La Fenomenologia
Che cos’è la fenomenologia
"Fenomenologia: ciò significa una scienza, un insieme coerente di discipline scientifiche; fenomenologia significa però al tempo stesso, e soprattutto, un metodo e un atteggiamento di pensiero: l’atteggiamento di pensiero, il metodo, specificamente filosofici".
La definizione di Husserl, il fondatore di questa corrente di pensiero, mette in evidenza gli elementi che, nella nostra epoca, devono caratterizzare la filosofia: i contenuti, ma soprattutto il metodo di ricerca che deve essere rigoroso, e l’atteggiamento del ricercatore, aperto a tutte le possibilità di risultato. La fenomenologia per contenuti, metodo e atteggiamento rifiuta il "modo naturale di pensare" che considera l’oggetto della conoscenza ovvio, non problematico, evidente per il solo fatto che è oggetto di esperienza.
L’atteggiamento fenomenologico deve essere critico: prima di tutto vanno messe in dubbio le conoscenze acquisite; il dubbio determina una sospensione di giudizio dalla quale emerge che i contenuti della coscienza sono esperienze vissute. La conoscenza che si determina con questa sospensione di giudizio non è solo un fatto psichico, individuale, è esperienza assoluta: il fenomeno che si manifesta nella conoscenza non è mera apparenza, ma essenza ideale. Il metodo fenomenologico consiste nel comprendere come l’essenza sia appresa nell’oggetto, superando la soggettività dell’esperienza individuale, dell’esperienza vissuta. Già dagli ultimi decenni dell’Ottocento il positivismo non è più in grado di reggere alla critica di una ricerca scientifica complessa, che per ottenere risultati, deve elaborare sempre nuove ipotesi teoriche, risolverle attraverso la dimostrazione e infine controllarle con l’esperienza. Lo stesso sviluppo scientifico diffonde la convinzione che per comprendere i fenomeni non basta descriverli.
In questo quadro la fenomenologia è uno dei più significativi tentativi di rispondere alla molteplicità degli aspetti della "crisi" dell’uomo contemporaneo, non l’unico: contemporanei a Husserl sono i filosofi di cui trattano le pagine successive: Bergson, Croce, Russell, Wittgenstein, Dewey.
La critica di Husserl alla cultura del suo tempo parte dalla constatazione che l’Europa, abbagliata dalla "prosperity" che dalla scienza sembra derivare, si è affidata a una concezione del mondo ovvia, superficiale e falsa: "l’esclusività con cui (...) la visione complessiva dell’uomo moderno accettò di essere determinata dalla scienza positiva (...) significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica". Proprio per recuperare "l’umanità autentica" Husserl propone un radicale rovesciamento "del modo naturale di pensare". Esperienza e percezione sono fatti di coscienza. La fenomenologia riconsidera le cose a partire dalla coscienza, mantenendo un assoluto rigore scientifico.
Nella prospettiva di Husserl la filosofia non può che essere scienza rigorosa, solo così l’umanità può evitare di cadere nella barbarie, di "soccombere al diluvio scettico e lasciarsi sfuggire la verità". Il positivismo aveva pensato di poter trovare il suo fondamento di verità nell’oggettivazione del mondo esterno ignorando che ogni autentica scoperta scientifica contiene una idealità che non può mai essere ridotta alla pura e semplice realtà di fatto. Galilei il fondatore della fisica come scienza ha prodotto una rivoluzione proprio perché è riuscito a riportare la realtà data entro l’universo ideale della matematica, superando la soggettività della conoscenza empirica.
Per recuperare il primato dell’idealità bisogna pensare che il mondo delle "cose" non è solo quello "delle cose della natura", la nozione di "cosa" conoscibile va estesa a tutto ciò che il pensiero può comprendere, cioè alle cose ideali. La via per costruire una filosofia come scienza rigorosa è dunque quella di tornare alle cose stesse, ai fenomeni, intesi non come "ciò che appare", ma come essenze ideali che si manifestano alla coscienza unendo la varietà e la ricchezza dell’esperienza soggettiva all’esigenza di dare una forma unitaria alla realtà, "la verità è un’idea il cui caso singolo è un vissuto attuale nel giudizio evidente. Il giudizio evidente è tuttavia coscienza di una datità originaria".
Edmund Husserl (1859-1938)
Opere principali
Filosofia dell’aritmetica (1891), Ricerche logiche (1900-1), La filosofia come scienza rigorosa (1910), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913), Logica formale e trascendentale (1929) , Meditazioni cartesiane (1931) , Crisi delle scienze europee (1936), Esperienza e giudizio, apparso postumo nel 1939.
