DIZIONARIO DI MISTICA

L. BORRIELLO - E. CARUANA M.R. DEL GENIO - N. SUFFI

M

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MISTICA NATURALE. (inizio)

Premessa. C'è qualcosa che sfugge all'occhio e alla percezione sensibile e risuona solo nel sacrario del cuore, capace di stupirsi di fronte al mistero di Dio che non appare, ma che solo può rifulgere nell'intimo di chi anela a conoscerlo. L'uomo, per natura religioso, tende a modellarsi su Dio, configurandosi a lui nel segreto, compreso nell'intimo dalla nostalgia di vederlo: " Grande sei, o Signore, degno di somma lode (Sal 144,3); grande è la tua potenza, senza limiti la tua sapienza (Sal 146,5). L'uomo vuol cantare le tue lodi, l'uomo, particella della tua creazione, che porta seco il peso della sua natura mortale, del suo peccato, la certezza che tu resisti ai superbi (cf Gc 4,6; 1 Pt 5,5). Eppure l'uomo, particella della tua creazione, vuol cantare le tue lodi. Tu lo sproni, affinché gusti la gioia di lodarti, poiché ci hai creati per te e il nostro cuore non ha pace fino a che non riposi in te ".1

La nostalgia di Dio, oltre le sfere delle umane percezioni ed emozioni, apre il cuore ben formato (cf Lc 8,15) all'immediata e silenziosa esperienza, sì che l'uomo spirituale, librandosi nell'infinito sulle ali del desiderio è reso attento e capace di percepirne il lieve sussurro: " La voce di un silenzio simile a un soffio " (cf 1 Re 19,12),2 superando la fatica intellettuale e lo sforzo della ragione, per ritrovarsi nella percezione della presenza numinosa, comunque ne avverta il richiamo o ne percepisca la voce arcana. Egli anela a Dio e brama intessere con lui, nel profondo, un dialogo d'amore, tutto compreso dal fascino della sua presenza.3 La ragione, infatti, rimane muta alle soglie del mistero di Dio che la trascende permanendo sovrano nel suo nimbo di luce e aprendosi solo al cuore in attesa. In tale ineffabile esperienza, " si ha la consapevolezza di essere in contatto immediato con Dio. Questa consapevolezza è piuttosto vaga e indefinibile e non è possibile descriverla con parole chiare ",4 essendo esperienza arcana dell'immensità di Dio, o " mistica naturale ".5 Si dice mistica, perché è un'esperienza silenziosa, arcana e indicibile, naturale, perché è congeniale alla natura umana e ne segna un vertice sublime di perfezione morale e religiosa.

Il termine mistica indica già un mistero di silenzio eloquente, proprio dell'esperienza religiosa, che trascende il limite del tempo e dello spazio e attinge l'Infinito nel profondo, non per puro ragionamento o per esercizio di devozione, ma per intima percezione d'amore. La sua caratteristica è quella di un accadimento sorprendente, congiunto con una certa passività della persona stessa, che viene attivata e sorpresa da una misteriosa potenza che sopravviene avvolgendola d'ineffabile arcana intensità di amore coinvolgente. Tale esperienza ha, in primo luogo, un effetto risanatore della persona e una immersione nella piena armonia dell'essere, che si ritrova nella sua pura fonte. Essa dischiude, quindi, alla persona attenta e silenziosa il mistero indicibile, ripristinando in essa la fascinosa presenza di Dio, stimolandone la conoscenza salutare e introducendola progressivamente nella sua sfera di luce infinita. " La voce, infatti, non giunge durante una tempesta che mette in pericolo la vita dell'uomo: è la voce di un silenzio simile a un soffio' (cf 1 Re 19,12) ed è facile soffocarla. Finché questo avviene, la vita dell'uomo non può diventare cammino. Per quanto ampi siano il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce ".6 E la voce indicibile, che diviene presenza, a introdurre la creatura nel nimbo di gloria della divinità. Allora, la persona, attenta e sorpresa, si apre al colloquio segreto e diviene nello spirito.

Vi è un inizio impercettibile, quasi un bussare alla porta del cuore e un annuncio di presenza, che si fa sempre più intenso e amorevolmente insistente, finché la creatura percepisce la presenza di Dio nella luce e percorre insieme con lui le vie del cuore e della vita, approdando alle soglie dell'infinito, nell'incanto di una percezione indicibile e di un incontro fascinoso. L'invisibile Presente, incontrando nel silenzio la creatura interiormente raccolta e tutta protesa nell'ascolto, la permea di sovrumana dolcezza e d'inesprimibile gaudio. Il numinoso è insieme fascinoso e riempie di stupore e di meraviglia, lasciando percepire nel segreto il senso pieno della vita e l'ebbrezza della divina melodia.7 Dove questo non avvenga, s'aggrava l'esperienza di solitudine e di " vuoto, quando niente di esteriore corrisponde a una tensione interiore ".8

La m. segna, quindi, l'aprirsi della persona religiosa all'esperienza indicibile, in un contatto intimo e fascinoso, a tutti i livelli dell'incontro con Dio, nel sacrario del cuore e nello stupore dell'incontro che rapisce l'anima nella contemplazione del mirabile volto di Dio. Essa è congeniale ad ogni essere umano, che di Dio porta l'impronta e la divina nostalgia. Tuttavia, per farne l'esperienza, bisogna disporvi attentamente il cuore, accordandolo alla divina melodia dello spirito, sì da trasformare quella conoscenza in percezione interiore, in sintesi espressiva della totalità dell'essere, che si ritrova nell'armonia del tutto e si apre a Dio, presente nell'amore. La sua manifestazione più suggestiva è quell'affetto di amore soave, che sgorga dal cuore, toccato dalla divina presenza, che pure rimane impercettibile e fascinosa.

E propria della mistica l'indicibilità, congiunta con una forte carica emotiva, unita alla passività del soggetto che viene attivato nell'intimo, perché risuoni soave la divina melodia. Tuttavia, per approdare alle soglie dell'infinito e venire conquistati dall'ineffabile Presenza, non sono sufficienti i gesti religiosi sia pure significativi o le celebrazioni solenni anche suggestive, occorrono una purificazione interiore e una acquisita capacità di ascolto, affinché Dio possa rivelarsi nel suo mistero di luce infinita. Perché è di Dio che i mistici fanno esperienza e, anche se non riescono ad avvertirne che il nimbo di luce che ne contrassegna la presenza, nel loro cuore fiorisce l'amore che a lui congiunge ineffabilmente. " Essere pio è dunque provare di continuo Iddio presente, non per sola passione di sentimento, ma in tutta la nostra umanità: contemplazione e azione, ragione e senso, volontà e sentimento. Non che di fatto una presenza talmente totale si riveli tutta dappertutto, svelandosi invece ora per una, ora per un'altra parte; ciò nondimeno, se pietà vuol essere, ha da essere tutta di tutto l'uomo ".9

I. La m. ossia l'esperienza silenziosa e ineffabile di Dio. L'esperienza di Dio è, infatti, il vero senso della mistica, nel suo vertice di contemplazione silenziosa e di stupore di fronte al mistero indicibile. Non si tratta di un semplice rapporto devoto con Dio, proprio dell'atto di religione, neppure di una spiritualità che a Dio tenda con l'affetto del cuore, ma di quella indicibile esperienza di Dio che rapisce il cuore della creatura, in forma talvolta sommessa e silenziosa, talvolta erompente come il fulgore della luce che ne dischiude le divine sorgenti. Poiché esiste nell'intimo di ogni creatura umana, nelle profondità del suo essere immagine di Dio, un sacrario in cui ciascuno si ritira per percepire il soffio dello spirito e intonare al Dio del suo cuore i più bei cantici di amore. L'uomo, infatti, è " capace di Dio, perché a lui configurato come immagine ". Egli percorre l'itinerario della conformazione, grazie alla pietas che lo congiunge intimamente a Dio, mediante l'amorosa conoscenza e la corrispondente lode, nel sacrario del cuore, toccato dalla scintilla divina dell'amore, rapito dal fascino irresistibile della sua Presenza. Si tratta invero di un incontro salutare che equivale a uno scambio di doni, nel linguaggio simbolico e misterioso dell'amore che cerca la sua verità profonda e il senso divino della sua esistenza, oltre le barriere della morte, nell'abbraccio felice con l'Altissimo Signore, rispecchiandosi nella luce dell'incantevole volto di Dio.10 Non si tratta, qui di una semplice coloratura spirituale o di un riflesso dell'intimo che traspare, bensì di una profondità sorgiva e primigenia dell'essere umano, che si trascende e si ritrova puro e rigenerato in Dio, comunque ne percepisca la presenza, perché è di Dio che si fa esperienza ogni qualvolta ci s'imbatte nel mistero che dischiude le soglie dell'infinito. Solo lui, infatti, soddisfa il cuore umano che tende insaziabilmente alla felicità, ma spesso si perde per le vie dell'appagamento fugace e del miraggio ingannevole, ritrovandosi solo e infelice, avendo smarrito il senso. L'uomo è, infatti, per sua natura, un pellegrino dell'Assoluto. Anzi, ne percepisce nel profondo una tale nostalgia che spesso si ferma al primo cenno della sua Presenza, dovunque affiori un palpito di felicità o si dischiuda un lembo di cielo. Egli ha sete di lui e ne insegue tutti i volti, anche solo le parvenze, perché non ne può fare a meno. Quando, per umana fragilità, non riesca a dare volto alla presenza di Dio, egli si perde nell'assoluto impercettibile e a lui si affida, vagando nell'infinito spazio, che non è lo spazio infinito, ma solo la dispersione del senso e l'oscurità della notte. Mentre è la luce che cerca il suo cuore, che sogna sempre l'appuntamento con la felicità. Certo il cammino non è facile, perché i surrogati sono possibili, anche se non possono divenire che appagamenti fuggevoli di un'eterna nostalgia. E così che talvolta l'uomo religioso si smarrisce per le vie impervie del piacere o per le oscure strade della ricerca e perde di vista la luce profonda e penetrante della verità che erompe dal silenzio per farsi strada nel cuore assetato solo di Dio. Non ci si deve rassegnare a rimanere dei rottami ai margini dell'essere, perché si sono smarriti l'opera e lo stile, sonnecchiando assopiti nella degustazione dei piaceri fuggevoli o delle sensazioni effimere. Occorre ritrovare il senso, aprendosi all'esperienza di Dio nel profondo, che è appunto la mistica, non limitandosi, peraltro, alla semplice colorazione di senso religioso o di spiritualità, bensì affidandosi alla vera esperienza di Dio, a vari livelli di configurazione e di conformazione a Dio nel profondo, per ricomporre uomini e cose, l'universo intero in vista della sola pace dell'amore, fino all'incontro personale con l'Invisibile nel mistero che per i cristiani acquista le sembianze amabilissime del mirabile volto di Gesù Cristo.

Dalla prima percezione del divino all'esperienza del numinoso e alla perseverante, attenta e sempre più intensa ricerca di Dio, fino alla percezione della sua vivida presenza e all'incontro felice con lui, si estende l'ambito della m. Dio, infatti, seppure invisibile, è esperibile, perché sommamente presente e desideroso di comunicarsi alla sua creatura. E lui che dà senso pieno e gioia perfetta alla sitibonda creatura che anela alla pace dello spirito e si ristora, ogni qualvolta egli si affacci all'orizzonte della sua vita, oltre il limite dell'umano intendimento e della ragione indagatrice, come anelito di eternità e soave divina melodia dell'essere che diviene dolce memoria e verità profonda che, finalmente, si disvela, in una festa di luce.11

Avere Dio presente nell'amore è il contenuto essenziale dell'esperienza mistica. Il percepirne la voce, l'esperimentarne il soffio vivificante e la presenza consolatrice, ma anche l'ebbrezza delle sublimi vette dello spirito che anela a perdersi in lui trasumanando. Dio è, veramente, il Signore e il salvatore di ogni uomo, ma la sua signoria si estende a quanti ne riconoscono e ne invocano il Nome, conformandosi alla sua norma di vita e mantenendone fedelmente il codice etico di alleanza d'amore. Poiché ogni uomo, che viene in questo mondo, diviene secondo il dinamismo dell'immagine, che tende alla conformazione, segreta e misteriosa, al comportamento sublime, nella perfezione e nella bellezza della santità di Dio. Diventare come Dio, configurandosi a lui e accordandovi la vita nel profondo, è la nostalgia antica del cuore umano. Imitare Dio nel comportamento essenziale della persona rettificata e capace di operazioni sublimi. Nell'esperienza mistica anche il tempo s'invera in attimi di eternità, perché la percezione del cuore attinge l'infinito, si dilatano gli spazi della percezione interiore e si sublima il senso della vita, che diviene immensa negli spazi infiniti di Dio. Non si tratta semplicemente di prenderne atto, ma di disporvi l'animo e di prepararsi a quel divino incontro, dovunque esso avvenga, o ai margini della foresta, o in un tempio fabbricato da mano di uomo o nell'intimo di ogni cuore, dove ciascuno, ritirandosi nel segreto, ama intonare al Dio del suo cuore i più bei cantici d'amore. E la persona umana il sacrario santo della divinità, il tempio vivo della gloria divina. L'intima essenza di ogni mistica esperienza, come sopravveniente irradiazione della gloria e sublimazione dell'essere che tutto si ritrova nel nimbo aureolante della santità di Dio, si compie in un mistero trasfigurante di luce infinita. " Gloria di Dio è l'uomo vivente. Ma vita dell'uomo è la visione di Dio ".12 Reciproca è la nostalgia: di Dio per l'uomo e dell'uomo per Dio e, quando le due nostalgie diventano incontro, esplode la gioia della salvezza, in un inno incontenibile di lode perenne. La divina liturgia erompe come prece dal cuore nell'articolazione dei segni e nella significazione delle parole che diventano eloquenti al soffio vivificante dell'Onnipotente, divenuto il tutto di tutte le cose.

II. Dallo stupore della percezione alla contemplazione di Dio. L'esperienza mistica è inesprimibile e può solo esprimersi per cenni, in un linguaggio che supera la sua capacità espressiva e si riveste di simboli per divenire eloquente, in sempre nuove significazioni. Le testimonianze di un'intensa e sorprendente esperienza di Dio trapuntano di divina bellezza il corso della storia dei popoli e delle religioni e si dispiegano nell'ampio spazio dell'universo religioso dei popoli, lasciando trasparire dalle pieghe della storia i tratti misteriosi e sublimi dell'invisibile, eppur sempre percettibile, presenza di Dio. Avere Dio sempre presente nell'amore è la fondamentale percezione della creatura, fatta per la felicità e incapace di quiete, finché non trovi refrigerio in questa sublime dimora di pace e di felicità incorruttibile dell'amore che ha trovato il suo Dio. S. Paolo, parlando ai saggi dell'Areopago di Atene, mette in luce proprio questo istinto divino, questa esigenza irrinunciabile dell'animo umano, questa insaziabile sete di felicità, che non trova respiro se non respira in Dio, vivendo nel " timor di Dio ": " Vedo che in tutto siete molto timorati degli dei " (At 17,22). Così, nelle pieghe della storia alita il " timor di Dio ", come riverente percezione della presenza, senso profondo della custodia santa e speranza segreta di una perenne prossimità e comunione di intenti e di finalità, nella segreta certezza di avere Dio per sempre presente nell'amore. " In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto. Poiché di lui stirpe noi siamo " (At 17,28). " Stirpe di Dio " è il concetto primigenio di una consapevolezza mistica dell'appartenenza e della custodia, della dimora incorruttibile, grazie alla convinzione che da Dio siamo nati e a lui tendiamo con tutta la nostalgia del cuore, con tutte le fibre del nostro essere, intensamente pregno di quella divina presenza. Le forme di percezione e di espressione possono, invero, essere limitate, le variazioni dei tempi e dei luoghi possono pure sfumarne i colori e variarne le tonalità, ma dall'intimo del cuore umano, quando sia ben formato e reso capace di concezione divina, di accoglienza salutare e di riconoscenza degna, allora erompe l'inno della vita e si dischiude limpida la sorgente.

Il genio religioso attinge ai vertici dell'esperienza mistica il suo linguaggio più forbito e le sue espressioni più felici, che sono le espressioni del simbolo, dell'arte e della poesia. Poiché non si sa bene dove avvenga, non si percepisce ancora come si compia, ma se ne avverte soave e salutare la presenza e ci si ristora al palpito vivificante dell'aura che tutto compenetra e avvolge di luce. Si sa che Dio c'è, ci ama e ci attende, anzi ci visita e ci accoglie nel suo mistero di luce infinita. E questa percezione è definitiva, trascende lo spazio e il tempo, va oltre i valichi della morte e sa che Qualcuno ci pensa, anche quando il pensiero si spegne e la parola ammutolisce, perché Dio ci ha già amati, prima che il mondo fosse. Solo il cuore può condurre oltre e superare le barriere invalicabili della rigida ragione che vorrebbe capire, ma che non riesce a comprendere, giacché il capire le è concesso come capacità nativa di scandagliare le profondità del mistero per portare alla luce meraviglie sempre nuove. Ma il comprendere Dio è dato solo agli innamorati di Dio, che sanno percepirne oltre i segni e l'apparenza la verità che è amore, ossia ai vertici della esperienza mistica, che supera l'ambito delle connotazioni riscontrabili in ogni umana conoscenza, va oltre i limiti dello spazio e del tempo e dimora in un cielo sublime di beatitudine, percepita, desiderata, sognata e vissuta, nel mistero adorabile della divina Presenza. Questo lasciarsi attrarre da Dio nel suo nimbo di luce infinita, questo rifulgere nel cuore della luce e l'aprirsi dello spirito, aprirsi all'indicibile melodia dell'essere che si ritrova puro e rigenerato nella radiosa dimora di Dio, sono solo i tratti percettibili di un inesprimibile mistero di comunione, segreta e trasfigurante insieme, che rapisce il cuore e, pur nel fluire del tempo, invera l'uomo in attimi di eternità.

Il mistico sa che questo avverrà, ma che prima dovrà sciogliersi il legame della corporeità per dispiegare le vele del desiderio e permettere all'anima di spiccare il volo verso i lidi infiniti della nostalgia di Dio. Allora anche il tempo finirà e sarà l'alba nuova di un giorno radioso e splendido, il mattino di Dio. Una cosa è certa e il mistico lo sa, che l'alba di ogni esperienza religiosa, profonda e verace, è l'aurora propria di Dio, è l'inizio della felicità.13 La percezione di Dio diviene, quindi, sorpresa e gioia di incontrarlo, a livelli profondi e misteriosamente segreti, seppur inesprimibili con linguaggio umano, ma aperti al linguaggio simbolico dell'arte e della poesia, le sole capaci di introdurre nell'incanto del mistero ineffabile.14

Non è possibile invero stabilire delle gradazioni ben definite che si vanno via via sviluppando, specialmente nelle religioni fondate su una speciale rivelazione divina in singolar modo nella rivelazione cristiana, che giunge fino a un'esperienza mistica di piena conformazione d'amore conformante, quando la creatura riconosce il suo Creatore e si lascia toccare nell'intimo dalla divina Bontà. Il vero mistico è l'uomo definitivo, che ha conquistato qualcosa della totalità e sta per pervenire alla meta dei desideri e delle speranze, congiungendosi nel profondo a Dio e ritornando continuamente a lui in riverente ossequio e in riconoscente memoria. S. Paolo, scrivendo ai Romani (1,18-21), fa appello all'esperienza di Dio che tutti gli uomini possono avere, ma che non tutti percepiscono, perché non si lasciano toccare dalla divina bellezza e santità, rispondendo adeguatamente con la riconoscenza e la lode. Solamente quando il cuore si apre a Dio nell'amore, manifestando apertamente la lode e la riconoscenza, s'illumina d'immenso e diviene nello spirito (cf Ap 1,10) presente a Dio, percependone vivamente la Presenza salutare e ritornando continuamente a lui nel cantico sublime della memoria del cuore. " La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che è inintelligibile, incomprensibile ed invisibile, si rende visibile, comprensibile ed intelligibile agli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e lo vedono. E impossibile vivere se non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all'essere divino. Orbene, tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà ".15 Il modo di conoscere dell'esperienza mistica è quello dello stupore di fronte alla rivelazione di Dio e insieme della riconoscenza per la sua degnazione, unita a un'immensa nostalgia di dimorare per sempre con lui. C'è, poi, un anelito di conformazione che trasferisce idealmente nella sfera spirituale in cui dimora la divinità e diviene abitazione nei cieli della creatura mortale che ha scelto, peraltro, di non avere altra dimora che il suo Dio. E possibile questo grado sommo d'intimità con Dio, che ci incontra nel segreto e ci rapisce il cuore sublimandoci fino alle più alte sfere della comunione d'amore, quando uno a lui pienamente si affidi e vi accordi pienamente la vita. Talvolta, se ne avverte solo il dolce alito, che ci sfiora come soffio vivificante, talvolta se ne percepisce viva la presenza, talvolta si è solo presi da un'infinita nostalgia di vederlo: " Tu mi hai fatto senza fine, a tuo piacimento. Tu vuoti e rivuoti questo fragile vaso, e lo riempi sempre di nuova vita. - Per monti e valli hai portato questo piccolo flauto di canna, e vi soffi melodie eternamente nuove: - Al tocco immortale delle tue mani, il mio piccolo cuore si smarrisce per la gioia ed effonde parole indicibili ".16 In questa bruciante nostalgia di desiderio fiorisce nell'intimo del cuore la melodia della vita, che si ritrova compiuta e felice alla presenza misteriosa di Dio. Come un pellegrinaggio solitario si ripercuote allora, sulla brezza rigurgitante del mattino, la melodia. Perché l'unica nostalgia, degna di menzione, è quella dell'amore che cerca, del sospiro anelante a effondersi in un gesto sublime di adorazione, più che invisibile misterioso e incontenibile, perché immenso della stessa immensità di Dio. " Lasciami solo quel poco con cui possa chiamarti il mio tutto. - Lasciami solo quel poco con cui possa sentirti in ogni luogo e possa venire a te in ogni cosa e offrirti il mio amore ogni momento. - Lasciami solo quel poco con cui non possa mai nasconderti. Lasciami solo la catena con cui possa legarmi al tuo volere e il tuo fine sia realizzato nella mia vita - e che è la catena dell'amore ".17 Da un cuore così ebbro di felicità per avere attinto Dio nell'amore erompe il cantico della nostalgia: " Tardi ti ho conosciuto, tardi ti ho amato... Tu eri con me ed io non ero con te... Tu hai chiamato e gridato e fugato la mia cecità. Tu hai mandato il tuo profumo ed io l'ho aspirato; ed ora anelo a te. Ti ho gustato; ed ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ardo dal desiderio della tua pace ".18 " Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l'economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando gli uomini a Dio, perché l'uomo vivente è gloria di Dio e vita dell'uomo è la visione di Dio ".19 Quando l'Amore stesso si fa presente, si dischiude anche nell'intimo l'arcana melodia di ogni essere e si fa lode perenne la poesia del cuore che attende la fine del suo desiderio e la sorprendente visione del volto agognato di Dio: " Ora si fa giorno, e la lampada che rischiarava il mio buio cantuccio s'è spenta. E giunto un richiamo e sono pronto al mio viaggio ".20 Non rimane, quindi, che l'infinita nostalgia di Dio: " Sono venuto sull'orlo dell'eternità da cui nulla può svanire - nessuna speranza, né felicità, né la visione di un volto intravisto tra le lacrime ".21

