IL SACERDOTE NELLA CHIESA
E DI FRONTE ALLA CHIESA
di Antonio Miralles
L’oggetto della presente
comunicazione è tratto dall'esortazione apostolica Pastores dabo vobis, che lo
propone in modo esplicito: " In quanto rappresenta Cristo capo, pastore e
sposo della Chiesa, il sacerdote sì pone non soltanto nella Chiesa ma anche di
fronte alla Chiesa " (PDV 16/2). Lo stesso documento ce ne dà la chiave di
comprensione ove dice: " il riferimento alla Chiesa è inscritto nell'unico
e medesimo riferimento del sacerdote a Cristo, nel senso che è la
"rappresentanza sacramentale" di Cristo a fondare e ad animare il
riferimento del sacerdote alla Chiesa" (PDV 16/1). Il riferimento a Cristo
è quello di "fa rappresentanza sacramentale", in quanto Cristo è
capo, pastore, sposo e servo. E il tutto appare come il modo proprio di rendere
partecipi i ministri ordinati all'unico sacerdozio di Cristo.
In che modo Cristo sia
congiunto alla Chiesa e sia nello stesso tempo davanti alla Chiesa lo si vede
soprattutto in Ef 5,23.25-27: " Cristo è capo della Chiesa, lui che è il
salvatore del suo corpo ( ... ). E voi, mariti, amate le vostre mogli, come
Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa,
purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al
fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né
ruga o alcunché di simile' ma santa e immacolata".
La lettera agli Efesini
unisce strettamente i due concetti di capo e sposo riferiti a Cristo, come
anche i concetti di corpo e sposa riferiti alla Chiesa. Nel binomio capo-corpo
si evidenzia l'essere in, mentre nell'altro binomio sposo-sposa si evidenzia
l'essere di fronte.
La natura sponsale del
mistero di unione tra Cristo e la Chiesa fa vedere che si tratta di un legame
scaturito da un'alleanza, intessuto perciò di amore e libertà, e al contempo
radicato nel fatto di formare un unico corpo, il corpo di Cristo; mostra dunque
una struttura sponsale, nella quale Cristo risplende come capo e sposo, avendo
entrambi i titoli una valenza sacrificale.
Il sacramento dell'ordine
configura i sacerdoti a Cristo capo e pastore, servo e sposo, li rende dunque
partecipi del sacerdozio di Cristo secondo la modalità manifestata in questi
titoli. Qual è il proprium di questa partecipazione? L'interrogativo è
pertinente perché per mezzo del battesimo i fedeli sono anch'essi configurati a
Cristo servo e sposo, e in qualche modo a Cristo pastore. Qual è dunque il modo
specifico di partecipare alla condizione sponsale di Cristo per mezzo del
sacramento dell’ordine? Tale specificità deriva dal modo peculiare dei
sacerdoti di partecipare al sacerdozio di Cristo. Giovanni Paolo Il identifica
nell'essere "una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e
pastore ( ... ) il modo tipico e proprio con il quale i ministri ordinati
partecipano all'unico sacerdozio di Cristo" (PDV 15/4-5). Con questo
neologismo - " ripresentazione " - si viene a dire che il sacerdote è
qualcosa di più di un " rappresentante " di Cristo, poiché fa sì che
Cristo sia presente di nuovo, o meglio ancora che continui a essere presente e
non solo sotto un aspetto parziale - questo è caratteristico della "
rappresentanza " - bensì in modo integrale come capo e pastore. Monsignor
Alvaro del Portillo, che è stato segretario della commissione conciliare
incaricata di redigere il decreto Presbyterorum Ordinis, sottolineando
l'inadeguatezza del concetto di " rappresentanza", proponeva,
mantenendo le dovute sfumature, un'altra espressione molto efficace: " alter
ego di Cristo-capo della Chiesa".
Con frase indovinata lo
esprime il beato Josemaria Escrivá: " L'identità del sacerdote è questa:
essere strumento immediato e quotidiano della grazia salvifica che Cristo ha
meritato per noi".
