L'IMMAGINE DEL
PRESBITERO
NELLE
CATECHESI DEL PAPA
di
Vladas Michelevicius
Vicario
generale di Kaunas (Lituania)
Chi è il
sacerdote? Qual è la sua identità? “Ogni sacerdote, preso fra gli uomini, viene
costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio” (Eb 5,1).
Come il Santo Padre ha
detto ai novelli sacerdoti, la prima risposta è “noi siamo chiamati”. La storia
del nostro sacerdozio incomincia con una chiamata divina. E’ Gesù che prende
l'iniziativa. Egli stesso lo fa notare: “Non voi avete scelto me, ma io ho
scelto voi” (Gv 15,16).
Il papa prosegue col rito
della sacra ordinazione: “Figli carissimi, siete introdotti in un nuovo genere
di vita, e cosi la nostra identità si arricchisce di un'altra nota: "siamo
consacrati". Per consacrazione siamo stati segregati in Evangelium Dei
(cf Rm 1,1). Con il sacramento dell'ordine il sacerdote diventa idoneo a
prestare a Gesù la voce, le mani e tutto il suo essere. Così Gesù stesso, per
il ministero dei sacerdoti, celebra la Santa Messa, perdona i peccati, annuncia
la parola di Dio. Questo dono del sacerdozio è un prodigio che fu realizzato
in noi ma non per noi. Esso fu dato per la Chiesa. Il sacerdote è quindi un
inviato”. Ecco una nuova connotazione essenziale dell'identità sacerdotale[1].
Dunque: siamo chiamati,
siamo consacrati, siamo inviati. Questa triplice identità illustra chiaramente
la vera immagine del presbitero come dispensatore dei misteri divini (cf 1Cor
4,1).
Giovanni Paolo II, in
occasione del giovedì santo 1986, mentre scriveva del ministero specifico di
san Giovanni Maria Vianney, ha detto: “ Il sacerdote trova sempre, ed in
maniera immutabile, la sorgente della sua identità in Cristo sacerdote. Non è
il mondo a fissare il suo statuto, secondo i bisogni dei ruoli sociali. Il prete
è segnato dal sigillo del sacerdozio di Cristo, per partecipare alla sua
funzione di unico Mediatore e Redentore. A causa appunto di questo legame
fondamentale, si apre al sacerdote il campo immenso del servizio alle anime,
per la loro salvezza nel Cristo e nella Chiesa.
I tentativi di laicizzare
il sacerdote sono dannosi per la Chiesa. Ciò non significa che il prete possa
restare lontano dalle preoccupazioni umane dei laici: deve essere vicinissimo,
come Giovanni Maria Vianney. Vicinissimo ma da prete, sempre nella prospettiva
della salvezza delle anime e del progresso del regno di Dio. E essenziale che
l'identità del sacerdote sia salvaguardata, con la sua missione verticale!”.
Il 3 settembre 1988, a
Torino, il Santo Padre, parlando dei sacerdoti come modelli vivi della santità
ministeriale, fra l'altro, ha detto: “Ecco allora la grande figura di san
Giovanni Bosco prete: sacerdote di Cristo e della Chiesa. La nota dominante
della sua vita e della sua missione è stata il fortissimo senso della propria
identità di sacerdote cattolico secondo il cuore di Cristo. Don Bosco fu prete
all'altare, prete al confessionale, prete in mezzo ai suoi giovani, e come fu
prete in Torino, cosi fu prete a Firenze, prete nella casa del povero, prete
nel palazzo del Re e dei Ministri[2]”.
Oggi occorre sottolineare
questa realtà: il sacerdote è colui che trasmette la vita divina agli uomini.
Come lo stesso don Bosco ha detto: “Finis veri sacerdotis, tum imbui deitate,
tum imbuere alios”, cioè essere il pieno di Dio e dare Dio al popolo!
Il concilio Vaticano II
presenta la vita della Chiesa come peregrinazione della fede. Ciascuno di noi
ha in questa peregrinazione una parte speciale. Come amministratori dei misteri
di Dio, dobbiamo possedere una maturità di fede adeguata alla nostra vocazione
e ai nostri compiti. Secondo san Paolo ai cristiani di Corinto: “Dovete quindi
considerarci come servi di Cristo e amministratori dei segreti di Dio. Ebbene,
a un amministratore si chiede di essere fedele” (1Cor 4,1).