma altri. Anche da questo avvertiamo che nello Spirito Dio si manifesta come colui che si nasconde si fa da parte per fare spazio ad altro. É un altro modo per dire che è Amore. Colui che mette da parte sé per far vivere; dà vita dando la vita. Uso questo linguaggio per farvi intuire qualcosa dello Spirito perché se passassi a delle definizioni lo tradirei. Invece possiamo tradirlo in senso latino "tradere", consegnare, come Gesù consegna lo Spirito dalla croce, proprio seguendo il suo movimento. É un movimento di uscita e un movimento di ritorno. Questo dare spazio all'Altro, alla Creazione. La Creazione in fondo non è altro che questo spazio che Dio crea, e il tempo che crea fuori di sé. Dio nella sua Eternità, nella sua Comunione di amore perfetta, non dico soffra di solitudine, perché è Comunione, ma desidera creare uno spazio nel quale altro da sé possa stargli dinanzi. Estasi, "exstasis", porsi fuori, uscire: questo è Dio. Noi lo pensiamo, questo, nella Creazione perché l'abbiamo visto nella Pasqua di Gesù, perché niente noi possiamo dire di Dio se non attraverso Gesù, faremmo della filosofia , delle ipotesi. Noi possiamo pensare all'Inizio e alla Fine perché conosciamo il Centro. Perché "Dio nessuno l'ha mai visto, il Figlio suo" "ce ne ha dato la spiegazione", "ce ne ha fatto l'esegesi", " ce lo ha rivelato"; così l'ultimo versetto del Prologo del Vangelo di Giovanni. Allora solo attraverso il Figlio possiamo comprendere anche del Padre e dello Spirito, quindi la Rivelazione ha lì il suo Centro. Ma vediamo le origini sono proprio questo porre fuori di sé l'altro, questo uscire. Dall'altra parte, però, alla fine, è colui che perfezione, che porta a compimento questo progetto, perché Dio nel porre fuori di sé non lascia nell'oblìo, alla deriva, non manda fuori lasciando che le cose si perdano, ma le destina ad un compimento; Dio ha in mente, sa che cosa fare di quest'uomo. Anche se la sensazione prevalente per noi è che la Creazione sia sfuggita di mano; oggi che siamo fondamentalmente animati da un senso di sfiducia, di disfatta. Ma come!? In Chiesa poca gente; la fede, la morale. Questo progetto è uscito in modo incontrollabile dalle mani di Dio. Invece, vedete, pensare allo Spirito come a colui che tesse la trama della Storia per il progetto di Dio, in modo nascosto, in modo che non si fa forte e potente, ma si fa debole. Questo ci fa pensare che questa stessa nostra sensazione l'abbiano avuta quegli autori che hanno scritto il terzo capitolo del Genesi, quando Adamo ed Eva, freschi di 'impasto', hanno subito detto: no! Questa è la sensazione che ha l'uomo di ogni tempo; per questo nel Genesi al terzo capitolo si pensa che Dio ormai è irraggiungibile, è fuori dal gioco, ce lo siamo giocato. E invece proprio nella croce del Figlio noi scopriamo che Dio sceglie la debolezza, sceglie il nascondimento, non è costretto dall'uomo a star da parte, si fa da parte. E in questo farsi da parte, in questo ritrarsi per far vivere, per dare vita, ecco che lo Spirito è associato nella tradizione cristiana, anche in modo molto bello, alla "RUAH", il respiro, femminile, della madre dopo il parto. Questo deriva addirittura dalla Cristologia siriaca. É la femminilità di Dio. Oggi che va di moda il contestare la mascolinità di Dio-Padre, invece si cerca il materno in Dio o nella fede popolare attraverso la forte emergenza di Maria, quasi che sia la donna divina, non è questo. La maternità, l'elemento femminile in Dio nella tradizione cristiana è identificato proprio dallo Spirito, il sospiro, il respiro rilassato, dopo l'affanno, della partoriente. Questa è una riflessione cara alla Chiesa antica, che ci fa pensare come al mormorio, alla brezza leggera, che non è il fuoco, il terremoto, la tempesta, ma