Pi/stij Xristou=: fede in Cristo

o affidabilità di Cristo?

VANHOYE ALBERT

I. Il problema

L’espressione pi/stij Xristou= suscita molte discussioni. Presenta, infatti, una triplice serie di problemi: quelli, in primo luogo, del significato preciso di pi/stij, che può voler dire "fede" nel senso di atteggiamento di fede o di contenuto della fede, e inoltre fedeltà, affidabilità, credito, mezzo di persuasione; ci sono poi i problemi del valore del genitivo, che può essere oggettivo, fede in Cristo, o soggettivo, fede di Cristo, o fedeltà di Cristo, o affidabilità di Cristo, o ancora un genitivo più vago, di relazione non precisata, una fede qualificata dal suo rapporto con Cristo, la fede cristiana; ci sono infine i problemi che riguardano la situazione di Cristo, che può essere quella passata, della sua vita terrena, ovvero la sua situazione presente nella gloria. Tutti questi problemi rendono impossibile una traduzione esatta, che dovrebbe conservare al testo tutta la sua apertura di significato. Ad esempio, la traduzione "fede in Cristo" è possibile, ma non è esatta, perché non lascia al lettore la facoltà di decidere tra i diversi sensi di pi/stij né tra i diversi valori del genitivo.

I testi in questione si trovano in due passi della Lettera ai Galati, in un passo della Lettera ai Filippesi e in uno della Lettera ai Romani, sempre in un contesto di discussione sulla giustificazione.

Il primo passo è Gal 2,16.20. Nel v. 16 Paolo enuncia per la prima volta la sua tesi della giustificazione per mezzo della fede, in questi termini:

"Sapendo che l’uomo non è giustificato in virtù di opere di Legge, ma soltanto per mezzo della pi/stij di Gesù Cristo, anche noi abbiamo creduto in Cristo Gesù, per essere giustificati in virtù della pi/stij di Cristo e non in virtù di opere di Legge, perché in virtù di opere di Legge non verrà giustificato nessuno [letter. ‘nessuna carne’]".

In questo testo, il senso di "fede in Cristo" è certamente accettabile, poiché troviamo nella stessa frase l’affermazione "abbiamo creduto in Cristo". Nondimeno, alcuni esegeti preferiscono il senso soggettivo, "fedeltà di Cristo" o anche "fede di Cristo".

In Gal 2,20, Paolo descrive la sua situazione di credente, dichiarando: "Ciò che adesso vivo nella carne, lo vivo nella pi/stij del Figlio di Dio, che mi amò e consegnò se stesso per me". In questa frase, non troviamo l’espressione "credere in", ma il senso oggettivo resta possibile, se si insiste sulla connessione tra pi/stij e "io vivo": "io vivo nella fede", quindi si tratta della mia fede nel Figlio di Dio; il senso soggettivo conviene ugualmente, perché si può concepire la pi/stij del Figlio di Dio come un’atmosfera nella quale vivo. Occorre allora precisare il significato di pi/stij, scegliendo tra fede, fedeltà e affidabilità.

Nel corso della discussione successiva sulla giustificazione, in Gal 3,22, Paolo afferma: "La Scrittura ha rinchiuso tutto sotto il peccato, affinché in virtù della pi/stij di Gesù Cristo, i beni promessi fossero dati ai credenti". Diverse interpretazioni appaiono possibili, perché questo testo parla della pi/stij e dei credenti: fede in Gesù Cristo, fede cristiana, fede di Gesù Cristo o fedeltà o affidabilità.

Nella Lettera ai Filippesi (3,9), il contesto è similmente di confronto tra due vie verso la giustificazione. Paolo esprime la sua presa di posizione dicendo: Cerco di essere trovato in Cristo "non avendo come mia giustizia quella che viene dalla legge, ma quella che viene per mezzo della pi/stij di Cristo, la giustizia cioè che viene da Dio, basata sulla pi/stij". Anche qui diverse interpretazioni appaiono possibili, genitivo oggettivo o soggettivo o di relazione, e significati diversi per pi/stij.

Nella lettera ai Romani l’espressione che ci interessa viene adoperata due volte in un passo estremamente importante, che viene dopo la parte negativa di descrizione della cattiveria umana (1,18-3,20). Paolo vi proclama la sua dottrina della giustificazione, dicendo: "Adesso è stata manifestata la giustizia di Dio [...] giustizia di Dio per mezzo della pi/stij di Gesù Cristo, per tutti i credenti" (3,22). Qui di nuovo l’esitazione è possibile tra fede in Gesù Cristo, o fede, fedeltà, affidabilità di Gesù Cristo, o fede cristiana. Il passo si conclude in 3,26 dicendo che Dio è "giusto e giustificante, giustifica colui che è dalla pi/stij di Gesù". L’espressione si trova senza il nome di Gesù in Gal 3,7.9 "quelli che sono dalla pi/stij" in contrasto con "quanti sono da opere di Legge" (Gal 3,10). Questo contrasto suggerisce che l’espressione si riferisce alla fede della persona umana, quindi la fede in Gesù. Però di nuovo il senso di fede o fedeltà o affidabilità di Gesù appare possibile.

Anche Giacomo parla una volta della "pi/stij del Signore nostro Gesù Cristo della gloria" (Gc 2,1). Si tratta della fede che i cristiani hanno; viene dal Cristo glorioso e mette in relazione con lui.

Infine, nell’Apocalisse, Cristo loda la Chiesa di Pergamo dicendo: "Tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia pi/stij" (Ap 2,13); in 4,12 parla di "quelli che osservano i comandamenti di Dio e conservano la pi/stij di Gesù". L’interpretazione più soddisfacente sembra essere anche qui la fede che viene dal Cristo glorioso e mette in relazione con lui.

Per i testi di Paolo, i commentari di solito riducono la questione alla scelta tra genitivo oggettivo e soggettivo, e concludono generalmente a favore del genitivo oggettivo1. Di conseguenza, le traduzioni optano per "fede in Cristo". Così, ad es., la traduzione italiana approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana in Gal 2,16:

"sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo".

Similmente in Gal 3,22: "la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo".

Questa traduzione non suscita nessuna difficoltà dal punto di vista dottrinale, poiché corrisponde a una affermazione chiara fatta da Paolo: "abbiamo creduto in Cristo" (Gal 2,16; cf. Fil 1,29) e a una espressione frequentissima nel IV vangelo ("credere in lui": Gv 2,11; 3,16.18 ecc., 32 ricorrenze).


