La Teologia del Nuovo Testamento
Il problema del Gesù storico
Parlare del Problema del Gesù Storico siginfica chiedersi come nella storia si è posto il problema della figura storica di quella persona chiamata Gesù di Nazareth, che durante l'impero di Tiberio Cesare si è posta di fronte al mondo palestinese e portando avanti un annuncio sconvolgente e a partire dalla quale è nato quell'esperienza storica chiamata cristianesimo. Lo stesso Loysi, il teologo del modernismo, affermava alla fine del secolo scorso: "Gesù ha annunciato il Regno di Dio ed è nata la chiesa", mostrando chiaramente il suo pensiero nel quale si rileva una profonda cesura tra l'annuncio storico di Gesù e la sua realizzazione ecclesiologica. Giova inoltre ricordare come questo problema sia relativamente recente e sia un problema che coinvolge direttamente l'interpolazione evangelica stessa: se noi ci stiamo chiedendo chi sia stato storicamente Gesù di Nazareth, quale grado di attendibilità storiografica posso concedere a quei quattro libretti che la nostra società ha chiamato Vangeli? Questo è come si è detto un problema moderno: fin dall'antichità i Vangeli sono stati considerati libri sotrici a tutti gli effetti, anche se erano già state rilevate discordanze tra le diverse redazioni. Prevaleva tra tutte la soluzione concordistica che cercava di mediare tra le contraddizioni e trovare una spiegazione razionale al dilemma. Es.: se Matteo colloca il discorso delle Beatitudini in montagna e Luca in pianura significa che Gesù ha pronunciato dete parole quando stava scendendo dalla montagna dirigendosi verso il piano, per cui i diversi evangelisti hanno posto l'attenzione su momenti diversi dal punto di vista geografico.
Solo alla fine del XVII sec. il problema viene posto in tutta la sua portata. Il filosofo S. H. Reimarus in uno scritto, pubblicato postumo da Lessing nel 1770, dopo aver analizzato i vangeli sinottici e averne colto tutte le incongruenze propriamente storiografiche, dava il via a quella che A. Schweitzer, nel 1906 chiamerà la Leben-Jesu-Forshung, la Ricerca sulla vita di Gesù. La sua analisi lo portò a formulare la cosiddetta ipotesi della frode: "Gesù era un profeta come tanti altri che annunciava un rgno di Dio escatologico, e come tanti altri profeti del giudaismo si scontrò contro la mentalità della società circostante e ne subì la sconfitta. I suopi discepoli, impossibilitati, dopo aver abbandonato tutto per seguire Gesù, a tornare alla vita precedente rubarono il corpo dal sepolcro, inventarono la frode della resurrezione, frode che continua ancopra oggi ad inganare i creduloni".
A parte le accuse di ateismo che lo stesso Lessing subì per aver pubblicato gli scritti di Reimarus e l'evidente ingenuità della soluzione questo evento ebbe un grande merito: quello di aver finalmente messo allo scoperto la assoluta insconsistenza di ogni soluzione concordista e di aver posto il problema di un Gesù storico che deve essere finalmente portato alla luce. Nasce in questo momento tutta una serie di Vite di Gesù che divennero un genere letterario, specificamente utilizzato nell'idealismo tedesco come punto di partenza filosofico per ogni sistema. Comune a tutti questi tentativi è comunque l'idea che la vita di Cristo deve essere spogliata da ogni elemento di soprannaturalità cercando di trovare il vero volto storico di Gesù di Nazareth. Valga per tutti l'esempio di Paulus, colui che tentando di trovare una spiegazione naturalistica ad ogni miracolo narrato nei vangeli arrivò a spiegare la resurrezione come se il freddo della pietra del sepolcro potesse essere sufficiente a rimediare ai danni di una pressoché duplice condanna a morte, quella della flagellazione e quella della croce.
