JEAN-MARIE SÉGALEN

con la collaborazione di

FRANÇOIS-XAVIER DURRWELL et PRÉVOT

 

 

 

 

 

 

 

 

PREGARE CON MARIA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

 

 

Nella stessa collana:

Imitazione di Cristo, traduzione dall'edizione critica di T. Lupo.

Renzo Lavatori, Lo Spirito Santo e il suo mistero. Esperienza e teologia nel trattato: " Sullo Spirito Santo " di Basilio.

Card. J. Hickey, Maria ai piedi della croce. Modello di santità e di vita.

Jea_-Claude Michel, Chi sei tu, Maria?

Camillo Maccise, Le vie del Signore.

Card. Basil Hume, Rifare l'Europa.

Roberto Moretti, Dio amore misericordioso. Esperienza, dottrina, messaggio di Teresa di Lisieux.

F.-R. Wilhélm, Dio nell'azione. La mistica apostolica secondo Teresa D'Avila.

M. De Goedt, Il Cristo di Teresa.

Card. Pierre Paul Philippe, La vita di preghiera. Saggio di teologia spirituale.

Andreas Wollbold, Teresa di Lisieux. Interpretazione mistagogica della sua Biografia

Rafael Checa, La pastorale della spiritualità cristiana

Luis Jorge González, Guidati dallo Spirito

Otger Steggink, Senza amore... tutto è niente

Umberto Occhialini, L'amore mistero di vita

Antonio Izquierdo, Esercizi spirituali con Paolo VI

Jean-Marie Ségalen, Pregare con Gesù

Jean-Marie Ségalen, Pregare con Maria.

José Cristo Rey García Paredes, Discepoli e testimoni di Cristo

JEAN-MARIE SÉGALEN

con la collaborazione di

F.-X. DURRWELL et R. PRÉVOT

PREGARE CON MARIA

LIBRERIA EDITRICE VATICANA 00120 CITTÀ DEL VATICANO

Titolo originale: Prier avec Marie

(c) Droguet et Ardant, Paris

Traduzione di Marisa Tiraboschi

In copertina:

" Preghiera " di Francesco Guadagnuolo

Gli autori di questa opera

Jean-Marie Ségalen, redentorista, ex-docente di filosofia, direttore della rivista " Mission Chrétienne " è presidente del GTIR (Gruppo di Lavoro Inter-Riviste, associazione di stampa religiosa che raccoglie una ventina di riviste di orientamento missionario), è il principale Autore di quest'opera nella quale sono inserite una trentina di pagine di due collaboratori della rivista " Mission Chrétienne ":

 I testi firmati F.-X. D. sono di François Xavier Durrwell, redentorista, ex-Superiore della Provincia di Strasburgo, ex-professore dell'Istituto " Lumen Vitae " di Bruxelles e dell'università di Metz.

 I testi firmati R. P. sono di René Prévot, redentorista, ex-professore di Lettere, responsabile della formazione dei Redentoristi delle province della Francia, predicatore di ritiri spirituali e di missioni parrocchiali.

! Copyright 1999 - Libreria Editrice Vaticana 00120 Città del Vaticano

Tel. (06) 698.85003 - Fax (06) 698.84716

ISBN 88-209-2712-8

 

PRESENTAZIONE DELL'EDIZIONE ITALIANA

Quest'opera di commento al Magnificat presenta due caratteri fondamentali: uno stimolo alla riflessione biblica sulla scia di un tracciato continuamente agganciato ai testi; un invito agile, creativo, talvolta mordente, a situarsi personalmente di fronte ad un grande annuncio.

Annuncio gravido di un passato profetico e messianico che profondamente coinvolge il credente d'oggi alla soglia del secondo millennio, in un momento di forte transizione.

Gli autori si rivolgono ad un pubblico francese; il respiro del libro è, tuttavia, universale e può essere interessante e gustosa l'immagine o l'espressione tipica del particolare ambiente storico.

Un itinerario logico collega i diversi capitoli che, però, data l'agilità del testo, possono anche essere letti ad apertura di libro. Ogni capitolo è un piccolo mondo quasi a sé stante, atto a suscitare una riflessione completa nei propri confini.

L'anima mia magnifica il Signore *

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva. *

D'ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente *

e Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia *

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, *

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni, *

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, *

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, *

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri, *

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

 

 

 

 

1

ALLORA MARIA DISSE ...

Ella non dice nulla di sé, non fa nulla ponendosi in prima persona, non mescola nulla di proprio.

Nessuna idea, nessuna immagine, nessuna parola limita in lei l'ineffabile e lo splendore della sua luce non incontra ombra... La sua trasparenza ai raggi ardenti del sole ne fanno un terso cristallo e il mistero di Gesù vi si riflette totalmente... (Notre Dame de la Sagesse, Maurice Zundel).

Maria?

" Quanto avrei desiderato essere sacerdote per predicare sulla Santa Vergine! Mi sarebbe bastata una sola volta per dire tutto ciò che penso a questo proposito ".

Chi si esprime così è una donna... sul letto dove sta per morire! È una carmelitana, una santa: santa Teresa di Gesù Bambino.

Così continua: " Avrei prima fatto capire quanto poco si conosca, in realtà, la sua vita...

Perché una predica sulla Santa Vergine mi piaccia e mi faccia del bene, bisogna che veda la sua vita reale... La presentano inavvicinabile, bisognerebbe mostrarla imitabile, fare risaltare le sue virtù, dire che viveva di fede come noi, darne le prove con il Vangelo... Sappiamo bene che la Santa Vergine è la Regina del Cielo e della terra, ma è più Madre che Regina " (Ultimi colloqui, in Opere complete, p. 1080). Noi conosciamo poco la Vergine Maria. Abituati a vederla nelle chiese e nei musei, vestita come un'imperatrice, incoronata come una regina, truccata come una diva... rischiamo di dimenticare che Maria è stata, prima di tutto, una vera donna. E una mamma sulla terra!

Nel Villaggio di Nazaret, il giorno dell'Annunciazione, nulla la distingueva dalle altre ragazze della sua età. Nulla, se non uno sguardo straordinariamente puro. Nulla, eccetto un'amicizia straordinariamente aperta ed accogliente per tutti. Nulla, se non una gioia straordinariamente fresca e pronta a manifestarsi con gli accenti del " Magnificat ".

Maria, una donna autentica; ma una donna che dice a Dio il " Sì " più vero, più fedele, più perfetto di tutta la storia degli uomini, eccetto quello detto da suo Figlio. Il suo " Sì " non è stato il " Sì " di un istante di estasi: ma il " Sì " di tutta una vita.

La prima credente

La madre di Dio è il modello della Chiesa nell'ordine della fede, della carità, della perfetta unione col Cristo... Ella ha dato alla luce il Figlio che Dio ha posto quale primogenito tra i molti fratelli, cioè tra i fedeli, alla rigenerazione e formazione dei quali essa coopera con amore di madre (Vaticano II, LG 63).

Maria possiede una sua beatitudine: quella della fede. Sua cugina Elisabetta ne è la gioiosa annunciatrice: " Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore " (Lc 1,45).

Questa fede è una fede biblica. Essa è radicata nella fede di Abramo e di tutti i credenti dell'Antico Testamento. Maria si pone in cammino alla chiamata di Dio... " verso un paese che ella non conosce ". E l'avventura delle fede che inizia: con le sue ore di sole, le sue schiarite, ma anche con le sue tempeste, i suoi combattimenti, le sue ore monotone e i suoi deserti che sembrano non avere termine.

Questa fede è una fede umana. Maria ci rivela quanto l'uomo sia " capace di Dio " quando vuole davvero rimettersi alla verità della Parola e nutrirsene. Ma questa fede si vive nel silenzio e nella notte. Maria non comprende tutto, né lo comprende subito. Come, infatti, capire a Betlemme quella nascita del Messia che sembra lasciata al caso di un viaggio e in una povertà così squallida? Poi, a Gerusalemme, la scomparsa di un fanciullo saggio per tre giorni? Maria e Giuseppe " non compresero " (Lc 2,50). Così, a Cana, Maria non comprende tutto il significato delle parole di suo Figlio e neppure comprende, durante la passione, tutto il senso di questa spietata condanna a morte. Ella non comprende, ma crede nella Parola di Dio. Ecco perché la custodisce nel suo cuore, preziosamente, sicura che un giorno le sarà dato di capire. In attesa, ella avanza sul cammino della fede attraverso le cose ordinarie della vita.

A Nazaret, Maria fa ciò che le donne del suo tempo fanno: raccogliere la legna per il focolare di casa, portare l'acqua dal pozzo, la brocca sul capo; macinare il frumento, impastare la farina, cuocere il pane; filare, tessere, cucire gli indumenti; cucinare, lavare le stoviglie, occuparsi delle faccende di casa, del bucato... pregare, cantare salmi... Dal mattino alla sera, servire. Servire Dio, servire gli uomini.

Questa fede è una fede unica. Un mistero incomunicabile. L'uomo che ama ha sempre l'impressione di inventare l'amore. Così è anche per colui che crede. Con san Paolo  e meglio di lui  Maria può osare dire: " Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me " (Gal 2,20).

La prima discepola

È veramente cosa meravigliosa vedere il Cristo presente ad una festa coi suoi discepoli e con sua Madre Maria. Molte sono le persone che, sia pure con le migliori intenzioni, pensano che l'essere cristiani sia incompatibile con la gioia della festa!

E, invece, ecco che il Cristo è presente ad una festa. Il Vangelo non ci dice che in quella festa ci fossero anche le danze, ma io sono sicuro che là si ballasse. E il Cristo non ha voluto che la festa terminasse male. Egli avrebbe potuto, all'inizio, cambiare il vino in acqua. No: alla fine cambia l'acqua in vino. E ciò, alla richiesta della Madonna! (L'Evangile avec dom Helder, dom Helder Camara).

In san Giovanni, " il discepolo che Gesù amava ", ci sono soltanto due paragrafi sulla Vergine Maria: l'uno, all'inizio del suo Vangelo (Gv 2,1-11), l'altro, alla fine (Gv 19,25-27). Due paragrafi soli, ma quanto significativi: essi inquadrano la vita pubblica di Gesù.

A Cana, " c'era la madre di Gesù ", scrive san Giovanni, che termina con queste parole: " ...e i suoi discepoli credettero in lui ".

Nell'intervallo, questa parola di Maria: " Fate quello che vi dirà ". Tale è il messaggio mariano per eccellenza, quello che Maria rivolge a tutti i servitori di tutti i tempi, quello che il Vangelo ha conservato. Maria non dice: " Portate delle medaglie... Accendete ceri, recitate delle lunghe litanie... Cantate dei cantici... ", tutte cose, d'altra parte, rispettabili. Dice semplicemente questo: " Fate ": degli atti! agite...

" Ciò ch'egli vi dirà ", lui, Gesù, mio Figlio. In altri termini, aggrappate la vostra vita alla sua parola e non agli slogans di moda o alle ideologie facili ed effimere...

" Ciò ch'egli vi dirà ": non scegliete! Nel Vangelo non scegliete ciò che v'interessa lasciando cadere il resto: scegliete tutto. Tutto il Vangelo: quello della preghiera e quello dell'azione. Quello della dolcezza e quello del rigore. Quello della gioia e quello della croce. Quello della carità e quello della giustizia. Quello del dono e quello del perdono. Tutto il Vangelo di Gesù.

Al Golgota, " stavano presso la croce di Gesù sua madre... ". Maria era là: questa parola, vera alle nozze di Cana, è vera al Golgota.

Giovanni è il solo ad aver annotato queste ultime confidenze di Gesù a sua madre. Esse proiettano una luce nuova sull'amore di Gesù, sull'amore di Maria. Gesù dice a sua Madre: " Donna, ecco il tuo figlio! ", poi al discepolo: " Ecco la tua madre! ".

Gesù ha dato tutto. Gli è stato tolto tutto: il suo onore, la sua libertà, perfino le sue vesti (i soldati se le dividono). Egli dona anche sua madre. Quella madre che è là, in piedi, sotto la croce... e che legge l'iscrizione: " Gesù di Nazaret, re dei Giudei "... Ella ricorda allora le parole dell'angelo: " Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine " (Lc 1,32-33). Tale è il regno di Gesù: un regno di povero, un regno d'amore.

Ai piedi della croce, Maria si ricorda ancora delle parole di Gesù adolescente: " Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? " (Lc 2,49). Allora, Maria non aveva compreso; oggi ella comprende. Allora, suo figlio era scomparso per tre giorni; oggi egli è in mostra per tre ore. In pieno giorno, nudo, sotto lo sguardo di tutti: Dio è amore. Amore esposto, in tutti i sensi del termine, fino all'estremo... Fino al sangue!

" Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora " (Gv 2,4). Ecco una di quelle parole misteriose a cui Maria continuamente ritornava, sicura che un giorno avrebbe finito per comprenderla. Oggi ella comprende: l'ora è venuta, quella della rivelazione totale dell'amore di Dio, dono perfetto e perdono (per-fatto-dono): " Donna, ecco il tuo figlio... ". Questa parola avrebbe potuto straziare il suo cuore di mamma; ma la trova consenziente: Maria rinuncia a stringere tra le sue braccia il corpo torturato di suo Figlio; ella le apre per accogliere la folla dei peccatori: gli apostoli, i discepoli, tutti gli uomini, fratelli di suo Figlio, ormai suoi figli.

Da quella sera Maria non ha più una sua propria dimora: ella vivrà a casa degli altri. La sua nuova dimora è quella che suo Figlio le ha ora aperto: la Chiesa. Maria ha là il suo posto. Per sempre!

Non ho bisogno di raffigurarmi la persona di Dio, non ho bisogno di parlargli, egli è là. Io non prego che per avvicinarmi a lui, per sentire la sua presenza...

Inforco la mia piccola bicicletta dell'Ave Maria: " E benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù ". Ecco, ho raggiunto Gesù. Ho dentro la mia tenerezza per lei e mi sento avvolto dal suo sguardo. Ella fa parte del grande dramma, ella sola ha, nella profondità dei suoi occhi, veduto tutto il dramma, la tragedia della sofferenza e della vita. Ella è la madre della nuova vita (Jean-Louis Barrault intervistato da A. Séve in Si nous parlions de Dieu).

La prima cristiana

Nel Cenacolo " la madre di Gesù era là "... Non al centro: questo era il posto di Pietro! ma umilmente presente. Nella Chiesa nascente.

Maria è colei che raduna. Ella riconcilia, fa l'unità come una mamma nella propria casa: attenta al gruppo, attenta a ciascuno, solidale con tutti. Ella è il cuore della Chiesa.

Maria è colei che prega. La sua preghiera precede la Pentecoste e l'accompagna. La sua preghiera sostiene la predicazione e la testimonianza degli apostoli. Ella è la forza della Chiesa.

Maria è colei che ricorda. Ella ha custodito nel suo cuore tutte le parole di Gesù: ella è la " memoria " vivente della Chiesa.

Maria, infine, guida la Chiesa verso il Cristo. Ella conosce la strada. Ella ha fatto tutto il cammino da Betlemme al Calvario con lui... Ella era là, all'Ascensione. Ella è ormai con Lui nella gloria. Nella notte di questo mondo, ella è la " Stella " polare che guida il cammino della Chiesa.

La madre di Gesù è sempre là... ovunque vi siano dei cristiani. E non è per caso. Maria non è, infatti, un'isola meravigliosa che si potrebbe contemplare da lontano e cantare rapiti... da lontano soltanto! Così ne scrive Jacques Loew: " Ella appartiene al continente, ma è il promontorio posto all'estremità più audace della terra, il "Finisterre" che si protende in rilievo in mezzo alle acque ".

La madre di Gesù è sempre là... e la sua storia riguarda l'uomo. Non è forse Lei l'avvenire dell'uomo?... Senza di Lei non c'è Cristo. E senza Cristo non c'è la Vergine immacolata. Si comprendono, allora, la verità e lo splendore dei versi di Dante:

" Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,

Umile ed alta più che creatura... ".

(Divina Commedia, Canto XXXII)

Maria è la figura ideale, la personificazione, l'archetipo della Chiesa. In lei avviene il passaggio dall'antico al nuovo popolo di Dio, da Israele alla Chiesa. Ella è la prima tra gli umili e i poveri rimasti fedeli in attesa della Redenzione; ella è ancora la prima tra i riscattati che, nell'umiltà e nell'obbedienza, accolgono la venuta del Redentore (Omelia pronunciata ad Efeso, Giovanni Paolo II).

 Preghiera a Maria, la Vergine del Magnificat  Sant'Alfonso de' Liguori (1696-1787), dottore della Chiesa e fondatore dei Missionari Redentoristi, è chiamato il " Dottore della preghiera ". Vogliamo ricordare una delle sue molte preghiere, rivolta alla Vergine del Magnificat. E raccolta nella sua opera Le glorie di Maria, " il libro che ha il maggior numero di edizioni tra quelli di tutti i tempi di carattere mariano " (René Laurentin): si parla di più di mille edizioni.

Vergine Immacolata, Vergine benedetta, tu sei la dispensatrice universale di tutte le grazie di Dio. Tu sei dunque la speranza di tutti gli uomini e sei dunque la mia speranza. Continuamente ringrazio il mio amatissimo Signore per avermi fatto dono di conoscerti.

O mia Sovrana, con quanta premura hai visitato la casa di Elisabetta per santificarla. Degnati di visitare la povera casa della mia anima e affrettati a venire.

Tu sai meglio di me quanto essa sia povera... Ma tu puoi renderla ricca, tu che sei la tesoriera di Dio, se vuoi, puoi guarirla da tutte le sue infermità. Vieni, dunque, a visitarmi durante la mia vita, vieni soprattutto a visitarmi nell'ora della mia morte perché in quell'ora la tua assistenza mi sarà più necessaria... Nell'attesa, sarò felicissimo se vorrai visitarmi con la tua grazia. Sì, mi basta che tu preghi per me.

Prega, dunque, o Maria, e raccomandami al tuo Figlio divino. Più di me, tu conosci le mie miserie e i miei bisogni. Che cosa potrei dirti se non: abbi pietà di me? Sono così miserabile ed ignorante che non so neppure conoscere e chiedere le grazie che mi sono più necessarie. Ma tu, mia Regina e mia dolce Madre, chiedi al tuo divino Figlio ed ottieni per me le grazie che tu sai essere più utili alla mia anima e che più sono importanti per la mia salvezza eterna.

Mi abbandono interamente nelle tue mani e soltanto prego la Maestà divina di accordarmi, per i meriti di Gesù mio Salvatore, le grazie che tu solleciterai per me. Chiedi, dunque, o Vergine Santissima, chiedi per me ciò che tu giudichi sia da preferire. Le tue preghiere non sono mai respinte: sono le preghiere di una Madre a suo Figlio, e questo Figlio ha un amore così grande per te da porre la sua felicità nel compiere tutto ciò che tu desideri per aumentare la tua gloria e testimoniare così il grande amore che ha per te. O mia Signora, rimaniamo così: io a fidarmi pienamente di te e tu a prendere cura della mia salvezza. Amen (Le Glorie di Maria, ed. critica Redentoristi, Roma 1935-1937).

 

MARIA, SPERANZA DELLA SALVEZZA

La Madre che desidera la salvezza di ogni uomo con tutta la potenza dell'amore ch'essa nutre nello Spirito Santo, come può tacere riguardo a ciò che minaccia le stesse basi di questa salvezza? No! Essa non può!

L'amore della Madre del Salvatore raggiunge tutto ciò che tocca l'opera della salvezza.

L'oggetto delle sue cure sono tutti gli uomini della nostra epoca (Giovanni Paolo II, 13 maggio 1982, a Fatima).

Non è mai accaduto e mai accadrà e neppure, assicura il pio Luigi de Blais, " potrà mai accadere che un umile e devoto servitore di Maria si perda per l'eternità " (Alfonso de' Liguori, Le Glorie di Maria).

Tra i fedeli di Cristo, esiste un assioma confermato da una lunga esperienza: nessuno di coloro che ricorrono a lei (Maria) può eternamente perire (Benedetto XV, Inter Sodalicia, 1918).

A undici anni espressi il mio desiderio di diventare missionario. Uno dei miei zii, curato di campagna in Alsazia, mi regalò uno dei primi messali di don Lefebvre appena stampato. Sapendo che prendevo lezioni di latino dal vicario della mia parrocchia, egli scrisse sulla pagina bianca all'interno: " Servus Mariae numquam peribit ": " Mai un servitore di Maria potrà dannarsi ".

Lo zio curato  così lo chiamavamo  aveva citato un assioma a quel tempo molto diffuso, nato da un'esperienza secolare del popolo cristiano. La certezza di trovare in Maria un soccorso infallibile per la salvezza risale molto lontano nel tempo. Si è scoperto un papiro del III secolo in cui si può leggere in greco una preghiera che ancora si recita ai nostri giorni: " Sotto la tua protezione, santa Madre di Dio, noi ci rifugiamo... ". Il Medioevo vedeva in Maria l'arca che accoglie e salva dal diluvio coloro che vi si rifugiano. Si rappresentava Maria che riparava sotto il suo manto e proteggeva il popolo cristiano.

Al tempo del giansenismo, in cui con ansia ci si poneva l'interrogativo: " Potrò salvarmi? ", sant'Alfonso riprende l'antico detto e lo esprime e ripete in molti modi: " Un servitore di Maria... non può dannarsi... E impossibile che un servitore di Maria si danni... Maria conduce i suoi servitori in paradiso... Maria libera i suoi servitori dall'inferno... Il cielo e la terra sanno che è impossibile che si perda colui che Maria protegge... " (Le glorie di Maria).

Diversi pontefici dei tempi moderni hanno posto su questa intuizione dei fedeli la cauzione della loro autorità. Pio XII, per esempio: " E per noi cosa manifesta che ovunque si venera la Vergine con ardente pietà, non potrà mai mancarvi la speranza della salvezza " (Sacro vergente anno, 1952). L'attribuire alla preghiera mariana un'efficacia assoluta può sembrare cosa eccessiva. Sant'Alfonso ne ha percepito l'audacia ed ha previsto il dubbio che ne può nascere. La salvezza, infatti, viene da Dio e non per intervento di creatura, sia pure la più santa. Questo è certo. La grazia, tuttavia, ha bisogno di un terreno e di un buon clima. Un giorno, una donna mi confidò la sua pena di vedere che oggi i bambini sono poco abituati a pregare la Madonna: " Eppure, Maria è il buon clima dei cristiani! ". Anche se nelle regioni artiche si seminasse il migliore frumento, non se ne ricaverebbe alcun frutto. La preghiera mariana crea il clima e prepara la terra, apre l'uomo alla grazia della salvezza.

Preghiera mariana, preghiera filiale...

Una donna di cui non si è detto nulla. Se non ch'essa era fidanzata...

Una donna di cui non si è detto nulla. Se non ch'essa ha partorito...

Una donna di cui non si è detto nulla. Se non ch'essa è stata per tre giorni alla ricerca...

Una donna di cui non si è detto nulla. Se non ch'essa era presente sotto la croce...

Una donna di cui non si è detto nulla. Se non ch'essa era in preghiera con coloro che furono resi incandescenti dalle lingue di fuoco... (D. Rimaud).

La preghiera a Maria ci pone, per prima cosa, in " un atteggiamento di filiale infanzia ", che è gia sicura promessa di salvezza. " Chi si umilia sarà esaltato ". Poiché nessuno entrerà nel regno del cieli se non diventerà come i bambini (cf Mt 18,3), è certo che il regno è dato a chi l'accoglie con cuore di bambino. Non c'è rivelazione più certa, sicurezza più precisa: l'uomo umile davanti a Dio, l'uomo filiale ha Dio per padre ed è destinato alla vita eterna. " I piccoli non si dannano ", diceva con grazia e verità Teresa di Lisieux.

La preghiera mariana rende umili e disponibili alla grazia. Sant'Alfonso lo aveva sperimentato: " Bisogna essere umili o divenirlo per praticare la devozione a Maria ". Noi veneriamo una semplice creatura a motivo di Cristo, una donna di questa terra la cui vita è stata senza apparenza. Già ci poniamo a livello delle realtà umili, dove si è vicini a Dio: " Ti sei rivelato ai piccoli " (Mt 11,25).

Dopo la guerra, ho sostituito per tre mesi il cappellano di un grande carcere femminile. " Si può capire, mi disse una di loro, che si onori Giovanna d'Arco, ma che i cattolici onorino Maria che non ha fatto nulla di grande nella sua vita...! ".

Questo atteggiamento di venerazione è colmo di un grande amore. Si è sempre umili riguardo a colui che si ama. E qui, l'amore è quello del bambino verso sua madre. Tutta la spiritualità ne riceve un'impronta d'umiltà, di semplicità, di cordialità. La fede diventa più spontanea e più agile, una fede veramente credente di figlio di Dio.

La fede deve essere intelligente, ma qui la ragione è vicina al cuore, s'inclina dalla parte verso cui pende il cuore, portata dall'" amore di Dio riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo " (Rm 5,5), che è la luce e la forza della nostra fede.

In un'epoca in cui gli ambienti intellettuali protestanti erano fortemente tentati dal " liberalismo " Newman scriveva: " C'è una verità storica evidente in questa parola...: là dove la Vergine è posta in ombra, la fede nella divinità di Gesù impallidisce ".

Se si cercano le ragioni per cui Dio dà le sue grazie soprattutto all'interno della Chiesa, se ne trova una nel fatto che l'appartenenza amorosa alla comunità ecclesiale rende gli uomini umili e credenti. L'eretico o colui che rifiuta la Chiesa s'irrigidisce nell'orgoglio. Non è figlio di una madre. Maria, sotto questo aspetto, come in tutte le cose, ha un ruolo simile alla Chiesa. Se, dunque, è vero che la preghiera mariana dispone all'umiltà e alla semplicità, bisogna pensare che chi prega Maria non può perdere la salvezza. Il regno dei cieli, infatti, è dato a chi l'accoglie come un bambino.

che apre il cuore dell'uomo...

Finché un uomo è aperto al desiderio delle cose celesti, egli è nelle disposizioni di quelli che Dio viene a salvare: " Egli ha ricolmato di beni gli affamati " (Lc 1,53). Il desiderio della salvezza è già l'inizio della salvezza. Potremmo tradurre così il versetto di Paolo in Rm 8,24: " Noi siamo salvati dalla speranza ". La preghiera mariana suscita e mantiene questo desiderio e la speranza.

Maria apre il cuore dell'uomo al desiderio di Dio. Creatura di purezza e di bontà, Maria é, nel cuore dell'uomo, una sollecitazione verso le realtà dell'alto. Ella purifica e nobilita il desiderio. " Ella è colei che non è giunta mai all'età del peccato, la creatura cadetta dell'umanità " (Bernanos), la voce dell'infanzia che è dolce ed irresistibile. Nell'umanità peccatrice, ella è la creazione salvata, diventata santa, il paradiso finalmente trovato dell'innocenza, ciò che faceva dire a Verlaine nella sua nostalgia di redenzione: " Non posso più amare altri che mia madre Maria ".

Sant'Alfonso usa un'immagine audace: Dio si serve di Maria, egli dice, come di un'esca gettata nel mondo. L'uomo peccatore, infatti, ordinariamente rimane in luttuosa nostalgia nei confronti del paradiso dell'innocenza, dell'ingenuo candore e della tenerezza. Dal profondo dell'essere sale un lontano richiamo verso l'umanità pura e buona. Littré, agnostico, discepolo di Augusto Comte, alla fine della sua vita era tormentato dal problema della fede. Al sacerdote Huvelin egli confidò: " La Vergine rappresenta per me le due cose che più hanno attratto la mia attenzione durante la vita: tenerezza e purezza ". Poco prima della morte si fece battezzare da sua moglie.

Chiunque si espone alla luce del volto di Maria non cessa di subirne l'attrazione e, sia pure in forma confusa, sente il desiderio di Dio; è nella disposizione di quelli che Dio vuole salvare: " Beati quelli che hanno sete di giustizia! ".

È la misericordia di mio Figlio che mi ha fatta così dolce e così buona verso tutti (S. Alfonso de' Liguori).

Ella non incute alcun timore e nessuno esita ad avvicinarsi a lei (S. Alfonso de' Liguori).

In questo mio libretto... ho parlato per lo più della sua grande pietà e della sua potente intercessione (S. Alfonso de' Liguori).

Maria apre il cuore dell'uomo alla fiducia. Al desiderio si aggiunge la fiducia. Una constatazione è stata fatta lungo i secoli dal popolo cristiano: l'uomo peccatore che ha paura di Dio, che fugge davanti al suo volto, può acquisire fiducia attraverso Maria. Péguy non osava recitare il Padre Nostro perché vi si chiede: " Sia fatta la tua volontà "; ma recitava l'Ave Maria perché vi si chiede: " Prega per noi peccatori ".

Chiunque conserva nel suo cuore la fiducia è sul cammino infallibile della salvezza.

Perché Maria conquista la fiducia dell'uomo peccatore più facilmente del suo stesso Figlio? Una teologia popolare semplicista spiegava così le cose: Dio ha diviso il suo regno in due parti: quella della giustizia e quella della misericordia. Ha affidato al Cristo l'esercizio della giustizia e a Maria quello della misericordia. Péguy risente ancora l'eco di questa ingenua interpretazione:

" Perché ella è per la misericordia

ed io devo essere per la giustizia ".

(Le Mystere des Saints Innocents, Gallimard, p. 179)

Certamente no! Maria non gode di qualità che il Cristo non possiede. Ma poiché ella non è che una creatura e non possiede le perfezioni divine nella loro pienezza, Dio può isolare una di esse e porla in pieno rilievo.

In Maria, l'amore si trova isolato da ciò che Dio possiede in forma sovrana, come Signore. Spogliato della necessaria connessione con l'onnipotenza e la maestà, con una giustizia che l'uomo peccatore interpreta come giustizia vendicativa, l'amore divino in Maria conserva solo quei tratti di cui una fanciulla e una madre portano naturalmente il riflesso: la bontà affettuosa, l'innocenza che disarma, il desiderio di prodigarsi, l'inclinazione al perdono e alla dedizione.

Queste perfezioni sono possedute in forma eminente da Cristo; ma accade che l'uomo le scopra più facilmente in Maria perché questa santa immagine di Dio esprime naturalmente le supreme delicatezze e finezze dell'amore, della misericordia infinita che l'uomo non può scoprire in Dio se non dopo una vita d'intimità con lui; le intuisce, invece, senza fatica in colei che è donna, madre e tutta pura. Un tempo si cantava: " Mater spei et mater gratiae! ": Madre di speranza e madre di grazia!

Questa è la ragione per cui la preghiera a Maria è una " preghiera di riserva " (Péguy) a cui si può ancora ricorrere quando ogni altra preghiera sembra impossible. Pierre Emmanuel ha confessato che durante un lungo periodo non ha avuto altro vincolo con la Chiesa che la preghiera a Maria.

In una delle nostre missioni parrocchiali, il predicatore aveva chiesto l'elenco degli ammalati da visitare: " C'è anche quel vecchietto, ma non ci vada, raccoglierebbe le sue ultime forze per metterla alla porta! ". Era un anziano operaio agricolo arrivato in quel villaggio quindici anni prima, al tempo in cui l'ambiente era fortemente religioso. Da quel tempo non era entrato mai in chiesa e all'osteria inveiva contro la religione e i preti. Il padre predicatore, giovane e robusto, non ebbe paura di andarlo a trovare. Non fu accolto male, ma neppure molto bene. Figlio di contadini lui stesso, trovò il modo di parlare al vecchio che gli raccontò la sua lunga e povera vita. Il Padre gli disse: " Hai fatto una specie di confessione generale, non vorresti ricevere l'assoluzione dei tuoi peccati? ". Gli rispose: " E molto tempo che sono in attesa di questo! ". Dopo l'assoluzione, il Padre gli chiese: " Ciò che ora è accaduto non è cosa banale, come la spieghi? ". " Non ero tanto cattivo quanto la gente lo pensava. Quando ho lasciato il mio paese, in rivolta e furioso soprattutto col parroco, mia madre mi ha fatto promettere di recitare ogni giorno una decina del rosario e non l'ho mai omessa! ". Una preghiera di riserva, la preghiera delle ultime possibilità.

Beato, dunque, l'uomo che conosce e venera questa immagine della bontà misericordiosa di Dio. Anche in mezzo a molte colpe può sopravvivere la tanto difficile virtù della speranza che possiede sicure promesse di salvezza.

O mia amatissima Sovrana, mia tenera Madre, io ti amo e poiché ti amo, amo anche il tuo Nome. Mi propongo, con il tuo soccorso, d'invocarlo durante la mia vita e al momento della mia morte.

Con san Bonaventura, ti chiedo, mia beata Regina, di voler venire per l'onore del tuo Nome davanti alla mia anima quando essa lascerà questo mondo e di riceverla nelle tue braccia. Non rifiutare, o Maria, di venirla a consolare in quel momento con la tua presenza.

Tu sei per la mia anima la scala e la via del Paradiso: è tuo compito di ottenerle la grazia del perdono e l'eterno riposo. O Maria, nostra avvocata, è a te che appartiene di difendere i tuoi servitori, e a te sola l'incarico della loro causa presso il tribunale di Gesù Cristo (S. Alfonso de' Liguori).

Maria apre il cuore dell'uomo alla divina carità. La devozione mariana è, infine, un pegno di salveza perché è una pratica di carità divina. Chiunque è nella carità è non soltanto in cammino verso la salvezza, ma la possiede, nella misura in cui la carità regna in lui: " Dov'è carità e amore, qui c'è Dio ". La carità, infatti, è lo Spirito Santo effuso nei nostri cuori, quello Spirito che è la sostanza della salvezza. La carità è un pegno sicuro di salvezza: " La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori " (Rm 5,5).

La devozione mariana è cosa che riguarda il cuore, un amore che inizialmente può essere solo in germe, ma che tende a svilupparsi. Si ama divinamente, si ama il prossimo nel Cristo quando si ama Maria che, più d'ogni altro, è il nostro prossimo nel Cristo.

Verso di lei, almeno, la pratica della carità è facile perché Dio ha dotato Maria di una natura che attira i cuori. E di pratica facile questa carità e, in un certo modo, universale: attraverso la preghiera a Maria, l'uomo si collega a tutta la comunità cristiana, poiché il mistero della Chiesa è racchiuso nella persona e nel ruolo di Maria. La Chiesa di Cristo nel suo primo stadio, nell'Antico Testamento, era questa donna dalle dodici stelle di cui parla l'Apocalisse e che portava Cristo nel suo seno in un Avvento plurimillenario. Nel Nuovo Testamento, ella è la donna unita al Cristo nella sua morte e nella sua gloria e la madre di tutti i fedeli.

La storia della Chiesa risale alle origini dell'umanità, in cui Dio pone inimicizia tra la donna e " l'antico serpente " (Ap 12,9) e annuncia la salvezza; la sua storia si compie nella risurrezione finale. La vita di Maria comincia con questa opposizione tra la donna e il serpente e noi professiamo la sua immacolata concezione; la fine della sua vita coincide con il mistero della risurrazione finale, e noi affermiamo la sua gloriosa assunzione. Tra questi due poli, Maria ha percorso le tappe della storia della Chiesa: madre prima del Cristo secondo la carne, poi madre dei fedeli nella sua comunione col Cristo, nella sua pasqua di morte e di gloria. Tutto il mistero della Chiesa si riassume in Maria.

Ci sono uomini che pregano Maria e che si credono lontani dalla Chiesa, ma per ogni Ave ch'essi pronunciano annodano e stringono i vincoli con la Chiesa. Chiunque appartiene vitalmente alla Chiesa è già nella salvezza.

Abbiamo cercato ragioni che fondano questa certezza: " Un servitore di Maria non perde la propria salvezza ". E ne abbiamo trovate nel cuore dell'uomo che prega: Maria è il buon clima che permette di aprirci alla grazia di Dio. Gli autori d'un tempo, e sant'Alfonso con loro, trovavamo nel cuore stesso di Maria le ragioni di questa certezza. Essi ragionavano così: Maria è onnipotente, può salvare quelli che ricorrono alla sua intercessione; ella è totalmente buona e li vuole salvare. Perché dovrebbero temere? Bisogna dirlo, a gloria di Maria, questa è la verità.

F. X. D.

Tu sai qual è il mio desiderio, dolce Maria?

Mia speranza, vorrei amarti.

Stare sempre accanto a te.

Regina tutta bella, non allontanarmi da te.

A tua volta, ora dimmi, rosa del mio cuore,

Madre dell'amore: che vuoi da me?

Di più non saprei offrirti che il mio cuore;

con mano d'amore te ne faccio dono.

(Alfonso de' Liguori)

MAGNIFICAT, LA PREGHIERA DI UNA DONNA

Presente nella storia umana

Chi di noi non ha desiderato conoscere la preghiera della Madre di Gesù? Il Magnificat ci illumina in maniere stupenda su questo tema. Il cuore di Maria è, prima di tutto, un cuore che canta le lodi di Dio; e il suo canto non è tanto la storia di un'anima, quanto la storia della salvezza dell'intero Popolo di Dio (Lucien Deiss, Marie fille de Sion, D.D.B., p. 159).

Il Magnificat è la preghiera di una figlia d'Israele, cioè la preghiera di un popolo, di un popolo di credenti. E anche la preghiera di una persona, la preghiera di una donna. Di una vera donna. A modo suo, essa contribuisce alla promozione della donna, perché questa preghiera è la preghiera di una donna che occupa un posto eccezionale nella storia dell'umanità: contemporaneamente presente a questa storia e vicina al cuore di Dio.

Il Magnificat è nato in un mondo diverso dal nostro. Ottaviano, nipote di Giulio Cesare e suo erede, di ritorno a Roma nel 27 a.C., dopo la vittoria di Anzio, riceve il titolo di Augusto. Si fa onorare come il salvatore dell'Impero. Nel 17 istituisce una festa per celebrare l'inizio del secolo di Augusto. L'era nuova, quella della Pace romana, sarà consacrata nell'anno 9 d.C. Pace romana, pace fragile: sempre minacciata ai confini dove le legioni non cessano di riprendere le armi. Pace costosa in uomini e denaro, da cui le pesanti imposte che gravano sulle regioni conquistate e il censimento ordinato dall'imperatore Augusto, citato nel Vangelo (Lc 2,1), per riempire le casse dello Stato.

Gioisci, Maria, tu che " parti " al servizio del tuo prossimo, dice san Luca.

Gioisci, prima discepola della Sapienza di Dio che, attraverso te, viene a visitare la terra...

Santa Maria, che parti da casa tua, totalmente abitata da Dio, per andare verso il tuo prossimo, insegnaci a lasciar entrare nella nostra casa il Dio nascosto che bussa alla nostra porta; insegnaci a partire così, abitati come te, verso gli altri che sono nel bisogno...

Tu vai in gran premura perché l'amore ti riempie di gioia. Tu corri trasportata da Colui che tu porti, nuova Eva, desiderosa d'offrire al mondo il frutto benedetto del tuo seno...

Vergine della Visitazione, donaci di poter partire ogni giorno, con grande premura, verso il servizio agli altri. Aiutaci a portare Gesù Cristo in un'anima che canta perché il mondo in cui viviamo possa trasalire di gioia perché in questo tempo, come al tuo tempo, Dio vuole visitare la terra (P. Guiavarc'h, s.m.m., Cahiers marials, 1975).

Una donna povera alla mercè degli avvenimenti... Maria è nata sotto la pace romana, in un paese ai confini con l'Impero, ma un paese schiacciato dalla guerra. Il suo popolo subiva l'occupazione delle legioni romane.

Erode il Grande aveva conservato una parte del suo potere sulla regione, ma il popolo lo odiava perché imponeva ai meno abbienti delle pesanti imposte per pagare il proprio lusso e le proprie folli spese. Alla sua morte, quattro anni prima di Cristo, un movimento di resistenza si organizza, ma le truppe di Varo, luogotenente dell'imperatore, annegano nel sangue la rivolta degli Zeloti.

Maria è nata in un mondo religioso in crisi, diviso. Da una parte, i Sadducei, appartenenti a ricche famiglie, rappresentano l'aristocrazia sacerdotale e collaborano col nemico che occupa il territorio d'Israele; dall'altra, i Farisei, in maggior parte laici, preoccupati della purezza legale, detestano tutti gli stranieri e disprezzano i poveri e gli ignoranti. Gesù li stigmatizza con vigore: " Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, mentre all'interno sono pieni di rapine e d'intemperanza... ipocriti che rassomigliate a sepolcri imbiancati... " (Mt 23,23-27).

Maria ha condiviso le gioie e le pene del suo popolo, le sue angosce e le sue speranze. Certo, molti speravano un Messia potente, un guerriero vittorioso, un principe, un capo trionfantore. Quando Maria accoglie il Messia nel suo seno, l'armata romana è sempre là, presente, i conflitti continuano, il male trionfa: la salvezza è donata nel silenzio ad una donna povera. Il Magnificat lo canta.

Una donna impegnata nell'azione. La Scrittura, a più riprese, ricorda le donne che hanno avuto un ruolo decisivo nella storia del popolo di Dio. Per esempio, Debora. Profetessa come Miriam, ella fa giustizia in nome di Dio e, per assicurare la vittoria del suo popolo, si pone a capo dei " diecimila figli di Neftali e di Zabulon (Gdt 4,6). Così pure Giuditta, che porta gli Israeliti a dare l'assalto al campo assiro e consegue una vittoria così clamorosa che il sommo sacerdote e tutto il consiglio degli Anziani che si trovavano in Gerusalemme vengono a salutarla e a ringraziarla, esclamando: " Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d'Iraele, tu splendido onore della nostra gente! " (Gdt 15,9).

Il secondo libro dei Maccabei ricorda la meravigliosa storia di una madre coraggiosa, la madre dei Maccabei che vede morire sotto i propri occhi i suoi sette figli: li incoraggia a resistere al tiranno e, lei stessa morirà, ultima, sotto la mano del carnefice (cf 2 Mac 7,20-41).

Maria fa parte di queste donne di azione. In un modo suo proprio. Nel modo, cioè, che è quello di Dio: umile ed efficace. Ella ha conosciuto lo stato della donna del suo paese e del suo tempo: sapeva di dover seguire il proprio sposo a Betlemme per il censimento, ma che non doveva mescolarsi agli uomini durante il pellegrinaggio a Gerusalemme. Il suo Magnificat, tuttavia, fa tremare i ricchi e i satolli e suscita la speranza nel cuore delle umili vittime dell'ingiustizia.

Vicina al cuore di Dio ...

Ieri sera mi sono fatta dono di una breve passeggiata nei dintorni del Paradiso... Sono dunque andata, ieri sera, 8 settembre, alla preghiera vespertina della fine del giorno, in quella meravigliosa cappella, nella cattedrale della Vergine, che sembra stia per volarsene via...

Là, nell'azzurro spento delle vetrate, senza volerlo, ho meditato sulla grazia della Vergine Santa  non la sua grazia teologica!  soltanto sulla sua dolce grazia del cuore, del sorriso, dell'abbandono, della semplicità, della tenerezza.

Quale incantevole giovane donna doveva essere la Vergine Santa! (Marie Noël, Notes intimes).

Come tutte le donne del suo tempo, Maria pregava. Ella conosceva il posto riservato alle donne nel tempio (cf Lc 2,37) e nella sinagoga. Ella pregava come molte donne prima di lei. Conosceva a memoria la loro preghiera. Il Magnificat ne custodisce il ricordo. Il Magnificat, infatti, conserva le tracce della preghiera di Miriam, la quale, dopo che i cavalieri del Faraone sono stati sommersi dalle acque del mar Rosso, preso un timpano, guida le altre donne alla danza mentre ella intona: " Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere " (Es 15,21).

Il Magnificat ricorda anche la preghiera di Debora; dopo la liberazione ella canta: " Ascoltate, re, porgete gli orecchi, o principi; io voglio cantare al Signore, voglio cantare inni al Signore, Dio d'Israele! " (Gdc 5,3).

Ma il cantico di Anna, dopo la nascita di Samuele, è ancora quello di cui più si ritrovano reminiscenze nel Magnificat di Maria:

Il mio cuore esulta nel Signore,

la mia fronte s'innalza grazie al mio Dio.

Si apre la mia bocca contro i miei nemici,

perché io godo del beneficio che mi hai concesso.

L'arco dei forti si è spezzato,

ma i deboli sono rivestiti di vigore.

I sazi sono andati a giornata per un pane,

mentre gli affamati han cessato di faticare.

La sterile ha partorito sette volte

e la ricca di figli è sfiorita.

Il Signore fa morire e vivere,

scendere agli inferi e risalire.

Il Signore rende povero e arricchisce,

abbassa ed esalta.

Solleva dalla polvere il misero,

innalza il povero dalle immondizie,

per farli sedere insieme con i capi del popolo,

e assegnar loro un trono di gloria " (1 Sam 2,1-8).

Maria non si accontenta, però, del ricordo delle preghiere antiche, di ripetere a modo suo le preghiere degli altri. La sua preghiera l'avvicina al cuore di Dio. Ella prega con la fede nella Promessa. Ella prega offrendo la sua vita, il suo cuore, il suo corpo per la salvezza del suo popolo e delle nazioni di tutti i tempi. Il suo Magnificat è la preghiera dell'umile serva del Padre, della sposa dello Spirito Santo, della madre del Verbo fatto carne, suo figlio Gesù. Le sue mani lo hanno accolto alla nascita, il suo seno lo ha allattato, le sue braccia lo hanno cullato, i suoi occhi lo hanno avviluppato di tenerezza, le sue labbra lo hanno coperto di baci. E col suo corpo, il suo corpo di donna, che Maria ha adempiuto la sua missione per la salvezza del mondo. Una missione decisiva. Unica.

Maria, questa donna così vicina a Dio, ci invita a cambiare il nostro sguardo sulla donna. A raggiungere lo sguardo di Dio sulla " sua umile ancella " che canta il Magnificat, uno sguardo puro, umile, tanto lontano dal sospetto e dal disprezzo che ancora pesano su troppe donne nel mondo.

È questa verità che Paolo VI felicemente sottolineava: " La lettura delle divine scritture compiuta sotto l'influsso dello Spirito Santo e tenendo presenti le acquisizioni delle scienze umane e le varie situazioni del mondo contemporaneo, porterà a scoprire come Maria possa essere considerata lo specchio che riflette le speranze degli uomini del nostro tempo. Così, la donna contemporanea, desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, constaterà con lieta sorpresa che Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt'altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è giudice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cf Lc 1,51-53); e riconoscerà in Maria... una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio (cf Mt 2,13-23): situazioni che non possono sfuggire all'attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell'uomo e della società... la figura della Vergine non delude alcuna delle attese profonde degli uomini del nostro tempo ed offre ad essi il modello compiuto del discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale... promotore della giustizia che libera l'oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell'amore che edifica Cristo nei cuori " (Marialis cultus, 68).

Certo, il Magnificat è scritto nella lingua dell'Antico Testamento e ne ha l'impronta. Ma gli antichi fili, intrecciati in una tessitura nuova, formano un tessuto cristiano. Ecco perché la Chiesa ne ha presto fatto la sua preghiera di ringraziamento. Non bisogna, quindi, leggerla come un testo dell'Antico Testamento che potrebbe costituire pretesto per guerre sante o rivoluzioni di classe. E il preludio della Nuova Alleanza. Noi non possiamo cantare: " Egli colma di beni gli affamati ", senza pensare alla parola di Gesù: " Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare " (Mt 25,35). Questo canto annuncia una rivoluzione, ma si tratta di una rivoluzione non violenta, la nascita di una civiltà dell'amore.

Giovanni XXIII aveva proposto la promozione della donna come " un segno dei tempi " nel quale si può intravvedere l'arrivo del regno. Maria, questa donna così vicina alle altre donne, così vicina a Dio, invita tutte le donne a considerare seriamente la propria femminilità per essere sempre più icone del Dio incarnato. Perché " Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò " (Gn 1,27).

Il Magnificat è un canto di guerra e un canto di esultanza che può servirci come stendardo sul cammino spirituale che abbiamo scelto di percorrere. Questo canto non è una melopea mellifua e Maria non è l'eterna giovinetta obbediente che noi abbiamo immaginato o sognato d'avere per confidente, ella é, al contrario, una donna impegnata nella lotta per il regno di Dio, che, al seguito di Anna (1 Sam 2), sta dalla parte del Dio degli umili contro la potenza dei superbi... Maria apre per noi la porta stretta.