è la presenza dolce e delicata di Dio; certo è anche simboleggiato dal fuoco, è anche simboleggiato dall'acqua, ma non l'acqua tormentosa della tempesta, ma l'acqua zampillante di una sorgente, l'acqua che genera, che dà vita. Tutte immagini, simboli, perché dello Spirito si parla attraverso simboli, immagini, metafore. Sfugge e non perché questo sia il suo limite, questo è il suo pregio. Allora questo movimento di uscita e di ritorno ci fa pensare che tutta la Creazione è nelle mani di Dio ma in queste mani crocifisse, in queste mani forate, dalle quali pare che le cose si perdano, sfuggano, invece proprio in quelle mani è custodita la Creazione, ogni uomo, ogni essere vivente perché è lo Spirito che dà la vita, che dà vita, che fa vivere. E a differenza di noi uomini che quando diamo la vita schiacciamo con il nostro donare, Dio, in Gesù, grazie allo Spirito, mostra che dare la vita significa far vivere, far vivere un altro, morire per far vivere. Ecco allora il punto cruciale fra questo movimento di uscita e questo movimento di entrata della Creazione: è l'abbassamento, la "Kenosis" in greco, Gesù non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma si è abbassato, si è spogliato, si è annientato fino alla morte e alla morte di croce. E Pensate: noi siamo abituati a pensare che Dio in questo nascondersi, in questo abbassarsi, in questo svuotarsi si impoverisce; ma non so se avete mai pensato che Dio, creando l'uomo, crea qualcosa di diverso da sé, così diverso che non sa come quest'uomo sente Dio, questo non lo sa, non può saperlo. E lo saprà solo nel momento in cui il suo Figlio si fa uomo: allora Dio sa che cosa l'uomo sente di Dio. Quindi, questo dice Giovanni Paolo II nel "Tertium Millennium Advenientem", Dio che in se stesso è eterno, con l'incarnazione fa propria la dimensione del tempo; non la conosce, la crea, la pone, fa spazio ad altro da sé. Ma non abbandona questo altro da sé, gli si pone dentro, sa che cosa noi proviamo. Da cosa si capisce questo? Da un evento decisivo sul quale poco si è riflettuto nella Teologia: l'Ascensione di Gesù. Se ci pensate, da quel momento la Trinità è cambiata: in Dio c'è l'umano del Figlio crocifisso e glorioso, prima non c'era. Qualcuno potrà dire: ma noi abbiamo imparato che Dio è immutabile. No, Dio non è immutabile, Dio muta per Amore. Questo mostra quanto sul serio prenda l'uomo; non è stata una farsa, lo Spirito non ha continuato ad aleggiare sulle acqua come se la cosa non lo riguardasse, vi è entrato, in casa dei suoi amici ha ricevuto le ferite che al Padre presenta come il segno di un amore perenne, incancellabile, irreversibile, insuperabile. Allora dell'umano vorrei dire che Dio si è arricchito. E tutto questo lo diciamo grazie allo Spirito, perché non si può parlare dello Spirito se non nello Spirito. Noi non possiamo parlare di Dio se non mossi dal suo Spirito. Nessuno può dire Gesù è Signore se non nello Spirito. Nessuno può dire Abbà Padre se non nello Spirito(San Paolo). Per avvertire, quindi, quanto tutto ciò ci riguarda, ci appartenga, abbiamo bisogno di essere guidati dallo Spirito. Il maestro interiore, la luce delle menti. Abbiamo detto che il punto cruciale di questa uscita e di questo ritorno è l'Incarnazione, la morte e la risurrezione di Gesù. Lì lo Spirito è ad uno snodo, ad un cambio di direzione. Prima dell'Incarnazione noi parliamo di uno Spirito che manda Gesù dappresso(?) il Padre ("Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo"), quindi è lo Spirito che manda Gesù, e durante tutta la vicenda di Gesù lo Spirito lo conduce: lo conduce nel deserto, prima ancora, nel Battesimo, discende su di lui come una colomba, nella Sinagoga: "Oggi si è compiuta questa Scrittura, lo Spirito del Signore è