Le opinioni

La discussione sull’espressione cominciò con un articolo di J. Hausleiter2 e alcuni anni più tardi con un contributo di Gerhard Kittel3, ma non ebbe un influsso duraturo. Il dibattito fu ripreso 50 anni dopo e diventò allora più vivo. Gabriel Hebert4 poneva la domanda "se la parola pi/stij, come la usa S. Paolo, non avesse un significato ebraico piuttosto che greco"5. In greco, "l’elemento intellettuale" sarebbe predominante. Aggiungeva d’altra parte che "in tutte le nostre lingue europee la ‘fede’ viene vista come un atto o un’attività dell’uomo". Dichiarava allora: "Su questo punto, il significato ebraico è molto differente; il verbo Nm) nelle sue diverse forme e il nome hnfw%m)v e altri nomi derivati hanno il senso fondamentale di fermezza, saldezza, sicurezza, e questo si applica anzitutto a Dio, di modo che hnfw%m)v, ‘fedeltà’, diventa un attributo divino"6. Per provare questa affermazione, Hebert cita il Salmo 36, in cui il salmista dice a Dio: "La tua fedeltà raggiunge i cieli". La conclusione è che "il termine ebraico che denota saldezza e fermezza si applica, propriamente parlando, a Dio e non all’uomo, il quale viene ripetutamente caratterizzato come fisicamente fragile e moralmente instabile"7. Hebert dimostra poi che il concetto ebraico è presente nelle lettere paoline. Effettivamente in Rm 3,3 Paolo usa l’espressione pi/stij qeou=, che non significa "fede in Dio" ma viene solitamente tradotta "fedeltà di Dio"8. In altri passi, Paolo applica a Dio la qualifica pisto/j, "fedele": "Fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo" (1 Cor 1,9; cf. 1 Cor 10,3; 1 Ts 5,24).

Di conseguenza, Hebert propone di tradurre pi/stij Xristou= con "faithfulness of Christ", "fedeltà di Cristo", e spiega che si tratta della "fedeltà di Dio manifestata nell’umana fedeltà di Cristo"9. La frase di Gal 2,16 diventa allora:

"Sapendo che l’uomo non è giustificato in virtù di opere di Legge, ma per mezzo della fedeltà di Cristo, anche noi abbiamo creduto in Cristo, per essere giustificati in virtù della fedeltà di Cristo e non in virtù di opere di Legge"10.

Tra le due traduzioni di Gal 2,16, "fede in Cristo" e "fedeltà di Cristo" la differenza si vede facilmente. "Fede in Cristo" indica ciò che l’uomo deve fare per essere giustificato; deve credere in Cristo; "fedeltà di Cristo", invece, indica ciò che Cristo ha fatto per procurarci la giustificazione: è stato fedele, ovvero si tratta della virtù presente di Cristo che ci assicura la giustificazione; Cristo è attualmente fedele, possiamo contare sulla sua fedeltà. Dal punto di vista della logica del testo, la prima traduzione è più coerente, perché i due membri di frase antitetici si corrispondono meglio a vicenda; il primo dice ciò che l’uomo non deve fare, il secondo ciò che l’uomo deve fare. La seconda traduzione è meno coerente, perché non esprime questa corrispondenza: da un lato abbiamo ciò che l’uomo non deve fare, dall’altro una virtù di Cristo. Occorre tuttavia riconoscere che, quando si tratta di un testo paolino, la mancanza di perfetta coerenza non è un argomento decisivo per escludere una possibile interpretazione. Paolo, infatti, non si preoccupa di perfetta coerenza nelle sue espressioni. Mescola, ad es., il "voi" e il "noi" in modo poco coerente, quando dice ai Galati: "E che voi siete figli, lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio..." (Gal 4,6). Ci vuole uno sforzo di riflessione per capire che in questo caso "i nostri cuori" comprendono anche "i vostri". Similmente, nella traduzione con "fedeltà di Cristo" è necessario uno sforzo per capire che l’atto di fede dell’uomo è accennato implicitamente; per essere giustificato l’uomo deve ricorrere con fede alla fedeltà di Cristo. Se non ci fosse questa esigenza, tutti gli uomini sarebbero automaticamente giustificati e la predicazione della fede cristiana sarebbe superflua. È fin troppo evidente che questa ipotesi è direttamente contraria alla convinzione dell’apostolo.

Il vantaggio della traduzione con "fedeltà di Cristo" sta nel fatto che esprime la parte attiva tenuta da Cristo nella giustificazione, mentre "fede in Cristo" esprime soltanto la parte tenuta dall’uomo. Hebert mette in rilievo questo vantaggio. La teologia protestante, nella sua esclusione di ogni attività umana nel processo della giustificazione, si è sforzata di escludere anche la fede come atto umano. Hebert cita in proposito una frase di William Law, con la quale conclude il suo articolo: "Supponiamo che un uomo conti sulla propria fede e un altro sulle proprie opere, allora la fede dell’uno e le opere dell’altro sono ugualmente gli stessi stracci sporchi"11.

In realtà, la fede è richiesta; non è un’opera assimilabile alle opere della Legge, perché consiste nell’appoggiarsi completamente sul Signore. "Contare sulla propria fede" è una espressione contraddittoria, se viene intesa nel senso di contare su se stesso; la fede, infatti, è l’atteggiamento di colui che non conta su se stesso, ma si affida interamente a un altro. D’altra parte, la fede è un dono di Dio e non un’opera meramente umana (cf. Fil 1,29); comprende tuttavia un aspetto di attività umana, suscitata e accompagnata dalla grazia divina.

L’articolo di Hebert fu severamente criticato da James Barr nel suo celebre libro sulla "Semantica del linguaggio biblico"12. Barr fa rimprovero a Hebert di aver commesso errori metodologici in linguistica. Effettivamente, Hebert ha torto ad affermare che "il termine ebraico che denota saldezza e fermezza si applica, propriamente parlando, a Dio e non all’uomo"13. Un esame dei testi biblici dimostra infatti che )emunah viene applicato all’uomo e non soltanto a Dio e niente permette di pretendere che per l’uomo l’uso sia improprio14. D’altra parte, secondo Barr, Hebert ha anche il torto di dare troppa importanza all’etimologia e di trattarla "come se fosse un senso soggiacente, presente in ciascuno dei termini derivati e determinante per il valore di tutti"15. Il senso di un vocabolo viene determinato dal suo uso nella vita sociale e può avere poco rapporto o perfino nessuno con l’etimologia. Altra critica ancora: Hebert attribuisce ai termini un contenuto teologico che non hanno in se stessi, ma che è espresso da tutto un testo. Ad es. il verbo "credere" (he’emin in ebraico) descriverebbe "l’uomo che cerca rifugio dalla propria fragilità e instabilità in Dio che è fermo e saldo"16. Questo atteggiamento viene certamente espresso in molti passi della Bibbia, ma non dal verbo he’emin da solo. Quando la Bibbia riferisce che "Abramo credette al Signore" (Gn 15,6), il senso che risulta dal contesto è semplicemente che Abramo accettò come vera la promessa fattagli da Dio.

Hebert può quindi essere criticato dal punto di vista linguistico. Non ne segue tuttavia che le sue proposte siano prive di ogni valore. L’idea stessa che, nei testi paolini considerati, pi/stij possa designare la fedeltà di Cristo piuttosto che la fede dei credenti merita considerazione. Pi/stij in greco può effettivamente avere il senso di fedeltà e questo senso consente una interpretazione plausibile dei testi. Conviene soltanto verificare se un’altra accezione di questa parola non si accordi meglio con il contesto.