Ella mantiene la lampada accesa. La nostra preghiera e i nostri combattimenti, la nostra passione e le nostre solidarietà verso il nostro prossimo lontano acquistano allora un'ampiezza non ancora conosciuto (Jean-Claude Lavigne, Le prochain lointain, Cerf, pp. 134-137).

Ci fermiamo qui... e preghiamo Dio di darci di questo Magnificat una giusta comprensione che non si accontenti di brillare e di parlare, ma che bruci e viva nel corpo e nell'anima. Il Cristo ci accordi questo per intercessione e volere della sua cara madre Maria! Amen (Martin Lutero, Il Magnificat).

 La donna povera ...  Sicura d'essere chiamata da Dio, ella acconsente con questa parola che ha dato origine al creato in meravigliosa dignità e che lo ristabilisce in maniera ancor più meravigliosa: Fiat.

" Ecco sono la serva del Signore, avvenga di me quello che mi hai detto " (Lc 1,38).

Dopo essersi sempre ignorata, poteva ella contare ai propri occhi in questo istante in cui tutto ciò che di lei restava ancora si ecclissava in lui, in cui tutto il suo essere s'immergeva per sempre nel suo mistero per non essere più che una relazione vivente con lui?

Sovranamente spogliata di se stessa, ella non poteva che darsi eternamente in quel Bambino che aveva concepito dallo Spirito non come immagine glorificata di sé, ma come splendore della gloria del Padre nella trasparenza della sua povertà.

La sua stessa maternità consumava la sua espropriazione.

Ella era veramente, in un senso unico: " La Donna povera ".

(Maurice Zundel, Notre-Dame de la Sagesse, Cerf, 1936)

2

MAGNIFICAT! ...

Le prime pagine del Vangelo di Luca sono ritmate da canti. Quattro canti di gioia: il Benedictus di Zaccaria (Lc 1,68-79), il Gloria degli angeli a Betlemme (Lc 1,14), il Nunc dimittis di Simeone al Tempio (Lc 2,29-32) e soprattutto il Magnificat di Maria (Lc 1,46-55).

Il Magnificat  " raccolta di riminiscenze bibliche " come scrive Gérard Bessière , molto vicino al cantico di Anna (1 Sam 2, 1-10) e al Salmo 112, che cosa, in realtà, contiene? Qualche pio pensiero situato ad anni luce dalle nostre quotidiane preoccupazioni? O della dinamite: un esplosivo rivoluzionario capace di travolgere il mondo, " mille volte più rivoluzionario di ciò che ha scritto Marx? " (Fulton Sheen, Le Premier Amour du monde).

Parola di fede...

Sì, nel secolo del Gulag e di Auschwitz, bisogna continuare a cantare il Magnificat: ma come l'hanno cantato e vissuto, fino al dono della propria vita, un Massimiliano Kolbe, una Edith Stein e tanti altri martiri della battaglia per i diritti dell'uomo, che hanno avuto il coraggio di assumerla e di viverla fino in fondo, essenzialmente in ragione della loro fede nel Dio che libera (René Coste, Le Magnificat, ou La révolution de Dieu, Nouvelle Cité, p. 44).

Questo canto è prima di tutto una parola di fede. Elisabetta non si è accontentata di dire a Maria: " Te beata che hai visto l'apparizione dell'Angelo Gabriele... " oppure: " Te beata che hai udito una rivelazione di Dio... ". No! Elisabetta, ispirata dallo Spirito, esclama: " Te beata che hai creduto... ". E la beatitudine della fede.

Cantare il Mignificat è, prima di tutto, confessare la propria fede con Maria: celebrare Dio nel suo mistero dell'Incarnazione. Precisiamo bene: il Magnificat non è una preghiera a Maria, è una preghiera di Maria. Una preghiera pervasa dallo Spirito e dalla Parola di Dio già ascoltata nell'Antica Alleanza.

Una preghiera di adorazione: " L'anima mia magnifica il Signore.. " (Lc 1,47). La Vergine del Magnificat è testimone della fede nel Dio vero: il Dio della tenerezza e della misericordia. Come ieri Mosè, oggi Maria parla, agisce " come se vedesse l'invisibile " (Eb 11,27). E la sua preghiera è un canto.

Un canto di gioia e di azione di grazie... così bello che la liturgia delle Ore lo riprende le sera ai Vespri, da secoli. D'altra parte, non molto tempo fa, molte parrocchie usavano cantare il Magnificat alla fine della Messa solenne la domenica.

" Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore... (Lc 1,47). Questa esuberanza di allegrezza è la gioia di una donna povera amata da Dio: " Perché ha guardato l'umiltà della sua serva... ". Questa azione di grazie personale Maria l'estende a tutto il popolo dei poveri: " Tutte le generazioni mi chiameranno beata... ". Il Signore " ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili... " (Lc 1,48-52).

E soprattutto la gioia di una mamma appagata: " Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente... " (Lc 1,49). Inaudite. Infinitamente più grandi di quelle che aveva compiute, in passato, per la liberazione d'Israele in Egitto o con la sua alleanza sul monte Sinai. Oggi il Signore viene in persona: " Il Verbo si è fatto carne. Si chiama Gesù. Gesù, in ebraico, significa: Ihah è Salvatore. Questo dà una nuova profondità al versetto 47. René Laurentin nota in proposito: " "L'anima mia magnifica il Signore mio salvatore", canta Maria nel Magnificat. Queste parole si riferiscono alla fede in Dio che salva e a Gesù salvatore, motivo di questa azione di grazie. Si potrebbe tradurre "in Deo Jesu meo", come la volgata in Ab 3,18 " (Les Evangiles de l'enfance du Christ, p. 209).

Questa gioia stupita per ciò che Dio ha compiuto per lei si dispiega in Maria nel " Sì " che riceve tutto da Dio e gli dà tutto: il tutto dell'" umile serva " (Lc 1,48). Non è forse questo il " sì " più vero, più perfetto, più libero dell'intera storia? Il più responsabile, cioè il più impegnato? Il Magnificat di Maria, infatti, non è soltanto adorazione e lode, ma azione, coraggio, speranza. Ed anche lotta per la liberazione dei poveri.

Quale liberazione?

Dire che il Magnificat è un canto di azione di grazie è riconoscergli una portata eucaristica: con chiarezza questo traspare quando vi si legge che gli affamati sono stati ricolmati di beni e i ricchi sono stati rimandati a mani vuote.

Ammessi alla tavola del Magnificat in cui la fraternità cessa di essere parola vana, la razza dei poveri, questa umanità nuova, mangia e si trova saziata.

Nella sua lode al Signore essa comprende che la fraternità, la riconoscenza, la forza di liberazione, la conversione e il perdono le sono donati, a questa tavola, come pane quotidiano (Mons. A. Sanon, vescovo di Bobo-Diulasso, Burkina-Faso al "Simposio internazionale del Congresso Eucaristico", Tolosa 1981).

e canto di liberazione ...

Maria proclama, nella sua realtà, l'evento del mistero della salvezza, la venuta del " Messia dei poveri ". Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nella parola del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni dono, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, che, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù " (Giovanni Paolo II, Enciclica Redemptoris Mater, 25 marzo 1987).

La seconda parte del Magnificat può far tremare i potenti di questo mondo: " Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati... " (Lc 1,51-53).

In trasparenza è facilmente visibile un primo annuncio del discorso della Montagna. C'è tutto: i poveri, gli umili di cuore, gli affamati... la felicità: " Beati!... Beati!... ". Ma c'è anche la minaccia: " Guai ai sazi, a coloro che godono delle proprie sicurezze, che sono tra i potenti e i ricchi ".

Si può, a questo punto, comprendere la collera di Charles Maurras1  e di tanti altri  nei confronti di questo canto, ch'egli chiamava " la Marsigliese dei poveri ", rallegrandosi che il popolo cristiano lo cantasse in latino e fosse, perciò, poco in grado di coglierne " il veleno rivoluzionario ".

Una recente istruzione della Congregazione per la dottrina della fede felicemente ricorda che Maria faceva parte di quei poveri di Ihwh che vivevano nella speranza della liberazione d'Israele: " Personificando questa speranza, Maria supera la soglia dell'Antico Testamento. Ella annuncia con gioia l'evento messianico e loda il Signore che si prepara a liberare il suo Popolo. Nel suo inno di lode alla divina misericordia, l'umile Vergine, a cui spontanemente e con tanta fiducia si rivolge il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza trasformante. Il senso della fede, così vivo tra i piccoli, sa riconoscere tutta la ricchezza soteriologica ed etica del Magnificat " (Istruzione su libertà cristiana e liberazione, n. 48).

Soteriologica: che riguarda la salvezza e la redenzione; etica: che è in rapporto con la morale. Più semplicemente, Maria, che si è nutrita dell'Antico Testamento, sa riconoscere il vero Dio: colui che ama i poveri, che vuole salvarli tutti, liberarli... e che chiama ogni credente ad agire come Mosè: " Ora va', Io ti mando... " (Es 3,10). E la chiamata ad una liberazione totale, radicale dall'infelicità, dall'ingiustizia, dal peccato personale e collettivo: " Beata colei che ha creduto... (Lc 1,45). Al saluto di Elisabetta, la Madre di Dio risponde lasciando traboccare il suo cuore nel canto del Magnificat. Ella ci indica che è per la fede e nella fede che, seguendo il suo esempio, il Popolo di Dio diventa capace di esprimere con le parole e di tradurre nella propria vita il mistero del disegno di salvezza e le sue dimensioni liberatrici sul piano dell'esistenza individuale e sociale. E, infatti, alla luce della fede che si percepisce come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male sotto la sua forma più radicale, e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Totalmente dipendente da Dio e completamente orientata verso di lui mediante lo slancio della sua fede, Maria è, accanto a suo Figlio, l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. E verso di lei che la Chiesa, di cui è la Madre e il modello, deve guardare per comprendere, nella sua integralità, il senso della missione " (op. cit., n. 97).

Questa missione, Maria l'esprime con franchezza e coraggio. Ella la compie attraverso tutta la propria vita fino all'estremo dell'amore.

All'alba del terzo millennio non è forse, questo, un appello pressante lanciato ad ogni cristiano ad esprimersi, come Maria, senza equivoci, sui problemi dei diritti dell'uomo  sia quest'uomo un disoccupato, un immigrato, un malato, o un handicappato... , sulle esigenze della giustizia sociale, del reciproco aiuto internazionale, della vita, della pace... e agire? Questa parola, infatti, non avrà altra possibilità d'essere ascoltata se non sarà percepita, in qualche modo, come fraterna. " Una teologia della libertà e della liberazione dunque, come eco fedele del Magnificat di Maria serbata nella memoria della Chiesa, costituisce un'esigenza del nostro tempo " (op. cit., n. 98).

Un'esigenza ed una sfida. " Una forte sfida... La Vergine magnanime del Magnificat, che avvolge la Chiesa e l'umanità con la sua preghiera, è il fermo sostegno della speranza. In lei, infatti, contempliamo la vittoria dell'amore divino che nessun ostacolo può trattenere e scopriamo a quale libertà sublime Dio eleva gli umili. Sul cammino da lei tracciato deve essere portato avanti un grande slancio di fede operante nella carità " (op. cit., n. 100).

Maria invita alla fede, alla gioia, alla libertà, alla giustizia e all'amore. Ella conosce la miseria degli uomini, la loro viltà. Ma ella conosce anche l'amore infinito di Dio per i peccatori e la sua volontà di salvarli tutti. Per questo ella canta. Ella non ha ancora bevuto il vino di Cana, né il vino della Croce; ma l'amore di Dio l'ha già inebriata.

A coloro che cercano di condividere la stessa gioia, la stessa libertà di vivere, lo stesso regno d'amore da costruire, Maria dona il desiderio di Dio. Di quel Dio che ci libera trascinandoci nella spirale del suo amore e della sua gioia.

Il Magnificat è il canto di una grande rivoluzione della speranza... Esso risuona come la " Marsigliese " del Fronte cristiano della liberazione... Comincia, così e qui stesso, la storia di Cristo col cantico di Maria che riguarda il Dio rivoluzionario (Jürgen Moltmann, teologo protestante).

Il grande documento della dottrina sociale della Chiesa comincia là dove Maria canta: " Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote ". Nel Vangelo si trova la più alta e la più irresistibile rivoluzione (Chiara Lubich).

 Meditazioni sulla Vergine  con i nostri fratelli protestanti ...

La dolorosa realtà della divisione delle confessioni cristiane (cattolici, protestanti, ortodossi) era stata una delle principali ragioni della convocazione, da parte di Giovanni XXIII, di un concilio ecumenico, in Vaticano, nel 1962. Il Concilio fu l'occasione della creazione di un Segretario per l'unità dei cristiani e della redazione del decreto Unitatis redintegratio (1964) su questo doloroso problema. Il Concilio ricorda che " non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati e queste, in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o Comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire l'ingresso nella comunione della salvezza... ". Con una sensibilità certo diversa dalla nostra, la maggior parte dei protestanti condividono, con la grande maggioranza dei cattolici, un grande amore per Maria: ascoltiamo un pastore protestante ricordarci che Maria è figura della Chiesa e Lutero stesso che ci invita a pregare con le parole di Maria nel commento sul Magnificat da lui scritto: " Dio ha compiuto in Maria grandi cose. Ma la più grande ce la dice la Vergine stessa, cioè ch'Egli l'ha guardata; tutto infatti dipende e deriva da questa grazia iniziale. Quando Dio si china su di un'anima e getta su di lei il suo sguardo, è per salvarla per pura bontà e da questo primo beneficio deriveranno tutti gli altri... Da questo, tutti i passi in cui il salmista chiede a Dio di rivolgerci il suo volto, di non nasconderci la luce del suo volto, ma di farla brillare su di noi e altre preghiere simili. Maria ci indica chiaramente che, anche per lei, questo sguardo di Dio posato sulla sua creatura è la cosa più importante che si possa concepire. Non dice, ella infatti: "Perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata"? ".

Meditazione su Maria figura della Chiesa

Nella Vergine noi amiamo la figura della Chiesa che tu ci hai dato per madre e di cui ci vuoi figli. Ella le dà un volto a cui rivolgere la nostra tenerezza. Ella la personifica ai nostri occhi e ne concentra le caratteristiche essenziali nei suoi tratti, ai quali dovevano assomigliare i tuoi.

Come tua Chiesa, ella non era nulla per se stessa, ma fu santa per la tua presenza in lei e durante tutta la sua vita.

Come tua Chiesa, ovunque tu fossi, ella fu con te, dalla tua culla alla tua croce e né i magi l'hanno distratta dall'una, né i soldati l'hanno dall'altra allontanata; sì, anche quando tutti quelli che ti avevano conosciuto ti tenevano a distanza, ella rimaneva presso la tua croce.

Come tua Chiesa, ella non poteva nulla per se stessa, e tutto ciò che fece, lo fece unicamente per sottomissione alla tua grazia; il suo unico ruolo fu quello di pronunciare l'Amen alla gloria di Dio; sì, fu lei ad intonare l'" Amen! Vieni, Signore Gesù ", che lo Spirito e la Chiesa intoneranno fino alla fine dei secoli: ecco la serva del Signore; sia fatto di me secondo la tua parola. Ma questo Amen stesso fu ancora un dono da parte tua, una grazia in più che tu le hai fatto, poiché è per mezzo tuo che noi lo pronunciamo... Colmata di grazie, Maria è stata un modello nella misura stessa in cui ha rinunciato ad aggiungere qualcosa di suo a queste grazie e in cui ha accettato di ridonartele secondo la tua volontà e di dare così inizio alla perfetta povertà della chiesa e dell'anima cristiana. Facci dunque trovare in lei, o Cristo, non la distributrice, ma l'esemplare recettrice delle tue grazie, sempre disposta ad accoglierle qualunque ne sia il rischio, o a rimetterle nelle tue mani, anche se le sia duro. Ispiratrice del nostro essere cristiani, personificazione della Chiesa, la madre nostra non dovrebbe forse figurare in tutti i santuari? Non di fronte a noi, come una divinità, ma rivolta verso di te, come noi, verso la testimonianza della tua presenza sulla Tavola santa, conducendoci col suo esempio verso di te, come per mano, in compagnia dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei santi e dell'immensa folla dei testimoni di tutti i tempi, raccolti sui muri e le vetrate dei nostri templi, per avvolgere il nostro culto con la loro pietà. Così, come era presso la tua croce, ella continuerebbe a stare accanto al tuo corpo spezzato per noi, e al tuo sangue sparso per la remissione dei nostri peccati, immagine della Chiesa fedele che non si allontana mai da te, anche quando questa prossimità l'espone ai tuoi persecutori. Ella mostrerebbe ai nostri occhi che, insieme a noi tutti, il suo essere sussiste soltanto per la comunione al tuo eterno sacrificio. Ella ci indicherebbe, così, che in te soltanto è la sorgente della sua vita come della nostra, ella che, secondo la natura, fu gloriosamente madre del suo Creatore, si riconobbe umilmente figlia di suo Figlio, secondo la fede. Allora, noi che siamo venuti al mondo della grazia dopo di lei, potremmo ancora amare in lei la nostra sorella maggiore, scoprirla dello stesso rango e della stessa carne nostra e sentirci a lei vicini... (Pastore Jean De Saussure: l'Estratto del volume: Dialogue sur la Vierge, Vitte, pp. 96-97; 101, 103).

Meditazione sul Magnificat

la preghiera di Maria

Per comprendere bene questo sacro cantico, occorre tenere presente che la beata Vergine Maria parla dopo aver fatto un'esperienza personale, nella quale lo Spirito Santo l'ha illuminata ed ammaestrata. Nessuno, infatti, può comprendere bene Dio e la Parola di Dio se non per dono diretto dello Spirito Santo. Nessuno, d'altra parte, può ricevere questo dono dallo Spirito Santo senza sperimentarlo, gustarlo e provarlo ed è in questa esperienza che lo Spirito Santo ci ammaestra; egli ne fa la sua propria scuola, fuori della quale nulla si può apprendere che non sia parola vuota e chiacchiera. Facendo personalmente l'eperienza di Dio che opera in lei grandi cose, la Vergine Santa  che pur è così umile, così nascosta, così povera, un essere che apparentemente non conta  impara dallo Spirito Santo una preziosa scienza e sapienza, ella impara che Dio è un Signore che ha per unica preoccupazione quella di elevare ciò che è basso, di abbassare ciò che è elevato, di distruggere ciò che è costruito e costruire ciò che è distrutto (pp. 33-34).

La dolce madre di Dio... ci insegna col suo esempio e le sue parole come si deve conoscere, amare e lodare Dio; quando la vediamo, mentre la sua anima trasale di gioia, glorificando e lodando Dio di essersi curvato a guardare la sua bassezza e il suo niente, noi potremmo pensare ch'ella avesse genitori poveri, di poco conto e di basso rango (pp. 38-39).

Ci sono due generi di false mentalità incapaci di cantare il Magnificat come si deve. Ci sono, prima di tutto, quelli che non lodano Dio se prima non hanno ricevuto i suoi benefici... Questi sembrano voler veramente lodare Dio, ma poiché non vogliono in alcun modo sopportare carichi o umiliazioni, sono incapaci di sperimentare le vere opere di Dio e, di conseguenza, non potranno mai amare e lodare Dio in modo conveniente... Si cantano gli splendidi Magnificat, ma, malgrado questo, penosamente si constata come un canto tanto sublime sia spesso privo di forza e di vitalità; ciò accade a noi tutti quando ci rifiutiamo di cantare se prima non abbiamo constatato che tutte le nostre cose vanno veramente bene. Appena le nostre cose vanno male, non si canta più; non si stima più Dio; si pensa che Dio non può o non vuole fare più nulla per noi e si congeda il Magnificat.

Non trovi che sia meraviglioso questo cuore di Maria? Ella sa di essere madre di Dio, elevata al disopra di tutti gli uomini eppure rimane così semplice, così tranquilla che tutto questo non le farebbe considerare inferiore a sé una qualunque serva. Poveri noi! Quando possediamo un bene anche minimo, o un piccolo potere, un po' di onore o, semplicemente, quando siamo un po' più belli di altri, siamo incapaci di porci a livello di una persona meno favorita di noi e il nostro orgoglio non conosce limiti. Che cosa faremmo se possedessimo dei beni così grandi e così eminenti?...

Il nostro umore si gonfia o si abbassa secondo che i beni ci siano dati o ci sfuggano. Il cuore di Maria, invece, rimane costante e uguale sempre; ello lascia che Dio faccia in lei la sua opera secondo la sua volontà, e non vi attinge, per se stessa, null'altro che una buona consolazione, gioia e fiducia in Dio.

Dovremmo, forse, fare anche noi così; questo sarebbe cantare un vero Magnificat " (Martin Lutero, Magnificat).

IL MAGNIFICAT È CREAZIONE DI MARIA?

Lo ha interamente creato? Certamente no. Maria viveva, infatti, in un'epoca in cui, come felicemente nota René Laurentin da cui traiamo ispirazione per queste pagine, " le biblioteche erano vuote, ma le memorie erano piene " (Magnificat. Action de grâce de Marie, D.D.B, p. 64).

Maria, donna del popolo, figlia d'Israele, possiede una cultura popolare, una vera cultura, la cultura biblica. Conosce la Sacra Scrittura: ne sa a memoria numerosi passi, come la gente pia del suo tempo. Prima dell'Annunciazione, come anche dopo l'Annunciazione, Maria conserva le parole di Dio nel suo cuore. Ella le medita e se ne serve, sia per esprimere la sua gioia, che per pregare e rendere grazie.

Questo atteggiamento non è d'eccezione, anche se più raro oggi. Si dà il caso, infatti, che genitori afflitti per la morte di un figlio esclamino: " Il Signore ce lo ha dato, il Signore ce lo ha tolto, sia benedetto il nome del Signore! ". Essi riprendono, facendole proprie per esprimere la loro fede, le parole di Giobbe sentite in chiesa... anche se non ne hanno mai letto il testo e ne ignorano il riferimento esatto (Gb 1,21).

Essi esprimono la loro fede in maniera naturale con i termini della Parola di Dio.

Con un esempio tratto dalla letteratura, Laurentin spiega questo fenomeno delle parole note che sgorgano dalla memoria; "note" alla persona che le ha interiorizzate e "note" a chi le ascolta pronunciare, per cui si crea interpretazione a più voci del presente [N.d.T.].

" Nel Seicento, quando la marchesa de Sévigné racconta nella sua lettera 170, del 23 gennaio 1671, la sua visita al marchese di Lavardin, scrive: "A Malicorne, ho trovato le due nipotine, imbronciate, malinconiche e con voce bisbetica. Mi sono detta: queste piccole appartengono certamente al nostro amico. Teniamole lontane. I nostri pasti, tuttavia, sono tutt'altro che cosa trascurabile. Non ho mai visto carne migliore, né casa più piacevole".

Non sembra un testo strano? Si spiega, però, quando si ricorda che la signora di Sévigné sapeva a memoria tutte le favole di Jean de La Fontaine e così sua figlia a cui scrive e che potrà riconoscere l'accenno fatto alla favola dell'Aquila e del gufo (...).

Molto liberamente, con ricordi che affiorano alla sua memoria, a parole coperte, la signora di Sévigné lascia capire che i bambini del suo amico sono "dei piccoli mostri orribili". Non lo dice esplicitamente, ma sua figlia, che conosce le favole, capisce l'allusione " (René Laurentin, Magnificat, D.D.B., p. 18).

Con parole antiche...

Così Maria. Celebrando l'evento dell'Annunciazione che la Visitazione completa e manifesta, ella attinge ai salmi per cantare e, forse, danzare, la sua gioia: " Loderò il nome di Dio con il canto lo esalterò con azioni di grazie " (Sal 6869,31); " Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode " (Sal 3433,2); " Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie: invocando il tuo nome, raccontiamo le tue meraviglie... " (Sal 75,1); " Esultate in Dio nostra forza, acclamate... " (Sal 81,1); " Lodate il Signore, popoli tutti... " (Sal 117,1); " Ma la grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono " (Sal 103,17); " Saziò il desiderio dell'assetato e l'affamato ricolmò di beni " (Sal 107106,9); " Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d'Israele " (Sal 9897,2-3), ecc.

Maria non si accontenta di citare i salmi che le sono familiari nella preghiera, ella cita la promessa di Dio ad Abramo: " In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra " (Gn 12,3); " Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce " (Gn 22,18).

Ella ricorda anche la profezia di Malachia: " Felici vi diranno tutte le genti, perché sarete una terra di delizie, dice il Signore degli eserciti " (Mt 3,12).

Maria evoca soprattutto la preghiera di una donna dell'Antico Testamento, sua ava nella fede, Anna, la madre di Samuele: " Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava (1 Sam 1,11)... " e il suo cantico sulla culla del figlio: " Il mio cuore esulta nel Signore... io godo del beneficio che mi hai concesso... L'arco dei forti s'è spezzato, ma i deboli sono rivestiti di vigore. I sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati han cessato di faticare... Il Signore fa morire e fa vivere, ascendere agli inferi e risalire. Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta. Solleva dalla polvere il misero, innalza il povero dalle immondizie, per farli sedere insieme con i capi del popolo e assegnar loro un seggio di gloria " (1 Sam 2,2-8).

Anna, nel suo cantico, rende grazie a Dio per la nascita insperata del suo bambino, Samuele, che è dono non soltanto per lei, ma per il suo popolo. Maria rende grazie a Dio per la nascita di un bambino, Gesù (Salvatore), che è il suo Dio, che è dono non soltanto per lei, ma per tutto il popolo e specialmente per i poveri di tutti i paesi.

Come Anna, Maria contrappone la falsa potenza degli uomini, tra gli altri quella dei ricchi, alla vera potenza, quella di Dio, l'Onnipotenza dell'Amore infinito che volge il suo sguardo " sull'umile sua serva " (Lc 1,48), che " ha innalzato gli umili " (Lc 1,52), che " ha ricolmato di beni gli affamati " (Lc 1,53), che abita il cuore di una donna: " Lo Spirito Santo scenderà su di te... " (Lc 1,35). L'angelo Gabriele non aveva forse detto a Maria: " Ti saluto, o piena di grazia... " (Lc 1,28)? Maria accoglie questa gioia non con avidità spirituale personale, ma come gioia senza frontiera da condividere con tutti.

Fin dalle origini, il cantico di Maria, la Madre di Gesù, è diventato la preghiera della Chiesa di Gesù. Raccolto con devozione dalla prima comunità cristiana, esso è certamente stato cantato nella Chiesa madre di Gerusalemme, là dove Maria si trovava nell'anno 30 della nostra era (cf At 1,14). È quindi probabile che esso sia stato cantato, all'inizio, nella lingua primitiva, l'aramaico. E in questa comunità che Luca, visitandola con Paolo (cf At 21,14-17), ha raccolto questo cantico, non da archivi, ma nel pieno della vita liturgica.

Il Magnificat di Maria, come del resto il Padre nostro, non sono stati incisi su registratore. Ripreso liberamente per essere integrato in una liturgia viva, il Magnificat, tradotto in greco e poi in latino, è diventato, nel corso dei secoli, un canto tra i più popolari della liturgia cristiana.

Un canto popolare e cristiano, perché semplice e in consonanza con tutto il contesto del Nuovo Testamento. Non è forse un primo annuncio delle Beatitudini? Non esprime forse l'attenzione privilegiata di Gesù per i poveri? Non è forse la proposta di una rivoluzione della mentalità per entrare in un Nuovo Mondo, quello del regno della pace e dell'amore? Così Giovanni Paolo II sottolinea questi concetti nella sua enciclica Redemptoris Mater: " Il suo amore preferenziale per i poveri è iscritto mirabilmente nel Magnificat di Maria. Il Dio dell'Alleanza, cantato nell'esultanza del suo spirito dalla Vergine di Nazaret, è insieme colui che "rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili... ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote... disperde i superbi... e conserva la sua misericordia per coloro che lo temono". Maria profondamente permeata dallo spirito dei "poveri di Jahvè"... proclamava l'avvento del mistero della salvezza, la venuta del "Messia dei poveri"... Non si può separare la verità su Dio che salva... dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù... Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. E a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza " (n. 37).

Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa (...), il nostro pensiero si rivolge a te.

Il nostro pensiero si posa su di te, soprattutto per quel modello perfetto di azione di grazie che è l'inno da te cantato, quando tua cugina Elisabetta, madre di Giovanni Battista, ti ha proclamata la più beata tra le donne.

Tu non ti sei fermata alla tua felicità personale, hai pensato all'umanità intera, hai pensato a tutti. Più ancora, hai chiaramente optato per i poveri come in seguito farà tuo Figlio.

Che cosa c'è nelle tue parole, nella tua voce, perché, annunciando nel Magnificat la caduta dei potenti e l'elevazione degli umili, il saziarsi degli affamati e lo spodestamento dei ricchi, nessuno osi giudicarti come sovversiva o considerarti sospetta?

Imprestaci la tua voce e canta con noi!

Chiedi a tuo Figlio che in noi tutti si realizzino pienamente i disegni del Padre! (Dom Helder Camara, citato da " Prier ", n. 5.

Maria celebra la Nuova Alleanza

Magnificat! Come dal cozzo tra pietre senza splendore sprizza la scintilla, così dal cozzo di queste sillabe sprizza gioia ed esultanza! Chi le pronuncia? Una donna povera, Maria. Una donna che certamente non ha inventato nulla, ma ha attinto le parole della sua preghiera nell'Antico Testamento e ne ha fatto uno splendido mazzo floreale. Cosa straordinaria. Al centro, il cantico di Anna, poi versetti di Salmi, citazioni dalla Genesi, dalle Cronache, da Isaia, Giobbe, Malachia, Abacuc, Ben Sira...

Il Magnificat ci perviene, così, carico delle speranze d'Israele e di tutte le speranze del mondo. Non è soltanto il canto di una donna, ma il canto di un popolo, il canto dell'umanità. Il canto della Terra che si eleva verso il Cielo: il canto di un mondo peccatore in attesa di un Salvatore. E questo Salvatore è Maria che lo porta. Il suo Magnificat, infatti, non si separa dal suo Fiat, dal " sì " ch'ella ha pronunciato nel giorno della Annunciazione e del " sì " ch'ella conferma ai piedi della croce.

Il Magnificat è, dunque, una creazione di Maria? Non del tutto: questa raccolta di Parole unite per cantare l'evento che domina la storia degli uomini rimane un tesoro di riminiscenze bibliche e il dono stupendo offerto al mondo dalla " Vergine del "Fiat" e del Magnificat " (Giovanni Paolo II).

Il luogo teologico della cristianità non è il Muro del pianto di Gerusalemme, ma la Casa del Magnificat.

Fino a quando i cristiani accorderanno a Maria il diritto di abitare nella casa della loro esistenza, essi saranno più vicini alla gioia che al pianto (Cardinale Gioacchino Meisner, Magnificat. Neuf éveques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 18).

 Fra le traduzioni del Magnificat...  Maria non pregava né in francese, né in latino o greco, ma in aramaico, la lingua del suo paese. La sua preghiera ci è pervenuta attraverso un testo greco. Questo testo del Vangelo di Luca è stato oggetto di numerose traduzioni.

Impossibile citarle tutte e dire quale sia la migliore. Importante è leggerle con occhi nuovi e cuore aperto all'azione di grazie. Come Maria.

Traduzione ecumenica

Grande è il Signore: lo voglio lodare.

Dio è mio salvatore: sono piena di gioia.

Ha guardato a me, alla sua povera serva:

tutti, d'ora in poi, mi diranno beata.

Dio è potente:

ha fatto in me grandi cose,

santo è il suo nome.

La sua misericordia resta per sempre

con tutti quelli che lo servono.

Ha dato prova della sua potenza,

ha distrutto i superbi e i loro progetti.

Ha rovesciato dal trono i potenti,

ha rialzato da terra gli oppressi.

Ha colmato i poveri di beni,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Fedele nella sua misericordia,

ha risollevato il suo popolo, Israele.

Così aveva promesso ai nostri padri:

ad Abramo

e ai suoi discendenti per sempre.

(Traduzione interconfessionale in lingua corrente,

Elle Di Ci, Torino. Alleanza Biblica Universale, Roma)

Traduzione scientifica

Partendo dal testo greco di san Luca, uno specialista di teologia morale, René Laurentin, ci offre una traduzione letterale che " conserva le asperità e l'integralità di questo forte testo ". Tra parentesi, le principali referenze bibliche.

L'anima mia magnifica il Signore

(Sal 6968,31; 34,33,2)

e il mio spirito esulta

in Dio mio Salvatore

(1 Sam 2,1; Ab 3,18; Is 61,10)

perché ha guardato la povertà della sua serva.

D'ora in poi

(1 Sam 1,11)

tutte le generazioni mi diranno beata

(Mi 3,12; Gn 30,13)

Perché l'Onnipotente ha fatto per me

grandi cose

(1 Sam 2,2)

e la sua misericordia si stende

di generazione in generazione

su coloro che lo temono

(Sal 102103,17).

Ha spiegato la forza del suo braccio,

ha disperso

(Sal 8988,11)

i superbi nei pensieri stessi dei loro cuori.

Ha rovesciato i potenti dai loro troni

(Gb 12,18; 5,11)

e ha elevato gli umili

(Sir 10,14-15, LXX; 1 Sam 2,6-8).

Ha saziato di beni gli affamati

(Sal 107106,9)

e rimandato i ricchi a mani vuote

(Sal 3433,11).

Ha risollevato Israele suo servo

ricordandosi della sua misericordia

(Sal 9897,3)

come aveva detto ai nostri Padri

(Gn 12,3; 13,13; 22,18)

ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

(2 Cr 20; 1 Sam 2,10)

(Magnificat. Action de Grâces de Marie, D.D.B., p. 27)

Interpretazione poetica

Paul Claudel ha molte volte raccontato la sua conversione avvenuta il 25 dicembre 1886, nella chiesa di " Notre Dame " di Parigi, durante il canto del Magnificat. Egli canta, in una sua libera espressione, il Magnificat nella terza delle " Cinque Grandi Odi " (_uvre poètique, Bibl. de la Plèiade, pp. 248-249).

La mia anima magnifica il Signore.

O lunghe amare strade del passato, e il tempo

in cui ero solo, unico!

Il cammino in Parigi, quella lunga via

che scende verso Notre-Dame!...

Tu mi hai chiamato per nome.

Come chi conosce, tu mi hai

scelto tra tutti quelli della mia età.

Mio Dio, tu sai quanto il cuore dei

giovani sia pieno di affetti e quanto

non faccia conto delle proprie sozzure e vanità!

Ed ecco tu sei qualcuno che

improvvisamente!...

O Madre del mio Dio, o donna tra tutte le donne!

Sei dunque giunta dopo quel lungo viaggio

fino a me ed ecco che tutte le generazioni

in me e fino a me ti hanno chiamata beata!..

Quanto il mio cuore è pesante nella lode e

quanto a fatica si eleva verso di te.

Come il pesante incensiere d'oro

carico d'incenso e di brace,

che per un istante vola al termine della sua catena

dispiegata

ridiscende, lasciando al suo posto

una grande nuvola, nel raggio di sole,

di denso fumo!..

Ed eccomi come il prete coperto

di un ampio manto d'oro che sta in piedi

davanti all'altare incandescente...

E fra poco ti prenderà nelle sue

braccia, come Maria ti ha, tra le sue braccia, preso...

Per mostrarti all'oscura generazione che giunge

alla luce per la rivelazione delle nazioni e

la salvezza del tuo popolo Israele,

secondo il giuramento una sola volta fatto a

Davide,

tu ti sei ricordato della tua misericordia,

e secondo la parola data ai tuoi

padri, ad Abramo e alla sua discendenza nei secoli.

(Tientsin, 1907, Cinq Grandes Odes, Magnificat)

VISITA GUIDATA AL MAGNIFICAT ...

Il Magnificat può essere visitato come una bella chiesa. Si può entrare in una chiesa distrattamente. Si spinge la porta, si entra: l'abitudine ha smussato l'attenzione. Si può anche entrare, fare silenzio, lasciarsi prendere dall'armonia delle masse architettoniche e dal canto che sembra sprigionarsi dalle vetrate, lasciarsi invadere dalla meraviglia.

Così è per il Magnificat: se si vuole pregarlo, è indispensabile conoscerne l'architettura interiore. Questo schema tratto da Michel Gourgues (Cahiers Evangile, n. 80) può servirci da guida:

[Sezione " Io "]

Inno al Dio di Maria (vv. 46-49)

L'anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente

e Santo è il suo nome:

[Sezione " Essi "]

Inno al Dio degli umili (vv. 50-53)

di generazione in generazione la sua misericordia

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai loro troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Inno al Dio d'Israele (vv. 54-55)

Ha soccorso Israele suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

Come aveva promesso ai nostri padri,

ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

Non si tratta di una nuova interpretazione, ma di un invito a scoprire alcuni elementi caratteristici per alimentare la nostra fede e la nostra preghiera. Questo potrà permetterci di capire che il cantico di Maria interrompe il racconto degli avvenimenti precedenti per svelarne il significato profondo. Maria è, così, la prima teologa del mistero dell'Incarnazione.

Inno al Dio di Maria...

Il Magnificat è un inno all'amore che raggiunge le vette. Che Maria ami il suo Dio è cosa certa. Ma ciò che scopre con stupore, ciò che non può tacere è la scoperta del mistero dell'Amore di Dio per lei, così umile, così piccola. E per l'umanità intera. Maria, infatti, non è che una creatura, fatta della stessa natura di tutti gli uomini, di tutti i tempi, di cui la storia non fa che accumulare, nel corso delle età, la piccolezza e la povertà. Di età in età (Cardinale Schwery, vescovo di Sion, Svizzera).

Nella prima parte, Maria parla in prima persona, è la sezione " Io " anche se ella non usa il pronome personale " io ", ma il pronome possessivo: " mia " (la mia anima, il mio spirito). Si può, a questo punto, osservare il contrasto tra ciò che è grande e viene da Dio o va a Dio, e ciò che è piccolo e caratterizza l'umanità di Maria: La mia anima magnifica (cioè dice grandi cose su Dio); l'Onnipotente ha fatto in me grandi cose; perché Dio ha guardato l'umanità, la piccolezza della sua serva.

Quest'inno di Maria a Dio è già un omaggio al Dio delle Beatitudini. Esso annuncia la beatitudine di Maria ed anche la beatitudine di tutti i credenti che verranno, come dice Elisabetta.

" Si nota tuttavia  osserva Michel Gourgues  un'importante differenza. Elisabetta situa la beatitudine in relazione alle disposizioni di Maria stessa: "E beata colei che ha creduto". Maria pone invece la propria beatitudine in relazione con le disposizioni e l'intervento di Dio: "Perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (v. 48), "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente" (v. 49) " (Cahiers Evangile, n. 80, p. 40).

Maria insiste sulla gratuità del dono che viene da Dio e ch'ella accoglie con gioia... Luca, più tardi, descriverà le Beatitudini come una felicità gratuita offerta ai poveri, mentre Matteo insisterà sulle qualità di chi le riceve: " Beati i poveri in spirito " (Mt 5,3).

Inno al Dio degli umili ...

" Se tu conoscessi il dono di Dio... ", ha detto un giorno il Cristo alla Samaritana. Ma qual è il dono di Dio, se non lui stesso? C'é una creatura che ha conosciuto questo dono di Dio...

Una creatura che è stata così pura, così luminosa da sembrare la Luce stessa!

Una creatura la cui vita è stata così semplice, così perduta in Dio che quasi non se ne può dire nulla. È la Vergine fedele, quella che " custodiva tutte le cose nel suo cuore ". Ella era così piccola e così raccolta di fronte a Dio nel segreto del Tempio da attirare le compiacenze della santissima Trinità... Il Padre, chinandosi su questa creatura così bella, così ignara della propria bellezza, volle che fosse la Madre, nel tempo, di colui di cui egli è Padre, nell'eternità. Allora lo Spirito d'Amore, che presiede a tutte le operazioni di Dio, sopravvenne, e la Vergine disse il suo Fiat: " Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto ". E il più grande dei misteri si è compiuto (Suor Elisabetta della Trinità).

Il Dio del Magnificat è un Dio che ha un amore di predilezione:

 per quelli che temono Dio in contrapposizione ai superbi (cf vv. 50-51),

 per gli umili, in contrapposizione ai potenti (cf v. 52),

 per gli affamati, in contrapposizione ai ricchi (cf v. 53).

Volendo approfondire ulteriormente il discorso, possiamo, con Michel Gourgues, distinguervi i toni di tre diversi registri:

Il credere o il registro religioso (vv. 50-51). Maria contrappone " quelli che temono Dio " ai " superbi ", cioè a quelli che non pensano che a se stessi, che ignorano Dio e pretendono di essere autosufficienti. Dio, per questi, non può nulla perché non hanno bisogno di nulla e nulla desiderano da parte di Dio. Ora, non dimentichiamolo mai, Dio è umile, Dio è discreto, Dio non s'impone. Al contrario, egli è felice di colmare dei suoi beni tutti quelli e quelle che contano su di lui, e specialmente Maria che dice: " Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto " (Lc 1,38).

Il potere, o il registro politico (v. 52). Maria dichiara: " Ha rovesciato i potenti dai troni " (v. 52). In altri termini, la strategia politica del Dio del Magnificat non corrisponde affatto a quella dei media del nostro tempo e della maggior parte delle gente in tutto il mondo: Dio non valorizza le persone in funzione del loro peso militare, o del loro peso rappresentativo; gli " umili " hanno per lui altrettanta importanza, se non di più, dei " grandi " della politica o dell'industria dello spettacolo. Il termine " umile " non si trova in altre pagine di Luca. " Nel greco classico era utilizzato per indicare una persona che era umile, perché senza potere né influenza " (Cahiers Evangile, n. 80, p. 42). Ecco perché Dio " ha guardato l'umiltà della sua serva " (Lc 1,48).

L'avere, o il registro socio-economico (v. 53). Maria, infine, contrappone gli " affamati ", quelli che non hanno nulla da mangiare, ai " ricchi " che ne hanno a volontà. Questo è il punto di vista del Dio del Magnificat. Si ritroverà la stessa contrapposizione nelle Beatitudini in cui Gesù contrapporrà i " poveri " cioè coloro che " hanno fame " (Lc 6,20-21) ai " ricchi " e ai " sazi " (Lc 6,24-25). Il possesso e il potere possono far leva sugli uomini, non fanno leva su Dio: con lui, tutti hanno delle possibilità, cominciando da quelli che hanno un cuore di povero.

Inno al Dio d'Israele...

Come hai voluto

aver bisogno di Maria

e Maria della discendenza

di tutti i suoi avi,

prima che la sua anima

ti magnificasse e che

tu ricevessi da lei

grandezza agli occhi

degli uomini,

è così che tu vuoi

aver bisogno di me

a mia volta, è così

che tu hai voluto,

o mio maestro,

ricevere da me la

vita come tra le

dita del prete che

consacra, e

porre te stesso

in questa immagine reale

tra le mie braccia!

(Paul Claudel, Cinq Grandes Odes, Magnificat in _uvres Poètiques, Gallimard, pp. 257-258)

Il Dio del Magnificat è pieno di misericordia non soltanto per Maria, ma anche per il suo popolo, il popolo scelto d'Israele: " Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia " (Lc 2,54). Dio non ha soltanto cuore, ma memoria: egli è fedele alle sue promesse e s'impegna a soccorrere Israele che ha scelto e a liberarlo dai suoi nemici.

Israele, oggi, è la Chiesa, siamo noi nel mondo, è il mondo intero con i suoi paesi ricchi e i suoi paesi poveri, con i suoi paesi in pace e i suoi paesi in guerra, con i suoi paesi sviluppati e i suoi paesi sottosviluppati. Un mondo in cui il peccato e l'amore, da millenni, si disputano il potere: il bene è accanto al male peggiore, l'opulenza di alcuni privilegiati vi insulta l'indigenza della moltitudine dei poveri. E il mondo molto concreto, con le sue sacche di miseria, che Gesù vuole configurare a propria immagine e somiglianza con l'intercessione di Maria, sua madre, e col nostro aiuto, cioè particolarmente con quello della sua Chiesa d'oggi.

Ecco perché non si tratta soltanto di visitare il Magnificat come si visita un capolavoro ricco di fascino; non si tratta soltanto di cantare come si canta un meraviglioso poema; si tratta di viverlo. Si tratta di nutrirne la nostra azione, la nostra preghiera, il nostro combattimento, se è necessario. Nel quotidiano.

Le parole del Magnificat, l'inno mariano per eccellenza, non hanno, infatti, perduto nulla della loro giovinezza, della loro luminosità, del loro peso di fede, di speranza, d'impegno: esse sono capaci di ferire il nostro cuore. Oggi ancora.

Non è forse lo Spirito Santo, lo Spirito d'amore, lo Spirito di forza e di luce che le ha ispirate a Maria e alla Chiesa delle origini? E lo Spirito Santo che può porle sulle nostre labbra e nel nostro cuore. Come un fuoco. Ed egli ve le porrà, se umilmente, come Chiesa, noi sapremo accoglierlo come Maria e i discepoli di Gesù, nel cenacolo, un certo mattino di Pentecoste.

 I verbi di azione nel Magnificat  Lo schema che presentiamo é tratto da: " Organizzazione del Magnificat " di R. Laurentin (Magnificat. Action de grâces de Marie, D.D.B., pp. 154-155).

Soggetti

Azioni

Oggetto

Maria

Dice

L'anima mia magnifica

il Signore

il mio spirito esulta

in Dio

mio Salvatore

Dio

ha guardato

la sua serva

le generazioni

mi chiameranno

beata

Dio

ha fatto

in me grandi cose

La sua misericordia

di generazione

in generazione

Ha fatto spiegando la potenza del suo braccio

 disperde

i superbi

 rovescia

i potenti

 innalza

gli umili

 ricolma

gli affamati

 rimanda

i ricchi

 soccorre

Israele

suo servo

Egli

ricordandosi della sua misericordia come

aveva promesso

ai nostri padri

ad Abramo

e alla sua discendenza

per sempre

3

L'ANIMA MIA MAGNIFICA IL SIGNORE

IL MIO SPIRITO ESULTA IN DIO

MIO SALVATORE...

Una formidabile sfida è lanciata alla speranza, teologale e umana. La Vergine generosa del " Magnificat ", che avvolge la Chiesa e l'umanità con la sua preghiera è il saldo sostegno della speranza (Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, 22 marzo 1996).

Maria esulta di gioia. Canta, forse danza, certo lascia che esploda la sua gioia. Luca è chiaramente felice di dimostrare, una volta di più, che l'avvento del Signore scatena una serie di esplosioni di gioia e di allegrezza nel cuore del mondo dei poveri: " ...Levavano lode a Dio... dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose" " (Lc 5,26). " ...Tutta la folla esultava per tutte le meraviglie da lui compiute " (Lc 13,17). " Subito l'uomo ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio " (Lc 18,43). " ...Tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto... " (Lc 19,37).

E cosa normale che si trovi un clima di gioia in queste Memorie della Vergine che sono come un'introduzione del Vangelo di Luca. I cantici che vi si trovano: il cantico di Maria (Lc 1,46-55), quello di Zaccaria (Lc 1,67-79), quello degli Angeli di Betlemme (Lc 2,14-15), quello di Simeone (Lc 2,28-32), sono momenti privilegiati della preghiera di lode.

Ma, il giubilo di Maria rappresenta un momento unico nella storia. Nella Vergine di Nazaret il canto si accompagna al sogno più folle e più meraviglioso che potesse fare una donna d'Israele: non soltanto diventare la madre del Messia atteso da secoli, ma scoprire che il Messia ch'ella metterà al mondo è Dio, quel Dio inatteso che viene ad incontrarsi con gli uomini per salvarli tutti. Vero Dio ed insieme vero uomo, come si esprimerà, più tardi, il concilio di Nicea.

L'anima mia esalta il Signore

Santificata dal primo istante della sua esistenza, Maria cresce a piccoli passi, senza che il mondo ne parli e senza che Israele neppure se ne accorga, anche s'ella è lo splendore di Israele, la creatura più eminente della terra (Pierre de Bérulle).