L’intenzionalità della coscienza
Il programma husserliano di una filosofia come scienza rigorosa ha la sua premessa in Filosofia dell’aritmetica. In quest’opera Husserl elabora un concetto-chiave della fenomenologia: l’intenzionalità. Il concetto viene ripreso dalle ricerche psicologiche di Franz Brentano, uno dei suoi maestri, per il quale ogni atto di coscienza presuppone un contenuto esterno. La rappresentazione è quindi una relazione fra la coscienza e il suo contenuto: uno stesso oggetto può essere presente alla coscienza (la rappresentazione), può essere negato o affermato (il giudizio), può essere amato o odiato (il sentimento); mediante ognuno di questi atti la coscienza determina con l’oggetto relazioni diverse, lo intenziona in un modo particolare.
Husserl prova ad estendere ai concetti elementari dell’aritmetica e della logica (tutto, parte, aggregato, unità, molteplicità, ecc.,) l’intenzionalità, che Brentano aveva legato alla conoscenza empirica. Nel tentativo scopre che questi concetti "si sottraggono a ogni definizione logico-formale" dal momento che sono fondamentali e quindi possono derivare solo da operazioni della coscienza. Si tratta allora di individuare le strutture mentali che stanno all’origine di questi concetti elementari.
L’idea di Husserl viene fortemente criticata da Frege, il quale sostiene che la ricerca sull’origine dei concetti è inutile, comprenderli significa analizzarne la struttura logico-formale: "occorre sapere cosa sia il mare del Nord, non come nasca la nozione di mare del Nord".
L’eco di questa critica emerge nelle Ricerche logiche, opera in cui, allontanandosi dalla posizione "psicologistica" precedente, mette a fuoco la differenza fra espressione, che riflette l’esperienza individuale, e significato, ciò che la proposizione effettivamente dice. Nessun concetto sarebbe possibile se non venisse espresso attraverso il linguaggio. La coscienza, attraverso il linguaggio, oggettiva l’esperienza individuale, intenziona il significato. Non è necessario pertanto cercare l’origine dell’essenza percepita, è sufficiente riconoscere il valore dell’intuizione diretta, l’intuizione d’essenza.
La filosofia come scienza rigorosa
Da questi temi nasce Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, la cui elaborazione parte dalla domanda fondamentale "che cosa significa conoscere il mondo?".
Se la coscienza è necessariamente coscienza di qualcosa, essa non avrebbe alcun senso senza il mondo esterno che costituisce la sua esperienza; ma anche il mondo sarebbe del tutto privo di senso, e quindi non esisterebbe, se la coscienza non potesse percepirlo. La coscienza è dunque l’elemento costitutivo del mondo; al di fuori della coscienza non è possibile alcuna percezione; cade ogni possibilità di fare un discorso, esprimere un giudizio, dare un senso all’esperienza.
Conoscere significa superare il momento empirico cogliendo l’essenza insita nell’oggetto esperito, nel fenomeno; i dati empirici sono del tutto incomprensibili al di fuori degli atti intenzionali della coscienza. Conoscere quindi significa postulare un "io puro" capace di giustificare a priori tutte le conoscenze particolari. Il compito della fenomenologia diventa indagare il rapporto fra i due elementi che sono alla base della conoscenza: l’esperienza vissuta e l’intuizione d’essenza, mostrando come sia possibile superare la soggettività e la contingenza dei vissuti e arrivare a "verità essenziali che non contengono la minima affermazione circa dati di fatto".
Ogni indagine presuppone un metodo. Il primo elemento del metodo fenomenologico è l’epochè fenomenologica, la messa in dubbio di ciò che alla sapienza empirica appare dato e che, al contrario, a una considerazione critica si manifesta enigmatico. Attraverso l’epochè si attua un atteggiamento teso a mettere in discussione ogni atteggiamento naturale nei confronti dell’esistenza del mondo, "riguardo a ogni tesi noi possiamo esercitare in piena libertà questa caratteristica epochè, una certa sospensione di giudizio, che è compatibile con l’indiscussa, o magari indiscutibile e evidente, convinzione della verità", si tratta di riconoscere che la messa in dubbio è un atto conoscitivo che presuppone il non aver già deciso quale sia la verità del contenuto della conoscenza. Solo in questo modo è possibile mantenere la ricchezza di senso dei vissuti e delle intuizioni d’essenza.
Il problema allora diventa: in che modo la coscienza coglie le essenze nel fenomeno e può costituire una scienza fenomenologica?
Il tempo e la temporalità
Ciò che rende possibile il passaggio dal vissuto al concetto è il tempo fenomenologico, la temporalità, il flusso dei vissuti che costituisce l’unità della coscienza. Esso è diverso dal tempo "cosmico", oggettivo e misurabile; il tempo fenomenologico è interiore, in esso il passato si riflette nel presente che, a sua volta, anticipa il futuro in un unico atto percettivo e non può essere misurato, è una percezione interna della coscienza.
