Linee
antropologiche di Evangelium Vitae
Alcuni tratti inediti qualificano
le minacce alla vita, denunciate dall'enciclica Evangelium Vitae, e
giustificano il nuovo accorato appello di Giovanni Paolo II. Aborto,
sperimentazioni indebite sugli embrioni umani ed eutanasia non sono delitti
come tutti gli altri. Essi tendono ad inserirsi nel tessuto culturale e legale
della società, cambiandone i connotati fino a corroderne le basi etiche
fondamentali. A livello di opinione pubblica, infatti, sono rivendicati come
virtù della libertä individuale; per il fatto di trovare realizzazione nel
contesto del servizio medico, sono accreditati come benefiche possibilità
Offerte dal progresso scientifico; inoltre, tendono a go-dere
dell'autorevolezza di pratiche ammesse da leggi dello Stato (cfr. EV 4). Tutto
ciò fa si che si debba guardare alla sfida posta da tali minacce non
semplicemente come ad una sfida etica. Siamo di fronte ad «una drammatica lotta
tra la cultura della vita e la cultura della morte», la cui
soluzione positiva urge un'autentica «svolta culturale» (EV 95). Alla radice
della problematica etica sta una più fondamentale questione antropologica. E il
legame tra libertä e verità che e in questione (EV 96). E, a proposito della
vita umana, al cuore della sfida sta la domanda sull'identità dell'uomo: «Uomo
chi sei?». Ma la domanda sull'uomo e indissolubilmente connessa con la domanda
su Dio. «AI centro di ogni cultura sta l'atteggia-mento che l'uomo assume
davanti al mistero più grande: il mistero di Dio»[1].
Non si tratta solo di questioni teoriche, oggetto dell'inda-gine di pochi
filosofi. Si tratta di in eludibili implicazioni delle pratiche mediche e
sociali di cui stiamo parlando.
Compito di questo contributo
sarà, quindi, mettere in rilievo le linee antropologiche fondamentali che
possono venire evidenziate nel documento pontificio. E, perö, utile far
precedere l'esposizione in positivo da una disamina critica, per quanto
elementare, di quell'antropologia riduttiva che giustifica la manipolabilitä
totale della vita umana.
La novità dell'atteggiamento che
qualifica l'antropologia secolarista e quella bioetica «laica», che giustifica
interventi quali l'aborto, le sperimentazioni su embrioni umani e l'eutanasia,
e stata descritta come un cosciente passaggio, indotto dalla logica intrinseca
delle scoperte biomediche, dall'etica della sacralità della vita
all'etica della qualità della vita[2].
Se la prima (etica della sacralità della vita umana) parte dal riconoscimento
di un principio assoluto, che non ammette eccezioni: quello del rispetto della
vita umana dal suo concepimento alla sua fine naturale; la seconda (etica della
qualità della vita), al contrario, nasce dall'ammissione di eccezioni e dal considerare
la vita umana come un bene relativo, da valutare a seconda della sua qualità,
cioè dei benefici e vantaggi che comporta per il soggetto interessato e per il
contesto sociale, che lo circonda.
II nuovo punto di vista, di
impronta fortemente materialista e utilitarista, e stato ben espresso dal noto
giornalista Piero Angela:
«Secondo questo atteggiamento la
vita non dev'essere vista come un bene assoluto, ma come un bene relativo; al
di lä di una certa soglia essa perde quelle qualità che la rendono
desiderabile»[3]. La nozione
di «qualità della vita», chiara quando si contrappone all'as-solutezza della
sua eventuale «sacralità», risulta perö molto inde-terminata quando se ne
voglia ricavare un punto di riferimento per scelte concrete. Come stabilire la
«qualità» della vita? Dalla capacitä di provare piacere o dolore, di capire e
stabilire relazioni coscienti, dalla idoneità a produrre o essere utili? E chi
dovrà decidere la soglia al di sotto della quäle la vita non e più degna e
desiderabile? Gli stessi sostenitori di questa posizione etica ricono-scono che
si può solo procedere all'analisi empirica delle diverse situazioni, lasciando
il giudizio agii interessati. Nella prospettiva utilitarista hanno diritti
morali e giuridici solamente gli esseri che sentono, che sono capaci di godere
e di soffrire; il loro diritto fondamentale e proprio quello di non essere
fatti soffrire inutilmen-te e contro la propria volontà. In questa visione
delle cose, antime-tafisica e sensista, avrebbero diritti gli animali adulti,
ma non gli embrioni umani, che mancano ancora di un sistema nervoso svilup-pato[4].
II mutamento radicale di
prospettiva viene talora presentato come un portato necessario del progresso
scientifico. Si deve, in realtà, riconoscere che esso deriva dalle modalità di
autocomprensione e di realizzazione all'interno delle quali tale progresso si e
verificato e che chiamano in causa fattori culturali e progetti ideo-logici.
Anche la scienza, in definitiva, e un fenomeno storico e sociale. La novità
propria della scienza moderna e quella di auto-comprendersi non più solamente
come un evento conoscitivo fine a se stesso, ma di inserirsi nella storia
dell'uomo con la nuova funzio-ne di guida e orientamento al lavoro di
trasformazione e umanizza-zione del mondo. Ciò vuol dire che la scienza moderna
si propone nello stesso tempo come progetto di umanizzazione dell'uomo e del
mondo e come creatrice degli strumenti adeguati a questo progetto (tecnologia)[5].
Come ha perspicuamente segnalato
M. Heidegger, il pensiero tecnologico, cosi potente ed efficiente nella
scoperta dei mezzi, non e affatto neutro, ma implica una ben precisa visione
della realtà e una correlativa concezione della libertä umana[6].
La dimensione tecnica o strumentale della ragione, che produce mezzi efficaci,
ha sopraffatto quella filosofica o sapienziale, che cerca di scoprire i ßni.
Condizione del prevalere di questo tipo di razionalitä e la negazione dell'idea
che esista una verità del creato da rispettare e la concezione che allora tutto
può essere manipolabile senza limiti, se non quelli del calcolo del proprio
vantaggio. Se l'essere del mondo non proviene da un atto creativo di Dio, se
non esprime un suo sapiente disegno, di cui vanno scoperti e rispettati i fini,
ma proviene dal caso, allora tutto può essere diversamente da come e, e tutto
diventa manipolabile a piacere.
Come ebbe a dire H. Jonas, la
principale sfida etica del nostro tempo e costituita dal convergere di due
fattori: la degradazione metafisica dell'uomo ad opera della scienza moderna e
l'enorme accrescimento del suo potere grazie alla tecnologia moderna[7].