" La prima parola del Magnificat, nota il Laurentin, pone Maria nei confronti della grandezza di Dio (in greco il termine "megalunei" ha per radicale "mega" che significa grande). Il latino "Magnificat" traduce bene il greco e gli conferisce anche maggiore rilevanza: il termine francese "magnifièr", che lo traduce letteralmente, non ha altrettanta luminosità. Noi abbiamo preferito il verbo "esaltare" per la sua leggerezza e per la sua assonanza con "esultare" nel versetto seguente. Questa parola iniziale fa eco all'annuncio del Messia Figlio di Dio. Il versetto: "Egli sarà grande" (Lc 1,32), ha, infatti eco nel versetto 1,49, in cui il Signore fa per Maria grandi cose. Attratta dalla grandezza di Dio, ella si pone umilmente, ma familiarmente, nella propria piccolezza, con fiducia e gratitudine, di fronte alla Trascendenza, come il bambino che si raccoglie nelle braccia di sua madre " (Magnificat. Action de Grâces de Marie, op. cit., p. 70).

Si è molto discusso sui termini che usa Maria per indicarsi, come soggetto, nei primi due versetti del suo cantico. Ella non dice esplicitamente " io ", utilizza invece due parole semplici: l'anima mia e il mio spirito.

L'anima mia (in greco: " psychè "). Spesso la si traduce con vita, come nel passo: " A te una spada trafiggerà la vita " (Billia CEI: anima) (Lc 2,35). Si può anche tradurre: " Una spada ti trafiggerà il cuore ". Ma l'immagine del cuore, tanto familiare nella cultura moderna, non lo era altrettanto nella cultura greca. Il testo iniziale del Magnificat, comunque, ci invita a dilatare la nostra preghiera: il Magnificat non è soltanto il canto di un momento storico, ma il canto di tutta una vita.

Il mio spirito (in greco " pneuma "). La parola nella lingua greca è molto viva: indica il soffio vitale (come " ruah " in ebraico). E il termine che serve ad indicare lo Spirito Santo. Maria, insomma, usa due parole molto vicine l'una all'altra. Sembra che Luca le abbia usate come sinonimi. Opportunamente il Laurentin nota: " Esse danno a questo inizio, in cui Maria si fa piccola, una nota di discrezione e di pudore e nel contempo, di solennità " (op. cit., p. 72).

L'adorazione! Ah! è una parola celeste. Mi sembra che si possa definirla: l'estasi dell'amore. È l'amore schiacciato dalla bellezza, dalla forza, dalla grandezza immensa dell'Oggetto amato (Elisabetta della Trinità).

Il mio spirito esulta

Questo giubilo è un invito al viaggio nel paese di Maria: Nazaret. Un piccolo villaggio della Gallilea in cui l'Angelo di Dio l'ha salutata con un nome nuovo: " Rallegrati ", " Kecharitômenê ". "Kecharitômenê" è nome dato da Dio; un nome difficile da tradurre con esattezza, ma il cui senso non è ambiguo: Tu che sei, tu che rimani l'oggetto del favore gratuito di Dio, tu che sei colmata di grazia.

Nome straordinario, perché Dio non si accontenta di dare nome ad una persona ma ciò ch'egli dice, lo crea. Questo nome nuovo crea novità nella persona di Maria.

Le concede il favore d'eccezione di Dio: è un nome di amore, un dono d'amore. Esso rivela un aspetto affascinante del Dio della Bibbia: Dio è amante. Sì, amante dell'uomo, al maschile come al femminile. Maria, che crede a questo amore e che s'inoltra, di scoperta in scoperta, su questa via, lascia irrompere la propria gioia. Quale gioia?

La gioia di una donna, prima di tutto. Nell'Antico Testamento, Dio aveva concluso la sua prima Alleanza trattando con uomini al maschile; nel Nuovo Testamento, Dio rinnova la sua Alleanza rivolgendosi ad una donna. E a una donna vergine: " Non conosco uomo " (Lc 1,34) dice Maria all'Angelo. Dio rispetta la sua verginità.

" Lo Spirito Santo scenderà su di te " come un tempo la nube era scesa su la tenda dell'Alleanza... e il Generato, che sarà frutto del suo grembo, sarà chiamato Santo, Figlio di Dio. Il Figlio di Dio, in altre parole, diventa Figlio di Maria; il Generato del Padre (senza madre, in cielo) nascerà da una madre (senza padre, sulla terra).

La gioia di Maria è la gioia di una donna di Nazaret. La gioia di una donna povera, colmata dall'infinita ricchezza dell'amore di Dio: ella " ha trovato grazia presso Dio " (Lc 1,30). Il Magnificat celebra questa scoperta e rende grazie...

La gioia di una persona povera, umile. Maria appartiene al mondo dei piccoli, degli umiliati, dei poveri della terra. Dio porge attenzione a lei perché ama i poveri e non si lascia impressionare né dalla ricchezza, né dal potere. Egli è soltanto amore e, per questo, egli è il Povero: colui che ha tutto e tutto dona, colui che perdona e si dona... fino in fondo. Fino a dare il suo Unico, e fino a lasciarlo morire in croce, cioè a lasciare che, anche lui, vada fino all'estremo dell'amore... in attesa della glorificazione pasquale del Risorto che, tuttavia, porta le impronte dei chiodi. Dio, infatti, s'interessa dei piccoli, dei poveri che gli rassomigliano. Ecco perché guarda con uno sguardo d'amore a colei che si presenta come la piccolissima serva di Dio. Quale gioia per lei e per tutto il mondo dei poveri!

La gioia di un popolo. La gioia di Maria è anche la gioia del popolo d'Israele. Il Cristo annunciato è infatti un salvatore, il salvatore del suo popolo, di quel popolo di poveri, un tempo condotto in schiavitù, poi deportato in Babilonia, e ora vittima dell'occupazione romana. Gesù viene a salvare questo popolo, ma lo farà a modo suo... divino! Mobilitandolo per salvare, con lui, tutti gli altri popoli.

Il Magnificat canta la gioia della salvezza data da Dio all'umanità; canta un'antica speranza: " Se tu squarciassi i cieli e scendessi! " (Is 63,19), il mondo sarebbe trasformato. Ed ecco la realizzazione inattesa: i cieli si squarciano, Dio stesso viene... non per farci vedere la sua forza e la sua potenza, ma per farci vedere il suo amore: per salvarci. E salvarci al prezzo della croce.

Questa preghiera di Maria è davvero il modello di ogni azione di grazie, cioè di ogni eucaristia. Maria, infatti, nell'ora della sua preghiera ringrazia Dio: " L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore ". Ella ha motivo di ringraziare Dio: ella ricorda: " ha guardato ", " grandi cose ha fatto ", " ha spiegato la potenza del suo braccio ", " ha rovesciato i potenti ", " ha ricolmato di beni... ".

È nel tempo lontano che Dio ha cominciato quest'opera e la prosegue; perciò alcune traduzioni usano il presente per significare l'attualità dell'azione divina anche se è nel tempo remoto ch'essa è cominciata.

La preghiera di Maria raccoglie dunque, nel presente, il passato, tutta la storia del suo popolo. " D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata ". Lo sguardo rivolto all'opera di Dio nella storia apre alla speranza per il domani (Bernard Mollat, Choisie entre toutes les fenumes, Cerf-Radio Notre Dame, pp. 107-108).

Il Magnificat è il canto dei tempi messianici, nei quali confluiscono l'esultanza dell'antico e del nuovo Israele...

Il cantico della Vergine, dilatandosi, è diventato la preghiera di tutta la Chiesa in tutti i tempi (Paolo VI, Marialis cultus).

In Dio, mio Gesù...

" Il mio spirito esulta in Dio, mio Gesù ". Questa traduzione è poco usata. Non si tratta, tuttavia, di traduzione fantasiosa. Il Laurentin nota, infatti: " La formula "esulta in Dio mio Salvatore" non è nuova. Abacuc (3,18) l'aveva già usata e Girolamo la traduce in maniera audace: Esulto in Dio mio Gesù, perché in ebraico "Dio mio Salvatore" e "Dio mio Gesù" si dice nel medesimo modo. Per Maria, la formula di Abacuc: Dio mio Salvatore, acquista un senso nuovo, divino e umano inieme: Il mio spirito esulta in Dio mio Gesù. Dio incarnato, mio figlio. Il Magnificat è l'espressione, in preghiera, dell'Annunciazione " (op. cit., p. 43).

Bisogna ricordare: la gioia di Maria non è la gioia di una veggente che ha tutto visto, tutto compreso subito. La sua gioia è la gioia di una credente che conservava tutte queste cose nel suo cuore. Elisabetta ha indovinato il mistero: " E beata colei che ha creduto... ". Maria non ha visto, Maria ha creduto.

Ambroise-Marie Carré così sottolinea la cosa: " Quando Dio sta per rinnovare la creazione del mondo non agisce come per la prima creazione. Non comanda con forma imperiosa. Non chiama all'esistenza il Messia promesso come ha fatto sorgere dal nulla la terra, la luce, il firmamento, l'uomo. No. Egli invia un messaggero, sollecita il consenso di una giovane d'Israele e l'angelo dialoga con lei, la rassicura, le espone il piano divino. Maria accetta, Maria accoglie la straordinaria notizia " (Nouveaux Cahiers marials, n. 11, p. 15).

Dio non ha forzato la mano con Maria, ma non l'ha lasciata sola di fronte al mistero: le offre un segno, l'annuncio di un'altra nascita, quella di un figlio a Elisabetta, che si diceva sterile. Allora " Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda " (Lc 1,39). Ed è alla presenza di Elisabetta sua cugina che, ispirata dallo Spirito Santo, le parla del Messia suo figlio e alla presenza di Giovanni Battista che danza di gioia nel seno di sua madre, che Maria, colmata da questo segno di Dio, canta il suo Magnificat.

Così è per noi oggi: la nostra gioia cristiana, la nostra fede cristiana si nutrono dei segni del Signore.

Ci sia dato di affrettarci a riconoscerli, malgrado le tenebre che ci circondano. Le tenebre sono, infatti, dense e i media s'incaricano di aiutarci a fare il quotidiano inventario dei segni di morte che minacciano il nostro pianeta: non soltanto i cataclismi difficilmente prevedibili, ma i drammi delle vittime delle guerre raziali nell'ex-Jugoslavia, delle guerre religiose e politiche in Algeria, delle guerre tribali in Somalia, in Rwanda e altrove, senza parlare delle vittime della droga, dell'aids, del l'alcolismo, del cancro, delle famiglie spaccate dal divorzio... e delle vittime delle mancate previdenze o delle incompetenze di certi responsabili: dalle radiazioni di Cernobyl agli innumerevoli senza-tetto e disoccupati delle nostre città. E in questo mondo, segnato da tante impronte di morte, che noi possiamo, che noi dobbiamo concederci il tempo per discernervi anche i segni di vita e di speranza. Questi c'invitano a cantare il Magnificat. I segni di morte, infatti, portano la firma dell'uomo peccatore, della sua brutalità, della sua violenza; i segni di vita portano la firma di Dio, della sua pace, della sua tenerezza, della sua misericordia. Essi sono presenti, ma si vedono poco: il bene non fa rumore. E cosa preziosa reperirli per una nostra compartecipazione. Ci sono dei programmi radiotelevisivi che aiutano in questo. Anche la stampa missionaria, nella sua felice varietà, è un'eco di queste attualità con i suoi articoli su vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici di ogni condizione che lavorano in tutto il mondo per arginare definitivamente la pesante marea della miseria. Esistono libri, e videoregistrazioni su questo medesimo piano. Le associazioni cristiane, particolarmente nei tempi forti dell'anno liturgico, lanciano appelli per la continuità di quel servizio umanitario che è una delle tradizioni e delle glorie della Chiesa cristiana dalle sue origini.

La violenza, l'odio, la menzogna, l'ingiustizia, la morte i cui segni incutono paura non avranno l'ultima parola perché i segni di vita non ingannano: la fede e la risurrezione che irradiano dal mattino della Pasqua sono destinati a vincere.

La preghiera di Maria può aiutarci a riportare questa vittoria: dal Magnificat non ci giunge, infatti, un'enorme potenza di luce, di coraggio, di generosità? Mai, nel corso della storia, questo cantico ha rivelato con tanta evidenza come oggi alla folla dei poveri la sua straordinaria fonte di energia, la sua capacità di far sgorgare dai cuori aridi la fede, la speranza e la carità di cui ha bisogno il mondo.

E mezzogiorno. Vedo la chiesa aperta. Bisogna entrare.

Madre del Cristo Gesù, non vengo a pregare.

Non ho nulla da offrire, nulla da chiedere.

Vengo soltanto, Madre, per guardarti.

Guardarti, piangere di felicità, sapere questo,

che sono tuo figlio e che tu sei qui...

Perché tu sei qui per sempre

semplicemente perché sei Maria,

semplicemente perché tu esisti,

Madre di Cristo Gesù, sia tu ringraziata!

(Paul Claudel, La Vierge à Midi)

 Come pregare il Magnificat?  A questo interrogativo occorre aggiungerne un altro: come pregava Maria? Maria pregava con le parole della Scrittura: la sua preghiera era biblica. Maria, innanzi tutto, rendeva grazie a Dio: la sua preghiera era eucaristica. La sua preghiera aveva la luce delle Beatitudini: raggiungeva la speranza dei poveri tanto amati da Dio.

Nel suo prezioso volumetto: Magnificat, Actìon de grâces de Marie, René Laurentin, risponde in forma pratica alla domanda che ci siamo posta.

Dal suo volume il seguente estratto che propone " due modi di recitare il Magnificat ".

Pregare con Maria

Il modo più normale di pregare il Magnificat, è quello di pregarlo con Maria, di assumerne l'adorazione e l'azione di grazie che è l'essenza stessa di questa preghiera.

Si tratta di condividere la sua fede nel Dio santo (1,50) e salvatore (1,48), onnipotente e misericordioso.

Nella messa noi preghiamo il Padre Nostro in unione con Cristo, presente sull'altare, che assume la nostra preghiera. In modo analogo, possiamo recitare il Magnificat in unione con Maria, perché ella ci è vicina in Gesù Cristo nella comunione dei santi, come germe e prototipo della Chiesa, iniziatrice della fede, della speranza e della carità; dell'adorazione e dell'azione di grazie.

Identificarci a Maria = Chiesa

Maria scrutava la Scrittura: ne abbiamo una prova nel suo Magnificat, ma anche " ella serbava tutte queste cose nel suo cuore ": tutti i segni. Ella collegava Scrittura e avvenimenti... I cristiani dovrebbero essere attenti alla Scrittura e agli avvenimenti per dire nella Chiesa: " L'anima mia magnifica il Signore! " (Bernard Mollat, Choisie entre toutes les femmes, Cerf - Radio Notre Dame, p. 109).

Per tutto ciò ch'ella dice in prima persona, nella prima parte del Magnificat, noi possiamo rendere grazie con lei e come lei.

Poiché Dio ci ama con lo stesso amore e vuole colmarci. Come Maria, impariamo a ringraziare in anticipo. Questa gratitudine attira sempre su di noi maggiori grazie. Ringraziamo il Signor d'avere " guardato la nostra povertà ", non soltanto di creature, ma di peccatori.

Rendiamo a lui grazie d'avere " fatto per noi " " grandi cose " cominciando dal battesimo che è il dono della vita divina, e per il flusso di grazie che ne è seguito. Ringraziamo in anticipo per l'avvenire che Dio ci prepara nella sua bontà, con la nostra collaborazione. L'azione di grazie amplifica il ciclo della generosità divina. Dio non può colmarci che nell'amore, nella reciprocità. Egli ci dà tutto per primo, gratuitamente. Egli attende la nostra gratitudine, rara e difficile. E cosa buona ringraziarlo per tutto, con fiducia, perché le sue vie non sono le nostre e sono migliori. I suoi pensieri non sono i nostri pensieri e sono migliori. Il Montfort giungeva fino a ringraziare Dio per la croce ch'egli gli mandava.

Il Magnificat ci invita ad allargare la prospettiva (Lc 1,50) ai poveri, che sono la parte vitale del popolo di Dio e (oggi la Chiesa) a tutta la Chiesa. Si può dilatarla al mondo intero: di generazione in generazione, dal passato al lontano avvenire.

Il Magnificat esprime la più perfetta unione con Dio, la più penetrante e contemplativa, la più generosa e dinamica; esso implica anche l'amore per i poveri, l'identificazione coi poveri ed una esperienza profetica.

Noi resteremo sempre al disotto dell'esperienza e dell'espressione perfetta di Maria. Lasciamoci attirare sempre più dalla sua ispirazione.

Lodare Maria

Possiamo anche cantare il Magnificat come una lode a Maria secondo la sua predizione: " Tutte le generazioni mi chiameranno beata " (Lc 1,48). Questa lode viene da Dio. Lo Spirito Santo l'ha ispirata ad Elisabetta, il cui elogio prolunga quello dell'angelo, nell'Ave Maria.

" Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te ", ha detto l'angelo in Luca (1,28).

" Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo ", continua Elisabetta (Lc 1,42).

Possiamo dunque lodare Maria per le grandi cose che Dio ha fatto in lei (Lc 1,49): l'Annuciazione, la Visitazione e tutto il resto: la nascita di Dio salvatore (Lc 2), l'infanzia, Cana, il Calvario (è allora che, su richiesta di Gesù, Maria ci ha adottati con tutto il suo cuore), la Pentecoste (è allora che la sua preghiera ha suscitato la dinamica della Chiesa nascente); infine, l'Assunzione (è allora ch'ella ha scoperto in Dio ciascuno dei suoi figli, adottati nella notte della fede: ciascuno di noi).

La loderemo anche per la sua presenza e la sua protezione materna. Questa gratitudine in Dio sale fino a Dio.

Per Maria, per noi e per tutti è l'inno dell'umiltà assunta, colmata, trasfigurata, divinizzata, a Dio tutto in tutti (René Laurentin, Magnificat Action de Graces de Marie, D.D.B., 1991, pp. 197-198).

Dio, gioia mia,

tu sei il soffio della mia vita

tu sei il ritmo del mio sangue

tu sei il fuoco che mi ha afferrata.

Dio, gioia mia,

tu hai fatto della mia povertà

la tua dimora di silenzio

in cui tutto l'essere può adorare

il segreto della tua presenza.

Dio, gioia mia,

tu disperdi i superbi come la paglia al vento,

ma tu ami il misero come un bambino.

Dio, gioia mia,

tu rovesci tutti i re,

tu spogli i potenti ma colmi i piccoli

il cui cuore ha fame di te.

Dio, gioia mia,

tu sei fedele alle tue promesse

da ieri fino a domani

perché la tua tenerezza non ha fine.

(Alain Lerbret, Magnificat, Sources, Poèmes évangéliques, Chalet).

IL MAGNIFICAT, PREGHIERA DI LODE

" La lode, diceva François Varillon, è la preghiera di colui che è contento di Dio ". L'adorazione, per sé muta, prende la parola e diventa lode: la creatura che viene da Dio, si rivolge a lui, poi ritorna a lui lodandolo. Il Magnificat, preghiera di lode della Vergine Maria, ne è il modello. Ma per comprendere bene questa preghiera e farla nostra, è importante situarla nel contesto che l'ha vista nascere.

La lode, è cosa naturale

Per molti cristiani, pregare, è prima di tutto e, spesso soprat tutto, chiedere. Un atteggiamento di rivendicazione. Il motivo? Essi non hanno ancora fatto l'esperienza dell'ammirazione, della meraviglia davanti a Dio.

Molti sono i pagani che, invece, prima di noi hanno praticato la lode, particolarmente nelle civiltà all'antico Oriente in cui è nata la nostra storia e dove Israele stesso ha le sue radici: al di là del timore e della supplica, si poteva già udire battere il cuore dell'uomo disinteressato, meravigliato di fronte a colui che è sorgente ed origine. Non è forse Dio un essere benefico che copre di benedizioni il credente? che gli dà la vita? in una parola, lo colma del suo amore? La benedizione ricevuta risale allora in molteplici benedizioni rivolte al benefattore. Il prendere coscienza che si è amati si esprime in lode e gratitudine. L'amore ricevuto e percepito germoglia come un seme vivo e sboccia in amore che si rivolge verso il suo sole.

L'amore non è forse scambio? L'amore ricevuto, se rimane senza risposta, appassisce e muore; percepito e riconosciuto, si espande. Tutti gli innamorati lo sanno: lo vivono. Attorno ad Israele e in Israele, i più perfetti uomini di preghiera ne facevano l'esperienza nelle loro relazioni con Dio. Se molti cristiani ancora lo ignorano è perché non percepiscono sufficientemente l'essenza della loro fede: Dio è Amore.

Il mio cuore desidera vederti...

Amon, protettore del povero...

È cosa dolce pronunciare il tuo nome!

È come il gusto del pane per il bambino...

Fa' luce per me.

Che ti veda.

China verso di me il tuo bel viso amato.

(Prière d'un aveugle à Amon [Ammone, Dio dell'antico Egitto, identificato col Sole. Il cieco prega la fonte di luce, N.d.T.] Hymnes et Prières de l'Egypte ancienne, Cerf, 1980, pp. 204-205)

La lode, una questione d'amore

Veniamo ora alla preghiera di lode nella Bibbia. La Bibbia è la casa di Maria, figlia d'Israele. Ella è nata là alla fede, vi è cresciuta, vi ha posto dimora con felicità. E là ch'ella ha appreso l'amore di Dio per il suo popolo ed anche la risposta di questo popolo, spesso debole e lamentosa, ma talvolta anche meravigliata ed esultante. Il Magnificat si situa in quest'ultima risposta e la prolunga.

Per Israele, Dio è l'Emanuele, " Dio con noi " (Is 7,14). Questo titolo, anche se raramente usato nell'Antico Testamento, esprime comunque la coscienza profonda d'Israele: Dio è presente in tutta la sua storia. A Mosè Dio si rivela nella sua volontà di liberare il suo popolo dalla schiavitù. Il suo nome sacro, che in quel momento comunica (Es 3,14), suona come una promessa: " JHWH ", cioè, secondo gli esegeti, " Io sono colui che sono ": ne farete l'esperienza! Il seguito dice in che modo: libera Israele ch'egli ha scelto, fa alleanza con lui, gli apre un avvenire e gli dà una terra. Nell'infedeltà del suo popolo, Dio resta fedele e perdona; nella prova, cura le sue ferite e agisce come una madre con il proprio figlio.

Il Dio di infinita e misteriosa maestà, il Dio tre volte santo, inacessibile, di cui ci si compiace di lodare la potenza, è anche il Dio vicino: il suo amore colma la distanza che lo separa dalle creature, egli si compromette nella storia accanto al suo popolo, secondo le sue promesse. Dio è la roccia, la sola sicurezza su cui appoggiarsi senza timore.

La risposta d'Israele a questo amore unico si esprime particolarmente nella sua preghiera. Il libro dei Salmi ne rivela magnificamente tutte le sfumature. Il suo titolo ebraico, il " Libro delle lodi ", esprime bene l'orientamento di fondo di tutta la relazione di preghiera d'Israele con Dio: la meraviglia amorosa, lo stupore incantato di fronte all'incomprensibile scelta di questo piccolo popolo, e ai grandi fatti compiuti in suo favore, malgrado la sua infedeltà. La preghiera dei salmi esprime una certezza: Dio ama Israele. Prima di tutto come popolo. All'origine della maggior parte dei salmi, si trova una realtà nazionale: una storia comune. Le " salite " in pellegrinaggio verso Gerusalemme, città santa in cui Dio è presente nel Tempio come lo è nella persona del re, sono occasione di esprimerlo con i salmi, queste preghiere collettive utilizzate nella liturgia.

Ma l'amore che avvolge tutto il popolo tocca anche ciascuno singolarmente: " Dio con noi " è anche " Dio con ciascuno di noi ". Con me. Da qui, le numerose suppliche individuali. Spesso esse terminano con un invito, rivolto a tutti a rallegrarsi, a benedire, a rendere grazie per i doni ricevuti personalmente: guarigione, liberazione, perdono...

In un'intervista televisiva, un giornalista tedesco interrogava i passanti a Mosca sulla dolorosa situazione della Russia. La domanda era questa: " Dove scorgete ancora un barlume di speranza per la vostra patria? ". Una delle persone intervistate, un uomo, rispose: " Io conservo speranza per la Russia, perché questo paese appartiene alla Madre di Dio! " (Card. Joachim Meisner, Magnificat. Neuf èveques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 19).

La lode è una questione di fede

Lodate il Signore:

è bello cantare al nostro Dio,

dolce è lodarlo come a lui conviene...

Grande è il Signore, onnipotente,

la sua sapienza non ha confini.

Il Signore sostiene gli umili

ma abbassa fino a terra gli empi (Sal 147,16).

Lodate, servi del Signore,

lodate il nome del Signore.

Sia benedetto il nome del Signore,

ora e sempre.

Dal sorgere del sole al suo tramonto

sia lodato il nome del Signore.

Su tutti i popoli eccelso è il Signore,

più alta dei cieli è la sua gloria...

Solleva l'indigente dalla polvere,

dall'immondizia rialza il povero,

per farlo sedere tra i principi,

tra i principi del suo popolo (Sal 113,1-8).

Il Magnificat è preghiera di fede. Maria, la giovane di Nazaret, l'esprime, come la prima dei discepoli di Colui che viene, Gesù, suo figlio; ella è anche la prima nella fede, cioè nell'accoglienza del dono di Dio: " Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto " (Lc 1,38). E naturale ch'ella sia la prima nella lode in cui esplodono la sua gioia e la sua riconoscenza personali; ma Maria esprime anche ciò di cui, credente, prende coscienza: la bontà e la misericordia di Dio di cui è oggetto ha una portata universale perché questo amore raggiunge tutti gli uomini, di generazione in generazione.

L'Altissimo, il Dio fedele, ha compiuto le sue promesse donando suo Figlio, questo figlio ch'ella attende.

Maria, la credente, dà il tono e la lode si amplifica nei confronti di questo figlio riconosciuto dono di Dio e salvezza per l'uomo.

All'inizio del Vangelo di Luca la lode esplode a più riprese, prima col cantico di Zaccaria (Lc 1,68), poi con quello di Simeone (Lc 2,29), con il canto degli angeli nel cielo di Natale (Lc 2,14) a cui fa eco quello dei pastori (Lc 2,29). Anna, la profetessa, chiude questo primo concerto di lodi: " Si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino " (Lc 2,38).

Durante la vita pubblica di Gesù, le folle sono colpite dai suoi miracoli e dalle sue parole. Come gli altri evangelisti, Luca segnala le reazioni di meraviglia che si traducono in preghiere e canti lode. Soltanto i farisei, in genere, rimangono fuori della gioia generale. Essi si chiudono, recriminano. In un certo modo essi ci fanno comprendere, per contrasto, ciò che è la vera lode: comunione nell'amore, nella gioia e nella fede. Le ultime parole del Vangelo di Luca ricordano, dopo l'Ascensione del Signore, questa lode: " Tornarono i discepoli a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio " (Lc 24,52).

Il primo stadio della lode consiste nel considerare i benefici di Dio. Poi, con l'esercizio, viene la gratitudine, il senso della perpetua festa (Pierre de Broucker, Quand vous priez, in Christus, n. 37).

La lode è comunione di vita

Maria, carica del suo fardello,

avendo concepito dallo Spirito Santo,

si è ritirata lontano dalla vista degli uomini

in fondo all'oratorio sotterraneo (...).

Non si muove, non dice parola, adora.

Raccolta in sé dal mondo,

Dio per lei non è più al difuori,

Egli è opera sua e suo figlio e il suo piccolo

e il frutto delle sue viscere.

(Paul Claudel, Corona benignitatis anni Dei, Hymne du Sacré C_ur in _uvres Poétiques, Gallimard, p. 396)

Prolungamento del Vangelo di Luca, come è noto, sono gli Atti degli Apostoli. Questi si aprono sull'evento della Pentecoste, evento che si collega alle scene dell'Annunciazione e della Visitazione. Maria, presente alla nascita di Gesù, all'inizio del Vangelo, è anche presente alla nascita della Chiesa. La potenza dell'Altissimo che si è posata su di lei, è promessa agli apostoli: " Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi " (At 1,8) e alla Pentecoste la promessa si realizza e produce il dono delle lingue, il carisma della lode: " Ciascuno li sentiva parlare la propria lingua... li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio " (At 2,6,11).

Maria, figura della Chiesa, aveva intonato il preludio; lo Spirito Santo lancia la Chiesa intera nella sinfonia della lode. Il Magnificat diventa, così, una lode condivisa.

Questa lode è comunione. Con Dio. Nell'amore, nella fede e nella gioia. Essa crea anche una comunione tra gli uomini. Lo Spirito, che era su Maria mentre cantava il suo Magnificat, si è posato anche su Elisabetta " piena di Spirito Santo " (Lc 1,41) che non poteva che vibrare all'unissono con la cugina Maria.

E la stessa comunione che unisce, a Pentecoste, gli apostoli. Tra loro da principio, ma poi con la folla dei pellegrini venuti da tutte le parti e che sono perplessi e meravigliati.

La stessa fede nell'Amore suscita oggi, nel cuore dei cristiani nel mondo intero, il medesimo slancio di lode e di gioia riconoscente, in comunione con gli eletti del cielo. L'Apocalisse ce lo rivela: " Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio. Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. Rallegramioci ed esultimo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua Sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente " (Ap 19,1-8).

Sia benedetta Maria che per prima ha cantato l'opera di Dio compiuta in Gesù Cristo: ella è la personificazione, l'Icona di quel popolo che " Dio si è acquistato, a lode della sua gloria " (Ef 1,14).

Maria, la madre di Gesù, rinvia però l'omaggio a suo Figlio; l'umile serva, al Servo. E da lui che possiamo apprendere l'ultima parola, la più profonda, sulla lode. Le preghiere di lode di Gesù, citate dal Vangelo non sono molte, ma è importante guardarle con attenzione.

Oltre l'azione di grazie in occasione della moltiplicazione dei pani e dell'istituzione dell'eucaristia che s'imponevano a Gesù come rituali, bisogna considerare due grandi preghiere di benedizione. La prima, stupenda, loda il Padre per aver rivelato i segreti del suo regno " ai piccoli " (Lc 10,21,22). Nella seconda (Gv 10,11) Gesù rende grazie per essere stato esaudito prima ancora della risurrezione di Lazzaro.

Ma c'è ancora la grande preghiera di Gesù (Gv 17), introdotta, come nei capitoli precedenti, da un'apertura solenne: " Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da queso mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano [...], sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava... " (Gv 13,1-2). Seguono la lavanda dei piedi e l'ingresso nella Passione, la sua " elevazione da terra ", una preghiera in atto: " Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito... " (Lc 23,46). La sua vita glorifica il Padre.

Questa è, essenzialmente, la sua preghiera di lode, la sua eucaristia: una vita piena d'amore fino all'estremo, la coincidenza perfetta, in lui, tra preghiera e offerta di sé. In lui, come stupendamente dice Clemente di Alessandria: " Il Verbo di Dio, lasciate da parte lira e chitarra, strumenti senza anima, regolò, per mezzo dello Spirito Santo, tutto l'universo e, particolarmente, quel microcosmo che è l'uomo, anima e corpo: egli canta per Dio, con questo suo strumento dalle mille voci e in accordo con questo strumento umano; canta il canto realmente nuovo, colui che era prima dell'aurora, perché all'inizio c'era il Verbo e il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio ". Con la sua voce e la sua vita umane, lui, il Pellegrino venuto da Dio, canta l'Alleluia eterno. " E quando cominciò a cantare, la terra e tutto ciò che c'è tra cielo e terra sostennero la sua voce come i piccoli organi sostengono i grandi " (" Vision du Pèlerin " in Saint Nicolas de Flue. Card. Journet, Saint Paul, p. 129).

Non è ciò che, in pienezza, fece, per divino favore, Maria, la colmata di grazia?

E noi? Il nostro compito non è forse quello di fare in modo che, con l'aiuto dello Spirito Santo, la nostra preghiera diventi sempre più una preghiera di lode, di lode condivisa come quella di Maria e della Chiesa nel suo Magnificat?... Con la fiducia, però, che, grazie all'intercessione di Maria, poiché " tutto concorre al bene di coloro che amano Dio " (Rm 8,28), le note false dei nostri peccati e le dissonanze delle nostre imperfezioni contribuiscano anch'essi all'armonia universale e si dissolvano, un giorno, nell'accordo finale di una lode eterna.

R. P.

Il re Davide aveva deciso di trasferire l'arca dell'Alleanza nella sua nuova capitale, Gerusalemme. L'arca era stata così portata verso l'alto del paese di Giuda e si era fermata nella casa di Obed-Edom. Davide, partito per raggiungere l'arca, quando la vide esclamò: " Come potrà venire da me l'arca del Signore? " e fu pieno di gioia (2 Sam 6,9). Maria ha preso il posto dell'arca. Incinta, ella porta in sé il Signore. Anch'ella si affretta verso l'alto del paese di Giuda e si ferma nella casa di Zaccaria. Vedendola, Elisabetta esclama: " A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? " (Lc 1,43). In quel momento, il suo bambino, alla presenza del Signore, le esulta dentro di gioia. Ormai, la presenza del signore non è più legata ad un luogo o ad un oggetto. Il figlio di Maria è egli stesso questa presenza di Dio tra gli uomini (Marc Sevin, Les Dossiers de la bible, n. 34. p. 10).

Una lode di gloria è un'anima che dimora in Dio, che l'ama di un amore puro e disinteressato...

Una lode di gloria è un'anima di silenzio che sta come la lira sotto il tocco misterioso dello Spirito Santo, perché ne sprigioni armonie divine...

Una lode di gloria è un'anima che fissa Dio, nella fede e nella semplicità...

Un'anima che, così, permette all'Essere divino di soddisfare in lei il suo bisogno di comunicare tutto ciò ch'egli è e tutto ciò che egli ha, è realmente la lode di gloria di tutti i suoi doni...

Una lode di gloria è un essere sempre nell'azione di grazie (Elisabetta della Trinità).

IL MAGNIFICAT, UN CANTO PER OGGI

Maria è nella Chiesa ciò che è l'aurora nel firmamento: ella la precede immediatamente... Ella è la sua icona escatologica e, nella tempesta, un pegno di speranza (Pierre De Bérulle, Vie de Jèsus, Cerf, t. V).

Il Magnificat ci offre [...] una griglia di lettura per interpretare gli avvenimenti del nostro tempo e per vedere il mondo attuale con gli stessi occhi di Dio. Riflettendo sugli attuali avvenimenti alla luce del Magnificat, il credente scopre quanto questo inno sia temibile per i ricchi e per i sazi di tutti i tempi e pieno di speranza per le vittime dell'ingiustizia (E. Hamel, Le Magnificat, la femme et la promotion de la justice, in Cahier marial, n. 113, pp. 164-165).

Il Magnificat è un canto. Uno dei quattro canti di allegrezza che ritmano le prime pagine del Vangelo di Luca, con il Benedictus di Zaccaria, il Gloria degli angeli e il Nunc dimittis di Simeone. Mediante il canto, il medesimo Spirito ci parla per mezzo dei testimoni di un evento storico senza precedenti. Questo canto è dunque, per prima cosa, un documento storico. Come nota Teilhard de Chardin: " La stupenda potenza dello sviluppo mistico manifestato dal cristianesimo è indissolubilmente legato all'idea che il Cristo è storico. Se si sopprime questo elemento centrale, il cristianesimo non è più che una "filosofia" come le altre: esso perde tutta la sua forza e la sua vitalità " (Rèflexions et prières dans l'Espace. - Temps, Paris, Seuil, 1972, p. 118).

Il canto di Maria

Il Magnificat è un canto. E il canto di Maria, di una donna delle nostre, anche se ripete per sé le parole della preghiera del popolo dell'Alleanza. Un canto il cui punto di partenza è il " Fiat " dell'Annunciazione. " Fiat ", cioè " Amen ". Il Sì, nella gioia e nella speranza del concepimento di Gesù, il Salvatore; un canto, il cui punto d'arrivo è il " Fiat " del Calvario, cioè del concepimento della Chiesa, di cui ella diventa Madre nelle lacrime e nel sangue.

Il canto di Maria non è dunque soltanto un messaggio, ma una persona: il Cristo bambino, figlio di Dio; il Cristo Chiesa, popolo di Dio. Il Magnificat è un canto del passato, ma è anche il canto dell'avvenire: il canto delle Beatitudini, il canto dei poveri.

Il canto dei diritti dell'uomo

I poveri si riconoscono nel Magnificat. Così, anche tutti gli artefici di pace, quelli che piangono, quelli che hanno fame e sete di giustizia, quelli che sono torturati, perseguitati a causa della loro fede in Gesù Cristo. Essi vedono aprirsi davanti a loro, per loro e per gli altri, un regno nuovo. Un regno diverso da quello degli slogan, da quelli di Dachau, di Auschwitz, di Sarajevo o Mogadiscio... Questo canto rianima la loro speranza. Ma tutto non è dato per scontato. Questo di oggi è il tempo della speranza, ma anche dell'impegno coraggioso, perseverante per costruire il regno già fin da quaggiù.

Non si tratta, tuttavia, di sostituire una dittatura con un'altra, la dittatura del denaro, dei potenti creati dai quadri di partito e dei proletari arricchiti. Non si tratta neppure di una rivendicazione, o di una qualsiasi presa di potere, ma di un cambiamento radicale della società: lottare, ovunque, contro l'ingiustizia, a tutti i livelli e in tutti i paesi. Da questo punto di vista, il Magnificat è il canto dei diritti dell'uomo. In un mondo in cui ci sono persone che non hanno come nutrirsi, come vestirsi, come alloggiare, istruirsi e lavorare..., il Magnificat ci invita ad operare per lo sviluppo di tutto l'uomo. Maria, infatti, incarna la speranza degli uomini nella presenza di Dio nel cuore della storia, per aiutare l'umanità a passare dall'ingiustizia alla giustizia, dall'odio alla solidarietà con i poveri e gli oppressi: è il cantico della civiltà dell'amore.

Il canto della nuova evangelizzazione

Vergine Maria, Madre di Dio,

tu sei la pienezza dell'amore,

l'offerta pura che non si è nulla riservato;

tu sei il " sì " che non fu mai ritratto,

la risposta totale all'amore infinito.

Poiché tu hai riconosciuto la tua totale dipendenza,

Dio ti ha dato la perfetta libertà dell'amore.

Poiché tu non eri che umiltà,

Dio ti ha riempita del suo splendore.

Poiché non eri che fedeltà,

Dio in te ha reso completa la sua somiglianza.

La tua morte fu un momento di gioia indicibile.

La tua carità, d'un tratto, ha trapassato il velo

che ti separava ancora da Colui che aveva tanto

ardentemente bruciato il tuo cuore.

Il tuo amore esplose nella visione del faccia a faccia.

(Louis-Joseph Lebret)

Il Magnificat è anche il canto dell'evangelizzazione del mondo. Particolarmente oggi, della nuova evangelizzazione, cioè, nell'imminenza del 2000, dell'impegno che Giovanni Paolo II indica in tutti i suoi viaggi attraverso il mondo. Il papa non perde occasione di ricordarlo ai giovani. L'evangelizzazione, infatti, non è forse il compito fondamentale della Chiesa che ha ricevuto dalla Pentecoste, la missione di annunciare la Buona Novella, cioè il Vangelo di Gesù, e d'insegnare agli uomini come vivere al modo di Gesù? " Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo " (Mt 28,19-20).

In altri termini, la Chiesa non ha per missione di vivere piamente ripiegata su se stessa, attenta a non sporcarsi le mani nel cantiere del mondo d'oggi. Essa ha per missione di prendere posizione su tutto ciò che oggi concerne Dio, su tutto ciò che riguarda l'uomo del nostro tempo. Maria, la donna del Magnificat, era presente nella prima Pentecoste della Chiesa. Ma la Pentecoste continua: Maria è presente nell'oggi della Chiesa del Vaticano II, nella sua nuova Pentecoste, per una nuova evangelizzazione.

Maria, la Vergine del Fiat e del Magnificat, ci invita a divenire sempre più la Chiesa del Fiat, del sì a Dio e la Chiesa del Magnificat, del grazie a Dio nella luce delle Beatitudini. Che cosa significa? La Chiesa del Magnificat è una Chiesa che custodisce le meraviglie di Dio operate nel passato in ciascuno di noi e intorno a noi, e che conserva gli occhi aperti per riconoscere, oggi, le meraviglie che Dio continua a compiere per noi e con noi.

La Chiesa del Magnificat è una Chiesa attenta ai poveri  sfruttati, oppressi, affamati, stranieri, senza casa, disoccupati, ammalati, carcerati...  e preoccupata di venire loro in aiuto, non soltanto con la preghiera, ma con atti concreti (doni, condivisioni, visite, ecc.)

La Chiesa del Magnificat è una Chiesa gioiosa e fiera d'essere testimonianza della Parola di Dio e del suo operare nel mondo d'oggi. E una Chiesa che si rifiuta di vedere soltanto catastrofi o minacce, ma che già riconosce le primizie della messe che sta per germogliare...

La Chiesa del Magnificat è una Chiesa che ha il tempo per pregare, per ascoltare la Parola di Dio, per vivere sotto lo sguardo del Padre, ma anche una Chiesa che ha il coraggio di levarsi per lavorare, per battersi se necessario, perché il nostro mondo cambi, ed assuma, sempre più, la forma del regno di giustizia e di pace, del mondo nuovo che Gesù ha inaugurato, nella potenza dello Spirito, nel mattino di Pasqua.

Il Magnificat, infatti, prima d'essere un canto e una preghiera è una persona: Gesù, il Verbo fatto carne, il Figlio di Maria, il Messia sperato da un popolo, atteso dall'universo e, infine, giunto... per salvarci tutti. Ciò che canta Maria nel suo Magnificat è questo evento che interessa tutti gli uomini, tutte le razze, tutte le nazioni, questa " meraviglia " realizzata dal Dio dell'Alleanza, umilmente, magnificamente, con i poveri, in mezzo ai poveri, come solo Dio sa fare.

Sul calvario Maria fu drammaticamente impotente ad arrestare la tortura, ma meravigliosamente onnipotente per salvare il mondo con suo figlio (Michel Quoist, Le Chris est vivant).

Ave Maria, gratia plena!

Beviamo la volonta di Dio!

Cominciamo il nostro anno come te, Maria:

Dal mattino alla sera,

Essere aperti alla Sua Luce!

Fissi in Lui come te,

Gustiamo e vediamo come è buono il Signore!

Hallel, alleluia, rivestiamoci di Cristo,

Il vestito che ci modella perfettamente.

L'ora dell'accoglienza di Dio,

Maria, serva del Signore,

Noi ti chiediamo che sia per noi

Oggetto del tuo sguardo: aprici il tuo cuore

Perché, vedendo il tuo amore

Quale veramente è, mai chiuso ad alcun bene sulla terra e nel cielo,

Rinasca nel profondo dei nostri cuori,

Silenzioso, lo stesso amore.

Tu sei per noi

Una tenera madre,

Vergine Maria,

Wagone di famiglia che ricoveri il viaggiatori per il cielo,

Zenit ultimo!

Preghiera alfabetica a Maria (Jet)

 

 

 

4

HA GUARDATO L'UMILTÀ DELLA SUA SERVA

D'ORA IN POI TUTTE LE GENERAZIONI

MI CHIAMERANNO BEATA

" Ha guardato l'umiltà della sua serva "

Mille grazie spargendo

passò per questi boschi con snellezza,

e, mentre li guardava,

solo con il suo sguardo

adorni li lasciò d'ogni bellezza.

(San Giovanni della Croce, Cantico Spirituale, V)

Nella contemplazione delle meraviglie universali del mondo, la bellezza si fa per sé voce e ti grida: non io mi son fatta, ma Dio mi fece (S. Agostino, Enarrationes in psalmos, 144).

Dio l'ha guardata e Maria si è svegliata. Come la terra al mattino si sveglia quando il sole posa su di essa il suo sguardo. Ella trasale ed irrompe la sua gioia... La mia anima magnifica il Signore... perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

Ha guardato, cioè si è chinato sulla sua umile serva. Questo sta a significare la condiscendenza benevola dell'Altissimo nei confronti della sua piccola serva. Ma la Bibbia dice altre volte che Dio " si china " sulla sua creatura per manifestarle la propria benevolenza? E vero che, riguardo alla suocera di Simone, che era stesa a terra sul suo giaciglio, Luca dice di Gesù: " chinatosi su di lei " (4,39), ma non è chianandosi su di lei che Gesù la guarisce e la fa alzare, ma prendendola per la mano. Non è chinandosi su Maria, ma guardandola, che Dio la fa esultare. Quando un uomo guarda, il suo sguardo può essere vuoto; ma se è Dio che volge i suoi occhi su di una sua creatura, è una gran luce che invade, un oceano di grazie che scende. Maria trasale sotto questo sguardo.

Dio aveva rivolto il suo sguardo benevolo e soddisfatto sul mondo dopo averlo creato: " Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona " (Gn 1,31). La Bibbia invoca spesso questo sguardo. È infatti guardando il suo popolo, che Dio lo benedice: " Volgi lo sguardo dalla dimora della tua santità, dal cielo, e benedici il tuo popolo d'Israele " (Dt 26,15). Dio esaudisce guardando, salva dall'angoscia: " Guarda, rispondimi, Signore mio Dio " (Sal 13,4). " Gli occhi del Signore sui giusti, i suoi orecchi al loro grido di aiuto " (Sal 34,16).

Lo sguardo di Dio è il suo stesso cuore rivolto all'uomo ch'egli soccorre e consola: " Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia; volgiti a me nella tua grande tenerezza " (Sal 69,17). Posato sul popolo, questo sguardo è un vincolo di alleanza: " Sii fedele alla tua alleanza " (Sal 74,20). " Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna proteggi il ceppo! ... " (Sal 80,15).

E uno sguardo che visita, che protegge, che produce ciò che per Israele è buono. E simile alla potenza che scenderà su Maria e stenderà su di lei la sua ombra (Lc 1,35).

Alcune volte, invece d'implorare lo sguardo di Dio, si sollecita il favore del suo volto perché egli voglia mostrarlo ai suoi fedeli: " Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto " (Sal 4,7). Il volto implorato, è lo sguardo stesso, ma ingrandito, irradiato dalla bontà del sorriso.

Dio ha guardato Maria...

La natura è dotata di perfezioni per mostrare ch'essa è l'immagine di Dio; e di difetti, per mostrare ch'essa non ne è che l'immagine (Blaise Pascal).

Soltanto un modo di guardare il mondo è esatto: lo sguardo con il quale Dio stesso lo guarda (John Henry Newman, Sermons divers).

Da molto tempo Maria era stata guardata. Lo sapeva? Certamente no, lei, la piccola serva del Signore. Ella trasale e canta dall'istante in cui ne prende coscienza. Eppure questo sguardo era posato, dall'alba della creazione, sulla " benedetta fra tutte le donne " (Lc 1,42). La terra che Dio aveva creato era femminile ed era materna, destinata a dare nascita agli uomini, a concepire un giorno il Figlio di Dio in questo mondo. San Paolo non dice forse: " Tutte le cose sono state create... in vista di lui " (Col 1,16)?

Lo Spirito aleggiava sulla creazione verginale e feconda (Gn 1,2) come scenderà sulla giovane di Nazaret e la coprirà con la sua ombra (Lc 1,35).

Dio ha guardato con soddisfazione questa creazione e già vedeva nel suo seno colui che è " generato prima d'ogni creatura " (Col 1,15) e in cui sono tutte le compiacenze di Dio (Mt 3,17). La liturgia non sbaglia quando fa risalire alle origini del mondo lo sguardo di Dio sulla madre di Cristo applicandole queste parole: " Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività " (Prv 8,22).

Lo sguardo di Dio è rivolto su Eva, la donna materna, davanti a cui sta " l'antico serpente " (Ap 12,9) e il cui seno, secondo l'Apocalisse (12,2), era già da allora inseminato della promessa messianica: " Io porrò inimicizia tra te e la donna " (Gn 3,15). Guardando l'ava antica del Messia, Dio vede Maria; parlando di Eva e della sua inimicizia col serpente, Dio già parla della vera madre di Gesù.