Attraverso i vissuti temporali la coscienza intenziona le essenze. Nella coscienza infatti i vissuti sono collegati in un filo unitario: ogni vissuto è necessariamente un qualcosa che dura nella coscienza e la sua durata si inserisce in una serie infinita di durate; un vissuto può cominciare o finire, ma la corrente dei vissuti non può né cominciare, né finire, è intemporale e rimanda alla struttura trascendentale della coscienza, "ogni vissuto nel suo essere temporale è vissuto del suo io puro". Il mondo e l’io sono un essere-per-la-coscienza.
L’epochè fenomenologica, l’atteggiamento problematico, determina la sospensione di ogni giudizio sul mondo e su ogni verità delle scienze sia naturali che umane. Il pensiero allora rimane il solo dato assoluto che si rivolge a fenomeni assoluti operando una riduzione, che garantisce tutta la ricchezza di senso che proviene dai vissuti.
Dopo questa epochè, dopo questa riduzione la coscienza assoluta emerge come residuo fenomenologico dell’annientamento del mondo. Un annientamento che non significa azzeramento: il mondo resta nella coscienza secondo ogni vissuto che l’ha caratterizzato. L’intuizione d’essenza non preclude alcun rigore scientifico, anzi ne è il presupposto necessario. La scientificità del sapere richiede l’idealità dei concetti che lo costituiscono. La capacità di cogliere nuove forme ideali, nuove essenze, è la condizione ineliminabile di ogni progresso scientifico. Il valore della scienza non sta nella tecnica attraverso la quale vengono formulate le leggi scientifiche, ma nell’intuizione originaria che è alla base di ogni ricerca.
La coscienza trascendentale
La coscienza pura è la sfera in cui la fenomenologia svolge la propria analisi per cercare il "senso" del mondo, dei suoi oggetti, i noemi, percepiti attraverso la serie degli atti intenzionali, la noesi.
Nel secondo e nel terzo volume di Idee Husserl si propone di chiarire la costituzione del mondo che, per diventare oggetto di conoscenza deve ricevere la propria forma dalla intenzionalità, e il rapporto fra la fenomenologia e i fondamenti delle scienze.
Nel mondo ci sono tre realtà costitutive: la natura materiale, "la natura come sfera delle mere cose" in cui la causalità è il criterio di lettura; la natura animale e la realtà psichica, che resta soggetta al condizionamento; il mondo spirituale, che nella motivazione ha la sua legge fondamentale.
La filosofia, scienza dei principi primi, ha determinato una struttura ontologica del mondo nella quale ha isolato alcune regioni della realtà, ha costituito delle ontologie regionali la cui funzione è aprire nuovi orizzonti allo sviluppo della scienza, anche alle scienze naturali che possono sviluppare così sempre nuove discipline con lo stesso compito: riorganizzare l’esperienza. Tutto ciò richiede un fondamento trascendentale che permetta di chiarire completamente i concetti e i principi di tutte le scienze.
Il mondo della vita: fondamento e fine della fenomenologia
In questa analisi l’io, fondamento trascendentale di tutte le scienze, si rivela come esperienza interna della coscienza, come flusso dei vissuti. Ciò che l’io identifica attraverso la propria intuizione diventa per analogia ciò che anche gli altri possono percepire nella loro esperienza vissuta: l’io è il principio dell’intersoggettività. Il linguaggio, la società e la storia rappresentano le manifestazioni dell’intersoggettività. Su questi temi si sviluppa l’ultima delle grandi opere di Husserl la Crisi delle scienze europee.
L’uomo contemporaneo, dice Husserl, specialmente dopo la guerra è tormentato dai problemi del senso o del non senso dell’esistenza. La scienza europea non ha nulla da dire sul mondo umano e extraumano, sulla libertà dell’uomo, "la verità scientifica obiettiva è esclusivamente una constatazione di ciò che il mondo, sia il mondo psichico sia il mondo spirituale, di fatto è". Le scienze hanno fatto grandi conquiste, ma in esse è andato perso l’uomo; quello che per Galilei era un metodo è diventato il vero essere, "possiamo accontentarci di ciò, possiamo vivere in un mondo in cui il divenire storico non è altro che una catena incessante di slanci illusori e di amare delusioni?".