II sapere tecnico sulla vita umana non solo ha preso il sopravvento sulla
sapienza e rifiuta di essere guidato da essa, ma pretende di rimpiazzare
totalmente ogni residuo di senso del mistero, assogget-tando i momenti decisivi
e delicati del vivere ad un fare di tipo tecnico. Cosi si esprime ancora Jonas:
«Sotto il suo sguardo (= della scienza), la natura delle cose, ridotte ad atomi
e cause prive di scopo, fu lasciata senza un briciolo di dignità propria. Ma
ciò che non suscita alcun rispetto può essere soggiogato, e, liberata dalla
propria cosmica inviolabilitä, ogni cosa diventa oggetto di un uso illimitato.
Se non c'e nulla di definitivo nella natura, nessuna strut-tura nei suoi prodotti
che risponda a uno scopo, allora e lecito/ame quel che si vuole senza per
questo violare la sua integrità, perché non c'e nessuna integrità da violare in
una natura concepita eselusivamente in termini di scienze naturali - una natura
ne creata, ne creatrice. Se la natura e un mero oggetto, in nessun senso un
soggetto, se essa non esprime alcuna volontà creatrice, allora l'uomo rimane il
solo soggetto e la sola volontà. II mondo, dunque, dapprima oggetto della
conoscenza dell'uomo, diventa ora piutto-sto l'oggetto della sua volontà, la
quäle, ovviamente e volontà di potenza sulle cose. Tale volontà, una volta che
l'accresciuto potere abbia superato la necessitä, diventa puro e semplice
desiderio, un desiderio che non ha limiti[8].
La biotecnologia applicata
all'uomo e forse il punto estremo che può raggiungere l'impresa globale della
scienza moderna. Essa può caratterizzarsi come «riduzionista» nel senso preciso
di tendere a ridurre i livelli più alti e meno afferrabili della realtà, come
quelli psicologici e spirituali, ai livelli più bassi e completamente
controllabili[9]. II progetto
scientifico e tecnologico integrale prende per oggetto ormai il suo stesso
autore, in un intento prometeico, che si riassume nell'idea forza della
manipolabilitä integrale dell'essere umano. L'essere dell'uomo e semplicemente
una materia che può venire plasmata e utilizzata dalla libertä, secondo fini e
progetti del tutto arbitrari.
Risuonano particolarmente
rivelatrici, oltre che inquietanti, le affermazioni di P. Simon, ex Gran
Maestro della Gran Loggia Massonica di Francia, ginecologo, che in un libro dal
titolo accatti-vante (De la vie avant taute chose) descrive il progetto
complessivo che ha animato gli sforzi di intervento medico-sociale di un gruppo
di esperti volti a trasformare non solo la medicina, ma anche i costumi[10].
«Se la grande vittoria della
medicina nel passato fu quella di far indietreggiare la morte, la seconda
vittoria sarä quella di cambiare la nozione stessa della vita... La vita umana
perde oggi il suo carattere assoluto che aveva nella Genesi o per Aristotele o
Buffon, per divenire un concetto che si modella ed evolve a seconda delle
leggi, delle idee, della conoscenza. La vita e ciò che ne fanno i viventi: e la
cultura che la determina». «Noi siamo ben consapevoli che questa battaglia non
e solamente tecnica, bensi filosofica. La vita come materiale questo e
il principio della nostra lotta... La revisione della nozione di vita indotta
dalla contraccezione, trasformerà la società intera nel suo complesso». «Porre
il principio che la vita e un materiale, nel senso ecologico del termine, e che
spetta a noi gestirla, proprio qui sta l'idea motrice. L'arma assoluta, che
garantisce il sostegno popolare, e la dimensione viscerale. Puntare sul
viscerale, govemato dall'istinto, dal desiderio e dalla ragione, appoggiandosi
sull'intimo, sul quotidiano, ecco precisamente ciò che e necessario».
II controllo della sessualità
umana, come semplice occasione di piacere priva di responsabilità, e della
procreazione umana, ridotta a fenomeno riproduttivo qualsiasi[11],
la medicalizzazione completa della malattia, il presunto dominio sulla morte,
qualificano una dinamica volta ad una omologazione completa degli atti
riguardanti la vita con atti tecnici qualsiasi, in cui non si ha più a che fare
con la persona e col suo mistero, ma con fenomeni biologici, con «cose»
viventi. Trasferendo nella zona del fare tecnico le esperien-ze più
significative e misteriose del vivere umano, se ne censura contemporaneamente
la valenza provocatoria di senso religioso, che suggerirebbe un umile «ascolto
per ottenere la sapienza» (cfr. Pro 2,2; Sal 66,16). Gli
interrogativi più profondi, destati dall'ambigua e paradossale condizione
umana, vengono tacitati. Cosi il dualismo tra una ragione tecnica, che misura e
domina tutto ciò che e materiale, ed un corpo oggetto di manipolazioni a
seconda delle richieste, permette all'uomo di sfuggire al mistero dell'essere.
A questo elemento si associa la concezione
individualista della libertä umana per cui l'altra persona risulta sempre
estranea e tendenzialmente nemica dei diritti della libertä di ciascuno. Se la
libertä e potere di fare ciò che pare e piace e non trova in se e nella realtà
una misura di verità che la orienti verso un significato finale, allora la
presenza di qualcun altro non può essere avvertita che come limite alle
possibilità di espressione di questo potere. La collaborazione con gli altri e
concepita come meramente strumentale alla realizzazione dei propri fini
individuali, senza che si possa parlare in senso vero e proprio di un «bene
comune», da cui dipen-de anche la realizzazione della vita personale. E quando
la vita di un altro, per la sua fragilità e per le sue esigenze di cura, viene
a turbare gli equilibri di benessere della propria vita, allora anche la sua
soppressione può venire sentita come un diritto. Separata da ogni riferimento a
valori trascendenti, sganciata da legami costitu-tivi con altre persone e da
riferimenti al bene comune, la vita fisica di ciascuno diventa, a seconda delle
sensibilitä, o un bene di consu-mo, valutato solo sulla base di parametri
materialistici di soddisfazione, o un valore assoluto cui stare aggrappati a
tutti i costi, in un vitalismo esasperato.
Anche la dimensione sociale viene
profondamente mutata da questa concezione. Nell'impossibilitä di fondarsi su
qualsiasi riferimento oggettivo comune, la vita sociale e intesa come esito di
un compromesso di interessi al fine di garantire il massimo di libertä
possibile a ciascuno. La democrazia si svuota sempre più della sua originaria
sostanza etica, per diventare una mera regola formale di gestione dei conflitti
di interessi, sulla base del principio della maggioranza. La formazione e la
manipolazione del consenso, mediante i mezzi della comunicazione sociale, si
profila come lo strumento per un potere reale, potenzialmente senza limiti. Se
l'istanza originaria del movimento democratico moderno fu quella di arrivare al
riconoscimento per ciascun essere umano degli stessi diritti fondamentali
indipendentemente da differenze di razza, di sesso, di ceto sociale, di età, di
religione, di censo economico, questa alta motivazione etica e contraddetta e
minata alle sue basi quando di un diritto fondamentale, come quello alla vita,
si fa materia di decisione politica. II relativismo etico, per cui tutto e
oggetto di compromesso, minaccia di condurre i regimi democratici ad una
«deriva totalitaria», nella quäle la forza del diritto e sopraffatta dal
diritto della forza[12].