Dio, in seguito, posò il suo sguardo divino sulla nazione ebraica, la " figlia di Sion " che, da principio, appena nata, era stata abbandonata " in piena campagna " secondo l'espressione di Ezechiele 16. Ma Dio rivolse su di lei " il suo occhio pietoso ": " Passai vicino a te e ti vidi " (Ez 16,6) e, cresciuta, l'ha rivestita ed ornata la sua bellezza.

I profeti hanno promesso al seno della " figlia di Sion " una discendenza messianica e l'hanno invitata a gioire: " Rallegrati figlia di Sion... fino a quando colei che deve partorire, partorirà... " (Mic 5,3).

Questo invito a rallegrarsi sarà, per l'ultima volta, rivolto alla giovane di Nazaret. L'angelo la saluta dicendo: " Rallegrati, o piena di grazia ". La gloria di Dio stende su di lei la sua ombra (Lc 1,33), la gloria di cui Isaia aveva detto che avrebbe coperto la montagna di Sion (Is 4,5). La giovane si riconosce allora in colei " che dovrà partorire " e la sua " anima esulta ". Attraverso le generazioni d'Israele, è il suo volto che lo sguardo di Dio aveva cercato.

L'angelo le dice: " piena di grazia ", come se questo fosse il suo nome. Ella è, infatti, la privilegiata dello sguardo di Dio che l'ha resa ricolma della sua grazia. La luce del volto di Dio trasforma illuminando. San Paolo ne fa l'esperienza: " E noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria " (2 Cor 3,18). Sotto lo sguardo del sole divino, Maria è straordinariamente cresciuta fino a diventare l'umile serva del Signore capace di accogliere il dono infinito.

Maria accoglie lo sguardo di Dio

Vergine bella, che di sol vestita,

coronata di stelle al sommo Sole

piacesti sì che 'n te Sua luce ascose,

amor mi spinge a dir di te parole:

ma non so 'n cominciar

senza tu' aita,

e di Colui ch'amando in te si pose.

(Petrarca, Dal Canzoniere)

Maria è guardata e si lascia guardare. Il suo grande merito è stato quello di accogliere senza frapporre ostacoli...

Egli ha guardato l'umiltà della sua serva... ella dice. " Umiltà ", la parola indica ciò che è basso, ciò che non si eleva al disopra del suolo (in latino, " humus "). Tra i piccoli ai quali il regno è promesso, Maria è la piccolissima.

Malgrado la profonda venerazione votata a Maria, i cristiani che la chiamano " Madonna " l'hanno, però, sempre riconosciuta come l'umile serva. Un segno di questo, era l'usanza nelle antiche famiglie di dare il nome di Marietta o Mariettina alla donna che, in grembiule bianco, serviva in casa. Maria è stata la donna tuttofare di Dio, nella sua grande opera dell'incarnazione e della redenzione.

Elisabetta la loda " a gran voce " (Lc 1,42). Ma, di che cosa la felicita? D'aver compiuto grandi cose? No. Ma di aver creduto, di aver ricevuto: " Beata colei che ha creduto! " (Lc 1,45). Credere è ricevere... " I suoi non l'hanno ricevuto, ma a quelli che lo hanno ricevuto, a quelli che hanno creduto in lui, egli ha dato il potere di diventare figli di Dio " (Gv 1,12). Nessuno può vantarsi delle proprie opere di fronte a Dio (1 Cor 1,29; 3,31), nulla proviene da noi, tutto è dono e misericordia (Ef 2,8,10). Il merito dell'uomo sta nell'accogliere nella fede. Maria si abbandona alla " potenza che si manifesta pienamente nella debolezza " (2 Cor 12,8), alla " potenza dell'Altissimo " scesa su di lei (Lc 1,35). Ella accoglie lo sguardo ed esulta perché " grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente " (Lc 1,49).

Maria, da principio, è in timore (Lc 1,29), ma non dice come Pietro: " Signore, allontanati da me che sono un peccatore " (Lc 5,8). Ella accetta con fervore: " Avvenga di me quello che hai detto ". Non è il Fiat della rassegnazione, ma quello del desiderio nel suo slancio. Tutte le cattedrali intitolate a " Nostra Signora ", quelle di Parigi, di Chartres, quella di Strasburgo, la cui guglia svetta a 142 metri di altezza, sono le cattedrali di Maria il cui slancio accoglie il cielo in grande umiltà.

Lo sguardo divino posato su di lei, Maria lo conserva nel suo cuore, lo coltiva nel suo specchio interiore, lo ascolta e lo interroga. Luca parla del " cuore " della giovane madre che ha appena partorito: " Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore " (Lc 2,19). Luca lo ripete in seguito: " Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore " (Lc 2,51). Maria parla della sua " anima " che " magnifica " il Signore. " Cuore " e " anima " sono due parole che nella Bibbia indicano, la persona nella propria intimità profonda.

Infine, Gesù guarda Maria...

Ella conosceva lo Spirito

che sfiorata l'aveva un tempo

con l'ombra sua splendente.

Ella conosceva la sua dolcezza

e la sua forza

e l'intimità sua feconda.

Ella aveva visto il suo fuoco

luce ed incandescenza

negli occhi di Gesù.

Quando annunciava,

quando perdonava,

quando interloquiva,

quando amava,

quando faceva nascere,

con grande dolore

con grande fervore

il popolo nuovo.

Ella lo aveva riconosciuto al quinto giorno

quando il vento non era che soffio.

Ella fremeva ancora di presentire

nel seno dell'umanità

la innumerevole nascita.

(Gérard Bessière, Fetes et Saisons, n. 360, p. 20)

Lo sguardo di Dio diventa lo sguardo di Gesù. Il volto divino s'incarna in lui: " Chi ha visto me ha visto il Padre " (Gv 14,9). Lo sguardo è ormai quello che un bambino rivolge alla sua mamma. La giovane aveva cantato con accenti guerrieri: " Ha disperso i superbi. Ha rovesciato i potenti dai loro troni ". Sotto il nuovo sguardo, il cuore della madre s'intenerisce, s'immerge in un amore immenso. Lo Spirito che avvolge Maria con la " sua ombra " è infatti l'infinita potenza di amore del Padre. Maria è assunta nella tenerezza del Padre per il Figlio unico che è nel suo seno (Gv 1,18).

Tutto dovrebbe, dunque, essere felicità. Ma presto il delizioso sguardo del fanciullo diventa tormento, una spada le attraversa il cuore (Lc 2,35). Non certo, lo sguardo stesso, ma la sua assenza. Il salmista implorava: " Non nascondermi il tuo volto " (Sal 102,3). Gesù nasconde il suo volto alla madre. Una prima volta, per tre giorni, nel tempo di Pasqua, quando aveva dodici anni. La madre dolcemente se ne lamenta. Non ne aveva forse il diritto? Ma Gesù replica: " Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? " (Lc 2,49). Poi la lascia. Lo ritroverà per un istante a Cana... " Che ho da fare con te, donna? " dice Gesù (Gv 2,5). Ella lo ritrova ancora a Cafarnao. All'annuncio della sua presenza, Gesù dice: " Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio... " (Lc 8,21). Una donna esclama: " Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte ". Ma Gesù replica: " Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio... " (Lc 11,27). I vincoli umani della parentela si allentano, una nuova famiglia si forma intorno a Gesù, nella fede posta nella Parola.

Lo sguardo di Gesù attira discepoli: " Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro) " (Gv 1,42). Un uomo implora questo sguardo: " Maestro, ti prego di volgere lo sguardo a mio figlio, perché è l'unico che ho " (Lc 9,38). Gesù fissa ancora il suo sguardo su Pietro. E Pietro si ricorda... (Lc 22,61).

Verrà il giorno in cui Maria ritroverà lo sguardo di suo Figlio, ma non sarà quello di Nazaret.

Gesù l'aveva lasciata per ritrovarla al Calvario. Il suo viso le si era nascosto e i tratti del suo fanciullo erano sfumati nel volto unico da contemplare, quello del Cristo di Dio. Ora Gesù non dice più: " Che ho da fare con te, o donna? " perché ormai l'ora è venuta. Sua madre è vicina a Lui con il discepolo. Egli li guarda dall'alto della croce: " Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!" " (Gv 19,26). Giovane donna, Maria era stata guardata da Dio ed era diventata la madre di Gesù secondo la carne.

L'ultimo sguardo su Maria, fa di lei la madre dei credenti secondo lo Spirito.

" Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta... chinato il capo, spirò " (Gv 19,30). L'evangelista sceglie le sue parole. Gesù " china il capo ", questo non si accascia per proprio rilassamento. Non aveva forse egli predetto che nessuno gli avrebbe tolto la vita se non l'avesse egli stesso data? " Spirò ", cioè rimise lo spirito (" Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito ", Lc 23,46). Qui, come altrove, Giovanni dà ad una parola un duplice significato: egli intende evocare lo Spirito Santo che Gesù, elevato da terra, dalla morte e per la gloria, spande sulla sua Chiesa.

Gesù china il capo. Verso chi lo china, se non verso Maria e Giovanni? Egli rimette lo Spirito a Maria e a Giovanni che rappresentano tutta la Chiesa.

Maria è stata guardata. Un oceano di grazia è sceso su di lei. Ora che il suo stesso sguardo è diventato luce e grazia, noi la preghiamo: " Illos tuos misericordes oculos ad nos converte! ". Rivolgi a noi i tuoi occhi pieni di misericordia.

F. X. D.

Vieni in chiesa, taci e guarda la Madre di Dio!

Qualunque sia l'ingiustizia contro di noi,

qualunque sia la miseria,

quando i figli soffrono è maggiore ancora

l'infelicità d'essere la Madre.

Guarda Colei che è là senza lamento

come senza speranza

Come un povero che trovi uno più povero

e tutti e due si guardino in silenzio.

(Paul Claudel, Corona Benignitatis anni Dei)

 La Vergine Maria al ritmo delle stagioni  Le feste dell'anno liturgico hanno per scopo di far vivere, al ritmo delle stagioni, l'eterno mistero del Cristo che vive nel cuore della sua Chiesa. Al ciclo delle feste di Cristo si accompagna quello delle feste di Maria.

Gli spiriti malevoli potranno vedervi una forma di " concorrenza "; le anime semplici e aperte all'amore vi leggeranno l'irradiazione della luce del Figlio sulla Madre.

Il quadro che segue è tratto da " Présence chrétienne ", rivista delle " Amitiés mariales " per gentile concessione della medesima (n. 106, pp. 10-11).

Dicembre

Dicembre celebra l'Immacolata Concezione della Vergine Maria e a Natale ella è presentata nel suo ruolo materno.

Gennaio

Gennaio, nel suo primo giorno, ci fa passare dalla Vergine Maria, madre di Gesù, alla Vergine Maria, madre di Dio. Ma poi subito ci riporta al presepe, in cui la Vergine Maria accoglie, nel giorno dell'Epifania, i magi che vengono ad adorare il suo bambino. Una cosa davvero stupenda questo passaggio dal mistero più alto alla realtà più umile. Solo la Vergine Maria può condurci per un cammino come questo.

Febbraio

Febbraio la vede salire al tempio di Gerusalemme per la sua purificazione e la presentazione di suo Figlio... e questo ricorda la sua prima apparizione a Bernadetta Soubirous, primizia della sua benefica presenza nella terra di Lourdes.

Marzo

Marzo si aureola dell'Annunciazione, preceduta di qualche giorno dalla festa di colui che fu il fedele compagno della Vergine Maria, il padre adottivo di Gesù: San Giuseppe.

Aprile

Aprile è muto come la Vergine ai piedi della croce.

Maggio

Maggio trionfa! Non in senso strettamente liturgico, ma per spontaneo sentimento di tenerezza popolare.

Tante sono le feste che sono nate, così, per devozione del popolo cristiano e sono state poi consacrate dalla Chiesa. Maggio... 31 giorni su 31 dedicati alla Vergine Maria... è veramente il mese più bello.

Giugno

E il mese che potrebbe chiamarsi il parente povero dell'anno mariano; in alcuni anni, tuttavia, vi si festeggia la Pentecoste che vide la Vergine Maria presente nel cenacolo tra gli apostoli e, dopo la festa del Sacro Cuore, quella del Cuore Immacolato di Maria.

Luglio

Maggio porta la festa delle madri, in luglio potremmo scoprirvi la festa dei nonni con san Gioacchino e sant'Anna, i genitori della Vergine Maria. È molto popolare anche la memoria di Maria Vergine del Monte Carmelo.

Agosto

Agosto esulta di gioia all'Assunta e si prosterna davanti alla Vergine Maria regina.

Settembre

Settembre... (nove mesi dopo l'Immacolata Concezione) canta la Vergine Maria nella sua nascita e piange i suoi sette dolori (l'indomani della festa dell'Esaltazione della Croce).

Ottobre

Ottobre l'invoca come Regina del Rosario... quel rosario che Papa Giovanni XXIII chiamava la " Bibbia del povero ".

Novembre

Novembre sembra dimenticarla, ma di tutti i santi e le sante... santa Maria non è forse la prima?

" SÌ, D'ORA IN POI TUTTE LE GENERAZIONI

MI CHIAMERANNO BEATA "

Questa felice traduzione rende bene l'espressione greca " idu gar " (in ebraico: " Hinneh ", in latino: " ecce enim ", letteralmente: " ecco dunque ") raramente usata nel Nuovo Testamento. La s'incontra, infatti, soltanto sette volte in Luca, nei due primi capitoli dell'infanzia, e una volta in san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (7,11). A prima vista l'espressione sembra strana sulle labbra di Maria che ha appena detto: " Perché ha guardato l'umiltà della sua serva " (Lc 1,48) ed ora annuncia un trionfo dell'avvenire. Non è forse una contraddizione parlare, all'inizio del versetto, di umiltà e poi terminare con l'annuncio di una gloria universale?

Questo versetto, come d'altra parte molti altri, s'illumina se messo a confronto con i testi biblici di cui è reminiscenza ed eco.

Promessa di felicità ...

Ciò che è veramente un segno e che dovrebbe diventare per la razza umana una ragione di fiducia è il fatto che da un seno verginale, il primo nato di tutte le creature divenne realmente carne, nacque bambino (San Giustino, Trifone, 84).

La Chiesa é, in fondo, una mamma... Non è un'associazione che recluti aderenti, facendoli suoi per un tempo, per mezzo di una firma in fondo pagina. Io devo dare il mio consenso all'essere cristiano, ma non è il mio consenso che mi fa cristiano: si tratta di un sacramento, cioè di un essere generato. Io sono di Cristo per dono, non per opinione; per concepimento, non per accettazione. In caso contrario, sono un mostruoso pelagiano, cioè un aderente che pratica il self-service e conduce da solo i propri affari (André Manaranche, J'aime mon Eglise, Le Sarment-Fayard, pp. 330-331).

La promessa di felicità attraversa tutta la Bibbia: quasi sempre la felicità annunciata è promessa non come qualche cosa che si guadagna con le proprie forze, per mezzo di ripetuti sacrifici, ma come offerta da Dio, dono gratuito. Maria, qui, non si vanta, ella loda Dio non per aver meritato la propria felicità, ma perché è Dio che gliel'ha concessa. Ciò che è cosa ben diversa.

Le sue parole sono eco a parole simili che si trovano nell'Antico Testamento. Per esempio, le parole di Lia, la moglie sterile di Giacobbe, quando può dargli un figlio. Notiamo, però, che Lia non gli dà un figlio direttamente, ma per l'intermediario di una serva. Ella esclama: " Per mia felicità! Perché le donne [le vicine] mi diranno felice " (Gn 30,13)

Così, Tobia che in terra d'esilio canta il trionfo di Gerusalemme: " Sorgi ed esulta per i figli dei giusti, tutti presso di te si raduneranno e benediranno il Signore dei secoli " (Tb 13,17).

Ed ancora, Malachia quando parla delle promesse di Dio al suo popolo: " Felici vi diranno tutte le genti, perché sarete una terra di delizie, dice il Signore degli eserciti ". (Ml 3,12).

Ma, attenzione! Maria non si accontenta di ripetere le belle formule dell'Antica Alleanza. Sulle sue labbra, queste parole assumono un significato nuovo. Maria non è come Lia, una donna sterile che ha la gioia di ottenere il figlio del miracolo mediante un'altra donna, ella è una donna vergine, ma feconda che, vivificata dallo Spirito Santo, concepisce, senza perdere la propria verginità, un vero Figlio, che è il Figlio del Padre, il Verbo fatto carne. Maria canta la sua felicità come Tobia e Malachia. Ella non la canta da sola, ma con tutto il suo popolo. Anzi, diventa il canto del suo popolo. Un popolo che canta con Dio. Con la parola di Dio. Maria può, dunque, riprendere il canto di Isaia: " Io gioisco pienamente nel Signore, l'anima mia esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliarte la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli " (Is 61,10-11).

Maria, infatti, non si rallegra soltanto per la liberazione futura di Gerusalemme, per il suo popolo un tempo esiliato lontano dal Tempio, ma perché il Salvatore è presente. E già presente.

Ella non si rallegra soltanto per un popolo, il suo popolo d'Israele, ma per tutti i popoli, cioè per tutti gli uomini di tutte le razze, di tutte le lingue, di tutte le nazioni, poiché il suo corpo è diventato ora, fisicamente, il Tempio di Dio, l'Arca dell'Alleanza del Verbo che si è fatto carne. La sua carne.

Quando ci si ricorda delle parole di Davide: " Come potrà venire da me l'arca del Signore? " (2 Sam 6,9), si comprendono meglio le parole di Elisabetta: " A che debbo che la madre del mio Signore [la nuova Arca dell'Alleanza] venga a me? " (Lc 1,43).

Maria, in questo versetto del Magnificat, precisa ed amplifica la beatitudine annunciata da sua cugina. Elisabetta aveva detto: " E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore " (Lc 1,45). Maria ora apre la via delle Beatitudini che saranno annunciate da suo Figlio all'inizio della vita pubblica.

Maria, dunque, non si vanta, ma loda Dio che le dà questa felicità, una felicità che farà la gioia delle generazioni del futuro e che alimenterà la loro lode a Dio.

Una felicità al femminile

Il ministro maschile partecipa a questo mistero perché è padre e non perché è un gerente. Certo, non è la propria vita che egli dona, né quella nella carne, né quella spirituale: per questo si preferisce che rimanga celibe e non si confondano le cose. Ma è proprio una vita ch'egli deve comunicare e non un'ideologia. Ne è reso capace grazie ad un sacramento, quello dell'Ordine, cioè per un atto divino che lo rende capace di ciò di cui non è capace, quasi espropriandolo di se stesso secondo l'espressione di Ratzinger. Allora giubila di soffrire anche lui i dolori del parto, finché il Cristo si sia formato nel cuore dei suoi fedeli (Gal 4,19). Questo è il tutto della mia vita di prete. Il resto  comandare, esigere, interdire  lo lascio a chi lo vuole: ciò mi disgusta profondamente.

Tanto il celibato concorda a perfezione con la predicazione della Parola e il ministero sacramentale, quanto discorda con la professione del funzionario (André Manaranche, op. cit., p. 331).

Questa felicità è quella di una donna. Una donna povera che riceve in sé l'infinito e non trattiene nulla per sé, ma dona tutto. Come Dio. L'evento che la concerne non è accaduto per la sua personale gloria, ma per la maggiore gloria di Dio. La sorgente della sua gioia è Dio. Il Signore della gloria ha scelto una donna povera, una piccolissima donna, per essere la sua serva.

Con Maria, oggi, come domani con Gesù, la povertà appare come un cammino di gloria, il cammino di Dio che viene ad abitare con gli uomini. Nel suo corpo di donna vivificato dallo Spirito, il Verbo, il Figlio unico del Padre, si fa carne.

Prima del Magnificat, gli uomini lodavano le donne per ragioni totalmente diverse: le si lodava per la loro bellezza, per la loro saggezza, per la loro scienza, per la loro ricchezza, per la loro influenza ed altro ancora forse. Ora, con Maria, nel suo Magnificat, si realizza la vera promozione della donna. E lo sguardo di Dio sulla piccolezza e la povertà di Maria che è una promozione: l'autentica.

La piccola Maria diventa una persona importante dal momento che Dio si sofferma a guardarla. A guardarla con amore. E lui, il Santo dei Santi, che compie in lei meraviglie: di una serva egli fa l'Arca dell'Alleanza, il Tempio della sua presenza. Di una donna senza apparenza fa la più grande santa, l'icona di Dio, del Dio povero, umile e fedele, pieno di tenerezza e di misericordia.

L'icona del Dio-Amore che, in Gesù, si fa Servo degli uomini. Di tutti gli uomini.

Così Max Thurian: " Il Magnificat, chiaramente, rende a Dio ogni gloria per le grandi cose ch'Egli ha compiuto nell'incarnazione del Figlio. La Vergine Maria non si attribuisce alcun merito, né alcuna gloria; ciò sarebbe in contrasto al suo spirito di povertà che non può far scudo alla gloria del Signore; ma poiché ella non è un semplice strumento impersonale dell'incarnazione, bensì la Madre di Dio, scelta, come persona, per dire il sì a questa maternità, ella può profetizzare, con profonda umiltà, che tutte le generazioni la proclameranno beata " (Marie, Mère du Seigneur, figure de l'Eglise, Presses de Taizé, p. 147).

Alla sorgente del Magnificat c'è un sì. Ma questo sì è un sì femminile. " La serva del Signore, nota André Manaranche, non è una sguattera ma una sposa che offre il suo corpo alla volontà del Padre: per un figlio, e null'altro... Ecco perché la persona che è capace di affrontare il Drago (Ap 12) è una donna incinta, e non una squadra di esorcisti: il solo modo, infatti, per vincere la Bestia è il mettere al mondo un Figlio, cioè, rispondere alla morte con la vita. Nulla di più pericoloso di una donna: ella non si accontenta di discutere o di combattere, ella partorisce dei figli " (J'aime mon Eglise, op. cit., p. 329).

Ecco perché porre Maria da parte, è chiudersi in una Chiesa al maschile, con i suoi regolamenti, i suoi organigrammi, i suoi timbri e le sue carte intestate. E uccidere la creatività. Le iniziative nascono dalla fede al maschile e al femminile, non dagli uffici o dalle commissioni.

Il doloroso problema della vocazioni ai ministeri nella Chiesa d'oggi sarebbe di molto facilitato se quello della fede dei credenti, al maschile e al femminile, non costituisse problema. Non c'è vocazione cristiana senza famiglie cristiane. E non ci sono famiglie cristiane senza evangelizzazione. Ma non c'è evangelizzazione, senza predicazione del vangelo prima di tutto con la testimonianza e poi con l'educazione cristiana sotto le sue mille forme concrete (catechismo dei fanciulli, e dei giovani; formazione permanente degli adulti; partecipazione ad una liturgia che sia viva; missioni parrocchiali, ecc.).

Concludiamo con queste parole di André Manaranche: " Se ci sono stati, nel secolo XVII, un Jacques Olier, un Vincenzo de' Paoli, un Giovanni di Brébeuf e tanti altri ammirevoli sacerdoti, non è per merito di una campagna di promozione organizzata da un segretariato, ma a motivo di quella "invasione della mistica" di cui parla il Brémont, a motivo di un'entrata nel Carmelo nel 1604, a motivo di innumerevoli missioni parrocchiali predicate da Luigi Maria Grignion de Montfort, da Giovanni Eudes e da Giovanni Francesco Régis. Non si raccoglie nulla su di un terreno che l'erosione ha distrutto. Maria è il terreno della Chiesa: questo suolo femminile in cui il Cristo si è inseminato. I coltivatori vengono dopo " (op. cit., p. 330).

Quanto felice era l'anima mia, madre buona,

quando avevo la gioia di contemplarti!

Amo tanto ricordare quei dolci momenti passati

sotto il tuo sguardo pieno di bontà e di misericordia per noi.

Sì, mia tenera Madre,

Tu ti sei abbassata fino a terra, per apparire ad una fragile fanciulla

e comunicarle alcune cose malgrado la sua grande indegnità.

Quale ragione d'umiltà per lei!

Tu, la Regina del cielo e della terra, hai voluto servirti

di ciò che c'è di più umile al mondo.

O Maria, dona a colei che osa dirsi tua figlia

questa preziosa virtù dell'umiltà.

Fa', o tenera Madre, che questa tua figlia ti imiti in tutto e per tutto.

In una parola, concedimi d'essere una figlia secondo il tuo cuore

e secondo quello di tuo Figlio...

(Magnificat di santa Bernardetta di Lourdes, in

Renè Laurentin, Marie, Mère du Seigneur, op. cit., p. 207)

MAGNIFICAT, LA PREGHIERA DEI POVERI

Maria non cambiava le frasi familiari apprese in casa e nella comunità. Tutt'al più le collegava diversamente, a modo suo. Ma l'evento tanto atteso quanto imprevisto della venuta del Messia, nella concezione verginale, danno alle formule antiche un significato inedito di misteriosa profondità (Cardinale Albert Deourtray, Magnificat. Neuf évêques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 176).

Quando la piccola Bernardetta Soubirous vide apparire nella insenatura della grotta di Massabielle la meravigliosa signora di cui non conosceva ancora il nome, il suo primo riflesso, dopo l'immediata emozione, fu quello di prendere il suo rosario per " passarlo ", secondo la sua espressione, cioè per sgranarlo. La piccola Bernardetta, come molte delle persone del suo tempo, pregava abitualmente con il segno della croce, il Padre nostro, l'Ave Maria e il Gloria di questa devozione popolare. Era la preghiera dei poveri del suo tempo.

Quando Maria sente Elisabetta che la saluta e risveglia in lei il ricordo del suo incontro con l'angelo Gabriele nel mistero dell'Annunciazione, naturalmente fa " passare " nella sua memoria e sulle sue labbra i salmi della pietà popolare che conosce a memoria per averli recitati di frequente. Era la preghiera dei poveri del suo tempo.

Il Magnificat appare, così, un tessuto di reminiscenze bibliche (cantico di Anna, citazione di Isaia, di Ezechiele ecc.) sul fondo dei salmi. Nella sua preghiera, Maria non ha la preoccupazione di espressioni d'arte: ella non cerca di comporre una preghiera originale con delle belle immagini ed una formula brillante. No, ella prega con le parole della sua preghiera abituale che erano quelle del piccolo popolo dei credenti. La Chiesa di Gesù, la Chiesa dei poveri, vi si è subito riconosciuta e ne ha fatto una delle sue preghiere quotidiane nei secoli.

D'altra parte, quando Gesù, suo figlio, una trentina d'anni più tardi, sentirà chiedersi da un discepolo: " Signore, insegnaci a pregare... " (Lc 11,1), non inventerà una preghiera del tutto nuova; riprenderà diverse delle formule tradizionali che facevano parte della preghiera quotidiana degli Ebrei praticanti. Ma ne farà una preghiera breve, semplice, a suo modo originale: il Padre nostro. Una preghiera di povero che mette l'accento sull'essenziale, una preghiera alla portata di tutti.

Le due più belle preghiere della Bibbia, la preghiera di Gesù e la preghiera di Maria, il Padre nostro e il Magnificat sono preghiere intessute di riminiscenze bibliche, preghiere di poveri, preghiere che non si possono recitare bene se non con un cuore di povero (cf il paragrafo che segue: " Il Magnificat e i Salmi "). Maria, così discreta nel Vangelo, proclama nel Magnificat la rivoluzione storica con la venuta del Salvatore: la misericordia del Signore si rivela nella fedeltà alla sua Parola... rovesciando la condizione ingiusta fatta all'uomo povero. Non con una rivoluzione politico-militare contro i ricchi, ma con una presa di posizione storica in favore dei poveri. La dignità dei poveri ne è esaltata. Martin Luther King lo ricordava non molto tempo fa: " Spesso si vede la Chiesa solo come un potere ostile ad ogni cambiamento; di fatto, ella custodisce un potente ideale che spinge gli uomini verso le più alte vette ed apre loro gli occhi sul proprio destino. Dagli angoli brucianti dell'Africa ai quartieri neri di Alabama, ho visto uomini alzarsi e scuotere le proprie catene: avevano scoperto d'essere figli di Dio e, perché figli di Dio, diventava loro impossibile sottoporsi ad alcun giogo ".

Il cantico di Maria esprime bene ciò che di più profondo c'è nella preghiera: non soltanto nella preghiera per comprendere con chiarezza ciò che si deve fare e per implorare la forza di compierlo, ma soprattutto la preghiera che contempla, meravigliata, la misericordia di Dio e che rende grazie per questa misericordia infinita alla ricerca del povero e del debole per colmarlo, salvarlo, esaltarlo. Cioè per divinizzarlo ad immagine e somiglianza del Verbo fatto carne, il Figlio di Maria, il Dio povero, Gesù il Cristo.

Per la loro stessa situazione i poveri sono aperti ad una particolare presenza di Dio e in naturale e diretta dimestichezza con il regno di Dio.

Dio li preferisce ai ricchi e ne fa i suoi protetti. È a loro che Gesù annuncia la Buona Novella.

Accolta dalle mani di Dio, la povertà può identificarsi con l'umiltà: è l'essere " poveri di cuore " nel più profondo di se stessi; senza questo, ogni ricchezza è un'illusione. Gesù si è identificato con il discepolo ed anche con ogni uomo nel bisogno, conferendogli la sua eminente dignità nel mondo.

Oltre al non tener conto della condizione sociale, occorre essere in continuo ascolto del problema posto dai poveri e scoprire in loro il volto di Cristo che si fa povero. Egli che è stato " dolce ed umile di cuore "...

(Xavier Léon-Dufour, "Pauvre", in Dictionnaire du Nouveau Testament, Seuil)

 Il Magnificat e i Salmi 

Magnificat

Salmi

L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.

Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalterò con azioni di grazie (Sal 68,31).

Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino (Sal 33,2).

Perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Beato l'uomo che teme il Signore... Egli dona largamente ai poveri (Sal 111,1-9).

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome. Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Mandò a liberare il suo popolo... Santo e terribile il suo nome (Sal 110,9).

La grazia del Signore è da sempre, dura in eterno per quanti lo temono (Sal 102,7).

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili.

Con braccio potente hai disperso i tuoi nemici (Sal 88,11).

Solleva l'indigente dalla polvere, dall'immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi (Sal 112,7).

Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ringrazio il Signore per la sua misericordia... l'affamato ricolmò di beni (Sal 106,9).

I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla (Sal 33,10-11).

Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d'Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio (Sal 97,3).

Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio... Egli è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati. Il Signore libera i prigionieri... Il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione (Sal 145,5-10).

 

5

GRANDI COSE HA FATTO IN ME

L'ONNIPOTENTE E SANTO È IL SUO NOME

Molti conoscono il bel poema di Marie Noël:

" L'anziana Elisabetta sulla sua porta fiorita

fila, ascoltando con gli occhi i passi lontani della sera...

Ecco venir Maria con la grande notizia:

Ciò che in lei, sette giorni or sono, è accaduto...

Improvviso il miracolo le loro anime smuove

e i loro corpi! Un fremito ha il silenzio intorno!

Lei, la giovane donna, e lei, la già anziana,

trasaliscono: i loro piccoli hanno tra loro parlato...

Impossibile! Eppur più vero d'ogni altra cosa, più vero

del sole che si vede. E il cuore di Maria

lo canta come a maggio il roveto...

Canta, per sempre tesa al di là della terra,

canta, perduta nel blu del cielo.

Più nulla ella sa, realtà, chimera...

se non che il suo Dio tutto può e che sarà madre ".

(Magnificat. L'oevre poétique, Stock, pp. 310-311)

Elisabetta benedice Maria: " Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! " (Lc 1,42). Quale la risposta della madre di Gesù? Risponde benedicendo, a suo turno, Elisabetta? No, Maria benedice Dio:

" L'anima mia magnifica il Signore

e il mio Spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente santo è il suo nome " (Lc 46-49).

E il Magnificat. Maria canta il suo grazie con tutta la sua vitalità e con tutto il suo cuore. A prima vista, queste parole non sembrano essere una vera risposta alla benedizione di Elisabetta, ma è soltanto a prima vista, perché i versetti iniziali del Magnificat fanno effettivamente riferimento alla situazione personale di Maria. Il versetto 48, per esempio: " D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata... " fa eco al saluto di Elisabetta: " Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore " (Lc 1,45). Il versetto 47: " Il mio spirito esulta in Dio mio salvatore... " è una forma di risposta al versetto 44: " Il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo ".

Michel Gourgues nota: " Sul piano del vocabolario, il Magnificat offre anche delle affinità con il racconto dell'Annunciazione " (Lc 1,26-38). Il versetto: " Ha guardato l'umiltà della sua serva " ricorda, infatti, la risposta data all'angelo: " Eccomi, sono la serva del Signore " (Lc 1,38). Così il versetto: " Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente " (Lc 1,41) si collega all'espressione: " La potenza dell'Altissimo " (Lc 1,35) e a quell'altra: " Nulla è impossibile a Dio " (Lc 1,37).

Non è esatto affermare che il Magnificat è stato artificiosamente inserito nel contesto di Lc 1. Si ha, anzi, l'impressione che, se c'è stato inserimento in un racconto già costituito, questo stesso o il cantico siano stati adattati proprio per tener conto di questa inserzione. Così come il Magnificat si presenta, è chiara l'importanza primaria ch'esso riveste... " (" Cahiers Evangile ", n. 80, p. 36).

" Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e santo è il suo nome... ", dice Maria. Maria magnifica Dio, non soltanto per ciò ch'ella è grazie a Dio, ma soprattutto per ciò che Dio ha fatto in lei. La traduzione del termine greco " megala " con la parola " meraviglie " come spesso si usa è bella, ma è più esatto dire " grandi cose ".

Questo termine ritorna spesso nei testi dell'Antico Testamento a proposito dell'azione di Dio. " Le grandi cose " fatte da Dio di cui parla l'Antico Testamento sono atti di liberazione e di vittoria: Dio libera il suo popolo. L'esempio tipico delle " grandi cose " compiute dal Signore è l'uscita dall'Egitto che numerosi salmi cantano e chi ha l'abitudine di recitarli può riconoscere nelle parole di Maria l'eco del salmo 111. " Grandi le opere del Signore... Santo e terribile il suo nome ".

Quali sono queste grandi cose, queste meraviglie?

Dio è infinitamente più Madre di tutte le madri, e il miracolo dell'Amore materno, anche in Maria, non è che un'eco di questa prima maternità divina. Ed è per questo che, invocandola, invochiamo, attraverso lei, la maternità divina; è Dio che, attraverso lei, chiamiamo " Mamma ". Ella raccoglie l'invocazione del nostro grido e lo fa salire fino a Dio (Maurice Zundel, inedito, tratto dalla predicazione di un ritiro nel Libano nel 1959).

Meraviglie in Maria ...

Benedetta sia quell'incarnazione.

Dall'alto dei cieli essa annuncia per noi la salvezza nel saluto che fu così dall'angelo pronunciato:

Rallegrati, Vergine Maria, piena di grazia, in sovrabbondanza.

Il Signore che tutto ha in signoria è con te, divinamente.

Benedetta tu sia tra tutte quelle che sono sotto il firmamento

perché il frutto che è nel tuo ventre è benedetto eternamente.

(Clément Marot, 1496-1544, La Salutation angélique)

Molti sono i passi della Bibbia in cui si parla delle " meraviglie " che Dio ha compiuto per il suo popolo: per esempio, la fine della schiavitù in Egitto, il ritorno dall'esilio di Babilonia, la quotidiana liberazione dei piccoli e dei poveri. Tutto questo costituisce le meraviglie realizzate da Dio. Cose grandi, molto grandi. Ma c'è qualcosa di più grande ancora: l'incarnazione di Dio nell'umanità. E la meraviglia che da vicino tocca Maria.

Il popolo di Dio nell'Antico Testamento attendeva un messia liberatore " per mettere fine all'empietà, mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquità, portare una giustizia eterna, suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi " (Dn 9,24).

I secoli sono passati. I profeti hanno taciuto. Improvvisamente il momento giunge. In Zaccaria ed Elisabetta, l'Antico Testamento tocca il suo termine con il loro figlio Giovanni Battista che apre la via a Gesù e danza di gioia nel seno di sua madre all'arrivo di Maria, la madre del Messia. Il Messia è giunto. Non si tratta di un altro profeta, di un eroe militare, un superuomo, no: si tratta di Dio stesso. Dio fatto uomo. Vero Dio e vero uomo. San Giovanni lo sottolinea all'inizio del suo Vangelo: " E il Verbo si è fatto carne ".

Questa incomprensibile e straordinaria meraviglia si realizza grazie al consenso di Maria. Stupefacente ancora di più è il contrasto di questo con la povertà, l'umiltà, la piccolezza di Maria, l'ancella: Maria non aveva nulla ed ora è colmata da Dio.

Non era nulla e non poteva nulla: ora è quanto di più potesse sognare una donna d'Israele, ella è la madre del Messia, il Salvatore Gesù. Ella stessa diventa la meraviglia dell'amore di Dio per mettere al mondo questa inattesa meraviglia dell'amore di Dio per gli uomini, Gesù, il Figlio del Padre che diviene suo figlio.

Solo Dio, l'Onnipotente, il Vincitore che domina la storia per mezzo dei suoi grandi interventi (non il Dio dei morti ma il Dio dei vivi, cf Mt 22,29-33) e che, tuttavia, innalza gli umili, cioè rimette in piedi colui che come un povero seduto a terra tende la mano per ricevere, solo Dio poteva immaginare e realizzare questa meraviglia del suo amore.

Come ti chiameremo, o piena di grazia?

Cielo:

perché hai fatto sorgere il sole della giustizia.

Paradiso:

perché hai fatto germinare il fiore dell'immortalità.

Vergine:

perché sei rimasta inviolata.

Madre pura:

perché hai stretto tra le tue braccia sante, come figlio, il Dio di tutti.

Supplicalo perché salvi le nostre anime!

(Anonimo, Inno del V-VI secolo, Louanges mariales, ed. Paulines, 1981, p. 42)

Meraviglie per noi ...

Maria ha ragione di rendere grazie, di cantare la sua gratitudine. E di cantarla a nome di tutti. Ma noi? Siamo, noi, all'unisono con Maria? Siamo riconoscenti a Dio di ciò che ha fatto per gli uomini? Consideriamo le meraviglie che il Signore ha compiuto per noi? Nella nostra storia personale, nella nostra vita di famiglia, nella comunità degli uomini di cui facciamo parte, nella Chiesa di oggi?

Il Magnificat ci strappa al potere che esercitano le sconvolgenti notizie che annunciano la televisione e gli altri mezzi di comunicazione, e ci invita a guardare ciò che di buono c'è nel mondo, cioè le meraviglie che Dio fa per noi oggi. Per noi e con noi. Il Magnificat ci invita a rendere grazie come Maria, a vivere come Maria, ad agire come lei e in unione a lei. Ella è la Vergine eterna, la Sposa eterna, la Madre eterna.

Prima di Maria, Israele aveva camminato tra le lacrime e nel sangue per secoli, in Egitto, nel deserto, fino alla Terra promessa. Israele sapeva d'essere la nazione della Promessa e del Promesso, il Messia atteso, della generazione di Abramo e di Davide. Sotto gli occhi di Maria, Israele diventa la culla dello straordinario evento.

" Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente ", ripete Maria. Per la Vergine di Nazaret, non si tratta di inorgoglirsi per ciò ch'ella è, ma di essere riconoscente per ciò che Dio ha compiuto. Di ciò che Dio le dà. Il Signore l'ha guardata, l'ha scelta e le ha fatto dono di suo Figlio: egli ha affidato colui che è il Figlio del Padre ad una donna povera d'Israele. Dio ha voluto questo. Per questo Maria canta nella pienezza del suo cuore.

Ma se Dio, padre di tutti gli uomini, ha dato a Maria suo Figlio, il suo unico, il Verbo che era al principio, che era Dio, egli l'ha fatto perché, attraverso Maria, suo Figlio fosse dato a tutti gli uomini ieri, oggi, domani e per sempre.

Il dono che Maria ha ricevuto da Dio, la meraviglia delle meraviglie, suo figlio Gesù, questo dono, Maria ce lo ha subito donato. Ella lo ha dato alla Chiesa di suo Figlio. Prima in silenzio, nel suo cuore; poi, di fatto, sotto la croce.

Il Magnificat di Maria non canta ancora la Risurezione, ma rivela il senso degli avvenimenti che condurranno alla Risurezione: Maria esulta in Dio suo salvatore, in Dio suo Gesù [Gesù, cioè " Ieshua ", Dio salva], Maria gioisce delle grandi cose che si svolgono nella casa di Zaccaria ed Elisabetta. Esultante per il messaggio dell'angelo che le ha conferito un nuovo nome, in greco " Kekaritomenê ", " piena di grazia " (Lc 1,28), Maria, divenuta madre del " Figlio dell'Altissimo " (Lc 1,32) il cui " regno non avrà fine " (Lc 1,33), rende umilmente grazie a Dio " perché ha guardato l'umiltà della sua serva " (Lc 1,48).

L'umiltà è il posto scelto da Maria: un piccolo posto ma insostituibile nella storia della salvezza degli uomini. Un teologo protestante, S. Benko (Protestants, Catholics and Mary, Malley Forges, Judson Press, 1968, pp. 129-144) ha scritto che Maria è il principio della " kenosi " (dell'abbassamento) del Cristo, ricavando questo concetto dalla Lettera di Paolo ai Galati (4,4). Dio ha bisogno della povertà e dell'umiltà di Maria per abbassarsi a livello dell'uomo.

Si può dire, contemporaneamente, che Maria è il capolavoro di Dio che sceglie una donna, questa donna, per introdurre il suo unico Figlio nell'umanità, per partecipare e cooperare alla salvezza universale.

Maria non è soltanto il capolavoro di Dio, ma è anche il capolavoro dell'umanità per il suo " sì " libero e responsabile al grande progetto della Nuova Alleanza proposto da Dio. Questo " sì " è un " sì " vero, fedele dall'Annunciazione di Nazaret fino ai piedi della croce di suo figlio sul Golgota.

Il Magnificat ci ricorda che, fin dall'inizio della sua missione di madre del Messia, la Vergine Maria ha pensato al suo popolo, al mondo intero, a noi tutti, uomini e donne di oggi. Comminciando da Maria, Dio farà felici tutte le generazioni future di credenti: " Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente ", cantava Maria. " Il Signore opera per noi grandi cose ", canta la Chiesa d'oggi.

Ecco perché il Magnificat di Maria ci riguarda. E la nostra preghiera. Maria ha pronunciato questo cantico in nome nostro e per noi. Tocca a noi riprenderlo e sentirlo nostro.

Il Magnificat non è forse l'inno dello stupore e l'inno della speranza? Stupore di Maria e del popolo cristiano di fronte a ciò che il Signore compie in lei e compie nel suo popolo, in tutti i popoli della terra.

Inno di speranza che raggiunge e supera il cantico di Anna, la donna sterile ed umiliata che diviene la madre di Samuele; inno di speranza in cui si ritrova lo splendore delle più belle parole dei salmi, di Giobbe e dei profeti.

Il Magnificat canta l'atto decisivo della salvezza: la venuta di Gesù per vincere il male e... far trionfare l'amore.

Oggi, la Salvezza è in corso di realizzazione, il trionfo è sicuro, ma molto ancora resta da fare. Il Signore vuole avere bisogno di noi; l'esempio di Maria ce lo rivela.

Il Magnificat è l'appello a tutti coloro che desiderano consacrare le proprie energie a costruire, cominciando oggi stesso, una civiltà dell'amore in questo mondo.

Non è forse il progetto di evangelizzazione per il 2000? Sì, ma per riuscire nel progetto occorre il cuore, un grande cuore.

Il Magnificat ce ne fa ripetutamente dono perché è invito ad attingere alla sorgente: il Dio-Amore la cui Onnipotenza rende possibile una missione, per sé impossibile. Oggi stesso, per la gioia di tutti. Cominciando dai più poveri.

Tra i santi, il primo posto spetta a Maria, la madre di Dio, sempre vergine.

Immacolata fin dall'origine, ella ha detto sì in nome di tutta la razza umana. Nel suo fiat, è in azione lo Spirito nella pienezza della sua perfetta santità quale egli dispiegherà, attraverso i tempi, nella Chiesa. Elevata nella gloria, accanto a suo Figlio, nella sua gloriosa assunzione, ella rimane vicina a ciascuno di noi ed ancora appartiene alla famiglia umana, e prega per noi, maternamente, adesso e nell'ora della nostra morte (I Vescovi francesi, Il est grand le mystère de la foi, Centurion, p. 73).

Lo sguardo della Vergine è il solo sguardo veramente fanciullo, il solo sguardo autenticamente infantile che si sia mai posato sulla nostra vergogna e sulla nostra infelicità.

Sì, mio caro, per pregarla bene bisogna sentire su di sé questo sguardo che non è quello dell'indulgenza  perché l'indulgenza è sempre, in qualche modo, collegata ad un'esperienza amara  ma quello della tenera compassione, della dolorosa sorpresa, di un indefinibile sentimento inconcepibile ed inesprimibile che fa di lei la più giovane della razza a cui appartiene. Anche se Madre per grazia e Madre delle grazie, ella è la cadetta del genere umano (Georges Bernanos, Diario di un curato di campagna).

 Il Magnificat in famiglia  La Lettera alle famiglie di Giovanni Paolo II il 2 febbraio 1994 ha, in quell'anno, attirato l'attenzione del mondo intero su questa " cellula vitale della grande famiglia umana " (n. 4).

La famiglia è, per sua natura, il luogo dell'amore: dell'amore condiviso, dell'amore fecondo, dell'amore celebrato in tante feste familiari. E anche amore rinvigorito dalla preghiera in comune. Il Magnificat di Maria è in armonia con questa preghiera di tipo familiare. Non è forse la famiglia cristiana una forma di chiesa domestica? E, infatti, scuola quotidiana di fede, di amore e di speranza. La testimonianza di una coppia, qui di seguito riportata, ce lo ricorda (Cahiers marials, 80, rue de la Tombe-Issaire, 75014, Parigi).

Magnificat. Questo canto d'aurora è il nostro canto serale. La giornata estenuante è finita. Separati molto presto, al mattino, dal nostro lavoro prefessionale, ci siamo ritrovati nel tardo pomeriggio, ma impegnati ancora l'una nei lavori domestici e l'altro nei compiti di scuola dei bambini. La cena ci ha permesso qualche scambio di notizie e ancora l'impegno, spesso lungo e laborioso, del mettere a letto i bambini. Siamo finalmente soli a notte iniziata nell'intimità della nostra camera. E l'ora del Magnificat. Le nostre anime si congiungono nel canto di Maria che corona la nostra preghiera serale.

All'inizio, è la lode che lasciamo scendere liberamente in noi. La lode ci alleggerisce. Ci pone in un clima di stupore che è il clima normale dell'amore. Allora la nostra anima, in comunione, magnifica il Signore. La nostra anima comune, maturata nel corso degli anni attraverso le gioie e le difficoltà condivise, ricompare in superficie attratta da questo Magnificat. La nostra giornata decanta le proprie scorie. Siamo stati fedeli al nostro amore. Forse dei piccoli intoppi, delle piccole incomprensioni, delle parole troppo vivaci, dei silenzi un po' imbronciati, delle mancanze di attenzione egoiste. Ma, malgrado questo, siamo rimasti fedeli all'amore. Rimettendoci insieme davanti a Lui, le nostre imperfezioni scompaiono. Il suo sguardo che ci perdona ci pone nel reciproco perdono. La lode ci purifica. Sentiamo risuonare, nella ripercussione in noi delle parole ispirate, il puro metallo della nostra profonda intesa. E la gioia sgorga di nuovo.

Il nostro spirito esulta in Dio nostro Salvatore. Chi può esprimere questa felicità intima, più forte di tutte le preoccupazioni e di tutte le prove, che salda questi due figli riuniti sotto lo sguardo del Padre? Le nostre stesse diversità, irriducibili, si accordano nell'armonia di uno slancio identicamente orientato. Guardiamo insieme nella stessa direzione, verso Dio nostro Salvatore.

Ha guardato l'umiltà della sua serva. Dio si curva questa sera sui suoi umili servi. Certo, non sempre docili. Noi abbiamo la cervice dura, come i nostri padri. Non sempre siamo capaci di rispondere con la prontezza gioiosa di Maria agli annunci celesti. Facilmente ci accade di abbandonare la via stretta della volontà divina per i sentieri liberi delle nostre personali attrattive.