Conclusione. La m. caratterizza l'esperienza religiosa che si apre con stupore all'incontro sovrumano e sublimante con Dio che si presenta, ospite, alla soglia del cuore: " Era il giorno quando non ero preparato a riceverti; entrando nel mio cuore, non invitato e non conosciuto, imprimesti il segno dell'eternità su molti istanti fugaci della mia vita ".22 Tale esperienza sopravviene sì e sorprende la creatura, ma nasce erompente come la luce e soavemente si effonde nell'esultanza dello spirito, che esulta in Dio, eterna nostalgia del suo cuore. Ogni religione porta in sé il segreto dell'incontro misterioso e indicibile con Dio, ma spetta alla religione cristiana svelarne pienamente il volto, che è fedeltà e tenerezza: il volto dell'Amore, che rifulge sul volto adorabile di Gesù Cristo (cf 2 Cor 4,6), Salvatore dell'uomo.23 Tutto ha un inizio in un istante misterioso e indicibile, quando, nel silenzio turgido di attesa e di speranza, si percepisce la Presenza e ci si mette in ascolto, perché la creatura, comunque sia in grado di percepire Dio, essendo creata a sua immagine, tende a lui con insaziabile brama e non trova pace, finché non si ritrovi a lui congiunta nell'amore.24 La m. introduce alle soglie dell'incontro indicibile e sublime del mistero di Dio, dove nell'attesa vigile si accende la speranza e la creatura diviene a immagine del suo Dio. Il mistico intravede già, oltre il velo, la luce indicibile e incomincia a percepire i tratti mirabili del volto di Dio. " C'è, infatti, un solo Figlio, che ha compiuto la volontà del Padre, ed una sola umanità, nella quale si compiono i misteri di Dio ’nei quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo' (1 Pt 1,12), pur non potendo scrutare la Sapienza di Dio, grazie alla quale l'opera da lui plasmata diviene conforme e concorporea al Figlio di Dio, affinché la sua Progenie, il Verbo Primogenito, discenda verso la sua creatura, cioè verso l'opera plasmata, e sia accolta da questa, e a sua volta la creatura accolga il Verbo e salga a lui oltrepassando gli angeli e divenendo ad immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26) ".25

Note: 1 S. Agostino, Confessioni, 1. 1,1; cf Ritrattazioni, 1. 1,4: " I tredici libri delle mie Confessioni lodano Dio giusto e buono: essi elevano verso Dio l'intelligenza e il cuore dell'uomo "; 2 Cf L. Dupré, Misticismo, in Enciclopedia delle Religioni, vol. III: L'esperíenza, Milano 1996, 387a: " Secondo Dionigi l'Areopagita, la teoria mistica consisteva nella consapevolezza spirituale dell'ineffabile Assoluto, posto al di là della teologia dei nomi divini ". Da " mueín ": restare silenziosi, il silenzio mistico significa una contemplazione senza parole. " L'intuizione mistica quasi mai accresce la conoscenza teorica. Ciononostante, la visione mistica consente alla conoscenza del singolo di acquistare una sensibilità unica e onnicomprensiva di integrazione che, in defínitiva, appartiene all'ordine noetíco ". Le principali caratteristiche sono l'ineffabilità, congiunta con una accentuata passività della persona, e la transitorietà, che potremmo meglio chiamare " qualità ritmica ". Cf S. Bonaventura, Breviloquium, p. II, c. 9; Opera Omnia, V, 227a: " Est igitur anima rationalis forma beatificabilis "; 3 Cf S. Bonaventura, De reductíone artium ad theologiam, 25-26; Opera Omnia, V, 325b: " Cum enim Deus sit sursum, necesse est, quod apex ipsius mentis sursum erigatur. Hoc autem est, cum ratíonalís assentit primae veritati propter se et super omnia, cum irascibilis innititur summae largitati, et cum concupiscibilis adhaeret bonitati; tunc qui hoc modo Deo adhaeret unus spiritus est (1 Cor 6,17). Et sic patet (...) quomodo in omni re, quae sentitur sive quae cognoscítur, interius lateat ipse Deus "; 4 A. De Sutter, Mistica, in DES II, 1627; 5 E. Ancilli, Mistíca non cristiana, ín DES II, 1631; 6 M. Buber, Il cammino dell'uomo secondo l'insegnamento chassídico, Magnano (BI) 1990, 22-23. Cf R. Guardini, Fede Relígione - Esperienza, Brescia 1995, 128: " Il mondo è colmo di divinità, ma fluttuante, confusa, non interpretabile dal cuore egoista e tale da indurre in perplessità e sconcerto il cuore debole. Essa riceve il suo senso vero solo se la si guarda dal volto di Dio; ma si scopre appena nella rivelazione. Ciò che è visibile di Dio, si fa chiaro realmente solo quando egli mostra il suo volto nella rivelazione "; 7 Si pensi alla prorompente forza della voce, che diventa melodia, nel cuore tutto ripieno di Dio: " Le mie aspirazioni sono crocifisse. Un'acqua viva mi parla dentro e mi dice Vieni al Padre'. Non prendo gusto al nutrimento corruttibile: voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile ", S. Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 4, 1-2; 6, 1-8,3; Funk, 1,217-223; 8 Ch. Calò, Símone Weil: L'attenzione: il passaggio dalla monotonia dell'apparenza alla meraviglia dell'essere, Roma 1996, 83; cf. H. Luebbe, Relígion und Aufklärung, Graz 1986, 32: " L'aspettativa che le immagini religiose del mondo potessero essere sostituite da immaginí scientifiche del mondo, adeguate alla realtà e capaci di svolgere la medesima funzione, è andata completamente delusa ". E importante in merito quanto Tommaso da Celano scrive di un vero amíco di Dio, quale fu s. Francesco d'Assisi: " Aveva sperimentato quanto è nocivo all'aníma comunicare tutto a tutti, e sapeva che non può essere uomo spirituale colui che non possiede nel suo spirito segreti più numerosi e profondi di quelli che potevano essere letti sul viso e giudicati in ogni parte dagli uomini ", Vita Prima, 4,97: Fonti Francescane, Assisi (PG)-Padova 1977, 488; 9 G. De Luca, Introduzione, in Archivío italiano per la storia della pietà, I, Roma 1951, XIV; 10 Il mistico è la persona rapita nell'intimo dalla nostalgia di Dio, nel quale ritrova se stesso e il tutto di tutte le cose: " Considera, quod in anima contemplativa describitur universus orbis ", " Nam ab aeterno novit Deus creaturam et amat eam, quia praeparavit eam gloriae et gratiae ", S. Bonaventura, In Hexaemeron, Coll. 20,8 e Coll. 12,7, in Opera Omnía, V, 426b e 385b; 11 Questo avviene in forma sublime e definitiva nel cristianesimo, grazie al mistero del Verbo incarnato, che ammaestra nell'intimo " non loquendo, sicut nos, sed interius illustrando ", S. Bonaventura, In Hexaemeron, Coll. 12,5, in Opera Omnía, V, 385a; 12 S. Ireneo, Trattato contro le eresíe, l. 4, 20, 7; 13 P. Matthiae, Ebla, la città rivelata, Paris 1995, 142-143. L'inno a Shamash, il Dio-Sole, risale al 2350 a.C.; 14 Questa nostalgia, che alberga nel cuore del mistico, si ritrova pienamente appagata solo quando la luce del cuore si fa meriggio fulgente. " Desiderium ergo disponit animam ad suscipiendum lumen ", S. Bonaventura, In Hexaemeron, Coll. 22,29, in Opera Omnia, V, 442a; 15 S. Ireneo, Trattato contro le eresie, l. 4,20,5; 16 R. Tagore, Gitanjiali, trad. V. Salierno, La grande poesia d'ogni tempo, XIV, Milano 1962; 17 Ibid., 72; 18 S. Agostino, Confessioni, l. 10,28; 19 S. Ireneo, Trattato..., o.c., l. 4,20,7; 20 R. Tagore, Gitanjiali, o.c., 141; 21 Ibid., 134. Per questo S. Bonaventura afferma che il mistico è la persona più adatta a vedere Dio: " Quaelibet enim anima contemplativa habet quandam perfectionem, ut videat visiones Dei ", In Hexaemeron, Coll. XIII, n. 4, in Opera Omnia, V, 445b; 22 R. Tagore, Gitanjíalí, o.c., 82; 23 S. Bonaventura, De S. Andrea Ap., Sermo II, in Opera Omnia, IX, 471b: " Intus enim est Christus, ad cuius imaginem factus est homo "; 24 Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni, n. 113, Città del Vaticano 1997, 73: " E il grido di Giobbe e di tutta l'umanità. La risposta è cruciale', ma è al di là di tutte le parole: sulla croce il Verbo è silenzio. Dipendente dal Padre, gli affida il suo spirito. Qui, tuttavia, c'è l'incontro di tutti gli esseri umani: l'uomo è con la sua morte, e Dio si unisce a lui in essa. Soltanto il Dio amore è il vincitore della morte, e solamente con la fede in lui l'uomo è liberato dalla schiavitù della morte. Il roveto ardente della Croce è così il luogo nascosto dell'incontro: il cristiano vi contempla colui che hanno trafitto' e ne riceve

uno spirito di grazia e di consolazione' (Gv 19,37; Zc 12,10) "; 25 S. Ireneo, Trattato..., o.c., l. 5, 36,3.

Bibl. E. Ancilli (cura di), La mistica non cristiana, Brescia 1969; R. Arnou, Contemplation naturelle, in DSAM XIII, 1750-1751; L. Bouyer, Mysterion. Dal mistero alla mistica, Città del Vaticano 1998; G. Brockhusen, s.v., in WMy, 372; P. Desauer, Die naturale Medítation, München 1961; L. Gardet, Expérience mystique en terres non chrétiennes, Paris 1953; Id., Recherches sur la " mystique naturelle ", in RevThom 48 (1948), 84-90; J. Maritain, L'expérience mystique naturelle et le vide, in ÉtCarm ott. (1938), 132-133; R.C. Zaehner, Mysticism Sacred and Profane, Oxford 1980.

C.M. Del Zotto

MISTICA NELLA RIVELAZIONE BIBLICA. (inizio)

Premessa. Parlare della mistica nella rivelazione biblica esige, prima di tutto, una chiarificazione del senso che ha questa parola, sconosciuta nella Scrittura e introdotta nella letteratura cristiana dal platonismo della scuola di Alessandria.

Nel cristianesimo non è una dottrina. E l'esperienza di una vita nuova comunicata dallo Spirito del Padre e del Figlio. Nell'itinerario spirituale dell'essere umano, si va dando, in forma crescente, il dono di un'esperienza di Dio più immediata, semplice e soggiogante; esperienza gratuita che lo rivela come nucleo e senso della realtà e come qualcuno che offre il dono di una comunione interpersonale con lui. La mistica è questa tappa del cammino spirituale in cui Dio invade la persona, la tocca nella profondità del suo essere e la trasforma. Questa iniziativa di Dio, accettata con riconoscente ricettività, non implica una evasione dalla propria responsabilità nel compimento della propria missione. Al contrario, conduce a una donazione generosa e disinteressata al servizio degli altri.

Vista così, la mistica, come esperienza " passiva " e totalizzante di Dio, che si rivela all'essere umano e lo interpella, si ritrova nelle pagine della Bibbia, specialmente nel NT. Qui si parla, soprattutto negli scritti giovannei e paolini, della " conoscenza " di Dio come esperienza di trasformazione dell'essere umano e di comunione con il Padre e con suo Figlio Gesù Cristo mediante il dono dello Spirito. Non si tratta di una passività che significa inerzia o inattività. Al contrario, l'essere umano, mosso dallo Spirito, s'impegna nell'azione e conosce più profondamente il mistero divino. E in questa direzione che possiamo affermare che l'esperienza mistica è una realtà che appare nella Scrittura, anche se non descritta con la terminologia teologica posteriore. Pretenderlo sarebbe cadere in un anacronismo.

I. La mistica nell'AT. L'AT descrive profonde esperienze di Dio che, analizzate, rivelano aspetti della vita religiosa che, più avanti, furono qualificati come " mistici ". In modo speciale tali aspetti si fanno presenti nella vita dei profeti e nell'esperienza di preghiera, consegnata particolarmente nel libro dei Salmi.

L'esperienza di Dio, nelle pagine dell'AT, conduce a una conoscenza che introduce in una corrente di vita e di luce, che proviene da Dio e che torna a condurre a lui, attraverso i sentieri oscuri della fede.

In questa conoscenza di Dio, l'iniziativa parte da lui. Prima di conoscere Dio, si è da lui conosciuti. JHWH conosce il suo popolo (cf Am 3,2); conosce i suoi profeti prima della loro nascita (cf Ger 1,5). Per crescere in tale conoscenza, che richiede un impegno di vita in accordo con il piano di Dio, egli dà un cuore nuovo e uno Spirito nuovo (cf Ger 31,31-34; Ez 36,25-27).

a. La mistica dei profeti. Nella vita dei profeti dell'AT appare, sotto varie forme, ciò che potremmo qualificare come la loro " esperienza mistica ". C'è un'irruzione di Dio nella loro vita.

L'elezione dei profeti viene descritta a partire da una esperienza dell'irruzione della Parola di Dio e della sua forza che li spinge ad agire. Si tratta di un incontro profondo con il Signore (cf Am 7,14-15; Is 6,1-13; 40,6-11; Ger 1,4-8; Ez 1-3), dal momento che la sua Parola non è altro che lui stesso presente nella storia che guida dal di dentro.

I profeti vivono la realtà della loro esperienza " mistica " anche come " visione ": visione della gloria di JHWH (cf Ez 1,28); visione come esperienza di una presenza speciale di JHWH (cf Is 6,1-13), che cambiò il corso della vita del profeta (cf Is 6,1; Ez 1,1; Am 7,14-15). Per questo motivo, si ha una reazione di sconcerto e si ha coscienza della propria incapacità per rispondere alle implicazioni di tale esperienza (cf Is 6,5; Ger 1,6). D'altra parte, l'esperienza mistica dei profeti ha una forza irresistibile: li seduce, li possiede, li domina (cf Am 3,9; Ger 20,7.9). E la " mano di JHWH " che viene su di loro (cf Ez 3,22; 8,1). Chiamati da Dio, i profeti si rapportano a lui e sperimentano la sua presenza nella storia, che li porta ad annunciare il messaggio divino nonché a denunciare ciò che si oppone a lui (cf Am 3,3-8; Ger 1,9-10). Il contributo teologico-esperienziale dei profeti affonda le sue radici nella loro esperienza " mistica " di Dio come l'unico Assoluto. A partire da questa, nei profeti emerge un impulso adeguato per superare la separazionedistanza tra pensiero e azione, che permette loro di nutrire una passione per la giustizia e reclamarla in nome di Dio (cf Is 1,10-17; Mic 6,8).

b. L'esperienza mistica dei salmi. La preghiera dei salmisti rivela profonde esperienze di Dio: la dolcezza della sua parola (cf Sal 119,103); la bontà di Dio (cf Sal 34,6-9). Da tali esperienze nasce l'ansia d'incontrarlo; la sete che si ha di lui (cf Sal 42,2-3). E come la sete della terra deserta, arida, senz'acqua (cf Sal 63,2).

La ricerca di Dio viene descritta anche con il desiderio di vedere il volto di JHWH (cf Sal 42,3; 63,3) e il rammarico perché egli si nasconde (cf Sal 143,7). Questo impegno di incontrare Dio e di sperimentare la sua presenza viene soddisfatto quando egli si fa presente e si comunica. E, dunque, in questa esperienza " mistica " di JHWH, quando si palpa la sua bontà (cf Sal 27,13; 34,9) e quando si arriva alla convinzione esistenziale, che si constata che solo Dio può riempire il cuore umano (cf Sal 63,4). Tutto il resto è relativo e non soddisfa pienamente (cf Sal 73,25-26).

II. La mistica cristiana nel NT. Il mistero cristiano non è altro che la vita " in Cristo " e " nello Spirito ". La mistica, nella rivelazione cristiana, non è altro che l'esperienza che Paolo esprimeva dicendo: " Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20).

Numerosi testi del NT consentono di reperire un'autentica vita mistica in diversi suoi protagonisti.

Cristo appare come il grande mistico, che fa esperienza del Padre e lo conosce (cf Gv 7,29; 8,55; 10,15); il Padre gli manifesta tutto quello che fa (cf Gv 5,20). Gesù agisce sotto l'azione dello Spirito (cf Lc 3,22; 4,1.14.18).

Gesù comunica la sua vita. Viene ed abita in coloro che lo amano e si manifesta loro (cf Gv 16,7); rivela il Padre (cf Lc 10,22) e insieme al Padre invia lo Spirito (cf Gv 16,7). Questi conduce i discepoli alla piena conoscenza di Gesù e, attraverso di lui, a quella del Padre (cf Gv 14,7.20). Lo Spirito, presente in ogni cristiano, fa comprendere il mistero di Cristo (cf Gv 14,16-17; 14,26; 15,26). Lo Spirito si unisce al nostro spirito per attestare che siamo figli di Dio (cf Rm 8,16); ci fa gridare con fiducia "Abbà, Padre" (cf Rm 8,14-15; Gal 4,6).

Siamo stati chiamati a crescere " in ogni cosa verso di lui, che è il capo, il Cristo " (Ef 4,15) e a raggiungere la pienezza dello sviluppo che ci farà " penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio " (Col 2,2-3), fino alla trasformazione in Cristo (cf Gal 2,20).

La vita eterna è conoscere Dio e colui che ha mandato, Gesù Cristo (cf Gv 17,3), con una conoscenza diretta che, in un certo senso, fa sì che i cristiani non abbiano bisogno che alcuno li ammaestri (cf 1 Gv 2,27).

Tale conoscenza merita il nome di comunione (cf Gv 14,19-20), unione perfetta nella verità dell'amore (cf Gv 17,26; cf anche 1 Gv 2,3-4; 3,16). La vera conoscenza di Dio s'identifica con l'amore operante.

Questi insegnamenti di Giovanni e di Paolo sono fondati sulle esperienze " mistiche " che hanno permesso loro di approfondire il mistero del Cristo. Di tali insegnamenti restano nei loro scritti tracce molto chiare.

a. La mistica di s. Giovanni. Nel prologo del suo Vangelo, Giovanni ha lasciato l'impronta della sua esperienza mistica. L'evangelista afferma di aver scoperto in Gesù il Padre: " Noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità " (Gv 1,14). Tale visione di fede, che comincia appoggiandosi ai segni e termina basandosi solo sulla parola di Gesù, permette a Giovanni di scoprire in ogni cosa Dio. Anche se " nessuno ha mai visto Dio " (1 Gv 4,12) si fa un'esperienza crescente di lui nella misura in cui si cresce nell'amore.

Nell'itinerario della fede cristiana, descritto da Giovanni in base ad un'esperienza, si passa dal " vedere ", cioè dall'elemento sensibile della fede, al " conoscere " che implica un approfondimento progressivo ed esperienziale di Dio, che si realizza nella misura in cui si vivono le esigenze concrete del messaggio evangelico (cf Gv 8,32). Alla fine del cammino si termina " sapendo ", cioè, vivendo una comunione con il Signore (cf 1 Gv 2,19-21).

La fede dell'evangelista penetra nella persona di Gesù e scopre la sua relazione con il Padre nel mistero trinitario. Tale " mistica " esperienza lo porta a proclamare: " Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita..., noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo " (1 Gv 1,1-3).

La fede si deve manifestare nell'amore. Gesù insegna che per vivere in comunione con lui occorre praticare il comandamento dell'amore (cf Gv 13,34-35). Quando si praticano i suoi insegnamenti, egli si manifesta (cf Gv 14,21); anzi di più: egli e il Padre vengono a dimorare nella persona che osserva i suoi comandamenti (cf Gv 14,23).

L'esperienza " mistica " di Giovanni percepisce la presenza e l'azione dello Spirito che Gesù comunica senza misura (cf Gv 3,34). Egli fa rinascere (cf Gv 3,5-6), guida la preghiera dei credenti (cf Gv 4,23) ed è l'acqua viva che feconda la vita. Più ancora, l'esperienza " mistica " dello Spirito lo rivela come il Maestro che insegna, cioè che non lascia all'esterno gli insegnamenti di Gesù, ma li converte in interiorità mediante una fede viva, ricordando ciò che Gesù insegnò (cf Gv 14,26); permettendo che si comprenda nel cuore e che appaiano il significato profondo e la ricchezza delle parole del Cristo. Lo Spirito aiuta a comprendere pienamente la persona e il messaggio di Gesù. Dà il senso cristiano della storia e consente di scoprire le tracce del disegno di Dio in tutti e in ogni epoca (cf Gv 16,12-15).

b. La mistica paolina. Parlando della mistica paolina non ci si riferisce ai fenomeni estatici straordinari che senza dubbio Paolo ebbe, come testimoniano i suoi scritti (cf 2 Cor 12,1-4), piuttosto si vuole qui indicare un tipo di esperienza e di comunione con Dio non ordinarie, cioè, non naturali.

Per Paolo, la fede e il battestimo permettono una conoscenza vitale del Cristo e, per mezzo di lui, del Padre e dello Spirito. Si conosce Gesù con la forza della sua risurrezione e la comunione alle sue sofferenze (cf Fil 3,8-9) e questo porta a " discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto " (Rm 12,2).

Paolo orientaparla di una conoscenza che viene dallo Spirito di Dio e grazie alla quale possiamo veramente " conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato " (1 Cor 2,12). Paolo desidera che si cresca in questa conoscenza d'amore del Cristo che supera ogni conoscenza (cf Ef 3,19) sino a che arrivi il momento in cui si possa conoscere Dio così come siamo da lui conosciuti (cf 1 Cor 13,12).

Negli scritti dell'Apostolo dei gentili appare, come base e fondamento del suo insegnamento, l'esperienza " mistica " di Gesù, che cresce e si sviluppa a partire dal suo incontro con lui sulla via di Damasco. Egli sottolinea l'iniziativa di Dio che si avvicina e si fa presente all'essere umano (cf Gal 4,9). In questa esperienza gratuita di Dio si scopre tutto il piano di Dio (cf Ef 1,3-14).

" L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato " (Rm 5,5). E lo Spirito che trasforma il credente in figlio di Dio e gli consente di sperimentare Dio come Abbà, Padre (cf Rm 8,14-15). Tutta la vita cristiana è una vita " secondo lo Spirito " (Rm 8,14), che Paolo presenta come vita " nello Spirito ". Questa vita trasforma in Cristo, fa nuove creature (cf 2 Cor 5,17) e ci raduna nella fraternità della famiglia di Dio. Tutti sperimentiamo di essere uno in Cristo Gesù (cf Gal 3,26-28).

L'esperienza " mistica ", nel suo sviluppo, porta a comprendere " a quale speranza ci ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi " (Ef 1,18). Questo comporta camminare nello Spirito (cf Gal 5,25) che va trasformando il credente (cf 2 Cor 3,18) fino ad arrivare all'uomo perfetto, " nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo " (Ef 4,13).

Conclusione. Questa breve visione panoramica della mistica nella rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che l'esperienza mistica è qualcosa che procede dall'iniziativa di Dio, che si comunica liberamente all'essere umano. In questa comunicazione Dio esige disponibilità per realizzare la trasformazione che porta a partecipare alla sua vita divina. Nell'esperienza mistica cristiana c'è una dimensione trinitaria: per lo Spirito, in Cristo, si cammina verso il Padre. Si tratta di un'esperienza graduale e crescente di unione con Dio nella persona del Cristo. Questo comporta, altresì, una comunione con gli altri, che supera l'individualismo e impegna nella storia della salvezza, perché la fede che conta è quella che opera per mezzo dell'amore (cf Gal 5,6).