La crisi dell’uomo contemporaneo nasce dall’aver separato il mondo ideale della scienza da quello comune della vita, l’oggettività scientifica dalla interiorità soggettiva, mentre è la soggettività che dà senso al mondo. Il mondo della vita, in cui operano e hanno valore le intuizioni e le operazioni prelogiche, è il presupposto di ogni sapere. E’ da questo mondo che bisogna ripartire, con l’atteggiamento fenomenologico, per costruire una scienza capace di dare risposte alle domande fondamentali dell’uomo. La soggettività, che nella quotidiana attività intenzionale costituisce il mondo, diventa il traguardo di una filosofia autenticamente trascendentale, capace, attraverso il procedimento dell’epochè, di interrogare il mondo della vita per scoprirne il senso e richiamare gli uomini alla loro responsabilità etica. Solo mediante la soggettività, che è tensione perenne fra il mondo e il suo fondamento trascendentale, è possibile dar vita a una umanità razionale, "un’umanità che comprende di essere razionale nel voler essere razionale, che comprende ciò che significa l’infinità della vita e degli sforzi verso la ragione".
Allora la fenomenologia raggiunto il suo scopo, "dalla cenere della grande stanchezza quella prodotta dal naturalismo acritico del positivismo, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: perché solo lo spirito è immortale".
Sviluppi della fenomenologia
Il pensiero di Husserl ha esercitato una profonda influenza nella cultura filosofica contemporanea, non solo tedesca, per la ricchezza di temi, per la loro adesione alle problematiche dell’uomo contemporaneo, per la novità e la rottura che rappresenta nei confronti del positivismo.
Non va sottaciuto anche il fatto che Husserl ha dato vita a una vera e propria scuola che, attraverso l’indagine fenomenologica, doveva indagare i vari aspetti dell’attività umana. Momento di sintesi e punto di incontro di tali ricerche è la rivista Annali di filosofia e di ricerca fenomenologica che Husserl fonda nel 1913, nella quale appaiono gli scritti più importanti dei suoi allievi. Ciò che accomuna le varie ricerche è il metodo di indagine e il programma del "ritorno alle cose stesse".
La filosofia husserliana, che è problematica per sua natura, ha favorito sviluppi originali della ricerca fenomenologica in varie direzioni, sia nell’ambito logico- scientifico che in quello etico-metafisico e che a volte hanno trovato conclusioni lontane dallo spirito iniziale della fenomenologia.
Gli autori che qui vengono presentati rappresentano solo alcuni sviluppi, i più coerenti, col programma husserliano e col metodo fenomenologico.
Max Scheler (1874-1928)
Opere principali
Il formalismo nell’etica (1913), L’eterno dell’uomo (1921), Essenza e forme della simpatia (1923), La posizione dell’uomo nel cosmo (1928).
La persona e l’etica dei valori
L’impegno di Scheler è costruire "una scienza fondamentale dell’essenza e della struttura eidetica dell’uomo", il tema dell’intuizione d’essenza è in lui il criterio di indagine del senso dell’esperienza etica e religiosa.
Se l’intenzionalità rappresenta il modo fondamentale col quale la coscienza instaura un rapporto col mondo, essa non può riferirsi solo al campo della conoscenza, deve essere applicata a tutte le esperienze umane, anche alla prassi. L’agire non è sempre guidato dalla ragione, spesso è il sentimento il criterio guida dei comportamenti; i valori, che li guidano e sono il contenuto dell’etica, nascono dal sentimento, non hanno un contenuto razionale anche se va attribuito loro un "contenuto originario apriorico". Il sentimento infatti non è insieme indistinto di emozioni e di impulsi, anche il sentimento è intenzionato, è perciò un’essenza, un apriori e viene compreso attraverso un’intuizione emozionale; "il sentire, il preferire, l’amare, l’odiare dello spirito hanno un loro proprio contenuto apriorico, tanto indipendente dalle leggi dell’esperienza induttiva, quanto le leggi del pensiero puro. In un caso come nell’altro c’è una visione essenziale degli atti, delle loro materie, del loro fondamento e delle loro connessioni".
Per questa ragione Scheler rifiuta il formalismo kantiano, vuoto perché riduce la legge morale al dovere per il dovere e le emozioni a espressione dei sensi che la ragione deve dominare. Un comportamento morale, un’azione buona sono tali non per una legge formale, ma per il contenuto concreto della volontà che li ha compiuti. Un’etica fondata sul metodo fenomenologico deve, partendo dai vissuti, rivelare la logica del cuore dei sentimenti su cui si formano i valori.
Non tutti i valori hanno lo stesso peso nell’attuazione dei comportamenti compito dell’etica è stabilire la loro gerarchia. La scala dei valori va da quelli sensibili (gradevole-sgradevole), a quelli vitali, (nobile-volgare), a quelli spirituali (bello-brutto, giusto-ingiusto, vero-falso), a quelli religiosi (sacro-profano). Questa scala trova il suo senso nel fatto che il soggetto etico è persona, individuo reale che è insieme spirito e corpo; l’attività spirituale è la sua caratteristica più elevata, ma anche il corpo strumento di attuazione dei valori etici; la persona va considerata dunque come l’insieme degli atti intenzionali nei quali si realizza in una individualità irripetibile.