Solo all'inizio del novecento con il Dott. Schweitzer si fece un'analisi della ricerca condotta fino ad allora. Albert Schweitzer, docente di Teologia del Nuovo Testamento pubblicò la prima edizione del testo fondamentale Storia della Ricerca sulla Vita di Gesù (1906). Egli si era letto tutte le vite di Gesù pubblicate fino a quel momento ed era giunto alle seguenti conclusioni:
• la storia della ricerca sulla vita di Gesù, quella operazione intelettuale che aveva avuto il suo inizio con Reimarus, era stata forse la più grande operazione intellettuale della storia;
• nessuna operazione intellettuale di coì vasta portata ha vuto risultati così deludenti: la storia di Gesù non solo non si è delineata con precisione, ma, analizzando i testi, i tratti del volto che si venivano delinenado manifestando più il volto dell'autore e della sua epoca che non quello del Cristo e della Palestina a lui contemporanea.
La tesi conclusiva di Schweitzer è la seguente. Il Gesù storico è ormai inconoscibile, la figura storica di Gesù di Nazareth non potrà più essere ricostruita a partire dagli scarsi testi che ormai possediamo: che cosa possiamo sapere di Gesù? Le uniche realtà che sono indubitabili collocano Gesù di Nazareth profondamente inserito nella sua epoca, la sua predicazione era una predicazione escatologica, il Regno di Dio che veniva annunciando era un evento escatologico, come era escatologica, per alcuni versi, l'attesa del Messia mella sua epoca.
La figura storica di Gesù, come abbiamo detto è ormai inconoscibile, ma quanto più riusciamo a trarre dalle fonti alcuni tratti per disegnare un volto attendibile di quel personaggio che è stato identificato con il Cristo, un volto che desideriamo aderente e significativo per la nostra epoca e ritorna nella sua. Che cosa rimane di significativo delle opere e dei giorni di Gesù di Nazareth? Solamente il suo messaggio di amore e fratellanza universale. Coerentemente con le sue occasioni A. Schweitzer si iscrisse alla facoltà di medicina e, portandosi dietro solo l'amato organo, andò nei paesi di missione a praticare quella fratellanza universale che considerava essere l'ultima eredità significativa del suo Gesù. Nasce comunque da lui la Scuola escatologica, una scuola in cui l'evento Gesù di Nazareth viene interpretato solamente come annunciante la fine dei tempi. Con A. Schweitzer ha termine quella operazione intellettuale che lo stesso autore ha denominato la Leben-Jesu-Forshung, con lui ha termine la vecchia questione sul Gesù storico, sul Gesù Historish, ladomanda che ricerca semplicemente una cronaca della vita di Cristo. Dopo di lui questo risultato è in qualche modo acquisito si riparte da zero, nasce una nuova questione, una nuova operazione intellettuale che non ricercherà più semplicemente la cronaca giornaliera della vita di Gesù, ma cercherà di comprendere in che senso i Vangeli potranno essere detti libri storici. Dopo il famoso testo di Khaler (Il cosidetto Gesù storico...) sarà nuovamente un teologo evangelico aportare un nuovo contributo alla discussione e a dare un nuovo impulso alla discussione, uno dei più grandi biblisti di questo secolo: Rudolf Bultmann. Insegnante di Teologia del Nuovo Testamento all'Università di Marnurg, assiduo frequentatore di Heidegger negli anni in cui il filosofo insegnò nella stessa università, e dalle sue teorie profondamente influenzato, r. Bultmann è colui che più di tutti ha sentito l'esigenza di portare nuovamente Gesù all'uomo di oggi. Occorre distinguere, sull'esempio di Heidegger, due sensi del termine storia, due sensi che in tedesco vengono anche espressi da due parole diverse: da una parte la storia nel senso del racconto dei fatti, della banale enumerazione cronologicamente ordinata, una cronaca che ritiene come fondamentale la oggettività del messaggio, ma non la sua interpretazione (in tedesco historie), dall'altra la narrazione storica in cui l'autore inserisce la sua interpretazione, le concatenazioni causali, i rapporti e le fattualità viste da un occhio esterno, che critica e discerne (in tedesco geschicte).