Due anni dopo l’articolo di Hebert, Thomas Torrance scrisse un articolo che abbonda nel senso di Hebert e propone altre precisazioni. C.F.D. Moule espresse poi il suo dissenso e Torrance gli rispose17. Torrance ragiona, come Hebert, sull’etimologia del verbo Nm) e del nome hnfw%m)v: "il significato fondamentale della radice aleph, mem, nun, pare sia in stretta relazione con l’intensa coscienza di famiglia di Israele"18. James Barr critica vigorosamente tale affermazione19, che è priva di base linguistica valida. Sul punto checi interessa, Torrance riprende per pi/stij Xristou= la traduzione con "fedeltà di Cristo", "Nel maggior numero dei passi, la pi/stij 'Ihsou= Xristou= non si riferisce unicamente alla fedeltà di Cristo o alla rispondente fedeltà dell’uomo, ma è essenzialmente una espressione polarizzata che denota la fedeltà di Cristo come suo principale ingrediente ma comprende anche o almeno suggerisce la rispondente fedeltà dell’uomo e così la sua credenza in Cristo; però,anche in se stessa, la fedeltà di Cristo comprende nel contempo la fedeltà di Dio e la fedeltà dell’uomo Gesù"20. Questa frase sovraccarica è ricca di contenuto, teologico piuttosto che esegetico,affermato, non dimostrato.

Nella sua critica, Moule fa obiezioni all’affermazione sulla fedeltà di Cristo come "principale ingrediente" dell’espressione pi/stij Xristou= 'Ihsou=. Egli obietta che il genitivo può essere oggettivo piuttosto che soggettivo, che diversi testi parlano inequivocabilmente della fede in Cristo e che, senza complemento, pi/stij significa chiaramente la fede del credente in diversi passi paolini. Aggiunge che una tale insistenza su quanto Dio ha fatto in Cristo "riduce seriamente il necessario riferimento all’atto di volontà dell’uomo in risposta all’approccio di Dio"21. Torrance risponde che il suo articolo riguardava soltanto un aspetto del concetto biblico di fede; poi ribadisce che aveva parlato di "polarized expression"22. Sembra che Torrance abbia usato impropriamente il vocabolo "polarized" (James Barr glielo rimprovera)23 al posto di "espressione comprensiva di due sensi correlativi", fedeltà di Cristo e adesione dell’uomo.

Alla fine della sua risposta, Torrance ricorda in termini nuovi un’affermazione che aveva fatto nel suo articolo e che costituiva una innovazione rispetto allo studio di Hebert: la nostra fede in Cristo "deve prendere in considerazione il significato salvifico della sua storica umanità, compresa la sua umana obbedienza e fede"24. La cosa nuova consiste nell’attribuire a Cristo non soltanto la fedeltà, ma la fede. Questo non era venuto in mente a Hebert, il quale, citando una traduzione inglese "through faith of Jesus Christ", osservava: "questo è difficilmente intelligibile come sta"25, e poi parlava unicamente della "fedeltà" di Cristo. Per Torrance, invece, "Gesù Cristo non è soltanto l’incarnazione della pi/stij divina, ma Egli è l’incorporazione e attualizzazione della pi/stij dell’uomo nell’alleanza con Dio", "Egli è anche un Credente, Credente però per noi, vicariamente Credente ... credette per noi, fu fedele per noi..."26. Torrance non porta nessuna prova a conferma di questa audace affermazione.

Questa posizione propone un problema esegetico molto serio perché è allo stesso tempo un problema dottrinale. Possiamo forse ridurre il Figlio di Dio a una situazione da semplice credente?

Dal punto di vista esegetico va tenuto presente che l’apostolo Paolo non esprime mai la relazione di Gesù Cristo con Dio per mezzo del verbo pisteu/ein, "credere". Di Abramo Paolo dice ripetutamente che "credette a Dio" (Rm 4,3.17-18; Gal 3,6), che era un "credente" (Gal 3,9). Ma non di Cristo.

La stessa costatazione si ripete in tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento. Benché il verbo pisteu/ein vi sia frequentissimo (più di 240 occorrenze), non vi si trova mai una frase che dica che Gesù abbia creduto. Una sola volta Gesù è soggetto del verbo pisteu/ein, cioè in Gv 2,24; la frase però è negativa e il verbo è riflessivo: "Molti credettero nel suo nome, vedendo i miracoli che faceva; Gesù però ou)k e)pi/steuen au)to\n au)toi=j, cioè: non affidava se stesso a loro, perché li conosceva tutti".

Questa costatazione negativa ricopre un contenuto molto positivo, cioè che la relazione di Gesù con Dio era più stretta e più intima di una semplice relazione di fede. Gesù è "il Figlio di Dio"; Paolo non si stanca mai di ripeterlo (Gal 2,20; cf. Rm 1,3-4.9; 5,10; 8,3.29; 1 Cor 1,9; 2 Cor 1,19; Gal 1,16; 4,4.6; 1 Ts 1,10). La relazione di Gesù con il Padre è di un altro ordine della nostra, figli di "adozione" (Gal 4,5; Rm 8,15), divenuti tali per mezzo della nostra fede in lui (cf. Gal 3,26). Se Cristo fosse ridotto al livello di un semplice credente, sarebbe impossibile "credere" in lui con una fede teologale.

In seguito parecchi autori hanno adottato il senso soggettivo per l’espressione pi/stij Xristou= e hanno tradotto pi/stij con "fede". Il loro concetto di fede, però, è molto variabile. Pierre Vallotton propugna l’interpretazione soggettiva del genitivo Xristou=, ma definisce la fede di Cristo "la sua obbedienza e la sua fiducia nel valore salvifico della sua morte"27; non si tratta quindi di fede propriamente detta. In altri passi, però, questo autore si esprime diversamente. Anzitutto non esita ad attribuire a Dio stesso l’atto di credere; scrive: "Dio crede che la sua giustizia sia giustificante [...]. Nel contempo, Dio crede che l’uomo vorrà essere giustificato, crede che l’uomo crederà...", poi scrive: "In quanto è mediatore, Gesù condivide interamente la fede di Dio"28.

G. Taylor propone una interpretazione molto diversa, cioè di natura giuridica: pi/stij nel senso di fidei commissum29, parola che designa un incarico di fiducia dato in un testamento a un erede a profitto di altre persone: Dio ha costituito Cristo suo erede e nel contempo l’ha incaricato di liberare i suoi fratelli, che erano schiavi. Non si tratta qui di fede, ma di adempimento fedele di un incarico.

Nel 1969, Markus Barth propugnò il genitivo soggettivo30.

