GIOVANNI PAOLO II
Dottrina paolina della purezza come “vita secondo lo
spirito”
mercoledì, 18 marzo 1981
1. Nel nostro incontro di
alcune settimane fa, abbiamo concentrato l'attenzione sul passo della prima
lettera ai Corinzi, in cui san Paolo chiama il corpo umano “tempio dello
Spirito Santo”. Egli scrive: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello
Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi
stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo”. “Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Cristo?”. L'Apostolo indica il mistero della “redenzione
del corpo”, compiuta da Cristo, come una sorgente di un particolare dovere
morale, che impegna i cristiani alla purezza, a quella che lo stesso Paolo
definisce altrove l'esigenza di “mantenere il proprio corpo con santità e
rispetto”.
2. Tuttavia, non scopriremmo
sino in fondo la ricchezza del pensiero contenuto nei testi paolini, se non
notassimo che il mistero della redenzione fruttifica nell'uomo anche in modo
carismatico. Lo Spirito Santo che, secondo le parole dell'Apostolo, entra nel
corpo umano come nel proprio “tempio”, vi abita ed opera insieme ai suoi doni
spirituali. Fra questi doni, noti alla storia della spiritualità come i sette
doni dello Spirito Santo, il più congeniale alla virtù della purezza sembra
essere il dono della “pietà” (“eusébeia”; “donum pietatis”). Se la purezza
dispone l'uomo a “mantenere il proprio corpo con santità e rispetto”, come
leggiamo nella prima lettera ai Tessalonicesi, la pietà, che è dono dello
Spirito Santo, sembra servire in modo particolare la purezza, sensibilizzando
il soggetto umano a quella dignità, che è propria del corpo umano in virtù del
mistero della creazione e della redenzione. Grazie al dono della pietà, le
parole di Paolo: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo
che è in voi... e che non appartenete a voi stessi”, acquistano l'eloquenza di
un'esperienza e divengono viva e vissuta verità nelle azioni. Esse aprono pure
l'accesso più pieno all'esperienza del significato sponsale del corpo e della
libertà del dono collegata con esso, nella quale si svela il volto profondo
della purezza e il suo organico legame con l'amore.
3. Sebbene il mantenimento
del proprio corpo “con santità e rispetto” si formi mediante l'astensione dalla
“impudicizia” - e tale via è indispensabile - tuttavia fruttifica sempre
nell'esperienza più profonda di quell'amore, che è stato iscritto dal
“principio”, secondo l'immagine e somiglianza di Dio stesso, in tutto l'essere
umano e quindi anche nel suo corpo. Perciò san Paolo termina la sua
argomentazione della prima lettera ai Corinzi nel capitolo 6 con una
significativa esortazione: “Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”. La
purezza, quale virtù ossia capacità di “mantenere il proprio corpo con santità
e rispetto”, alleata con il dono della pietà, quale frutto della dimora dello
Spirito Santo nel “tempio” del corpo, attua in esso una tale pienezza di
dignità nei rapporti interpersonali, che Dio stesso vi è glorificato. La purezza
è gloria del corpo umano davanti a Dio. E la gloria di Dio nel corpo umano
attraverso il quale si manifestano la mascolinità e la femminilità. Dalla
purezza scaturisce quella singolare bellezza, che permea ogni sfera della
reciproca convivenza degli uomini e consente di esprimervi la semplicità e la
profondità, la cordialità e l'autenticità irripetibile dell'affidamento
personale (forse si darà più tardi un'altra occasione per trattare più
ampiamente questo tema. Il legame della purezza con l'amore e anche il legame
della stessa purezza nell'amore con quel dono dello Spirito Santo che è la
pietà, costituisce una trama poco conosciuta della teologia del corpo, che
tuttavia merita un approfondimento particolare. Ciò potrà essere realizzato nel
corso delle analisi riguardanti la sacramentalità del matrimonio).
4. Ed ora un breve
riferimento all'Antico Testamento. La dottrina paolina circa la purezza, intesa
come “vita secondo lo Spirito”, sembra indicare una certa continuità nei
confronti dei Libri “sapienziali” dell'Antico Testamento. Vi riscontriamo, ad
esempio, la seguente preghiera per ottenere la purezza nei pensieri, parole ed
opere: “Signore, padre e Dio della mia vita... Sensualità e libidine non
s'impadroniscano di me, a desideri vergognosi non mi abbandonare”. La purezza è
infatti condizione per trovare la sapienza e per seguirla, come leggiamo nello
stesso libro: “A lei (cioè alla sapienza) rivolsi il mio desiderio, e la trovai
nella purezza”. Inoltre, si potrebbe anche in qualche modo prendere in considerazione
il testo del libro della Sapienza conosciuto dalla liturgia nella versione
della Volgata: “Scrivi quoniam aliter non possum esse continens, nisi Deus det;
et hoc ipsum erat sapientiae, scire, cuius esset hoc donum”. Secondo un tale concetto, non tanto la
purezza è condizione della sapienza quanto la sapienza sarebbe condizione della
purezza, come di un dono particolare di Dio. Sembra che già nei sopracitati
testi sapienziali si delinei il duplice significato della purezza: come virtù e
come dono. La virtù è a servizio della sapienza, e la sapienza predispone ad
accogliere il dono che proviene da Dio. Questo dono fortifica la virtù e
consente di godere, nella sapienza, i frutti di una condotta e di una vita che
siano pure.
5. Come Cristo nella sua
beatitudine del Discorso della montagna, la quale si riferisce ai “puri di
cuore”, pone in risalto la “visione di Dio”, frutto della purezza e in
prospettiva escatologica, così Paolo a sua volta mette in luce la sua
irradiazione nelle dimensioni della temporalità, quando scrive: “Tutto è puro
per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate
la loro mente e la loro coscienza. Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano
con i fatti...”. Queste parole possono riferirsi anche alla purezza in senso
tanto generale quanto specifico, come alla nota caratteristica di ogni bene
morale. Per la concezione paolina della purezza, nel senso di cui parlano la
prima lettera ai Tessalonicesi e la prima lettera ai Corinzi, cioè nel senso della
“vita secondo lo Spirito”, sembra essere fondamentale - come risulta
dall'insieme di queste nostre considerazioni - l'antropologia della rinascita
nello Spirito Santo. Essa cresce dalle radici messe nella realtà della
redenzione del corpo, operata da Cristo: redenzione, la cui espressione ultima
è la risurrezione. Vi sono profonde ragioni per collegare l'intera tematica
della purezza alle parole del Vangelo nelle quali Cristo si richiama alla
risurrezione (e ciò costituirà il tema della ulteriore tappa delle nostre
considerazioni). Qui l'abbiamo soprattutto posta in rapporto con l'ethos della
redenzione del corpo.
6. Il modo di intendere e di
presentare la purezza - ereditata dalla tradizione dell'Antico Testamento e
caratteristico dei Libri “sapienziali” - era certamente una indiretta, ma
nondimeno reale preparazione alla dottrina paolina circa la purezza intesa come
“vita secondo lo Spirito”. Senza dubbio quel modo facilitava pure a molti
ascoltatori del Discorso della montagna la comprensione delle parole di Cristo,
quando egli, spiegando il comandamento “Non commettere adulterio”, si
richiamava al “cuore” umano. L'insieme delle nostre riflessioni ha potuto in
questo modo dimostrare, almeno in una certa misura, con quale ricchezza e con
quale profondità si distingue la dottrina sulla purezza nelle sue stesse fonti
bibliche ed evangeliche.