FENOMENOLOGIA ED ESISTENZIALISMO
1. Husserl e la fenomenologia
Proprio
negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento andava nascendo
quell'elaborazione filosofica designata come "fenomenologia" dallo
stesso autore, E. Husserl.
Edmund
Husserl nacque in Moravia nel 1859, in una famiglia di commercianti ebrei.
Compiuti gli studi secondari s'iscrisse all'Università di Lipsia, dove
frequentò, oltre le lezioni di astronomia, di fisica e di matematica, anche un
corso di filosofia tenuto da Wilhelm Wundt. Passò quindi all'Università di
Berlino, dove si concretò uno specifico interesse per la matematica e per la
filosofia della matematica. Trasferitosi poi all'Università di Vienna, conseguí
il dottorato e, in seguito, tenne fecondi contatti con Franz Brentano, un
prestigioso filosofo di quell'Università. Da questi trasse l'interesse per
l'empirismo e il positivismo inglesi e quello per la filosofia greca, oltre che
l'atteggiamento di cauta riserva per le filosofie di Kant e degli Idealisti
tedeschi, considerate difettose di rigore logico. Da Brentano inoltre ebbe
anche il consiglio di studiare le opere di Bernhard Bolzano e di frequentare lo
Stumpf, uno studioso di psicologia della musica, docente nella città di Halle.
Husserl si trasferí quindi ad Halle, dove ottenne l'incarico di insegnamento
presso la locale Università e dove ebbe inizio il suo lavoro di docente
universitario; lavoro che continuò poi anche a Gottinga e a Friburgo, fino a
quando non fu collocato a riposo forzato, nel 1928, dal governo nazista di Hitler,
che gli tolse, in quanto ebreo, anche la cittadinanza tedesca. Morí poi a
Friburgo nel 1938.
Le opere
pubblicate da Husserl sono solo una piccola parte di quanto egli ha prodotto;
gl'inediti, conservati presso l'"Archivio Husserl" di Lovanio, hanno
cominciato a veder la luce nel 1951; ma tantissimi sono ancora i testi che
aspettano una edizione. Tra gli scritti dati alle stampe dallo stesso Husserl,
ricordiamo: Psicologia dal punto di vista empirico (1874), Filosofa
dell'aritmetica (1891) Ricerche logiche (1900-1901), La filosofia come scienza
rigorosa (1911), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia
fenomenologica (1913), Logica formale e trascendentale (1929), Meditazioni
cartesiane (1931), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia
trascendentale (1936).
Nella
nostra vita quotidiana noi consideriamo il mondo, dice Husserl, in modo
"ingenuo". Lo consideriamo cioè esistente, ed esistente cosí come lo
vediamo dalla nostra prospettiva soggettiva; e lo rendiamo oggetto della nostra
attività emozionale, conoscitiva, pratica, per ciò ch'esso rappresenta per noi,
per ciò ch'esso vale "immediatamente" per noi.
Io sono
consapevole di un mondo, che si estende infinitamente nello spazio e che è
stato soggetto ad un infinito divenire nel tempo. Esserne consapevole significa
anzitutto che io trovo il mondo immediatamente e visivamente dinanzi a me, che
lo esperisco. Grazie alle diverse modalità della percezione sensibile, al
vedere, al toccare, all'udire, ecc., le cose corporee sono in una certa ripartizione
spaziale qui per me, mi sono alla mano, in senso letterale e figurato, sia che
io presti o non presti loro attenzione, sia che io mi occupi o no di esse nel
pensiero, nel sentimento, nella volontà...