su di me, mi ha consacrato con l'unzione, mi ha mandato ad annunziare la lieta notizia ai poveri". Lo Spirito accompagna Gesù, quindi è lo Spirito che manda Gesù dappresso al Padre. E dalla morte, la risurrezione in poi è lo Spirito, che Gesù manda dappresso al Padre. C'è un cambio di direzione. Noi possiamo parlare dello Spirito seguendo le cose che ci dice la Scrittura, possiamo seguire queste tracce invisibili, cercare il vento , ma sapere che non si prende. Tra l'altro Giovanni nel capitolo tre, quando dice: "Vento soffia dove vuole, non sai da dove viene, non sai dove va", usa il termine "pneuma", che si usa sia per Spirito, che per vento, che per soffio. Giovanni, che è abile nell'usare termini non ambigui ma polivalenti, anche nel momento in cui Gesù muore dice: "Emise lo Spirito". E noi siamo portati a pensare 'dette l'ultimo respiro', è vero, ma l'ultimo respiro di Gesù è il primo respiro di Dio, perché Gesù non ha altro spirito che quello del Padre. Linguisticamente si evoca un mistero che avvolge tre amanti, anzi l'Amante, l'Amato e l'Amore. Potremmo elencare numerose triadi di questo tipo a partire da Sant'Agostino lungo tutta la Tradizione che lo seguì. In questo cambio di direzione vediamo che lo Spirito è ancora una volta imprendibile, eppure è presente. Quand'è che lo Spirito discende sulla Chiesa, sugli apostoli? Per Pentecoste? Sì, ma anche prima, perché nel momento in cui Gesù muore questo Spirito viene, arriva, c'è. Ma la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, erano chiuse le porte, i discepoli erano riuniti, Gesù entrò a porte chiuse e disse: "Pace a voi", alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete resteranno non rimessi". Quindi lo Spirito arriva anche lì e lo Spirito ridiscende cinquanta giorni dopo. Vedete in che modo lo Spirito è legato a tutta la vicenda, a tutta la persona di Gesù, a tutti gli eventi decisivi e centrali dell'esperienza della Pasqua: la morte, la risurrezione, la pentecoste. Insomma lo Spirito è dovunque, ma noi non ce la facciamo a dire 'è qui, è là'. Si innesca un nuovo duplice movimento anche dopo, nella vita della Chiesa. La missione degli apostoli: noi siamo abituati a pensare che lo Spirito manda la Chiesa, la spinge, c'è la Chiesa, cioè gli apostoli, e lo Spirito che soffia nella vela (questa è anche un'immagine antica, classica dei Padri della Chiesa: la Chiesa una nave nella tempesta del mondo, all'albero della croce e in questa vela soffia lo Spirito), siamo abituati a pensare che lo Spirito soffia, spinge questa lenta compagine di uomini impauriti, dopo cinquanta giorni, infatti, sono ancora con le porte chiuse, ed irrompe spalancando queste porte. Eppure troviamo lo Spirito anche avanti, ad attendere la Chiesa, perché a casa di Cornelio, pagano, Pietro arriva e lo Spirito c'è già. Ecco un altro duplice movimento dello Spirito: da una parte spinge la Chiesa, è l'inizio del cammino dell'Evangelizzatore, dall'altra, però, è anche colui che attende la Chiesa. Lo Spirito non è soltanto colui che spinge l'evangelizzatore, ma è anche colui che prepara il destinatario; ovvero, è colui che prepara l'incontro, che mette nelle condizioni, chi va e chi attende, d'incontrarsi, è la scintilla, è colui che fa scoccare l'intesa, è colui senza il quale l'intesa non si dà, direi che è la Persona che unisce le persone, e questo è il ruolo dello Spirito anche nella Trinità. Quando noi parliamo di Trinità siamo abituati a pensare a qualcosa che sta da un'altra parte, siamo abituati a spazializzare a pensare che Dio sia 'da qualche parte, ma dovremmo capire che non c'è questa dimensione: il Cielo non è su e gli Inferi giù, per Cielo si intende la Trascendenza, l'al di là di ciò che vediamo. Insomma, noi pensiamo all' aldilà