La questione del diritto alla vita diventa sempre più la nuova frontiera della
questione sociale, sulla quäle si misura l'autenticità di una vita democratica[13].
Il mistero sacro della vita umana[14]
«Perché la vita umana e un bene?» (EV 34). Perché essa e sempre un
bene? Perché mal deve meritare dall'uomo un rispetto assoluto e incondizionato
e non piuttosto venire sottoposta ad una ponderata valutazione dei vantaggi e
svantaggi, che effettivamente comporta per se e per gli altri? La nuova
enciclica di Giovanni Paolo n, Evangelium Vitae pone con franchezza
questa domanda cruciale al centro del suo secondo capitolo, dedicato alla
fondazione teologica di tutto il discorso etico e quindi significativamente
intitolato: «II messaggio cristiano sulla vita». Con ciò essa elabora le linee
fonda-mentali di un'antropologia adeguata, in dialogo critico ed in polemica
con la visione riduttiva precedentemente tratteggiata. Si tratta di
un'antropologia che prende decisamente le mosse dalla rivelazione cristiana, da
quel Vangelo della vita, che in Cristo ne mette in luce la verità
intera. Questo messaggio ha, comunque, «un'eco profonda e persuasiva nel cuore
di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera
infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente» (EV 2). In
effetti, nonostante i condizionamenti negativi del peccato, il Vangelo della
vita risuona in ogni coscienza «dal principio», cosi che «può essere
conosciuto nei suoi tratti essenziali, anche dalla ragione umana» (E V 29).
II grande pensatore cristiano
Romano Guardini ha espresso in formule incisive e trasparenti questa percezione
naturale del valore della vita, comune nativamente a tutti gli uomini: «L'uomo
non e intangibile per il fatto che vive. Di tale diritto sarebbe titolare anche
un animale, in quanto esso pure si trova a vivere... La vita dell'uomo rimane
inviolabile poiché egli e una persona... L'essere persona non e un dato
di natura psicologica, ma esistenziale: fondamental-mente non dipende ne
dall'età, ne dalla condizione psicologica, ne dai doni di natura di cui il
soggetto e provvisto... La personalità può rimanere sotto la soglia della
coscienza - come quando si dorme -tuttavia, essa permane e ad essa bisogna far
riferimento. La personalità può essere non ancora sviluppata come quando si e
bambini, tuttavia, fin dall'inizio essa pretende il rispetto morale. E
addirittura possibile che la personalità in generale non emerga negli atti, in
quanto mancano i presupposti fisico-psichici, come accade nei malati di
mente... E, infine, la personalità può anche rimanere nascosta come
nell'embrione, ma essa e data fin dall'inizio in lui ed ha i suoi diritti. E
questa personalità a dare agii uomini la loro dignità. Essa li distingue dalle
cose e li rende soggetti... Si tratta una cosa come se fosse una cosa, quando
la si possiede, la si usa e, alla fine, la si distrugge, o, detto per gli
esseri umani, la si uccide. // divieto di uccidere l'essere umano esprime
nella forma più acuta il divieto di trattarlo come se fasse una cosa»[15].
II rispetto della vita umana, la
proibizione di disporne per una manipolazione totale, il divieto di
distruggerla, riflettono la percezione originaria presente nel cuore dell'uomo
per cui l'altro e un soggetto e non un oggetto, una persona e non una cosa. E
stato acutameate notato che, proprio dal riconoscimento di questa originaria e
irriducibile dignità dell'altro, dipende anche la dignità di soggetto del primo
interlocutore. «Con la misura con cui misurate, sarete misurati» (Mt 7,
2). «L'altro e il custode della mia dignità. Ecco perché la morale, che inizia
da questo sguardo sull'altro, custodisce la verità e la dignità dell'uomo:
l'uomo ne ha bisogno per essere se stesso e non smarrire la sua identità nel
mondo delle cose»[16].
Solo l'uomo che sä riconoscere la dignità personale dell'altro e sä rispettarla
vive in maniera degna il suo stesso essere persona.
Ma il carattere trascendente del
suo esistere come uomo rispetto all'orizzonte della pura fisicità, e preservato
dall'apertura dell'uomo al rapporto con Dio. Per questo 1'enciclica coglie, al
cuore del dramma vissuto dall'uomo contemporaneo, nello stesso tempo l'eclissi
del senso di Dio e l'eclissi del senso dell'uomo. E rileva che «smarrendo il
senso di Dio si tende a smarrire anche il senso dell'uomo» (EV 21),
riecheggiando cosi il Concilio Vaticano n che nella Costituzione pastorale Gaudium
et Spes ha affermato lapidariamente che «la creatura senza il Creatore
svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa» (EV 36).
La rivelazione biblica offre un
fondamento solido e sorprenden-te di questa intuizione circa la dignità della
vita personale dell'uo-mo con la dottrina dell'immagine. Essa costituisce, come
ha affermato Giovanni Paolo n nella Lettera apostolica Mulieris Dignitatem,
«l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana»[17].
Su questa linea si colloca anche 1'enciclica, che reperisce la motivazione
teologica del valore della vita umana in quel «legame specifico e particolare
con il Creatore», che viene stabilito nella sua delibera-zione originaria:
«Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza» (Gn l, 26;
cfr. EV 34). Se ogni cosa creata sussiste in forza di un rapporto col Creatore
e se, in particolare, ogni forma di vita manifesta qualcosa della ricchezza di
vita di Dio, vi e nondime-no una distinzione netta tra la vita umana e la vita
delle altre creature. Questa distinzione e colta dalla teologia dell'immagine:
la persona umana e in un rapporto unico e singolare con Dio. Mentre tutti gli
altri esseri viventi sono in una relazione generica e mediata col Creatore,
l'essere umano, ogni essere umano, si trova in una relazione di immediatezza
personale con Lui.
Si tratta innanzitutto di una
relazione di origine. Nel secondo racconto jahvista della creazione (Gn
2,7), la vita dell'uomo, che pure e plasmato dal fango, non sorge in continuità
con il dinamismo biologico inferiore, ma per un nuovo e straordinario
intervento di Dio, il quäle inala il suo soffio divino. Giovanni Paolo n
richiama la dottrina tradizionale cattolica, insegnata da Pio xn neIl’Humani
Generis[18], secondo
cui l'anima immortale di ogni persona e creata immediatamente da Dio e con ciò
viene trasmessa l'immagine e la somiglianza. Benché il processo biologico da
cui scaturisce la vita umana possa essere avviato dagli uomini in forme
talvolta indegne o arbitrarie, in ogni caso la vita di una persona e in un
legame diretto e unico con Dio, il quäle «si abbassa» cosi e pone il suo atto
creativo in dipendenza dalle creature umane, cui si e affidato una volta per
tutte.