Ma non è
indispensabile che gli oggetti si trovino precisamente nel mio campo di
percezione. Infatti, insieme con gli oggetti percepiti, sono "qui per
me" anche oggetti reali determinati, piú o meno noti, senza che siano
percepiti, visivamente presenti. Io posso lasciar vagare la mia attenzione dalla
scrivania, che vedo ed osservo, alle parti della mia camera che stanno alle mie
spalle, sino alla veranda, al giardino, ai bambini che si trovano sotto la
pergola, ecc., ossia verso tutti quegli oggetti che "so" essere qua e
là nelle mie vicinanze; un sapere che però non ha nulla del pensare concettuale
Cosí
nella mia coscienza desta, mi trovo sempre, e senza poter mai modificare tale
situazione, in rapporto con un solo e medesimo mondo, per quanto mutevole nel
suo contenuto. Esso mi è costantemente "alla mano", ed io stesso sono
un suo membro. E mi è dinanzi non soltanto come un mondo di cose, ma, con la
medesima immediatezza, anche come mondo di valori, mondo di beni, mondo
pratico. Davanti a me trovo le cose fornite di caratteri di valore, come di
proprietà fisiche, belle e brutte, piacevoli e spiacevoli, gradite e sgradite,
ecc. Le cose si presentano immediatamente come oggetti d'uso, la
"tavola" con i suoi "libri", il "bicchiere", il
"vaso", il "pianoforte", ecc. Anche questi caratteri
assiologici e pratici appartengono costitutivamente agli oggetti come tali, che
io presti o non presti attenzione ad essi e agli oggetti. E, come per le mere
cose, ciò vale naturalmente anche per gli uomini e per gli animali che mi
circondano riguardo al loro carattere sociale. Essi sono miei "amici"
o "nemici", miei "inferiori" o "superiori",
"estranei" o "parenti", ecc.
(Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofa fenomenologica)
Ma
questo mondo (di oggetti, di animali, di cose) esiste ed ha questi caratteri
che io "trovo", perché è reso da me oggetto di coscienza, contenuto
cioè di atti di conoscenza, o di atti emotivi, o di azioni pratiche.
A questo
mondo si riferisce il complesso delle mie attività di coscienza, dell'indagare,
dell'esplicare, del raccogliere e numerare, del presupporre e dedurre, in
breve, della coscienza teoretizzante. Ma vi si riferiscono anche i multiformi
atti e stati del sentimento e della volontà: il gradire e il non gradire, il
rallegrarsi e il rattristarsi, il decidere e l'agire.
(Idee per
una fenomenologia pura e per una filosofa fenomenologica)
Nell'"atteggiamento
naturale" io sono un "cogito", che ha sempre a contenuto un
"cogitatum"; "io mi ritrovo sempre come uno che percepisce,
rappresenta, sente, desidera, qualcosa", tuttavia "non ogni cogito ha
per cogitatum cose, uomini, oggetti, o situazioni di cose del mio mondo
circostante"; vi può essere, come cogitatum, anche il "mondo
aritmetico", quello degli enti ideali, o logici; anche il "mondo
aritmetico" può "essere qui per me", immediatamente,
naturalmente.
Per
riassumere, nell'"atteggiamento naturale"
io trovo
costantemente alla mano, di fronte a me la realtà spazio-temporale. La
realtà... io la trovo in quanto io resto dentro una esperienza omogenea e mai
interrotta, la trovo come esistente e la assumo come esistente, cosí come essa
mi si offre. Qualunque nostro dubbio o ripudio di dati del mondo naturale non
modifica affatto la tesi generale dell'atteggiamento naturale. Il mondo come
realtà è sempre là. Conoscerlo piú comprensivamente, fedelmente, perfettamente,
tale è lo scopo delle scienze dell'atteggiamento naturale. Sono le scienze...
"positive", le scienze della positività naturale.
(Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofa fenomenologica)
Ma
queste scienze sono "scienze dei dati di fatto", non delle
"essenze", e studiano i dati di fatto come se fossero separati dalle
loro "essenze".
Un
oggetto individuale non è qualcosa di semplicemente individuale, un effimero
"questo qui", ma, in quanto è "in se stesso" cosí e cosí costituito,
possiede come propria caratteristica dei predicati essenziali che
necessariamente gli competono (competono cioè "all'ente com'è in se
stesso"), oltre ai quali può ricevere poi altre determinazioni secondarie
e casuali. Cosí ad esempio ogni suono in sé e per sé ha un'essenza, e anzitutto
l'essenza di suono in generale, o meglio di acustico in generale, dove questa
essenza è da intendere come un momento da cogliere intuitivamente nel suono
individuale (considerato singolarmente o confrontato con altri, per quel che ha
di "comune"). Tutto ciò che appartiene all'essenza di un individuo
può appartenere anche ad un altro individuo.
(Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofa fenomenologica)
Bisogna
dunque isolare l'"essenza", cioè "ciò che si trova nell'essere
proprio di un individuo come un suo quid", e "metterla in idea"
(trasformando la "visione empirica" in "ideazione" o
"visione dell'essenza").