Ma, in unione con la serva perfetta, possiamo, in questo momento, raggiungere, con un colpo d'ala, l'atteggiamento del perfetto servitore, del Cristo Gesù che il Padre amorosamente guarda. La sua volontà ritorna ad essere il nostro cibo. Così, a poco a poco, nel corso delle serate, la mano nella mano, ci sforziamo di camminare verso quella perfezione della coppia cristiana che Dio vuol costruire con la nostra fragile argilla.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Lo diciamo a nostra volta, anelli di quella catena di generazioni cristiane, intenti a mantenere il nostro posto di vedetta, e di ripercuotere l'acclamazione. Noi sappiamo che, così, noi stessi raggiungeremo la beatitudine.

Maria beatificata dalla sua fede: beata colei che ha creduto. Noi intimamente beatificati dalla nostra fedeltà, che è accoglienza del dono che Dio incessantemente ci fa: lui, il Dio fedele, eternamente.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente. Grandi cose per Maria: la fecondità divina ed umana.

Grandi cose per la nostra coppia: la fecondità dai molti aspetti. Il nostro amore che ci ha permesso di maturarci reciprocamente. Le adozioni che ci hanno fatti due volte, e presto tre volte genitori: sta, infatti, per arrivare, dal profondo dell'India, una piccola sconosciuta che ci chiamerà mamma e papà. Questi i nostri modesti tentativi di annunciare la Buona Novella la cui eco nel segreto delle anime è conosciuta da Dio solo. Che ne sia il solo glorificato, lui che ha fatto grandi cose. Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome sia data gloria. Perché santo è il suo nome. Fa', Signore, che di fronte alle meraviglie che compi nella nostra debolezza noi rimaniamo sempre due figli in stupore.

Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Quanto la nostra coppia è sensibile a questa fedeltà dell'amore di Dio per i suoi! Proprio perché siamo una coppia, cioè un'area di ricambio della carovana umana che viene dal lontano passato fino a noi e da noi riparte verso il lontano avvenire. Perché abbiamo ricevuto la rivelazione stupenda dell'amore reciproco, che permane anche nell'usura del tempo. Perché nel faccia a faccia di quel nostro primo incontro, di quel dono totale reciproco Cristo era presente nella parabola dell'amore di Dio per il suo popolo che, di età in età, si stende su coloro che l'accolgono. Ora che siamo entrati nel meriggio della nostra vita, Signore, il tuo amore ci accompagni senza venir meno mai, come la colonna di nube e di fuoco con cui hai scortato il tuo popolo verso la terra promessa.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Pur permanendo in presenza del Signore, il nostro sguardo abbraccia ora questo mondo in cui viviamo. Questo mondo in cui regnano i superbi, i potenti e i ricchi. Non li invidiamo, perché sapiamo che Dio disperde i superbi, rovescia i potenti dai troni, rimanda i ricchi a mani vuote. Perdoniamo loro i torti che possono averci fatto: è impossibile, infatti, non avere occasione, un giorno o l'altro, d'imbatterci in loro, non fosse altro che nell'ambito di un'amministrazione tirannica ed irresponsabile. Noi compatiamo la loro sorte, che è brillante agli occhi degli uomini, ma non sappiamo che ne sia del loro cuore profondo davanti a Dio. Preghiamo per loro che ne hanno molto bisogno: non fanno essi forse parte di quella potenza e di quella gloria che sono nelle mani del Principe di questo mondo e ch'egli distribuisce a chi vuole?... Anche noi, certamente, siamo tentati come gli altri nei confronti di quei beni che la nostra società moltiplica e fa brillare ai nostri occhi. Non sempre resistiamo a questo miraggio. Ma ogni sera, con il cantico di Maria, la grande realtà delle Beatitudini ritorna con forza e cancella le attrattive illusorie ravvivando in noi il desiderio profondo d'essere tra i poveri che Dio ama, quegli umili che innalza, quegli affamati che ricolma di beni. Tra coloro che pongono il loro appoggio non nelle risorse umane, ma in Dio solo, nostra Roccia.

Ricordando questo popolo dei piccoli e dei provati, la nostra camera si riempie di volti conosciuti. Nella nostra preghiera raccogliamo tutte quelle miserie che ci hanno assalito come una nera marea durante la giornata: quella mamma di sei bambini entrata in coma, quella giovane vicina che ha la leucemia, quella coppia di amici che è in discussione... e, dietro a loro, tutta quella folla di ombre martirizzate che affluisce dal mondo intero attraverso i mass-media e che spacca i nostri muri e i nostri cuori col peso della miseria umana. Li offriamo, con le nostre braccia, al Signore unendoci a Cristo che intercede continuamente per noi perché crediamo che soccorre Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendanza, per sempre.

Si chiude così la nostra preghiera dilaniata dalla croce dello spazio e del tempo. Suprema intimità della nostra coppia che riprende forza davanti a Dio. Intimità autentica che ci apre verso l'immensità del mondo degli uomini perché li possiamo presentare, con Maria, attraverso il suo Figlio unico mediatore, all'indefettibile tenerezza del Padre che si ricorda della sua misericordia. A Lui onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Jean et Annick Allemand

" Chant de Marie et Chant de l'Église,

meditation " (in Cahiers marials, n. 113, pp. 177-179)

SANTO E IL SUO NOME!

In ogni Messa noi cantiamo, o almeno recitiamo: " Santo! Santo! Santo, il Signore Dio dell'universo... ". E nel Gloria, una delle più antiche preghiere cristiane  che, d'altra parte riprende una tradizione biblica , noi proclamiamo:

" Tu solo il Santo, tu solo il Signore,

tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo:

con lo Spirito Santo nella gloria di Dio Padre ".

Abbiamo ugualmente l'abitudine di parlare del santo Vangelo, della santa comunione, della settimana santa, ecc. Sappiamo che tutti i cristiani sono chiamati alla santità, e che, più precisamente, sono chiamati " santi " in virtù del loro battesimo, come Gesù che è il " Santo di Dio " (cf Mc 1,24; Lc 4,34): " Ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: voi sarete santi, perché io sono santo " (1 Pt 1,15).

Qual è dunque il vero senso di questa parola che viene usata in diversi modi?

Santo...?

I santi sono persone come noi, ma sono più di noi sospinti dall'amore (M. Pouget).

C'è la bellezza e ci sono gli umiliati. Qualunque siano le difficoltà dell'impresa, vorrei non essere infedele né all'una né agli altri (Albert Camus, L'été, Retour à Tipasa, Gallimard, p. 160).

Diversamente dalle vittime e dal culto dell'Antico Testamento che purificavano gli Ebrei soltanto esteriormente (Eb 9,11-14; 10,10), il sacrificio di Cristo santifica i credenti " in verità " (Gv 17,19) comunicando loro veramente la santità. I cristiani partecipano realmente alla vita del Cristo risorto con la fede e con il battesimo che conferisce loro " l'unzione che viene dal Santo " (1 Cor 1,30; Ef 5,26; 1 Gv 2,20). Essi sono santi come Cristo (1 Cor 1,2; Fil 1,1) per la presenza in loro dello Spirito Santo (1 Cor 3,16; Ef 2,22); essi, infatti, sono battezzati nello Spirito Santo, come Giovanni Battista aveva annunciato (Jules de Vaulz, " Saint " in Vocabulaire de théologie biblique).

La parola " santo " è certamente spesso sinonimo del termine " sacro ". Questo è il caso di quando la si usa per indicare oggetti sacri: un tempio sacro, i libri sacri, gli olii sacri... Così, si distinguono dei tempi sacri: la settimana santa, per esempio. Ma, applicato a Dio, il termine " santo " ha un significato particolarmente forte. Per comprendere meglio il Magnificat e, particolarmente, il versetto 49, basti ricordare che la religione d'Israele adorava in Dio, con molta precisione, il " Santo ". Dio solo è il " Santo ", dichiara Isaia (40,25; 45,11). E Osea fa dire al Signore: " Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non un uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira " (11,9). Ma gli Ebrei davano a Dio anche altri nomi: " Dio Onnipotente ", " Dio di tenerezza e misericordia ", ecc... Tutto l'Antico Testamento è interamente dominato dall'idea che Dio solo è veramente santo, è il " Santo ". Nessuna creatura può varcare l'infinita distanza che separa da Dio, l'Unico, l'uomo, sua creatura. Dio solo è santo in due sensi strettamente collegati: Dio è l'autentico " Altro ", l'altro rispetto a noi peccatori, ed è l'inconoscibile, l'insondabile. Dio, tuttavia, è anche colui che si fa vicino, che si comunica, che parla agli uomini, che dona, che perdona e, infine, che si mostra in Gesù Cristo: " Chi vede me, vede il Padre ". Dio è autenticamente l'Altro eppure è vicino perché è amore.

Il Nuovo Testamento parla poco della santità di Dio, ma molto della santità dei suoi discepoli. E questo è comprensibile. Il Nuovo Testamento non è stato scritto come dissertazione su Dio, ma come racconto di ciò che lo concerne. Non è l'esposto di una dottrina, ma una storia, la storia di Gesù venuto tra gli uomini per rivelare chi è Dio ed offrire loro la salvezza, cioè la santità di Dio, l'amore di Dio e la felicità di Dio da condividere oggi, domani e sempre.

Il Nuovo Testamento non è soltanto una storia, ma è anche un programma. Un programma da realizzare. Il Concilio Vaticano II lo ha felicemente ricordato a tutti i cristiani, non soltanto ai vescovi, ai preti, ai religiosi e alle religiose, ma ai laici: " Il Sacro Concilio scongiura... nel Signore tutti i laici, a rispondere volentieri, con generosità e con slancio di cuore, alla voce di Cristo che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e lo accolgano con alacrità e magnanimità. E il Signore stesso infatti che ancora una volta, per mezzo di questo santo Sinodo, invita tutti i laici ad unirsi sempre più intimamente a Lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di Lui (cf Fil 2,5), ad associarsi alla sua missione salvifica.

E ancora Lui che li manda in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cf Lc 10,1); affinché gli si offrano come cooperatori nelle varie forme e modi dell'unico apostolato della Chiesa, che deve continuamente adattarsi alle nuove necessità dei tempi, lavorando sempre generosamente nell'opera del Signore, sapendo bene che faticando nel Signore non faticano invano (cf 1 Cor 15,58) (Decreto sull'apostolato dei laici, n. 33).

Il Nuovo Testamento ci rivela in maniera straordinaria l'audacia di questa santità di Dio: Dio è il Santo, da sempre e per sempre, ma si è fatto uomo in Gesù. Lui, l'Eterno, è entrato nella nostra storia per renderci simili a lui, santi come lui. " Santo servo " di Dio (cf At 4,27-30), Cristo è per eccellenza il " Santo " come Dio. E questa santità gli fa amare i suoi fino a comunicare loro la sua propria gloria ricevuta dal Padre, a donare loro lo Spirito Santo col sacrificio della sua vita sulla croce: " Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati... " (Gv 17,19-24). Con il dono dello Spirito Santo, l'uomo è divinizzato.

Certo, l'uomo non è Dio per natura. Per natura l'uomo è tutt'altro che Dio, perché debole e peccatore. Ma per grazia può partecipare alla vita, alla felicità e all'amore di Dio. E divinizzato per grazia. Per grazia diviene un uomo nuovo ad immagine del Cristo risorto, santificato, glorificato e che pur porta i segni dei chiodi.

Per realizzare questo straordinario progetto di divinizzazione dell'uomo, " il Verbo si è fatto carne " (Gv 1,14), Dio si è fatto uomo. L'angelo lo aveva annunciato a Maria: " Colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio " (Lc 1,35). Maria, nel suo Magnificat, si fa eco di questa rivelazione usando le parole del popolo d'Israele che indicano Dio: " Santo è il suo nome ".

...il suo nome?

Come si potrebbe parlare dell'amore se ti si dimenticasse, o Dio dell'amore da cui proviene ogni amore nei cieli e sulla terra? Tu che nulla hai risparmiato, ma tutto donato nel tuo amore. Tu che sei l'amore, in modo che colui che ama non è ciò che è se non perché è in te!

Come sarebbe possibile parlare bene dell'amore se ti si dimenticasse, tu che hai rivelato ciò che è l'amore, tu, nostro Salvatore e nostro Redentore che hai donato te stesso per riscattare tutti? Come sarebbe possibile parlare bene dell'amore se ti si dimenticasse, tu Spirito d'amore, tu che nulla prendi di ciò che ti spetta, ma che ricordi quel grande sacrificio d'amore, che ricordi al credente di amare come è amato e di amare il suo prossimo come se stesso? Amore eterno, tu sei onnipresente e porti la tua testimonianza ovunque tu sia invocato.

Ed è vero che poche sono le opere che la lingua umana meschinamente distingue e chiama opere d'amore; ma per il cielo, non c'è atto che sia accetto se non è opera d'amore, sincera nella sua abnegazione e compiuta sotto l'impulso dell'amore, perciò senza che se ne rivendichi il merito (Söeren Kierkegaard).

Nella lingua ebraica dell'Antico Testamento, il nome, lungi dall'essere una semplice designazione convenzionale, esprime la persona, il ruolo di un essere nel mondo.

Ecco perché Dio, all'inizio della creazione, dà un nome al giorno e alla notte, al sole, alla luna, e alle stelle. Ecco perché invita l'uomo a dare un nome agli animali. Dare un nome significava affidare a qualcuno una missione. Cambiare il nome a qualcuno era, per il fatto stesso, imporgli una nuova personalità, una nuova missione da compiere nel mondo. Nel libro della Genesi (17,5) cambiando il nome di Abram  che significava: egli è grande, di nobile stirpe  in quello di Abraham  padre di una moltitudine  Dio assegna a quell'uomo un nuovo destino. Egli non sarà più soltanto un grande tra i grandi di questo mondo, ma il Padre di un popolo di credenti. Così Gesù. Quando egli chiama Simone  tale era il suo nome di famiglia  e dichiara che d'ora in poi si chiamerà: Cefa, Pietro, Gesù gli affida una missione precisa, nuova: " E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa " (Mt 16,18).

Quando, però, Mosè chiede a Dio di rivelargli il suo nome, Dio risponde in maniera misteriosa: " Io sono colui che sono ". Forse è possibile interpretare così questa risposta: questo non ti riguarda. Albert Gelin preferisce tradurre: " Io sono qui, cioè io sono con voi, per voi... Io salvo ". Ciò che dimostra il seguito del racconto: Dio interviene in Egitto per salvare il suo popolo.

La risposta a Mosè, formulata in terza persona, ha costituito il termine Ihwh: " Egli è ". Egli è... colui che l'uomo non può nominare, l'Altro assoluto, ma che è qui... per me, per voi, per noi.

Più tardi, quando questo nome sacro diventerà il nome di Dio, gli Ebrei non oseranno più pronunciarlo e decideranno di sostituirlo con quello di Signore. E questo termine della traduzione dei Settanta che troviamo nella liturgia della Messa, nel lezionario; esso ha il vantaggio di rispettare la sensibilità degli Ebrei che non pronunciano mai il termine Ihwh e di segnare un considerevole progresso teologico, poiché Ihwh è il Signore; Dio è il Cristo, il Signore risorto.

Se si apre la Bibbia di Chouraqui (un ebreo che ha fatto la traduzione francese dell'Antico Testamento dal testo ebraico) si può notare che il termine Ihwh appare ogni volta sostituito da un altro termine, " Adonai ", che significa " il Signore ", " il mio Signore ".

Certo, Dio è l'Onnipotente che illustra la storia con i suoi clamorosi fatti, come un valoroso e vincitore guerriero. Ma questo titolo contrasta con la discrezione, il silenzio, l'umiltà di Maria, la serva del Signore. Contrasta anche con i potenti di questo mondo del versetto che segue: " Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente... ha rovesciato i potenti dai troni... " (52).

Il nome di Dio è dunque misterioso come la natura stessa di Dio. Il nome di Dio è Dio stesso, la sua realtà trascendente che supera l'uomo. Veramente " Santo è il suo nome ".

Siamo giunti al cuore del Magnificat. Tutto converge verso questa affermazione che è la conclusione della prima parte del cantico in cui Maria esalta il Signore perché ha fatto " grandi cose " in lei, per lei e per il mondo. Questa affermazione illumina i versetti seguenti: la potenza di Dio si manifesta nella liberazione dei poveri e nella salvezza data al popolo d'Israele e a tutti i popoli dell'universo. Questa liberazione produce in Maria la gioia che vibra nel suo Magnificat. Questa preghiera non è forse un braciere d'amore e di giubilo?

Possa la nostra preghiera infiammarsi al suo contatto e possiamo noi divenire, come Maria, focolai di amore e di gioia per quelli che ci circondano.

Di Maria ce n'è una sola che sia l'unica al mondo. Ma è un piccolo nome breve che quando vogliamo esprimere tutto l'amore è troppo presto pronunciato. È già detto prima di avere avuto il tempo di cominciarlo. Per questo, si sono inventati mille nomi d'amore, dei nomi come quelli con cui, in segreto, si chiamano gli innamorati; sono nate così tutte le Madonne di... di qualcuno o di qualche cosa, nascoste al riparo, in fondo ai paesi come altrettanti luoghi di appuntamento d'amore... (Jean Debruyne, La Pastorale de Cucuron).

 

 

 

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DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

LA SUA MISERICORDIA

SI STENDE SU QUELLI CHE LO TEMONO

Domani la misericordia di Dio si leverà più presto del sole (Antico inno).

La misericordia di Dio scende sempre più in basso di quanto cada la miseria dell'uomo (Gustave Thibon).

Con questo versetto iniziamo la seconda parte del Magnificat. Il punto di partenza della preghiera di Maria, ciò che la fa sgorgare, è la straordinarietà della grazia di cui è oggetto. E naturale, quindi, che parli di se stessa: la " mia " anima, il " mio " spirito, " mi " chiameranno beata, grandi cose ha fatto " in me " l'Onnipotente. Si tratta di una lode ed anche di un'azione di grazie.

Qualche cosa di meraviglioso è avvenuto nella vita di Maria e la sua preghiera risale alla sorgente della sua felicità, è l'azione di Dio che è cantata: l'amore di Dio ha posato il suo sguardo su di un'umile creatura che, meravigliata, lascia sfogo al proprio stupore.

La grande apertura

Nulla, dunque, nella preghiera di Maria che assomigli all'atteggiamento di chiusura del fariseo nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9) in cui colui che prega si pone al centro e prende Dio a testimone della propria virtù servendosi del povero come di sgabello per il proprio orgoglio. Maria è soltanto apertura. E vero ch'ella canta: " Tutte le generazioni mi chiameranno beata " e questo può sembrare audace sulle labbra di una giovane sconosciuta del perduto paese di Nazaret. Maria ne è consapevole?

Sì, lo è, e l'audacia inverosimile di queste parole si risolve infatti e si pacifica nella proclamazione trionfale della santità di Dio e del suo Nome che conclude la prima parte del Magnificat: a Dio la gloria in tutto e per tutto: " Santo è il suo nome ".

Il contenuto della seconda parte di cui stiamo per parlare, conferma questa conclusione.

Malgrado l'eccezionalità del suo destino, Maria non pone la propria persona in mostra; la madre di Gesù per esprimere il suo pensiero attinge le parole nel fiume dei testi biblici, un lungo fiume pacifico di venti secoli che ci rivela il Dio amore. Di questa rivelazione ella fa una rilettura breve e forte. Maria ci appare aperta e solidale.

Apertura sul passato: le generazioni che l'hanno preceduta già erano avvolte da quell'amore. Ciò che le accade ne è un nuovo e decisivo segno (questo, per il presente) che si ripercuoterà sulle generazioni che verranno (questo, in prospettiva del futuro).

Maria si collega col passato e con l'avvenire: è solidale!

Ella è la conclusione del cammino di un popolo e sta per realizzare quello che Isaia indicava come il germe di un popolo nuovo, il " popolo che Dio ama ".

La ricchezza di una parola...

La misericordia... non deve essere confusa con una pietà puramente emotiva che si scatena come riflesso alla vista di una miseria e comporta il trattare l'altro come assistito o a dargli qualcosa  magari dei soldi  per levarsi d'attorno un fastidioso spettacolo.

L'uomo moderno rifiuta d'essere l'oggetto di questa pietà  passeggera o permanente che sia  perché debilitante.

Vissuta dal Dio di Gesù Cristo, la misericordia è un atteggiamento dell'essere profondo che smuove l'essere nelle sue viscere... un'attenzione non fittizia, ma prolungata nel tempo e con mezzi idonei a soccorrere, come il Buon Samaritano (Lc 10,29-37) (André Manaranche).

Dio ama. " Dio è amore ": è il sigillo e la vetta della rivelazione di cui parla san Giovanni nella sua prima Lettera (1 Gv 4,8-16). Ma non è soltanto su questo amore, che definisce meglio l'essere di Dio in se stesso  Padre, Figlio e Spirito Santo , che il Magnificat si sofferma, ma sull'amore di Dio per gli uomini.

Per dire questo amore, le traduzioni usano diverse parole: " amore ", " bontà ", " misericordia ", che si rifà alla Volgata latina. Forse questo termine è poco usato dalla lingua corrente, ma ha un significato profondo, divino ed umano, perché etimologicamente significa avere cuore per chi è nella miseria (dal latino " misereri ", avere pietà e " cor, cordis ", cuore). Che cosa c'è di più umano e di più divino?

Poco importa che questo termine abbia la mia personale preferenza, ciò che importa è la pregnanza di cui è carico.

Per dire la realtà dell'amore abbiamo tutta una gamma di parole: tenerezza, misericordia, compassione, pietà, perdono. Anche il greco biblico è ricco in termini che attinge dalle sfumature dell'ebraico. Senza voler essere pedante in questa insistenza etimologica, ricordiamo che le parole che abitualmente traducono l'amore, come misericordia, pietà, tenerezza esprimono tutte l'attaccamento profondo, la fedeltà di un essere nel confronto di un altro, della madre, per esempio, al proprio figlio. La radice di queste parole, in ebraico, come in greco, indica le viscere materne. Alla vista della miseria umana, Dio si commuove nel proprio cuore profondamente. Questo Dio che Gesù chiama " Abbà " cioè Papà, Padre, ha veramente delle " viscere di misericordia " (Lc 1,78) come una madre.

Gesù, con la sua umanità sensibile a tutte le miserie che incontra, rivela questo Dio... padre e madre insieme: Gesù ha pietà della vedova di Naim che piange suo figlio (Lc 7,11), ha pietà delle folle senza pastore (Mt 9,36) ch'egli istruisce e nutre (Mc 6,34). E veramente il buon Samaritano (Lc 10,29) che è preso da compassione alla vista dell'uomo gravemente ferito incontrato sulla strada a cui si avvicina pagando di persona per salvarlo. Con i suoi atteggiamenti concreti Gesù rivela l'azione del Padre celeste, il Padre prodigo d'amore (cf Lc 15,11-32). Ricordiamolo: è il padre che vede da lontano arrivare suo figlio che torna dopo aver conosciuto la schiavitù e corre ad abbracciarlo (Lc 15,21). Sono scene di tenerezza che insegnano chi sia veramente Dio, meglio di molti discorsi teologici scientifici e di quelli più logicamente stringati.

Bontà e fedeltà

Sia che l'uomo cammini lontano, sia che cammini vicino, Dio non è mai lontano; egli rimane costantemente accanto e, se non può rimanere nell'interno, non va lontano dalla porta (Maestro Eckhart, Instructions spirituelles. Les traités, Seuil, n. 17).

Ogni volta che nella Bibbia troviamo la parola " misericordia " ci sentiamo in presenza della tenerezza divina che si coniuga con gli aspetti umani di questo sentimento. E una feconda corrente d'amore che aggancia il nostro spirito, ma non è l'unica. L'altra corrente è espressa nel versetto: " Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono ". E il termine greco " eleos " che qui intendo sottolineare, termine che conosciamo per il verbo che ne deriva, espresso nel " Kyrie eleison ". Signore pietà! ne è la traduzione piuttosto povera perché la parola " pietà ", nell'uso corrente, indica spesso una reazione puramente emotiva che si carica anche di una certa forma di larvata distanza dall'altro, quasi che l'aver pietà sia un guardare dall'alto la miseria altrui. E come sottinteso, infatti, nel termine stesso che si debba fare qualcosa per l'altro, che gli si debba, in qualche modo, fare un'elemosina, magari di soldi, per sbarazzarsi di una presenza penosa e mettere a posto la propria coscienza. La pietà così intesa offende la dignità del povero e giustifica anche un suo rifiuto.

La parola " eleos " ha un contenuto molto più dinamico. Come il termine ebraico ch'essa traduce, ha una pregnanza che esprime un profondo atteggiamento di bontà, di benevolenza e di fedeltà reciproca in virtù di un impegno interiore. Applicato a Dio, il termine è sempre impiegato per esprimere un rapporto, esplicito o implicito, con l'alleanza. Dio, nella sua bontà, ha accordato questa alleanza ad Israele. Gratuitamente. Perché è buono. L'ha collegata a promesse... che si è impegnato a rispettare, perché è saldo nei suoi progetti ed è fedele. Fedele a se stesso, per cominciare. " Poiché eterna è la sua misericordia " (Sal 136). La sua memoria non viene meno: " Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e al la sua discendenza, per sempre " (Lc 1,54-55). Che cosa meravigliosa, questo Dio misericordioso! È lui che a Mosè nascosto nel cavo della roccia proclama: " Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione... " (Es 34,6-7). E questo Dio meraviglioso che Maria canta: " Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono ". L'espressione popolare " Buon Dio ", cara a molti piccoli e poveri, ritrova qui tutta la sua ricchezza ed è riabilitata da solidi argomenti.

La lode di Maria, nella seconda parte del Magnificat si dispiega all'interno di una inclusione. Che cosa significa? L'inclusione è un procedimento letterario che sottolinea l'importanza di una parola o di una tematica: enunciata all'inizio di un libro o di un discorso, è dall'autore ripresa alla fine dello stesso libro e del medesimo discorso. All'inizio del Vangelo di Matteo, per esempio, Gesù è dichiarato " Emanuele " cioè " Dio con noi " e Gesù stesso conclude il racconto in Matteo con queste parole: " Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo " (28,20).

Questo procedimento permette con discrezione al lettore attento di individuare una chiave di lettura del passaggio inclusivo.

Il termine " misericordia " impiegato all'inizio della seconda parte della lode di Maria, ritorna nell'ultimo versetto: " ricordandosi della sua misericordia ". E un modo per sottolineare che il tema è centrale ed attraversa tutta la seconda parte della preghiera della Vergine.

" Di generazione in generazione si stende la sua misericordia ".

A conclusione, mi si presenta un'immagine: quella di un fiume che scorre tranquillo, il fiume della misericordia di cui Dio è la sorgente.

Manifestata nel corso di tutto l'Antico Testamento all'interno degli stretti confini di un piccolo popolo, con Gesù, il Salvatore, questa misericordia si dilata alle dimensioni del mondo in modo impensato, per ricoprire tutta la terra, l'universo intero.

Quando cantiamo il Magnificat siamo in questo fiume di misericordia e di amore. Ne abbiamo coscienza?

Come per Maria non è anche per noi l'impegno di far conoscere e amare questa misericordia divina?

Possa la nostra timidezza non essere d'ostacolo a questa piena dell'amore: che nulla, nelle nostre vite, impedisca alle acque vive e feconde dell'amore e della bontà fedele di Dio di spandersi, ancora e sempre, tra gli uomini e le donne del nostro tempo.

Possa, soprattutto, il nostro amore personale mescolare le sue acque a quelle dell'amore del nostro Dio, quel " Dio pieno di tenerezza e di misericordia " di cui Gesù, con Maria sua madre, ci rivela le meraviglie.

R. P.

Tu, annunciatrice d'ogni sapienza

attraverso un solo Verbo, il tuo Signore!

Potevi permetterti di non più rompere il silenzio.

E quale silenzio, quello che ebbe per prologo il Magnificat!

Tu, la silenziosa, piena di maggiori meraviglie

di quelle che ascoltò Mosè sulla montagna

e di quelle che ripercossero i Sette Tuoni!

Tu incoroni, non vista, o Silenziosa,

come la volta senza voce del cielo blu,

tutto il panorama cangiante del nostro mondo pieno di rumori.

E nel santuario del tuo cuore mediti il senso d'ogni cosa.

Perché io possa parlare degnamente di te;

prega per me.

(Conventry Patmore 1823-1896)

 Pregare per ottenere misericordia  Non è una novità. Il buon ladrone sulla croce ha pregato Gesù per ottenere misericordia. Il popolo cristiano non ha esitato a canonizzarlo... secondo quanto Gesù stesso ha detto. Attraverso i secoli molti criminali, ladri pentiti, carcerati di tutti i generi si sono rivolti a Gesù, spesso attraverso Maria sua madre, la Madre della Misericordia.

Qualche esempio tra i molti altri...

Preghiera del buon ladrone in croce con Gesù

Quando giunsero al luogo detto Cranio,

là crocifissero lui e i due malfattori,

uno a destra e l'altro a sinistra...

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:

" Non sei tu il Cristo?

Salva te stesso e anche noi! ".

Ma l'altro lo rimproverava:

" Neanche tu hai timore di Dio

e sei dannato alla stessa pena?

Noi giustamente, perché riceviamo il giusto

per le nostre azioni,

egli invece non ha fatto nulla di male ".

E aggiunse: " Gesù ricordati di me

quando entrerai nel tuo regno ". Gli rispose:

" In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso ".

(Lc 23,33; 39-43)

Preghiera di un condannato a morte

nel Medio Evo

Signora del cielo, regina della terra

Imperatrice delle paludi infernali...

accogli me, umile cristiana,

perché io sia tra i tuoi eletti

benché non abbia valore alcuno.

Ma i tuoi doni, mia Signora e mia Padrona,

sono ben più grandi della peccatrice che io sono.

Senza quei doni l'anima non può meritare,

non può guadagnare il cielo e io lo credo.

In questa fede voglio vivere e morire

A tuo figlio di' che sono sua;

chiedigli che perdonati siano i miei peccati

come all'Egiziana

o come fece col chierico Teofilo

che fu perdonato e assolto

benché patto avesse col diavolo fatto.

Preservami, vergine, dal fare mai simile cosa,

fa' che mai sia spezzato

il sacramento che si celebra nella Messa.

In questa fede voglio vivere e morire.

Donna sono, povera e vecchia

che nulla sa e non conosce lettere.

Al monastero di cui sono parrocchiana

vedo dipinto un paradiso con arpe e liuti

e un inferno dove arsi sono i dannati.

L'uno mi fa paura e l'altro mi dà gioia e allegrezza.

Donami la gioia, o alta Divina,

a cui tutti i peccatori ricorrere devono

colmi di fede senza finzione, né pigrizia.

In questa fede voglio vivere e morire.

Tu portasti, o degna Vergine e principessa,

Gesù che regna senza fine e per sempre,

l'Onnipotente che carico si fece delle nostre debolezze,

che lasciò i cieli e venne in nostro aiuto,

che offrì alla morte la sua preziosa giovinezza.

Egli è il Signore nostro e lo confesso.

In questa fede voglio vivere e morire.

François Villon2

(Ballata composta da Villon su richiesta di sua madre

per pregare la Vergine Maria)

Preghiera di un detenuto di Le Mans oggi

Vergine della Luce,

tu certo a cercarmi non fatichi

perché sono tra questi quattro muri...

che nascondono la mia faccia ogni giorno

spogli sono d'ogni lembo di misericordia

con sempre impressi gli stessi tatuaggi

che non si cancellano anche perché

ne ho aggiunti qua e là, come tu puoi vedere.

Io non so quanto debba tirare ancora

in questa maledetta galera.

Ma Tu che sei lassù

con la tua veste bianca da sposa

e il tuo sorriso che riscalda i cuori

senza distinzioni di razza e di delitti

io so che mi tendi la mano

accettando le mie unghie non proprio pulite...

Tu che non hai detto nulla, neanche una parola,

quando avresti avuto il diritto di rimproverarmi

forte, come si doveva.

Perché è vero che dovrei più spesso ascoltarti

e non far finta d'implorare la grazia che tu dai

senza nulla attendere in ritorno.

Io so che dovrei pregarti più spesso

e non dovrei molestare quelli che non amo

quelli che urtano i miei nervi per ragioni che ignoro.

Vorrei implorarti più spesso nella tua grazia di madre

assoluta ed eterna

invece di prendermela, di collera pieno,

con quelli che sopportare non possso né capire

per loro disgrazia o loro delitti.

Anche quelli che sono con me

in questi miei metri quadrati

non li sopporto perché fumano più di me,

perché guardano troppo la TV.

O anche quando dormono il sonno del giusto

mentre, nella notte,

io mi rigiro solo nel letto non disfatto

con le mie sregolate apprensioni.

Tu perdoni a tutti e sai che non so più pregare

come quando ero bambino nel vestito domenicale

con l'" Ave Maria piena di grazia ".

Anche se non capisco bene il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo,

anche se non so darti del " voi " per rispetto.

Ma tu sai che io ti rispetto

come la madre mia che forse mi ha dimenticato,

in questa galera, o forse non sa di preciso

dove io sia in questo momento

e in questa maledetta vita.

Anche se non posso contare su nessuno,

tu sei ancora là...

Tu sei ancora là con quell'infinita pazienza che io

non comprendo...

Ma no, tu non dici nulla,

tu mi guardi dall'alto con sempre lo stesso sorriso

che penetra nel cuore...

Perché tu sai che la sera mi succede,

in fondo al mio letto, quando spenta è la TV

e tutti dormono, di piangere come un bambino.

E duro d'essere un duro

soprattutto con te...

Tu mi comprendi come sono

e mi perdoni anche l'imperdonabile

con un sorriso sempre uguale come nelle

foto di Lourdes piene di color blu.

La mia preghiera, lo sai, non ha lo stile di Verlaine

e neppure di Rimski-Korsakov,

ma l'ho composta così, per dirti grazie

perché tu non mi rinproveri

se non so amare il mio prossimo come me stesso

poiché io mi detesto spesso, soprattutto quando

soccombo a tutte le tentazioni senza amore di Dio.

Io so che dovresti abbandonarmi o anche

mandarmi qualche guaio come nella Bibbia.

Ma questo non è vero.

Tu sorridi ancora e mi perdoni ancora

tutte le mie fesserie.

Essere amati così è proprio una cosa impossibile!

Un detenuto del carcere di Le Mans

(Tratto da Prière à Marie, Mère de Misericorde)

" SU QUELLI CHE LO TEMONO "

La paura è oscura

l'amore è limpido e candido.

La paura è servile

l'amore è franco.

L'amore fa vivere e la paura fa morire.

(Clément Marot, Élégie VII).

Che cosa significa? Maria ci invita forse ad avere paura di Dio? C'è chi penserà che Maria parli qui come una donna dell'Antico Testamento dominato dal timore di Dio, mentre il Nuovo Testamento parla soltanto d'amore.

Esprimersi così, se s'intendesse per timore di Dio la paura di Dio, sarebbe un semplicismo ed anche una deformazione del testo.

Si ha il diritto d'affermare che il Magnificat ci invita ad avere paura di Dio? Certamente no. Perché?

Paura del castigo?

Maria è madre che nessuno esaurisce.

Più a lei si attinge e più c'è da attingere.

(Gautier De Coincy, monaco benedettino, 1177-1236, Miracles de Notre-Dame)

Il Magnificat di Maria ha la sua sorgente nella Parola di Dio. Si legge, infatti, nella Scrittura che " il timore del Signore è il principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l'istruzione " (Prv 1,7).

Non dobbiamo temere Dio come si teme il gendarme. Gesù l'ha detto: " Non temete... " (Mt 14,27).

Il timore di Dio nel credente è la risposta imperfetta, umile e riconoscente dell'essere che si sente amato all'Essere che è solo Amore (cardinale Schwery, vescovo di Sion, Magnificat, Chalet, pp. 93-94).

Il concetto di un Dio primitivo che punisce l'uomo è tenacemente radicato. Molte persone immaginano che Dio risponda, colpo su colpo, al peccato degli uomini. Eppure la Parola di Dio è chiara: " Forse che io ho piacere della morte del malvagio... o non piuttosto che desista dalla sua condatta e viva? " (Ez 18,23).

Gesù è decisamente esplicito. Quando gli presentano il cieco nato, i discepoli lo interrogano: " Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? ". Gesù, con sorpresa dei suoi discepoli e delle persone di quel tempo, nega categoricamente che ci sia un vincolo tra una presunta punizione e questa infermità, e qualsiasi infermità: " Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio " (Gv 9,1-3).

Così, a proposito di un massacro di Ebrei in Galilea: " Si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici ". Essi si aspettavano che Gesù si esprimesse con parole d'indignazione e a voce alta affermasse che Dio si era servito del braccio di Pilato per punire dei peccatori. Ma Gesù, invece, risponde: " Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo " (Lc 13,1-5).

Il Dio della Nuova Alleanza è un Dio che ama gli amici e i nemici e che chiede ai suoi discepoli di amare come Dio ama: " Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti... " (Mt 5,44-45).

La paura o il timore?

Avremo l'audacia di ritrovare un'antica parola biblica, quella del timore...? Certo, " nell'amore non c'è timore " (1 Gv 4,18) ma chi ama è infinitamente rispettoso dell'altro. Si ferma alla soglia del mistero, si meraviglia d'essere amato, si preoccupa di venir meno all'amore.

Il timore sospende i propri passi; l'altro soltanto può introdurlo nei suoi segreti e concedergli la propria comunione. Mi rifiuto di metterlo tra i conquistati, di mettere la mia mano su di lui. La fede si fa attesa, veglia, disponibilità (La foi des catholiques, Centurion, p. 138).

Più si ama qualcuno e più si teme di offenderlo e d'essere privato della sua presenza (Tommaso d'Aquino, Summa Teologiae, II-IIae, q. 19).

C'è un'enorme differenza tra la paura di Dio, soprattutto quando si ha paura di Dio che punisce, e il " timore di Dio " nel senso biblico.

Le religioni pagane coltivano la paura di Dio, l'Antico Testamento la rifiuta e ci invita al " timore di Dio ".

Che cosa significa? Quando Gedeone, nell'Antico Testamento, vede divampare il fuoco e l'angelo di Ihwh, ha paura: " Ho visto l'angelo del Signore faccia a faccia! ". Ma Dio gli risponde: " La pace sia con te, non temere, non morirai " (Gdc 6,23). Lo stesso avviene con il profeta Daniele: " Non temere, Daniele " (Dn 10,12).

Nel momento più forte del pericolo, Isaia riprende questo messaggio pacificante di Dio nel suo intervento nei confronti di Acaz, la prima volta: " Fa' attenzione e sta' tranquillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta... " (Is 7,4). La stessa cosa ripete al re Ezechia: " Non temere per le parole che hai udite... " (Is 37, 6). Al popolo d'Israele che, per la prima volta Dio chiama suo servo, egli dice: " Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio " (Is 41,10).

La Bibbia parla del " timore di Dio " in un senso che evoca il rispetto di Dio, non la paura: un po' come può accadere ad un'infermiera che teme di far male al malato mentre gli prodiga delle cure che, tuttavia, sono orientate esclusivamente al suo bene. E un atteggiamento fatto di attenzione, di adorazione, d'amore e di coscienza dei propri limiti.

Tale è il senso di numerosi salmi: " Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti " (112,1). " Principio della saggezza è il timore del Signore " (111,10). Nella Bibbia il contesto dell'espressione " timore del Signore " è quasi sempre un contesto d'amore e non di paura: si tratta del rispetto dovuto a Dio per i suoi benefici, la sua fedeltà... e di rimanere fedeli alla sua volontà. La volontà di Dio consiste nell'osservare i comandamenti, non in nome della Legge come obbligo giuridico, ma in nome della vita stessa offerta da Dio: per vivere come uomini e figli di Dio occorre osservare delle regole di buona condotta.

La paura o la fiducia?

La paura della morte... un bel soggetto di riflessione... È certo che in quel momento avremo i residui della nostra fede: sarà questa a produrre rimpianti e tremori; il tempo, di cui ora siamo prodighi e vogliamo che scorra, a quel momento ci mancherà e vorremo a tutti i costi avere ancora uno o due di quei giorni che ora con tanto insensibilità perdiamo.

Queste le mie meditazioni in questo viale che tu conosci e nel quale talvolta mi trattengo. La morale cristiana è eccellente per tutti i mali, ma la voglio cristiana, diversamente è troppo vuota ed inutile (Rabutin-Chantal, marchesa di Sévigné, 1626-1696, Lettres à Mme de Grignan, 20 settembre 1671).

La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri... Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti (Rm 12,9-19).

Il timore del Signore non ha nulla a che vedere con la paura; esso, al contrario, invita alla fiducia.

Siamo di fronte ad una costante dell'Antico Testamento che si amplifica nel Nuovo. Ricordiamo la scena dell'Annuncio a Maria. In nome di Dio, l'angelo Gabriele le dice: " Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio " (Lc 1,30). E un angelo del Signore si rivolge a Giuseppe per ridargli la pace del cuore: " Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo " (Mt 1,20-21).

Questo invito alla pace e a liberarsi della paura lo ritroviamo sulle labbra di Gesù che parla ai suoi discepoli. " Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno " (Lc 12,32). E quando di notte egli raggiunge i suoi apostoli nel mezzo del lago, ripete loro: " Coraggio, sono io, non abbiate paura " (Mt 14,27).

" Non abbiate paura! ". Questa parola di Gesù ritorna spesso sulle labbra di Giovanni Paolo II. E con ragione. Il papa non si rivolge ai suoi connazionali  ai Polacchi  ma ai cristiani del mondo intero. Il nostro Dio non è un Dio che incuta paura o ami coloro che hanno paura di lui. Certamente no.

Questa parola: " Non abbiate timore! " Gesù la rivolge agli uomini prima e dopo la risurrezione: " Abbiate fiducia, sono io, sono con voi ". La parola fiducia è una parola chiave, una parola di speranza, eppure tante sono le persone che si lasciano schiacciare da un sentimento di paura nei confronti di Dio e del sacro. Dio incute paura a quelli che lo immaginano onnipotente al modo dei grandi di questo mondo, lontano come i miliardari del mondo degli affari, indifferente come le divinità pagane insensibili alle sofferenze degli uomini e in continua rivendicazione di sacrifici.

Eppure, i cristiani dovrebbero sapere che non c'è essere più umile del Dio di Gesù Cristo che ha voluto farsi servo quaggiù fino alla croce e servo degli eletti al banchetto del regno. I cristiani dovrebbero sapere che non c'è essere più vicino ad ogni uomo che il Signore stesso, il quale vuol fare di ogni uomo, e soprattutto dei poveri, un tempio della sua presenza: " Avevo fame..., ero ammalato..., straniero, nudo, in carcere... " (Mt 25,35-40).

I cristiani dovrebbero ricordare che Gesù, Dio in persona, non è un Dio indifferente alle gioie e alle pene degli uomini: egli vuole la loro felicità e moltiplica il vino per gli sposi a Cana, il pane per le folle del deserto: guarisce i malati, risuscita i morti, perdona i peccatori, annuncia la Buona Novella ai poveri. Gesù soffre anche delle disgrazie degli uomini. Si commuove vedendo la vedova di Naim davanti al proprio figlio morto, piange con Marta e Maria davanti alla tomba del suo amico Lazzaro, piange infine sulla città di Gerusalemme e sui peccati degli uomini.

Il nostro Dio è un Dio che ama, che ha cuore. Il nostro Dio non è né un giustiziere senza pietà, né un torturatore sadico, ma un innamorato dell'uomo: egli penetra nella profondità della sua miseria per liberarlo. Ama i peccatori e vuole salvarli pagando di persona. Pagando col proprio sangue. Morendo per noi su di una croce, egli realizza la comunione dei santi: raccoglie i " figli di Dio dispersi ". Solidale con gli uomini peccatori, li rende solidali della propria santità e della propria felicità eterna (cf 2 Cor 5,21).

Gesù chiama tutti i suoi discepoli, cominciando da Maria, a partecipare a questa azione di salvezza. Le sofferenze e la morte fanno parte dell'apostolato di ogni cristiano. Si tratta di quell'apostolato segreto, profondo e ultimo che François Mauriac aveva ben capito scrivendo il suo " Credo " nel 1951. Il suo " Credo " è stato letto al suo funerale: " Credo, come quando ero bambino, che nessuna sofferenza va perduta, che conta ogni lacrima, ogni goccia di sangue... ".

Molti ricorderanno ancora la voce indignata di Vincenzo de' Paoli immortalata nel film di Maurizio Cloche e nella voce di Pierre Fresnay. Si trattava della proposta fatta dal giovane parroco alle signore della sua parrocchia di accogliere i bambini abbandonati. Le donne interpellate rispondono indignate: " Dio non vuole che vivano perché sono i figli del peccato ". La risposta fiera di rimando: " Quando Dio vuole che qualcuno muoia per il peccato, è suo figlio stesso ch'egli manda ".

Il Magnificat canta già, a suo modo, questa scoperta e questa Buona Novella. Situato nella cerniera tra i due Testamenti, questo cantico porta l'eco dell'Antica Alleanza di cui ricorda le promesse e porta già l'annuncio di una rivelazione di cui Maria conserverà nel cuore il ricordo delle diverse manifestazioni fino alla croce e alla discesa dello Spirito Santo. Rivelazione che è la Buona Novella, la felice novità della Nuova Alleanza suggellata col sangue sprizzato dal cuore di Gesù.

Cerchiamo di comprendere questa novità. Chi vuole imparare a guidare un'automobile comincia, in genere, ad osservare le direttive ricevute dall'insegnante della scuola-guida: manovre da fare e manovre da non fare. Il principiante, di solito, ignora a che cosa serva il differenziale, come sia fatto il carburatore, come funzionino i freni a disco o le valvole del motore; ma, osservando le direttive date, riesce a mettere in moto la macchina. Così l'uomo dell'Antica Alleanza, osservando la Legge, ha potuto orientare in maniera conveniente la propria condotta. Ma ancora egli ignorava il segreto di Dio, il segreto della costruzione del mondo e dell'umanità. Dopo l'Incarnazione di Gesù, che il Magnificat canta a parole coperte, l'uomo potrà conoscere dall'interno il progetto di Dio. Con questo, la Legge che permetteva di vivere in modo retto, s'illumina. Non sono più necessari i numerosi precetti, il discepolo di Gesù potrà comprendere tutto guardando Lui, ascoltando la sua parola, osservando ciò che fa. Con Gesù, tutto si semplifica, tutto si unifica: Dio è amore e dà la sua vita per tutti gli uomini; l'uomo è fatto per amare e donare la propria vita.

Il Magnificat canta dunque questa " misericordia che si estende di età in età " e particolarmante canta questo Dio, pieno di tenerezza per i piccoli e che " si ricorda della sua misericordia " dalla Incarnazione del Verbo, per opera dello Spirito Santo, fino alla Risurrezione e alla Pentecoste.

Ecco perché questo canto, che all'origine porta i riflessi della aurora della Nuova Alleanza, risplende poi nella Chiesa radiosa della luce di Pasqua e di Pentecoste.

Non abbiate timore

di accogliere il Cristo e di accettare il suo potere!

Aiutate il papa e tutti coloro che vogliono servire il Cristo

e, con la potenza del Cristo,

servire l'uomo e l'umanità intera!

Non abbiate timore!

Aprite, aprite largamente le porte al Cristo!

Alla sua potenza salvatrice aprite le frontiere degli Stati,

i sistemi economici e politici, gli immensi campi

della cultura, della civiltà, dello sviluppo.

Non abbiate timore!

Giovanni Paolo II

(Omelia della messa d'intronizzazione, 22 novembre 1978)

7

" HA SPIEGATO LA POTENZA DEL SUO BRACCIO

HA DISPERSO I SUPERBI "

" Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi... ".

E il versetto 51 del Magnificat e, se si conosce il greco, si può notare qui un nuovo impiego del verbo " fare ", " epoiesen ", " ha fatto ". Già nel versetto 49 Maria ha detto: " Grandi cose ha fatto in me "; nel versetto 51: " Egli ha fatto prova di forza col suo braccio ".

Lo spiegamento di forze di cui parla il versetto 51 bene si accorda con il versetto 49: " Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente " ed annuncia il versetto seguente: " Ha rovesciato i potenti dai troni ". Tutte queste riprese rinforzano l'unità del testo intorno al tema della forza di Dio.