Ma non distingue "fede" da "fedeltà" e intende l’una e l’altra nel senso di "obbedienza fedele". Dice: "L’interpretazione del termine paolino pi/stij con ‘fedeltà’, nel senso di fedele obbedienza (quale viene aspettata nell’A.T. dal partner dell’alleanza con Dio) non sta in disaccordo con ciò che Paolo vuol dire". Poi da "fedeltà" passa a "fede" e dichiara: "Nella dottrina paolina, obbedienza e fede non sono distinte come pratica e teoria, ma - lo dimostra Rm 1,5 - sono inseparabili e identiche"31. Non si può dire però che obbedienza e fede siano identiche secondo Paolo. Paolo parla dell’"obbedienza della fede" in Rm 1,5 [e 16,26], ma questa espressione significa soltanto che la fede ha un aspetto di obbedienza. Non ogni obbedienza è obbedienza di fede. Quando Paolo mette in contrasto "l’ascolto di fede" e "le opere della Legge" (Gal 3,2.5), egli contrappone la fede in Cristo a una certa obbedienza, l’obbedienza alla Legge. Markus Barth afferma che "i riferimenti all’obbedienza di Gesù sono equivalenti a riferimenti alla sua fede"32. Di consequenza, secondo Paolo, Gesù sarebbe stato un semplice credente, giacché Paolo dice che fu "obbediente" (Fil 2,8).

Richard Hays presenta favorevolmente l’interpretazione secondo la quale "Gesù Cristo, come Abramo, è giustificato in virtù della sua pi/stij"33, un’idea che presuppone che Gesù sia stato prima peccatore, poi giustificato, il che si trova in contraddizione aperta con tutto il Nuovo Testamento e in particolare con il passo in cui Paolo chiama Cristo "colui che non conobbe peccato" (2 Cor 5,21). Richard Hays propone di tradurre pi/stij 'Ihsou= Xristou= "la fede di Gesù Cristo"34, però, quando spiega il testo di Paolo parla di "fedeltà" (faithfulness) piuttosto che di fede (faith) e la sua conclusione va nello stesso senso. "Abbiamo propugnato in questo capitolo l’idea che l’espressione pi/stij Ihsou Xristou= possa venire intesa come un riferimento alla fedeltà dell’unico uomo Gesù Cristo, il cui atto di obbediente oblazione sulla croce divenne il mezzo con il quale la ‘promessa’ di Dio fu adempiuta"35. Il testo di Gal 2,16 viene tradotto così: "...abbiamo posto la nostra fiducia in Cristo Gesù in modo da essere giustificati sulla base della fedeltà di Cristo"36 < >. Questa traduzione indebolisce notevolmente il testo di Paolo, poiché non parla più né di credere né di fede, ma soltanto di fiducia e di fedeltà.

L. Ramaroson ebbe il merito di mostrarsi consapevole dell’esistenza di un problema dottrinale e di prendere una netta posizione in proposito: "... precisiamo che non si tratterà della ‘fede teologica’ definita dai dottori scolastici e di cui dicono, tra altre cose, che essa è incompatibile con la visione beatifica (Summa Teol., III, 7,3)"37. Dopo di che esprime una opinione simile a quella di Richard Hays: "per Paolo la fede è una obbedienza: hupakoe4 pisteo4s (Rm 1,5; 16,26); ora Paolo parla di Gesù obbediente e dell’obbedienza di Gesù [...] Fil 2,8 [...] Rm 5,19b". Un raffronto tra Rm 5,19b e Gal 2,16a dimostra che "per Paolo, in tali testi, u(pakoh/ e pi/stij sono sinonimi e che la pi/stij 'Ihsou= è la fede vissuta da Gesù" cioè: la sua totale sottomissione al Dio e Padre che è tutto per lui"38.

Come abbiamo già notato, dal fatto che la fede sia una obbedienza non si può concludere che ogni obbedienza sia la fede, né da un parallelismo si può concludere con una sinonimia. Al contrario, spesso un parallelismo aiuta a vedere le differenze. Ed è il caso qui, un altro esegeta l’ha notato. C.H. Cosgrove dichiara che il testo di Rm 5,19 fornisce un argomento decisivo contro l’interpretazione "soggettiva" di pi/stij Xristou=, poiché "nell’unico contesto in cui l’apostolo sottolinea la morte di Gesù come obbedienza che produce la giustificazione, egli parla della u(pakoh/ di Gesù e non della sua pi/stij"39. Sull’obbedienza di Gesù, L. Ramaroson aggiunge senza dimostrazione che "è essenzialmente fiducia"40. Comunque, fede-fiducia, fede-sottomissione, implicano un uso improprio del termine fede, che indebolisce notevolmente le affermazioni antitetiche di Paolo. Tra le "opere della Legge" e la "fiducia di Cristo" è difficile vedere un’antitesi.

Un ultimo articolo di cui conviene riferire è quello di Morna D. Hooker41. Hooker si mostra consapevole, come Ramaroson, delle difficoltà dottrinali suscitate dall’attribuzione della fede a Cristo, ma le minimizza. Non menziona il fatto che l’atto di credere non sia mai attribuito a Cristo né da Paolo né da nessun altro autore del Nuovo Testamento. D’altra parte, non distingue fede da fiducia. Parla di "faith/faithfulness" di Cristo42: "Se [Paolo] presenta Cristo come il Secondo Adamo, allora possiamo aspettarci che lo presenterà come possedente tutte le qualità che uomini e donne dovrebbero avere: cioè come giusto, obbediente, fedele. Se abbiamo delle difficoltà con l’ultima di queste idee [cioè con l’attribuire a Cristo la fedeltà] è presumibilmente perché Cristo è lui stesso tanto sovente l’oggetto della fede"43. La frase passa dal concetto di fedeltà a quello di fede. Il fatto che Cristo sia spesso presentato come oggetto della fede non costituisce affatto una difficoltà per attribuirgli la fedeltà. La difficoltà sorge soltanto se si attribuisce a Cristo la fede. Infatti, se Cristo è credente, questo vuol dire che in sé non è saldo, ma deve ricorrere a un altro per rimediare alla propria debolezza.

Hooker osserva che come modello di fede non è Cristo ad essere proposto da Paolo ai cristiani, ma Abramo in Rm 4. "Cristo, sarebbe un modello totalmente inappropriato. Paolo non può dire di Cristo che ‘credette in Dio e questo gli fu contato come giustizia’ [...] perché nel suo caso non era necessario contare la fedecome giustizia, poiché egli era giusto"44. A questa ragione se ne dovrebbe aggiungere un’altra ancora più radicale, cioè, che il rapporto di Cristo con Dio era più profondo e immediato di un rapporto di fede. Hooker non si pone però questa domanda e afferma che Cristo condivide la fede di Abramo. A proposito di Gal 3,22, "affinché la promessa in virtù della pi/stij di Gesù Cristo fosse data ai credenti", dichiara: "La promessa fu fatta ad Abramo e al suo seme (v. 16), ma fu fatta sulla base della fede di Abramo; essa è adempiuta in Cristo, che è seme di Abramo e dunque condivide la sua fede"45. Come ho già fatto notare, Paolo dice e ripete che "Abramo credette" (Rm 4,3.17.18; Gal 3,6); non dice mai: Gesù credette.