In secondo luogo si stabilisce
con Dio una relazione di finalizza-zione. Ogni uomo e creato in vista di
una comunione personale con Dio, nella conoscenza e nell'amore. E questa
vocazione alla vita eterna (EV 38), che fa capire ancor più il significato
dell'origine «ad immagine e somiglianza» con Dio. II dato creaturale specifico
dell'uomo e in vista del dono gratuito e soprannaturale: la parteci-pazione
alla vita stessa di Dio come «figlio nel Figlio». Infatti «questa e la vita
eterna: che conoscano Te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesü
Cristo» (Gv 17, 3). II valore pieno della vita umana, fin nelle sue fasi
iniziali e nelle sue dimensioni biologica-mente più umili, può essere colto
adeguatamente solo nella pro-spettiva del fine soprannaturale cui e destinata.
Se solo Dio può prendere l'iniziativa di chiamare una creatura a partecipare
alla sua stessa vita divina e se ogni essere umano da lui creato e di fatto
predestinato a questa altissima vocazione, nel Figlio mediante lo Spirito,
allora si deve affermare che fin dal primo sorgere di una vita umana, Dio
stesso e coinvolto nella sua iniziativa trinitaria e personale in un legame
unico e irripetibile di vocazione.
L'interpretazione del significato
e del contenuto precisi dell'immagine e stata oggetto di discussioni accese
tra Padri e Dottori della Chiesa, e continua ad esserlo anche oggi tra esegeti
e teologi[19].
L'affermazione di Gn l, 26, che riporta i termini ebraici säläm (immagine)
e demut (somiglianza), riferita dalla teologia tradizionale scolastica
soprattutto alle facoltà spirituali superiori (intelli-genza e volontà), viene
interpretata da alcuni esegeti (ad esempio J.J. Stamm) in relazione alla figura
corporea eretta dell'uomo, che lo differenzia dagli animali e lo pone in una
situazione di dominio su di essi. Karl Barth, invece, collega l'enigmatica
espressione della Genesi al rapporto uomo-donna, e più in genere dell'uomo con
l'uomo, ciò che fa intravedere in Dio stesso una comunione di persone. Le varie
interpretazioni del significato dell'immagine creaturale, lungi dall'esciudersi
a vicenda, colgono aspetti diversi e complementari di un'unica misteriosa
affinità col Creatore. Pertanto, la definizione del contenuto specifico di
quella somiglianza con Dio, che costituisce la dignità peculiare dell'essere
umano, apre la strada a sondare diverse dimensioni antropologiche, tra loro
intersecantesi: dominio sul creato, accesso al mondo dello spirito, apertura
alla comunione interpersonale.
Comunque sia da interpretare
quest'affinità dell'uomo con Dio si tratta di una nobiltà misteriosa, non
pienamente afferrabile: e se l'archetipo stesso (Dio) non e definibile, non si
dovrebbe conclude-re che anche la copia (uomo), fatta a sua immagine, e in
fondo ultimamente indefinibile, inafferrabile? o anche: che solo Dio il quäle
ha creato l'uomo in una condizione di somiglianza con se può cogliere il
mistero profondo e personale? Solo il Creatore conosce il nucleo originario
della somiglianza e, quindi, la ragione della dignità singolarissima di ogni
persona.
La tensione tra origine creaturale
e finalizzazione gratuita si riflette anche in talune interpretazioni
patristiche del rapporto tra «immagine» e «somiglianza», intese come due
momenti o fasi di uno sviluppo dinamico che, a partire dal nucleo ontologico
irriduci-bile, si sviluppa verso una meta superiore tramite l'impegno della
libertä. Si profila qui l'interpretazione nettamente cristologica
dell'immagine, sulla scorta di Col l, 15: «Egli e immagine del Dio
invisibile, generato prima di ogni creatura». Cristo e l'Immagine perfetta del
Padre: l'uomo e stato creato precisamente in vista di questo archetipo
originario, predestinato in lui a riprodurre l'imma-gine dell'Adamo celeste,
cosi come ha portato l'immagine dell'Adamo terrestre (cfr. 7 Cor 15,
49). Questa teologia dell'immagine e stata elaborata in senso nettamente
cristocentrico, soprat-tutto da Sant'Ireneo: «Nei tempi precedenti si diceva
certo che l'uomo e stato creato secondo l'immagine di Dio, ma questo non fu
subito manifeste, poiché la Parola, secondo la cui immagine l'uomo era stato
fatto, era ancora invisibile, e per questa ragione anche la somiglianza era
andata facilmente perduta. Ma quando il Verbo si fece carne, ci fu per entrambe
la base solida: egli rivelö la verità dell'immagine in quanto divenne appunto
ciò che era la sua immagine e ricostitui saldamente la somiglianza in quanto
mediante il Verbo ora visibile fece l'uomo simile al Padre invisibile»[20].
A questo punto e utile soffermarci a considerare la scelta di metodo compiuta
dall'enciclica Evangelium Vitae, scelta che ha grande spessore teologico. Nella fondazione della dignità unica e
singolare della vita umana Giovanni Paolo n si muove con chiarez-za nella
prospettiva teologica centrata sulla «immagine di Dio» nell'uomo, interpretata
cristologicamente (EV 34-39). Essa com-porta due scansioni: dapprima il
riconoscimento che in Cristo risplende la verità piena e definitiva dell'uomo,
secondo l'unico e immutabile progetto di Dio, che fin dalla creazione e
orientato a Lui (polarizzazione cristologica dell'antropologia)[21],
in secondo luogo la constatazione che proprio nell'orizzonte della fede sono
salvati e garantiti gli elementi di verità, che anche la ragione umana da sola
può scoprire, circa la comprensione della dignità unica e impedibile della vita
personale di ciascuno (collocare le distinzioni all'interno dell'intero
della fede)[22].
La risposta che 1'enciclica offre
all'inquietante interrogativo sul valore della vita e, dunque, di netta
impronta cristologica: «II Vangelo della vita e una realtà concreta e personale,
perché consiste nell'annuncio della persona stessa di Gesü» (EV 29). Nello
stesso tempo essa ha grande portata antropologica. Non solo, infatti, il
Vangelo della vita «risuona in ogni coscienza dal principio... e può essere
riconosciuto nei suoi tratti essenziali anche dalla ragione umana», ma esso,
manifestato in piena luce dalla Rivelazione, permette di «conoscere la verità
intera circa il valore della vita umana» (EV 29), superando dubbi, esitazioni,
incertezze ed elevando ad un vertice naturalmente inimmaginabile ciò che il
cuore timidamente presenta.
