Dionigi Areopagita
Sotto il suo nome vanno dieci lettere e quattro trattati dogmatico-mistici: De coelesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia, De divinis nominibus, De mystica theologia. Le lettere sono tutte indirizzate a personaggi dell’età apostolica; tre di esse sono conservate soltanto nella redazione latina e la critica è oscillante sull’autenticità, tuttavia non v’è dubbio che tutte presentano unità di concetti e d’ispirazione. I quattro trattati sono dedicati a un certo Timoteo e si dicono ispirati alle dottrine e agli scritti di un non meglio identificato Hierotheos. In realtà, come hanno dimostrato esaurientemente studi recenti, le fonti di Dionigi sono le opere dei filosofi neoplatonici, specialmente di Proclo.
Gli scritti areopagitici infatti rappresentano il più audace tentativo di cristianizzazione del neoplatonismo antico, a cominciare dal linguaggio (fondato in buona parte su quello degli antichi culti misterici) fino alle dottrine più tipiche, come quella dell’Uno, della processione di tutte le cose da lui e del conseguente processo di ritorno alla fonte primordiale attraverso le tre tappe: purificazione, illuminazione, unione.
L’autore degli scritti areopagitici non si identifica esplicitamente con Dionigi l’Areopagita convertito da san Paolo (Atti, 17 34), ma tale identificazione è suggerita da molte circostanze e notizie che egli ci dà di se stesso. Egli dice di chiamarsi Dionigi (Epistole, 7 3), di essere un pagano convertito da san Paolo, insieme con l’amico e maestro Hierotheos. Altrove egli dichiara di aver assistito all’eclisse che accompagnò la crocifissione (Epistole, 7 2); inoltre, come si è già detto, i destinatari delle lettere sono tutti personaggi dell’età apostolica.
Ma in realtà l’autore non può aver scritto prima della seconda metà del secolo V d. C.: infatti nel libro IV del De divinis nominibus egli riproduce quasi alla lettera il De malorum subsistentia di Proclo (che risale al 440 circa); nel De ecclesiastica hierarchia (III 7) si riferisce all’uso di cantare il Credo prima della comunione, uso introdotto in Antiochia nel 476 dal patriarca Pietro Fullone; inoltre la sua cristologia sembra essere influenzata dall’Editto "Henotikon" dell’imperatore Zenone (482). Per quanto riguarda la patria, alcune particolarità della liturgia sembrano far pensare alla regione siro-palestinese.