Tutta la Bibbia, del resto, parla e sogna la forza, mentre annuncia la caduta finale dei violenti e la promozione trionfale dei piccoli e degli umili.

Rovesciamento spettacolare delle situazioni! Rivoluzione voluta da Dio. Il paradosso di una forza divina a servizio della debolezza umana si dispiega nel corso di tutta la storia d'Israele, nell'Antico Testamento. Di fronte al gigante Golia che sfida l'esercito d'Israele, il piccolo Davide prende il suo bastone, sceglie cinque sassi arrotondati nel torrente e li mette nella tasca della sua sacca di pastore, poi, fionda alla mano, avanza verso il Filisteo... e lo uccide (cf 1 Sam 17,45).

Nel Nuovo Testamento, san Paolo tratteggia questo modo di fare di Dio: " Considerate la vostra chiamata, fratelli... Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti " (1 Cor 1,27).

Evode Beaucamp ne fa un felice commento: " Non si tratta dell'apologia della debolezza, ma della glorificazione della "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16). Con queste parole Paolo non vuole, come più tardi l'Islam, esaltare una potenza divina che sta al di là del nulla dei mortali; ma contrapporre la forza che l'uomo trova in Dio all'impotenza in cui rimane senza Dio; con Dio ci si batte vittoriosamente uno contro mille (Gs 23,10; Lv 26,8). Senza Dio ci si riduce a fuggire al rumore di una foglia morta (Lv 26,36) " (" Force ", in Vocabulaire de théologie biblique).

Quando si canta il Magnificat di quale forza si parla?

Una vera forza...

Il Dio creatore, il Dio liberatore dell'Esodo era contro ogni sfruttamento ed ogni oppressione dell'uomo sull'uomo. Parlare del rovesciamento degli sfruttatori e degli oppressori era un modo vivo di esprimere la decisione di Dio in favore degli oppressi e degli sfruttati. Nel Magnificat rimane essenziale questo atteggiamento di Dio ed è rafforzato dall'energia con cui Luca presenta Gesù come liberatore degli oppressi e degli sfruttati (Lc 4, 16-21). Anche se Gesù ha voluto essere prima di tutto il liberatore dal peccato sotto tutte le sue forme e se non ha inteso essere un capo politico (rivoluzionario), non è possibile edulcorare il suo messaggio di liberazione degli oppressi e degli sfruttati (René Coste, Le Magnificat et la révolution de Dieu, Nouvelle cité, p. 127).

L'uomo della preistoria come l'uomo d'Israele sognavano la forza. L'israelita contava sulla sua Alleanza con Dio per imporsi al mondo pagano che lo circondava. Per questo contava sulla forza delle sue braccia, cioè sulle armi dei suoi guerrieri che intervenivano nel nome del Dio temibile descritto dal Salmo 75: " Dio di Giacobbe, alla tua minaccia si arrestarono carri e cavalli. Tu sei terribile; chi ti resiste quando si scatena la tua ira? " (Sal 75,7-8). Questa è la forza che cantano Mosè e il suo esercito: " Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il Signore, egli mi ha salvato. E il mio Dio e lo voglio lodare... " (Es 15,1-2).

Per l'uomo di quel tempo, essere forte voleva dire essere più forte degli altri. Nella lotta per la vita, non c'è posizione intermedia: o si è vincitori o si è vinti.

Per quanto riguarda la pace, sempre all'orizzonte della speranza dell'uomo nella vita sociale, essa non può essere duratura se non con una vittoria totale e definitiva.

Notiamo ancora: se il popolo d'Israele sognava d'essere forte è perché pensava di realizzare in questo modo i progetti di Dio. Ma questo sogno si realizzava attraverso battaglie che uccidevano. Le armi, la guerra, la violenza avevano un largo posto. Questa era la convinzione di Giuditta nella sua preghiera nell'ora in cui a Gerusalemme, nel Tempio di Dio, si offriva l'incenso della sera. Ella pregava perché la forza di Dio trionfasse sulla forza brutale dei nemici del suo popolo: " Or ecco gli Assiri hanno aumentato la moltitudine dei loro eserciti, vanno in superbia per i loro cavalli e i cavalieri, si vantano della forza dei loro fanti, poggiano la loro speranza sugli scudi e sulle lance, sugli archi e sulle fionde e ignorano che tu sei il Signore che disperdi le guerre. Signore è il tuo nome. Abbatti la loro forza con la tua potenza e rovescia la loro violenza con la tua ira " (Gdt 9,7-8).

La forza di Dio che " spiega il braccio " significa, prima di tutto, la forza indefettibile che Dio dispiega per realizzare le sue promesse. Non soltanto egli è il Dio fedele, la " roccia di Israele ", ma combatte con il suo popolo. Il prototipo di questa forza agente di Dio è rappresentata dall'Esodo, dove Dio libera il suo popolo dalla schiavitù.

Certo, questa forza di Dio si dispiega con vigore, ma la forza violenta e brutale, in quanto tale, non ha lo stesso valore positivo: " Un uomo saggio vale più di uno forte, un uomo sapiente più di uno in pieno vigore " (Prv 24,5-6). " Il paziente val più dell'eroe, chi domina se stesso val più di chi conquista una città " (Prv 16,32).

Dio dona forza al suo popolo e ciò si verifica nel corso di tutta la storia d'Israele, la storia della sua liberazione. Dio rende forte il suo popolo e glielo dice di fronte ai suoi nemici: " Non tremare davanti ad essi, perché il Signore tuo Dio è in mezzo a te, Dio grande e terribile " (Dt 7,21).

Ma l'uomo, presto dimentica che è Dio che gli ha dato questa forza, ed ecco perché nella prova del deserto la voce di Dio si rivolge al suo popolo: " Guardati dunque dal pensare: la mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio perché Egli ti dà la forza... " (Dt 8,17-18).

E chiaro che Dio non vuole questo equivoco che potrebbe portare al rinnegamento... Questa è la ragione per cui egli sceglie, per il suo servizio, uomini e donne di modesta apparenza come confida a Samuele: " Io non guardo ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore " (1 Sam 16,7). Dio agisce sempre con mezzi poveri perché la forza di Dio, la vera forza, è la forza dell'amore.

Nel profondo della debolezza

Maria ci insegna che è mediante la fede e nella fede che, sul suo esempio, il popolo di Dio diventa capace di esprimere in parole e di tradurre nella sua vita il mistero del disegno della salvezza e le sue dimensioni liberatrici sul piano dell'esistenza individuale e sociale. In realtà, solo alla luce della fede si percepisce come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male nella sua espressione più radicale e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza (Congregazione per la dottrina della fede, Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, 1986 n. 97).

Dio è forza. Egli è l'Onnipotente che canta il Magnificat. Di fronte a lui, l'uomo è debolezza. Dio però si è fatto uomo. E la straordinaria rivelazione del Nuovo Testamento, quando il Verbo si fa carne e l'Onnipotente sceglie di diventare debolezza in Gesù di Nazaret. Tale è la forza di Dio: una forza onnipotente che agisce in pienezza nel profondo della debolezza. Isaia lo aveva annunciato: " Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato. Come molti si stupirono di lui tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto... Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire... " (Is 52,13; 53,3). Lui, il sommo sacerdote di cui parla la Lettera agli Ebrei, ha voluto essere avvolto di debolezza per veramente condividere la nostra debolezza (cf Eb 5,2), tutta la nostra debolezza, tranne il peccato (cf Eb 4,15).

Il Gesù di Nazaret è la rivelazione inattesa del vero volto di Dio, il Dio forte nella debolezza umana. Forte che è anche debole perché non è che amore. E amore perché Dio, il Padre, lo ha unto di Spirito Santo, Spirito d'amore e Spirito di forza.

All'età di dodici anni Gesù " cresceva e si fortificava, pieno di sapienza " (Lc 2,40). All'inizio della vita pubblica egli stesso dichiara: " Lo Spirito del Signore è sopra di me... " (Lc 4,18). E per questa forza che esce da lui che Gesù guarisce i malati che l'avvicinano (cf Lc 6,19; 8,46).

E con la forza dello Spirito che Gesù trionfa nelle tentazioni che l'assalgono nel deserto, come nell'ultimo combattimento, quello della croce. Nell'ora fissata dal Padre, egli può dire: " Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me " (Gv 12,32-33).

Gesù rivela la sua forza in pienezza nell'ora della risurrezione, cioè dal profondo della sua suprema debolezza, quella della morte. Il Padre, allora, lo risuscita: egli ha sacrificato la sua vita umana fino all'ultima goccia di sangue. Il Padre gli dà la vita divina e glorifica il suo corpo che porterà per sempre i segni dei chiodi. Egli apre così, con potenza, la porta della vita eterna a tutta l'umanità salvata. Il peccato e la morte, come ripete Paolo, non hanno avuto l'ultima parola. L'ultima parola è quella dell'amore che divinizza.

Questo è l'annuncio di Pasqua: " Nato dalla stirpe di Davide secondo la carne [è] costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore " (Rm 1,4).

La forza del braccio di Dio, la vera forza nella debolezza è quella del Verbo fatto carne, ma anche quella della Vergine Maria nel Magnificat. Non si tratta di un semplice sentimento di debolezza, partecipazione alla debolezza di ogni creatura, ma di una debolezza cosciente della forza che interamente viene da Dio.

A seguito di Maria, i discepoli di Gesù, rivestiti della forza che viene dall'Alto, questo riconosceranno nel corso dei secoli: " Noi portiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi " (2 Cor 4,7). E la nostra forza e la speranza che ci permette di dire con san Paolo: " Tutto posso in Colui che mi dà la forza " (Fil 4,13).

 Un " Te Deum " mariano  Il 9 dicembre 1854, l'indomani della proclamazione del dogma del l'Immacolata concezione, Francesco Bruni (1802-1863), della Congregazione della Missione e Vescovo di Ugento, compone a Roma un " Te Mariam landamus " ad imitazione dell'inno di san Bonaventura " Te Matrem Dei ". Sono trascorsi cento anni e la teologia mariana si è illuminata di nuovi apporti, ma ci è sembrato interessante far conoscere questo canto di lode alla gloria di Maria.

O Maria, noi ti lodiamo; proclamiamo la tua regalità su di noi. La terra intera ti venera come Madre di Dio e come Vergine. Gli angeli, i cieli e tutte le potenze, i cherubini e i serafini ti dicono senza fine: " Ti salutiamo, piena di grazia, Figlia, Madre e Sposa di Dio ".

I cieli e la terra sono pieni della gloria della tua divina maternità. Il coro glorioso degli apostoli t'invoca maestra della Chiesa; il venerabile gruppo dei profeti canta in te il termine dei loro oracoli. L'armata dei martiri ti loda come regina dei martiri. La moltitudine dei confessori, delle vergini, di tutti i santi eternamente ti glorifica. Ovunque, sulla terra, la Chiesa ti prega e ti loda come sempre vergine e sempre immacolata; concepita senza macchia originale, venerabile e beata, santa e pia, supremamente felice tra gli angeli, la più santa di tutti i santi.

Tu sei la scala del regno celeste. Tu sei la porta del paradiso. Tu sei il canale perennemente fecondo della misericordia, l'arca della pietà e della grazia. Per liberare l'uomo perduto tu hai ricevuto il Verbo di Dio nel tuo seno. Mediante te il pungolo della morte è stato spezzato e ci è stato aperto il regno dei cieli. Tu siedi alla destra del Figlio, nella gloria del Padre. Noi lo crediamo: tuo Figlio stesso verrà come giudice.

Noi ti preghiamo dunque, vieni in nostro soccorso, noi siamo i figli che tu hai generato sotto la Croce del Signore nell'ineffabile dolore del tuo cuore. Fa' che possiamo essere nella gloria tra i tuoi servitori. Salva il tuo popolo e benedici questi tuoi posteri. Dirigici e conducici fino all'eternità.

Ogni giorno, Beata Vergine, noi ti benediciamo e lodiamo il tuo nome per sempre. Degnati dunque, Maria, ora e sempre, di custodirci senza peccato. Abbi pietà di noi, cara Madre, abbi pietà. Che la tua grande misericordia sia su di noi secondo la speranza che noi abbiamo riposto in te. Vergine immacolata confido in te e non sarò confuso in eterno.

Vergine immacolata, dona la pace a chi t'invoca.

La pace, perché noi abbiamo in te sperato.

Preghiamo

Per la tua bontà, Signore, e per l'intercessione della beata Maria sempre Vergine, le nostre suppliche ci procurino prosperità e pace, ora e sempre. Per Cristo Nostro Signore. Amen (Francesco Bruni).

" HA DISPERSO I SUPERBI... "

Così termina il versetto 51. René Laurentin propone questa traduzione letterale dal greco: " Ha disperso gli orgogliosi nei calcoli [stessi] dei loro cuori " (Magnificat. Action de grace de Marie, D.D.B., p. 90).

Cerchiamo di comprendere questo passo della Scrittura.

Il Signore disperde i superbi

Il Magnificat canta l'inaugarazione di un ordine nuovo di vita nell'umanità: promesso ai Padri nella fede, ai patriarchi e ai profeti; iniziato col " sì " della figlia d'Israele, la nuova Eva; costruito nella vita, morte e risurrezione di Gesù, il Dio-con-noi.

L'esaltazione dell'umile serva del Signore divenuta Madre di suo Figlio nella sua umanità è l'esaltazione di tutti i poveri e di tutti i popoli umiliati (René Coste, Le Magnificat et la révolution de Dieu, Nouvelle Cité, p. 129).

Non si tratta di minimizzare la violenza delle affermazioni che concernano la sorte data ai superbi (v. 51), ai potenti (v. 52) e ai ricchi (v. 53). Occorre semplicemente situare questa violenza nel suo vero posto: è la violenza di colui che vuol salvare gli oppressi e che non può non rimproverare quelli che opprimono. Riprendendo le immagini di Isaia, non è possibile far coabitare il lupo con l'agnello senza costringere il lupo a cambiare abitudini, non è neppure possibile porre il leone a regime d'erba come il bue senza pensare che il leone avrà meno ragioni d'essere soddisfatto del bue da questa situazione. In questo senso, Dio non può porre la sua forza a servizio della misericordia verso gli umili e i deboli senza che questa forza entri in conflitto con quella dei grandi di questo mondo (J. Dupont, Le Magnificat comme discours sur Dieu, in Etudes sur les Evangiles synoptiques, t. I, pp. 973-974).

I superbi? Chi sono? In greco vengono chiamati " hyperphanoi ", cioè, letteralmente, quelli che " si sono fatti superiori ", coloro che si stimano al di sopra degli altri e al di sopra di ciò che realmente sono. Tutta la Bibbia e specialmente l'Antico Testamento li denuncia: l'orgoglio è il peccato capitale per eccellenza. Questo peccato li contrappone agli umili, a coloro che temono Dio e sono nella verità perché riconoscono la propria debolezza e la grandezza di Dio.

Gli orgogliosi, al contrario, sono nell'errore perché non riconoscono né la grandezza di Dio né la loro propria debolezza. Ecco perché si rendono detestabili: " Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia " (Sir 10,7). Infatti, " perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere? Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti " (Sir 10,9).

Gli orgogliosi sono legione. Tra loro c'è il vanitoso che fa la corsa agli onori, alle decorazioni, ai buoni posti; c'è il geloso che guarda di traverso quelli che riescono meglio di lui; c'è l'insolente, il ricco che mette in mostra il suo lusso davanti ai poveri, c'è l'ipocrita che si accontenta di curare le apparenze. In vetta, infine, c'è il superbo che si fa uguale a Dio (cf Gn 3,5).

In occasione del congresso che ha raccolto un milione di giovani Europei dell'Est e dell'Ovest a Czestochowa, nell'agosto 1991, si è chiesto a nove vescovi di commentare ciascuno un versetto del Magnificat. Mons. Miroslav Vlk, arcivescovo di Praga, ha così commentato il versetto che c'interessa:

" L'espressione "uomini dal cuore superbo" mi riporta mentalmente ai grandi manifesti, numerosi in tutti gli angoli delle nostre strade quarant'anni fa: campeggiava l'impressionante figura del "compagno" Stalin nell'atto di stendere il suo braccio destro su sbarramenti e centrali elettriche enormi. Si cantavano allora delle strofe edificanti sul "vento e la pioggia che forzeremo a servirci...". Rivedo il grande formato dell'organo di stampa comunista "Rude pravo" pieno di lunghi discorsi a grandi parole dei congressisti; le marce delle milizie comuniste... E, in quest'atmosfera, la Chiesa schiacciata, i vescovi imprigionati, i conventi chiusi, i loro superiori umiliati e condannati in processi truccati, con l'accusa di "alto tradimento". Tutti i beni della Chiesa erano stati confiscati ed essa era asservita al giogo delle leggi comuniste il cui programma, in sintesi, era la sua morte prevista in breve tempo " (Magnificat. Neuf évêques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, pp. 102-103).

Il ritratto di questi uomini dal cuore superbo figurava già in molti salmi e non è certo esaltante:

" Dell'orgoglio si fanno una collana

e la violenza è il loro vestito.

Esce l'iniquità dal loro grasso,

dal loro cuore traboccano pensieri malvagi.

Scherniscono e parlano con malizia,

minacciano dall'alto con prepotenza.

Levano la loro bocca fino al cielo

e la loro lingua percorre la terra " (Sal 73,6-9).

E comprensibile la reazione dei poveri: " Già troppo ci hanno colmato di scherni, noi siamo troppo sazi degli scherni dei gaudenti, del disprezzo dei superbi " (Sal 123,4).

Sono i superbi che Dio disperde come un battaglione vinto da una armata nemica o, con um'immagine cara a Lagrange, come dei " complottatori smascherati " (Evangile selon saint Luc, p. 43).

Il Magnificat, a questo punto, è l'eco di quella tradizione che, partendo dai profeti, attraversa tutta la letteratura sapienziale.

Un esempio celebre lo troviamo nel libro di Ester. Il re Assuero consulta Amàn, suo Primo ministro, che è venuto alla reggia per chiedere l'impiccagione del suo nemico, l'ebreo Mardocheo.

Dice il re ad Amàn: " Che si deve fare a un uomo che il re voglia onorare? ". Amàn pensò: " Chi mai vorrebbe il re onorare se non me? ". Amàn rispose al re: " Per l'uomo che il re vuole onorare, si prenda la veste regale che suole indossare il re e il cavallo che suole cavalcare il re e sulla sua testa sia posta una corona regale; si consegni la veste e il cavallo a uno dei principi più nobili del re; si rivesta di quella veste l'uomo che il re vuole onorare, gli si faccia percorrere a cavallo le vie della città e si gridi davanti a lui: ciò avviene all'uomo che il re vuole onorare ". Allora il re disse ad Amàn: " Presto, prendi la veste e il cavallo, come hai detto, e fa' così a Mardocheo il Giudeo che si trova alla porta del re; non tralasciar nulla di quello che hai detto ". Amàn prese la veste e il cavallo, rivestì della veste Mardocheo, gli fece percorrere a cavallo le vie della cità e gridava davanti a lui: " Ciò avviene all'uomo che il re vuole onorare " (Est 6,1-11).

E nota la tragica fine di questa storia che ha un inizio che potremmo dire comico. Amàn fu impiccato al palo eretto da lui per Mardocheo (Est 7,10).

Giobbe ha denunciato la condotta dei superbi che preparano la loro propria rovina: " Dio rende vani i pensieri degli scaltri e le loro mani non ne compiono i disegni; coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia e manda in rovina il consiglio degli scaltri " (Gb 5,12 13).

Le epopee di molti grandi di questo mondo, ieri come oggi, si sono concluse con simili delusioni e talvolta anche con un crollo spettacolare di tutti i progetti. Ricordiamo, a questo proposito, uomini come Hitler, Stalin, Mussolini, Ceausescu... Sono stati schiacciati dagli stessi loro calcoli, quelli che avevano coltivato nel profondo del loro cuore.

A proposito di cuore, è interessante ricordare ciò che dice René Laurentin: " Il cuore è, come nota biblicamente Giovanni Paolo II, la parte profonda dell'essere (Sal 103,1). "Tutto ciò che ci costituisce nell'interno; tutto ciò che ci fa persone umane, tutto ciò che fa la pienezza del nostro essere fisico e spirituale" (Omelia a Vancouver, 18 settembre 1984). Il cuore è il centro delle decisioni e degli impegni dell'uomo, il fondamento della personalità e della libertà che può orientarsi al bene o al male. Il cuore, abbandonato ai propri desideri elementari, spesso si perde proprio partendo dai propri calcoli. E una bella lezione del magnificat: Dio ha creato il mondo per amore, ma non vi interviene di continuo, rispettando le libertà che ha creato tali. Tocca a loro scegliere l'amore, sorgente di compimento. Chi non lo sceglie, si perde di sua propria iniziativa, senza che Dio lo fulmini.

E quella che si chiama "giustizia immanente" (quella che si realizza secondo l'ordine interiore e la logica della realtà) " (Magnificat, D.D.B., pp. 94-95).

" Ha spiegato la potenza del suo braccio

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore... ".

Quante pagine del Vangelo di san Luca sono il commento di quell'ordine nuovo dell'umanità inaugurato da Gesù! Quelle, per esempio, nelle quali denuncia la ricchezza egoista: particolarmente la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (16,19-31).

Quella, anche, in cui è condannata la concezione corrente del potere politico come sfruttamento ed oppressione (22,24-27).

Quelle, infine, in cui l'orgoglio è condannato come nella parabola del fariseo e del pubblicano (18,9-14) (René Coste, Le Magnificat et la révolutionde Dieu, Nouvelle cité, p. 129).

Nella prima alleanza la " donna " è divenuta madre del Cristo secondo la carne; ha portato in sé colui che era " la sostanza di questo popolo ". Ma, attraverso la croce, Cristo è passato dalla carne allo Spirito. Ormai, egli vive altrove. Egli aveva detto: " Distruggete questo tempio " (Gv 2,19)... Alla morte di Gesù il velo del tempio si è spaccato... La prima Alleanza spira con lui. Ma questo tempio Gesù lo ricostruisce sotto una forma nuova: aveva parlato del suo corpo risorto (Gv 2,21).

Tra l'uno e l'altro tempo, tra l'una e l'altra Alleanza c'è rottura: " Distruggetelo "; e regna una continuità: " Questo tempio io lo ricostruirò " in totale novità...

La Chiesa di Dio è il tempio ricostruito che partecipa al Cristo morto nella carne e risuscitato nella Spirito (F.X. Durrwel, Marie, mèditation devant l'icone, Mediaspauel, pp. 87-88).

A proposito di questo versetto, Mons. Miroslav Vlk invita a riflettere sulla Parola di Dio: " Le persone che s'imbattono nella Parola di Dio spesso la considerano come una bella letteratura di tempi lontani, come testi storici. Talvolta accade anche che preferiscano leggerla in vecchie traduzioni per gustarne il sapore antico. Ma la parola di Dio è "viva" (Eb 4,12) come Dio stesso è vivo (cf Ap 1,18; Rm 9,26; 2 Cor 3,3, ecc.). La Parola di Dio è sempre valida perché eterna (Sal 118,89) come Dio stesso è eterno (Sal 9,8) che l'ha pronunciata una volta per tutte. Ed essa risuona, portata da noi uomini, come un'eco eterna tra le rocce della storia del mondo " (Op. cit., pp. 97-98).

Il Magnificat ci ricorda una costante dell'azione di Dio. Ma una costante dell'Antico Testamento che si realizza nel Nuovo in modo sorprendente. Questo, perché il grande vincitore dei superbi, colui che li smaschera e li disperde, è un povero, un piccolo, un timorato di Dio, un umile, Gesù, il figlio di Maria, l'umile serva del Signore. Non c'è essere più piccolo e più umile di Gesù e questa è la ragione per cui egli trionfa sull'orgoglio e sul male in tutte le sue forme.

A Betlemme, il Verbo si fa carne e nasce in una stalla, in una famiglia povera. I primi che accorrono a salutarlo sono i pastori, gente povera disprezzata dalle autorità civili, religiose e militari dell'epoca.

Presto, contro di lui, si erge l'orgoglio di Erode che cerca di farlo perire compiendo la strage degli innocenti: " Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi ".

A Nazaret, Gesù, diventato un giovane, lavora con Giuseppe come falegname. All'età di trent'anni, chiude bottega e s'incammina per annunciare la Buona Novella in Galilea e in tutta la regione circostante. Aveva vissuto un tempo di preparazione riflettendo, pregando nel deserto, un tempo per scegliere i mezzi poveri per salvare il mondo.

Gesù rifiuta i metodi dell'orgoglio, l'apparato vistoso del potere politico, il peso del possesso e il prestigio del sapere, accontentandosi della sola esaltazione che l'interessi, quella della Croce: " Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me " (Gv 12,32). E se chiede a suo Padre d'essere glorificato è perché il Padre sia glorificato: " Padre, glorifica il tuo nome " (Gv 12,28). Gesù lo ridice all'inizio della sua grande preghiera del Giovedì santo: " Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te " (Gv 17,1).

Il Magnificat, in modo certamente più velato, annuncia già questa vittoria del braccio di Dio che dispiega la sua forza, disperde i superbi, rovescia i tiranni dai loro troni ed eleva gli umili...

Il cantico indica il cammino per continuare oggi la missione di Gesù: scegliere i mezzi poveri, scegliere la strada stretta, il " passaggio pasquale " della Croce che introduce al vero trionfo, ma un trionfo discreto, inatteso, quello della risurrezione finale. Questa risurrezione, cominciata già col nostro battesimo, poiché questo sacramento è la nostra prima partecipazione alla morte e alla risurrezione di Cristo, assume la sua dimensione definitiva, eterna, nel mistero della nostra morte, o più esattamente, della nostra ultima e suprema partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù risorto.

E LA VIOLENZA NELLA BIBBIA?

Quando si ha dimestichezza con l'Antico Testamento, si scoprono molti testi che descrivono Dio come un personaggio violento, quasi condottiero di guerre. Spesso Dio è chiamato " Sabaoth ", cioè il Dio degli eserciti...

Gli Evangeli invece, nel Nuovo Testamento, ci presentano il Dio di Gesù Cristo come un Dio disarmato sulla croce.

Che cosa bisogna credere? La Bibbia predica la violenza e la guerra santa? O la pace e la non-violenza?

Dio degli eserciti?...

Per chi ama le statistiche si può notare che la parola " ira " è ripetuta 369 volte nell'Antico Testamento e 44 volte nel Nuovo. La parola " guerra " rispettivamente 246 volte e 15 volte. Le parole " vendetta ", " Vendicare ", " Vendicatore " 118 e 9 volte. La parola " sangue " 372 e 100 volte (Valentin Strappazzon, Le Christianisme en quéstion, Centurion-Pélerin, p. 124).

I libri dell'Antico Testamento, secondo la condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti la conoscenza di Dio e dell'uomo e il modo con cui Iddio giusto e misericordioso si comporta con gli uomini. I quali libri, sebbene contengano cose imperfette e temporanee, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i fedeli devono ricevere con devozione questi libri, che esprimono un vero senso di Dio, una sapienza salutare per la vita dell'uomo e mirabili tesori di preghiere, nei quali infine è nascosto il mistero della nostra salvezza (Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, n. 15).

Impossibile negarlo. Molte pagine dell'Antico Testamento risuonano come bollettini di guerra o canti di vittoria. Dopo il passaggio del mar Rosso, Mosè e i figli d'Israele lanciano le loro acclamazioni trionfanti: " Voglio cantare in onore del Signore, perché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere " (Es 15,1). La liturgia delle Ore non c'invita forse a celebrare il Dio degli eserciti che ha massacrato gli Egiziani al tempo della liberazione del popolo d'Israele?

" Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:

perché eterna è la sua misericordia.

... Guidò il suo popolo nel deserto

perché eterna è la sua misericordia.

Percosse grandi sovrani

perché eterna è la sua misericordia;

uccise re potenti

perché eterna è la sua misericordia " (Sal 136).

Per comprendere queste pagine bibliche macchiate di sangue occorre comprendere la pedagogia del Dio della Bibbia che è " lento all'ira " (Es 34,6)... e prende tempo per insegnare al suo popolo che la soluzione ideale non è la guerra, ma la pace. D'altra parte, il Dio dell'Antico Testamento esige che il suo popolo viva separato dai popoli pagani per non adottarne i costumi selvaggi. Abramo è infatti invitato a non sacrificare bambini come facevano i Cananei.

Per molti Israeliti, d'altra parte, all'inizio della loro storia, il modo migliore per non vivere come i pagani è stato quello di sopprimerli tutti: odiarli, ucciderli... Dio metterà secoli per far loro scoprire che non ama la violenza.

Dio comincia col fare alleanza col suo popolo: camminerà con lui nei combattimenti per salvarli dai loro nemici: " Quando andrai in guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli e carri e forze superiori a te, non li temere, perché è con te il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto " (Dt 20,1).

Poco a poco, nel corso dei secoli, l'espressione " Dio degli eserciti ", cambia senso. Così, a questo proposito, Pierre Descouvemont: " Nei primi libri della Bibbia, gli Israeliti costituiscono gli eserciti di Ihwh (Es 12,41; Gd 5,13; 1 Sam 17,26) e Ihwh è il guerriro pieno di forza che dà al suo popolo la vittoria. Questa la ragione per cui, tra gli altri nomi, quello di Ihwh Sabaoth. Prima di uccidere Golia, Davide lo interpella dicendo: "Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato" (1 Sam 17,45).

Gli eserciti di Ihwh indicano, tuttavia, sempre più, gli astri del cielo che passano nel firmamento come un reggimento, in un ordine impeccabile, rispettosi delle distanze e obbedienti al dito e all'occhio di colui che li comanda:

"La luna mirabilmente crescendo secondo le fasi.

È un'insegna per le milizie nell'alto

splendendo nel firmamento del cielo" (Sir 43,8-9).

"Le stelle brillano dalle loro vedette e gioiscono. Egli le chiama e rispondono: Eccoci!" (Bar 3,34-35) " (Guide des difficultès de la foi catholique, Cerf, p. 336).

Gradatamente il popolo d'Israele abbandona una concezione semplicistica di Dio che punisce a colpi di disfatte militari e di massacri di ogni genere, per entrare nella scoperta di un Dio più forte, più grande di quanto si possa immaginare: un Dio pieno di misericordia e di tenerezza che invita l'uomo a scoprire nelle sue disgrazie non una punizione di Dio, ma una sorgente di benedizioni per il popolo. Ed ecco già in Isaia l'annuncio di un Dio disarmato: " Percosso da Dio e umiliato, Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà la salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo guariti " (Is 53,4-5).

Si comprende allora meglio la preghiera di Giuditta: " Dio, Dio mio, ascolta anche me che sono vedova... Or ecco gli Assiri hanno aumentato la moltitudine dei loro eserciti, vanno in superbia per i loro cavalli e cavalieri, si vantano della forza dei loro fanti, poggiano la speranza sugli scudi e sulle lance, sugli archi e sulle fionde e ignorano che tu sei il Signore che disperdi le guerre " (Gdt 9,4-7).

Questo Dio che " disperde le guerre " è un " principe della Pace ", un " buon Pastore " come ancora non si è mai visto, vittima della violenza delle armi e la cui spada, la " spada affilata " (Is 49,1-2) è la Parola della sua bocca.

... o il Dio disarmato?

Tra " essere con " e " chinarsi su " c'è un abisso. Gesù non si china sui peccatori, ma è con loro (François Varillon, L'humilité de Dieu, Centurion, p. 150).

Il termine " jih_d " significa, secondo il Corano, " sforzo nel cammino verso Dio " per far regnare il diritto di Dio. I mezzi per raggiungerlo sono vari: uno di essi è lo sforzo " militare ", quando si tratta di difendere ciò che appartiene ai musulmani e quando bisogna " aprire " all'Islam un paese che si rifiuta di abbracciare questa religione. Questo aspetto " militare " è frequente nella storia dell'Islam, non soltanto contro i non-musulmani, ma anche tra musulmani (Robert Gaspar, " Jih_d " in Dictionnaire des religions, P.U.F.).

Gli inni dei testi dell'infanzia hanno la funzione di gettare sugli avvenimenti la luce dello Spirito.

Maria è qui chiamata ad essere il commentatore dell'avvenimento escatologico di cui ora vive il popolo. Ella non parla per se stessa. Qui, tutta la salmodica dell'Antica Alleanza raggiunge la sua più alta vetta e supera se stessa. Chi legge questo testo è invitato ad unire il proprio giubilo a quello di Maria. Soltanto la comunità in festa di coloro che credono nel Cristo può essere idonea a testi come questo (H. Schurmann).

Questo " buon Pastore ", questo " re della Pace " annunciato dal profeta, è Gesù: " Esulta grandemente figlia di Sion, giubila figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina " (Zc 9,9).

Nel corso di tutta la sua vita, Gesù mostra la potenza del suo amore, ma rifiuta la violenza. Non s'impone con la forza. Quando Giovanni e Giacomo, " figli del tuono " (Mc 3,17), di fronte al rifiuto dei Samaritani di ricevere il loro maestro, gli chiedono: " Signore, vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? ", Gesù si voltò e li rimproverò (Lc 9,54-55).

Quando, nel giardino degli ulivi, la sera del giovedì santo, Giuda arriva con una grande folla armata per arrestarlo, uno dei suoi discepoli colpisce il servo del sommo sacerdote e gli stacca un orecchio con la spada, Gesù protesta e gli dice: " Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? " (Mt 26, 52-53). E si consegna, disarmato, ai giudici e ai suoi carnefici.

Questo è il momento in cui Dio è " più disarmato ". Nulla può impedirgli di amarci. Nulla.

La sua vita, la sua gloria, la sua reputazione, non lo preoccupano. Ai Giudei che vogliono la sua morte risponde: " Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "E nostro Dio", e non lo conoscete " (Gv 8,54).

Quando sarà inchiodato sulla croce, i capi dei sacerdoti lo scherniranno urlando: " Ha salvato gli altri, salvi se stesso " (Lc 23,35). Gesù non salverà se stesso, ma il Padre lo salverà, accogliendolo nella sua gloria e risuscitandolo.

Alla luce del Vangelo di Gesù è oggi evidente che Dio ci appare come principe della Pace, umile e disarmato perché è amore. Amore umile, vero.

Certo, né lui né il suo precursore Giovanni Battista hanno mai chiesto che i soldati abbandonino il loro compito. Mai Gesù chiede di chiudersi nella non-violenza assoluta. Sempre, tuttavia, chiama gli uomini ad abbandonare gli istinti della bestia che dormono in loro e reclamano vendetta nel sangue. Sempre li chiama ad essere perfetti come è perfetto Dio, cioè ad amare.

Il Dio disarmato del Nuovo Testamento e il Dio degli eserciti dell'Antico Testamento non sono che un solo e medesimo Dio, il Dio Amore. Per comprenderlo bisogna soprattutto ricordare due cose: una è che Dio, sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, si rivela nella storia di uomini, nella storia di un popolo, in una storia in cui la virtù e il peccato, l'eroismo e la codardia stanno insieme; l'altra è che per parlare di Dio lo scrittore sacro usa un linguaggio umano prestando a Dio dei sentimenti umani... che talvolta favoriscono la confusione.

L'ira di Dio, per esempio, esprime essenzialmente la sua esigenza di santità. Dio, come un buon padre, vuole che i suoi figli siano perfetti. Appunto perché li ama, non può tollerare il male. Così, quando Dio combatte o colpisce non è per conquistare nuovi territori in una guerra santa analoga alla " jih_d " islamica, ma per difendere il suo popolo dall'aggressione idolatra. Interviene non per punire, ma per convertire. Ecco perché, quando Gesù, al tempio, scaccia i venditori non è per punire eventuali peccatori, ma perché " lo zelo della casa di Dio lo divora " (cf Mt 21,12-14). Gesù vuole aiutare il popolo a rispettare la Casa di suo Padre mentre si manifesta come il Messia atteso.

Nell'Antico Testamento come nel Nuovo, Dio parla al suo popolo con parole d'amore: " Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore " (Os 2,21 22).

Nel suo Magnificat, Maria canta questo amore: " Di generazione in generazione la sua misericordia si stende... Ha soccorso Israele suo servo ricordandosi della sua misericordia " (Lc 1, 50-54). Maria canta questo amore con entusiasmo perché quest'amore raggiunge la sua vetta con la venuta di Gesù, suo figlio e Figlio unico del Padre. Ella canta a nome nostro.

Nello stesso spirito, san Giovanni, il discepolo prediletto, accolto da Maria ai piedi della croce e che da lui è accolta nella propria casa, testimonia: " In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui " (1 Gv 4,9).

Siamo noi decisi a cantare questo amore? Ad accettare di vivere mediante l'amore?...

 

 

 

8

" HA ROVESCIATO I POTENTI DAI TRONI

HA INNALZATO GLI UMILI "

Il potere è un veleno... Per l'uomo che crede che ci sia qualche cosa al disopra di noi tutti e che, per questo, è consapevole dei propri limiti, il potere non è ancora mortifero. Ma per coloro che non riconoscono una potenza superiore, il potere è un veleno cadaverico. Nulla può salvarli dal suo contagio (A. Solgenitsyn).

" Ha rovesciato i potenti dai troni... "

Chi? Il Dio onnipotente. Quando si parla di onnipotenza rischiamo spesso di dimenticare che l'onnipotenza di Dio è l'onnipotenza dell'amore. Si pensa a prodigi, ad improvvisi interventi clamorosi che però non hanno nulla a che vedere con l'onnipotenza di Dio che è ben diversa dalla volontà di potenza che caratterizza l'uomo peccatore: l'onnipotenza di Dio è solo amore. Amore umile, amore di servizio. Così discreto che non lo si vede: " Dio nessuno lo ha mai visto " (Gv 1,18). Soltanto colui che ha detto: " Chi ha visto me ha visto il Padre " (Gv 14,9) ci fa vedere Dio che si alza da tavola e, preso un asciugatoio, come un servo, lava i piedi dei suoi discepoli. Questo è Dio. Il vero volto dell'onnipotenza di Dio è questa onnipotenza dell'amore che serve i poveri in ginocchio e... rovescia i potenti dai troni.

La potenza di Dio

Sarebbe un'aberrazione voler ridurre il piano divino che si compie nella vita eterna in un'impresa di liberazione sociopolitica. Sarebbe ugualmente aberrazione non vedere che il piano divino esige che noi contribuiamo con tutte le nostre forze alla costruzione di una società giusta e fraterna. È la fede che deve fornirci i criteri supremi di verità perché essa poggia sulla Parola di Dio in Gesù Cristo (René Coste, op. cit., p. 138).

Maria, nel suo Magnificat, intravvede questo inatteso volto di Dio e comincia a scoprirlo e a cantarlo perché è umile, l'umile serva del Signore. Un'umile serva che conosce il modo di agire di Dio e la storia del suo popolo, questo piccolo popolo d'Israele, un popolo tre volte nulla, la cui forza non sta né nei carri, né nei cavalli, né nelle armi, ma in Dio. Una sola forza risiede in questo piccolo popolo: la forza di Dio stesso. Maria lo ha compreso e la sua forza non consiste nel contare su se stessa, ma su Dio solo.

" Rallegrati, Maria, piena di grazia, il Signore è con te " (Lc 1,28) le aveva detto l'Angelo. Maria lo crede e può cantare coi salmi: " Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? " (Sal 27,1). " Sii per me rupe di difesa, baluardo inacessibile " (Sal 71,3).

Ecco una rivelazione fondamentale sul modo di agire di Dio. Ce ne sono altre nel Magnificat. Maria si è sentita dire dall'Angelo: " Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo " (Lc 1,35).

Questa parola evoca la venuta dello Spirito all'inizio della creazione, sul caos primitivo. La discesa dello Spirito Santo su Maria annuncia una nuova creazione e l'aprirsi di tempi nuovi. Si comprende meglio, allora, che " d'ora in poi tutte le generazioni [la] chiameranno beata ". La venuta del Messia è divenuta centro della storia umana. La promessa del Signore si è già realizzata anche se non è ancora compiuta. Questo avvenimento riguarda tutti gli uomini di tutti i tempi. Maria canta il grande cambiamento evangelico. E la parte rivoluzionaria del Magnificat.

La rivoluzione di Dio

La Vergine del Magnificat ci insegna che l'autentica liberazione deve essere compiuta dai poveri stessi e in solidarietà con loro, nello spirito delle beatitudini evangeliche e particolarmente della prima beatitudine secondo Matteo, ch'ella viveva intensamente come umile serva del Signore (René Coste, op. cit., p. 142).

Nel Magnificat, Maria assume la propria povertà, in solidarietà con i poveri di cui canta la giusta liberazione. La sua povertà non è quella dei peccatori, ma quella di una creatura: a questo titolo ella riconosce, in verità, i propri limiti. Come noi, ella deve tutto a Dio... Ecco, dunque, un cantico molto attuale. Tutto trova il proprio fondamento nel primato di Dio, santo e salvatore, misericordioso, padrone del presente e dell'avvenire, creatore e liberatore della nostra stessa libertà. La via normale di ogni cristiano in questo mondo è di coniugare così la gioia e la croce. La croce è inevitabile, ivi compresa la morte. Ma bisogna che la gioia permanga e cali dalla sorgente: la sorgente è Dio che illumina e trasfigura anche le ombre di questo mondo, anche la povertà. Non c'è fiducia che possa radicarsi con sicurezza se non in Dio, sorgente di serenità e di pace (René Laurentin, op. cit., p. 195).

Nel versetto precedente, il versetto 51, Dio disperde i superbi che si perdono, vittime della loro propria stupidità. Ora, nei versetti 52-53, i potenti sono contrapposti ai poveri e Dio si pone dalla loro parte: li eleva, mentre con un unico movimento rovescia i potenti. Il Magnificat tuttavia non contrappone i poveri ai ricchi, ma ai potenti, a coloro che hanno il potere, mentre i poveri sono coloro che sono senza potere, coloro la cui voce non è ascoltata, che non hanno mezzi per farsi udire e per difendersi. Questo versetto annuncia un capovolgimento: quelli che erano in basso sono elevati e quelli che erano in alto sono abbassati. Tale è la rivoluzione evangelica annunciata dal Magnificat.

Attenzione, però: non proiettiamo su questo testo i nostri schemi rivoluzionari sociopolitici e semplificatori: non si tratta di annunciare un avvenire in cui la dittatura dei proletari sostituirà quella dei sovrani. Il Dio di Maria non pone sui troni i poveri di ieri. La sua prospettiva non è quella di una rivendicazione. René Laurentin, in proposito, così scrive: " Maria non pone i poveri sul trono da cui Dio ha rovesciato i potenti. La sua prospettiva non è la rivendicazione. Non si tratta della rivoluzione fatta dagli uomini, ma della rivoluzione di Dio che ristabilisce la giustizia, l'equità e la verità. Rovesciando i potenti, li libera dalle loro vane illusioni e li promuove alla dignità dei poveri... Maria, che non pone i poveri sui troni, non vi si pone neppure se stessa, malgrado le promesse ricevute: " Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre " (Lc 1,32). Questo, infatti, poteva prometterle il trono di Regina madre (1 Re 2,19). Gesù non ebbe altro trono se non la Croce, ai cui piedi sua madre stava umiliata, trapassata dal dolore (Lc 2,35): scandalo per la sua fede nella gloriosa promessa ricevuta, sottolinea Giovanni Paolo II nell'Enciclica Redemptoris Mater. Gesù non ebbe né trono, né gloria in questo mondo " (Magnificat. Action de grâces de Marie, D.D.B., pp. 96-97).

L'elevazione degi umili, annunciata in tutto il corso della Bibbia, trova la sua massima espressione quando l'uomo, il più pienamente uomo, l'uomo più umile, Gesù, è elevato sulla croce e rivela agli occhi di tutti la vera gloria dell'uomo ed insieme il vero volto di Dio: l'amore. Così, il servo degli uomini, il servo sofferente proclama la salvezza del nostro Dio:

" Ecco, il mio servo avrà successo,

sarà onorato, esaltato e molto innalzato.

Come molti si stupiranno di lui

 tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto

e diversa la sua forma da quella da quella dei figli dell'uomo 

così si meraviglieranno di lui molte genti;

i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,

poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato

e comprenderanno ciò che avevano udito ".

(Is 52,13-15)

Sì, i valori del nostro mondo sono rovesciati da questo uomo-Dio che muore sulla croce. Cominciano già ad esserlo attraverso questa donna che accoglie la salvezza accettando di divenire la madre del Messia. Noi che siamo i ricchi di questo mondo dobbiamo ascoltare questa chiamata di Dio alla liberazione dell'uomo. Tocca a noi partecipare alla rivoluzione di Dio. Il Magnificat di Maria è una mobilitazione. Così, in proposito, si esprimeva Paolo VI: " L'azione della Chiesa nel mondo è come un prolungamento della sollecitazione di Maria: infatti, l'amore diligente della Vergine a Nazaret, nella casa di Elisabetta, a Cana, sul Golgota... si prolunga nell'attenzione vigile della Chiesa perché tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità, nella preoccupazione per gli umili, i poveri e i deboli, nel suo continuo impegno per la pace e la concordia sociale, nel suo zelo perché tutti gli uomini possano partecipare alla salvezza che ha meritato loro, con la morte, Cristo " (Marialis cultus, n. 28).

Tocca alla Chiesa, cioè a noi, dire che Dio ha compiuto grandi cose per l'uomo d'oggi, ma il nostro compito è di darne testimonianza.

Tocca alla Chiesa, cioè a noi, denunciare i falsi valori che si nascondono nel potere, nel sapere e nel possesso.

Tocca alla Chiesa, cioè a ciascuno di noi, annunciare la Buona Novella ai poveri e, perciò, testimoniare che Dio preferisce i poveri a coloro che si credono importanti.

Il Magnificat, più che essere un canto rivoluzionario, è un canto che magnifica le possibilità che Dio apre nel cuore dell'uomo. Possa ciascuno di noi partecipare concretamente con i nostri fratelli e sorelle a questo splendido progetto di Dio. Partecipare poveramente e umilmente, al modo di Maria. Al modo di Gesù. Divinamente!

J-M.S.

Spesso si vede la Chiesa soltanto come un potere ostile ad ogni cambiamento; di fatto, essa custodisce un forte ideale che spinge gli uomini verso le più alte vette ed apre loro gli occhi sul proprio destino.

Dagli angoli incandescenti dell'Africa ai quartieri neri di Alabama, ho visto uomini levarsi e scuotere le proprie catene. Avevano scoperto d'essere figli di Dio e diveniva loro impossibile sottoporsi a qualsiasi giogo (Martin Luther King).

 Maria della nostra liberazione  Mons. Casaldaliga vive in Brasile con i poveri, nel Mato Grosso. Ha scritto diversi libri tra cui: " Credo nella giustizia e nella speranza " (traduzione italiana Roma 1976). Ha composto la preghiera che riproduciamo integralmente:

" Cantante della grazia che si offre ai piccoli, perché solo i piccoli sanno accoglierla, profeta della liberazione che solo i poveri conquistano, perché solo i poveri possono essere liberi, noi vogliamo pregare con te, vogliamo cantare il tuo Magnificat, credere come te.

Insegnaci a leggere la Bibbia  leggendo Dio  come il tuo cuore la sa leggere, al di là della routine delle sinagoghe e malgrado l'ipocrisia dei farisei. Insegnaci a leggere la storia  leggendo Dio e leggendo l'uomo  come la tua fede te l'ha ispirato nella umiliazione d'Israele oppresso di fronte al vanto dell'Impero Romano. Insegnaci a leggere la vita  leggendo Dio e leggendo noi stessi  come l'hanno scoperta i tuoi occhi, le tue mani, il tuo dolore, la tua speranza.

Insegnaci quel Gesù di verità, quel Gesù che, per il regno del Padre, si è strappato dalle tue braccia di madre e si è consegnato alla folla, solo e compassionevole, potente e servo, amato e tradito. Fedele fino alla solitudine della morte.

Insegnaci a portare quel Gesù di verità sui sentieri del silenzio o sulla montagna esultante delle celebrazioni giorno dopo giorno, con tua cugina Elisabetta, per mostrarlo ai nostri popoli abbattuti che, malgrado tutto, sperano in lui.

Maria, nostra Maria del Magnificat, con te vogliamo cantare. Maria della nostra liberazione, con te vogliamo essere profeti, con te proclamiamo la grandezza del Signore, in lui condividiamo la tua gioia, perché egli ci salva da tutti e contro tutti.