Se la formula «Vangelo della
vita» non ricorre come tale nella Sacra Scrittura (EV 2, nota l),
un'espressione biblica, pur non citata direttamente nel testo dell'enciclica,
vi si avvicina straordina-riamente. Si tratta di un passo della seconda lettera
a Timoteo; vi si paria della grazia, che, data in Gesü Cristo fin
dall'eternità, «e stata rivelata solo ora con l'apparizione del salvatore
nostro Gesü Cristo, che ha vinto la morte e hafatto risplendere la vita
e l'immortalità per mezzo del Vangelo» (2 Tim 1,10). La vita, dunque,
risplende nella sua originaria e piena verità per mezzo del Vangelo di Gesü
Cristo. E perciò «con lo sguardo fisso al Signore Gesü» che viene rimediato il
Vangelo della vita (EV 30). La teologia giovannea di Cristo-Vita costituisce,
quindi, la fönte principale di ispirazione del documento pontificio[23].
E Lui, infatti, il Verbo della vita: colui nel quäle si trova quella vita che e
luce per gli uomini, colui nel quäle la vita si e fatta visibile per gli
uomini. Di questa vita eterna, la Chiesa ha fatto esperienza: di essa deve dare
testimonianza di fronte al mondo. Per questo «davvero grande e il valore della
vita umana se il Figlio di Dio l'ha assunta» (EV 33), se Egli ha dato il suo sangue
prezioso, perché gli uomini «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza (Gv
10,10; EV 25).
E dal cuore stesso del Vangelo
che sorge il messaggio sulla vita dell'enciclica. Giovanni Paolo n, per
richiamare il rispetto dovuto alla vita fisica di ogni essere umano,
soprattutto se debole, non ha timore di partire dal vertice della rivelazione.
Egli prende le mosse dall'intero, dalla pienezza della verità cristiana, da
quel fascio di luce abbagliante che prorompe dal Figlio di Dio fatto uomo,
morto e risorto per noi. E dall'interno della prospettiva della fede, la quäle
dischiude la verità completa sul valore della vita, che si potranno poi
differenziare le dimensioni del bene della vita e gli atteggia-menti di
dedizione dovuti. Si tratterä di distinguere nell'unitä di un dono, che fin dal
momento iniziale e vocazione gratuita a partecipa-re alla vita divina.
Certamente - come si e giä detto
-, l'enciclica riconosce che la ragione stessa può da sola cogliere i tratti
essenziali del valore della vita umana e percepire l'esigenza di rispetto
assoluto dovuta alla persona. Ma si tratta di una ragione disposta ad aprirsi
al mistero, non di una ragione che pretende di misurare esaurientemente la
realtà con parametri limitati. La ragione calcolante, capace di inter-venire
efficacemente sulla vita come fenomeno biologico, deve lasciarsi guidare dalla
sapienza, che percepisce i valori e i fini dell'esistenza. II «fare» tecnico a
proposito della vita deve subordinarsi alla logica dell'«agire»[24],
che mette in primo piano il rapporto della libertä umana con i fini immanenti!
all'azione. La luce della fede, riverberandosi sull'umano e collocandolo nella
sua prospettiva ultima e completa, fomisce nuove ragioni alla ragione in
relazio-ne al valore della vita umana. Cosi, essa salva la dimensione
sapienziale della ragione da una riduzione tecnicistica che livella l'uomo al
piano delle cose, le quali possono essere manipolate, senza responsabilità.
Alla luce di quest'antropologia
teologica cristocentrica, il bene della vita umana può essere precisato
nell'articolazione delle sue dimensioni fondamentali, evitando deprezzamenti
materialistici o indebite sacralizzazioni. II concetto di vita, infatti, pur
essendo in se stesso semplice e immediato, comporta una grande complessità
semantica. In assenza di un'adeguata distinzione delle articolazioni e di una
comprensione organica dei nessi, si corre il rischio di confusioni pericolose.
La vita fisica dell'uomo si troverà polarizza-ta verso il valore della persona,
la quäle e chiamata in Cristo a partecipare alla vita divina.
Fenomeno di confine tra i livelli
inferiori della materia, da cui emerge, e quelli superiori dello spirito, cui
partecipa, la vita dell'uomo riveste caratteri ambigui e anche paradossali.
Come ha rilevato von Balthasar, la posizione che la Sacra Scrittura assegna
all'uomo nella scena dell'uni verso creato, e altamente e drammaticamente
ambigua: tra cielo e terra, «sopra la terra», ma «sotto il cielo»[25].
Se si riferisce quest'incerta
posizione alla vita umana, si deve rilevarne la simultanea dimensione di
continuità e di trascendenza rispetto alle altre forme viventi. Da un lato
l'uomo appare il corona-mento di uno sforzo di compimento «dal basso» dello
slancio vitale, proprio dell'evoluzione della materia. Anche nell'antropolo-gia
di San Tommaso d'Aquino l'embrione umano ricapitola le forme cosmiche
sostanziali ascendenti[26].
D'altro canto, la possibilità della riflessione importa nell'uomo una distanza
dalla realtà vivente immediata. Ciò che dal basso appare come una meta
dell'evoluzione, considerato nella prospettiva del fine raggiunto, si rivela,
«dall'alto», come il senso che finalisticamente muove tutto il dinamismo[27].
Le perplessitä del cuore umano di fronte a quest'ambigua posizione si fanno acutamente
sentire proprio nelle esperienze limite, che pongono l'esistenza ai confini tra
la vita e la morte: il momento misterioso e indecidibile del concepimento e
delle primissime fasi di sviluppo (quando sorge veramente la vita umana?) e il
momento tenebroso del morire (quali i confini tra vita personale e decomporsi
di un organismo biologico, che perde via via la sua unitä funzionale?). E nei
punti estremi, nelle situazioni limite, nello stesso tempo concretissime e
misteriose, che si apre il conflitto delle interpretazioni. Esse si scontrano
non semplicemen-te di fronte alla ragione, ma al cuore e alla libertä di ogni
persona, chiamata a decidere in circostanze talvolta drammatiche. Qual e,
dunque, il valore della vita fisica in riferimento alla persona?