Da questo modo di porre il problema nasce e acquista significato la sua tormentata esperienza religiosa. Se il sacro è il valore più elevato che la persona intuisce, questa intuizione diventa anche bisogno dell’incontro con Dio; chi non ha guardato nell’abisso dell’assoluto Nulla non si accorgerà dell’eminente positività del contenuto dell’intuizione che vi è qualcosa piuttosto che il nulla". Questo "qualcosa" ha i caratteri dell’essere assoluto che l’esperienza religiosa coglie nel modo più profondo e segna il cammino verso la salvezza che è l’aspirazione fondamentale dell’individuo.
Nicolai Hartmann (1882-1950)
Opere fondamentali
Fondamenti di una metafisica della conoscenza (1921), Etica (1926), Filosofia sistematica (1931), La fondazione dell’ontologia (1935), Possibilità e realtà (1938), La costruzione del mondo reale (1940), La nuova via dell’ontologia (1941), Filosofia della natura (1950).
Necessità della metafisica
Il programma fenomenologico husserliano non giunge, secondo Hartmann, alle estreme conseguenze alle quali invece può e deve giungere. Husserl, pretendendo di risolvere il dualismo soggetto-oggetto attraverso l’intenzionalità della coscienza, fa coincidere fenomeno ed essere; la coincidenza è inaccettabile perché nei fenomeni l’essere non si manifesta in maniera univoca, appare pieno di contraddizioni, manifesta solo il carattere enigmatico e irrazionale del mondo.
La filosofia, in quanto fenomenologia, cioè riflessione sui fenomeni, deve evidenziare la problematicità che li caratterizza, deve essere aporetica, così che la coscienza, avendo compreso che l’enigmaticità del mondo sta nella trascendenza dell’essere, può contemplare in una teoria (in greco théorein significa vedere) ciò che viene mostrato dalla fenomenologia e approfondito nella sua problematicità dall’aporetica. Per questa ragione non è possibile sfuggire alla metafisica. La metafisica, che si realizza nella teoria, nella visione, rappresenta il criterio di verità della fenomenologia e della aporetica.
Partendo da queste premesse Hartmann esamina il processo conoscitivo e trova che esso non consiste in una particolare relazione fra soggetto e oggetto: anche il soggetto è collegato all’oggetto nella compartecipazione all’essere. L’oggetto della conoscenza è, secondo il senso etimologico del termine, il dato che "sta di fronte" al soggetto, in maniera assolutamente indipendente. La conoscenza non può trasformare il carattere irrazionale dell’essere; il rapporto fra l’oggetto e il soggetto si manifesta piuttosto come trans-razionalità e trans-intelligibiltà dall’altro.
Ognuna di queste sfere è indipendente e si costituisce secondo una regola che le è propria; la teoria, manifestando l’essere ideale, non può mai modificare la realtà, ma solo contemplarla.
L’essere reale invece è un qualcosa che l’uomo sente continuamente sottrarsi, che sente impossibile da dominare e di cui deve prendere atto "il mondo, così com’è l’uomo non lo può trasformare. deve accettarlo così come gli si offre. E deve fare i conti con gli enigmi che gli presenta". Dalla necessità di fare i conti con gli enigmi dell’essere reale nasce l’attività pratica. La conoscenza infatti si traduce in visione, mentre l’essere è anche attività, sforzo, impegno, rischio; sono questi gli "atti emozionali" che determinano l’agire etico. Essi sono collegati attraverso un mondo di valori, espressione dell’essere ideale, a cui l’essere reale si collega direttamente. Gli atti emozionali rappresentano una realtà ontologica che l’uomo coglie nella sua apriorità e che perciò stesso si pongono come fine dell’agire umano.
L’aver espunto il concetto di persona e l’aver fatto del mondo dei valori una realtà ontologica fa nascere un problema: quale margine di iniziativa e di scelta ha l’uomo di fronte a una realtà che deve solo accettare così com’è e che, anche nel suo agire è già determinata da un finalismo intrinseco? Hartmann pensa di risolvere il problema della libertà con la distinzione fra modo dei valori, espressione dell’essere ideale e perciò a priori, e la particolare relazione che ogni persona costruisce fra sé e l’essere. L’uomo ha sempre di fronte due possibilità che sono intrinseche all’agire: una viene scelta e diventa effettiva, l’altra resta sempre allo stato di possibilità, possibilità che esiste in relazione a ciò che è stato realizzato.