Con te, Maria, cantiamo esultanti di felicità, gratuita, perché Egli guarda gli insignificanti e la sua potenza scende su di noi con il volto dell'amore. Perché è sempre fedele, identico nelle nostre diversità, unico per la nostra comunione, di secolo in secolo, di cultura in cultura, di persona in persona. Perché il suo braccio interviene nella storia, attraverso le nostre braccia interposte, incerte ma libere. E un giorno intercederà, Lui, definitivamente. Perché è lui che rovescia i progetti multinazionali e sostiene la fede dei piccoli che si organizzano per una vita più umana.

Egli, infatti, vuota la cassaforte dei ricchi e apre spazi comunitari per la semina, l'educazione e la festa in favore dei diseredati. Egli rovescia dai loro troni tutti i dittatori e sostiene gli oppressi che infrangono le strutture nella loro marcia verso la liberazione.

Egli sa perdonare la sua serva, la Chiesa che, sempre infedele credendosi maestra, rimane tuttavia l'eletta sempre amata per dell'Alleanza fatta, un giorno, nel sangue di Gesù.

Maria di Nazaret, cantante del Magnificat, serva di Elisabetta, resta anche con noi, perché il regno è in arrivo. Resta con noi, Maria, nell'umiltà della tua fede capace d'accogliere la grazia. Resta con noi nella Spirito che ha fecondato la tua carne e il tuo cuore. Resta con noi nel Verbo che ha preso vita in te, uomo e salvatore, Israelita e Messia, Figlio di Dio e figlio del tuo seno, nostro fratello Gesù ".

Mons. Padro Casaldaliga

Vescovo di Sao Felix de Araguia

IL MAGNIFICAT, UN CANTO DI LIBERAZIONE

La salvezza è, prima di tutto, liberazione dal peccato: in quanto chiusura egoista su noi stessi, rifiuto della nostra dipendenza da Dio creatore e redentore e rifiuto dei vincoli fraterni quali dobbiamo avere con gli uomini nostri fratelli.

Una liberazione così intesa non può non ripercuotersi nella nostra vita individuale e sociale perché implica l'apertura a Dio e al prossimo (René Coste, Le Magnificat et la révolution de Dieu, Nouvelle Cité, p. 195).

Attraverso i secoli, il Magnificat risuona come un canto di vittoria: la vittoria dei poveri sui ricchi, degli oppressi sui loro oppressori, dei disprezzati sui superbi. Iürgen Moltmann dice: il Magnificat " è il canto di una grande rivoluzione di speranza... risuona come la Marsigliese del fronte cristiano di liberazione... " (Die Sprache der Befreiung, Munich, Kaiser Verlag, 1972, p. 125).

E infatti quanto emerge dal passo che da parte di Maria, l'umile serva del Signore, desta stupore. Abbordiamolo:

" Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato i ricchi a mani vuote ".

(Lc 1,51-53)

Ascoltando questi versetti, il pensiero naturalmente corre alla profetessa Miriam, sorella di Aronne, che, a capo di un gruppo di donne, suona il tamburello e danza con loro per festeggiare la disfatta dell'armata del Faraone nei flutti del mar Rosso: " Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere " (Es 15,21)

Una grande gioia illumina il volto di queste due donne: perché? Ieri Dio ha liberato il suo popolo dalla schiavitù degli Egiziani; oggi Dio, in Gesù Cristo, libera l'umanità dal male.

Quale liberazione? Da quale male?

L'azione della Chiesa nel mondo è come un prolungamento della sollecitudine di Maria: l'amore diligente della Vergine, infatti, a Nazaret, nella casa di Elisabetta, a Cana e sul Golgota... continua nella preoccupazione materna della Chiesa perché tutti gli uomini conoscano la verità, nella sollecitudine per i poveri e i deboli, nel suo costante impegno per la pace e la concordia sociale, nel suo zelo perché tutti gli uomini partecipino alla salvezza che ha loro meritato la morte di Cristo (Esortazione apostolica, Marialis cultus, n. 28).

Si tratta semplicemente di una liberazione politica e militare? Certamente no. I motivi? Perché l'orizzonte della preghiera di Maria non è un breve orizzonte politico-militare, ma il grande orizzonte della fede.

Maria, innanzi tutto, pensa alla salvezza globale, totale dell'umanità. Una liberazione di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Non la liberazione di un solo popolo, ma di tutti i popoli. Cominciando dalla liberazione dei piccoli, degli esclusi, dei poveri. Una liberazione, quindi, dal vero male, dal grande male che incombe sull'uomo, su ogni uomo: il peccato. Questo peccato sfigura il bel volto dell'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio; il peccato, infatti, " disumanizza ".

Detto questo, però, sarebbe uno snaturare il pensiero di Maria il darne un'interpretazione puramente spirituale. La salvezza viene da Dio, certamente, ma raggiunge l'uomo in tutta la profondità del suo essere: la sua vita futura, eterna, ma anche la sua vita attuale, storica, fraterna e sociale. E naturale, a questo punto, rifarci al canto di Anna:

" Il Signore rende povero e arricchisce,

abbassa ed esalta.

Solleva dalla polvere il misero,

innalza il povero dalle immondizie,

per farli sedere insieme con i capi del popolo,

e assegnar loro un seggio di gloria ".

(1 Sam 2,7-8)

Per l'uomo della Bibbia, la situazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, del disprezzo dei piccoli e degli umili era in totale contraddizione con il messaggio del Dio dell'Alleanza, del Dio liberatore dell'Esodo al cui intero progetto Gesù afferma di partecipare con la dichiarazione fatta nella sinagoga di Nazaret:

" Lo Spirito del Signore è sopra di me;

per questo mi ha consacrato con l'unzione,

e mi ha mandato per annunziare ai poveri

un lieto messaggio,

per proclamare ai prigionieri la liberazione

e ai ciechi la vista;

per rimettere in libertà gli oppressi... ".

(Lc 4,18)

E evidente che se Gesù ha affermato di essere il Liberatore dal peccato sotto tutte le sue forme e se si è rifiutato di diventare un capo politico rivoluzionario, il suo messaggio però è una presa di posizione netta e ferma in favore dei piccoli, dei poveri e degli oppressi. Che questa presa di posizione abbia una sua logica ripercussione sul piano sociale e politico è naturale. Come già abbiamo avuto occassione di dire (cf cap. II), si può così comprendere perché Charles Maurras esprimesse tanta collera nei confronti di questo canto che chiamava " La Marsigliese dei poveri " e perché si rallegrasse che il popolo cristiano lo cantasse in latino rendendo, in tal modo, più difficile la percezione del suo " veleno rivoluzionario ".

Il Magnificat fa paura ai tiranni di questo mondo perché annuncia una civiltà dell'amore: una civiltà in cui non sia più la legge del più forte o la legge del denaro ad avere il sopravvento, ma l'amore verso tutti, il rispetto di tutti, ivi compresi i più infelici sul piano fisico, psichico, materiale e morale. Maria canta questa rivoluzione dell'amore e la Chiesa dei primi secoli ne è stata l'eco.

Ricordiamo la Lettera ai Corinzi scritta da san Clemente di Roma, al tempo in cui l'apostolo Giovanni era ancora ad Efeso:

" ...Tu il solo Altissimo, nei cieli,

il Santo che sta in mezzo ai santi.

Tu abbassi l'arroganza dei superbi,

tu sventi i calcoli delle nazioni,

tu elevi gli umili

e rovesci i potenti;

tu arricchisci e impoverisci,

tu prendi e doni la vita...

Tra noi tu hai scelto quelli che ti amano,

mediante Gesù Cristo, tuo figlio prediletto:

mediante lui li hai istruiti, santificati, onorati.

Noi ti preghiamo, Onnipotente,

perché tu sei il nostro soccorritore

e il nostro difensore.

Salva gli oppressi,

abbi pietà dei piccoli,

rialza quelli che sono caduti,

mostrati a quelli che sono nel bisogno,

guarisci gli ammalati,

facci gustare i beni nella pace,

proteggici con la tua mano potente,

liberaci da ogni peccato

mediante il tuo braccio sovrano ".3

La povertà di Maria e di Giuseppe, la povertà di Gesù a Betlemme e a Nazaret, la povertà di Gesù in tutto il corso della sua vita pubblica e sul legno della croce, tutto questo costituisce un segno. Dio ha scelto di essere dalla parte dei poveri. Maria canta questa scelta di Dio. Una scelta sorprendente, sconvolgente, rivoluzionaria. Giustamente, però, nota René Coste: " Nel suo tenore evangelico, il canto di vittoria dei poveri del Magnificat, beneficiari privilegiati della rivoluzione di Dio, trova la sua garanzia nella risurrezione di Gesù, pegno della nostra. L'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo, è il Cristo risorto; Dio in lui e l'umanità trasfigurata dalla Risurrezione: il Cristo della Trasfigurazione e della Risurrezione. In lui, io cristiano adoro il Dio liberatore. In lui io contemplo l'Uomo, mio fratello, irradiato dalla gloria divina. E, in questa glorificazione dell'Uomo in Gesù risorto, io scopro il pegno della risurrezione che mi è promessa e che sarà la vittoria definitiva sulla morte che, come tutti gli uomini miei fratelli, dovrò affrontare " (Le Magnificat, ou la révolution de Dieu, Nouvelle Cité p. 132).

Nel suo inno di lode alla divina misericordia, l'umile Vergine di Nazaret, a cui si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia il popolo dei poveri, canta già, come in trasparenza, il mistero pasquale: quello della salvezza dell'uomo, del suo perdono e della sua divinizzazione.

Maria ha riconosciuto il vero Dio: quello dei poveri. Dio ama i poveri, vuole liberarli da tutti i mali, salvarli tutti... e s'impegna per una liberazione totale, radicale, dall'infelicità, dall'ingiustizia, dal peccato personale e collettivo.

Alla luce della fede, il Magnificat ci rivela come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male sotto la sua forma più radicale e, insieme, l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Questo cantico è dunque un appello, non soltanto alla preghiera, ma anche all'azione.

Tale è l'esigenza e la sfida lanciata dal Magnificat. Una formidabile sfida lanciata dalla Chiesa di Gesù all'umanità intera. In questa preghiera, infatti, possiamo attingere un immenso sostegno alla speranza dei piccoli e degli umili, contemplare già la vittoria dell'amore divino che nessun ostacolo arresta e scoprire infine a quale sublime libertà Dio eleva l'uomo, qualunque sia la sua situazione sociale sulla terra.

Il Magnificat ci richiama alla fede, alla gioia, alla libertà, alla giustizia. Ma, prima di tutto, all'amore. Certo, questo cantico non ignora la viltà degli uomini e la loro miseria. Ma ricorda con vigore l'amore infinito del Signore per tutti i peccatori e la sua volontà di salvarli. Di salvarli tutti. Ecco perché Maria canta. Ella non ha ancora bevuto il vino di Cana, né il vino del torchio della croce. Ma l'amore di Dio l'ha già inebbriata.

A tutti quelli che cercano umilmente di condividere la stessa gioia di vivere, la stessa libertà, di costruire lo stesso regno d'amore, Maria dona il desiderio di Dio. Di quel Dio che libera l'uomo... per portarlo nella spirale del suo amore trinitario. E della sua gioia senza fine.

Il Magnificat

è il più grande e il più bel canto di liberazione.

In carcere, ho molto meditato sulla Vergine.

Immaginavo Maria che entrava nella mia cella

cantando il Magnificat.

La vedevo subito accusata d'essere comunista,

sovversiva e anche lei torturata.

Il grande dolore di Maria

fu quello di veder morire suo figlio Gesù.

Fra tutte le madri, come quelle della " Plaza de Mayo "

che reclamano giustizia per i loro figli falciati

dalla giunta militare.

Adolfo Perez Esquivel

Premio Nobel per la Pace

Madre di Dio, divina massaia, che accudisci ai celesti sagrati, Regina degli angeli e povera sulla terra, tutta occupata a pulire la casa, a cucinare e a tirar su l'acqua dal pozzo, insegnaci quest'arte del sacrificio.

Perché saremmo alla rabbia disposte se solo dovessimo giustizia attendere!

Regina della Pace che vedi le mie colpe, Signora da cui ogni beneficio dipende, io so che la sorte a me toccata sarebbe ridotta se solo dovessimo giustizia attendere!

Regina, alla mia morte accordami il tuo appoggio.

Quando si aprirà l'infernale precipizio!

Luoghi tenebrosi riceverebbero il nostro spirito se solo dovessimo giustizia attendere!

(Henriette Charasson, 1884-1972, Ballade à Marie).

Per l'arcobaleno sulla pioggia di bianche rose, per il giovane brivido che di ramo corre in ramo e fiorire fa lo stelo di Iesse; per le Annunciazioni sorridenti nelle rugiade e per le ciglia abbassate di pensosi fidanzati ti saluto, Maria.

Per l'esaltazione della umiltà tua.

E per la gioia del cuore degli umili visitati.

Per il Magnificat che intonano mille nidi.

Per i gigli delle tue braccia congiunte verso lo Spirito Santo.

E per Elisabetta, pergolato in cui freme un frutto: ti saluto, Maria.

(Francis Jammes, 1868-1938, Je vois salue, Marie)

 

 

 

 

9

HA RICOLMATO DI BENI GLI AFFAMATI

HA RIMANDATO I RICCHI A MANI VUOTE

" Eppure hanno tutto per essere felici ", dice la saggezza popolare riferendosi a gente ricca, colta e potente il cui stato è palesemente infelice.

Il fatto è che il denaro, anche se necessario, non fa la felicità e che la salute, per quanto sia importante, non basta e neppure basta la considerazione pubblica.

Ci sono, d'altra parte, persone che hanno attraversato prove terribili eppure la loro solo presenza è capace di darci la speranza, tale è, per esempio, un Massimiliano Kolbe nel bunker atroce della fame i cui occhi riflettevano già la serenità del Cielo e che ha saputo condividere il suo segreto con i compagni di morte aprendo la loro sofferenza alla vita.

La felicità non è nel benessere, e neppure nella povertà, ma in un atteggiamento di fronte alla vita di cui Maria ci dà il segreto nel suo Magnificat (Cardinale Paul Poupard, Magnificat. Neuf évêques commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 133).

" Ha colmato di beni gli affannati e rimandato i ricchi a mani vuote... ". Questo versetto è chiaro. Come prima cosa, indica l'intollerabile situazione d'ingiustizia nel nostro mondo dalla notte del primo peccato fino ad oggi. Quando Maria intona il suo cantico, Nazaret, Betlemme, Ain-Karim, la Giudea e la Galilea non sono certo un paradiso terrestre. Ben lungi da questo! Il paese è occupato dalle legioni romane, la società è divisa in due: da una parte, i piccoli, i poveri, quelli che non hanno niente; dall'altra, i grandi, i potenti, i ricchi, quelli che non condividono: la loro ricchezza è un insulto per i piccoli che sono schiacciati. Di fronte a questo scandalo, l'atteggiamento di Dio riempie di gioia Maria: ella, infatti, scopre che Dio prende parte per i poveri. Viene a loro. Viene a condividere la sua vita con loro. Questa gioia non è dunque, in prima istanza, solo gioia che celebri l'avvento di un regno spirituale per l'avvenire, ma la gioia di scoprire che Dio prende parte e s'impegna a porre ordine nel mondo degli uomini a livello di denaro, di alimentazione, di rispetto dell'uomo. Più tardi, le parole e gli atti di suo figlio Gesù proietteranno una luce nuova, acciecante, su questo Magnificat dei poveri.

Gesù, infatti, denuncerà il ricco che non ha visto Lazzaro davanti alla sua porta (Lc 16,19ss). Denuncerà il sacerdote che è passato al largo per non avvicinarsi allo straniero semimorto che giaceva nel fossato della strada che scende da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,29ss). Lascia partire rattristato il giovane ricco a cui ha proposto di seguirlo a condizione di donare tutti i suoi beni ai poveri (Lc 18,23). Inviterà i suoi discepoli a meravigliarsi con lui della generosità della vedova che ha messo due spiccioli nel tesoro del Tempio: " tutto ciò che aveva " (Lc 21,1-4).

Come scrive uno studioso del Magnificat, il P. Dupont, nel Magnificat Maria canta un impegno di Dio nel mondo per trasformare niente di meno che l'ordine delle cose e trasformarlo al livello più concreto, quello della fame, del denaro, del potere.

Maria evoca, cominciando dalla fame del ventre, tutti i generi di fame dell'uomo. Perché l'Onnipotente possa compiere in noi grandi cose, è necessario che noi siamo affamati e, prima di tutto, affamati della giustizia, cioè coloro per i quali è la promessa di Gesù: " Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia " (Mt 5,6).

Ma, chi è affamato di questa " giustizia " nel senso biblico della santità? Noi non abbiamo più fame spirituale, non ne abbiamo più appetito o ne abbiamo così poco: molti sono i cristiani che soffrono di anoressia spirituale. Apparentemente senza rimorsi né inquietudini. Come possono vivere? Bisogna mangiare per vivere, dice la sapienza popolare; ma se non si ha fame?

Uno scrittore del XVII secolo, J.J. Duguet, diceva: " Bisogna essere già vivi per desiderare di vivere ". Saremo forse spiritualmente morti poiché non proviamo più né sete né fame della vera vita? Il rimedio? Maria ce lo dona: suo Figlio, che viene a suscitare e soddisfare la nostra fame e la nostra sete: " Colma di beni gli affamati ".

Affamati di che cosa?

Lungi dal predicare la rassegnazione, il Magnificat, il cantico di Maria, è il canto del coraggio a servizio del Signore e dei nostri fratelli uomini (René Coste, Le Magnificat ou la révolution de Dieu, Nouvelle Cité, p. 140).

Di pane prima di tutto, per i poveri che non hanno di che mangiare: è la fame in senso proprio.

Ma l'uomo ha fame anche, e soprattutto, di amore vero. Desidera essere amato quale egli è e, a sua volta, riuscire ad amare meglio. Questo desiderio, in un certo senso, è alla sua portata. Chi, infatti, non sogna di realizzare il proprio amore coniugale? Eppure quante delusioni! Anche l'amore materno non è sempre perfetto e può essere possessivo; la delinquenza, d'altra parte, trova il suo migliore terreno tra quelli che non hanno conosciuto tenerezza nella loro infanzia. Gesù viene a dirci che Dio è amore, che ci ha amati per primo, che è venuto a liberarci da tutte le ferite che ci chiudono nel rifiuto. L'Abbé Pierre diceva dei suoi primi compagni di Emmaus: " Il male li schiantava, avevamo fame di pane, ma anche d'amore. Ho dato loro la mano ed ecco che hanno imparato ad amare, a lasciarsi ferire dalla ferita degli altri e a dimenticare la loro " (P. Lunel, L'Abbé Pierre, Stock, p. 192).

La fame di amore vero è anche perdono: non c'è amore senza perdono.

Noi abbiamo anche sete di essere riconosciuti nella nostra dignità. E ancora l'Abbé Pierre che, dopo aver ottenuto di ospitare alcuni dei senza-tetto che dormivano sulla strada nelle stazioni della metropolitana, ripeteva: " Bisogna permettere loro di vivere da uomini: da uomini ritti sui propri piedi " (op. cit., p. 262).

E " quando quei duri si sono sentiti dire grazie dalla famiglia senza-tetto (che per mezzo loro un tetto l'aveva ritrovato) hanno capito che erano uomini e, a loro volta, si sono sentiti di dire: "Grazie" " (op. cit., p. 191).

C'è ancora la fame e la sete di sicurezza, di pace, di libertà, di speranza. " All'uomo occorre un minimo di speranza per poter desiderare " (Maurice Claudel).

Affamati di Dio

Dall'Annunciazione fatta a Maria alla sua Assunzione in cielo, le stelle del Magnificat illuminano i misteri del nostro rosario (Card. Paul Poupard, op. cit., p. 153).

C'è la fame di Dio.

Nella Bibbia la fame e la sete esprimono simbolicamente il bisogno che l'uomo ha di Dio. Nel deserto il popolo ebraico fa l'esperienza della fame e quella della dipendenza totale da Dio, che gli dà come nutrimento la manna, giorno per giorno. Ma questo popolo scopre un bisogno ancora più vitale, quello di Dio, della sua Parola, della sua Legge in cui trovare la vita: " Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti... Ti ha fatto provare la fa me, poi ti ha nutrito di manna... per farti capire che l'uomo non vive soltanto di pane, ma che l'uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore " (Dt 8,2-3).

Anche Gesù, come Israele, prova la fame nel deserto e dichiara che il bisogno essenziale dell'uomo è la Parola di Dio (Mt 4,4); e che la volontà del Padre è il suo cibo e la sua vita: " Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera " (Gv 4,34). Sulla croce, " Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: "Ho sete" " (Gv 19,28). Aver sete di adempiere la Scrittura, per Gesù, è soffrire la Passione per obbedienza al Padre e per amore degli uomini.

E Maria? Nel Vangelo ci è presentata come un'affamata di Dio: della sua Parola, della sua volontà, del suo amore.

Ella accoglie la Parola di Dio: " Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore " (Lc 1,45).

Ella custodisce la Parola nel suo cuore: " Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore " (Lc 2,19).

Ella accetta che la Parola di Dio s'incarni in lei: " Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto " (Lc 1,38). Mediante lei, Dio si fa uomo: " E il verbo si è fatto carne " (Gv 1,14). Ella, infine, ci invita a mettere, come lei, la Parola di Dio in pratica: " Fate quello che vi dirà " (Gv 2,5).

Ci colma di beni

Il versetto 53 chiude la parte rivoluzionaria del Magnificat: eco della Rivelazione biblica e profetica sulla priorità dei poveri e il ristabilimento della giustizia in loro favore nell'Aldilà (come per il povero Lazzaro) o fin da quaggiù?

Leggendo il Magnificat appare che la rivoluzione di Dio si è già realizzata: il cantico canta... al passato.

La cosa è paradossale, perché la giustizia non si è affatto realizzata nell'ora della Visitazione. Erode è sempre sul suo trono e presto minaccerà Gesù che sta per nascere (Mt 2). Ma la speranza di Maria guarda all'avvenire con gli occhi di Dio. Ella è sicura del trionfo della giustizia. Ritroviamo, a questo punto, il paradosso frequente nella storia della salvezza: l'eternità di Dio domina il tempo e per chi è con Dio il futuro è già sicuro anche se non appare ancora. Per percepirlo bisogna raggiungere il pumto di vista di Dio che è quello di Maria nel Magnificat (René Laurentin, Magnificat. Action de grâce de Marie, D.D.B., p. 100).

Dio scava in noi il desiderio, il bisogno, la fame di lui stesso per colmare il nostro cuore dei suoi beni. Quali sono questi beni? Quelli, precisamente, a cui aspiriamo dal profondo di noi stessi, ma che spesso confondiamo con falsi beni.

Noi vogliamo amare, essere liberi, vivere in pace, essere rispettati nella nostra dignità e confondiamo amore e passione egoista, libertà e insubordinazione, pace e assenza di sofferenza, autonomia e indipendenza. Vogliamo la vita e scegliamo la morte: con i nostri rifiuti, ripiegamenti su noi stessi ed egoismi. Queste scelte di morte tengono a distanza Dio, e ci uccidono. Ma Dio non si stanca mai di offrirci i suoi doni: " Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni... Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo " (Is 43,1-4).

Dio chiama il suo popolo dalla dura cervice alla scelta della vera vita: " Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita... " (Dt 30, 19-20).

Il bene per eccellenza che Dio ci dona è suo Figlio che è " via, verità e vita " (Gv 14,6). Non è forse Gesù che ci ha liberati dal peccato e dal male? " La verità [cioè Gesù in persona, non un concetto] vi farà liberi " (Gv 8,32). Egli è il nostro Salvatore: " Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo " (Gv 12,47).

Gesù ci porta la sua pace di Risorto: " Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo " (Gv 14,27). Gesù ha voluto darsi a noi sotto forma di cibo, l'eucaristia: " Io sono il pane vivo, disceso da cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo " (Gv 6,51). E Gesù che ci rivela che Dio è amore, che è Padre, che ci ama come suoi figli: " Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente " (1 Gv 3,1).

Donandoci Gesù, il Padre ci ha dato tutto: " Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui? " (Rm 8,32). In lui, aggiunge san Paolo, " siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza... nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo " (1 Cor 1,5-7).

Date loro voi stessi da mangiare ...

L'esperienza della vita comporta molte delusioni e sofferenze che conducono allo scoraggiamento. L'amore, invece, non inganna. E il vero amore è povero. Non è narcisistico, né dominatore, né possessivo, né egoista. È la perla rara del Vangelo (Mt 13,46).

Come Maria, soltanto gli affamati di Dio possono incontrarlo, perché disponibili all'amore come allo sforzo, alla gioia come alla prova, lontani dalla tarma dell'amarezza e del risentimento, dell'invidia e della gelosia, dell'egoismo e dell'orgoglio (Card. Paul Paupard, op. cit., p. 135).

Dio fa di più: ci fa l'onore di associarci al suo desiderio di soddisfare la fame degli uomini. Gesù ha colmato la fame della folla che lo seguiva, ma vuole che siano i suoi discepoli a nutrire gli affamati: " Date loro voi stessi da mangiare " (Mt 14,16). Egli ricompenserà chi avrà dato un bicchiere d'acqua a uno dei suoi fratelli: " E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa " (Mt 10,42).

Chi non avrà visto l'affamato alla propria porta subirà una sete torturante che nessuno potrà sollevare, come nella parabola di Lazzaro e del ricco (Lc 16,19-24). Saremo giudicati su ciò che avremo fatto per l'affamato, l'assetato che era sulla nostra strada; perché attraverso i nostri fratelli è la fame e la sete di Gesù stesso che noi avremo soddisfatto (Mt 25,35-42).

Ciò che Gesù ha detto a Marta vale anche per noi: suscitare la fame della Parola di Dio: " Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta " (Lc. 10,42).

Come Gesù ha fatto per la Samaritana, anche noi dobbiamo suscitare la sete di acqua viva: " Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva " (Gv 4,10)

Yves Mourousi un giorno ha chiesto all'Abbé Pierre: " Che cosa mantiene in agilità la tua vecchiaia? ". " E il bisogno di dire che la vita è un lasso di tempo dato a delle libertà per  se tu vuoi, tu, come ogni persona  imparare ad amare in vista dell'incontro con l'Eterno che è amore nell'infinito al di là del tempo. E amare è condividere, soffrire con chi soffre per guarire insieme da questa sofferenza diventata mia, per la mia gioia nella tua e la tua gioia nella mia " (P. Lunel, L'Abbé Pierre, p. 453).

L'Abbé Pierre è uno di quegli affamati di cui parla Maria nel suo Magnificat. Egli ha bisogno di dire che vivere è scegliere di amare e che amare è guarire il male che c'è nel mondo assumendolo con altri per condividere poi una gioia comune che ritrova la propria sorgente: l'amore eterno. Dio, infatti, lo ha colmato dei suoi beni.

Dio veramente ci colma dei suoi beni. " Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza " (Sal 103,2-5).

 La mensa del Magnificat  Per molti cristiani, la messa è una cerimonia nella quale il prete recita delle preghiere e dà ai fedeli l'occasione di stare in silenzio e di parlare con Dio. Non è completamente sbagliato, ma molto incompleto. La messa non è una semplice preghiera personale, è un tempo forte della Chiesa in cui il popolo cristiano si lascia raccogliere dal Signore risorto per poter agire insieme. Dall'Eucarestia nasce la fraternità e l'azione collettiva degli uomini del Vangelo. Vi si prega al plurale: Padre nostro... e si condivide il pane eucaristico nell'allegrezza del Magnificat... prima di ripartire, per condividere con tutti i propri fratelli e sorelle il pane della fede, il pane della speranza, il pane dell'amore ed anche il semplice pane materiale del fornaio, con tutti gli affamati del mondo. Impegnato nella lotta contro la fame nel mondo, il cristiano è consapevole che l'uomo che ha fame non ha soltanto bisogno di pane, ma anche di dignità e di senso della vita.

Mons. Anselme Sanon, vescoco di Bobo-Dioulasso (Burkina Faso) lo ha ricordato in occasione del Simposio internazionale del Congresso Eucaristico di Tolosa nel 1981:

" Dire che il Magnificat è un canto di azione di grazie è riconoscergli una portata eucaristica: è quanto chiaramente vi si legge quando è detto che gli affamati sono colmati e i ricchi rimandati a mani vuote.

Ecco una tavola preparata di fronte alle nazioni e alle generazioni: è la mensa del Magnificat, mensa per il pasto della nuova famiglia. Giunti già sazi, i ricchi ripartono con le mani vuote. Se ne vanno piangendo, affamati ed assetati di ciò che hanno visto e non posseggono ancora e che l'altro conserva gelosamente quanto loro stessi. Forse sono stati generosi, hanno dato, ma non hanno saputo mai condividere. Sono quelli che danno senza saper condividere, questa è la ragione per cui il dono preso dal loro superfluo è spesso superfluo per il povero.

A questa mensa vengono i poveri, i diseredati delle società civili e religiose, i meno abbienti delle nazioni, quelli che aspirano a valori non misurabili né quantificabili. Questi poveri sono elevati e saziati, sono colmati da ciò che ricevono in condivisione.

Ammessi alla mensa del Magnificat dove la fraternità cessa d'essere parola vana, la razza dei poveri, questa umanità nuova, mangia e si trova saziata.

Nella sua lode al Signore questa gente comprende che la fraternità, la riconoscenza, l'amore, la forza di liberazione, la conversione e il perdono le sono dati in questo pasto come pane quotidiano.

Ciò che matura in questa nuova razza le rivela che è dall'interno che ogni uomo è salvato, e da Dio solo, se si aderisce al suo amore...

Occorre che, interpellati, prendiamo maggiore coscienza di ciò che siamo e di ciò che facciamo quando condividiamo questo pane! Perché, se questo pane non può venire da un frutto qualsiasi della terra, né essere vincolato ad un qualsiasi rito umano, esso costituisce una denuncia ancor più delle morali, delle ideologie politiche, sociali o economiche e delle forme di relazioni umane con cui è incompatibile. E a questo punto che in seno alla Chiesa noi possiamo rischiare di "mangiare e bere la nostra condanna" (1 Cor 11, 29).

Che la Chiesa, riunita a imitazione di Maria e con lei, la prima serva e la prima comunicanda, sia madre di questa umanità nuova che nasce e cresce avendo come base la vita eucaristica " (Mons. Anselme Sanon, " L'Humanité de l'eucharistie " in Responsabilité, partage, eucharistie).

BEATI GLI INVITATI ALLA MENSA DEL SIGNORE

Una cosa sola Dio ci ha nascosto venendo tra noi perché era qualche cosa di troppo formidabile. Ho spesso pensato che era la sua gioia (Gilbert Keith Chesterton). In ogni messa il sacerdote ricorda questa beatitudine ai cristiani che stanno per comunicarsi: " Beati gli invitati alla cena del Signore... ".

Questa beatitudine non concerne soltanto quelli che sono presenti all'altare, ma tutti gli uomini. Tutti sono invitati al luogo della festa del Signore, alla gioia di Dio. Questa beatitudine riguarda particolarmente il Magnificat di Maria e le Beatitudini di Gesù.

Maria, invitata alle nozze di Cana, è testimone della festa che si conclude bene grazie al miracolo del vino che si è moltiplicato, forse intravvede che l'ora delle nozze di Gesù non è ancora suonata: " La mia ora non è ancora giunta... " e probabilmente custodirà nel suo cuore con stupore la parabola degli invitati alle nozze regali del Figlio, che citano Matteo (22,1-13) e Luca (14,15-24).

Cerchiamo di meditare questa parabola che apre nuove prospettive sul Magnificat.

Alcuni rifiutano l'invito

La parabola è chiara: Gesù Cristo non è stato accolto da quelli che costituivano la sua parentela, il suo ambiente. I suoi dicono che ha perduto la testa, i farisei ch'egli tradisce la religione. Certo, ci sono dei farisei che amano Gesù: Giuseppe di Arimatea lo ospita nella propria tomba e Gesù non teme di mangiare in casa di farisei (Lc 11,37). Ma, nell'insieme, questa società religiosa (...) lo rigetta. L'evangelista Giovanni ha riassunto il dramma in una frase dolorosa: " Venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto " (T. Rey. Mermet, Aujourd'hui l'Evangile, Fleurus, p. 108).

" Il regno dei cieli  dice Gesù  è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: "Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze". Ma costoro non se ne curarono... ".

Incredibile, ma vero! Gesù, in questa parabola, racconta un fatto che sembra impossibile. Non si rifiuta, infatti, nel nostro mondo, un invito a nozze regali... soprattutto quando tutto è gratuito.

Ma, purtroppo, quando si tratta di Dio molta gente non si muove e rifiuta. Come è possibile? Dio ha fatto tutto, preparato tutto... non c'è che da entrare nella sala. Tutti sono invitati. Tutti dovrebbero venire: è regale, è gratuito. C'è chi rifiuta... di fare nozze con Dio! Non hanno fame e non hanno voglia di fare festa.

Non c'è nulla di più doloroso che ricevere un rifiuto quando si offre un bel regalo: si soffre d'essere rigettati. Questa è la storia di Gesù, del Dio con noi. Molti hanno rifiutato il suo invito ad entrare nel regno, lo hanno rigettato. E stato il peccato dell'élite ebraica e di molti farisei; è allora che i pagani, i centurioni dell'armata romana e le prostitute li hanno sostituiti...

Oggi ancora molti rifiutano Gesù; allora egli sceglie di riempire il suo regno con quelli e quelle che gli uomini di tutti i tempi tendono a emarginare, a rigettare, a escludere. Non è questa forse una delle lezioni del Magnificat?

Invitateli tutti

Anche i più poveri erano fedeli all'educazione di tipo orientale e, per umiltà, rifiutavano l'ospitalità finché non fossero stati presi per mano e tirati con dolce violenza nell'interno della casa (Jérémias, Les paraboles de Jésus, Cerf, p. 132). [A proposito dell'espressione (Lc 14,23): " ...spingili ad entrare "] (N.D.T.).

Riprendiamo la lettura della parabola: " Allora il re... disse ai suoi servi: "Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze". Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali ".

Invitateli tutti. Tutti! Noi non abbiamo nulla da portare, se non noi stessi. E Dio ci invita così come siamo, " buoni e cattivi ". Non lunghe preghiere da recitare, non liste di buone azioni da presentare, non penitenze preparatorie da fare. Nella parabola il Re, cioè Dio, chiede ai suoi servitori d'invitare tutti gli uomini, cominciando dai poveri, dagli zoppi, dagli storpi, dai ciechi e dagli accattoni (cf Lc 14,21-23), " costringendoli " amichevolmente ad entrare nella sala delle nozze... Non i migliori, ma tutti... Perché Dio vuole che la sua sala si riempia e che gli uomini siano colmati, colmi di gioia...

E l'abito nuziale?

Non possiamo leggere: " Ho colmato di beni gli affamati " senza sentire insieme: " Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare " (Mt 25,35). Il modo abituale di agire di Dio, protettore dei poveri, pone direttamente in causa la nostra responsabilità. Il fatto che Dio colma gli affamati non ci dispensa affatto dal soccorrerli, ma ce ne fa un imperioso dovere. Dio si fa modello. " Se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? " (1 Gv 3,17) (E. Hamel S.J., Le Magnificat, la femme et la promotion de la justice, in Cahiers marials, n. 113, p. 173).

Dio ha destinato la terra e tutto quello ch'essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli e, pertanto, i beni creati debbono, secondo un equo criterio, essere partecipati a tutti, avendo per guida la giustizia e assecondando la carità. Pertanto, quali che siano le forme concrete della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli, in vista delle diverse e mutevoli circostanze, si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni. Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri (Vaticano II, Gaudium et spes, n. 69).

Di che cosa si tratta? Quante le cose dette su questo passo. Non facciamone un'interpretazione moralistica o giansenista: dopo aver invitato tutti gli uomini, si dà forse che il Re rimpianga il suo gesto e scelga solo quelli le cui buone opere accompagnano la fede e le cui penitenze hanno resi degni d'essere invitati, cioè quelli che, all'esclusione di altri, hanno rivestito la tunica bianca del battesimo? Sarebbe dimenticare che il Re ha inviato i suoi servitori ad invitare tutti quelli che avrebbero incontrati " i buoni e i cattivi ".

A proposito dell'uomo senza l'abito nuziale (Mt 22,11-13), il pastore protestante Maillot nota giustamente: " Non è forse più semplice ravvisarvi un uomo che è entrato, ma non vuole credersi alle nozze? Uno di quei cristiani che non arriva a credere che il regno è un banchetto nuziale e si veste come ad un funerale. Un uomo credente, ma rivestito di severità, di austerità, di tristezza, di silenzio (v. 12), mentre ci si deve rivestire di gioia e di speranza. Un uomo che crede che si debba apportare tutta la tristezza del mondo invece di apportare il sorriso di Dio al mondo " (Alphonse Maillot, Paraboles de Jésus, Cerf, p. 73).

Il pastore continua dicendo: " Io so che mi si potrebbe dire: guarda la condizione del mondo, guarda la situazione della Somalia, dell'ex-Jugoslavia ecc... Posso rispondere:

a) Gesù non ha detto questa parabola in un mondo più idillico del nostro;

b) Una vera pace e una vera gioia non sono evasione. Non si fermano alle porte delle chiese. Esse scuotono i cristiani e li costringono a rendere concreto quanto credono in un mondo senza pace e senza gioia. Non si può essere convinti che Dio invita tutti gli uomini al suo banchetto e restare indifferenti davanti a piatti e tazze che rimangono, per tanti figli, vuoti.

Vestire l'abito nuziale è, fatalmente, vestire l'abito di chi opera " (op. cit., p. 73).

E chiaro. L'abito nunziale non è un abito da ricco, ma l'abito dei poveri che credono all'amore ed accolgono la festa. Credono all'amore di colui che li invita, accolgono questo amore e la gioia della festa che l'accompagna. Vestire l'abito nuziale è dunque vestirsi di questa gioia che è il fiore dell'amore.

Un'altra questione, tuttavia, si pone: come si può celebrare tranquillamente un banchetto eucaristico, un pasto sacro, quando tanta gente nel mondo ha fame?

Due riflessioni su questo argomento:

1) Prima di tutto, il banchetto eucaristico non è soltanto la mensa per l'oggi, ma l'annuncio della festa del regno per tutta l'eternità. La mensa della grande convocazione finale, della festa, del banchetto nuziale a cui tutti gli uomini sono invitati. Domenica dopo domenica, giorno dopo giorno, i cristiani nella messa si persuadono che quel banchetto arriverà e che essi stessi se ne devono fare i banditori per tutti gli uomini.

2) La messa, oggi, ci ricorda che l'uomo non vive di solo pane materiale, ma della Parola che esce dalla bocca di Dio. La lotta per la giustizia, la battaglia contro la fame nel mondo non bastano quando quella lotta e questa battaglia si fermano al pane materiale del fornaio. La fraternità, che nasce dalla condivisione, l'Alleanza che Dio proclama con ogni uomo in ogni messa portano il cristiano a persuadersi che si deve lottare per l'uomo integrale, cioè per l'uomo che, al di là delle preoccupazioni materiali, deve acquisire tutta la propria dimensione spirituale e tutta la propria responsabilità in mezzo ai fratelli.

Lungi dall'essere una evasione, un oppio per le masse popolari, la messa, come tutto il vangelo, rinvia i cristiani alla solidarietà umana. Per la felicità loro e di tutti.

Ciò che stiamo dicendo a proposito del banchetto eucaistico non è senza relazione con il Magnificat. Quando Maria canta che il Signore " ha ricolmato di beni gli affamati, e rimandato i ricchi a mani vuote " (Lc 1,53), ella indica certi pericoli del potere e dell'avere, ma non guarda al mondo della politica, delle finanze e dell'economia come luoghi infestati da esorcizzare.

La trasformazione annunciata dal Magnificat è voluta da Dio perché tra gli uomini regna l'ingiustizia. Bisognerebbe essere ciechi per non vederlo anche oggi. Quando Dio si mostra nella sua sovranità, i troni vacillano e i ricchi hanno paura. Se Dio non la mostrasse, non sarebbe né giusto, né buono. Non sarebbe Dio. La nascita di Cristo, dobbiamo capirlo, segna la fine dei privilegi, la fine dell'oppressione sotto tutte le sue forme.

In che modo? Il Magnificat evoca un certo miracolo economico ed una elevazione sociale dei poveri: il Signore " ha innalzato gli umili, ha colmato di beni gli affamati ". Ma per comprendere questi versetti occorre ricordare ciò che dice Gesù della propria elevazione: " Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me " (Gv 12, 32). Questa elevazione è altra cosa dalla semplice elevazione nella scala dei salari o nella considerazione sociale.

Allo stesso modo, i beni di cui parla il Magnificat sono una cosa diversa dai beni materiali di consumo. Questi beni sono, prima di tutto, il dono dello Spirito Santo. Gesù lo diceva già commentando il Padre Nostro: " Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli; quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono " (Lc 11,12-13).

Quelli che hanno fame della Parola di Dio, il Signore li colma di felicità: non con parole o cose, ma col dono della sua persona di cui il banchetto eucaristico è la celebrazione particolarmente significativa: " Beati gli invitati al banchetto nuziale del Signore... ".

Dobbiamo capirlo. Il Signore risorto vuol fare un " uno ": un solo corpo, una sola carne, nel meglio e nel peggio, con l'umanità. L'ha salvata a prezzo del suo sangue, per il dono della sua vita. Perché? Perché l'ama. Infinitamente.

Nell'attuale nostra civiltà, intere categorie sono oggetto di rigetto da parte della nostra società: li chiamano i " poveri ". Sono le nazioni povere; che noi chiamiano " Terzo Mondo ", straniero rispetto al nostro... Non accogliendo questi poveri nelle nostre preoccupazioni di nazioni ricche è Gesù Cristo che non accogliamo. A chi dovrà egli rivolgersi per far ascoltare il messaggio d'amore?

Questo l'interrogativo posto: chi non ama dimora nella morte. Se uno ha ricchezze in questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?

Nutrirsi dell'eucaristia è impegnarsi a lavorare perché ciascuno riceva " il pane quotidiano " (T. Rey-Mermet, Aujourd'hui l'Évangile, Fleurus, pp. 108-111).

DAL MAGNIFICAT ALLE BEATITUDINI

Tra il Magnificat e le Beatitudini c'è come un segreto accordo. Profondo. Il cantico di Maria e il messaggio di Gesù proclamano, in modo prioritario, la felicità dei poveri. Maria, che si situa tra i poveri, ne sta facendo l'esperienza; Gesù, consapevole d'essere il Povero, ne farà l'esperienza e la condividerà con i suoi discepoli: colmato di felicità da suo Padre, sarà sorgente di felicità per gli uomini. Non automaticamente, ma liberamente. Questo fiume di felicità sgorgherà da un corpo torturato, da mani trapassate, da un cuore aperto dalla lancia, per aver amato gli uomini fino alla fine.

La felicità dei poveri

La madre di san Giovanni Battista guarda la Madre del mio Dio! O beata Elisabetta che hai visto Maria nel primo Stabat, la Sapienza eterna di Dio recitare il Magnificat. Ah, potessimo noi come te in quella sera, nel piccolo giardino giudaico, rifare passo a passo quella passeggiata che fanno tutti i fedeli cattolici e dopo aver aperto il cuore nostro colpevole e aver detto tutto, sentire, nella nostra mano che trema, le dita della Madre nostra Maria! " Ave, o Maria, piena di grazia il Signore è con te e tu sei la benedetta " (Paul Claudel " La Visitation " in Corona benignitatis anni, Oeuvre poétique, Gallimard, pp. 441-442).

Nelle Beatitudini come nel Magnificat, la felicità dei poveri è contrapposta all'infelicità dei ricchi.

Alle quattro Beatitudini, infatti, corrispondono quattro messe in guardia, il cui ruolo è di sottolineare le promesse e le esigenze delle Beatitudini: si tratta, quindi, non di maledizioni, né di condanne definitive, ma di denunce e di richiami alla conversazione.

Più di trent'anni prima di Gesù, Maria, nel suo Magnificat, traccia un primo schizzo delle Beatitudini. Nulla di straordinario in questo: non si tratta soltanto di un'identica ispirazione dello Spirito Santo; si ritrova qui, infatti, l'eco di una lunga tradizione biblica. Come sottolinea René Laurentin: " La felicità promessa paradossalmente coincide con le prove future. Gesù esorta a vivere e gustare fin da ora quel giorno di persecuzione " (op. cit., p. 180).

Quattro Beatitudini

Quattro Intimazioni a stare in guardia

Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.

Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.

Beati voi che ora avete fame perché sarete saziati.

Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame.

Beati voi che ora piangete perché riderete.

Guai a voi che ora ridete perché sarete afflitti e piangerete.

Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato a causa del Figlio dell'uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché ecco la vostra ricompensa è grande nei cieli (Lc 6,30-23).

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti (Lc 6,24-26).

Questa beatitudine è " già " data, afferma Gesù. Ma è data in germe. In speranza. Quando Luca scrive, la giovane comunità cristiana di cui fa parte si trova immersa nel pieno delle persecuzioni. Eppure, questa giovane Chiesa canta il Magnificat con Maria e fa memoria delle Beatitudini promesse da Gesù: la gioia di Natale e di Pasqua non sono separate dalla croce che ne è la sorgente misteriosa. La beatitudine che canta Maria e che annuncerà Gesù non sarà infatti data in pienezza che nel futuro dell'eternità. Un futuro non aleatorio, ma " già " iniziato nell'oggi di ognuno dei fedeli discepoli di Gesù, ciò che permette a san Matteo di parlare di una ricompensa nel presente.

Ancora una volta, il Vangelo ci pone in contatto con un mistero che ci supera. Siamo di fronte a un " già " congiunto con un " non ancora " che sottolineano la complessità e l'ambiguità delle nostre relazioni con Dio. La beatitudine promessa che è " già ", ma " non ancora " ha rivelato il sapore di tutti i suoi frutti... perché la beatitudine del discepolo, come quella del Maestro, è sempre attraversata quaggiù dalla croce in tutte le sue forme.

Le Beatitudini di Luca e l'avvertimento che le accompagna sono da mettere in parallelo con il versetto 53 del Magnificat: " Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote ".

Sotto la penna di Luca, tuttavia, la povertà non è ricercata mai in quanto tale: i primi cristiani, per esempio, mettevano tutto in comune, non tanto per praticare la virtù della povertà, quanto perché volevano, concretamente, che non ci " fosse tra loro alcun bisognoso " (cf At 4,34). In altre parole, Luca considera la povertà un male ed occorre lottare contro questo male con i poveri che ne soffrono. Il Vangelo ci invita ad amare i poveri, non ad amare la povertà che pesa su di loro. Nel suo Magnificat, Maria considera i ricchi come degli effettivi infelici. Non si tratta, però, di fare il processo ai ricchi, di punirli e, ancor meno, di cercare di vendicarsi di loro, ma, impoverendoli, di permettere loro di ritrovare la strada dell'autentica beatitudine... insieme ai poveri che Dio ama.

Nel Vangelo di Luca ci è dato di vedere il giovane ricco che rifiuta d'impoverirsi e, perciò stesso, piomba nella tristezza: " Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste " (Lc 18,23). Diversamente, Zaccheo, il ricco pubblicano, in casa del quale Gesù si invita, diventa subitamente povero nel ricevere Gesù: " Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto " (Lc 19,8). Zaccheo sperimenta allora la beatitudine di condividere il suo pasto e la sua amicizia con Gesù, il Povero. Per Zaccheo fu giorno di gioia perfetta...

La gioia perfetta

La lode di Maria, " L'anima mia magnifica il Signore ", sbocca direttamente sulla lode di Gesù verso suo Padre: " Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra! ".

La lode di Maria conduce direttamente alla lode di Gesù. Maria fa un delizioso gioco di parole (visibile nel testo originale aramaico, ma non nella traduzione greca). Ella dice, infatti, che il suo spirito esulta in Dio suo " salvatore ", letteralmente, il suo " Yeshua ", il suo Gesù, il Bambino che porta nel suo seno. Ella dice che tutte le generazioni la diranno beata e ci invita a proclamare la sua lode (Lucien Deiss, Marie et la mission).