Sulla scorta della teologia
giovannea circa la «vita» e mettendo a frutto le distinzioni terminologiche in
essa riscontrabili, si possono riconoscere anche nella Evangelium Vitae
tre distinzioni fonda-mentali (soprattutto ai numeri 34 e 37); l) AI livello
basilare si trova, infatti ilßioc, che l'uomo condivide fondamentalmente con
gli altri esseri viventi. Si tratta di quell'organicità dinamica, che
spontaneamente tende ad affermarsi e a mantenersi vitale mediante interscambi
con l'ambiente, ma che inevitabilmente decade e rica-de poi nell'inorganico; 2)
Ad un livello superiore della natura si incontra la dimensione della vita
spirituale propriamente umana. Essa deriva nell'uomo dal principio spirituale
dell'anima e lo qualifica come una persona cosciente e libera. La dignità
propria dell'anima spirituale e di sporgere verso l'infinito, di essere capax
Dei; 3) Infine, sul piano della grazia, si incontra l'evento
qualitati-vamente nuovo e indeducibile dai livelli inferiori (sia
costitutivamente, sia essenzialmente, sia come esigenza), della vita divina,
soprannaturale[28]. Si tratta
qui di un dono totalmente dipen-dente dall'amore gratuito di Dio, che apre la
dimensione della partecipazione dell'uomo alla vita intima di Dio stesso: la
vita eterna.
Anche San Paolo ha proposto, in
vari brani del suo epistolario (ad esempio l Ts 5, 23; 2 Cor2,
10-15), un'antropologiatripartita, che distingue, analogamente alla
terminologia giovannea sopra evocata, tra vita del corpo, vita dell'anima e
vita dello spirito {aäfia. yv^r], nvev/J.a). Una tale triplice
distinzione di livelli della vita umana e stata comune nella grande patristica
(Ireneo di Lione, Origene ed anche Sant'Agostino), con influssi significativi
anche nella mistica e nella scolastica medioevale[29].
La specificità dell'uomo consiste
precisamente nel fatto che questi tre livelli sono in relazione tra loro e sono
uniti l'uno all'al-tro, cosi che la dimensione biologica partecipa delle altre
due e viceversa. La finalità propria della redenzione e la «vita eterna» (^corj),
che perö santifica e rende inviolabile anche la dimensione biologica (ßio(y),
senza che ne derivi una identificazione («senza confusione e senza
separazione»).
Come si evince da questo schizzo
schematico, l'unitä articolata delle dimensioni della vita umana esige un punto
di riferimento, con un primato gerarchico, che attragga gli altri livelli
subordinan-doli senza cancellarne il valore. In questa comice si coglie anche
il valore del corpo e della vita corporale (cfr. EV 47). Nell'antropologia
cristiana, il corpo non e un'appendice di significato puramente strumentale
rispetto all'anima. San Tommaso d'Aquino arriva a dire persino che il corpo e
componente essenziale per la perfezione della persona come tale e che senza il
corpo non sl da In senso proprio la persona[30].
La vita del corpo non va, dunque, idolatrata come un assoluto, da preservare ad
ogni costo. In nome dei beni spirituali superiori, si deve essere disposti a
sacrificaria, cosi come hanno dato testimonianza tanti martiri nella storia
della Chiesa. Tuttavia, non e neppure un bene strumentale disponibile
all'arbitrio: «nessun uomo può scegliere arbitrariamente di vivere o di morire;
di tale scelta e infatti padrone assoluto soltanto il Creatore» (EV 47). Ne il
principio prometeico, con la sua pretesa di dominio assoluto sulla vita fisica,
ne quello dionisiaco, con l'affermazione di un vitalismo naturalistico,
realizzano adeguatamente il suo valore. II primo riflette un dualismo, che
ignora l'unitä del composto umano e la sua creaturalitä, il secondo misconosce
la preminenza finalistica dei valori spirituali, per i quali si deve essere
disposti a «dare la propria vita». Quest'ultimo aspetto e stato espresso in
maniera icasticamente insuperabile dal poeta latino Giovenale:
Summum crede nefas animam
praeferre pudori / et propter vitam vivendi perdere causas («Ritieni che il più grave dei
crimini consi-ste nel preferire la propria sopravvivenza all'onore e per amore
del vivere a tutti i costi, perdere le ragioni del vivere»)[31].
Alla precedente tripartizione,
organicamente compaginata, va coordinata la distinzione di due fasi della vita
dell'uomo: quella temporale e quella definitiva. Sarebbe, tuttavia, un equivoco
gra-vissimo relegare la vita eterna nell'al di lä. Essa, al contrario, inizia
giä nella fase temporale e si pone come germmale incipienza del definitivo e
come polo che finalisticamente attrae e da significato ad ogni altra
espressione della vita. La vita terrena e nello stesso tempo relativa e sacra
(cfr. E V 2): non e il bene supremo a cui tutto sacrificare o da preservare ad
ogni costo; non e nemmeno un bene strumentale a nostra completa disposizione.
«Di essa e padrone assoluto solo il Creatore» (EV 47), cui solo spetta la
scelta di darle un termine, perché a Lui si deve l'iniziativa di averle dato
origine. L'uomo non ha verso di essa «una signoria assoluta, ma ministeriale»,
riflesso della signoria unica e infinita di Dio (EV 52).
La carità come dedizione totale
di se a Dio, amato sopra ogni cosa, e al prossimo, che porta la sua immagine, realizza
il senso ultimo della vita e anticipa il destino finale dei beati. Infatti «il
senso più vero e profondo della vita e quello di essere un dono che si
compie nel donarsi» (EV 49). Mostrando sulla Croce il vertice dell'amore,
Cristo testimonia che «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita
per i propri amici» (Gv 15, 13) e proclama cosi «che la vita
raggiunge il suo centro, il suo senso e la sua pienezza quando viene donata»
(EV 51).
L'affermazione del valore della
vita, lungi dal chiudere la persona in se stessa nella ricerca di
salvaguardaria a tutti i costi contro gli altri, spalanca piuttosto il suo
significato nella trama delle relazioni interpersonali e nella dinamica della
carità. La vita fisica e orientata alla persona e la persona si realizza nella
comunione, in una trama di relazioni di mutua accoglienza e donazione. Non che
la vita abbia valore soltanto per la capacitä di relazioni psicologicamente
coscienti e significative che comporta, come un certo personalismo fenomenistico
sostiene. Esiste, infatti, una relazione costitutiva e fondante con Dio, che
collocandosi all'origine di ogni vita personale, ne assicura in modo sacro e
inviolabile il valore. «Dio e l'unico Signore» della vita, che da Lui proviene
e che trova nel dialogo con Lui l'unico suo significato esauriente (cfr. EV
39). Vi e qui il mistero di una relazione, che avendo Dio come soggetto
originante non può essere arbitrariamente appropriata da altri e neppure da
colui che la riceve come beneficiario, proprio nell'istante in cui riceve il
suo stesso essere.