GLOSSARIO
COSCIENZA
E’ il principio su cui è possibile fondare una scienza fenomenologica; se ci chiediamo che cosa resta dopo aver messo in parentesi il mondo intero, l’unica risposta possibile è la coscienza come "nuova regione dell’essere finora non rilevata nella sua caratteristica, la quale, come ogni genuina regione, concerne un essere individuale". In questo senso la coscienza è il flusso dei vissuti, delle esperienze di coscienza, la capacità di riportare alla propria unità tutte le esperienze interiorizzandole, facendole diventare esperienza interna. La prima esperienza della coscienza è certamente il cartesiano "io penso". Se tralasciamo un momento ogni considerazione sull’"io" restano le esperienze della coscienza nelle loro reciproche relazioni. La conoscenza di queste relazioni è determinata dalla intenzionalità, dal rapporto fra il soggetto, che è coscienza, e l’oggetto stesso della coscienza. Questo rapporto non è un fatto psicologico, un modo particolare di percepire un oggetto, è un fatto trascendentale, è la stessa attività della coscienza, "ogni vissuto che lo sguardo riflessivo riesce a cogliere, ha una essenza propria individuale, da afferrare intuitivamente, un contenuto, che può essere considerato nella sua intrinseca peculiarità e può essere considerato nell’ambito di una considerazione eideticamente generale delle essenze, che ci fornisce un’essenza generale, la pura articolazione essenziale" (Idee, 1, 34). La coscienza quindi non è solo attività intenzionale, è anche il residuo trascendente che rende possibile l’attività teoretica e rende possibile una scienza delle essenze pure, la fenomenologia.
EPOCHE’
E’ la sospensione del giudizio ottenuta attraverso la messa in dubbio del mondo come realtà data. L’epochè fenomenologica, a differenza del dubbio cartesiano che cerca di affermare un principio assolutamente certo, serve a determinare un atteggiamento di contemplazione svincolata da ogni interesse naturale o psicologico nei confronti delle cose del mondo, del mondo stesso e della sua esistenza "il tentativo di dubbio universale rientra nel campo della nostra libertà: noi possiamo tentare di dubitare di tutto e di ogni cosa, anche se ne siamo fermamente certi in base ad una certa evidenza pienamente adeguata"(Idee,I,31). L’epochè è l’atteggiamento caratteristico della fenomenologia col quale si nega valore alla tesi "naturale" che considera l’evidenza empirica come un dato oggettivo e univoco o come un’immagine creata dall’attività psichica e perciò assolutamente soggettiva; attraverso l’epochè fenomenologica viene messo fra parentesi "l’intero mondo naturale, che è costantemente "qui per noi", "alla mano", e che continuerà a permanere come "realtà", per la coscienza, anche se a noi talenta di metterlo in parentesi" (ldee,I,32). L’atteggiamento fenomenologico, mediante l’epochè, costruisce una nuova scienza che, sospendendo il giudizio sul valore delle scienze oggettive, permetta di cogliere il mondo-della-vita; il che non significa negare la validità dei risultati delle scienze oggettive, "attraverso questa epochè non sono scomparse le scienze, né sono scomparsi gli scienziati: essi continuano ad essere ciò che erano prima: fatti inclusi nel complesso unitario del mondo-della-vita". (La crisi delle scienze europee, 35). Inoltre determina l’io come tema autonomo, che, da una parte, è oggetto di indagine e, dall’altra, è la fonte di validità di ogni indagine, "infatti pur differenziato nei suoi modi, l’io è un io identico e produce tutte le validità, è un io intenzionale che lungo l’evoluzione dei modi graduati di apparizione, si dirige "attraverso esse" verso il polo dell’unità, cioè verso un fine che esso persegue (verso la realizzazione del suo proposito), il quale, pre-intenzionato in modo più o meno chiaro e distinto si attua fase per fase, è essente-diveniente, attua insieme la sua intenzione" (La crisi delle scienze europee, 50). L’epochè in questo modo permette di raggiungere l’io assoluto ponendo la conoscenza "nella sfera dell’evidenza apodittica". L’epochè in questo senso è lo strumento che permette alla scienza occidentale di uscire dal suo stato di crisi, di ritrovare la capacità creativa, la sola che permette la conquista di nuovi traguardi, e insieme richiamare l’uomo alla "più piena responsabilità individuale e collettiva", la cui perdita aveva determinato i momenti più nefasti della storia europea di questo secolo.
ESPERIENZA
E’ la fonte della conoscenza, "tutti i concetti derivano dall’esperienza, quelli generali come quelli particolari e devono conservare la loro utilizzabilità anche nel corso ulteriore dell’esperienza" (Idee,III,7). Attraverso l’esperienza l’uomo entra in contatto con "l’individuale". L’esperienza in questo senso coincide con la "percezione". Per costruire una conoscenza scientifica è necessario il superamento di questo livello, è necessario cogliere, attraverso l’epochè fenomenologica, le essenze, la scienza non può fermarsi al livello "descrittivo", deve essere "scienza esplicativa", deve cioè offrire la "comprensione" e a questo livello si giunge solo attraverso l’intuizione d’essenza. L’esperienza deve diventare esperienza interna, esperienza di coscienza, cioè esperienza vissuta (Erlebnis).