Bibl. L. Bouyer, Mysterion. Dal mistero alla mistica, Città del Vaticano 1998; F. Bovon, Conoscenza ed esperienza di Dio nel Nuovo Testamento, in J.-M. von Cangh (cura di), La mistica, Bologna 1991, 59-73; H.D. Egan, I mistici e la mistica, Città del Vaticano 1995, 19-35; C. Ghidelli, Temi biblici per la vita cristiana, Leumann (TO) 1980; W.K. Grossow, Spiritualità biblica, Roma 1963; G. Helewa, L'esperienza di Dio nell'Antico Testamento, in La Mistica I, 117-180; W.R. Inge, The Mystical Element in the Bible, in Aa.Vv., Christian Mysticism, New York 1988, 39-74; C.M. Martini, Vangelo della passione ed esperienza mistica nella tradizione sinottica e giovannea, in Aa.Vv., Mistica e misticismo, Roma 1979, 191-201; S. Mary, Pauline and Johannine Mysticism, London 1964; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988; E. Underhill, Mysticism in the Bible, in AaVv., The Mystics of the Church, New York 1964, 29-51; F. Vandenbroucke, Originalità della mistica biblica, in Aa.Vv., Orizzonti attuali della teologia, I, Roma 1966, 433-474; P.P. Zerafa, La mistica nella rivelazione biblica, in Aa.Vv., Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 45-60.

C. Maccise

MISTICA RUSSA. (inizio)

Premessa. Fu spesso proposta la questione: esistono nella storia dei santi russi grandi mistici come s. Giovanni della Croce, s. Teresa d'Avila? Non vi è dubbio che si possano cercare delle analogie. Ma è meglio guardare la m. da un altro punto di vista, utilizzando il termine " mistica " in un senso più generale, così che le principali correnti della spiritualità russa possono essere caratterizzate come essenzialmente mistiche.

Nei Padri, la mistica è nata insieme alla coscienza dell'insufficienza del concetto umano per spiegare le verità rivelate della Trinità e dell'Incarnazione. L'attitudine mistica dei russi sorge di fronte ai problemi dell'uomo e, in generale, di tutta la realtà e vi si scopre la stessa insufficienza delle conoscenze puramente umane. " L'uomo del sottosuolo " in F.M. Dostoevskij ( 1881) si rende conto che la sua dignità sparirebbe completamente nel momento in cui tutto fosse " chiaro come due più due fa quattro " o quando l'uomo fosse sottoposto al criterio dell'" universalmente valido ". " Vivere nello sconosciuto " è il leit-motiv del " saggio sul pensiero adogmatico " di L.I. _estov, intitolato L'apoteosi dell'assenza del fondamento (Pietroburgo 1905). Nella stessa linea, N.S. Arsen'ev scrive: " Non abbiamo bisogno di molte parole convincenti per prendere atto che il mistero esiste, che siamo circondati da ogni lato da un mistero ". Lo stesso mistero che spaventa un ateo può, al contrario, aiutare il cristiano che lo scopre ad avvicinarsi a Dio, afferma S.N. Trubeckoj. Dato che quest'atteggiamento è nel pensiero russo prevalente in tutti i settori del pensiero, possiamo distinguere diversi tipi della m. che cercheremo qui di elencare.

I. La mistica della persona. In che cosa consiste la grandezza dell'uomo? I Padri della Chiesa sono unanimi: l'uomo è immagine di Dio. Tale è la vera " natura ", la natura dell'essere divinizzato. Riflettendo su questa rivelazione, gli autori russi sviluppano un'idea nuova. Si interessano meno delle prerogative della " natura " umana che non del fatto che l'uomo sia " persona ", immagine del Dio personale: un privilegio che sorpassa la semplice questione della " natura ". Ben coscienti della loro posizione, i personalisti russi, specialmente V.N. Losskij e P. Florenskij, sono fieri del loro nuovo contributo al pensiero umano. Anche in Occidente, Boezio ( 524) e i suoi successori avevano cercato di liberare la persona dalla schiavitù della " natura comune ": a causa della sua razionalità e della sua libertà, l'uomo diviene una " natura privilegiata ". Le considerazioni dei russi procedono da un punto di partenza opposto. La priorità assoluta è da loro data alla persona, ed è essa che si realizza poi in una natura determinata. Questa priorità rinvia, come nei Padri greci, al mistero trinitario. La fede ci rivela il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tre Persone. Il grande mistero che supera ogni intelletto consiste nel fatto che le tre Persone costituiscono un solo Dio, una sola natura assoluta. Da una prospettiva analogica bisogna vedere l'uomo; questi è comprensibile solo nella luce della SS.ma Trinità. La sua persona ha la sua prima origine nella libertà divina, nella vocazione irripetibile data da Dio. Essa, però, deve realizzarsi similmente alle Persone divine: nelle libere relazioni con le altre persone. Essa è, quindi, essenzialmente " agapica ". L'amore che crea le relazioni fa parte costitutiva della persona. Ne segue che la persona umana è un mistero conosciuto pienamente solo da Dio e da coloro a cui Dio dà la cardiognosia, la conoscenza spirituale dei cuori umani. Se questi pensieri sono stati sviluppati solo dai pensatori russi recenti, l'atteggiamento personalistico fondamentale fu da secoli vissuto dagli startzy, le figure più tipiche della spiritualità russa.

II. Gli startzy, padri spirituali. Nelle lingue occidentali troviamo un bel nome che deriva dal greco: il padre spirituale. Nonostante la proibizione del Vangelo di non chiamare nessuno sulla terra " padre " (Mt 23,9), la parola semitica abbas è passata in tutte le lingue dei cristiani. Ma nelle Vite dei Padri appare come sinonimo geron, senex, anziano, in slavo staretz. La saggezza è, secondo la Sacra Scrittura, affare dei vecchi. Nel nostro caso si tratta della maturità spirituale, indipendente dal numero degli anni di vita. La tradizione dei padri spirituali, lo star_estvo esisteva nei monasteri russi dal principio, ma una vera rinascita si nota dal tempo di Paisij Veli_kovskij ( 1794). Nato in Ucraina, trascorse dodici anni sul Monte Athos dove si radunarono intorno a lui numerosi fratelli desiderosi di ricevere la direzione spirituale. Si trasferì con essi in Moldavia a Dragomirna, poi a Neamt. Si formò attorno a lui tutto un gruppo di traduttori e copisti degli scritti spirituali dei Padri e per la prima volta fu pubblicata l'edizione slava della celebre Filocalia (Dobrotoljubie, ed. nel 1793), grande antologia dei testi sulla preghiera esicasta. Si deve ai discepoli di Paisij il rinnovamento dei monasteri russi con numerosi startzy. I più rinomati divennero quelli di Optino, nel governatorato di Kaluga: Leone Nagolkin ( 1841), Macario Ivanov ( 1860), Ambrogio Grenkov ( 1891). In un altro convento, a Sarov, visse s. Serafino ( 1833), taumaturgo, considerato una delle più grandi figure della santità russa. Non dimentichiamo, in questo contesto, neanche Teofane il Recluso, il quale dalla sua reclusione nell'eremo di Vy_en esercitava per lettera la direzione spirituale di numerose persone. Le prerogative di uno staretz sono la " teologia ", la conoscenza dei misteri di Dio, cioè delle intenzioni della Provvidenza, la diakrisis, capacità di discernere i pensieri e i desideri secondo la loro bontà morale, e la cardiognosia, conoscenza spirituale dei cuori umani, la capacità di leggervi " come in un libro aperto " per poter dirigere del tutto personalmente l'anima. Va da sé che queste prerogative sono dono dello Spirito, perciò il vero starets è solo la persona carismatica, " spirituale " nel senso autentico.

III. La devozione a Cristo kenotico. Nella vita della SS.ma Trinità si è introdotti per mezzo del Cristo. La vita cristiana è, quindi, cristologica, come professano tutti i cristiani. I russi, da parte loro, vogliono mettere in rilievo certi aspetti. Ad alcuni non piace troppo il termine " imitazione di Cristo " che esprimerebbe un " mimetismo " esteriore. Secondo V. Losskij non si deve " imitare Cristo ", ma " vivere in Cristo ", avendolo come principio interiore. Ma, ciò che è più importante, gli autori affermano spesso che il Cristo tipicamente russo è kenotico, l'umile fratello degli umili. La kenosi di Cristo è un termine biblico; egli, uguale a Dio, si è abbassato fino alla morte sulla croce per la nostra redenzione (cf Fil 2, 6). Di conseguenza, nota N. Arsen'ev, la cristologia russa si concentra soprattutto su questo articolo di fede: " Per noi e per la nostra salvezza discese dal cielo ". Anche S. Frank lo conferma: " L'idea di un Dio, disceso nel mondo, che soffre volontariamente e prende parte alle sofferenze umane e cosmiche, l'idea di un Dio-uomo che soffre, è la sola teodicea possibile, la sola giustificazione convincente di Dio ". L'autore che ha sviluppato questo tema in tutta la sua profondità è soprattutto S.N. Bulgakov. Per lui la croce non si presenta come uno dei misteri cristiani, come un qualcosa " tra " gli altri. Bulgakov scopre i fondamenti della kenosi di Cristo nella vita interna della SS.ma Trinità. Egli non vuol negare l'insegnamento tradizionale secondo il quale Cristo ha sofferto come uomo, perché la divinità è impassibile. Tuttavia, gli sembra che non si dovrebbe credere ad una incoerenza tra l'atteggiamento umano e l'atteggiamento divino. Per comprendere la sofferenza dell'uomo, si deve partire da Dio. Nella Trinità, il Figlio si sottomette al Padre con amore, il che comporta l'abnegazione e la kenosi totale, evidentemente senza soffrire. Al contrario, per mezzo di questo svuotamento, il Figlio diviene Figlio, Dio assolutamente felice. Incarnandosi, Cristo porta lo stesso atteggiamento nell'umanità. In sé questo fatto potrebbe anche non comportare la sofferenza. Ma dopo la caduta dell'uomo, l'abisso tra la natura divina e la natura umana è diventato talmente profondo, che l'Incarnazione del Logos è una croce che egli prende su di sé, la kenosi diventa sofferenza. Ma il fine dell'Incarnazione è portare la felicità divina in questa sofferenza umana. Per questo motivo, i russi non vogliono separare troppo il Cristo sofferente dal Cristo glorioso. La sofferenza stessa, per mezzo di lui, diventa gloriosa. Ciò porta, nella spiritualità russa, ad una mistica della sofferenza.

IV. La mistica della sofferenza. " Tutte le religioni, scrive N.A. Berdjaev, sin dalle credenze dei selvaggi primitivi, si fondano sull'atteggiamento verso la morte ". Il fatto della morte e della sofferenza è uno dei primi stimoli che risvegliano una riflessione metafisico-religiosa. Scrive ancora Berdjaev: " L'intensità con la quale si sente la sofferenza può essere considerata come un indice della profondità dell'uomo. Questo è il senso esatto e più profondo del Cogito di Cartesio ( 1650). La sofferenza è legata all'esistenza stessa della persona e della coscienza personale ". La spiritualità russa, come assicurano parecchi dei suoi rappresentanti, avrebbe una nota speciale: la compassione con quelli che soffrono. Dostoevskij vedeva nella sofferenza la sola causa della nascita della coscienza. Ma V.S. Soloviev aggiunge a queste considerazioni ancora un pensiero importante: la persuasione che nessuna riflessione umana riesca a giustificare la morte e la sofferenza, a trovarvi qualche senso utile. La morte, per natura sua, è una forza distruttrice. Se essa acquista un valore positivo, questo le viene solo per mezzo dell'unione con la morte di Cristo. Allora si pone la questione: quali sono le condizioni per essere sicuri di morire con Cristo, affinché la morte sia un segno di vittoria? Secondo la tradizione, la morte che santifica, è per eccellenza il martirio, dare la vita per la fede in Cristo. Ma è proprio questo concetto che, nella spiritualità russa, mostra sfumature particolari. Nel primo periodo della cristianizzazione degli slavi orientali, mancano martiri per la fede. I primi santi canonizzati nel regno di Kiev furono Boris e Gleb, figli di san Vladimiro ( 1015), vittime di un crimine politico. Sono venerati sotto il titolo strastoterpsi, " quelli che soffrirono la passione ", una morte violenta, ingiusta. La mentalità slava non si chiedeva troppo per quale motivo. La morte stessa viene comparata con il battesimo che purifica l'anima da tutti i peccati. La Chiesa russa ha, quindi, venerato, senza esitazione, soprattutto i bambini ingiustamente uccisi, e vari di essi sono canonizzati. Ma questa forza purificatrice non è neanche limitata alla morte stessa. Si estende alla sofferenza in genere. Scrive I. Kologrivov: " Il russo è per natura abituato a soffrire, ed il cristianesimo non farà che sublimare questa abitudine o virtù, mostrandogli nella felicità futura null'altro che una meravigliosa trasfigurazione della sofferenza ". Allora ogni cristiano aggiunge Berdjaev, deve " sopportare le sofferenze come una penetrazione di luce, come qualche cosa che ha senso nell'ambito del nostro destino ".

V. La necessità della conoscenza spirituale. Tutti gli uomini cercano la verità, ma per trovarla si pongono su vie diverse. Lo testimoniano gli stessi termini linguistici. L'aletheia greca significa una " scoperta ", l'emes' ebraico è accettazione di una parola detta. Lo slavone istina non solo esprime " ciò che esiste " (cf il latino est e il tedesco ist), ma anche ciò che respira (cf asmi, asti del sanscrito e atmen del tedesco). Conoscere l'istina è, dunque, entrare in contatto con una realtà vivente, concreta, dinamica. Per questo, i russi sono fermamente convinti che la verità si trovi al di là delle nozioni razionali. Come la vita essa è antinomica, misteriosa, meta-logica. Leone _estov predica l'ideale di una conoscenza assoluta sopralogica nel suo libro Atene e Gerusalemme.1 Oppone il pensiero razionale, che risale alla filosofia greca, e l'appercezione biblica del mondo che smentisce il principio di contraddizione attraverso l'onnipotenza divina. Ciò non vuol dire che la verità sarebbe irrazionale, a-logica, ma che è meta-logica, sorpassa le nozioni razionali. È, quindi, intuitiva e mistica e, per noi cristiani, essenzialmente ecclesiale. Scrive Berdjaev: " L'amore è considerato come un principio della conoscenza della verità... La comunione attraverso l'amore, la conciliarità, è un criterio opposto al cogito ergo sum cartesiano. "Io solo" non pensa, "noi" pensiamo, noi significa la comunione nell'amore; e non è il pensiero che prova la mia esistenza, ma lo sono la volontà e l'amore ". Questo stesso principio è così riassunto da P. Florenskij: " La conoscenza effettiva della Verità è nell'amore e non è concepibile che nell'amore. Viceversa, la conoscenza della Verità si manifesta come amore ". È per la forza di questo amore che tutta la realtà appare come " tuttunità " (vseedinstvo).

VI. La mistica della bellezza. L'amore è forza unitiva. Se esso costituisce il fondamento della conoscenza, ne segue che tutto ciò che sappiamo dev'essere unito. I russi usano il termine vseedinstvo che, soprattutto a partire da Soloviev, esercita su di essi una ipnosi che incanta e conquista gli animi. Per lui il problema fondamentale era riunire le tre forme di conoscenza che incontriamo nella cultura europea: empirica, metafisica e mistica. Queste forme sono così diverse che l'uomo moderno lascia a ciascuna il suo campo specifico. Esse non comunicano tra di loro. Come arrivare ad armonizzarle? Soloviev non può accontentarsi di una giustapposizione " enciclopedica " delle diverse nozioni; ma si rende conto della insufficienza di una summa metafisica, poiché la verità è metalogica. Soloviev si decide allora per un altro punto di partenza: la bellezza. La visione estetica non è l'evidenza di una " idea chiara e distinta dall'altra ", come diceva Cartesio. È, al contrario, la visione " dell'uno nell'altro ". Per illustrarlo Soloviev porta un esempio concreto. Il carbone e il diamante sono dal punto di vista chimico uguali. Perché allora il carbone è considerato brutto e il diamante tesoro della bellezza? Nel primo non si vede altro che il carbone, invece nel diamante si riflette la luce del cielo. L'uomo diventa, quindi, capace di vedere il mondo come bello quando allarga progressivamente il suo orizzonte ed acquista l'arte di vedere uno nell'altro. All'inizio questa visione è oscura e limitata, ma essa si illumina fino a vedere l'uno nel tutto e tutto nell'uno, la Bellezza della SS.ma Trinità nelle cose create, che è, secondo i Padri, il vertice della contemplazione spirituale. Numerose sono le applicazioni concrete di questo principio. È Cristo incarnato la bellezza suprema, poiché è lo splendore del Padre: " Chi vede me vede il Padre " (Gv 14, 9). Nella mariologia si celebra la bellezza della Theotokos, perché essa è " la più simile a Cristo ". Nell'iconografia la " diafanità " delle icone fa elevare lo spirito dal tipo (immagine materiale) al prototipo (il santo rappresentato) fino all'archetipo (il Padre, al quale deve salire ogni preghiera). E nei suoi riti, la Chiesa deve apparire come " cielo sulla terra ".2 Il bello è, quindi, identificato con il sacro e allora, secondo l'espressione di Dostoevskij, " sarà la bellezza che salverà il mondo ". Se queste considerazioni sono nuove, esse corrispondono all'antica tradizione delle icone russe.

VII. Lo splendore delle icone. L'icona occupa un posto privilegiato nella spiritualità russa. Ciò non significa affatto che tutti i pittori avessero una coscienza piena della teologia delle icone così come è stata elaborata dai teologi più recenti. Tuttavia, si può affermare che una concezione mistica è sempre presente nella pittura delle icone. Sono celebri nei secc. XI e XII i centri iconografici di Kiev, poi di Novgorod e di Jaroslav. Gli artisti della scuola di Vladimir e di Suzdal hanno lavorato soprattutto nei secc. XII e XIII, e l'icona russa ha raggiunto il suo più alto sviluppo e la sua età d'oro alla fine del sec. XIV e nel XV, con i pittori Teofane il Greco ( inizi sec. XV), Andrej Rublëv ( 1430) e Dionigi ( verso il 1508). La scuola di Sroganov è conosciuta nel sec. XVI per il suo ampio atelier di icone, ma a partire dal sec. XVII (scuola di Mosca), l'antica tradizione si trasforma poco a poco in pittura popolare sotto gli influssi occidentali. Legata intimamente all'economia della salvezza, l'immagine sacra mette in rilievo i due aspetti principali dell'opera redentrice di Cristo: la predicazione della verità e la comunicazione della grazia di Dio. Il Concilio di Nicea nel 787, seguendo s. Basilio, paragona la pittura alla predicazione della fede. Una istruzione russa per gli iconografi avvicina il pittore al sacerdote, perché anch'egli, per mezzo dei colori, fa presente il corpo di Cristo in mezzo a noi. L'icona è, quindi, come la tradizione, fonte di fede, ma possiede, inoltre, una forza " dinamica ": davanti all'icona la contemplazione sale verso Dio e, al contrario, la grazia di Dio in essa si comunica agli uomini. Le icone sono, quindi, un " luogo di incontro " fra il mondo celeste di Dio, dei suoi santi, e il mondo radunato sulla terra nella Chiesa.

VIII. La visione spirituale del cosmo. L'iconografo sacro ci fa vedere il mondo bello non solo come esso è uscito dalle mani di Dio, ma piuttosto come esso apparirà nell'" ottavo giorno ", dopo la risurrezione dei morti. Allora quest'arte diventa anche un programma: mostra quale atteggiamento il cristiano deve prendere verso il cosmo nel quale è inserito. Tutto il visibile si presenta ai suoi occhi. Il desiderio di scoprire tutto ha dato origine alla " fisica " antica. Spiritualizzata, questa scienza diventa nei Padri la theoria physikè, contemplazione della natura. Se i greci avevano elaborato i principi di questa " visione di Dio nel mondo visibile ", la praticavano relativamente poco a causa del loro senso per le verità astratte. Al contrario, essa è frequente presso gli asceti russi. Le istruzioni pratiche per utilizzare la natura " come un libro spirituale " provengono, per esempio, dal santo Tichone di Zadonsk ( 1783), nel suo libro Tesoro spirituale raccolto nel mondo.3 Vi si insegna il metodo allegorico secondo il quale ogni cosa visibile è simbolo di una realtà invisibile, ogni cosa diventa una " parola " detta da Dio a noi. Ma davanti al mondo l'uomo non è solo spettatore. Secondo la terminologia dei Padri greci, la responsabilità verso il mondo è la sua purificazione dalle forze maligne e la santificazione del cosmo. La santità è la " vita ". Nel pensiero dei russi, se l'uomo santifica il mondo, lo " vivifica ", collaborando con lo Spirito che è vivificante. Possiamo comprendere cosa significhi questa vivificazione attraverso i sacramenti: la natura materiale (l'acqua, il pane, il vino, l'olio) comunica la vita spirituale agli uomini. Ma per poterlo fare, la natura deve divenire in certo modo " cristificata ". Tale, infatti, è il dinamismo della sua evoluzione. L'Incarnazione è concepita come una incarnazione progressiva. " L'universo intero, scrive V. Losskij, è chiamato ad entrare nella Chiesa per essere trasformato, dopo la consumazione dei secoli, in regno eterno di Dio ". Allora la sola spiegazione vera dell'evoluzione del mondo è la visione escatologica cristiana. E secondo questa, Soloviev stabilisce quattro tappe della storia dell'universo: 1. dall'inizio fino alla prima cellula vivente; 2. dall'inizio della vita fino all'homo sapiens; 3. dal primo uomo fino all'Uomo-Dio; 4. dal Cristo storico fino alla pienezza del Cristo cosmico. Queste tappe corrispondono alla creazione concepita come una " lenta e dolorosa gestazione ", come la lotta della Sofia di Dio con il caos.

IX. La visione storica. Il mondo è, dunque, concepito dinamicamente. La " tuttunità ", idea fondamentale della gnoseologia, significa l'unione degli esseri e dei pensieri non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Per questo motivo, la verità è " storica ". La filosofia classica greca ferma il suo pensiero su questa idea: Dio è immutabile; è dunque necessario, anche nella storia, cercare ciò che permane, ciò che è eterno. La filosofia classica, allora, non è affatto storica. Essa si situa fuori dallo sviluppo del mondo, perciò è definita philosophia perennis. Tale concezione non si addice ai russi, che concepiscono la verità come vivente e concreta. Gli uomini spirituali non cercano un Dio-Idea immutabile, ma una relazione personale con Dio Padre che si rivela progressivamente, la mano della Provvidenza che dirige gli avvenimenti. Una tale " legge del mondo " non si giunge a provare attraverso argomenti razionalisti; occorre fare esperienza, " gustare ", " palpare " questa realtà nella propria vita spirituale e riconoscerla in ogni tappa del mondo. Una tale concezione mistica degli avvenimenti storici era sorgente di ispirazione già per gli autori delle antiche Cronache di Kiev, ma specialmente per i pensatori recenti e gli autori spirituali. Nella storia umana, nota P.J. _aadaev ( 1856), noi osserviamo solo dei simboli, la cui origine si perde in Dio che è la sola " regola " degli avvenimenti. Per Soloviev, " la storia è ciò che Dio pensa dell'umanità ". Di conseguenza, afferma Berdjaev, occorre rendersi conto che viviamo in un mondo che è " ripercussione delle realtà spirituali ". Chi contempla la storia spiritualmente si sottomette facilmente ai giudizi di Dio, scrive s. Ignazio Brjan_aninov ( 1867): " Le disposizioni di Dio sono presenti ed efficaci in mezzo a tutti i fatti eseguiti dagli uomini e dai demoni ". Chi segue questa via arriva alla proorasis, chiaroveggenza spirituale, una sorta di profetismo riguardo al destino della propria nazione. Fu questa coscienza che condusse ad avere fede in una missione " messianica " della Russia in mezzo agli popoli, idea che attraversa tutta la sua storia, compresa anche quella del comunismo. Alcune influenze esteriori hanno contribuito alla formazione di questa coscienza. Gli slavofili hanno adottato l'idea hegeliana della vocazione dei popoli. Numerose furono le discussioni sul posto della Russia nell'Europa. Il risultato fu un accordo fondamentale tra gli occidentalisti e i russofili: occorre assimilare la cultura occidentale, ma con la missione di svilupparla. L'affermazione di Dostoevskij va in questa direzione: " Credo, infatti, che noi, o piuttosto i russi del futuro, finiremo per comprendere che diventare specificamente russi significa esattamente tendere a introdurre definitivamente la conciliazione nelle contraddizioni dell'Europa, aggiungere alla nostra nostalgia europea un'uscita nella nostra anima universalmente umana... ". Va da sé che questo misticismo messianico appare, nei diversi autori e nelle diverse tendenze, sotto diversi aspetti politici, culturali e religiosi.