Hooker analizza molti passi delle Lettere paoline e trova parecchi argomenti per appoggiare l’interpretazione soggettiva dell’espressione pi/stij Xristou= nel senso di "fedeltà" di Cristo. In una prima tappa, ella ritiene di aver dimostrato che in Gal 3 e Fil 3 "la logica suggerisce che il genitivo soggettivo è inteso", ma fa subito la domanda: "Ma è sufficiente la logica?"46. Una seconda tappa consiste però nel cercare di nuovo argomenti di logica, basati su due testi che non contengono l’espressione pi/stij Xristou=, ma parlano, l’uno della fedeltà di Cristo (2 Cor 1,17-22), l’altro dello "stesso spirito della fede" (2 Cor 4,13). Sul primo testo, che dichiara che le promesse di Dio sono divenute "sì" in Cristo, dice a ragione: "Si potrebbe dire che Cristo è l’incarnazione (‘embodiment’) della fedeltà di Dio" e che "attraverso Cristo [Paolo] stesso partecipa di questa fedeltà"47. Su 2 Cor 4,13 "Avendo lo stesso spirito della fede come sta scritto: Credetti, perciò parlai, anche noi crediamo", Hooker propone di completare la frase mettendo: "Avendo lo stesso spirito della fede come Cristo"48. Il testo però non parla semplicemente di fedeltà, ma di credere. Alla fine, Hooker parla similmente di fede, tuttavia con una certa prudenza: "Sembra logico suggerire che la fede dovrebbe essere vista come una partecipazione nella fede di Cristo, il quale ebbe fiducia in Colui che era capace di dare vita ai morti. [...] Se l’unico modo in cui i cristiani possono essere obbedienti è partecipando all’obbedienza di Cristo, non dobbiamo forse concludere che l’unico modo in cui essi possono credere è partecipando alla sua fede?"49. Non pare legittimo il passaggio surrettizio dal concetto di fedeltà all’atto di credere. La dimostrazione fatta da Hooker rende plausibile l’interpretazione di pi/stij Xristou= come "fedeltà di Cristo", ma non ha stabilito che, secondo Paolo, Cristo credette.

Jacques Guillet ha cercato di mostrare che Gesù credette e che la sua fede era compatibile con la sua relazione immediata con il Padre50. Ma precisamente Guillet non pretende di fondare questa ipotesi teologica sui testi di Paolo, la fonda su un’analisi di testi evangelici. Su Paolo egli dichiara: "Bisogna rinunciare a cercare, nella fede di Gesù Cristo messa in rilievo da Paolo, l’indicazione di una fede vissuta da Gesù"51.


 

III. Le proposte

Dopo questa lunga indagine, che dovrebbe essere ancora completata52, possono essere proposte alcune osservazioni. La prima è che non è il caso di presentare come un dilemma la scelta tra senso oggettivo e senso soggettivo, perché questi due sensi sono correlativi. La seconda è che conviene capire in modo giusto la correlatività. Questo ci conduce a considerare il senso di "affidabilità" per quanto riguarda la pi/stij di Cristo.

Prima osservazione: quando si tratta di fede, nel senso proprio della parola, si tratta di una relazione interpersonale: "noi abbiamo creduto in Cristo" (Gal 2,16). In questa relazione, ci sono sempre due posizioni correlative, cioè la posizione di colui che suscita la fede e quella di chi crede. Ne risulta che tra senso oggettivo e senso soggettivo non si pone un vero dilemma, in cui un senso escluderebbe l’altro. Al contrario, un senso presuppone sempre l’altro. Perché io mi possa appoggiare fermamente su Cristo, è necessario che Cristo sia un appoggio saldo. Dire che Cristo è un appoggio saldo, vuol dire che lui suscita la fede e ne è il fondamento.

La giustificazione, secondo Paolo, richiede che io per mezzo della mia fede mi appoggi fermamente su Cristo. Dio me lo presenta come appoggio saldissimo. Cristo risorto è la pietra posta da Dio per servire di base alla fede. Paolo e anche Pietro citano in proposito Is 28,16: "Ecco pongo in Sion una pietra [...] e colui che crede su di lei (traduzione letterale di e)p' au)tw=|.) non proverà confusione" (Rm 9,33; 10,11; 1 Pt 2,6). Dei due lati della relazione di fede il più importante è evidentemente il lato di Cristo, perché condiziona l’altro. Ciò che rende possibile la mia fede è il fatto che, attraverso il suo mistero pasquale, Cristo è divenuto il fondamento della fede, la pietra stabilita da Dio come base dell’edificio.

Diversi esegeti partono da questa osservazione giustissima per raggiungere una conclusione erronea. A proposito di Gal 2,16, che oppone le "opere di Legge" e la "pi/stij di Cristo", dicono che la "pi/stij di Cristo" deve significare la parte fondamentale presa da Cristo nell’opera della nostra giustificazione. L’apostolo, però, ha la scelta. In un dato testo egli può scegliere di indicare ciò che io devo fare per essere reso giusto; questo non significa negare l’importanza maggiore della parte presa da Cristo nella giustificazione. Anzi l’insistere sulla necessità della mia fede implica il riconoscimento di questa importanza. In Gal 2,16, la logica del brano richiede che alle "opere di Legge" venga contrapposta la fede del cristiano e non una pi/stij vissuta da Cristo. La domanda che si pone, infatti, è: "Che cosa deve fare l’uomo per essere giustificato?" La risposta è: "Non le opere della Legge, ma un atto di fede in Cristo". Alcuni obiettano che questa interpretazione rende il testo ripetitivo, perché attribuisce lo stesso senso a pi/stij Xristou= e a pisteu/ein ei)j Xristo/n. Ma è chiaro che Paolo ha proprio voluto scrivere un testo ripetitivo, per inculcare fortemente il suo insegnamento: egli ripete tre volte in questa frase "non da opere di Legge" e ripete tre volte il verbo "giustificare"; non si vede perché dovrebbe evitare di ripetere tre volte il punto principale della sua tesi, cioè l’esigenza di aver fede che si impone all’uomo perché sia giustificato.

Questo non significa che pi/stij Xristou= sia un genitivo puramente oggettivo, "fede in Cristo". Il valore del genitivo è meno determinato, più complesso. Suggerisce diverse relazioni tra la fede del cristiano e Cristo53: fede suscitata da Cristo nel cuore del credente, fede configurata dalla Passione e Risurrezione di Cristo, fede che fa vivere in Cristo. Nel suo recente commentario di Galati, J. Louis Martyn parla in proposito di "genitivo di origine" e di "genitivo di autore"54. Adolf Deissmann, all’inizio di questo secolo, parlava di "genitivo mistico"55. Tutte queste sfumature sono plausibili, perché corrispondono a pensieri espressi altrove da Paolo. Però, in questo passo di Galati, si tratta della fede del cristiano e non di una fede vissuta da Cristo.

Molti dei propugnatori del senso soggettivo di "fede di Cristo" propongono per fede un senso debole, oppure improprio, quello di fedeltà, di obbedienza, di fiducia. Questo non sembra accettabile. Quando si tratta della fede del cristiano, è chiaro che Paolo la intende in un senso molto forte, che non è semplicemente quello di fiducia, né di fedeltà, né di obbedienza. Per Paolo, la fede del cristiano consiste nell’accettare Cristo come unico fondamento della propria relazione con Dio. Se, dal lato del cristiano, la fede ha questo significato forte, dal lato di Cristo deve avere un significato correlativo altrettanto forte.