Occorre anche tenere presente il fatto che, secondo Bultmann, l'autore dei Vangeli, e quindi il suo ambito di produzione, non è il singolo evangelista, ma la comunità in cui il messaggio si è culturalizzato. Le conclusione del pensatore di Marburgo sono a questo punto chiare:
•a noi del Gesù Historish, storico in senso cronachistico, non interessa niente (tra le altre cose, la lezione di Schweitzer non è passata invano, esso è inconoscibile nella sua completezza); •quello che mi ha convertito, che mi ha fatto cristiano, non è stato il Gesù Historish, ma l'annuncio di Gesù frutto dell'esperienza concreta dell'evangelista, e in ultima nalisi, dell'esperienza della comunità; •quello che a noi interessa, quindi, è il Cristo della fede, Gesù Kerigmatico, frutto del Kerigma cioè dell'annuncio della comunità e non il Gesù storico, ciò che storicamente Gesù di Nazareth ha fatto o detto.
Queste tesi provocarono una molteplicità di reazioni, nell'accusa di docetismo o di ateismo mascherato non si dimenticò di ricercare o di rintracciare quella che probabilmente è l'esigenza più vera e feconda del pensiero bultmaniano e cioè un rinnovato tentativo di riannunciare il Cristo della fede all'uomo moderno ormai lontano dalle mitologie del passato. L'eccessiva svalutazione della realtà storica del Gesù di Nazareth ha avuto però necessità di essere corretta; a far questo ha provveduto la scuola dello stesso teologo tedesco. Nel 1954 un suo allievo, E. Kasemann, ad una riunione degli allievi di Marburgo propose una rivalutazione della storicità di Gesù di Nazareth: se è vero come è vero che iVangeli sono più la narrazione dell'esperienza di una storia che non la narrazione della storia stessa, se è vero come è vero che ciò che mi ha convertito è stato l'annuncio del Cristo della fede e non la consapevolezza intellettuale della realtà storica di Gesù di Nazareth, (non dimentichiamoci che molti di coloro che sono stati diretti spettatori della vita di Gesù sono stati anche attivi partecipi della sua passione e morte), è anche e soprattutto vero che togliere ogni fondamento oggettivo (in questo senso storico) all'annuncio cristiano significa negargli ogni portata di veridicità universale; significa togliere ogni base di discussione comune con il non credente, significa mettere in dubbio anche la validità storica della redenzione operata da Gesù sulla croce. Kasemann allora enuclea tre principi fondamentali tramite i quali sia possibile per tutti riconoscere nel testo evangelico ciò che può essere considerato storico (historish) e ciò che invece deve assolutamente sottostare alla rigida disciplina del dubbio.
1.Principio di molteplice attestazione: io posso considerare veramente fatto o detto da Gesù tutto ciò che trovo nei Vangeli e che è attestato in diverse fonti nella stessa maniera (es. l'ultima cena). 2.Principio di discontinuità: io posso considerare veramente fatto o detto da Gesù tutto ciò che trovo nei Vangeli e che si pone in discontinuità con la mentalità dell'ambiente circostante o addirittura con quella dei discepoli stessi (es. la parola Abbà). 3.Principio di continuità: io posso considerare veramente fatto o detto da Gesù tutto ciò che trovo nei Vangeli e che si pone in continuità con ciò che o già stabilito essere storico di Gesù tramite gli altri due criteri.
Il Gesù dei sinottici
Quando si pone il problema di parlare di Gesù la questione del porre un inizio è sempre complivcata date le innumerevoli trattazioni cui la figura del Cristo è stato sottoposto nella storia. Diventa scelta obbligata allora cominciare proprio da quelle trattazioni che si collocano come prime non solo da un punto di vista cronologico, ma anche da quello dell'importanze per la chiesa data l'ispirazione divina che li contraddistingue. non è qui il caso di trattare della questione sinottica, se non per brevi accenni, di quale sia cioè la priprità fra i tre Vangeli e quale di loro abbia influenzato gli altri.
Scegliere di presentare Cristo come viene visto nei Sinottici significa fare una scelta di campo; in essi Gesù viene offerto per la prima volta in una visione unitaria attraverso una teologia narrativa complessiva della sua esistenza terrena; in quelli che ad una prima occhiata sembrano dei semplici resoconti biografici si offrono invece delle possibili interpretazioni della figura di Gesù di Nazareth legate sia alla dimensione culturale dei destinatari, sia a quella dell'ultimo redattore, come pure al contesto storico all'interno del quale vengono prodotti.