Ma questa eselusivitä
inaccessibile della relazione originaria con Dio Creatore e il presupposto per
la comunicazione con gli altri. Come afferma il Concilio Vaticano n, in un
passo della Gaudium et Spes decisivo per l'antropologia di Giovanni
Paolo n:
«L'uomo, che sulla terra e
l'unica creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non può ritrovarsi
pienamente se non mediante un dono sincero di se» (cfr. EV 24). Se la vita,
nella sua origine e un dono, il fine cui e destinata e farsi dono, riflettendo
cosi l'immagine di Colui da cui proviene. In questo senso Gregorio di Nissa
pone nella somiglianza l'elemento dinamico dell'immagine di Dio nell'uomo e
vede la sua realizzazione nel libero donarsi mediante la carità[32].
Analogamente lo stesso concetto si ritrova in San Bonaventura, con le categorie
dell' impressio e dell' espressivo: il dono dell'immagine,
impresso indelebilmente nell'anima umana, e chia-mato ad esprimersi mediante la
carità, che ci fa somigliare a Dio[33].
La vita, quindi, si configura come un talento da mettere a finito generosamente
nel dono di se e nell'accoglienza dell'altro e non come un tesoro da custodire
gelosamente.
L'enciclica non resta nella
riflessione antropologica formale e ge-nerica, ma accenna ad applicazioni
concrete nell'esperienza (cfr. EV 43-46). Prima ancora di offrire le pur
necessarie indicazioni normative del terzo capitolo, il documento pontificio si
sofferma a lumeggiare con quella luce che proviene dal Vangelo della vita le
originarie esperienze umane che sono in gioco: la generazione, la sessualità,
la nascita, la malattia e la sofferenza, il morire. Descrive, inoltre, gli
atteggiamenti fondamentali verso la vita umana: il rispetto e la cura, il dono
e l'accoglienza, la solidarietà. Questa preoccupazione e particolarmente degna
di sottolineatura. Essa in-dica la consapevolezza che la precettistica morale
ha bisogno di essere preceduta e contestualizzata dall'annuncio evangelico di
un significato nuovo, che permea e rinnova l'umano[34].
Prima delle norme morali stanno gli atteggiamenti, mediante i quali siamo
chiamati a rispondere con tutto il nostro essere (intelligenza, affettività,
emotività) ai valori morali.
Tra le esperienze chiave della
vita, la generazione di un figlio, «evento profondamente umano e
altamente religioso», si colloca in continuità con la creazione e con la
trasmissione dell'immagine e somiglianza di Dio (cfr. EV 43). Essa e
collaborazione con l'inizia-tiva di Dio. Per essere veramente responsabile,
richiede la consapevolezza di trasmettere un dono che si e ricevuto. Richiede
la memo-ria di un'origine e la prospettiva di un destino, che non ci
appartie-ne, ma di cui si e ministri. Generare, perciò, non può configurarsi
come un progetto posseduto autonomamente dai genitori, stabilito secondo un
piano da essi perfettamente formulato e controllato, ma piuttosto come
un'obbedienza ad una promessa buona presentita, alla quäle nello stesso tempo
ci si affida e si affida il figlio[35].
II soffrire e l'affrontare
la malattia, cosi come la vecchiaia, sono presentati
dall'enciclica secondo la chiave ermeneutica della prova. Si tratta in effetti
di un'autentica «crisi», nella quäle la libertä e radicalmente interpellata a
scoprire il senso, nell'affidamento a Dio[36].
L'eccessiva medicalizzazione della malattia rischia precisa-mente di censurare
la domanda di salvezza che e insita nella do-manda di guarigione, esasperando
le attese nei confronti del fare tecnico e impedendo l'assunzione cosciente
della prova, soprattutto della suprema prova del morire. Quest'ultimo
non può essere inte-so dal cristiano come un «sinistro destino» da sfuggire
ostinata-mente, da subire rassegnatamente o finalmente da anticipare pro-meteicamente,
gettandosi volontariamente nella bocca del mostro che comunque ci inghiottirà.
In Cristo il cristiano può assumere la morte come un atto di libertä,
un'offerta al Padre, nell'ora in cui Lui vuole e sä, che ha fissato per noi.
L'abbandono eucaristico nelle braccia del Padre, come consenso filiale alla sua
volontà, rappre-senta l'antitesi al gesto disperato dell'eutanasia. Infatti
l'eutanasia pretende di capovolgere gli atteggiamenti: pone un'attività lä dove
al credente e chiesta una passività (consenso alla volontà e all'ora decisa dal
Padre) e rifiuta dl aderire attivamente con il si dell'offerta, lä dove
introduce la scettica passività del sottrarsi alla vita.
Per quanto riguarda gli
atteggiamenti nei confronti della vita umana, se si percorrono i 105 paragrafi
dell'enciclica si potrà constatare con facilitä che due parole hanno la
prevalenza sulle altre e si richiamano reciprocamente: dono e accoglienza.
La vita umana e un dono, sempre; in dono che chiede di essere accolto e di
diventare a sua volta dono per gli altri. Dal punto di vista dell'uo-mo,
l'attitudine fondamentale non può che essere quella dell'acco-glienza:
riconoscere e accettare la vita come un dono, in se e negli altri, portando lo
sguardo sul donatore. Quest'accoglienza e l'atteg-giamento mariano per
eccellenza, richiamato e invocato nella pre-ghiera finale. Esso sta alla base
di ogni rispetto, di ogni cura, di ogni sollecitudine verso la vita dell'uomo.
E la disposizione creaturale e nello stesso tempo filiale, che ci fa simili a Gesü,
il Figlio del Padre, il quäle perennemente si riceve da Lui. Ma
quest'accoglien-za e il presupposto per il dono. La persona umana, che e voluta
per se stessa e accoglie la vita come un dono, non può ritrovarsi se non
mediante un dono sincero di se. Modello di tale interpretazione della persona e
Dio stesso come Trinità, come comunione di perso-ne. Dire che l'uomo e creato a
immagine e somiglianza di questo Dio vuol dire anche che l'uomo e chiamato ad
esistere «per» gli altri, a diventare un dono[37].
La vita umana, fragile e
preziosa, e affidata alla cura e alla sollecitudine di altri
uomini. Soprattutto quando e nelle sue fasi iniziali o quando, colpita dalla
malattia o dalla vecchiaia, volge al termine, la vita dell'uomo dev'essere
custodita dalle premure degli altri. Rimeditando la terribile parola con cui
Caino tenta di scusarsi davanti a Dio: «Sono forse il guardiano di mio
fratello?» (Gn 4, 9), il Santo Padre risponde positivamente: «Si, ogni
uomo e guardiano di suo fratello, perché Dio affida l'uomo all'uomo» (cfr. EV
19). Non si tratta appena di un «rispetto» passivo, neutro e ultimamente
indifferente[38]. Si tratta,
invece, di un attivo prendersi cura, secondo la figura evangelica del «farsi
prossimo», perché il destino dell'al-tro mi riguarda. Anzi, da esso dipende il
mio stesso destino, visto che Dio domanderà «conto della vita dell'uomo
all'uomo, ad ognu-no di suo fratello» (Gn 9, 5). Non basta evitare di
nuocere all'altro, quando in effetti ci si sottrae alla domanda di aiuto, di
compagnia e di solidarietà.