La gioia perfetta è la gioia del povero. La letizia del " Poverello " di Assisi ne è l'espressione tipica. La storia è nota. " Un giorno san Francesco d'Assisi si recava da Perugia a Santa Maria degli Angeli con frate Leone. Era inverno e il freddo vivissimo lo faceva molto soffrire. Frate Leone chiese a san Francesco: "Padre, io ti prego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia". E san Francesco così gli rispose: "Quando noi saremo a Santa Maria degli Angeli, così bagnati per la pioggia ed agghiacciati per il freddo e infangati di loto e afflitti di fame, e picchieremo alla porta del luogo e il portinaio verrà adirato e dirà: "Chi siete voi?" e noi diremo: "Noi siamo due dei vostri frati"; e colui dirà: "Voi non dite il vero, anzi siete due ribaldi che andate ingannando il mondo e rubando le elemosine dei poveri; andate via". E non ci aprirà. Ci farà stare di fuori alla neve e all'acqua, col freddo e con la fame fino alla notte; allora, se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente, senza turbarcene e senza mormorare di lui e penseremo umilmente che quel portinaio veramente ci conosca, che Iddio lo fa parlare contro di noi; o frate Leone, scrivi che qui è perfetta letizia. E se noi costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l'amore di Dio con grande pianto che ci apra e ci metta dentro, e quelli più scandalizzato ci dirà: "Costoro sono gaglioffi importuni, io li pagherò bene come son degni e uscirà fuori con un bastone nocchieruto, e ci piglierà per il cappuccio e ci getterà per terra e ci involgerà nella neve e ci batterà nodo a nodo con quel bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere per suo amore, o frate Leone, scrivi che qui e in questo è perfetta letizia " (cf Fonti Francescane: I fioretti di san Francesco, cap. VIII).

La gioia perfetta di Francesco, come quella di Maria e quella dei cristiani di tutti i tempi, non è separata dalla croce. Ma la croce che attraversa la loro gioia è un po' come l'aurora della gioia divina, della ricompensa eterna: appartiene alle Beatitudini del Vangelo.

Il centuplo del Vangelo

Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,

umile ed alta più che creatura,

termine fisso d'eterno consiglio,

tu sei colei che l'umana natura

nobilitasti sì, che il suo Fattore,

non disdegnò di farsi sua fattura.

(Dante, Divina Commedia, canto XXXIII, 1-4)

A quelli che danno tutto Gesù promette il centuplo: " In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna " (Mc 10,30).

L'esperienza cristiana lo verifica ogni giorno. Ma, come efficacemente dice René Laurentin: " Questo centuplo di gioia va spesso di pari passo con un centuplo di croce, sui passi di Gesù " (op. cit., p. 184).

La felicità di cui stiamo parlando include diversi aspetti che il Magnificat ci rivela:

Il Signore guarda ciascuno di noi con uno sguardo di tenerezza: Egli guarda i suoi servi e serve... Sentirsi guardati dal Signore, amati personalmente da lui, è l'inizio della gioia del Magnificat: Sì, il Signore mi ama, ama me, personalmente! Con un amore unico.

Il Signore innalza gli umili... i piccoli, i poveri, tutti quelli che non sono attaccati alle cose che brillano nel mondo: oro, denaro, decorazioni, potere, ecc. A tutti ridà nel mondo il loro vero posto di figli di Dio, restaura la loro dignità. La nostra povertà sociale ed anche quella morale (quella dovuta ai nostri peccati) non è uno sbarramento insormontabile per la misericordia del Signore nei nostri confronti. E ancor meno lo è alla sua volontà onnipotente di compiere meraviglie in ciascuna delle nostre vite. Ma occorre avere un cuore di povero al modo di Maria, un cuore aperto, pronto ad accogliere tutti i doni del Signore.

Il Signore libera gli infelici. Dio non tollera l'ingiustizia. Egli strappa suo Figlio innocente dalla morte e lo risuscita. Per mezzo di lui, nostro Salvatore, ci libera ormai da ogni male... se accettiamo ch'egli infranga le nostre catene, a noi che giusti non siamo, né innocenti, ma peccatori. E quanto! Ma è grande la gioia di Dio nostro Padre nel liberarci da ogni male perché veniamo così restaurati nella nostra dignità di figli e figlie di Dio... ricreati da suo Figlio a sua immagine e somiglianza.

Maria, l'Immacolata per grazia, ha aperto con suo Figlio Gesù il cammino della felicità: Ella ha cantato questo dono di Dio nel suo Magnificat con la sua giovinezza di donna e la sua gioia di Madre del Messia... Lei, che sarebbe presto divenuta la Madre della Chiesa, la nostra Madre. Per la nostra gioia!.. Magnificat! Tu, Annunciatrice d'ogni sapienza mediante il Verbo unico, il Tuo Signore!

Tu potevi permetterti ormai

di non più rompere il silenzio.

E quale silenzio fu mai

quello che ebbe per prologo

il tuo Magnificat!

Tu, la Silenziosa,

piena di meraviglie

di quelle che intese Mosé sulla Montagna...

Tu, non percepita, incornici,

o Silenziosa,

come la volta senza voce del cielo blu,

tutto il cangiante panorama del mondo nostro

pieno di rumori,

e nel santuario del tuo cuore

mediti il senso di tutte le cose.

Conventry Patmore (1823-1896)

10

HA SOCCORSO ISRAELE SUO SERVO

RICORDANDOSI DELLA SUA MISERICORDIA

COME AVEVA PROMESSO AI NOSTRI PADRI

AD ABRAMO

E ALLA SUA DISCENDENZA PER SEMPRE

" Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ".

(Lc 1,54-55)

Con questo ultimo versetto, Maria allarga l'orizzonte della sua preghiera al suo popolo, Israele.

Maria crede in Dio, ma la sua fede in Lui non si limita, come per molti, allo stupore di fronte al mondo delle cose create. Per lei, come come per i teologi più profondi del cristianesimo, Dio non si manifesta inizialmente nella natura e nell'universo, ma nella storia degli uomini.

Dio si ricorda ...

Questa sarà l'alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore: " Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo " (Ger 31,33).

Come Abramo, ma per un mistero molto più grande, Maria si sente dire: " Nulla è impossibile a Dio " (Gn 18,14; Lc 1,37). Come lui, ma con una pienezza nuova ella ha " trovato grazia " presso Dio (Gn 18,3; Lc 1,30). Come lui, ma per una ragione ben più straordinaria, ella non deve temere nulla (Gn 15,1; Lc 1,30). In lei, come in lui, " tutte le nazioni della terra saranno bene dette " (Gn 12,3; cf Lc 1,42-48).

Infine, se Abramo è stato lodato per la sua fede (Gn 15,6) è per la stessa ragione che Maria è dichiarata " beata " (Lc 1,45) (Card. Albert Decourtray, Magnificat. Neuf évêques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 181).

Dio si ricorda particolarmente dei poveri. Dio interviene nella storia di un povero piccolo popolo, Israele. All'origine di questo popolo c'è un uomo amato da Dio, un uomo di cui Dio si ricorda, Abramo: " Io sono Dio onnipotente; cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto... Non ti chiamerai più Abram ma ti chiamerai Abraham, perché padre di una moltitudine di popoli ti renderò. E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazione e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. Darò a te e alla tua discendenza dopo di te il paese dove sei straniero, tutto il paese di Canaan in possesso perenne; sarò il vostro Dio " (Gn 17,1-8).

Quest'uomo, per la sua fede in Dio, è chiamato il " padre del credenti " come sottolinea san Paolo: " Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? "Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia" " (Rm 4,1-3).

Ma se Abramo, per la sua fede in Dio, è divenuto il " padre dei credenti ", a maggior ragione Maria, per la sua fede, la sua speranza, la sua gioia è divenuta " madre dei credenti ". A Elisabetta che le ha detto: " Beata te che hai creduto... " Maria non sembra forse rispondere: " Beato Abramo che ha creduto... "? Il Magnificat è infatti per eccellenza la preghiera della fede messianica. In questo cantico convergono la preghiera del popolo dell'Antico e del Nuovo Testamento e quella della madre di Gesù. In lei scorre qualcosa di simile al trasalire di gioia di Abramo in attesa del Messia. Non è forse questo che confermerà Gesù nella sua vita pubblica? " Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e si rallegrò " (Gv 8,56).

Maria crede che Dio si ricorda di questa Alleanza che dà tutto il suo significato all'Incarnazione di Dio fatto uomo. Il Dio di Maria è un Dio che si mostra in pienezza nella storia di Gesù di Nazaret. Dio che è intervenuto nel corso dei secoli attraverso messaggeri, ambasciatori che si chiamano profeti, interviene ora direttamente. Si può ormai vederlo, toccarlo, ascoltarlo in carne ed ossa: " Il Verbo si è fatto carne " (Gv 1,14); " Chi vede me  dice Gesù  vede il Padre " (Gv 14,9). Maria ne è testimone. Ella scopre il vero volto di Dio. Maria non si pone delle domande complicate sulla natura metafisica di Dio: chi è Dio? Ma guarda a ciò ch'Egli ha fatto per lei, per gli uomini del suo popolo, per noi. La prova? Se Maria e la Chiesa primitiva credono che c'è un solo Dio in tre persone non è a conclusione di un lungo ragionamento scientifico, ma grazie ad una rivelazione nel cuore della storia: Dio vi si rivela come un Padre che ha inviato suo Figlio nel mondo ed agisce in noi per mezzo del suo Spirito.

E in quest'opera della salvezza, rivelata per mezzo di Gesù di Nazaret, che Dio si rivela a noi quale è nella sua gloria e in tutta la discrezione e l'umiltà del suo amore.

Perché, con quale fine, Dio agisce nel mondo? Questo il grande interrogativo dei credenti dell'Antico e del Nuovo Testamento, e particolarmente quello di Maria.

Maria vi risponde nel suo Magnificat: Dio ha creato il mondo degli uomini in vista dell'Alleanza. Egli conclude questa Alleanza fatta da principio con un piccolo popolo, un popolo di poveri, Israele. Perché l'ama, " ricordandosi della sua misericordia... ".

Del suo amore per un popolo di poveri ...

Nel Magnificat Maria, senza volerlo e da umile, si descrive interamente come creatura trasparente in cui Dio è già tutto, in cui si realizzano le tre prime domande del Padre Nostro. Ella pensa alla storia della salvezza. Ella si situa come un punto in questa storia, mentre porta nel suo seno il centro immobile dei secoli e delle generazioni (Jean Guitton, Apprendre à prier. Livre d'heures).

Tu, il cuore sulla mano

Tu, la gioia degli occhi

Tu, il miele e il vino

O sorriso di Dio.

(Claude Rozier, Cantique, V, 153)

Maria lo canta. Il suo canto, come la sua preghiera, come il suo " sì " del giorno dell'Annunciazione non è qualcosa di strettamente individuale. Maria è ebrea, appartiene ad un popolo, il popolo dei piccoli e dei poveri: il popolo dell'Alleanza. Ecco perché Maria nel suo Magnificat parla d'Israele.

Così Paolo VI: " Maria, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente, ma a quell'"opera dei secoli" come è stata giustamente chiamata l'incarnazione del Verbo... Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt'altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cf Lc 1,51-53). [Si riconoscerà] in Maria che "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore" (cf Lumen Gentium, n. 55) una donna forte che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio (cf Mt 2,13-23) " (Marialis cultus, n. 37).

Non si tratta dunque, per Maria, di accumulare conoscenze scientifiche su Dio. Si tratta di entrare in pienezza nel progetto di Dio, ciò che non è la stessa cosa. Ella rimane povera e disponibile tra le mani di Dio: " Sono la serva del Signore " (Lc 1,38). Come i profeti Geremia, Isaia, Samuele, Michea e gli altri, come i poveri di Ihwh (gli " anawim "), Maria ama la preghiera dei salmi e le altre preghiere della Bibbia. Le conosce a memoria. Ora, però, le sembrano assumere un significato nuovo.

Cantate al Signore un canto nuovo;

la sua lode nell'assemblea dei fedeli.

Gioisca Israele nel suo Creatore,

esultino nel loro Re i figli di Sion.

Lodino il suo nome con danze,

con timpani e cetre gli cantino inni.

(Sal 149, 1-3)

Maria canta la sua allegrezza al plurale. Attraverso i salmi, ella raccoglie i fiori della Parola di Dio e ne compone un mazzo di festa. Realtà stupenda!

Per sempre...

Vergine santa,

o Madre mia,

lascia che ti

contempli

nella giovane

luce

del tuo cuore

immacolato.

Vieni ad illuminare la mia strada

Tu, stella del mattino

e se mai dubitassi,

mostrami il vero cammino.

Che la tua dolce presenza

mi protegga per sempre.

O Vergine del silenzio,

donaci la tua grande pace.

(Anonimo, Ninnananna Slovacca)

Sì, è " per sempre " che la promessa fatta ad Abramo e che comincia a realizzarsi, in maniera così stupefacente in Maria, si compie. L'espressione greca, quasi intraducibile, è molto significativa per un orecchio ebraico. Si tratta di un ebraismo o di una forma aramaica. Parola per parola, si legge: " per il secolo ". Si tratta del secolo a venire, del tempo che non finisce più, cioè di quel mondo restaurato, di quel paradiso di luce e di fecondità, di quella terra dell'allegrezza di cui i profeti hanno descritto l'indicibile splendore [cf Is 54; Is 60; Is 62; Ez 37; Ez 47; ecc.].

(Card. Albert Decourtray, Magnificat. Neuf évêques d'Europe commentent le cantique de Marie, Chalet, p. 185)

Letteralmente " per i secoli ". E una formula biblica. E una formula che non ha la precisione matematica degli astronomi, dei fisici, degli storici o dei paleontologi del nostro tempo. Non indica una serie precisa di periodi di cento anni, ma il " sempre " di Dio. Un " sempre " che non indica semplicemente la negazione di un tempo " senza fine ", ma la pienezza della durata in Dio, l'" eternità ". Dio, infatti, come dice san Giacomo, è il " Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento " (Gc 1,17).

Ma questo Dio che è eterno considera seriamente il tempo degli uomini. Il mistero dell'Incarnazione ne dà la prova: suo Figlio, Gesù, viene a vivere il nostro tempo umano nella storia mediante la sua nascita, la sua crescita e la sua morte. Nel mistero pasquale, per la sua risurrezione dai morti, il nostro tempo umano acquista un valore d'eternità.

Il Magnificat di Maria già si trova, anticipandolo, sulla traiettoria del tempo vissuto da suo figlio. Cominciato nell'oggi di Maria dell'Annunciazione, il Magnificat ricapitola il passato, il presente e il futuro del popolo di Dio e si chiude, al di là della storia degli uomini, nell'eternità di Dio. Attraverso questo cantico, Maria evoca il fatto dell'Annunciazione ed anche il suo mistero... con gli interrogativi che esso racchiude. Il " sì " della Vergine, infatti, non è un " sì " cieco, impulsivo, ma un " sì " adulto, responsabile, intelligente: Maria vuol sapere, capire. Comprendere ciò che Dio vuole, per unirsi lucidamente a questa volontà d'amore. Il mistero della nostra vocazione di battezzati assomiglia a quello di Maria. È sempre percorso da interrogativi. E questi interrogativi non si possono risolvere che nella fede in Dio: " Nulla è impossibile a Dio "..., e in un amore senza frontiere di tutti i fratelli e le sorelle, gli uomini e le donne del nostro tempo.

Il nostro " sì " non può nascondersi, isolarsi dietro i muri della nostra personalità individuale: interessa il mondo intero. E, per cominciare, i più poveri. Non siamo chiamati né alla vendetta, né alla violenza, ma all'amore, perché, come giustamente dice un teologo protestante, J. Moltmann: " Dio disperde i superbi perché cessino d'essere inumani e siano finalmente degli uomini ".

Siamo noi disposti, come Maria, a lasciarci amare da Dio? a lasciarci lavorare dai doni di Dio? a lasciarci colmare dall'amore? Siamo capaci di liberarci dalla nostra agitazione quotidiana, e dalla vanità che l'accompagna, quando ci immaginiamo che l'avvenire del regno poggi sulle nostre spalle, proprio sulle nostre, ora? Siamo disponibili, come Maria, a fare silenzio, ad ascoltare, ad accogliere la Parola di Dio? Questa Parola che viene dal cuore di Dio per illuminare e riscaldare il nostro cuore e quello dei nostri fratelli e sorelle. Siamo disponibili, come Maria, alla scelta prioritaria dei poveri? A farci un cuore da povero? L'amore preferenziale di Dio per i poveri è meravigliosamente iscritto nel Magnificat come dichiara Giovanni Paolo II: " Maria è profondamente permeata dello spirito dei "poveri di Ihwh", che nella preghiera dei Salmi attendevano da Dio la loro salvezza, riponendo in lui ogni fiducia (cf Sal 25; 31; 35; 55). Ella proclama l'avvento del mistero della salvezza, la venuta del "Messia dei poveri" (cf Is 11,4; 61,1). Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù... Non si possono separare questi due elementi del messaggio contenuto nel Magnificat" (Redemptoris Mater, n. 37).

Abbiamo capito che Dio rovescia i potenti e rimanda i ricchi a mani vuote? Nulla di spettacolare in questo atteggiamento: Dio sceglie non i potenti e i ricchi, ma gli umili e i poveri per compiere la sua opera di salvezza. Al culmine di tutti questi eventi, l'Incarnazione di suo Figlio e la sua esaltazione sulla croce attraverso cui attira a sé tutti gli uomini. Noi possiamo allora constatare  come Maria  che Dio viene sempre in aiuto dei suoi servi e delle sue serve perché Dio ricorda: " Si ricorda della sua misericordia " verso tutti, ma in modo prioritario verso i poveri. Si ricorda della sua Alleanza, quell'Alleanza d'amore che domina la storia dell'umanità.

Il Magnificat non finisce mai d'invitarci a costruire quella civiltà dell'amore che reclamano il Vangelo e la Chiesa d'oggi. Per questo occorre, come ci invita Maria, che ci " ricordiamo della misericordia " di Dio... e agire.

IN FAVORE DI ABRAMO

E DELLA SUA DISCENDENZA PER SEMPRE

Nello sguardo che Dio ha posato sulla sua umile serva e nelle meraviglie compiute in lei, Maria ha la prova della fedeltà divina riguardo ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

" Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle " (Ap 12,1). Questa donna è un " segno ". Di quale mistero è simbolo? La sua corona ce lo dice: nell'Apocalisse il numero dodici indica la Chiesa. La parola " Chiesa " è iscritta sulla fronte incoronata di questa donna.

Ella è incinta (Ap 12,2) e, perché incinta, è vestita dello splendore di tutti gli astri creati da Dio: il sole, la luna e le dodici stelle. Davanti a lei c'è " il drago, l'antico serpente " (vv 3 e 9), quello che ha sedotto Eva nel paradiso terrestre. La storia di questa donna incinta risale alle origini dell'umanità, quando Dio promette: " Io porrò inimicizia tra te [il serpente] e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questo ti schiaccerà la testa " (Gn 3,15). Eva, l'antica ava di Cristo, è la prima immagine della Chiesa che porta nel suo seno il Messia annunciato. Nella sua persona, l'intera umanità è inseminata dalla promessa messianica.

La discendenza di Abramo

Nel tempo che segue, il numero di coloro che detengono la promessa messianica si restringe e la promessa stessa si precisa. Lo sguardo di Dio si concentra inizialmente su di una stirpe, quella di Sem (Gn 9,26) e tra la gente di questa stirpe quello sguardo si poserà, poi, su di un popolo, quello di Abramo. Tra i discendenti di Abramo, la selezione prosegue: la benedizione è data ad Isacco, poi a Giacobbe. Tra i figli di Giacobbe, la Bibbia distingue la tribù di Giuda (Gn 48,10) e in questa Dio sceglie una famiglia, quella di Davide (2 Sam 7,12-14). La piramide sale verso la sua vetta.

In una donna che porta nel suo seno il Cristo che dovrà nascere è dunque raffigurata la Chiesa del primo Testamento: essa è cristiana nella sua carne ed è nazione materna. Durante un avvento secolare essa porta Cristo in sé. La Bibbia le dà il nome di " Figlia di Sion "; è al suo seno che sono fatte le promesse. Abramo sarà benedetto nella sua discendenza (Gn 22,16-18). Davide si sente promettere: " Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere " (2 Sam 7,12). " Susciterò a Davide un germoglio giusto " (Ger 23,5). Già al tempo di Isaia è stato detto: " Una vergine concepirà e partorirà un figlio " (Is 7,14); sarà il segno della salvezza, " fino a quando colei che deve partorire partorirà " (Mic 5,2). Il segreto della figlia di Sion è nell'avvenire di cui porta il seme: " Il Cristo era la sostanza di questo popolo " (S. Agostino, Città di Dio, 17,11).

Ma, anche se Israele genera secondo la carne, è Dio che rende messianiche le sue generazioni. Accade anche che queste abbiano origine dal miracolo. Israele è la sposa di Ihwh, la " Vergine di Sion ", consacrata a Dio. Dalle origini, è per la Parola di Dio che essa è feconda del proprio avvenire. Sara, in cui anche la Chiesa assume figura, partorisce nella fede e nell'obbedienza a Dio.

Alla legge della carne, all'appartenenza etnica deve dunque aggiungersi la fede nella Parola di Dio. Chi la rifiuta si esclude dalla sua benedizione: " Il giusto vivrà per la sua fede " (Ab 2,4). San Paolo dirà che fin dalla prima Alleanza, i veri figli di Abramo erano dei " figli della promessa " e, benché nati secondo la carne, essi erano " figli dello Spirito " (Gal 4,28s). La maternità della Chiesa è insieme nell'ordine della carne e in quello dello Spirito.

Una donna, Maria...

Alla donna dalle dodici stelle era possibile dare, e molto presto le è stata data, un'interpretazione mariana. Un vescovo del V secolo dal bel nome di Quodvultdeus (Ciò che Dio vuole) ha scritto: " Che il drago indichi il diavolo, nessuno di noi lo ignora, e così ugualmente è noto che questa donna indica la Vergine Maria che, nella sua integrità, ha messo al mondo il nostro capo e che ella esprime, nella sua immagine, la Chiesa " (De Symbolo ad cathecumenos 3,1). Se questa donna che porta in sé il Cristo e lo genera è immagine della Chiesa della prima Alleanza, questa Chiesa è riassunta e compiuta in Maria: " Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna " (Gal 4,4). Il compito d'Israele, nelle sue numerose nascite, è stato assunto da questa figlia d'Israele. Il frutto delle viscere, promesso da tanto tempo, è maturato in lei.

La piramide profetica è salita, di gradino in gradino, per culminare in Maria che accoglie l'ultimo messaggio: " Ecco tu concepirai... " (Lc 1,31).

In Maria si concentra la grazia millenaria accordata da Dio al suo popolo. Gabriele l'invita alla gioia: " Rallegrati, piena di grazia! " (Lc 1,28). L'angelo ripete l'invito alla gioia tante volte rivolto alla figlia di Sion. Il profeta Zaccaria aveva detto: " Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te " (2, 14; 9,9). E l'angelo dice: " Rallegrati, il Signore è con te " (Lc 1,28). Il profeta Sofonia aveva detto: " Gioisci, figlia di Sion... Non temere, Sion " (3,14-17). E Gabriele dice: " Rallegrati... Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio " (Lc 1,28-30).

Gesù, frutto di un lungo partorire della Chiesa materna, nasce dal seno di Maria. Ed è dalla Parola e dalla fede nella Parola che Maria diviene Madre. In lei, più che negli avi, più che in Abramo e Sara, la parola ha operato e la sua concezione è stata miracolosa, perché più che in loro il Figlio di Dio ha in lei realmente preso carne. Più di tutti gli altri, Maria ha dovuto credere. Tutta la fede d'Israele è venuta a raccogliersi in lei: " E beata colei che ha creduto! " (Lc 1,45).

Resa sicura dalla preghiera che nasce dal suo cuore, la Chiesa del Nuovo Testamento ha dato un'interpretazione mariana a testi biblici che parlano dell'intero popolo. Essa ha pensato che, quando è stata stabilita l'inimicizia tra Eva, la lontana ava di Cristo, e il serpente, Dio abbia visto Maria più che Eva e inimicizie ben più profonde che sarebbero intercorse tra Maria e il serpente perché più realmente madre di Cristo della prima donna. La liturgia attribuisce a Maria gli elogi rivolti alla sposa del cantico dei cantici in cui l'interpretazione ebraica ravvisava il popolo di Sion. A Maria sono attribuite le lodi rivolte a Giuditta che col suo nome evoca tutta la nazione ebraica: " Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d'Israele, tu splendido onore della nostra gente " (Gdt 15,9). Nella festa dell'Immacolata, la liturgia fa dire a Maria: " Mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia " parole con cui Isaia (61,10) indicava Sion. La liturgia applica anche a Maria il Salmo 87 che parla della Gerusalemme messianica: " Di te si dicono cose stupende, città di Dio ".

Maria è chiamata " regina dei patriarchi ", perché è grazie a questa giovane donna ch'essi sono i venerabili antenati; " regina dei profeti ", perché è nei confronti del suo seno ch'essi hanno profetato. Sotto l'azione dello Spirito, essi hanno pronunciato parole venute da Dio, ma è da lei che, sotto l'azione dello Spirito, è uscita la Parola unica. Maria è stata profeta di Cristo con tutto il suo essere materno, come la Chiesa della prima Alleanza ne è stata la figura annunciatrice.

La donna dalle dodici stelle " geme nei dolori del parto " (Ap 12,2); nella sua salita verso il proprio termine, Israele è stata una nazione tormentata. Anche Maria sale il suo calvario dopo che Simeone ha parlato di una spada che le trapasserà il cuore (Lc 2,35). E là che il Vangelo di Giovanni la situa " in piedi presso la croce di Gesù " (19,25): è l'ora in cui l'Antico Testamento sta per immettersi nel Nuovo. Ella non è indicata col suo nome di Maria, due volte l'evangelista la menziona come " madre di Gesù " e per due volte Gesù la chiama " Donna " (Gv 2,4; 19,25). Maria rappresenta la comunità associata a Gesù nella sua ora.

Maria è presente sotto la croce in quanto madre di Gesù: " Stavano presso la croce di Gesù sua madre... " (Gv 19,25). Ch'ella ne abbia coscienza o no, ella è la Chiesa-Madre-del Messia, " la Chiesa verticale che guarda il suo primo nato " (Paul Claudel, Stabat Mater, in Revue des Deux Mondes, 15 aprile 1944). Tutta la nazione materna è là, fedele alla sua missione, associata al Messia. Gesù non le dice più come a Cana: " Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora " (Gv 2,4). Ma " vedendo sua madre ", rivolgendo il suo sguardo sull'umile serva, Gesù dice: " Donna, ecco il tuo figlio ". In Maria la Chiesa della prima Alleanza si trasforma in Chiesa del nuovo Testamento, associata a Cristo morto e risorto, e vive, in questa comunione, una infinita maternità. La prima Alleanza non è abolita, Maria non cessa d'essere la madre di Gesù; ma è sopraelevata. In Maria si riassume l'intera storia della Chiesa, dal suo stadio primo al suo stadio finale. In lei, Israele è in cielo, presso Dio: " Nel cielo apparve un segno grandioso ", per sempre vestita di sole. Dio eternamente posa gli occhi sull'umile serva, " ricordandosi della sua misericordia come aveva promesso... ad Abramo e alla sua discendenza per sempre ". " I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili " dice san Paolo (Rm 11,29). L'apostolo ha la certezza che un giorno la fedeltà di Dio riguardo ad Abramo e alla sua stirpe si manifesterà con una grazia che stupirà il mondo (Rm 11,15-31). Israele è per sempre amato (Rm 11,28), avvolto dallo sguardo d'amore che Dio porta su Maria, la figlia di Sion.

F. X. D.

GLORIA AL PADRE

E AL FIGLIO E ALLO SPIRITO SANTO

L'uomo è ad immagine di Dio. Per essere veramente se stesso, deve essere Padre, creatore di sé medesimo e di altre libertà, sorgente che non dipende da nulla. Ma, nel medesimo tempo  paradossalmente  deve essere Figlio e dipendente da tutti. Padre senza essere Figlio è despota o paternalista. Figlio senza essere Padre è fiacco, vinto, impotente. Se Padre e Figlio, allora è aperto all'amore autentico nel quale non c'è né dominatore né dominato... E l'amore è Spirito (I. et F. Baudin, L. Crepy, M. Dubost, M. L. Gaujard, Rencontres, Droguet Ardant, p. 162).

" Gloria al Padre, e al Figlio e allo Spirito Santo, come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen ".

Gli esperti di liturgia chiamano questa finale del Magnificat, la piccola dossologia. " Dossologia " è un termine scientifico che deriva dal greco " doxa ", la gloria, che indica una preghiera a gloria di Dio. Si chiama piccola dossologia per distinguerla dalla grande dossologia, il " Gloria in excelsis ", composto come inno trinitario che riprende la lode degli angeli sulla grotta di Betlemme alla nascita di Gesù.

Il " Gloria al Padre "... non figura nel Vangelo, come neppure è presente l'" Amen " alla fine del Padre Nostro di Gesù. Non troviamo neppure il finale un po' più lungo che risale ai primi secoli della Chiesa: " A te appartengono il regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli " (cf " La dottrina dei dodici apostoli ", Didaché, VIII, 2). Il " Gloria al Padre "... è una creazione della liturgia cristiana di Roma dei primi secoli.

Fin dall'inizio del cristianesimo, infatti, dopo l'Ascensione del Salvatore, i primi cristiani pregano Dio Padre come Gesù ha insegnato ai suoi discepoli: pregano per l'intercessione di Gesù, il Figlio di Dio, il Sommo ed Eterno Sacerdote, il Salvatore di quelli che credono in lui. Questo è evidente nella preghiera e nel sacrificio eucaristico in cui Gesù, il Cristo, è insieme sacerdote e vittima.

Ciò che molti cristiani ignorano è che l'abitudine di concludere con una dossologia, o con altre espressioni della preghiera cristiana, è cosa che appartiene alla più pura tradizione della preghiera ebraica anteriore. L'usanza è molto evidente nei primi secoli cristiani. Ne sono un esempio le preghiere che riporta la Didachè: " Che la tua Chiesa si raccolga... dalle estremità della terra nel regno "; " E radunala dai quattro viventi, la tua Chiesa santificata ".4

Queste invocazioni conservano, sembra, tracce della terza benedizione ebraica che prega per il ritorno d'Israele nel proprio paese e la restaurazione del regno di Davide: " Raduna i nostri esiliati, raccoglili dai quattro angoli della terra. Ti benediciamo, Signore, tu che riconduci i prigionieri d'Israele tuo popolo ".

All'inizio del cristianesimo c'è dunque continuità e convergenza tra la preghiera della sinagoga e quella della Chiesa. Gli apostoli e i primi cristiani, infatti, hanno rigettato molte delle pratiche e dei costumi ebraici, come, ad esempio, la circoncisione, i sacrifici di sangue, il sabato e la maggior parte delle feste del calendario ebraico; ma hanno conservato la preghiera dei Salmi e tutti i testi dell'Antico Testamento, come l'uso liturgico dell'acqua, dell'unzione con l'olio, delle ceneri, il gesto dell'imposizione delle mani ed alcune acclamazioni quali: " Alleluia, Osanna, Amen ", ecc. Così anche l'uso del termine " Gloria ".

Gloria...

Il Padre non è Padre se non rinuncia ad ogni superiorità nei confronti del Figlio e dello Spirito Santo. In una identica dignità, egli dà loro tutto ciò ch'egli è (Paolo Evdokimov, L'Amour fou de Dieu, Seuil, p. 145).

Perché ostinarsi ad immaginare Dio come un solitario al modo di un celibe? L'ignoranza pratica del Dio-Famiglia non è forse la spiegazione dell'affievolirsi del senso comunitario dei cristiani?

Nel linguaggio biblico la parola " gloria " non ha il significato che lo stesso termine ha nella nostra lingua moderna, quando, per esempio, diciamo che Napoleone si è coperto di gloria ad Austerlitz. La parola ebraica da cui nasce il significato biblico del termine significa letteralmente " peso "; la " gloria ", nella Bibbia, indica l'importanza, il peso, l'influenza, il valore di una persona che esercita la sua influenza nel campo che gli appartiene. Quando si parla della gloria di Dio, si tratta dell'irradiazione della potenza e della santità del Dio di Gesù Cristo: un Dio che inizia a rivelare la propria gloria con lampi e tuoni sul Sinai a Mosè; con il marmorio leggero del silenzio al profeta Elia e, infine, con l'umiltà della nascita di Gesù a Betlemme, della sua vita pubblica in Galilea, della sua morte e risurrezione a Gerusalemme.

Questa " gloria " del Signore risorto, che prolunga, purifica e amplifica la gloria di Dio quale appare nell'Antico Testamento, è offerta agli uomini. A tutti. Tutti sono chiamati ad una misteriosa cristificazione, spiritualizzazione, divinizzazione. Rendere gloria a Dio è riconoscere questo peso di Dio nella storia degli uomini, è soprattutto affermare, con la nostra lode, tutta la perfezione dell'amore misericordioso del Signore; è rendergli l'onore che gli è dovuto: adorazione, rispetto, obbedienza, amore.

Al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo

Questa lode, nella liturgia della Nuova Alleanza, ci rivela il mistero di Dio nella sua pienezza: il mistero trinitario. Le prime dossologie cristiane che risalgono agli apostoli si rivolgono talvolta solo al Padre, ma il più spesso sono rivolte al Padre e al Figlio, il Signore Gesù; vi sono anche esempi di formulazioni trinitarie molto precise. Così san Paolo, in conclusione alla sua seconda Lettera ai Corinzi: " La gloria del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la communione dello Spirito Santo siano con tutti voi " (13,13).

I Padri della Chiesa, in seguito, adoteranno dossologie simili. Origene nel suo trattato sulla preghiera (De Oratione, 33) dice che ogni preghiera comincia e finisce con una dossologia. Poco a poco si passa dalle lodi a Dio Padre a quelle che sono rivolte al Padre per mezzo di Cristo e poi finalmente alle dossologie trinitarie nelle quali si rende gloria a Dio Padre per Gesù Cristo e per lo Spirito Santo. Nel 156, san Policarpo, di fronte al proprio supplizio, dice: " Per questa grazia del martirio e per tutte le cose, ti lodo, ti benedico, ti glorifico per l'eterno sommo sacerdote del cielo, Gesù Cristo, tuo diletto Figlio. Per lui, e con lui ti glorifico con lo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen " (Martyrium Polycarpi, XIV).

Ciò che è sicuro è che questa formula trinitaria di lode prende ispirazione dalla formula sacramentale del battesimo di cui parla Matteo: " Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo... " (28,29).

Questa formula trinitaria diventa la più corrente a partire dal IV secolo. Se ne usa come di un'arma contro l'eresia di Ario che non riconosceva l'uguaglianza divina tra il Figlio e il Padre e lo Spirito Santo. Nel 376, la lettera sinodale di Anfilochio di Iconio condanna quelli che rifiutano di accettare l'uguaglianza tra le tre persone divine. Tra tutte le dossologie in uso, la formula trinitaria: " Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo " è usata in opposizione agli eretici come una formula di fede che non lascia spazio all'errore, né all'ambiguità. I Salmi terminano sistematicamente col " Gloria al Padre " e nei monasteri si accompagna questo canto con un profondo inchino. Anche gli inni, le orazioni e, talvolta, le omelie si chiudono con una lode finale di tipo trinitario. Clemente di Roma così chiude la sua seconda lettera scritta verso il 230.

E interessante notare a questo proposito come il segno della croce che, all'origine, era il segno di Cristo e del cristiano  e costituiva una forma di dossologia cristologica  diventa presto una dossologia trinitaria. Sul gesto simbolico del segno della croce s'innesta la formula trinitaria: " Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo " che evoca, nella fedeltà alle origini, la fede dei cristiani e la formula liturgica del battesimo.

Lo si è trovato (il " Gloria al Padre ") inciso su architravi di porte (a El-Barra nell'Apameneo), su stele funerarie del 344, in Egitto, al termine di una lunga preghiera; su di un amuleto in papiro del VI o VII secolo, che un cristiano o una cristiana portava su di sé; su di un coccio (" ostrakon ") proveniente da Tebe.

Gli autori spirituali hanno sempre raccomandato il " Gloria Patri " come preghiera giaculatoria (cf per esempio J. Moschus [619], Pré spirituel, 119, P. G. LXXXVII, 1984). Nel rosario lo si recita dopo ogni decina di " Ave Maria " (J. Gaillard, OSB, " Gloria Patri ") in Dictionnaire du catholicisme).

Nei secoli dei secoli, Amen

Come ogni uomo, il semita accede alla nozione di eternità negando, per prima cosa, gli aspetti della propria condizione temporale che, secondo la sua esperienza, stima caduchi. Oltre a questo, Dio è per lui il vivente che non muore, che non muta, che non ha né principio, né fine, né divenire.

A differenza dei Greci, il semita non passa da questa esperienza ad una definizione astratta che neghi il tempo, perché questo, ai suoi occhi, non è spazio vuoto, ma pieno di realtà vissute.

Il Dio eterno è colui che domina tutti i tempi, il re dei secoli. L'eternità si coglie, non per esclusione del tempo, ma per integrazione del tempo: è la pienezza dell'essere, l'assoluto (Xavier Léon-Dufour, " Eternel ", in Dictionnaire du Nouveau Testament, Seuil).

Il Gloria al Padre... si conclude con l'evocazione dell'eternità. La parola " Amen " deriva dall'uso liturgico: è la risposta ordinaria dell'assemblea alla preghiera del celebrante.

Le parole: " Sicut erat in principio "  " Come era in principio "  sono state aggiunte in Occidente, nota J. Gaillard, per " affermare così la coeternità del Padre e del Figlio: come Egli era in principio (il Figlio); questa è l'interpretazione del concilio di Vaison del 529 che estende alla Gallia questa formula in uso nella Chiesa d'Italia e d'Africa. Ma nella liturgia è prevalso un significato più ovvio: "come era in principio" sta a significare che noi rendiamo alla Trinità la gloria che le spetta dall'origine del mondo... " (" Gloria Patri ", in Dictionnaire du catholicisme).

Il " Gloria al Padre " che cantiamo al termine del Magnificat, come al termine di tutti i salmi, è dunque carico di un significato liturgico grande. Esso sottolinea la fede del popolo cristiano tributata al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Presto, nel tempo, la formula costituitasi in un tutto unico, non verrà più modificata. È la preghiera che la Chiesa usa nella liturgia sacramentale, particolarmente in quella eucaristica. Ma, anche fuori della liturgia, il " Gloria al Padre " è sempre stato caro alla pietà dei fedeli. E la preghiera dei poveri, il canto di azione di grazie di quelli e quelle che sono stati, come Maria, oggetto di una scelta privilegiata. Si canta il Magnificat e quindi il " Gloria al Padre " in occasione di professioni religiose, di prime messe mentre l'assemblea bacia le mani del novello sacerdote. Il " Gloria al Padre " che la Chiesa canta oggi raggiunge, al di là dei secoli, la lode di Maria nel suo Magnificat. Quando infatti Maria esclama nella sua gioia: " Santo è il suo nome... " ella ricorda le parole dell'Angelo: " Lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine " (Lc 1,31-33).

Il bambino ch'ella porta in sé è stato salutato da Elisabetta col nome divino di Signore. Il saluto infatti è rivolto alla " madre del mio Signore ". Questo bambino, il suo bambino, porterà il nome di Gesù, cioè: " Dio salva "... e Maria, colma di amore e di gioia nello Spirito Santo, rende gloria al Padre con suo Figlio, il Verbo fatto carne... Lui che è per l'eternità la meravigliosa gloria del Dio amore e di tutti gli uomini suoi fratelli.

IL MAGNIFICAT DELLA CHIESA IN CAMMINO

Confortata dalla presenza di Cristo (cf Mt 28,20), la Chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino... procede ricalcando l'itinerario compiuto dalla vergine Maria, la quale " avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio fino alla croce ".

Se dunque gli anni che ci avvicinano alla conclusione del secondo millennio dopo Cristo e all'inizio del terzo vengono rapportati a quell'antica attesa storica del Salvatore, diventa pienamente comprensibile che in questo periodo desideriamo rivolgerci in modo speciale a colei che nella " notte " dell'attesa dell'avvento cominciò a splendere come una vera " stella del mattino ". Infatti, come questa stella insieme con l'" aurora " precede il sorgere del sole, così Maria fin dalla sua concenzione immacolata ha preceduto la venuta del Salvatore, il sorgere del " sole di giustizia " nella storia del genere umano...

La sua eccezionale peregrinazione nella fede rappresenta un costante punto di riferimento per la Chiesa, per i singoli e le comunità, per i popoli e le nazioni e, in un certo senso, per l'umanità intera...

Maria non cessa d'essere la " stella del mare " (San Bernardo) per tutti coloro che ancora percorrono il cammino della fede... La Vergine Madre è costantemente presente in questo cammino di fede del popolo di Dio verso la luce. Ne abbiamo particolare testimonianza nel Magnificat che... non cessa di risuonare nel cuore della Chiesa attraverso i secoli... Maria è la prima a partecipare a questa nuova rivelazione di Dio e, in lei, a questo nuovo dono che Dio fa di se stesso. Per questo ella proclama: " Grandi cose ha fatto per me; e santo è il suo nome ". Le sue parole riflettono la gioia dello spirito difficile da esprimere: " Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore ". Perché la profonda verità sia su Dio che sulla salvezza degli uomini risplende a noi in Cristo, il quale è, insieme, il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione.

Nel suo trasporto, Maria confessa d'essersi trovata nel cuore stesso di questa pienezza di Cristo.

È consapevole che in lei si compie la promessa fatta ai padri e, prima di tutto, " ad Abramo e alla sua discendenza per sempre ": che dunque in lei, come Madre di Cristo, converge tutta l'economia salvifica, nella quale " di generazione in generazione ", si manifesta colui che, come Dio dell'alleanza, " si ricorda nella sua misericordia "... Il cammino della Chiesa, al termine ormai del secondo millennio cristiano, implica un rinnovato impegno nella sua missione... Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nella parole e nelle opere di Gesù... Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazine dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa, di cui ella è Madre e modello, deve guardare per compredere il senso della propria missione nella sua pienezza.

Giovanni Paolo II

(Enciclia Redemptoris Mater).

NOTA BIBLIOGRAFICA

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Maurice Zundel, Notre-Dame de la Sagesse, Cerf., Paris.

LIBRI SU MARIA NELLA LEV

Beata perché hai creduto - Discorsi e scritti di Paolo VI sulla Madonna, a cura di Angelo Bonetti, pp. 456.

Maria: la prima cristiana - José Aldazábal, pp. 64.

Maria, madre del mio Signore - Testi mariani tradizionali e icone - Christine Granger, pp. 64.

Compostella. Messale per la vita cristiana - Volume IV: Messe della beata Vergine Maria - Testi del Messale e del Lezionario, pp. 520.

Celebrare con Maria - Le feste e le memorie di Maria nell'anno liturgico - Christopher O'Donnell, pp. 224.

Chi sei tu, Maria? - Jean-Claude Michel, pp. 184.

Le litanie lauretane - Testo di Giorgio Basadonna - Illustrazioni di Amedeo Brogli, pp. 216.

Maria nella comunità del Regno - Sintesi di Mariologia - José Cristo Rey García Paredes, pp. 336.

Cristo Eucaristia, la Vergine Madre del Signore - Testi eucaristici e mariani di sant'Ambrogio, pp. 278.

Catechesi sul credo - Volume V: Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa - Giovanni Paolo II, pp. 240.

Alla scuola di Maria - Florián Rodero-Antonio Izquierdo, pp. 176.

INDICE

Presentazione dell'edizione italiana . . . . . . 5

1.

Allora Maria disse . . . . . . . . . 9

Preghiera a Maria, la Vergine del Magnificat (S. Alfonso) . . . . . . . . . . 16

Maria, speranza della salvezza (F.X.D.) . . . 17

Magnificat, la preghiera di una donna . . 26

La donna povera (M. Zundel) . . . . . 34

2.

Magnificat! . . . . . . . . . . . 35

Meditazioni sulla Vergine coi nostri fratelli protestanti . . . . . . . . . . . . 41

Il Magnificat è creazione di Maria? . . 45

Fra le traduzioni del Magnificat . . . . . 51

Visita guidata del Magnificat . . . . . . 54

I verbi d'azione nel Magnificat . . . . . 62

3.

L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore . . . . 63

Come pregare il Magnificat? (R. Laurentin) 70

Il Magnificat, preghiera di lode (R. P.) . . 74

Il Magnificat, un canto per oggi. . . . . 83

4.

Ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata 89

La Vergine Maria al ritmo delle stagioni . . 97

" Sì, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata " . . . . . . . . . 100

Magnificat, la preghiera dei poveri . . . 106

Il Magnificat e i Salmi . . . . . . . 109

0 5.

Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome . . . . . . . 111

Il Magnificat in famiglia (J. e A. Allemand) 119

Santo è il suo Nome . . . . . . . . 123

6.

Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono 131

Pregare per ottenere misericordia . . . . . 137

" Su quelli che lo temono " . . . . . . 142

7.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi . . . . . . . . . 151

Un " Te Deum " mariano (F. Bruni) . . 156

" Ha disperso i superbi " . . . . . . . 158

E la violenza nella Bibbia? . . . . . . 165

8.

Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili . . . . . . . . . . . 173

Maria della nostra liberazione (P. Casaldaliga) 178

Il Magnificat, un canto di liberazione . . . 180

9.

Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandati i ricchi a mani vuote . . . . . . . 189

La mensa del Magnificat (A. Sanon) . . . 197

Beati gli invitati alla mensa del Signore . . 199

Dal Magnificat alle Beatitudini . . . . . 205

10.

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre 213

In favore di Abramo e della sua discendenza per sempre (F.X.D.) . . . . . . . 221

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo 226

Il Magnificat della Chiesa in cammino (Giovanni Paolo II) . . . . . . . . . . 233

 

 

TIPOGRAFIA VATICANA

 

 

 

PREGARE CON MARIA

Il 26 agosto 1944, quando il generale De Gaulle, sceso dai Campi Elisi, giunse alla cattedrale di Nôtre Dame, nero come la notte, gli dissero di intonare il " Te Deum " previsto dal programma. " Non me la sento ", fu la sua risposta. E propose di cantare il Magnificat. Subito, nel coro, il parroco di Maisons-Alfort intonò il cantico di Maria con voce alta... e la folla continuò.

Il " Magnificat " è una preghiera popolare. Tutti i cristiani, cattolici, protestanti e ortodossi, lo conoscono. È un concentrato di preghiera biblica alle frontiere tra l'Antico e il Nuovo Testamento e una meravigliosa scuola di preghiera sotto la guida di Maria, la Madre di Gesù. Anche a lui, quand'era bambino, Maria ha insegnato le prime preghiere!

Jean-Marie Ségalen, redentorista, già professore di filosofia e direttore di una scuola missionaria, dirige dal 1985 la rivista Mission chrétienne e dal 1989 presiede al Gruppo di lavoro inter-riviste che raggruppa una ventina di riviste missionarie.

Su richiesta di molti lettori ha scelto e riunito i migliori articoli apparsi sulla rivista Mission chrétienne sul tema del " Magnificat ". Egli si è avvalso anche della collaborazione dei padri redentoristi F.-X. Durrwell e R. Prévot.

(1) Charles Maurras (1868-1952) letterato e politico francese. Antiromantico, pretese difendere i diritti dell'intelligenza e consolidare la forza della tradizione facendosi l'accusatore della democrazia attraverso il partito e il giornale monarchico: " L'actìon française " (n.d.t.).

(2) 1431-1470. Dopo aver fatto gli studi ed essere diventato " maestro in arti " condusse vita randagia e tempestosa macchiandosi di furti e forse anche di omicidio; imprigionato, fu in seguito graziato e visse in esilio. Importante la sua opera letteraria in lingua sempre saporita, franca e naturale (N.d.T.).

(3) Cf Ireneo, Contro le eresie, 3, 3, 15. A. Quacquarelle, I Padri Apostolici, Roma 1976 (N.d.T.).

(4) Cf W. Rordorf et A. Tuilier, Doctrine des douze apôtres [Didachè] in " Sources Chrétiennes ", n. 248, IX, 4 E, x, 5.