X. La mistica liturgica. La liturgia, tradotta in lingua slava, diventò immediatamente il centro della pietà russa. I diversi commentari liturgici descrivono il modo come assistervi. La scuola di Kiev segue soprattutto la spiegazione di Nicola Cabasilas ( 1380) e della sua interpretazione " commemorativa " che, nello sviluppo dei riti della Messa, ritrova la vita di Gesù Cristo dalla sua nascita alla sua passione, e vede nella Comunione il simbolo della risurrezione. In questo spirito, l'arcivescovo Vassilij Rumovskij-Krasnopevcov scrive la Novaja Skri_al'(La nuova Tavola di Legge).4 Questo tipo d'interpretazione è presente nei manuali liturgici e anche nelle famose Meditazioni sulla Divina Liturgia.5 La maggior parte dei commentari del sec. XIX appartiene alla " scuola storica " che studia l'origine dei riti. Ma gli autori recenti s'ispirano all'antica tradizione " teofanica ", in cui la liturgia è rivelazione e visibilità dei dogmi. Come " icona vivente ", la liturgia manifesta i due aspetti specifici dell'iconografia sacra: dianoetico e dinamico; essa insegna i misteri e li rende presenti. Nella liturgia, scrive Florenskij, l'uomo diventa logikos nel pieno senso della parola. " Dio scende verso di noi con il suo Logos-Parola divina e l'uomo sale con la sua parola verso Dio ". A proposito dell'importanza della bellezza nella liturgia, si cita sempre il famoso testo della Cronaca di Nestor, in cui si racconta la convinzione di fede provocata dalla bellezza dei riti a Costantinopoli. La bellezza della liturgia non deve tuttavia degenerare verso un estetismo religioso. Si tratta di una bellezza sacra e quasi sacramentale. Gli autori amano estendere a tutta la liturgia l'efficacia dell'anamnesi eucaristica. Bulgakov parla di " realismo dei riti orientali ", gli altri del loro " carattere eucaristico ", in modo che nelle chiese " a Natale, Gesù nasce veramente, e a Pasqua egli muore veramente e poi risuscita ". Nella liturgia russa, il canto si considera un elemento indispensabile. Esso commuove profondamente il popolo. Però, secondo l'insegnamento tradizionale, la funzione del canto è educativa; s'indirizza soprattutto a coloro che sono all'inizio. Questo spiega lo staretz Silvano: " Il Signore ci ha donato dei servizi cantati come a bambini deboli: noi non sappiamo ancora pregare come si deve ", ma in seguito ci mostra una via migliore: " È meglio che il nostro cuore diventi il tempio del Signore e il nostro spirito il suo altare. Il Signore è glorificato nelle sante chiese, ma i monaci eremiti lo glorificano nel loro cuore ". Silvano vede, quindi, nella bellezza liturgica una preparazione alla preghiera superiore del cuore.

XI. La sobornost' - collegialtà spirituale. La liturgia è al centro della vita ecclesiale. I Padri vedono l'insieme dei cristiani battezzati e cresimati come una comunità dei consacrati che, proprio in quanto comunità, svolge una funzione liturgica e realizza la propria maternità spirituale mediante la fede, l'amore, la preghiera. Per i russi il giusto atteggiamento del cristiano verso la Chiesa può riassumersi in una parola, peraltro difficile da tradurre: la tserkovnost', il senso della Chiesa, il desiderio e la volontà di vivere con essa e in essa. Espressione di questo atteggiamento è il famoso assioma di A.S. Chomiakov ( 1860), secondo cui all'inferno ciascuno va per proprio conto, in cielo non si può andare che in unione con tutti gli altri: " Nella Chiesa l'uomo non trova alcunché che gli sia estraneo; vi ritrova se stesso, non più nella debolezza del proprio isolamento spirituale, bensì nella forza della propria unione spirituale con i fratelli e con il Salvatore ". Per questo motivo, dicono Chomiakov e i suoi numerosi seguaci, non è sufficiente vedere nella Chiesa una istituzione giuridica, dominata da un'autorità esterna. La vita ecclesiale esige una continua comunicazione spirituale, la sobornost', lo spirito collegiale. Quello si perde nell'impurità grossolana di ogni esistenza individuale. La purificazione allora si opera mediante la potenza invincibile del mutuo amore. La beatitudine celeste conserva il suo carattere " ecclesiale ", perciò il culto dei santi si considera elemento essenziale della liturgia che invoca Cristo " insieme alla purissima e beata Vergine Maria Madre di Dio, insieme agli angeli e tutti i santi " (conclusione delle preghiere). Alla Madre di Dio viene attribuita " la gloria divina ", non perché si sognasse di abolire l'abisso che esiste fra Dio e le creature, ma perché, in Maria si festeggia il superamento di questo abisso: ella è come il " confine tra il cielo e la terra " (V. Losskij). È ben noto come il culto mariano sia diffuso in Russia! Se la Chiesa universale non dà ancora immagine di questa unità, le comunità monastiche sono state concepite come una Chiesa minuscola. La vita monastica non viene, quindi, considerata come un tipo di spiritualità diversa da quella degli altri cristiani. I monasteri furono in Russia numerosissimi. Si possono distinguere diversi periodi di evoluzione. Gli inizi furono della Rus' di Kiev con la famosa laura e il suo documento Patericon di Pe_ersk che descrive la vita che vi era praticata. Dopo l'invasione mongolica sorse nel sec. XIV il nuovo centro monastico nelle foreste vergini del nord, " la Tebaide del nord ". L'iniziatore e maestro di tutti viene considerato s. Sergio di Radone_ ( 1392), la cui biografia antica è una specie di manuale di vita religiosa. La grande diffusione dei monasteri portò nel sec. XV ad una decadenza. Sorsero allora due grandi riformatori, ambedue autori di una Regola: Giuseppe di Volokolamsk ( 1515) e Nil Sorskij ( 1508). Il primo è promotore di una severa vita comunitaria, con l'altro entrò in Russia il nuovo movimento esicastico. Nei tempi più recenti, ebbero un influsso decisivo per il rinnovamento della vita monastica Paisij Veli_kovskij ( 1794) e gli staretzy suoi seguaci. Nel secolo scorso, incontriamo fra i monaci grandi autori spirituali, come per esempio Ignazio Brian_aninov ( 1867) e Teofane il Recluso.

La società patriarcale della vecchia Russia considerava anche la famiglia secondo il tipo di un convento come testimonia un documento caratteristico del sec. XV: Domostroj, " Istruzione sul come ordinare la propria casa ".6 Ma, in un modo più espressivo viene descritta la ricchezza della vita familiare cristiana in un documento della stessa epoca: Vita della venerabile Giuliana di Lazarevskoe,7 scritta da suo figlio nel 1614.

XII. La mistica del cuore. ll termine " cuore ", presente nella Bibbia e nella letteratura dei Padri, si adattava particolarmente alla mentalità russa, come attestano numerose espressioni popolari. Ma ci si è resi conto dell'importanza del cuore soprattutto quando si è cominciato a reagire contro il razionalismo e l'illuminismo dell'Europa occidentale. Paisij Veli_kovskij inaugura in Moldavia il grande movimento monastico, " filocalico ", neo-esicasta. La purificazione del cuore e la " preghiera del cuore " vi avevano un luogo privilegiato. Verso la fine del secolo scorso, Teofane il Recluso si presenta come un vero teologo del cuore, proprio perché riesce a dare alle espressioni, che potevano generare impressione di un vago sentimentalismo, una solida spiegazione teologica. Egli comprese che il " cuore " ed i suoi sentimenti, come lo adoperano gli autori spirituali, non può essere considerato come una facoltà dell'uomo tra le altre; infatti, il termine deve significare la loro unità: amare Dio " con tutto il cuore " significa cercarlo " con tutta la propria anima e con tutto il proprio spirito " (cf Mt 22,37), e con " tutte le proprie forze " (cf Mc 12,33). Si pone, allora, la questione di sapere come concepire questa unità, questa integrità umana. Si possono adombrare due concezioni principali. Chiameremo la prima " statica ", la seconda " dinamica ". Con il termine " statico ", vogliamo indicare l'aspetto armonioso dell'unione di tutte le facoltà umane nel tempo presente, nel momento in cui noi agiamo. Per illustrare la sua affermazione, Teofane il Recluso si serve di un paragone ispirato al teatro. Quando un autore recita la sua parte fuori dalla scena, la sua recitazione ne perde molto. Succede lo stesso dell'esercizio di una facoltà isolata: essa è forzata e la sua efficacia è diminuita. Ed è ciò che accade quando un uomo agisce con la forza della sua volontà libera su dei sentimenti ribelli. Una tale " violenza " è richiesta dall'ascesi, tuttavia il cuore è diviso, lacerato. Se questo stato si prolunga a lungo, diventa pericoloso per l'equilibrio spirituale della persona. Occorre, con pazienza, " cambiare il cuore ", giungere all'armonia dell'uomo, non solo al momento del suo atto, ma per l'intera vita. Questo è l'aspetto " dinamico " del cuore, perché l'uomo è ciò che ha fatto ieri, ciò che fa ora, ciò che farà domani. Noi non siamo capaci di un atto che duri per l'eternità, affermava Bossuet. Eppure l'ideale dei cristiani dell'Oriente è sempre stato " lo stato della preghiera ", la katastasis, cioè una disposizione abituale che in qualche modo meriti il nome della preghiera per se stessa, al di fuori degli atti che produce, più o meno frequentemente. Questo stato di preghiera è allo stesso tempo lo stato di tutta la vita spirituale, una disposizione stabile del cuore. Avere il cuore stabilmente rivolto al Signore è stato sempre l'ideale degli asceti russi. Ciò però esige molta attenzione. Anch'essa ha due aspetti: è negativa e in seguito positiva. La custodia del cuore negativa consiste nello sforzo continuo di rigettare ogni pensiero maligno (logismos) che viene dal di fuori. È l'arte di conservare il paradiso del cuore nello stato di innocenza. E un esercizio tradizionale ripreso dagli asceti russi, e sistematicamente esposto, per esempio, nella Regola di s. Nilo Sorskij ( 1508) che fu riscoperta dagli startzy provenienti dal movimento filocalico. Il cuore che non subisce più impressioni dal di fuori diventa sorgente d'ispirazione sotto forma di pensieri interiori. L'attenzione positiva si concentra ad afferrare questi pensieri che vengono " dal di dentro ", perché essi provengono certamente da Dio. Saper ascoltare queste ispirazioni dello Spirito si chiama " la preghiera del cuore ". P. Evdokimov ne dà questa descrizione: " L'intelletto associato al cuore e reso alla sua nudità pre-concettuale supera la ragione discorsiva (dianoia), abbandona le armonie dei giudizi (metodo scolastico) e postula la sopraelevazione di se stesso a dei livelli sempre più profondi fino a diventare il luogo di Dio ". Si gusta la sola presenza di Dio nel cuore. Ma la coscienza umana è necessariamente legata a qualche simbolo. Il battito del cuore materiale non può diventare un segno eloquente di questa presenza del Salvatore nell'uomo e dello sforzo umano di armonizzare la sua vita con lui? La tradizione bizantina conosce la cosiddetta " attenzione fisica " al cuore. Essa è unita agli esercizi che rassomigliano allo yoga, si parla di cosiddetti " supporti esteriori " della preghiera: la cella scura, posizione umile del corpo, la fissazione dell'attenzione al cuore materiale, al suo battito, il controllo della respirazione. Ne seguono certi fenomeni fisici: il senso del calore, le luci, ecc. Queste pratiche furono conosciute anche nei monasteri russi come testimonia l'antologia Conversazioni sulla preghiera di Gesù (Serdobol 1938). Però autori rinomati come Ignazio Brjan_aninov e Teofane il Recluso mostrano una grande prudenza nel consigliare questa pratica. Molto di più la preghiera del cuore fu associata alla cosiddetta preghiera di Gesù, l'invocazione: " Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore ". Essa fu nel tempo recente conosciuta in Occidente attraverso le numerose traduzioni del famoso Pellegrino russo.8 Vi è proposto anche un certo metodo fisico. Ecco come il pellegrino lo propone: " Immagina il tuo cuore, abbassa gli occhi come se tu guardassi attraverso il petto, più vivamente che puoi, e ascolta l'orecchio teso, come esso batte, un colpo dopo l'altro... Al primo battito, tu dirai o penserai "Signore", al secondo "Gesù", al terzo "abbi pietà", al quarto "di me" ". Per esprimersi, l'orazione vocale utilizza una parola come simbolo; essa può evidentemente essere sostituita da un gesto, connesso dalle leggi dell'associazione ad un pensiero. Ora, se essa è collegata al battito del cuore e alla respirazione, " gesto primordiale ", la preghiera diventa inseparabile dalla vita stessa, diventa quindi la " preghiera del cuore ".

XIII. La sofiologia. Florenskij osserva che l'idea della Sapienza divina " tocca la coscienza religiosa russa nelle sue stesse sorgenti e nei fondamenti profondi della sua originalità "; dire " la Russia " e i " Russi " senza la Sofia, sarebbe una contraddizione in termini. La sofiologia russa si presenta come una sintesi di cosmologia, antropologia, teologia. In quanto tale la si fa risalire a Soloviev. Fu in seguito sviluppata, elaborata da Florenskij, Bulgakov, V. Zen'kovskij, V.F. Ern. Grandi poeti, come V. Ivanov fra gli altri, si applicarono a seguire i percorsi della sofiologia e a scoprire le basi del loro simbolismo. I fondamenti scritturistici a cui si rimanda sono i seguenti: Prv 8,22-31; Sap 7,25-28; Sal 104,24. Secondo Evdokimov, la sofiologia viene direttamente dal palamitismo: " Da s. Basilio a s. Gregorio Palamas, la tradizione è unanime e ferma: distingue tra la trascendenza radicale di Dio in sé e l'immanenza delle sue manifestazioni nel mondo ". La sofiologia russa è stata oggetto di molti studi. Il risultato è però talvolta deplorevole. E non potrebbe essere altrimenti: si vorrebbe rinchiudere in nozioni razionali ciò che deve restare una visione spirituale intuitiva di " tuttunità ". Infatti, alla Sofia si collegano le esperienze mistiche di Soloviev, di Bulgakov e degli altri. La visione della giovinezza è stata decisiva per Soloviev: " Tutto con un solo sguardo - Io vedevo tutto e il tutto era uno. Una persona unica di bellezza femminile - L'indefinito veniva a misurarsi - davanti a me, in me, non c'eri che tu sola ". L'essenza della visione sofianica è, quindi, la visione di Dio e di tutta la sua opera in un simbolo concreto, che evidentemente varia secondo i momenti e secondo le circostanze. Non ci sorprende che la Sofia sia Cristo, La Madre di Dio, la Chiesa, l'Angelo-Precursore, la Donna ideale, l'Anima del mondo, ecc. Tutto ciò che l'occhio e la mente umana afferrano, nella visione sofianica diventa trascendente come il diamante che riflette la luce del cielo. Ne Il Paraclito (Ute_itel', Paris 1936, tr. it., Bologna 1971), Bulgakov descrive come nella visione sofianica il mondo si sviluppi verso la sua ultima perfezione. Lo Spirito Santo fa crescere da questa " terra " tutto ciò che essa deve produrre alla fine dei secoli. La Sofia, in questo senso, è " la Sposa eterna del Verbo di Dio " che è erchomenos, discendente dal Padre. E tutti i cristiani sono chiamati a cogliere da ora, in certo modo e attraverso i simboli, questo grande mistero. Finiamo con i versi di Soloviev: " In un batter d'occhio vedo che Tutto non è che Uno, L'Uno non è che la bellezza di un viso di donna. E l'incommensurabile entra nella sua misura. Tutt'intorno, e in me stesso, non c'eri che Tu ".

Note: 1 Ed. in russo, Paris 1951; in tedesco, Graz 1938; 2 Titolo del libro di S. Bulgakov, Le ciel sur la terre, Münich 1928; 3 Ed. Opere, vol. III, Mosca 1899; 4 1830, ristampata diciassette volte; 5 S. Pietroburgo 1902, tr. fr., Bruges-Paris 1952 dello scrittore N.V. Gogol; 6 Tr. fr. 1919; 7 Ed. Mosca-Leningrado 1949; 8 Nuova ed. di A. Pentkovskij, Paris 1992: tr. it. Assisi (PG) 1970, Milano 1973, ed altre.

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T. Spidlík

MISTICHE D'ASIA. (inizio)

I. Le religioni come ambito delle mistiche. Tutte le mistiche vanno situate nell'ambito dogmatico, etico e cultuale delle loro rispettive religioni. Per l'Asia, ne ricordiamo sei che sono le principali e si dividono in due gruppi, ognuno di tre religioni accomunate dalla storia e dai principi fondamentali: giudaismo, cristianesimo ed islam; induismo, buddismo, saggezza cinese.

A. Le religioni che, diffuse soprattutto nei loro primi tempi più ad ovest e a nord, si affermano sono monoteiste e personaliste; esse sono, in fondo, ottimiste sul problema fondamentale dei mistici. Dio transpersonale esiste in modo perfetto ed eterno; l'uomo esiste come una persona, imperfetta certo, ma con un'anima immortale. Il rapporto Dio-uomo comincia con una creazione, continua in una storia, si corona in una parusia definitiva ed unica. Sia che avvenga attraverso la ragione o attraverso il cuore, l'incontro del fedele con il suo Signore resta sempre, alla fine, interpersonale. Questo punto è indiscutibile per la fede e conservato da tradizioni consegnate in scritti e protette da inequivocabili autorità dottrinali. In un tale ambito, i mistici hanno certamente delle esperienze razionali ed affettive straordinarie che esprimono in formule anch'esse straordinarie. Ma se il loro comportamento ritiene e monoteismo e personalismo, essi si censurano da soli o sono censurati, perfino puniti o anche messi a morte. L'eccesso monistico è inammissibile in principio, anche se esiste, talvolta, di fatto. Questa situazione si ritrova nel giudaismo e poi nel cristianesimo e nell'Islam.

B. Non è la stessa cosa nel secondo gruppo: induismo, buddismo, saggezza cinese. Il nucleo dottrinale non è conservato da autorità e definizioni indiscutibili. I parametri da rispettare si trovano in antiche tradizioni orali, poi consegnate, talvolta, in assiomi popolari antichisssimi; il loro flusso immenso è, d'altronde, lasciato all'interpretazione dei maestri, proclamati tali per l'altezza e il calore del loro insegnamento e, più ancora, della loro vita. In tali condizioni può, quindi, svilupparsi una mistica di esplorazione e di sperimentazione più libera. L'inclinazione mistica all'unione e perfino l'identità tra il cercatore e il Cercato ha largo spazio, come vedremo.

II. Le vie dell'esplorazione mediante lo spirito. Esse affrontano tutte il problema del rapporto tra l'uomo e il Mistero o il Misterioso, al di là dell'esperienza ordinaria normale: quella del vivere.

A. La soluzione buddista, quella del fondatore e dei monaci (thera) è così radicale e, d'altra parte, così costrittiva che i suoi avversari l'hanno definita la via stretta. Essa sopprime, in fondo, il problema del rapporto svilendo uno dei termini: l'uomo: " O monaci, la nascita non è che dolore; la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, la persona non è che un'aggregazione illusoria, destinata a rinascite ". La soluzione consiste, dunque, nel respingere ogni illusione su ogni " esistente " limitato. Ciò che rimane, se rimane, dopo questo svuotamento totale, questa estinzione del problema mediante svuotamento del richiedente (nirvana) in cui scompare anche ogni sofferenza, il messaggio del fondatore non l'ha mai precisato, se non con un sorriso di connivenza tra lui e il suo più fedele discepolo.

B. Le vie dell'induismo sono più profonde e più positive quando esso supera il recinto chiuso delle caste, il groviglio dei culti attraverso molteplici credenze.

Fin dai tempi più remoti, si vedono i più aperti cercare di " spiegare " secondo due vie che portano misticamente al Mistero: l'una si meraviglia davanti al cosmo; l'altra si tuffa nell'uomo, microcosmo.

Affrontiamo per primo il cammino a partire dall'esterno. I pastori dell'India antica, dinanzi alla realtà e ai grandi fenomeni della natura, che li fanno sentire così limitati e " perduti ", aspirano a conoscerne la Causa (kim karanam) e a " com-prenderne " la molteplicità. Dopo aver popolato l'universo con una folla di potenze diverse, i saggi " chiamano con nomi diversi ciò che è uno " e Onnipotente (Brahma) sorgente degli esseri e dei loro cambiamenti secondo una legge (rt.a) immutabile.

Considerato tutto, Veda e, soprattutto, Upanishad gli riconoscono un'esistenza (sat) che è l'Unica (ekam) da possedere pienamente e perfettamente. I mistici sperimentano, abbagliati, questa Totalità (sarvam) la cui molteplicità non è che sfiorata dai nostri occhi. Lo si scopre nel fuoco (agni) del sacrificio; esso impone la sua legge alle cose e alle persone; è da lui che sgorga la vita a partire dal suo " desiderio " fecondo. E mediante la sua forza che si passa dal nulla al mondo, dalla morte alla vita (cf Chandogya e Brhadaranyaka, passim, testi innumerevoli). Egli E, in definitiva, Unico e misterioso Pre-esistente in pienezza. Rischiarata dall'esterno dall'Unico in fondo ad ogni cosa, l'India cerca anche di partire dall'interno; il cercatore torna su se stesso per riflettere su ciò che egli è. Si osserva vivere soprattutto nel suo soffio (prâna) e nel suo spirito (âtman). " Non c'è che esso che possa guardare come prezioso e amare ". La potenza che ritma la vita arriva a designare tutto ciò che penetra: sensi, coscienza, riflessione raziocinante (pensante) e pulsione mistica: l'âtman-in-me è visto come una misteriosa partecipazione al grande Âtman fondamentale onnipresente. Spirito senza limiti, egli inspira in noi tutto ciò che ci libera dal materiale, ce ne libera virtualmente. L'esigenza di un Totale unico nell'ordine dell'esistenza rilevata nella prima via sgorga anche in questa via interiore; essa spinge i cercatori a volere, in una dilatante esperienza, " esplodere " per raggiungere questa coscienza totale, proprio come l'Esistenza totale. Il mistico arriva per due vie allo stesso risultato, anzi le unifica: Tad Braham, Tad Âtman, Tad Ekam che è anche Tad Sarvam. " E tu, Tu sei tutto questo ".

Mediante il superamento dell'essere e del pensare limitati, si produce questa meraviglia per la quale non si può trovare niente di simile (neti, neti) ma non si può nasconderla. La loro esperienza, vera o supposta, ha spesso per effetto l'allontanamento dalle prescrizioni della religione e dei doveri correnti e dalle responsabilità personali e sociali... Anzi, le folle trovano in essi delle guide spirituali.