ESSERE
E’ l’essere necessario, l’essere della coscienza per la quale il fenomeno è una possibilità intenzionata, "il fatto che una natura, un mondo della cultura e degli uomini con le loro forme sociali ecc. esistano, significa che sono possibili le esperienze corrispondenti, cioè che, indipendentemente dall’esperienza reale di questi oggetti, io posso in ogni istante realizzarli. Questo significa poi che altri modi di coscienza che corrispondono a queste esperienze come atti di pensiero indistinto sono possibili" (Meditazioni cartesiane, 37).
ESSENZA
"Ciò che si trova nell’essere proprio di un individuo come suo quid’, non è quindi un fatto psicologico, ma ha una oggettività e una necessità ideale, "l’essenza è un oggetto di nuova specie" che viene colto attraverso l’intuizione d’essenza, la coscienza intenzionale di un oggetto.
FENOMENO
Il significato kantiano di "ciò che non appartiene all’oggetto in se stesso ma si trova sempre nel rapporto di esso col soggetto ed è inseparabile dalla rappresentazione che questo ne ha" viene rovesciato da Husserl, per il quale "fenomeno" è ciò in cui si manifesta l’essenza, è "rivelazione d’essenza", che si intuisce attraverso l’attività intenzionante della coscienza. "Per quanto diversi possano esser i significati del termine "fenomeno" e per quanti altri ne possa acquisire, è certo che la fenomenologia comprende tutti questi "fenomeni" e secondo tutti i significati: ma in un atteggiamento così profondamente diverso che ogni significato si modifica rispetto alle scienze ormai familiari" (Idee, 1, Int.).
INTENZIONALITÀ
Il concetto viene elaborato da Brentano che lo riprende dai filosofi medievali; per Brentano l’intenzionalità è la caratteristica dei fenomeni psichici e può essere classificata secondo il modo in cui abbiamo coscienza degli oggetti; la coscienza infatti è sempre coscienza di qualcosa. Per Husserl intenzionalità "è ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante e consente di indicare la corrente dei vissuti come corrente di coscienza e come unità della coscienza" (Idee, I, 84), è cioè il rapporto fra il soggetto e l’oggetto della conoscenza. Ciò che la coscienza intenziona sono le essenze e la conoscenza che ne deriva è una conoscenza eidetica oggettiva.
INTUIZIONE
Il concetto di intuizione è in Husserl complesso e si concretizza in diversi gradi. Il primo grado è l’intuizione sensibile, che nella coscienza si trasforma in percezione e, mediante l’intenzionalità, arriva a cogliere le essenze pure dopo aver sospeso il giudizio sul dato esistente. "lo ho di fronte a me le cose singole dell’esperienza; ne considero una qualunque. Anche se essa si presenta come immutata nella percezione, il percepirla è sempre qualcosa di estremamente multiforme (...). Ciò può essere espresso dicendo che la pura cosa vista, ciò che della cosa è visibile, è innanzi tutto la superficie; durante l’evoluzione del vedere io vedo la superficie da un lato e ora dall’altro. Ma attraverso tutti questi lati si rappresenta in coscienza un modo di rappresentazione di essa. Ciò significa che mentre essa è attualmente data, io ho presente di più ciò che essa offre. (...) Ma se rimango nel campo della percezione io ho già piena coscienza della cosa; già al primo colpo d’occhio io la considero "questa cosa". Nel processo del vedere io "intenziono" tutti gli altri lati che non mi sono dati (...). La percezione ha "per la coscienza" un orizzonte che inerisce sempre al suo oggetto (l’orizzonte che essa intenziona sempre implicitamente). (La crisi delle scienze europee, 45).
MONDO DELLA VITA
E’ uno dei concetti centrali de La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, indica "il mondo in cui viviamo intuitivamente, con le sue realtà, così come si danno, dapprima nella semplice esperienza poi anche nei modi in cui spesso queste realtà diventano oscillanti nella loro validità (oscillanti tra l’essere e l’apparenza). Il nostro compito esclusivo è quello di cogliere questo "fiume eracliteo" meramente soggettivo e apparentemente inafferrabile. (La crisi delle scienze europee, 44).