Molti commentatori, che non pensano all’aspetto di correlatività, concepiscono i due lati della relazione di fede in modo simmetrico: "fedeltà" da ambedue i lati, o "fede" da ambedue i lati. Si trovano perciò davanti a un dilemma tra due soluzioni ugualmente contestabili: o danno a pi/stij nell’espressione pi/stij Xristou= un senso debole che non conviene per la fede del cristiano, oppure il suo senso proprio e fanno allora di Cristo un semplice credente. Spesso navigano tra questi due estremi, parlando confusamente di "fede-fedeltà".

Per evitare il dilemma basta rinunciare all’idea di parallelismo sinonimico e adottare quella di correlazione tra due aspetti che non sono identici ma si corrispondono organicamente. Infatti, nel caso della relazione di fede tra noi e Cristo, la posizione di Cristo non può essere identica alla nostra. Cristo è colui che offre appoggio, mentre noi siamo quelli che si appoggiano.

Pi/stij in greco serve ad esprimere i due aspetti correlativi della relazione di fede. Può designare tanto l’atteggiamento di chi offre appoggio, quanto quello di chi si appoggia. Aristotele, nella sua Retorica parla delle pi/steij che servono in un discorso per persuadere gli uditori: "Le pi/steij amministrate per mezzo del discorso sono di tre specie: le une consistono nel carattere dell’oratore (ethos), le altre nel fatto di disporre l’uditore in un certo modo [pathos], le altre nell’argomentazione stessa (logos) in quanto dimostra o sembra dimostrare"56. In questo passo, pi/stij non significa né fede né fedeltà, ma mezzo di persuasione, appoggio fornito all’uditore per fondare la propria convinzione. Questo senso si ritrova in At 17,31.

Quando si tratta di persone, il senso correlativo a quello di fede è "credibilità" o "affidabilità". Posso credere in una persona nella misura in cui ella è affidabile. L’idea esattamente correlativa a quella di fede, non è fiducia, né obbedienza, né fedeltà, bensì affidabilità, perché l’affidabilità è la condizione di possibilità della fede57. Nell’epistola agli Ebrei, l’aggettivo corrispondente, pisto/j, applicato a Cristo (Eb 2,17; 3,2), non va tradotto "fedele", come si fa di solito, ma "degno di fede". Cristo è un "sommo sacerdote degno di fede per le relazioni con Dio" (Eb 2,17).

Rom 3,3 offre un bel esempio di pi/stij nel senso di "affidabilità"; ma i traduttori sogliono mettere invece "fedeltà". Paolo, a proposito dei Giudei, domanda: "Se alcuni non hanno creduto, la loro assenza di fede annullerà forse la pi/stij di Dio?" Non si tratta della fede di Dio né della sua "fedeltà", ma della sua "affidabilità", come dimostra la frase seguente: "Non sia mai, ma resti fermo che Dio è veritiero e ogni uomo bugiardo" (Rm 3,4). Un pò più avanti, Paolo usa l’espressione "la verità di Dio", che illumina il senso della "pi/stij di Dio". In altri due passi della stessa lettera, pi/stij ha il senso analogo di "credito" (Rm 10,3.6); i profeti debbono attenersi alla "misura di credito" che Dio ha concesso loro.

È chiaro dunque che i due sensi correlativi di pi/stij sono "fede" e "affidabilità". Un atto di fede consiste sempre nell’incontro di queste due forme di pi/stij, da una parte "l’affidabilità" di chi offre un appoggio saldo e dall’altra parte la fede di chi si affida a questo appoggio. Il contesto può richiedere che sia direttamente intesa la seconda forma; in tal caso la prima non è pertanto assente, ma è presente implicitamente e viceversa, quando è la prima forma ad essere direttamente intesa.

In Gal 2,16 il senso preferibile per pi/stij è quello di fede del cristiano, però l’espressione fa anche riferimento all’affidabilità di Cristo; pi/stij Xristou= vuol dire fede del cristiano suscitata e sostenuta dall’affidabilità di Cristo. Resta possibile preferire l’altra traduzione e dire che "l’uomo viene giustificato in virtù della perfetta affidabilità di Cristo". In tal caso, la fede del cristiano, non direttamente espressa, rimane implicitamente significata.

Gal 2,20 è particolarmente interessante, perché il senso più direttamente inteso sembra quello soggettivo e la frase suggerisce le ragioni della perfetta affidabilità di Cristo: "Ciò che vivo adesso nella carne, lo vivo nell’affidabilità del Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha consegnato se stesso per me". Cristo è affidabile per due ragioni: prima perché è il Figlio di Dio e poi perché mi ha amato al punto di consegnare se stesso alla morte per me. Non si possono trovare ragioni più valide. Queste due ragioni si completano a vicenda, poiché la prima riguarda la relazione di Cristo con Dio e la seconda, la sua relazione con noi. D’altra parte, corrispondono ai due aspetti del mistero pasquale di Cristo. Infatti quando Paolo dice qui "il Figlio di Dio", non intende il Figlio nella sua preesistenza eterna, ma Gesù Cristo, "stabilito Figlio di Dio con potenza [...] in virtù della risurrezione dai morti" (Rm 1,4). La vita presente di Paolo sta in relazione con la situazione presente di Cristo, situazione di gloria divina. Questa gloria però prende il suo senso per noi dal fatto che è stata ottenuta in ragion della sua passione sofferta per amore nostro. Paolo esprime tutto questo nella sua frase e ciò conferisce alla pi/stij di Cristo un contenuto estremamente profondo che supera di molto la capacità semantica delle traduzioni. In greco pi/stij era molto più dilatabile. La traduzione con "affidabilità", quindi, rimane sempre un pò insoddisfacente.

* * *

Mi pare che il concetto di correlazione abbia portato un pò di luce nei complessi problemi dell’espressione pi/stij Xristou= e abbia semplificato la situazione. Una volta che si è visto che l’atto di credere è sempre l’incontro di due forme correlative di pi/stij, cioè la pi/stij-affidabilità di chi assicura un appoggio saldo e la pi/stij-fede di chi accetta questo appoggio, non c’è più il dilemma imbarazzante della scelta tra senso oggettivo e senso soggettivo, poiché, essendo correlativi, i due sensi sono sempre presenti insieme, l’uno esplicitamente e l’altro implicitamente. La fede del cristiano, infatti, è sempre legata all’affidabilità di Cristo; anzi è sempre un dono di Cristo. Quindi l’espressione pi/stij Xristou= non ha mai semplicemente il senso oggettivo di "fede in Cristo", ma comprende sempre una relazione più complessa con Cristo, perché la fede è suscitata da Cristo per mezzo del suo mistero di morte e risurrezione, è donata da Cristo al credente e l’introduce nella vita di Cristo.

Più di un esegeta aveva proposto una interpretazione che andava in questa direzione, ad es. T.F. Torrance quando dichiarava che la pi/stij Xristou= comprendeva insieme "la fedeltà di Cristo" e la "rispondente fedeltà dell’uomo"58 < e la >. Però la mancanza di attenzione al funzionamento della correlazione aveva per conseguenza una visione confusa dei rapporti tra la pi/stij di Cristo e quella del cristiano.