C. Al di fuori della dis-illusione, che scarnifica, ma tranquillizza e forse soddisfa, del buddismo antico e fuori della conquista dell'Uno, che l'induismo ricerca per via esterna ed interna, il pensiero cinese si è trovato una via che riassume in un proverbio: " I tre (religioni o sistemi: confucianesimo, buddismo) non fanno più che uno ". E lo spettacolo plurimillenario di peripezie, insieme religiose e storiche, ha ispirato ad alcuni dei suoi saggi (che si riassumono nel Lao-Tze) una serenità che allontana dal reale molteplice. Se ne trova un retroterra in Tao-te-ching, un titolo di significato discusso. Questo trattato dice: " Prima che fossero Cielo e Terra esisteva qualcosa di isolato, di silenzioso, come nebuloso... E la sorgente di ogni cosa... (Ciò nonostante) il Tao è immutato e indifferente... Non ha forma né nome (alla maniera umana)... La saggezza è (nell'astensione): Non (wu) pensare forme, non porre atti (wu-wei)... E senza agire che il saggio sistema le cose, è parlando che egli predica... Colui che " conosce " il Tao è imparziale... tollerante... in sintonia con la natura, dunque con il Tao... Così costui è eterno ". " Quando la virtù mistica diventa chiara, allora soltanto emerge la Grande Armonia ". Ma occorre non farsi ingannare: " Quando il volgare sente esporre il Tao, ride... Se non ridesse non sarebbe il Tao ". Senso del mistero e umiltà del cercatore, simile a quello dell'induismo. " Chi pensa di conoscerlo, non lo conosce. Chi pensa di non conoscerlo, in realtà lo conosce " precisamente nel suo mistero...

III. Le vie di approccio attraverso il cuore. Le alte speculazioni e gli sforzi spinti fino all'eroismo scoraggiano immancabilmente le persone semplici. Esiste già un vecchio aforisma scoperto da essi: " E infelice non avere nessuno a cui chiedere aiuto ". Fare da modelli inimitabili degli ausiliari benefici e potenti è una strada del tutto diversa per le m. Certo l'intento finale di ogni essere umano, immortalità e felicità totali e definitive, resta lo stesso. Ma il cercatore si constata ancora preso nella triade: il Signore Supremo, il Mondo pesante da scrollarsi di dosso e lui stesso così debole. Si tuffa in un'esperienza intermedia più immediata e apparentemente più immediatamente soddisfacente: la devozione (Bhakti) verso una " divinità " scelta (ishtâ devatâ) e il ricorso al suo aiuto, mediante l'invocazione. Spera di averne la promozione spirituale.

a. Nel contesto buddista, egli passa, così, dalla dura via monastica (thera-yâna) alla via larga (mahâyâna), religiosa anch'essa. Conta, per progredire in luce e forza, su un Essere già sveglio (bodhisat-tva) che sparge sui suoi fedeli qualcosa delle sue perfezioni. Lo chiama per esempio Esistenza illimitata (amitâyus), Luce illimitata (amîtabha). Costui riempe di speranza, suscita l'invocazione, guida al Termine. Ritorno di un " teismo " in un messaggio originale ateo.

b. Nell'induismo, similmente, i semplici abbandonano la riflessione troppo alta e troppo dura per tornare o restare a contatto della Triade (Trimurti). Non con Brahmâ, l'originante iniziale il cui compito e la cui cura sono terminate, ma gli altri due restano piantati nei nostri destini: Vishnu che sostiene e penetra (come rivela il suo nome), che la Baghavagîtâ presenterà con il nome di Krishna e Shiva, che assicura il ritmo eterno distruggendo e rilanciando continuamente i mondi. Si ammira e si condivide oscuramente, con cuore fiducioso, il carattere totale e permanente della loro potenza. Le innumerevoli lodi e invocazioni assumono gli atteggiamenti supplichevoli di uno " schiavo ", quelli di un " amico " sicuro dell'accoglienza, ma anche quelli di un peccatore schiacciato dalle colpe o ancora quelli dell'unione amorosa. Si tratta proprio di una mistica del cuore. Come nella mistica dello spirito, è sempre l'unione, e alla fine l'unità, che è cercata: Termine unico, immortale e beato.

c. Nel mondo dell'estremo Oriente, i nomi dei protettori si modificano: in Cina il Bodhisattva Avalokitesvara, il " Signore che abbassa il suo sguardo ", verso i supplici diventa Kwanyin in Cina, Kwannon in Giappone senza cambiare ruolo. Il Bouddha Amida si chiama, rispettivamente O-mi-to fu e Amida. Verso di loro si elevano anche qui lodi e suppliche appassionate e in particolare la formula: Namo Amida-Butsu in Giappone. Il primo favore richiesto è rinascere in Paradisi buddisti donde, si spera, non si potrà ricadere nelle rinascite, ma accumulare dei meriti che preparano all'ultimo passaggio. Molti mistici proclamano di aver vissuto questo supremo passaggio e stato.

Che essi avanzino per le vie dello spirito come sulle vie del cuore, i mistici cercano tutti un'eterna liberazione e beatitudine (sukham).

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J. Masson

MODELLI SPIRITUALI. (inizio)

I. Funzione dei " modelli " nella vita spirituale. Sembra utile, preliminarmente, spendere una parola sul ruolo che assume il " modello " in ordine alla vita del cristiano e del suo impegno primario che è quello di coltivare questa vita fino alla sua pienezza, cioè alla santità che, com'è noto, consiste essenzialmente nella " perfezione della carità " (Cf LG 39; 40b; 42a,e; CCC 2013; 2545). Pare accertato che il ricorso all'uso di modelli costituisca un tratto che accomuna, oggi, tutte le scienze: quelle della natura come quelle dell'uomo ivi compresa la teologia, vale a dire la scienza della fede.1 Quest'ultima, in verità, ha sempre valorizzato, lungo il corso dei secoli, l'uso dei modelli per esprimere ed approfondire il mistero cristiano. In particolare, la cosiddetta " teologia spirituale " che, difatti, si caratterizza per l'approfondimento non tanto del dato oggettivo di fede quanto piuttosto del come la fede oggettiva è stata accolta, vissuta, esperimentata dal credente adulto nella fede cioè dal santo.2

L'utilità così come la forza attrattiva e persuasiva di questa " teologia spirituale per modelli " è, dunque, un dato documentato dalla tradizione cattolica 3 ed altresì un bisogno molto sentito nella nostra epoca. Paolo VI lo ha icasticamente espresso con una lapidaria sentenza: " L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni ".4 E proprio del testimone infatti - vale a dire di colui che " evangelizza " mediante la pratica di una vita autenticamente cristiana cioè santa (cf EN 41) - agire sugli altri per via d'esempio che attrae e sospinge all'imitazione. Che non va intesa nel senso di " copia " o di imitazione materiale. Su questo importante punto dottrinale ha insistito molto il magistero spirituale di Pio XI, il quale, preoccupato di aiutare i fedeli ad evitare l'" oscura e brutta confusione " tra " imitare " e " copiare ",5 si è avvalso sovente di un paragone letterario: Dante ( 1321) che esplicitamente afferma di essersi prefisso di imitare Virgilio ( 19 a.C.). Non certo nel senso di pedissequo adeguamento, come dimostra la possente originalità della sua opera, ma in quanto " egli ha cercato di sentire gli oggetti suoi con quella corrispondenza ed esattezza di sentimenti che Virgilio portava ai suoi temi ".6 Imitare, dunque, potrebbe intendersi come l'equivalente di " ispirarsi a ", quindi, in concreto, " prendere ispirazioni da quanto i santi hanno fatto " per vedere come possiamo, nella nostra specifica condizione di vita, tendere realmente e tenacemente alla perfezione.7

Vi è, difatti, in tutti i santi - insegna Pio XI - anche nei più eccelsi e straordinari, un qualcosa di imitabile che, indistintamente per tutti i cristiani, riveste un'importanza decisiva. Si tratta della determinata volontà di tendere senza stanchezze alla santità. Questo sforzo verso la perfezione è appunto ciò che è possibile sempre e a tutti imitare e perciò, come sottolinea il Papa, impegno " indispensabile ".8

II. Il modello mistico. 1. Esattamente in questo contesto di santità, intesa come tensione o progresso nella perfezione della carità, il CCC inserisce il breve ma chiaro paragrafo sulla vita mistica.9 Questa trae il suo nome dal rapporto di partecipazione - specie sacramentale - al " mistero di Cristo ", quindi di un Dio uno e trino. Vale a dire dalla " unione sempre più intima con Cristo ", che conosce vari gradi di intimità fino all'unione piena e totale.10 Si tratta di una " totale " presa di possesso da parte dello Spirito Santo che, essendo essenzialmente " Spirito di unione ", non solo " continuamente rinnova " la Chiesa - quindi ogni anima docile alla sua azione - ma " la conduce alla perfetta unione col suo Sposo " (LG 4; cf 13a; 40a).

2. Di questa vivificante ed unificante presenza ed azione interiore dello Spirito Santo, l'anima ha sempre una qualche " esperienza ", la quale, peraltro, è all'origine di una conoscenza più intima e profonda del mistero di " Cristo in noi, speranza della gloria " (cf Col 1,27). Anzi, dal punto di vista teologico, il mistico si caratterizza propriamente per il dono specifico di una " esperienza infusa ". Vale a dire di una mozione speciale infusa nell'anima dallo Spirito Santo mediante la quale la volontà viene intimamente unita a Dio e l'intelletto illuminato e reso capace di percepirne l'ineffabile presenza.11

3. Ebbene, la vita mistica, perfino quando è corredata di " grazie speciali o segni straordinari ", assurge a preziosa e preclara manifestazione del " dono gratuito fatto a tutti ". Vale a dire che " Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui " (CCC 2014). Cosicché il mistico, con la sua vita tutta concentrata su Dio e protesa alla piena comunione d'amore con lui, s'impone sempre e soprattutto come qualificato " modello " di una retta comprensione e di una piena attuazione del dono della vocazione alla vita o della vita come vocazione. L'esistenza dell'uomo, infatti, può dirsi " riuscita " nella misura in cui risponde fedelmente al fine cui è chiamata. Ed è un dato di fede che Dio chiama non tanto alla pura e semplice esistenza ma, tramite questa, alla comunione d'amore con Dio uno e trino. Questa è difatti - come ama esprimersi il Vaticano II - la vocazione " integrale " dell'uomo: " La ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio ".12 Aggiungiamo che insieme il mistico è " modello " di autentico amore cristiano del prossimo. Dal momento che, essenzialmente, esso consiste nell'aiutare i fratelli a conoscere Dio e ad amarlo come il Bene supremo.13

4. Per giungere all'intima unione con Dio, quindi ad una sperimentale conoscenza di lui - e, conseguentemente, di sé - il mistico privilegia, tra tutti, due mezzi la preghiera e il distacco, specie da sé, che si concretizza nell'umiltà.

Proprio perché il mistico fa continua personale esperienza della vera natura di questi due mezzi, li propone - con la parola ma ancor di più con la vita - non solo come un impegno ma altresì come un dono. Può bastare qui il ricorso all'autorevole ed esemplare magistero della beata Angela da Foligno. " La preghiera non è che la manifestazione di Dio e nostra. In questa duplice manifestazione, di Dio e nostra, sta la vera e perfetta umiltà. Lo stato di umiltà si raggiunge quando l'anima riesce a vedere Dio e se stessa: allora si trova nella più perfetta umiltà; e per questa umiltà la grazia di Dio può scavare abissi e sovrabbondare sempre più nell'anima. Quanto più la grazia di Dio inabissa l'anima nell'umiltà, tanto più nell'anima aumenta la grazia di Dio. E quanto più aumenta la grazia di Dio, tanto più l'anima è capace di sprofondarsi negli abissi dell'umiltà e riposarvi... Pervenire alla manifestazione di Dio e nostra: non conosco cosa più grande. Ma questa grandezza... non appartiene che ai figli legittimi di Dio che possiedono il vero spirito di orazione ".14

5. L'abituale ed intelligente contatto con i mistici aiuterà, dunque, il cristiano di oggi non solo a convincersi della grandezza e bellezza della sua vocazione mistica, cioè dell'intimità sponsale con Dio uno e trino ma altresì a tendervi con gioia e perseveranza, perché la vita mistica - rettamente intesa - è " meno rara forse, di quanto si potrebbe credere ". Lo affermava Paolo VI nell'udienza generale del 9 settembre 1970. Si tratta infatti dell'azione dello Spirito Santo (quindi di un " dono " o di un " carisma ") mediante la quale egli " effonde nel cuore un'attrattiva inconfondibile verso l'essere vivente e presente di Dio ". Quando il cristiano - assicurava lo stesso Pontefice nell'udienza del 10 gennaio 1968 - vive in maniera veramente " fedele " alla sua vocazione, allora lo Spirito Santo " gli fa sperimentare " quanto " crede " e quanto " vive ".15

Note: 1 " Le varie discipline del sapere, nonostante le loro necessarie differenze, hanno un tratto comune: fanno uso di modelli. Tutte: le scienze dell'uomo come le scienze della natura. Anche la teologia - quel sapere particolare che si fonda sulla rivelazione - fa uso di modelli ". S. Spinsanti, Modelli spirituali, in NDS, 1001; si leggerà con profitto l'intero studio (pp. 1001-1030) e, per questo specifico aspetto, in particolare l'intero paragrafo I: " Funzione del modello nel progetto spirituale del cristiano " (pp. 1001-1012); 2 Si veda, ad esempio, G. Moioli, Teologia spirituale, in NDS, 1597-1609; 3 Sempre utile, al riguardo, la lettura di: F. Olgiati, La teologia vissuta e la spiritualità dei santi, in Aa.Vv., Teologia e spiritualità, Milano 1952, 87-119; 4 Discorso ai membri del " Consilium de Laicis " (2 ottobre 1974). In: AAS 66 (1974), 568. Ripreso nella " Esortazione apostolica sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo " (Evangelii nuntiandi) dell'8 dicembre 1975, al n. 41; 5 Si legga, ad esempio, il discorso del 7 dicembre 1932: " Per l'inaugurazione del nuovo ingresso ai Musei Vaticani ", in Discorsi di Pio XI, a cura di D. Bertetto, II, Torino 1960, 774. Cf pp. 358-859; 368-69; 355; 375; 1001-1002; 6 Si veda il discorso del 12 novembre 1933: in occasione della lettura del " Tuto " per la canonizzazione della Beata Luisa de Marillac, in Discorsi di Pio XI, II, 1002. Cf pp. 773-874; III, 153; I, 402; 7 Si veda, ad esempio, nei Discorsi di Pio XI, III, 153; II, 374; 368-869; 8 " Imitare non vuol dire copiare ma tendere a quello che è nobile e grande con il desiderio, con lo sforzo, con il conato di realizzare in noi la perfezione. Gli eroi che oggi esaltiamo hanno aggiunto al conato il completo successo, ma il conato stesso è a tutti possibile quindi indispensabile ". Discorso del 5 giugno 1930: in occasione della lettura del " Tuto " per la beatificazione di Corrado da Parzham, in Discorsi di Pio XI, II, 355; 9 " Il processo spirituale tende all'unione sempre più intima con Cristo. Questa unione si chiama "mistica", perché partecipa al mistero di Cristo mediante i sacramenti - "i santi misteri" - e, in lui, al mistero della Santissima Trinità. Dio ci chiama tutti a questa intima unione con lui, anche se soltanto ad alcuni sono concesse grazie speciali o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il dono gratuito fatto a tutti ", CCC 2014. 10 S. Giovanni della Croce la definisce: " Una trasformazione totale dell'Amato, nella quale ambedue le parti si consegnano a vicenda, trasferendo l'una l'intero possesso di sé all'altra, con una certa consumazione di unione e di amore ". Cantico spirituale B, strofa 22,3; 11 Si veda, ad esempio, E. Ancilli, Introduzione a: H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979, XVIII; cf Id., La mistica. Ambito di esperienza e di ricerca, in Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 19-32. In particolare, pp. 24-25. Come visione sintetica suggeriamo: G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 985-1001; 12 GS 19. Cf 11a; 41a; 57a; 61a; 63a; AG 8. Per un'adeguata ed accessibile documentazione biblica, patristica, storica e teologica di questo punto fondamentale, rimandiamo il lettore interessato al solido volume di R. Moretti, In comunione con la Trinità. Alle sorgenti della vita cristiana, Casale Monferrato (AL) 1979, 159; 13 Illustra bene questa verità L. Bouyer in, Introduzione alla vita spirituale, Torino 1965, 347-351. Si veda anche C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988, 191-196; 14 Angela da Foligno, L'esperienza di Dio Amore. Il " libro ". Trad., int. e note di S. Aliquò, Roma 1973, 201. Cf pp. 198-200; 222-228; 15 S. Rinaudo, La nuova Pentecoste della Chiesa. Ciò che hanno detto il Concilio Vaticano II e Paolo VI sullo Spirito Santo, Leumann (TO) 1979, 416-17; 324.

Bibl. Aa.Vv., Mystique, in DSAM X, 1889-1984; Aa.Vv., Vita cristiana ed esperienza mistica, Roma 1982, 415; Aa.Vv., Modelli di santità, in Con 15 (1979) 9, tutto il numero; Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 1982, 492-524; L. Bouyer, La vita mistica, in Id., Introduzione alla vita spirituale, Torino 1965, 337-368; L. Crippa, Il cristiano nella Chiesa. Per un accostamento storico-dottrinale a Pio XI maestro di vita cristiana, Milano 1976; R. Garrigou-Lagrange, La lettura spirituale della scrittura, delle opere e della vita dei santi, in Id., Le tre età della vita interiore, I, Roma 1984, 307-317; I. Gobry, L'esperienza mistica, Catania 1965, 179; H. de Lubac, Mistica e mistero cristiano, Milano 1979, 304; G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 985-1001. Con ottima bibliografia sistematica alle pp. 1000-1001; C. Molari, Modelli, in B. Secondin - T. Goffi (edd.), Corso di spiritualità. Esperienza - Sistematica - Proiezioni, Brescia 1989, 5111-5118; F.T. Olgiati, Modello evangelico, in NDM, 956-962; S. Spinsanti, s.v., in NDS, 1001-1030; C. Tresmontant, La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988, 221; K. Vaaijman, Cambiamenti nell'impostazione dei trattati di spiritualità, in Ch.-A. Bernard (cura di), La spiritualità come Teologia, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 311-335; C. Vagaggini, Teologia, in NDT, 1597-1711.

L. Crippa

MOLINOS MIGUEL DE. (inizio)

I. Vita e opere. Considerato generalmente il rappresentante più famoso del quietismo, è una figura di cui la storiografia moderna tenta di ricostruire la vera identità.

Nasce a Muniesa (Teruel, Spagna) il 29 giugno del 1628, educato cristianamente, compie i primi studi nel paese natale. Si trasferisce a Valencia a diciotto anni, intraprendendo la carriera ecclesiastica nel collegio di San Paolo diretto dai gesuiti. Ordinato sacerdote nel 1652, sembra che abbia conseguito il dottorato in teologia. Esercita il suo ministero sacerdotale come cappellano di alcune religiose e nelle missioni popolari. Il 26 ottobre del 1663 si reca a Roma per occuparsi della causa di beatificazione del ven. Jerónimo Simón de Rojas. Acquista subito fama di esperto direttore spirituale, penetrando negli ambienti religiosi più esclusivi della Città eterna e sfruttando valide amicizie nella Curia romana. Per placare le voci e le accuse che cominciano a circolare sui suoi insegnamenti e sulle sue pratiche spirituali, fa pubblicare nel 1675 la sua opera fondamentale, la Guía espiritual, che si trova al centro delle polemiche quietiste di quegli anni. Accusato di gravi errori e di pericolose deviazioni nella direzione spirituale, è detenuto e incarcerato dal Santo Uffizio nel giugno del 1685. Inizia contro di lui un processo canonico che termina due anni più tardi con la condanna della sua dottrina e dei suoi libri (3 settembre 1687) e una solenne ritrattazione pubblica. Di conseguenza, gli viene imposta una durissima penitenza ed è condannato alla prigione perpetua nelle carceri del Santo Uffizio. Muore il 29 dicembre 1696. La condanna è ratificata con bolla Coelestis Pastor del 20 novembre 1687.

II. La dottrina. La ricostruzione del pensiero di M. si è basata sempre, fino ai primi decenni di questo secolo, sui documenti di condanna. Ciò implica una visione piuttosto parziale e, in fondo, deformante. Bisogna ricorrere ai suoi scritti, ai quali rimanda in forma generica, la condanna. Oltre all'opera fondamentale, la Guía espiritual, pubblica altri opuscoli molto brevi: uno sulla Comunione quotidiana (1675) e un altro sulla orazione mentale (1676). Prima della sua incarcerazione lavora ad un altro libro sequestrato e pubblicato in tempi recenti, intitolato Defensa de la contemplación.1 Questo riafferma, con nuove considerazioni e " autorità " di maestri spirituali, l'esposto nella Guía. Quasi identici concetti appaiono nelle poche lettere conosciute (circa sei) tra le molte che, si dice, abbia scritto.

Lo studio di queste fonti dimostra che M. non è un autore originale né pretende di esserlo. Insiste con forza sulle stesse idee e si sforza di dimostrare sinceramente che sono tradizionali. Per questo, la maggior parte delle sue pagine è costituita da citazioni dei maestri antichi o contemporanei ed egli non solo assume quello che crede eredità autentica della tradizione cristiana, ma segue direttamente altri autori del suo tempo, copiandoli alla lettera con plagi manifesti, come nel caso del mercedario Giovanni Falconi di Bustamante ( 1638).2 Questo fatto e gli scritti pubblicati prima della condanna furono approvati con lode dai migliori teologi residenti allora a Roma, incluso il teologo del Sacro Palazzo (Raimondo Capizucchi), imponendo una questione fondamentale: la prudenza delle proposizioni condannate e la sua relazione con gli scritti conosciuti. La risposta è oggi molto diversa da quella dei tempi passati, quando non si leggevano i testi autentici. Si può riassumere così: negli scritti conosciuti non si trovano alla lettera le proposizioni condannate; nemmeno può organizzarsi sulla base di questi una sintesi che corrisponda a quella presentata nella condanna. In questa si dice che quanto attribuito all'autore procede dai suoi detti, dagli scritti e dai testimoni dichiaranti. Nel processo si distingue chiaramente ciò che si riferisce alla dottrina e ciò che concerne la vita immorale. Né gli scritti conosciuti né le lettere sono base sicura per parlare di corruzione morale. Di quanto insegnato oralmente e dai testimoni deponenti poteva risultare altra cosa, specialmente per quanto concerne la condotta morale. Da come è giunta fino ad oggi la documentazione processuale, risulta compromesso un giudizio decisivo. Ciò che accetta la investigazione moderna, fuori di alcune voci discordanti, è che la dottrina esposta da M. nei suoi scritti non contiene le gravissime affermazioni del processo.

La sintesi delle medesime gira intorno ad una quantità di idee ripetute in mille forme. Sono quelle che circolavano nell'ambiente spirituale nel quale sorse il quietismo; ambiente che si è chiamato prequietismo, interpretandolo in senso peggiorativo ed esagerato. Era un clima spirituale molto ampio, nel quale si producevano esagerazioni, però non dottrine pericolose nella maggioranza dei libri che furono subito condannati per paura del quietismo. M. non fa altro che ripetere ciò che era sparso ampiamente nella letteratura spirituale sul tema meditativo-contemplativo.