Gesù nel Vangelo di Marco
Cominciando appunto da Marco, per seguire quello che sembra essere l'orientamento cronologico più probabile, occorre specificare come questo testo sia stato prodotto al'interno di una comunità crisitana di origine latina intorno al 65 d.C. Marco, "interprete dei detti di Pietro" secondo la testimonianza di Paia va probabilmente identificato con Giovanni Marco, figura presente nella primitiva comunità gerosolimitana, parente di Barnaba, compagno per un tratto dle primo viaggio missionario di quest'ultimo e di Paolo, seguì infine Pietro nella sua missione romena fino a collocarsi probabilmente come suo interprete finale. Il programma cristologico del suo vangelo può essere trovato anche esaminando semplicemente la prima frase del suo scritto: "Inizio del vangelo di Gesù Cristo, il figlio di Dio" (Mc 1,1). Così si presenta nella traduzione italiana il suo primo versetto, in una affermazione apparentemente innocente in esortazione. Se analizziamo il testo originale vediamo però che questa affermazione non è così innocente: ciò che viene tradotto con inizio è il termine archè che, di veneranda filosofica memoria, significa non soltanto inizio temporale, ma anche principio costituente. Altra considerazione: siamo noi moderni che denominiamo i quattro libretti che riguardano Gesù "Vangeli", ma per comprendere ciò che l'autore intendeva occorre tradurre il termine e non semplicemente traslitterarlo. Dalla etimologia del termine ricaviamo una semanticità con senso di messaggio positivo: "lieto annuncio, messaggio lieto". Riproponendo allora il primo versetto di Marco possiamo leggerlo così: "Principio del lieto messaggio è Gesù Cristo, ed il lietoannuncio è che Gesù, il Cristo, è il Figlio di Dio". Possiamo dire che l'aanuncio di Marco è già completo, ha già esplicitato che cosa voleva comunicare della figura storica di Gesù di Nazareth, ma non possiamo dimenticarci che questo annuncio viene rivolto a cristiani di origine pagana, latina. Per loro "Figlio di Dio" ha un significato ben preciso: viene ad indicare un semidio, un essere di origine mista, umana e divina. Certamente non è questoche Marco vuolcomunicare di Gesù. Per spiegare allora che cosa si debba intenderep er "Figlio di Dio" interviene tutto il resto del Vangelo. In esso viene in primo piano quello che solitamente viene chiamato "il segreto messianico". Per tutto il Vangelo Gesù viene indicato e denominato utilizzando dei titoli messianici, anche se non compare mai la locuzione che ci aspetteremmo fondamentale di Figlio di Dio. Ebbene Gesù rifiuta sempre l'attribuzione di questi titoli, mettendo generalemtne a tacere chi lo apostrofa in tal modo. In questo modo Marco, tramite le negazioni di Gesù tende a rifiutare ogni interpretazione della sua figliolanza divina come semplicemente taumaturgica o didattica. Questo accade anche alla fine del capitolo 8, nell'episodio di Cesarea di Filippo, che pure costituisce una cesura all'interno del vangelo. In esso Pietro risponde alla domanda del Signore "voi, chi dite chi io sia?" con il titolo di Cristo, e anche in uqesta occasione Gesù impone il silenzio ai discepoli. Gesù adesso ha compreso che i discepoli hano acquisito il concetto del suo essere Filgio di Dio; fino ad allora il Vangelo è stata un'illustrazione, tramite parole, prodigi e segni della sua divinità, da adesso in poi si tratterà di insegnare ai discepoli la sequela. È del capitolo seguente infatti l'episodio del cieco Bartimeo in cui l'obiettivo essenziale è di mostrare come esemplare la figura del cieco che all'inizio del brano si trova lungo la strada e che invece, dopo il prodigio si trova sulla strada posto alla sequela avendo abbandonato tutto (lasciato lì il mantello, bene essenziale per un mendicante). Fine del Vangelo ed indicazione essenziale su che cosa significhi per Marco la figliolanza divina di Gesù li troviamo al capitolo 15,39 l'unica altra volta in cui compaia il termine assoluto Figlio di Dio in tutto il Vangelo; siamo sotto la croce il centurione romano, simbolo di tutti i romani che, leggendo il libro, con i discepoli hanno prima imparato che cosa sia il nazareno e poi si sono posti alla sua sequela, vedendo come Gesù muore può esclamare: "Veramente costui era figlio di Dio!" e nessuno lo mette a tacere! Gesù è morto e nella sua morte si manifesta la sua figlilanza divina, nella morte in cui la protesta del Giusto sofferente si leva a chiedere ragione della punizione (15,34), ma che si rivolge a Dio come colui che potrà salvarlo.