La ricerca del concetto correlativo a quello di fede ha messo in rilievo un senso di pi/stij abitualmente trascurato dai commentatori59, quello di "affidabilità". Eppure la perfetta affidabilità di Cristo è un’affermazione essenziale del Nuovo Testamento. Cristo è la pietra stabilita da Dio come saldissimo fondamento della fede (cf. Rm 9,33). La sua affidabilità caratterizza la sua situazione attuale; Cristo è perfettamente degno di fede in quanto è stato glorificatoda Dio. Però questa glorificazione è la conseguenza della sua dedizione, piena di amore, alla nostra salvezza. L’espressione pi/stij Xristou= sta quindi in relazione con tutto il mistero pasquale. Chi ci viene presentato da Dio come degno della nostra fede è il suo Figlio, glorificato perché ci ha amati fino a morire per noi.

SUMMARY

The meaning of the Pauline pi/stij Xristou= is the subject of much discussion. Is the genitive here objective: "faith in Christ" or subjective: "the pi/stij of Christ"? In the latter interpretation the problem is the meaning of pi/stij. "The faith of Christ" comes up against the fact that the act of believing is never ascribed by Paul to Christ, nor is it ascribed to him elsewhere in the New Testament. The "faithfulness of Christ" avoids this objection but is a weak alternative. The fact that pi/stij also has the meaning of "credibility" or "trustworthiness", is sometimes overlooked. This is the meaning which suits some texts because the "trustworthiness" of Christ is what makes the Christian’s "faith" possible.

 

Notes:

* Una prima versione di questo testo è stata presentata nella conferenza tenuta nell’Aula Magna del Pontificio Istituto Biblico il 4 novembre 1998.

1 Ne dà un elenco A.J. HULTGREN, "The Pistis Christou Formulation in Paul", NT 22 (1980) 249-263, cf. n. 9; 249-250. Nella nota 10 (250) Hultgren indica due commentatori che si pronunciano a favore del genitivo soggettivo: H.W. SCHMIDT, Der Brief des Paulus an die Römer (THNT 6; Berlin 1962) 66 e J. BLIGH, Galatians (London 1969) 203-205. Il secondo, in realtà, ammette soltanto la possibilità del senso soggettivo, sceglie però il senso oggettivo per la propria traduzione. Due commentatori recentissimi scelgono il senso soggettivo: J.L. MARTYN, Galatians (AB 33A; Doubleday 1998) 263-271; S.K. WILLIAMS, Galatians (NTC; Nashville 1997) 75, per Gal 2,20. Per Gal 2,16 Williams sceglie il genitivo di relazione e traduce "Christ-faith" (67-70).

2 J. HAUSLEITER, "Der Glaube Jesu Christi und der christliche Glaube: ein Beitrag zur Erklärung des Römerbriefes", NKZ 2 (1891) 109-145, 205-230.

3 G. KITTEL, "Pistis Iesou Christou bei Paulus", TSK 79 (1906) 424.

4 G. HEBERT, "Faithfulness and Faith", Theology 58 (1955) 373-379.

5 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 373: "whether the word ‘faith’, as St Paul uses it, carries a Hebrew rather than a Greek meaning".

6 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 374: "It is just at this point that the Hebrew meaning is sharply different; the verb )aman in its various forms, and )emunah and the other derivative nouns, have the fundamental meaning of ‘firmness’, ‘steadfastness’, ‘sureness’; and this applies above all to God, so that )emunah, faithfulness, becomes a divine attribute".

7 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 374: "the word denoting steadfulness and firmness applies properly to God and not to man, who is repeatedly characterized as physically frail [...] and as morally unstable"; l’enfasi nel testo è mia.

8 Ad es. Bibbia della CEI, Bible de Jérusalem, Traduction Śuménique de la Bible. Propongo una nuova traduzione a p. 19.

9 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 376: "the faithfulness of God manifested in Christ’s human faithfulness".

10 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 377: "We, knowing that a man is not justified by works of the Law, but through the faitfulness of Christ Jesus [dia pisteo4s Christou Ie4sou], we too believed in Christ Jesus, that we might be justified by the faitfulness of Christ [ek pisteo4s Christou], and not by works of the the Law".

11 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 379: "Suppose one man to rely on his own faith and another to rely on his own works, then the faith of the one and the works of the other are equally the same worthless filthy rags".

12 J. BARR, The Semantics of Biblical Language (Oxford 1961) ch. 7: "Faith and Truth - an Examination of some Linguistic Argument", 161-205.

13 Cf. nota 7; sottolineatura AV.

14 BARR, The Semantics, 162-163.

15 BARR, The Semantics, 163: "Dr Hebert treats the etymology as if it was an underlying meaning present in each of the words and determining the value of all of them".

16 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 374: "The words ‘faith’ and ‘to believe’ (he)emin) [...] describe man taking refuge from his own frailty and instability in God who is firm and steadfast"; sottolineatura dell’autore.

17 T.F. TORRANCE, "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", ExpTim 68 (1957) 111-114; C.F.D. MOULE, "The Biblical Conception of ‘Faith’", ExpTim 68 (1957) 157; T.F. TORRANCE, "The Biblical Conception of ‘Faith’", ExpTim 68 (1957) 221-222, con risposta di C.F.D. MOULE, ExpTim 68 (1957) 222.

18 TORRANCE, "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", 111: "the fundamental significance of )mn seems to be related to the intense family-consciousness of Israel".

19 BARR, The Semantics, 171-175.

20 TORRANCE, "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", 113: "In most of these passages the pistis Iesou Christou does not refer only either to the faithfulness of Christ or to the answering faithfulness of man, but is essentially a polarized expression denoting the faithfulness of Christ as its main ingredient but also involving or at least suggesting the answering faithfulness of man, and so his belief in Christ, but even within itself the faithfulness of Christ involves both the faitfulness of God and the faithfulness of the man Jesus".

21 MOULE, "The Biblical Conception of ‘Faith’", 157: "seriously to reduce the necessary reference to man’s act of will in response to God’s approach".

22 Cf. supra n. 20.

23 BARR, The Semantics, 203-204.

24 TORRANCE, "The Biblical Conception of ‘Faith’", 222: "Our faith in Him has to take into account the saving significance of His historical humanity; including His human obedience and faith"; corsivo nel testo, AV.

25 HEBERT, "Faithfulness and Faith", 373: "barely intelligible as it stands".

26 TORRANCE, "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", 113: "Jesus Christ is thus not only the incarnation of the Divine pistis, but He is the imbodiment and actualization of man’s pistis in covenant with God"; 114: "He is also a Believer for us, vicariously Believer [...] He believed for us, was faithful for us".

27 P. VALLOTTON, Le Christ et la foi (Ginevra 1960) 47: "son obéissance et sa confiance en la valeur salvatrice de sa mort".