E la configurazione a Cristo
sposo? Quando Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis, asserisce che il
sacramento dell'ordine configura a Cristo sposo, aggiunge anche a Cristo capo,
pastore e servo. Questi tre titoli, come si è visto sopra, hanno una
colorazione fortemente soteriologica, e più precisamente sacrificale, di dono
della propria vita per la salvezza degli uomini. Soprattutto nel citato brano
della lettera agli Efesini, Cristo appare come fondante la Chiesa a partire dal
suo corpo donato sulla croce, formandola come sua sposa, distinta da se stesso,
ma sempre unita a sé. Il sacerdote, nella sua partecipazione al mistero
dell'unione sponsale tra Cristo e la Chiesa, si trova sempre come dalla parte
di Cristo: rende visibile Cristo sposo che dona se stesso per la Chiesa, la
nutre e la cura, e gli serve da strumento in questo formare e disporre la
Chiesa.
Il sacerdote è chiamato a
riprodurre nella sua condotta l'amore e la cura di Cristo sposo nei riguardi
della Chiesa, perché egli ha ricevuto ontologicamente tale immagine
nell'ordinazione sacerdotale. E’ una esigenza di agire conformemente a quel che
si è, così come a ogni uomo viene chiesto di comportarsi umanamente, appunto
perché egli è uomo.
Il presbitero ovviamente
mantiene i tratti spirituali ricevuti per mezzo del battesimo che lo accomunano
agli altri fedeli, e in quanto battezzato partecipa alla dualità sponsale di
Cristo e della Chiesa: di Cristo, resosi servo per la Chiesa sua sposa, e della
Chiesa che si sottomette a Cristo suo sposo, dal quale tutto riceve, e al quale
ricambia l'ineffabile dono dell'amore redentore col dono sincero di sé. Nella
vita del presbitero tutto questo fa parte del suo essere " nella Chiesa
", ma non lo esaurisce. Infatti nel sacerdote l'essere "nella
Chiesa" è contrassegnato dalla consacrazione sacramentale dell'ordine. Il
suo sacerdozio non può essere mai pensato come a sé stante, indipendente dalla
Chiesa, ma, d'altro canto, si deve parimenti dire che esso determina l'essenza
stessa della Chiesa, la quale non esisterebbe senza il sacerdozio ministeriale.
D'altra parte, si può ben
dire che l'essere " di fronte alla Chiesa ", caratteristico della
partecipazione del sacerdote alla sponsalità di Cristo, deriva dalla sua
configurazione a Cristo capo. In quanto capo, Cristo è il salvatore del corpo, lo
forma, lo nutre, lo cura. Nel sacerdote si ha la "ripresentazione"
sacramentale di questa capitalità, ed essa gli è specifica, non la condivide
con i fedeli non ordinati.
Come gli altri fedeli, il
sacerdote da un lato è recettore dell'azione salvifica di Gesù Cristo, ma
dall'altro, nelle azioni propriamente sacerdotali, egli sta dalla parte del
Signore nei confronti degli altri fedeli: non celebra l'eucaristia, né rimette
i peccati, né unge gli infermi, né predica la parola di Dio come un loro
delegato, messo lì affinché raccolga in sé la molteplicità dei fedeli e ne
esprima l'unità. I presbiteri, essendo " una ripresentazione sacramentale
di Gesù Cristo capo e pastore, ne proclamano autorevolmente la parola, ne
ripetono i gesti di perdono e di offerta della salvezza, soprattutto col
battesimo, la penitenza e l'eucaristia, ne esercitano l'amorevole
sollecitudine, fino al dono totale di sé per il gregge, che raccolgono
nell'unità e conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito" (PDV
15/4).
Il sacerdote nel suo agire
sacerdotale esprime visibilmente la presenza e l'azione di Cristo capo in
quanto santifica e forma la Chiesa distinta da sé, ma unita al suo sposo e
traendo vita da lui. Costituisce una tale espressione visibile perché è il
tramite di cui Gesù Cristo si serve; ed essendo tale permanentemente per una
misteriosa consacrazione a Cristo in forza del carattere dell'ordine, diventa
segno della presenza e dell'azione di Cristo capo non solo col suo agire
ministeriale, ma anche con la sua stessa persona: egli è un richiamo permanente
alla Chiesa della promessa del suo Signore: " Ecco, io sono con voi tutti
i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20).