nei termini che usiamo per l'aldiqua, vale a dire che creiamo un po' Dio ad immagine nostra. Come dio è in sé noi lo possiamo intuire solo per quanto Lui ci fa conoscere di sé e se lo Spirito lo scopriamo, nella missione apostolica, per esempio, come colui che unisce le persone, non che le annulla, le azzera, ma le unisce tenendo conto delle loro diversità, perché la Chiesa delle origini, basta vedere il capitolo quindicesimo degli Atti degli Apostoli, deve decidere: 'si diventa cristiani passando attraverso la Legge di Mosé oppure c'è libero accesso attraverso la fede e il Battesimo? Si può esser cristiani sia provenendo dall'Ebraismo che dal Paganesimo?'. 'Lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso che...Non si imponga altro vincolo che...'. Le diversità, quindi, non sono annullate. É vero che in Gesù Cristo non c'è più né uomo, né donna, né giudeo, né greco perché tutti sono uno in Cristo Gesù, ma tutti rimangono uomo e donna, giudeo e greco. Lo Spirito è colui che prepara l'incontro attraverso questo movimento interno ed esterno, in un certo senso colui che suggerisce che cosa dovranno dire gli Apostoli nel momento in cui si troveranno nella persecuzione e nel processo e, come il diacono Filippo, si troveranno accanto al ministro della regina Candace, l'eunuco che ha il rotolo di Isaia, ma non capisce ciò che legge e sarà lo Spirito a suggerire a Filippo e a condurlo verso il luogo dove c'è acqua e nulla impedisce di poter esser battezzati. Ancora una metafora dello Spirito che dà la vita, mentre l'eunuco rappresenta il segno della sterilità dell'uomo. E il cammino attraverso la scoperta, nella Scrittura, di questa destinazione della salvezza anche per lui è anch'esso metafora: quando si giunge in luogo dove c'è acqua, il segno della vita, allora si è battezzati, si è in una vita nuova. Tutti gli Atti degli Apostoli ci danno il senso del protagonismo dello Spirito, parlo degli Atti perché sono il' 'Vangelo dello Spirito'. Lo Spirito è quello che prepara la parola nel pescatore, nell'ignorante; lo Spirito perfeziona, porta a compimento, ricorda tutto quello che Gesù ha detto, conduce alla verità tutta intera, ricorda e fa comprendere quell'esperienza che gli uomini hanno fatto, non è che insegna cose nuove, fa comprendere le cose vissute e conduce avanti. Ma allora prepara anche nell'interno il destinatario, lo dispone all'accoglienza, lo fa terra fertile, lo mette nelle condizioni, nel momento dell'incontro di poter dire: "Sì, ti aspettavo!". É la Persona che unisce le persone nella comunione, questo è nella Trinità e nella Chiesa. Nella mentalità cristiana ha fatto da padrona un'idea molto gravida di conseguenze che viene dal mondo greco: Dio è uno, la perfezione è una, è semplice; scendendo dall'uno i molti, la molteplicità, le differenze sono negative, segno della dispersione, segno della frantumazione, come un vaso spezzato in tanti bei pezzi , ma che non sono più quel vaso. Questa è una delle idee greche che ha dominato molto la nostra cultura cristiana. E insieme a questo l'idea che buono è lo Spirito perché Dio è uno ed è Spirito, noi, invece, siamo molti e siamo di carne. Vedete la grande contrapposizione: l'unicità, la semplicità e la spiritualità positive, la molteplicità e la carnalità negative. Questa idea probabilmente ha fatto molta scuola nella nostra educazione: bisogna liberarsi dalla carne e raggiungere lo spirito. "Lo spirito è pronto ma la carne è debole", dice Gesù, non dice: "La carne è inutile" e non dice: "Lo spirito è buono". Noi abbiamo tradotto 'lo spirito è buono, la carne negativa', ma non ha detto questo. Anche perché è Dio che ha soffiato la sua "ruah", il suo Spirito nelle narici dell'uomo impastato dal fango e ha fatto di lui un essere