Prende dagli autori classici del secolo precedente, specialmente della scuola teresiana, e concentra il suo insegnamento sulla " contemplazione ", come chiave del progresso nella vita spirituale. Nessun altro cammino è tanto sicuro, rapido e efficace per questo progresso come quello del " raccoglimento interiore ", " del silenzio interiore ", " della pace sicura " o della " contemplazione ". Da qui, l'impegno nell'insegnarlo ai maestri spirituali affinché possano introdurre e guidare così le anime. Si entra nel cammino interiore del raccoglimento o del " silenzio interno e mistico " con la meditazione, però è necessario superare prima possibile questa tappa per avanzare sulla via contemplativa, che a sua volta comprende due tappe o forme: una attiva o acquisita e un'altra infusa o passiva; la prima è possibile a tutti, però è imperfetta; la seconda, è dono gratuito di Dio ed è concessa a coloro che vi si dispongono convenientemente. E punto chiave per la interpretazione di M. la distinzione di questa doppia contemplazione, però manca in assoluto di originalità. L'avevano diffusa principalmente gli autori della scuola teresiana e si era convertito in luogo comune, incluso nella scuola domenicana, come attesta Giovanni di s. Tommaso ( 1644).

Requisito ineludibile per arrivare alla tranquilla e pacifica contemplazione è la negazione del gusto sensibile e dell'amor proprio; Dio, da parte sua, purifica coloro che vuole unire a sé per mezzo di terribili " martiri spirituali ". Gioca una carta importante in questo cammino, secondo M., il direttore spirituale, che necessita non solo di scienza, ma anche di esperienza e di " divina vocazione ". Negli orientamenti del direttore o maestro spirituale separa ciò che deve consigliare in materia di penitenze esteriori e corporali, però, soprattutto, vuole che dia impulso alle anime per il cammino interiore della contemplazione nel momento opportuno. Queste devono prestarle obbedienza " semplice e pronta ".

Su questi presupposti si appoggia la dottrina mistica di M. Non è facile determinare se procede anche dalla sua esperienza personale. Può sembrare un controsenso se si dà per buona la visione immorale della sua vita, tale come appare nel processo; sarebbe la negazione radicale di tutta la mistica cristiana. In cambio, l'appello ad una esperienza nel cammino dell'intimo raccoglimento, del silenzio interiore e mistico, è permanente nei suoi scritti. Mai confessa in prima persona di aver avuto esperienze di tipo mistico, però lascia bene intravedere che non si può né parlare né scrivere convenientemente, con " autorità morale " di questi temi senza esperienza. Per M., come per gli scrittori classici dell'epoca, la " mistica " non è la semplice esperienza di tutti i cristiani; si può solo considerare tale quella che arriva a certi gradi o livelli, come dire, quella particolarmente qualificata. In questo senso si deve impostare il misticismo personale di M.

Non gli si attribuiscono esperienze tipiche di quelle chiamate fenomenologia mistica; nemmeno si leggono pagine di indole narrativo o descrittivo nelle quali si possa scoprire una traccia autobiografica inconfondibile. Appena si può sospettare nei casi in cui ricorda esperienze come quella di Gregorio Lopez (cf Guía I,17, p. 197-198). Tantomeno tra i testimoni precedenti alla condanna ci sono affermazioni esplicative sulla sua vita mistica, sebbene diano per supposto che godesse di doni speciali nella direzione spirituale ed era " fedele e luminosa guida " (Ibid., 89-92). Non c'è dubbio che M. fosse pieno del " misticismo " ambientale che lo circondava attraverso i libri e i contatti con altri maestri spirituali.

Egli insiste ripetutamente sulla distinzione tra libri o maestri mistici e non mistici, però secondo lui " misticoa " è tuttavia un aggettivo che qualifica la teologia, la dottrina, la sapienza, ecc. ed equivale alla contemplazione e altri sinonimi. Non arriva alla formulazione della realtà o contenuto con il semplice nome di " mistica "; applica l'aggettivo tanto alla teoria come alla pratica, però solo questa merita tale qualificativo: " La scienza mistica non è di ingegno, ma di esperienza; non è inventata, ma provata; non letta, ma ricevuta e così è sicurissima ed efficace, di grande aiuto e frutto pieno. La scienza mistica non entra nell'anima per l'ascolto né per la continua lezione dei libri, ma per la libera infusione del divino Spirito... Questa non è scienza teorica, ma pratica, e supera con grandissimo vantaggio le più avvertite ed esperte speculazioni " (Ibid., Proemio, 103-104). M. non offre un'esposizione organizzata o sistematica della mistica; solamente aspetti e tratti dispersi partendo sempre dall'idea ripetuta che si tratta di un'esperienza intima arricchente che i " dotti puramente speculativi " non raggiungono. Il cammino della mistica è diretto per arrivare all'unione con Dio e sono molte le anime chiamate a lui, però non lo raggiungono se si accontentano della meditazione o se si fermano ad essa. " Nessuno di coloro che segue questo cammino, che chiamano scolastica, arriva per questo solo alla via mistica, né alla eccellenza dell'unione, trasformazione, semplicità, luce, pace, tranquillità e amore, come arriva a sperimentare colui che è condotto dalla grazia per la via mistica della contemplazione " (Ibid., III,17, 349). Espone con diverse formule ciò che egli intende per scienza, sapienza o teologia " mistica ", però non si sofferma sulla descrizione dei cosiddetti fenomeni mistici, come se per lui non esistessero o non lo interessassero; al contrario di ciò che si crede, è estremamente sobrio. Ciò che conta per lui è l'esperienza profonda, l'unione intima e duratura con Dio. Si deforma radicalmente la sua mistica quando la si identifica con l'" estasi " o la trance.

Chiarezza espositiva, sobrietà espressiva, bellezza letteraria sono le qualità di M. in un'epoca caratterizzata dal cattivo gusto, specialmente nell'ambito della letteratura spirituale.

Ciò che egli non possiede è l'originalità né la profondità di pensiero. Solo può mantenersi l'idea del " genio " per pregiudizi ideologici e religiosi o per mancanza di contatto con i suoi scritti. Il mito non sta in piedi.

Note: 1 Cf l'edizione critica di E. Pacho 1988; 2 Cf Ter 37 (1986), 339-373.

Bibl. Opere: Breve tratado de la comunión cotidiana, Roma 1675; Cartas a un caballero español, Roma 1676; Del epistolario de Molinos, Madrid 1912; Guía espiritual, Madrid 1976; Defensa de la contemplación, Madrid 1988. Studi: P. Dudon, Le quiétiste espagnol Miguel Molinos (1628-1696), Paris 1921; J. Ellacuría Beascoechea, Reacción española contra las ideas de Mi

guel Molinos, Bilbao 1956; P.M. Garrido, Un censor español de Molinos y de Petrucci, Luis Pérez de Castro, O.Carm. (1636-1689), Roma 1988; P. Moreno, El pensamiento de Miguel de Molinos, Madrid 1992; F. Nicolini, Su Miguel Molinos, Pier Matteo Petrucci ed altri quietisti segnatamente napolitani, in Bollettino dell'Archivio Storico del Banco di Napoli, 3 (1951), 88-201; E. Pacho, s.v., in DES II, 1636-1639; Id., s.v., in DSAM X, 1486-1514; Id., El quietismo frente al magisterio sanjuanista sobre la contemplación, in EphCarm 13 (1962), 353-426; Id., Molinos y Falconi. Reajuste de un mito, in Ter 37 (1986), 339-373; Id., El misticismo de Miguel de Molinos: raíces y proyección, in Aa.Vv., El sol a media noche: la experiencia mística: tradición y actualidad, Madrid 1997, 85-108; I. Paquier, s.v., in DTC X, 2187-2192; J.I. Tellechea, Molinosiana. Investigaciones históricas sobre Miguel Molinos, Madrid 1984; P. Vilas Boas Tavares, Portugal e a condenaçâo de Miguel de Molinos: impacto e primeiras reacçoes, in Via Spiritus, 1 (1994), 157-183.

E. Pacho

MONACHESIMO. (inizio)

Premessa. Movimento spirituale che sorge in diverse religioni e che, manifestandosi in forme diverse, presenta però elementi comuni finalizzati alla ricerca di una realtà che trascenda la vita presente. Mediante l'ascesi e la preghiera esso aspira a raggiungere l'esperienza del soprannaturale e la contemplazione. I tre grandi movimenti monastici sono quello cristiano, quello induista e quello buddista.

I. L'origine del m. cristiano risale ai primi convertiti, uomini e donne, che nelle città vivevano radicalmente la loro fede alla ricerca di un' unione intima ed esclusiva con Cristo. L'ideale di piacere soltanto a Dio e di anticipare sulla terra quella vita trascendente in cui Dio sarà tutto in tutti condusse più tardi numerosi cristiani in luoghi inabitati per vivere intensamente la proposta radicale del Vangelo. Nel sec. III c'erano anacoreti in Siria, in Palestina, in Mesopotamia e soprattutto in Egitto. Due grandi figure orientano il m. del sec. IV Antonio, chiamato padre degli anacoreti, maestro di quanti cercano l'esperienza di Dio nella solitudine, e Pacomio, considerato padre dei cenobiti, primo legislatore della vita monastica comunitaria. Gli anacoreti dell'Egitto intendono raggiungere, con forme di ascesi estreme e generose, quella quiete delle passioni (apatheia) che favorisce l'esperienza di Dio e la familiarità con lui e permette di dedicarsi alla preghiera del cuore (esicasmo), cioè alla preghiera senza parole. Infatti, il loro ideale monastico è la contemplazione. La preghiera non è soltanto la ripetizione di formule orali o di pensieri su un tema scelto (è allora meditazione), ma si innalza fino alla visione delle verità celesti: è contemplazione. Antonio insegna che la preghiera non è perfetta finché il monaco ha ancora coscienza di sé e sa di pregare. Atanasio descrive l'esperienza mistica degli anacoreti con queste parole: " Quando lo spirito umano si è staccato dalle cose corporali e, non essendo più attratto dal di fuori, non riceve sollecitazioni; quando si trova tutto in alto, raccolto in se stesso, come alla sua origine, allora, passando attraverso tutto ciò che è sensibile e umano, s'innalza fino alla cima e, vedendo il Verbo, in lui vede anche il Padre ". Cassiano, formato alla scuola del m. d'Oriente, indicando come fine per il monaco la purezza di cuore, si riferisce all'immutabile proposito di aderire sempre a Dio. La contemplazione (gnosis o theoria) è, in fondo, conoscenza esperienziale del trascendente, dell'unico necessario che sorpassa i meriti degli spiriti virtuosi. E un'illuminazione dello Spirito Santo che permette di conoscere Dio per connaturalità e fa scattare l'intuizione della sua presenza e del contatto con lui. Il monaco, giunto all'intimità con Dio, conduce una vita mistica nel senso generale del termine.

Nel suo esordio il m. orientale, con la sua giovanile generosità, manifestò alcune tendenze inquietanti nonché forme ascetiche eccessive. Diventò, però, una grande lezione per il m. occidentale che, fin dall'inizio, fu in grado di imitarne i modelli, ma nel contempo di riconoscerne e correggerne gli errori. Anche se nel 360 Martino di Tours ( 397) fondò a Ligugé il primo monastero occidentale, i due personaggi che hanno segnato in modo decisivo i monaci di Occidente sono Giovanni Cassiano e Benedetto da Norcia. Il primo fondò, nel sec. V, un monastero a Marsiglia, dopo aver visitato famosi monaci della Palestina e dell'Egitto e aver assimilato il loro insegnamento e la loro esperienza. Cassiano propose la vita cenobitica come una palestra dove si praticano le virtù: veglie, digiuni, povertà, lavoro, lettura e meditazione dei libri sacri, canto dei salmi, preghiera assidua. Si rinuncia al mondo e a se stessi per rivestirsi delle virtù del Maestro e Signore Gesù: povertà, obbedienza, umiltà, pazienza e soprattutto discrezione. Con il buon uso di questi mezzi si raggiunge la perfezione cenobitica che consiste nella purezza del cuore o carità perfetta. Raggiunta la carità, la purità del cuore e l'umiltà, il monaco comincia a gustare la contemplazione che per l'anacoreta diventa contemplazione continua. Non si tratta di estasi perpetua. Il termine contemplatio traduce i termini greci gnosi (conoscenza) e theoria (visione; contemplazione). E il premio che Dio dona a chi si è liberato dai vizi a prezzo di molto studio e molta fatica. La contemplazione è anche la penetrazione del senso spirituale più nascosto e dolce della Sacra Scrittura, cioè la percezione di Dio presente nella sua Parola. Con la sua Regola, capolavoro di equilibrio e di chiarezza, Benedetto da Norcia rappresenta il punto di confluenza delle maggiori e migliori tradizioni monastiche antiche orientali e occidentali. La mistica benedettina si muove in una visione più serena della vita, meno condizionata dal tema biblico del deserto e meno dipendente dall'ideale del martirio, caro ai primi monaci d'Oriente. Ne conserva i valori di fondo, ma prende molto sul serio l'esigenza ardua e profonda della vita cristiana vissuta radicalmente in comunità. Il monaco, secondo s. Benedetto, cerca Dio con tutte le sue forze. Tende a vivere in intima unione con Cristo, ma lo deve trovare nelle peculiarità normali della sua vita: opus Dei (la preghiera liturgica), lectio, obbedienza, ascesi equilibrata, lavoro e convivenza comunitaria. La mistica benedettina non è un fenomeno straordinario, legato ad una strategia di mortificazioni insolite. E una lettura trascendente che il monaco fa del suo vivere normale, che si esprime nella percezione soprannaturale del tempo, degli eventi, delle persone e anche della realtà, misera o grande che sia, della propria persona. La mistica benedettina è, in fondo, un'esperienza cristocentrica della vita, legata a quello stato di preghiera che implica stabilità, controllo, tranquillità. Una preghiera esistenziale che tende a finalizzare alla contemplazione, alla carità perfetta. Questa mistica semplice e profonda, più esigente di quanto possa sembrare, è in consonanza con tutta la tradizione monastica da s. Pacomio a dom Guéranger e perdura nonostante tutte le varianti di stile, tutte le riforme e le molte interpretazioni che il monachesimo ha subito in quasi due millenni di storia. Questa mistica ha permesso che non ci fosse attività religiosa, sociale o culturale - dall'agricoltura, alla scienza, all'arte - da cui i monaci benedettini rimanessero estranei. Abbandonando se stessi per seguire Cristo, lo trovano e vivono nella sua intimità, sperimentano la sua forza e la sua presenza in ogni situazione. Scegliendo di vivere a distanza dal mondo, osservando un'ascesi esigente ed equilibrata, rimanendo nella solitudine interiore, vivendo con distacco ogni incombenza terrena, i benedettini sono stati sempre disposti a servire la società in tutte quelle missioni che non si opponevano al loro ideale di vita. Radicati nella propria comunità monastica, vivono e servono all'interno della Chiesa alla continua ricerca dell'intimità con Dio, anticipando e gustando, nel presente ancora per fede, la realtà della pienezza escatologica.

III. La mistica del m. evoca sempre un rapporto, implicito o esplicito, con la più alta riflessione filosofica. Lo mostra lo stesso vocabolario - theoria, gnosis - che i padri del m. hanno mutuato dai filosofi per esprimere un altro tipo di contemplazione, quella teologica. Ad ogni modo, metafisica e mistica sono due termini che, ieri e oggi, non si possono separare. La mente umana è l'ambito in cui la ricerca, cosciente o incosciente, sul significato ultimo delle cose si apre a quella intuizione del contatto con il trascendente che per i credenti, illuminati dallo Spirito, diventa dono della presenza di Dio e della comunione con lui. Dal momento che la mistica dei monaci tocca le radici più profonde dell'essere umano, rimane sempre attuale il pensiero di s. Basilio che considerava i valori del m. validi per tutti i cristiani. Autori più moderni vedono nel m. un umanesimo integrale e sostengono che " scoprirsi monaco " è un'esperienza di ogni singola persona umana. L'ideale mistico della vita monastica, che non conosce distinzione tra uomini e donne, supera le differenze tra le diverse confessioni cristiane, si trova radicato nella tradizione delle chiese orientali ed è, inoltre, una base di dialogo fecondo con le forme di vita " monastica " di altre religioni.

Bibl. Aa.Vv., s.v., in DSAM X, 1524-1617; Aa.Vv., s.v., in DIP V, 1672-1742; Aa.Vv., Il monachesimo nell'alto Medioevo e la formazione della civiltà occidentale, Spoleto (PG) 1957; Aa.Vv., Il monachesimo orientale, Roma 1958; Aa.Vv., Monachesimo cristiano, buddhista, indù, Bologna 1978; M.G. Caracciolo, Lineamenti storici del monachesimo, Viboldone (MI) 1981; G.M. Colombás, Il monachesimo delle origini, 2 voll., Milano 1990; Id., Historia del monacato benedictino. 2 Voll., Zamora 1987; P. Cousin, Precis d'histoire monastique, Tournai 1956; P. Deseille - G.M. Colombas - J. Winandy, Essere monaci oggi, Magnano (BI) 1993; I. Gobry, Storia del monachesimo, 2 voll., Roma 1991; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 357-359; C.H. Lawrence, Monachesimo medievale, Cinisello Balsamo (MI) 19942; J. Leclercq, Cultura umanistica e desiderio di Dio, Firenze 1965; G. Penco, Storia del monachesimo in Italia, 2 voll., Roma 1961 e 1967; Id., Il monachesimo tra spiritualità e cultura, Milano 1991; A. Quacquarelli, Lavoro e ascesi nel monachesimo prebenedettino del IV e V secolo, Bari 1982.

P. Tragan

MONDO. (inizio)

I. Il termine. M. ha un significato multiplo, complesso e ambiguo. Esso, pertanto, è utilizzato per designare realtà dissimili e anche distanti tra loro. Ciò sia nell'ambito tecnico e culturale, sia in quello dell'esperienza religiosa. Così, con m. si può indicare un'entità astronomica, realtà storiche (m. romano, m. greco, ecc.), realtà socio-economiche (m. del lavoro, m. della finanza, ecc.), realtà culturali (m. dell'arte, m. della scienza, m. della letteratura, ecc.), realtà geografico-culturali (m. occidentale, m. orientale, ecc.), realtà psicologico-personali (m. interiore, ecc.).

M. è un termine che presenta tali caratteristiche perché, originariamente, risponde all'idea greca di un tutto - terra, cielo, animali, piante, uomini, dei, ecc. - ordinato e governato da un ordine universale che dà al tutto un'armonia. Tale unità è, però, risultata frantumata dall'esperienza umana, dall'evolversi del pensiero successivo e dal confronto tra cultura greca e altre culture, soprattutto nel m. moderno.

Nel linguaggio solenne attuale della Chiesa cattolica, il m. è " l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali essa vive " (GS 2); esso, pertanto, è inteso come " città terrena " (LG 36; GS 40); " città dell'uomo, da costruire a misura d'uomo " (G. Lazzati), distinta, con una sua relativa ma legittima autonomia, ma non per questo separata dalla " città celeste ", poiché " creata e conservata nell'esistenza dall'amore del Creatore " (GS 2).

II. Nella Scrittura. Il m. nella cultura veterotestamentaria non ha nessun termine che corrisponda al greco cosmos o al latino mundus. Ciò che nell'AT è detto " cielo e terra " (Gn 1,8; 14,19, ecc.) è altro rispetto alla divinità: è creazione e Dio non vi è immanente. La creazione è l'abitazione dell'uomo che qui incontra Dio.

Nel NT il m. è ancora il luogo, l'ambiente dell'uomo, ma ha una duplice valenza: negativa, poiché è l'insieme di persone, di strutture, di potenze che si oppongono a Dio (cf 1 Gv 2). E la desertificazione del giardino originario determinata dal peccato; positiva, poiché è la realtà che il Padre ama tanto da chiedere al Figlio di incarnarsi perché il m. sia salvo (cf Gv 3,16). E il deserto che, per la redenzione, è già il nuovo giardino messianico profetizzato da Isaia (cf Is 32,15; 35,1-7; 41,18-19; 43,19-20; 51,3), anche se non è ancora quello che aspetta " con ardente attesa, il battesimo cosmico dell'ultimo giorno quando sarà trasformato in un mondo nuovo (cf 2 Pt 3,13; Rm 8,18-25) ".1

La bivalenza del termine ha originato due diverse tendenze spirituali. Una, di gran lunga prevalente e di lunga durata, tesa a sottolineare un rapporto con Dio che esige la fuga o il contemptus del m., poiché esso risulta essere un " ostacolo al Dio totale ".2 Tale tendenza ha fatto sì che, nell'ambito cattolico in particolare, la stessa nozione di spiritualità venisse considerata non solo monopolio dei cristiani, ma di una categoria di essi: in particolare monaci ed eremiti,3 e che nelle maggiori opere dell'età contemporanea, come il Dictionnaire de spiritualité, ogni termine relativo al m. o alle realtà terrene non venisse preso in considerazione.

La seconda tendenza, che trova una sua manifestazione soprattutto in tempi recenti e sotto la spinta del movimento laicale, assume invece il m. nella sua valenza positiva e sottolinea come decisivo coniugare amore di Dio e amore del m., poiché esso è il regno dell'uomo, ma è, contemporaneamente, l'ambiente divino, l'ambiente in cui l'uomo incontra Dio (Teilhard de Chardin). Un incontro personale e totale, poiché il m. è " gravido di Dio " (Angela da Foligno). Così l'esperienza spirituale, ascetica o mistica che sia, viene sottratta al monopolio di una categoria di cristiani e a quella dei cristiani stessi, per aprirsi a ogni uomo.

III. M. e mistica. In entrambe le accennate tendenze spirituali è possibile individuare diverse esperienze mistiche, tutte di grande spessore, che hanno in comune un rapporto personale, intimo, senza intermediari tra uomo e Dio. Un rapporto che ha la sua immagine e il suo modello privilegiato nell'amore di tipo coniugale; che coinvolge, cioè, la totalità della persona: la sua interiorità, ma non meno la sua corporeità.

Ciò che distingue tali esperienze mistiche è che, in un caso, il m. si configura come ostacolo, come una realtà che tende a impedire l'unione amorosa; nell'altro caso, invece, il m. è il luogo, l'ambiente, la realtà che rende possibile l'unione totale.

In entrambe le esperienze, la tensione del mistico è giungere a un'intimità con Dio che lo faccia esclamare con Paolo: " Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me " (Gal 2,20). Meta, peraltro, mai raggiunta, poiché ogni esperienza mistica resta sempre un'intimità coniugale che è di unione totale, ma nella distinzione che persiste in un io e in un tu.

Si deve notare che nell'esperienza mistica, che non considera il m. un ostacolo all'unione sponsale creatura-Creatore, la creazione viene resa partecipe, a suo modo, di tale unione. Essa non è solo uno scenario che favorisce l'incontro e l'intimità più profonda e totale: è un elemento, un soggetto, di tale unione. In tal modo si ha una identità tra colui che vive tale esperienza e il sapiente biblico. E, cioè, un'esperienza d'amore non spiritualizzato, per cui " le esperienze del m. " e il m. stesso " sono sempre esperienze di Dio ".4

Si tratta di un'esperienza mistica che non esige né un particolare stato di vita, né la manifestazione di fenomeni che, tradizionalmente, si ritengono connessi a tale esperienza. Essa può essere vissuta nelle ordinarie condizioni di vita di ognuno che sia entrato sapienzialmente in rapporto con Dio e viva questo rapporto come autentico amore coniugale. Rapporto misterioso, certamente, ma si tratta d'un mistero per cui " i misteri del m. non hanno in ogni caso esistenza propria ", ma è in esso - nel mistero del m. - che " l'uomo non incontra che il mistero di Dio ".5 Il modello privilegiato di tale amore è quello sapienziale espresso nel Cantico dei Cantici, che è un testo che è stato " uno degli alimenti più costanti della pietà attraverso i secoli; ma contemporaneamente anche uno degli ispiratori di tutta la mistica occidentale ".6 È in questo senso che risulta legittimo dire che l'impegno e l'azione di promozione umana è un aspetto di esperienza mistica (G. Lazzati).