La
visione dell'essenza può essere adeguata o inadeguata; quella dell'essenza del
suono è "adeguata"; ma quella di una realtà materiale è sempre
"inadeguata". Infatti in questo caso l'essenza si offre soltanto da
un lato, o da piú lati, ma non può mai offrirsi da tutti i lati; insomma:
la
figura spaziale della cosa fisica si offre, per principio, soltanto in
"adombramenti" unilaterali; inoltre, pur prescindendo da questa
inadeguatezza che perdura per quanto la figura si arricchisca col succedersi
delle visioni, ogni proprietà fisica ci trascina nell'infinità dell'esperienza,
anche la piú estesa multilateralità d'esperienza lascia aperte nuove e piú
minute determinazioni; e cosí in infinitum.
(Idee
per una fenomenologia pura e per una filosofa fenomenologica)
Ma anche
nella visione essenziale, il contenuto "si dà" alla coscienza. Essa è
sempre coscienza di qualcosa, di un "oggetto", su cui essa Si dirige,
e che le è dato "in se stesso". È una "visione in senso
pregnante", "visione originalmente offerente", e perciò
"capace di afferrare l'essenza in carne ed ossa".
Ma la
"visione essenziale" si fonda sulla "visione empirica". La
prima però non mira ad afferrare elementi individuali né a porli in alcun modo
come realtà, come fa la seconda, l'"individuo", la realtà
particolare, infatti è solo un "esempio" tra gli infiniti in cui si
realizza l'immutabile "essenza".
Tuttavia
"le pure verità essenziali non contengono la minima affermazione circa i
dati di fatto", e "quindi da esse sole non si può ricavare nemmeno la
piú modesta verità di fatto". Sicché la visione essenziale non può
arricchire quella empirica, ma neppure può essere arricchita da questa. Per
cogliere l'essenza bisogna raggiungere dunque un altro livello di
"visione", in cui i dati empirici siano il fondamento ma siano
egualmente neutralizzati nella loro azione di disturbo sulla visione essenziale.
Come si
vede, a parte il linguaggio nuovo, il discorso di Husserl non è approdato
finora a risultati inediti nella storia della filosofia. La polemica contro
l'empirismo, che riduceva la realtà ai dati empirici percepiti, e quella contro
il positivismo, che faceva coincidere la conoscenza vera con quella dei
"dati di fatto", ha riportato Husserl al discorso sulle
"essenze" che era già noto anche nella filosofia greca.
La
novità del discorso husserliano comincia con l'esame del modo in cui si
perviene alla conoscenza delle "essenze", con l'analisi
dell'"atto" di coscienza - sia esso un intuire, un rappresentare, o
un amare, ecc. - con cui cogliamo la realtà.
In tutte
le operazioni - emotive, conoscitive, pratiche - il mondo "si offre",
"si dà" alla nostra coscienza, che si "rapporta" ad esso.
Allora "come" si rapporta la coscienza agli oggetti? Oppure, che è la
stessa cosa, "in che modo" il mondo degli oggetti si dà alla
coscienza?
Per dare
risposta adeguata a questi quesiti bisogna guardarsi dall'assumere sia una
posizione "realistica" che una "empiristica" o
"idealistica". Bisogna guardarsi cioè dal privilegiare - come primum
filosofico - sia il mondo, la natura, che lo spirito, l'io; sia il soggetto che
l'oggetto delle attività di coscienza.
Bisogna
insomma appuntare l'attenzione analitica proprio sul "rapporto" tra
soggetto e oggetto di coscienza, individuare cioè ciò che caratterizza quel
rapporto, e descrivere i "modi" molteplici in cui esso si determina.
Detto con terminologia husserliana, occorre "vedere direttamente" e
descrivere i modi di presentarsi della cosa alla coscienza, o, che è lo stesso,
i modi con cui la coscienza "tende", "si dirige
trascendendosi" alla cosa; e non "spiegare" questi modi a
partire dalla "realtà" dell'io, o dalla "realtà" del mondo,
perché in ogni rapporto - emotivo, conoscitivo, pratico soggetto e oggetto sono
sempre "correlati" e "costituenti un'unità originaria"; tra
loro sussiste sempre una "correlazione a priori", o, meglio, un
"a priori di correlazione".