NOEMA
E’ il dato oggettivo, ciò che viene percepito o immaginato nell’esperienza vissuta e nel quale la coscienza riflette i vari modi in cui esso è dato nella realtà. Il noema perciò non va confuso con l’oggetto stesso: l’albero che percepisco è l’oggetto, il noema dell’albero è il "correlato", il senso che esso ha per il soggetto, in cui si incontrano componenti reali dell’oggetto insieme a componenti non reali, "ai molteplici dati del contenuto reale corrisponde sempre una molteplicità di dati rilevabili dall’intuizione effettivamente pura in un correlativo "contenuto noematico", o brevemente nel "moema" (Idee, 1, 88). Il noema non va confuso nemmeno con l’essenza, "se parliamo di visione soltanto quando l’essenza viene colta intuitivamente per designare l’intuizione del noema abbiamo bisogno di un altro termine" (Idee 111, 16).
NOESI
Il complesso degli atti intenzionali che mirano alla comprensione attraverso la capacità di afferrare i caratteri che si trovano nell’oggetto percepito, nell’esperienza di coscienza. "Notiamo con ciò che dobbiamo isolare nell’interno del pieno noema gli starti essenzialmente diversi, che si raggruppano intorno a un "nocciolo" centrale, intorno al puro "senso oggettivo", intorno a ciò che nei nostri esempi è sempre descrivibile con espressioni oggettive, nettamente identiche, poiché può essere identico in tutti i paralleli vissuti di diversa modalità". (Idee, I, 91).
RESIDUO
La coscienza, che non viene toccata dall’epochè, si pone come "residuo fenomenologico" e apre alla riflessione filosofica la sfera assoluta dell’essere, della soggettività assoluta o "trascendentale".
RIDUZIONE
E’ il risultato dell’epochè attraverso la quale sono stati messi tra parentesi sia i pregiudizi del senso comune, sia le teorie scientifiche, "la neutralizzazione della tesi del mondo, della natura, è stata per noi un mezzo metodico per rendere possibile il dirigersi del nostro sguardo sulla coscienza trascendentale" (Idee, I, 56), che resta in fondo a questa riduzione del mondo, della natura come residuo fenomenologico.
STORIA
Dal momento che il tempo è la forma necessaria dell’esperienza vissuta e che l’intersoggettività è la dimensione in cui l’esperienza si compie, nasce la necessità di determinare un tempo comune che dia a tutti la possibilità di cogliere il fondamento originario del mondo, operazione nella quale possiamo avvalerci del lavoro e della ricerca di ogni uomo.
TEMPO
Husserl distingue due tipi di tempo, il tempo cosmico, oggettivo, misurabile e il tempo fenomenologico, la forma unitaria dei vissuti, delle esperienze di coscienza che chiama "temporalità". Il tempo cosmico è privo di valore esistenziale perché non ha alcun riferimento alla contingenza del presente. La temporalità, il tempo della coscienza "designa non solo qualcosa di pertinente a ogni singolo vissuto, ma anche una forma necessaria che unisce i singoli vissuti tra loro" (Idee, 1, 81). Ogni vissuto infatti un qualcosa che permane nella coscienza e produce sempre "nuova materia", nuove esperienze, nuove intenzionalità, nuove conoscenze. La diversità fra il tempo cosmico e il tempo fenomenologico non significa che essi siano assolutamente diversi, ma l’uno richiama necessariamente l’altro. L’oggettività del tempo presuppone necessariamente che ogni istante venga prima o dopo un altro istante e ugualmente il tempo richiede che ci sia qualcuno che lo percepisca, che riesca a correlarlo col presente del vissuto. La percezione del tempo fenomenologico comporta così la distinzione fra passato presente e futuro, determinando la memoria, la percezione e l’aspettativa.
TRASCENDENTALE
E’ l’esperienza fenomenologica nella quale abbandoniamo il terreno empirico attraverso l’epochè neutralizzando la esistenza o la non esistenza del mondo: L’esperienza che ne risulta è esperienza trascendentale perché "noi esaminiamo il cogito trascendentalmente ridotto e lo descriviamo senza effettuare in più la posizione di esistenza naturale implicita nella percezione spontanea" (Meditazioni cartesiane, 15).
TRASCENDENTE
E’ la percezione degli oggetti, opposta alla percezione immanente che la coscienza ha di se stessa. Per questo Husserl distingue una percezione trascendente e una percezione immanente. Questa è la percezione di oggetti intenzionali nella quale "la coscienza e il suo oggetto formano una unità individuale costituita puramente di vissuti" (Idee, I, 38). La percezione trascendente invece non contiene in sé l’oggetto percepito che quindi le resta estraneo, inconoscibile e perciò trascendente. Ma la coscienza ha necessariamente anche se stessa come oggetto e sotto questo profilo si rivela come principio trascendente dell’atto conoscitivo.
VERITÀ
E’ l’evidenza degli oggetti fenomenologici ottenuta attraverso l’epoché che ha determinato la comprensione dell’essenza; verità e sinonimo di evidenza adeguata.
VISSUTO
E’ l’Erlebnis, l’esperienza vissuta che nella coscienza trova la forma della sua unità.