IV. Nell'età contemporanea. Invece di un'annunciata eclissi del sacro (S. Acquaviva), si manifesta una nuova religiosità, quasi come contraddizione della modernità (D. Hervieu-Léger), non estranea a un intrecciarsi di religiosità diverse che induce a considerare la mistica " una dimensione di qualsiasi esistenza umana, sia che si parta dalla prospettiva dell'analogia della relazione personale, per quanto riguarda l'aspetto affettivo, sia che prevalga la prospettiva del sentimento cosmico, per quanto concerne l'aspetto di assunzione attiva ".7 Nella nuova religiosità, il termine mistica è privilegiato rispetto a spiritualità, poiché si caratterizza per una diffusa ricerca di esperienze mistiche.8 Mistica intesa come via per giungere a un'unione con il divino, ma, nello stesso tempo, via per arrivare al profondo di sé e di unione con il cosmo, o con il m., che è percepito - sotto l'influsso di mistiche induiste, taoiste, buddiste - come organismo vivo. Il fine di questa via è quello di prender coscienza dell'unità e della reciproca relazione delle cose, di superare il concetto dell'Io individuale isolato e di identificarsi con l'" ultima realtà ".9 Via o esperienza mistica che, anziché collocarsi sul versante di un neopanteismo, sembra collocarsi su quello di un " panenteismo " (A.N. Terrin). Per tale via o esperienza, il m. è tutt'altro che un estraneo o un ostacolo per l'unione con il divino. Anzi, esso è elemento coinvolto nella ricerca; è esso stesso parte del divino.

V. La tendenza mistica che caratterizza, in qualche modo, la nuova religiosità trova espressione soprattutto tra i laici - in particolare tra le donne - ed è manifestazione di una nuova presa di coscienza della propria soggettualità. Si ha così una riedizione - peraltro assai differenziata - del risveglio di coscienza religiosa, particolarmente laicale, verificatosi in Occidente tra il XII il XIV secolo (M.-D. Chenu). Anche allora, tale risveglio " vede affermarsi tra i laici (...) una nuova religiosità, imperniata sul desiderio di fare da sé l'esperienza del divino, per "diventare per grazia quello che Dio è per natura", secondo la bella espressione di Maestro Eckhart ".10 E in quella nuova religiosità la componente femminile occupa un posto rilevante.11

Tra il risveglio di coscienza medievale e quello attuale vi è, però, una diversità profonda. Quello si è manifestato in una cultura profondamente religiosa e su una precisa struttura teologica cristiana. Quello di oggi si manifesta in una cultura secolarizzata e " parla il linguaggio di tutte le religioni, ma senza che gli sia essenziale nessuna religione ".12

È così necessario distinguere nella nuova religiosità - e particolarmente nella concezione di m. che in essa è presente - almeno due diverse esperienze mistiche. Esse, pur ricche di valori e contenuti, non possono essere ritenute identiche (K. Rahner). L'esperienza di unione con il divino, l'esperienza di sé e l'esperienza cosmica, che fa sperimentare l'essere parte di un tutto, dunque, l'esperienza del m. come organismo vivo e abitabile e, contemporaneamente, un'unità con il tutto, non sono la stessa cosa. Anzi, ritenere identiche tali esperienze è considerato " il punto debole fondamentale della "nuova religiosità". È vero che esse si aprono in direzione di Dio, che possono addirittura fondersi con l'esperienza di Dio, sino a formare un'unica esperienza. Solo però se si salvaguarda la loro differenza si riesce a scorgere la vera unità ".13

Se, dunque, occorrono cautela e discernimento nel valutare le esperienze mistiche che attualmente si cercano o si sperimentano, resta il fatto che in esse vi è un'unità in cui il m. appare come elemento in qualche modo non complementare o accessorio, ma necessario per giungere a un'esperienza piena d'intimità con il divino. Ciò, in particolare, tra i laici che, almeno nel cattolicesimo (ma non solo), sono considerati chiamati da Dio a essere intimamente uniti a lui per operare nella creazione coltivandola e conservandola con lo stesso amore del Creatore. Un compito che, peculiare e primario per il laico, trova espressione nel santificare o " consacrare " il m.

Note: 1 J.-J. von Allmen, Deserto, in Vocabolario biblico, Roma 1969, 311; 2 L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 98; 3 Cf S. De Fiores, Spiritualità contemporanea, in NDS, 1525; 4 A. Bonora, Cantico dei Cantici, in Aa.Vv., Il messaggio della salvezza, Torino 1985, 333; 5 Ibid.; 6 Cf O. Rousseau, Introduction, in Id., Origène, Homélies sur le Cantique, Paris 1966; 7 J.M. van

Cangh (cura di), La mistica, Bologna 1991, 6; 8 J. Sudbrack, La nuova religiosità, Brescia 1988, 177-199; 9 Cf F. Capra, Il Tao della fisica, Milano 1986; 10 A. Vauchez, Comparsa e affermazione di una religiosità laica (XII secolo-inizio XIV), in Aa.Vv., Storia dell'Italia religiosa, I: L'antichità e il Medioevo, Roma-Bari 1993, 425; 11 Id., I laici nel Medioevo, Milano 1989, 267-294; 12 G. van der Leeuw, La religion dans son essence et ses manifestation, Paris 1955, 494; 13 J. Sudbrack, La nuova... o.c., 302.

Bibl. S. Acquaviva, L'eclissi del sacro nella civiltà industriale, Milano 1961; Angela da Foligno, L'esperienza di Dio amore, Roma 1973; A. Bonora, Cantico dei Cantici, in Aa.Vv, Il messaggio della salvezza, V, Leumann (TO) 1985; F. Capra, Il Tao della fisica, Milano 1986; M.-D. Chenu, Il risveglio della coscienza nella civiltà medievale, Milano 1982; L. Cognet, Introduzione ai mistici renano-fiamminghi, Cinisello Balsamo (MI) 1991; S. De Fiores, Spiritualità contemporanea, in NDS, 1516-1543; P. Grelot - E. Pousset, s.v., in DSAM X, 1620-1646; D. Hervieu-Léger, Tendenze e contraddizioni della modernità europea, in Aa.Vv., La religione degli europei, Torino 1992, 1-9; G. Lazzati, Esperienza mistica e promozione umana, in Aa.Vv., Mistica e misticismo oggi, Roma 1979, 173-179; Id., La città dell'uomo. Costruire, da cristiani, la città dell'uomo a misura d'uomo, Roma 1984; S. Lyonnet, Perfezione del cristiano " animato dallo Spirito " e azione nel mondo secondo s. Paolo, in I. De La Potterie - S. Lyonnet, La vita secondo lo Spirito condizione del cristiano, Roma 1967, 285-312; G. Pozzi - C. Leonardi (cura di), Scrittrici mistiche italiane, Genova 1988; K. Rahner, Esperienza mistica e teologia mistica, in Id., Nuovi saggi, VI, Roma 1978; Id., Esperienza della trascendenza dal punto di vista dogmatico cattolico, in Id., Nuovi Saggi, VI, Roma 1981; G. Ravasi, Il Cantico dei Cantici, Bologna 1992; O. Rosseau, Introduction, in Id., Origène, Homélies sur le Cantique, Paris 1966; L.A. Schökel, Cantico dei Cantici. La dignità dell'amore, Casale Monferrato (AL) 1993; J. Sudbrack, La nuova religiosità. Una sfida per i cristiani, Brescia 1988; Teilhard de Chardin, L'ambiente divino, Milano 1968; A.N. Terrin, New Age, la religiosità del post-moderno, Bologna 1992; K.V. Truhlar, Sul mondo d'oggi, Brescia 1967; A. Vauchez, I laici nel Medioevo. Pratiche ed esperienze religiose, Milano 1989; Id., Comparsa e affermazione di una religiosità laica (XII secolo-inizio XIV), in Aa.Vv., Storia dell'Italia religiosa, I: L'antichità e il Medioevo, Roma-Bari 1993.

A. Oberti

MONTANISMO. (inizio)

I. Il m., movimento apocalittico sorto in Frigia, in Asia minore, verso la seconda metà del sec. II (probabilmente tra il 153 e il 156), deve il suo nome a Montano. In realtà, all'inizio, tale movimento fu chiamato dagli avversari " nuova profezia "; solo più tardi nel III e IV secolo ricevette il nome di " eresia frigia " o " m. ". Montano, che prima della sua conversione al cristianesimo era stato sacerdote di Apollo e di Cibele, dopo il battesimo si sentì chiamato dall'alto a diventare portavoce dello Spirito Santo, profetandone una nuova venuta nella Chiesa e in particolare annunciando la discesa della Gerusalemme celeste (cf Ap 21,1.10) sul villaggio frigio di Pepuza, ritenuto una nuova " città santa ". Egli si considerò l'incarnazione stessa dello Spirito e l'iniziatore di una nuova fase di rivelazione divina, dopo quella neotestamentaria. Andati distrutti gli scritti e le profezie di Montano e dei suoi seguaci - l'imperatore Costantino ne ordinò il sequestro e Arcadio la distruzione nel 398 -, frammenti e notizie indirette sul movimento sono tramandate da Eusebio di Cesarea ( 340),1 Tertulliano ( 223),2 Cipriano,3 Girolamo,4 Epifanio ( 535).5

II. I componenti del movimento. Importanti rappresentanti del m. furono alcune profetesse, come Priscilla e Massimilla, che si ritenevano anch'esse portavoce di Cristo e dello Spirito Santo. Più che di vistose eresie dottrinali, i montanisti, in un primo tempo, si fecero fautori di comportamenti carismatici esasperati, pretendendo di parlare in estasi e rivendicando alla loro predicazione la qualità di terza rivelazione dopo quella dell'AT e del NT. Con il loro spirito profetico essi intesero promuovere l'antico fervore della Chiesa risvegliando il carisma della profezia e della glossolalia, predicando l'imminenza della fine del mondo e propugnando un certo rigorismo morale ed ascetico, come la pratica del digiuno, il disprezzo del matrimonio, la condanna delle seconde nozze.

Una prima fase del m. si può considerare conclusa con la morte dell'" ultima profetessa ", Massimilla (probabilmente nel 178), quando, non verificandosi la fine del mondo, l'attesa spasmodica venne a poco a poco meno. All'inizio del sec. III iniziò una seconda fase, quella dell'accentuato rigorismo morale, che ebbe un interprete d'eccezione in Tertulliano (soprattutto a partire dal 207). Un indizio di questo rigorismo si ha, ad esempio, nella decisa proibizione a sfuggire al martirio: la fuga veniva vista come un'indebita connivenza con il mondo che stava per essere distrutto. L'imminenza della fine del mondo giustificava anche l'entusiasmo con cui i montanisti parlavano della rinuncia al matrimonio e della proibizione delle seconde nozze. In questo periodo, il rigorismo montanista assunse un grave carattere ereticale quando si oppose all'atteggiamento della Chiesa di perdonare i cristiani caduti nel peccato dopo il battesimo. E la contestazione del potere delle chiavi detenuto dalla Chiesa. Tertulliano, ad esempio, nel De pudicitia, non riconosce più tale potere ai vescovi: non sarebbe la chiesa gerarchica ad essere depositaria di questo potere di perdonare i peccatori, bensì la chiesa spirituale (ecclesia spiritus... non ecclesia numerus episcoporum 6).

Più che precursore dei movimenti carismatici contemporanei, il m. potrebbe essere visto - nei suoi risvolti positivi, superando cioè la sua concezione originaria che limitava la vera profezia solo a Montano, Priscilla e Massimilla - come un richiamo alla continua presenza dello Spirito Santo nella Chiesa, alla sua efficace influenza nella storia, alla sua costante ispirazione nella vita e nelle opere dei cristiani. In tal modo, esso si situa nel solco della storia della spiritualità e della mistica.

Note: 1 Hist. eccl. 5,14-19; 2 Adv. Prax. 1; 3 Ep. 75,10; 4 Ep. 41,3ss.;; 5 Panarion 48-49; 6 De pudicitia, 21,17.

Bibl. H. Bacth, s.v., in DSAM X, 1670-1676; A. Faggiotto, L'eresia dei Frigi, Roma 1924; Id., La diaspora catafrigia. Tertulliano e la nuova profezia, Roma 1924; A. Hollard, Deux hérétiques: Marcion et Montan, Paris 1935; P. de Labriollex, Les sources de l'histoire du Montanisme, Paris 1913; Id., La crise montaniste, Paris 1913; J. Lanczkowski, s.v., in WMy, 362-363.

A. Amato

MORALE. (inizio)

Premessa. Il significato odierno di m. e il suo rapporto con la mistica dipendono appunto dalla confessione religiosa di ognuno di noi. Infatti, in un primo momento, il termine ethos e il suo equivalente latino moralitas non erano intesi a riflettere il concetto di costumi di un popolo o di un altro, ma piuttosto ad indicare " la scienza delle disposizioni interne e personali [della persona] con le loro espressioni esterne e sociali ".1 Si avverte, comunque, una sempre crescente aspirazione verso la trascendenza e verso una nuova e più profonda scoperta di sé e dell'esistenza che ci circonda. E questo in un mondo severamente secolarizzato, che però manifesta un grande interesse per il futuro, per le realtà difficilmente spiegabili e per i significati interiori della vita.2 La persona umana odierna, perciò, nonostante lo stagno del materialismo che minaccia di affogarla, ha un urgente bisogno di scoperte profonde e interiori che potrebbero fornire risposte intelligenti e rilevanti alle sue tante, pur mal formulate, domande. Questa sete è segnalata da una nuova sensibilità per il mondo assiologico che viene cercato sempre di più dentro di sé piuttosto che al di fuori di sé.3

In passato, il rapporto tra m. e mistica fu tracciato su un livello di conoscenza scientifica e di decisione morale, in una chiave piuttosto filosofica,4 oppure da un punto di vista prettamente cristologico, mettendo in evidenza la necessaria armonia tra m. e vita spirituale, basata sulla centralità di Cristo, sull'importanza della persona umana e sul ruolo delle tre virtù teologali.5 Certo, queste ed altre sono senz'altro intuizioni legittime. Oggi, i moralisti sono sempre più coscienti di avere il compito di proporre un'etica orientata alla perfezione evangelica.6 Ad essi sembra che, tra i vari modi in cui la persona umana può scoprire e approfondire una mistica moderna, la m. contemporanea fornisca tre piste specifiche: 1. La scoperta e la susseguente costruzione di una interiorità trascendentale che inizi dal divino e riporti al divino; 2. La conseguente adorazione di Dio vissuta come atteggiamento cultuale e vittimale; 3. L'amore del prossimo realizzato come agâpe sacrificale.

I. L'interiorità trascendentale. Da molti secoli, la tradizione cristiana ha presentato dei quadri di riferimento e di contenuti per la scoperta e la costruzione di una interiorità trascendentale che veniva descritta genericamente col termine " mistica ".7 Le espressioni contemporanee della mistica tradizionale hanno modificato in qualche modo gli approcci passati: il rinnovamento degli studi patristici ed esegetici ha esteso lo stesso concetto di mistica, e i vari studi critici del dopoguerra hanno fornito diverse chiavi d'interpretazione degli stessi autori mistici. Il Concilio Vaticano II poi, descrivendo la vocazione universale alla santità, non fa nessun accenno alla vita mistica ma piuttosto parla della santità come " perfezione della carità ", ad imitazione di Cristo, cercando di essere sempre più conformi alla sua immagine, ognuno secondo il proprio stato e vocazione.8 Inoltre, abbiamo oggi varie esperienze mistiche che ci arrivano dalle tecniche della meditazione orientale (lo zen, yoga, ecc.),9 da una spiritualità specificamente orientale,10 nonché da una nuova apertura fornita dalle scienze empiriche umane che pongono delle domande finora sconosciute sulla vita dei mistici e il loro impatto sul mondo.11

D'altra parte, la morale cattolica, espressa più precisamente come " Teologia morale ", da tempo ha abbandonato le sue strutture legaliste pre-conciliari,12 per offrire al credente cristiano d'oggi delle piste che sfidano quell'infantilismo moralistico, ereditato dal Concilio di Trento, e che costruiscono una responsabilità personale basata sulla gloriosa libertà dei figli di Dio,13 che lascia spazio alle persone per essere se stesse e scrivere la propria autobiografia, pur con tutti gli sbagli ed errori umani! 14

Si può, certo, entrare nelle discussioni teologiche ed ecumeniche sulla possibilità di essere cristiano e di essere mistico,15 ma la teologia morale odierna assume come scontato il fatto che il ruolo del cristiano sia quello di vivere pienamente in Cristo, in fedeltà assoluta e totale alla sua opzione fondamentale,16 intesa come " quell'impegno umano per il Dio del NT che abbraccia la vita nella sua totalità e che, in misura più o meno profonda, può essere fatto oggetto di riflessione ".17

Questo impegno esplicito di vita implica almeno tre elementi: la viva aspirazione alla santità,18 il desiderio insaziabile di una conversione continua e sempre più profonda 19 che non lascia mai in pace la persona, e il coraggio di tentare di costruire ogni giorno, nel centro del proprio io, un santuario per il Signore dove adorarlo in silenzio e in serenità: " L'incontro con Dio si verifica nell'intimo dell'essere (...) ove il nostro io più intimo ritrova se stesso..[e dove] v'è la fonte ... da cui prorompe violentemente la vita-ethos, la vita di Dio in noi ".20

II. L'adorazione vittimale. Una volta che il cristiano abbia trovato un'interiorità trascendentale e dopo che abbia costruito il suo santuario interiore, ora può esprimere cultualmente la sua adorazione al vero Dio, basandosi sulle tre virtù teologali e vivendo al massimo la sua offerta eucaristica. E, infatti, in questo tema del culto che si può meglio specificare il rapporto tra mistica e m. Una definizione abbastanza recente del culto, infatti, ci aiuta a capire la non separabilità della vita mistica da quella morale. Tettamanzi definisce il culto in questi termini: " Il culto è la risposta all'opera salvifica del Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito Santo, da parte dei membri del popolo di Dio, mediante un servizio di fede e di carità, manifestato e attuato nella vita morale e nel rito sacro, come memoria-presenza-attesa della salvezza ".21 Il noto moralista non cita la virtù teologale della speranza, che invece sembra importante per completare il concetto di " attesa " nella dimensione cronotopica della stessa definizione. Comunque sia, la vita cristiana non può separare l'aspetto cultuale (" rito sacro ") dalla m. (" vita morale ").

Tutto ciò si nota con maggior chiarezza esaminando i vari meccanismi presenti in una vera partecipazione attiva al culto dell'Eucaristia. Certo, il Concilio Vaticano II ha tentato una grande rivoluzione liturgica con la sua Costituzione Sacrosanctum Concilium 22 e tutti ci rendiamo conto dei tanti cambiamenti realizzati nella liturgia dopo il Concilio.23 Resta, però, l'interrogativo se questi cambiamenti tocchino o meno l'interiorità della persona o siano semplici adattamenti esterni ai tempi moderni (per esempio, l'uso della lingua in vernacolo, le rubriche semplificate, l'attenzione alle letture, la musica contemporanea, lo scambio della pace, ecc.). Ma la vera partecipazione interiore consiste in ben altro. Occorre, invece, tener presente il duplice ruolo sia di Gesù sia della persona battezzata che partecipa alla celebrazione dell'Eucaristia. Gesù, infatti, svolge il ministero di sacerdote e di vittima simultaneamente. Lo fa pure il cristiano che è stato deputato al culto attraverso il battesimo.24 Perciò, nella celebrazione della santa Messa, Gesù come sacerdote offre se stesso come vittima e offre la persona battezzata come vittima. Simultaneamente, la persona battezzata permette e accetta questa offerta di sé da parte di Cristo mentre essa, come sacerdote, offre se stessa come vittima e offre Cristo come vittima. Tale offerta è santificata, poi, dallo Spirito Santo che la presenta al Padre il quale restituisce alla persona battezzata l'offerta immolata: Gesù nella Comunione e la stessa persona battezzata rinnovata come vittima! E in questo " circolo divino " che consiste una vera partecipazione attiva all'Eucaristia.

Naturalmente, la persona battezzata non può svolgere il ruolo di sacerdote offerente e di vittima offerta solo per pochi minuti durante la settimana! Occorre, perciò, sviluppare degli atteggiamenti sacerdotali e vittimali che aiutino la persona ad essere sacerdote e vittima anche nella sua vita morale e non solo al momento del culto formale. Questa " vittimalità " è il prodotto di un lungo cammino di auto-oblazione continua che impegna tutta la vita e, in modo particolare, la vita morale.

III. L'agape sacrificale. Con questo termine, la teologia morale, insieme con tutta la teologia, ha voluto distinguere l'amore del Vangelo da tanti altri tipi di amore, specialmente da quelli usati in senso ampio e non corretto della parola.25 Tutta la storia della cristianità è ricca di letteratura su questo tema! 26 Qui vogliamo far capire che l'agape fornisce un legame forte tra mistica e m., perché si tratta di quell'impegno amoroso per il benessere totale del prossimo. Tutta la rivelazione ne parla e fa capire che l'agape è un valore attivo e dinamico che ricerca le esigenze degli altri prima che vengano espresse e ci viene in aiuto in questo. Questo tipo di amore poi non dipende da una reciprocità, ma comincia con l'amore di quelli che ci amano (come l'amore dei malvagi e di quelli che non conoscono Dio: cf Mt 5,46s.), poi passa all'amore dei nemici e di quelli che ci odiano! Qui si conserva quel rapporto dialogico in quanto il cristiano comprende che anche il nemico è degno dell'amore di Dio, quindi degno del proprio amore. Infine, l'agape è sacrificale (cf Gv 15,16), non tanto sul livello raro del martirio quanto piuttosto su quello di assumere degli atteggiamenti sacrificali di disponibilità verso il prossimo, senza riserve e senza limiti!