vivente, una "nefesh", in ebraico, una persona fatta di anima e di corpo, una unità, una totalità. Lo Spirito è allora quello che dona insieme l'unità e la diversità, è autore di entrambe, non dell'unità e poi qualcosa gli sfugge di mano e c'è la diversità. Nella Creazione è colui che dà nome alle cose. che le fa riconoscere, è la Persona che personalizza, che fa sì che ognuno sia diverso dall'altro. La nostra unicità e irripetibilità è un argomento che usiamo come uomini e come cristiani per dire l'importanza di non essere uguali agli altri e non per questo pensiamo di dire qualcosa di negativo, vogliamo dire la bellezza e la ricchezza di essere quelli che siamo, questi e non altro, inclonabili. La clonazione per quanto crei uno uguale all'altro, creerà comunque qualcuno che non è quello, sarà uguale, identico, ma non quello. lo Spirito è quindi colui che personalizza, che fa sì che ciascuno sia insuperabilmente se stesso. Lo Spirito dona l'unità e la diversità; nella Chiesa la diversità è ricchezza, è la divisione che è peccato, ma non la diversità; la molteplicità è come lo spettro dell'unico raggio di luce rifratto che va dall'ultravioletto all'infrarosso, tutti i colori dell'arcobaleno, questo è lo spettro della luce, è attraverso un prisma che la luce mostra la sua ricchezza. Non dobbiamo anche qui confondere la divisione con la diversità. La molteplicità è ricchezza, è sinfonia della verità, sono i molti colori. Direi allora che lo Spirito è spirito di unità e molteplicità, che scalda ciò che è gelido, che drizza ciò che è sviato, e tutto il resto che cantiamo nella sequenza di Pentecoste. Da tutto questo provengono delle importanti conseguenze per la vita della Chiesa, per la nostra spiritualità. Intanto vediamo come c'è ricchezza in Dio, come Dio non è colui che sta bene per conto suo e poi scende da noi e fa l'elemosina, e si sacrifica. La parola sacrificarsi noi la conosciamo bene in questa accezione sbuffante di sopportazione, di malavoglia. In Dio c'è una ricchezza che diventa condivisione, che diventa fare spazio, quindi una prima dimensione che ci proviene dalla nostra spiritualità cristiana è quella che fare spazio non è perdere il proprio, che far vivere non è un mettersi da parte tagliandosi fuori, ma un gioire della presenza dell'altro così com'è non come lo vorremmo, perché anche Dio non ha avuto davanti l'uomo davanti a se come lo voleva, ma deve aspettare ancora che diventi come lo vuole, deve aspettare la Storia intera, la continuazione dei secoli. Pare una indicazione per la spiritualità cristiana quotidiana non da poco il sapere che non ci è consentito un pessimismo, l'idea che le cose non vanno come si vorrebbe, perché Dio costruisce attraverso il suo Spirito dentro questa rete, questa maglia insanguinata che è la Storia, ma nella quale il Suo sangue è mescolato, in questa maglia ha aperto un varco. Le conseguenze di questo sono anche nella missione, nell'atteggiamento di testimonianza, di evangelizzazione, nell'esser presenti là dove ciascuno di noi ogni giorno vive, sapere che ogni mozione che noi abbiamo di desiderio che Cristo parli, che Gesù sia significativo è preceduto dal desiderio stesso di Dio che chi vai ad incontrare possa ricevere questo tuo desiderio, che magari rimane inespresso. La missione della Chiesa non è tanto la Chiesa che porta Gesù, forse è Gesù che porta la Chiesa, forse noi abbiamo bisogno di andare ad incontrare Gesù laddove Egli ci sta aspettando: nel povero, nel sofferente, in quello che sta bene, in quello che hai accanto. Tu credi di andargli a portare Lui, ma è Lui che sta portando te. C'è anche un'altra faccia perché lo Spirito è esattamente l'Altro di Dio, l'Aldilà del verbo, è Colui che è oltre, che è dietro e che è avanti.