Gesù nel vangelo di Matteo
la prospettiva cambia radicalmente nel vangelo di Matteo, un vangelo scritto da un ebreo per una comunità ebraica, per una comunità quindi che ha alle spalle tutta la tradizione veterotestamentaria. Siamo alla fine della Guerra Giudaica, le truppe romane si stanno avviando alla distruzione di Gerusalemme e con essa sello Stato ebraico, ponendo le basi per un giudaismo unicamente culturale e religioso, ma non più teoretico. La componente farisiaca chiede ai romani la cittadella di Iamnia per poter continuare gli studi disinteressandosi alla dimensione politica della guerra ancora in corso. Dopo che i romani hanno accettato la proposta i farisei, dalla loro roccaforte accusano i giudei che hanno accettato il cristianesimo di aver abbandonato la fede dei padri. I cristiani, dal canto loro, ritengono invece di non aver tradito la fede di Mosè; il Vangelo di Matteo costituisce la loro risposta all'accusa farisiaca. Matteo, da identificare probabilmente con il pubblicano Levi la cui chiamata viene narrata proprio in questo vangelo, è sicuramente un ebreo, che conosce l'Antico Testamento e che segue regole semitiche di composizione letteraria. Una struttura possibile di questo vangelo infatti è quella che individua nel testo una struttura settenaria, data la significatività estrema del numero sette nella mentalità ebraica: una introduzione, cinque grandi unità narrative legate a cinque grandi discorsi di Gesù, un finale con i fatti della Passione, morte e Resurrezione di Gesù. Chi è Gesù per il Vangelo di Matteo? È il Messia che tutto Israele stava aspettando, dato che adempie alle profezie dell'Antico testamento come l'autore cerca di dimostrare ad ogni passo. Coloro che lo seguono non hanno abbandonato quindi la fede dei padri, l'hanno seguita invece fino in fondo contemplando l'adempimento delle promesse di Dio. Sono loro il solo, vero ed autentico Israele! In questo suo ruolo di Messia atteso il Gesù di Matteo si manifesta anche come il nuovo Mosè (Cfr. gli episodi della nascita che Matteo riporta) e nuovo legislatore che non viene ad abolire la legge antica, ma a portarla a compimento; in questo senso i cinque grandi discorsi si possono interpretare come un nuovo Pentateuco. Il compimento della Legge antica non avviene attraverso una sua svalutazione, ma attraverso una riscoperta del suo significato più intimo e che si concretizza in una esigenza morale molto forte. ricordiamo l'intero discorso della Montagna (capp. 5-7) come esempio molto significativo dei concetti su esposti.
Gesù nel vangelo di Luca
Con il Vangelo di Luca, il caro medico, sicuramente discepolo di Paolo, greco di origine e formazione, data l'epoca più tarda (siamo intorno all'80 d.C.), anche l'elaborazione teologica si fa più raffinata. Inseparabile nella analisi dal secondo grande capitolo dell'opera lucana, gli Atti degli Apostoli, il terzo Vangelo pone alla attenzione della comunità cristiana anche se stessa. Ci si chiede in esso infatti che senso ha la chiesa e in che cosa la vita di Gesù, che viene esaminata fin dai suoi inizi più remoti, possa costituire il fondamento della chiesa stessa. Non a caso Gerusalemme, luogo della morte di Cristo e degli eventi fondanti la chiesa stessa costituisce il centro e il punto di unione dei due grandi capitoli dell'opera lucana. Il Gesù che Luca ci presenta è il Signore, colui che viene a rivelarci la paternità di Dio (non a caso in questo Vangelo al capitolo 15 troviamo le parabole della misericordia divina). Cristo è il fratello che viene a portare l'annuncio della salvezza che viene da Dio. Oltre alle parabole già citate sono numerosi i luoghi dove questa idea compare: basti confrontare la divesità delle versioni del Padre Nostro tra Matteo (cap. 6) e Luca stesso (cap. 11).