Questo punto è direttamente connesso con quello dell'essere vittima: l'adorazione infatti e l'agape sono i due cardini della vita cristiana, della mistica e della m.! Il rendersi vittima insieme con Gesù viene espresso fuori dell'ambito strettamente eucaristico con l'agape sacrificale. L'essere reso vittima nell'oblazione della Messa, vuole dire vivere questo nei nostri rapporti interpersonali. Certo, a volte, l'amore per l'altra persona è severamente minacciato perché si pretende una reciprocità di una forma e un livello proiettati da noi sull'altra persona. Quando l'attesa reciprocità non arriva, il rapporto interpersonale potrebbe degenerare in una lotta di potere che potrebbe ferire e distruggere anziché arricchire e costruire l'altro! 27

In conclusione, la m. oggi assume il suo punto di partenza dalla centralità di Cristo e dall'importanza della persona, immagine di Dio e, così, dignitosa della sua libertà di figlia di Dio. La mistica fa altrettanto. Insieme portano al concetto del Cristo cosmico, guaritore di tutte le frammentarietà umane, rendendo ogni essere umano sano e completo in questa stessa immagine divina.28

Note: 1 B. Honings, Morale, in DES II, 1667; 2 Cf G. Celente, Trends 2000, New York 1997; 3 J. Redfield, The Celestine Vision: Living the New Spiritual Awareness, New York 1997, XVII; 4 Cf P. Valadier, Morale et vie spirituelle, in DSAM X, 1698-1717; 5 Cf J. Castellano, Morale e spiritualità, in DES II, 1670-1676; 6 Cf per esempio lo studio sui teologi individuali di T. Goffi, Etico spirituale: dissonanze nell'unitaria armonia, Bologna 1984; 7 Per un'ampia bibliografia, cf Aa.Vv., Mystique, in DSAM X, 1889-1984; 8 Cf LG 5,40; cf E. Ancilli, Santità, in Aa.Vv. Dizionario di Spiritualità dei Laici, II, Milano 1981, 247-268; 9 Cf C.B. Papali, Induismo, in DES II, 1301-1308; 10 Cf T. Spidlík, Oriente cristiano (spiritualità dell'), in DES II, 1777-1787; 11 A. Solignac, Mystique, Introduction, in DSAM X, 1889-1893; 12 Cf H. Kung, On Being a Christian, London 1978, c. I, 4; J. Fuchs, Human Values and Christian Morality, Dublin 1970; Id., Il Verbo si fa carne: Teologia morale, Casale Monferrato (AL) 1989; 13 Cf B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo, 3 voll., Alba (CN) 1980-1981; 14 Cf J.L. Lorda, Ascética y mística de la libertad, in Scripta Theologica, 28 (1996), 869-884; 15 Cf G. Moioli, Mistica cristiana, in NDS, 991ss.; 16 Cf Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, nn. 65-68; 17 K. Demmer, L'opzione fondamentale, in NDTM, 854-861; 18 Cf B. Häring, Santificazione e perfezione, in Ibid., 1144-1152; 19 Cf S. Bastianel, Conversione, in Ibid., 145-159; 20 L. Borriello, Prefazione al libro di L. Ceccarini, La morale come Chiesa, Napoli 1980, XVII; 21 D. Tettamanzi, Culto, in Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale, a cura di L. Rossi e A. Valsecchi, Roma 1973, 180; 22 Cf SC; 23 Cf E. Ruffini, Celebrazione liturgica, in NDS, 154-176; 24 Cf S. Tommaso d'Aquino, STh III, q. 63, aa. 1-6; 25 Cf M. Sbaffi, Carità, in NDS, 137-153; 26 Sembra assurdo tentare anche un minimo di riferimento bibliografico, comunque si possono vedere le varie voci nei Dizionari già citati e anche i seguenti: C. Spicq, Agape dans Le Nouveau Testament, 3 voll. Paris 1958-1959; A. Nygren, Agape and Eros, London 1953; T. Barosse, The Unity of the Two Charities in Greek Patristic Exegesis, in Theological Studies, 15 (1954), 355-388; G. Gilleman, The Primacy of Charity in Moral Theology, Westminster 1959; M. Williamson, A Return to Love, New York 1992; 27 Cf H. Hendrix, Getting the Love You Want, New York 1990; Id., Keeping the Love You Find, New York 1993; 28 Cf P. Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, Milano 1968.

Bibl. Aa.Vv., Toward Vatican III: The Work that Needs to be Done, D. Tracy - H. Kung - J.B. Metz (edd.), Dublin 1978; Aa.Vv. Mystique, in DSAM X; E. Ancilli, Santità, in Aa.Vv., Dizionario di Spiritualità dei Laici, II, Milano 1981, 247-268; T. Barosse, The Unity of the Two Charities in Greek Patristic Exegesis, in Theological Studies, 15 (1954), 355-388; S. Bastianel, Conversione, in NDTM, 145-159; P.L. Boracco, Ascesi e disciplina, in NDTM, 49-60; J. Castellano, Morale e spiritualità, in DES II, 1670-1676; G. Celente, Trends 2000, New York 1997; S. Consoli, Religione e morale, in NDTM, 1091-1012; K. Demmer, L'opzione fondamentale, in NDTM, 854-861; J. Fuchs, Human Values and Christian Morality, Dublin, 1970; Id., Il verbo si fa carne: Teologia morale, Casale Monferato (AL), 1989; G. Gilleman, Il primato della carità in teologia morale, Brescia 1959; T. Goffi, Etico spirituale: Dissonanze nell'unitaria armonia, Bologna, 1984; B. Häring, Liberi e fedeli in Cristo, Alba (CN), vol. 1 e 2: 1980; vol. 3: 1981; Id., Santificazione e perfezione, in NDTM, 1144-1152; H. Hendrix, Getting the Love you Want, New York, 1990; Id., Keeping the Love You Find, New York 1993; B. Honings, Morale, in DES II, 1666-1670; H. Kung, Essere cristiani, Milano 1976; J.L. Lorda, Ascética y mistica de la libertad, in Scripta Theologica, 28 (1996), 869-884; G. Moioli, Esperienza cristiana, in NDS, 536-542; Id., Mistica cristiana, in NDS, 985-1001; D. Mongillo, Virtù, in NDTM, 1450-1474; A. Nygren, Agape and Eros. La nozione cristiana dell'amore e le sue manifestazioni, Bologna 1971; G. Piana, Iniziazione cristiana, in NDTM, 597-608; S. Privitera, Esperienza morale, in NDTM, 349-354; J. Redfield, The Celestine Vision: Living the New Spiritual Awareness, New York, 1997; E. Ruffini, Celebrazione liturgica, in NDS, 154-176; M. Sbaffi, Carità, in NDS, 137-153; A. Solignac, Mystique, Introduction, in DSAM X, 1889-1893; C. Spicq, Agapé dans le Nouveau Testament, 3 voll., Paris 1958-59; T. Spidlík, Oriente cristiano (spiritualità dell'), in DES II, 1777-1787; Teilhard de Chardin, Il fenomeno umano, San Berbardino (CA) 1994; D. Tettamanzi, Culto, in Dizionario Enciclopedico di Teologia Morale, a cura di L. Rossi e A. Valsecchi, Roma 1973, 175-188; G. Thils, Santità cristiana, Alba (CN) 1970; P. Valadier, Morale et vie spirituelle, in DSAM X, 1698-1717; M. Williamson, A Return to Love, New York 1992.

M. Attard

MORTE MISTICA. (inizio)

I. Nozione e limiti. La m. è un fenomeno che ha ricevuto varie denominazioni (morte evangelica, morte spirituale, morte d'amore, morte al mondo, morte angelica, deliquio mistico). Come superamento di certi condizionamenti della vita terrena (la m. filosofica) è conosciuta sin dall'antichità, però è nella spiritualità cristiana che ha conosciuto uno sviluppo privilegiato. Tuttavia, il fenomeno è complesso e uno studio critico dello stesso risulta particolarmente difficile. Già dalla semplice semantica si tratta di binomi formati da termini nessuno dei quali è utilizzato in senso stretto e la cui giustapposizione dà un senso globale molto impreciso. Di conseguenza, sulla m. si danno solo definizioni generiche come " una condizione della vita cristiana che ad imitazione di Cristo comporta un passaggio attraverso la passione e la morte per accedere alla risurrezione ".1 Qui si vuole considerare la m. nel senso stretto di un fenomeno mistico, caratterizzato da un'autentica esperienza di carattere prevalentemente passivo. Per questo motivo, esso differisce dalle altre morti, che appaiono anche nel NT, come per esempio la m. misterica o sacramentale (cf Rm 6,4-11; 2 Tm 2,11), la morte di martirio (cf Fil 3,10), la morte di mortificazione (cf Col 3,5), o la morte apostolica (cf 2 Cor 4,10-11). Limitandosi a questo ambito più ristretto, si cercheranno nei mistici sperimentali la natura e le caratteristiche della m.

II. Nel corso della storia. Nei secc. XVII e XVIII la m. fu significativamente studiata come descrizione sperimentale (Maria d'Agreda), deviazione condannata dalla Chiesa (quietismo) e sintesi tra esperienza e riflessione (s. Paolo della Croce). Ad esemplificazione della prima forma di m. si riporta l'esperienza di Maria di Gesù d'Agreda. In occasione di una confessione generale (1651), questa fu chiamata ad entrare in una tappa spirituale nuova che sarebbe la m. La prepararono tre noviziati (quello della Vergine, quello di Gesù e quello di Dio). Ognuno di questi noviziati terminò con una professione che le procurò la sua propria m. In primo luogo, fu la morte al peccato, che completò con l'efficacia nuova di tipo mistico, l'effetto del perdono sacramentale. Seguì la morte alle conseguenze del peccato originale. L'ultima fu la morte alle realtà terrene, che la collocò in una forma di vita simile a quella degli angeli.2 Queste morti ebbero tre caratteristiche: furono sperimentali, molteplici ed irreversibili. La prima caratteristica apparve nella sua condizione interamente passiva e percettibile. La molteplicità consistette nelle ripetute e successive forme che rivestirono dette morti. L'irreversibilità consistette nella conseguenza dell'efficacia del dono mistico per mezzo del quale non rivisse più il peccato, una volta ricevuti gli effetti della m. Come il morire fisico di Gesù, anche la m. ora avveniva una volta per sempre (cf Rm 6,9). La m. risultò anche la chiave di volta della spiritualità quietista. La cessazione e morte della propria volontà procurava l'ingresso nella quiete (DS 2261-2263). Questi effetti erano irreversibili e procuravano all'uomo l'impeccabilità, collocandolo in una condizione uguale a quella dei beati del cielo.3 La condanna del quietismo fu sul punto di squalificare per sempre la dottrina della m. Fortunatamente, una tradizione spirituale radicata così fortemente nella Scrittura e nella tradizione resistette all'urto.

III. La m. come mistica dell'Incarnazione. Quando gli effetti negativi di quella deviazione furono superati, s. Paolo della Croce riabilitò la tradizione a partire dall'esperienza personale e dalla sintesi riflessiva, essendo stato l'unico autore a comporre un trattatello su questo tema. Per il santo, all'inizio c'è una forte chiamata all'abbandono totale dell'anima al volere di Dio. La m. consiste formalmente in un atto di identificazione del proprio volere a quello di Dio. La propria volontà resta perduta in Dio come l'obbedienza perfetta del Figlio di Dio (cf Fil 2,7-8). Questa morte radicale esige molte morti che la preparano e viene confermata da ulteriori morti che la consumano. Come atto comprende inseparabilmente la morte e la nascita mistica. Per il santo, la morte e la nascita mistica sono le due facce di uno stesso momento spirituale. La m. come atto pone l'anima nello stato di m., una specie di agonia che dura fino alla morte fisica e consuma l'unione nel morire perfetto di Gesù. In alcuni mistici recenti (per esempio, Conchita Cabrera de Armida), la m. si completa nell'incarnazione mistica. In queste anime la m. non termina né nella pura vita mistica né in un'esperienza di risurrezione, come nella morte di Cristo, ma nella presa di possesso dell'anima da parte del Verbo incarnato, cioè nella mistica incarnazione.

Note: 1 A.M. Haas, s.v., in DSAM X, 1790; 2 Cf La mistica città di Dio, III, intr. 11; 3 J. de Guibert, Documenta ecclesiastica christianam perfectionem spectantia, Romae 1931, 471.

Bibl. A.M. Artola, La natura del fenomeno spirituale chiamato " morte mistica ", in Aa.Vv., Salvezza cristiana e culture odierne, II, Leumann (TO) 1985, 489-508; Id., La muerte mistica según San Pablo de la Cruz. Texto critico y sintesis doctrinale, Deusto 1986; L. Borriello, In margine alla morte mistica di s. Paolo della Croce, in RivAM 49 (1980), 374-383; C. Brovetto, Introduzione alla spiritualità di san Paolo della Croce. Morte mistica e divina natività, Teramo 1955; A.M. Haas, Mors mystica. Thanatologie der Mystik, insbesondere der deutschen Mystik, in Philosophie und Theologie, 23 (1976), 304-392; L.M. Martinez, La Encarnación mistica, Mexico 19782; R. Mohr, s.v., in WMy, 364-365; A. Sorazu, La vida espiritual coronada por la triple manifestación de Jesucristo, Madrid 19562.

A.M. Artola

MORTIFICAZIONE. (inizio)

I. Il termine deriva evidentemente da morte e la realtà della m. ha come radice e motivazione il mistero pasquale del Cristo, cioè la sua passione, morte e risurrezione. Difficilmente si riscontra questo termine tra le voci delle virtù cristiane, sia nei dizionari, anche di spiritualità, sia come tematica a sé stante nei trattati di teologia spirituale. Appare, invece, collegata ad altri concetti come penitenza, purificazione, conversione, metanoia, crescita spirituale, ascesi. Nei trattati di teologia spirituale di solito appare prevalentemente identificata all'ascesi cristiana.

II. M. e crescita spirituale. La m. rientra, evidentemente, nell'ambito più ampio della crescita umana e cristiana, come dominio di sé, che rende possibile la costruzione dell'autentica personalità, richiesta al discepolo di Cristo. Essa, infatti, impedisce ad una tendenza peccaminosa o deviante, di sussistere, facendo compiere alla persona un cammino di liberazione autentica.

Per questo motivo, la m. è parte costitutiva di una vera educazione umana, lasciando "vivere" ciò che è bene, incanalando e orientando (non negando o sopprimendo in modo masochistico) le tendenze non buone. La m. viene ad essere così condizione di umanizzazione.

Come l'ascesi e le cosiddette " virtù passive ", la m. si colloca anch'essa, a livello di teologia spirituale, in un ambito più vasto. Innanzitutto essa va riportata al mistero pasquale del Cristo, in modo particolare alla partecipazione alla sua croce, e la si considera come parte integrante del cammino che l'uomo intraprende come risposta all'amore di Dio. Essa, infatti, aiuta a realizzare, gradualmente, quella pienezza di vita a cui è chiamato il cristiano senza che le esigenze evangeliche vengano addolcite a detrimento della stessa realizzazione dell'uomo e del figlio di Dio.

Bibl. L. Bouyer, Introduzione alla vita spirituale, Torino 1960 (in particolare 129-251); R. Garrigou-Lagrange, Vita spirituale, Roma 1965 (specificamente 95-110). Ch. Morel, s.v., in DSAM X, 1791-1799; A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, Roma-Tournai-Paris 1928; Tra gli Autori recenti: Aa.Vv., La spiritualità come teologia, Torino 1993 (in particolare, per una collocazione del tema nell'attuale impostazione della teologia spirituale: K. Waaijman, Cambiamenti nell'impostazione dei trattati di spiritualità, 311-335); Ch.-A. Bernard, Teologia spirituale, Cinisello Balsamo (MI) 1982 (in particolare 257-280; 433-454); L. Borriello, Lineamenti di antropologia spirituale cristiana, in Aa.Vv., L'esistenza cristiana, Torino 1990, 132-170; A. Guillaume, Prière, jeûne et charitè. Des perspectives chrétiennes et une espérance pour notre temps, Paris 1985; G. Rovira, Teologìa y pastoral de la mortificaciòn cristiana, in Scripta Theologica, 16 (1984), 781-811.

M.E. Posada

MURATORI LUDOVICO ANTONIO. (inizio)

I. Vita e opere. Erudito enciclopedico e principe della storiografia italiana, nasce a Vignola (MO) nel 1672, da modesta famiglia. Il desiderio di dedicarsi alla vita ecclesiastica e agli studi lo conduce nel 1685 alle scuole dei gesuiti di Modena, dove si laurea in legge nel 1694. L'influsso del benedettino B. Bacchini ( 1721) desta in lui l'ardore per le ricerche erudite. Ordinato sacerdote, è assunto nel 1695 come dottore alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Nel 1702 è chiamato a dirigere l'archivio e la biblioteca ducale di Modena. Da allora la sua vita si svolge tra l'esemplare attività pastorale nella parrocchia di S. Maria della Pomposa (affidatagli nel 1716) e la notevole produzione scientifica, meravigliosa per continuità, per mole e per metodo, soprattutto nel campo storico e letterario. Muore a Modena nel 1750. Qui di seguito si sottolinea il suo pensiero sulla vita e sulla pietà cristiana, espresso in alcune opere da lui dedicate a questi temi, ed espressione al tempo stesso del suo zelo sacerdotale.

In passato, per alcuni studiosi, nelle pagine che il M. ha dedicato alla pietà cristiana trasuderebbe un atteggiamento giansenista; per altri il suo spirito si sarebbe opposto fermamente al rigorismo antiumano di Port-Royal. Recenti ricerche, pur mettendo in evidenza coincidenze su alcuni punti, hanno rilevato la di lui esemplarità sacerdotale, sottomissione alla gerarchia, esplicito rifiuto del giansenismo, rettitudine delle intenzioni nel criticare abusi e pratiche fuorvianti, anche se a volte ciò dava motivo ad altri per critiche anticuriali e riformiste.

Testimoniano il suo genuino concetto di vita e pietà cristiana alcuni scritti di grande pregio, come l'opuscolo Della carità cristiana (1723) e anche il trattato Della regolata divozione dei cristiani (1747), il suo scritto spirituale più discusso, come si dirà più avanti. Più orientato nella linea delle idee riformiste appare il suo De superstitione evitanda (1742), pubblicato sotto lo pseudonimo di Antonio Lampridio, in cui mira a criticare la teatralità delle funzioni religiose e a combattere ogni forma di superstizione, le false estasi e i falsi miracoli. In un precedente trattato De ingeniorum moderatione in religionis negotio (1714) aveva già esaminato alcuni problemi della pietà discussi in quel tempo e criticava opinioni o credenze religiose non basate storicamente ed esagerazioni nel culto popolare della Madonna e dei santi.

La sua opera più importante, anche per l'influsso che ha esercitato, resta comunque la suindicata Della regolata divozione, che al suo apparire suscitò reazioni contrastanti: da chi la classificava come eretica fino a chi se ne mostrava entusiasta. Si presenta come un manuale di vita cristiana con la finalità di rinnovarla e purificarla nel clero e nei fedeli. È una piccola somma delle verità della fede cristiana e della sincera e autentica devozione che dette verità devono far nascere nel cuore e nella vita di ogni credente. Nel definire la " regolata divozione " si rifà a s. Tommaso d'Aquino e la collega alla SS.ma Trinità e alle tre virtù teologali. Esalta la preghiera, la mortificazione, l'umiltà unita al sacramento della penitenza, mentre dà all'Eucarestia un posto di rilievo nella vita cristiana, insistendo fortemente sulla partecipazione attiva ad essa da parte dei fedeli. D'altra parte, però, esprime alcune riserve sul culto dei santi e su quello mariano. La sua preoccupazione costante è richiamare ad una pietà teocentrica e ad una vita cristiana trinitaria. Il suo atteggiamento nei confronti della venerazione delle immagini sacre è conseguente di tale preoccupazione. Nello svolgere tutto questo discorso evita gli orizzonti poco chiari del quietismo e le asprezze del rigorismo giansenista, esprimendo una moderazione e una visione aperta all'ottimismo. Oltre all'uso continuo della Bibbia e al ricorso a citazioni di vari Padri della Chiesa, gli autori spirituali più consultati e da lui anche raccomandati sono: Ignazio di Loyola con i suoi Esercizi Spirituali, G. Bona, l'Imitazione di Cristo, il Combattimento spirituale. Altri autori che ricorrono spesso nei suindicati scritti muratoriani di carattere spirituale sono: Tommaso da Kempis ( 1471), Luigi di Granada, Teresa di Gesù, Francesco di Sales, Tommaso di Gesù, G.B. Saint-Jure ( 1657), B. Cambi ( 1617), B. Cacciaguerra ( 1566), G. Loarte ( 1578), S. Binet ( 1639).

Bibl. Opera: L.A. Muratori, Della regolata devozione dei cristiani, Cinisello Balsamo (MI) 1990. Studi: E. Amann, s.v., in DTC X, 2547-2556; A. Andreoli, Nel mondo di Ludovico Muratori, Bologna 1972; F. Cognasso, s.v., in EC VIII, 1523-1527; A. Dupront, L.A. Muratori et la societé européenne des pré-lumière, Firenze 1976; M. Monaco, La vita, le opere e il pensiero di L. A. Muratori e la sua concezione della pubblica felicità, Lecce 1977; M. Schenetti, La vita di L.A. Muratori ricavata dal suo epistolario, Torino 1972; P. Zovatto, s.v., in DSAM X, 1844-1847 (con abbondante bibliografia).

E. Boaga

MUSICA. (inizio)

Premessa. Di sua natura la m. ha carattere meditativo. Affonda le sue radici nei misteri inesprimibili di Dio. " Come rivelazione suprema è al di là di ogni sapienza e filosofia " (L. van Beethoven). E " l'arte suprema che ci salva " (R. Wagner), inizia quando tace la parola, commuove cuore e sentimenti, " spinge l'anima a inabissarsi nel mondo interiore e a sperimentare la presenza di Dio " (C.W. Gluck). Creando l'atmosfera di distensione, di quiete, accompagna la preghiera meditativa: l'uomo, afferrato dalle melodie, fa tacere l'attività intellettuale, si apre all'ascolto contemplativo e alla comunicazione di Dio.

I. Il canto religioso, usato nell'AT e nell'antichità cristiana per la lode di Dio (salmi), ad imitazione dei cori degli angeli (liturgie bizantine), è il mezzo per partecipare alla liturgia, elevandosi verso Dio " con giubilo ", cantando " il cantico nuovo " (s. Agostino).

La voce umana, attraverso modulazioni e ritmi, raggiunge uno stato di quiete, in cui l'anima, passando dalle sillabe alla bellezza delle armonie, sperimenta pace, gioia, immersione nel mondo divino. Sia il canto gregoriano (per esempio, l'esperienza di S. Weil) sia il canto polifonico (per esempio, la plurivocalità stupendamente articolata in Palestrina o in J.S. Bach), sono portatori della Parola di Dio, luminose espressioni del sentire umano, trasfigurato ed esaltato nella beatitudine del sentimento religioso.

II. La musica strumentale, usata già nell'AT nella liturgia per accompagnare il coro (dei leviti), crea l'ambientazione caratteristica dei vari momenti e tempi liturgici (gioia, lutto, riflessione meditativa); esprime pensieri di devozione (mariana), d'introduzione (laudativa) e di conclusione (laudativa) delle celebrazioni liturgiche, oppure diffonde armonie soavi durante i silenzi della meditazione sostenendo i colloqui con Dio. Come m. d'organo - lo strumento tradizionale della Chiesa -, come m. d'orchestra, come m. di strumenti a corda (arpa, violino) o a fiato (flauti), essa può elevare l'ascoltatore al di sopra di ogni concetto umano, conducendolo fino allo stato di estasi. Specialmente l'organo, per le sue capacità d'interpretare l'empito della fede e delle certezze cristiane, di commuovere al pianto e di innalzare alle realtà celesti è ancora oggi lo strumento " degno di sposarsi ai riti liturgici " (Pio XI).

III. Musica ed estasi. L'ascolto di musiche celesti è attestato dai mistici. Ildegarda di Bingen coglie interiormente melodie celesti, mettendole poi per iscritto. Riccardo Rolle ascolta i cori degli angeli nell'" incendio d'amore ", con immensa dolcezza. L'estasi è spesso accompagnata da m. celeste (dossologia, canto nuovo) (E. Susone, G. di Steinfeld). Nei grandi musicisti non sono, quindi, da escludere forme di ascolto estatico di melodie che rivelano come la m. sia uno dei veicoli privilegiati per realizzare l'unione con Dio nel suo duplice percorso di andata e ritorno verso e da realtà celesti.

Bibl. W. Apel, The Gregorian Chant, Bloomington 1958; G. Balan, Der meditative Umgang mit der Musik, in Meditation, 8 (1982), 24-26; 62-64; 96-98; W. Heller, s.v., in WMy, 366-367; J. Pelikan, Bach teologo, Casale Monferrato (AL) 1994; G. Ravasi, Il canto della rana. Musica e teologia nella Bibbia, Casale Monferrato (AL) 1990; A.D. Sertillanges, Preghiera e musica, Milano 1954; R.H. Wallau, Die Musik in ihrer Gottesbeziehung, Gütersloh 1948.

Giovanna della Croce