28 VALLOTTON, Le Christ et la foi, 94: "Dieu croit que sa justice est justifiance [...] En même temps, Dieu croit que l’homme voudra être justifié, il croit que l’homme croira"; 99: "En tant que médiateur, Jésus partage entièrement la foi de Dieu". L’attribuire a Dio l’atto di credere non dimostra certamente una grande preoccupazione di coerenza.

29 G.M. TAYLOR, "The Function of Pistis Christou in Galatians", JBL 85 (1966) 58-76.

30 M. BARTH, "The Faith of the Messiah", HeyJ 10 (1969) 363-370.

31 BARTH, "The Faith of the Messiah", 365: "The interpretation of the pauline word pistis by ‘faithfulness’, in the sense of faithful obedience (as it is expected of God’s covenant partner in the O.T.) is not at variance with what Paul means by faith"; 366: "In Pauline teaching obedience and faith are not distinguished like practice and theory, but as e.g. Rom 1:5 shows, they are inseparable and identical".

32 BARTH, "The Faith of the Messiah", 366: "Therefore reference to Jesus Christ’s obedience (also to his love Gal 2:20; Eph 5:2,25) are [sic] equivalent to references to his faith".

33 R. HAYS, The Faith of Jesus Christ. An Investigation of the Narrative Substructure of Galatians 3,1-4,11 (Chico, CA 1983) 165: "Paul’s entire discussion makes much better sense if it is interpreted as presupposing that Jesus Christ, like Abraham, is justified e)k pi/stewj".

34 HAYS, The Faith of Jesus Christ, 167: "the faith of Jesus Christ".

35 HAYS, The Faith of Jesus Christ, 175 "We have argued in this chapter that the phrase pi/stij 'Ihsou= Xristou= may be understood as a reference to the faithfulness of "the one man Jesus Christ" whose act of obidient self-giving on the cross became the means by which "the promise" of God was fulfilled".

36 HAYS, The Faith of Jesus Christ, 175 "...we placed our trust in Christ Jesus in order that we might be justified on the basis of Christ’s faithfulness".

37 L. RAMAROSON, "La justification par la foi du Christ Jésus", Science et Esprit 39 (1987) 81-92; 89: "nous précisons qu’il ne s’agira point de la "foi théologique" définie par les docteurs de l’Ecole et dont ils disent, entre autres choses, qu’elle est incompatibile avec la vision béatifique (Somme Théologique, III, q.7, a.3)".

38 RAMAROSON, "La justification", 89: "pour Paul, la foi est une obéissance: hupakoe4 pisteo4s (Rom 1,5 ; 16,26). Or Paul parle de Jésus obéissant et de l’obéissance de Jésus [...] Ph 2,8; [...] Rm 5,19b"; 89: "pour Paul, dans de tels textes, hupakoe4! et pistis sont synonymes, et que la pistis Ie4sou, c’est la foi vécue par Jésus"; 90: "c’est-à-dire sa soumission totale au Dieu et Père qui est tout pour lui".

39 C.H. COSGROVE, "Justification in Paul: A Linguistic and Theological Reflection", JBL 106 (1987) 653-670; 665, n. 32: "But it tells decisively against this theory that in the one context where the apostle does focus specifically on Jesus’ death as righteousness-producing obedience, he speaks of Jesus’ hypakoe4, not his pistis (Rom 5:18-21)".

40 RAMAROSON, "La justification", 90: "Cette soumission de Jésus est essentiellement confiance".

41 M.D. HOOKER, " PISTIS XRISTOU", NTS 35 (1989) 321-342; testo del suo discorso presidenziale, tenuto nel 1988 al Convegno della "Studiorum Novi Testamenti Societas".

42 Cf. HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 322, 335.

43 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 323: "If he presents Christ as the Second Adam, the true representative of our humanity, then we can expect him to present him as possessing all those qualities which men and women ought to have: as righteous, obedient and faithful. If we have difficulties with the last of these ideas and not with the first two, it is presumably because Christ himself is so often the object of faith".

44 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 325: "Christ would be a totally inappropriate model. Paul cannot say of Christ that ‘he believed God, and it was reckoned to him for righteousness’ [...] because in his case it was not necessary to reckon faith as righteousness, since he was righteous".

45 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 329: "Now the promise was made to Abraham and his seed (v.16), but it was made on the basis of Abraham’s faith; it is fulfilled in Christ, who is Abraham’s seed and therefore shares his faith"; il corsivo è di Hooker.

46 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 333: "Logic suggests that the subjective genitive is intended. But is logic enough ?".

47 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 334: "One might say that he was the embodiment of God’s faithfulness, through Christ he himself shares in that faithfulness".

48 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 335: "Sharing the same spirit of faith as Christ".

49 HOOKER, " PISTIS XRISTOU ", 339: "It seems logical to suggest that faith should be seen as a sharing in the faith of Christ, who trusted in the one who was able to give life to the dead. [...] If the only way in which Christians can be obedient is by sharing in the obedience of Christ, must we not conclude that the only way in which they can believe is by sharing in his faith?".

50 J. GUILLET, La foi de Jésus-Christ (Jésus et Jésus-Christ, 12) (Paris 1980) 184: "la vision est compatible avec la foi".

51 GUILLET, La foi de Jésus-Christ, 17: "Il faut donc renoncer à chercher, dans la foi de Jésus Christ mise en valeur par saint Paul, l’indication d’une foi vécue par Jésus". Nella traduzione italiana, il corsivo di rinunciare è di AV.

52 Cf. HULTGREN, "The Pistis Christou Formulation in Paul", 248-263. Questo autore propone argomenti grammaticali per appoggiare l’interpretazione di "fede in Cristo". Due esegeti hanno contestato i suoi argomenti: L.T. JOHNSON, "Rom 3:21-26 and the Faith of Jesus", CBQ 44 (1982) 77-90 e S.K. WILLIAMS, "Again Pistis Christou", CBQ 49 (1987) 431-447.

Si veda, d’altra parte, il contributo di MARTYN, Galatians, 263-275 e quello di A. PITTA, Lettera ai Galati (Bologna 1996) 156-158.

53 Come osserva molto bene GUILLET, La foi de Jésus-Christ, 17.

54 MARTYN, Galatians, 270 e n. 171.

55 A. DEISSMANN, Paulus (Tübingen 1911) 94.

56 Aristotele, Retorica, I,2:1356a.

57 Questo senso è perfettamente riconosciuto dai dizionari. W. BAUER Wörterbuch zum Neuen Testament indica come primo significato per pi/stij: "das was Vertrauen und Glaube hervorruft", "Treue, Zuverlässigkeit". La traduzione inglese di Arndt and Gingrich propone: "that which causes trust and faith: faithfulness, reliability". Liddell and Scott: "trustworthiness" e Zorell: "id quo quis fidem fiduciamque meretur aut sibi conciliat".

58 TORRANCE, "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", 113.

59 TORRANCE "One Aspect of the Biblical Conception of Faith", 111 fa accenno al concetto di "reliability", ma non a proposito di Cristo. TAYLOR "The Function of Pistis Christou in Galatians", 72 ricorda che pistis può significare "the good faith-the reliability-of the testamentary heir".