Proprio nel contesto del richiamo
al servizio alla vita, il Papa si rivolge poi in maniera specifica agii
operatori sanitari: medici, farmacisti, infermieri ecc. (EV 89), mettendo in
guardia dal pericolo di smarrire, nel contesto sociale e culturale odiemo, «la
nativa dimensione etica» della loro professione. In effetti, fenomeni di
estrema specializzazione delle competenze scientifiche e di delega di
responsabilità alle forme sociali dell'esercizio della medicina, conducono ad
oscurare sempre più l'intrinseca valenza morale di servizio alla vita, che e
propria della relazione tra medico e paziente. Anche quando non fosse più
possibile guarire, fa parte delle esigenze etiche di questa relazione il
continuare a curare, senza prestarsi mai ad atti che violino la fiducia e il
patto per la vita insito in essa. La trascendenza del valore della vita implica
che esista un nucleo etico non disponibile a manipolazioni arbitrarie e che
medico e paziente riconoscano questa dipendenza e questo limite. Certa-mente
questo atteggiamento umile e dedito viene favorito quando il naturale senso
religioso e sostenuto dalla certezza che la domanda di salvezza,
inevitabilmente complicata nella ricerca di guarigione dalla malattia, trova
altrove, nel dono della fede, la sua risposta[39].
La solidarietà verso la vita,
soprattutto debole e indifesa, diven-ta il banco di prova della socialità
autentica. II limite minimo della giustizia consiste nel riconoscimento del
diritto inviolabile alla vita di ogni persona, dal suo concepimento alla sua
morte naturale, ün tale riconoscimento esprime il limite del potere politico e,
quindi, la trascendenza della persona rispetto alla società e alle leggi dello
Stato. Quello alla vita, come altri diritti fondamentali della persona umana,
non e una concessione che viene fatta da parte dell'istitu-zione pubblica: e un
diritto nativo e inalienabile, che la legge deve solo riconoscere. Ma questa
soglia minima del rispetto deve essere superata e trasförmarsi in attiva
promozione della vita. Infatti, la libertä «possiede una essenziale dimensione
relazionale» (EV 19): essa non e indipendente dalla realizzazione del «bene
comune». Anzi, solamente nella dedizione al bene comune e alla promozione per
la vita altrui cresce e si realizza la libertä e la vita del singolo.
La vita dell'uomo si trova
esposta al margine di due abissi, che provocano sgomento, soprattutto la
fragilità estrema dell'inizio e la debolezza della fine ne mettono in questione
radicalmente la consi-stenza e il valore. Pascal ha parlato con accenti
altamente drammatici di questa condizione nello stesso tempo di grandeur et
misere:
l'uomo si trova smarrito e
pauroso «vedendosi sospeso, nella massa datagli dalla natura, tra i due abissi
dell'infinito e del nulla»[40]:
dell'infinito verso cui si sente
intenzionalmente spalancato e del nulla da cui pro viene ed in cui teme di
sprofondare definitivamente. Di fronte alla tentazione di censurare
l'angosciante domanda, ap-propriandosi tecnicamente, mediante un «fare» medico,
delle esperienze limite della vita, l'enciclica Evangelium Vitae fa
riecheggiare con accenti nuovi e gioiosi il messaggio evangelico sul valore
della vita che risplende in Cristo. Essa non cela la questione fondamentale
che e in gioco: la questione sull'identità dell'uomo. Sa che su di essa si
gioca il futuro dell'umanità e il destino di ciascuno. A questa domanda
risponde con lo stupore dell'annuncio evangelico:
«Davvero grande e il valore della
vita umana se il Figlio di Dio l'ha assunta e l'ha resa luogo nel quäle si
attua la salvezza per l'umanità intera» (EV 33).
[1] Giovanni Paolo II, Lettern endclica «Centesimus Annus» (1.5.1991), Dehoniane, Bologna 1991.
[2] AI riguardo si vedano le esplicite affermazioni di M. mori, Per un chiarimento delle diverse prospettive etiche sottese alla bioetica, in E. agazzi (a cura di), Quäle etica per la bioetica, Franco Angeli, Milano 1990, pp. 37-66; dello stesso autore anche Bioetica: nuova sciema o rißessione morale?, «Mondo operaio», 11, 1990, pp. 120-128.
[3] P. angela, «La Repubblica», 23.10.1980.
[4] In merito si vedano le tesi estreme di P. singer, Animal liberation. Towards an end to man's inhumanity to animals, Jonatan Cape, London 1976; a cura dello stesso autore, Applied ethics, Oxford University Press, Oxford 1984.
[5] Cfr. B. lonergan, Collection, New York 1967, p. 259.
[6] M. heidegger, Die Frage nach der Technik in Vorträge und Aufsätze, Pfullingen 1954, pp.29-31.
[7] H. jonas, Dalla fede antica all'uomo tecriologico, II Mulino, Bologna 1991, p. 262.
[8] Cfr. ibi, pp. 262-263.
[9] Cfr. L. lombardi vallauri, Manipulations genetiques et droit, Comunicazione al Parla-mento Europeo di Strasburgo 1986 (dattiloscritto 102.833).
[10] P. simon, De la vie avant taute chose, Mazarine, Paris 1979. Le citazioni sono alle pagine 13-15 e 84-85 dell'originale francese.
[11] Si veda su questo tema: J. ratzinger, Der Mensch wischen Reproduktion und Schöpfung. Theologische Fragen zum Ursprung des menschlichen Lebens, «Int. Kath. Zeitschrift Communio» xvm, l (1989), pp. 61-71.
[12] Cfr. M. schooyans, La derive totalitaire du liberalisme. Ed. Universitaires, Paris 1991; dello stesso autore, con riferimento alla dimensione politica della bioetica: Maitrise de la vie, domination des hommes, Le Sycomore, Paris-Namur 1986.
[13] Mi permetto di rimandare, in proposito, al mio articolo: // rispetto della vita come questione sociale: dalla «Rerum Novarum» all'«Evangelium Vitae», «L'Osservatore Romano», 13.4.1995, pp. le9.
[14] Vengono riprese e sviluppate qui aicune linee di riflessione piü sinteticamente presentate in un mio precedente articolo: II messaggio cristiano sulla vita, «Studi Cattolici», 413/414 (1985), pp. 428-434.
[15] R. guardini, / diritti del nascituro, «Studi Cattolici», maggio/giugno 1974.
[16] Cfr. J. ratzinger, // diritto alla vita e l'Europa, «Studi Cattolici», 323 (1988), pp. 3-8.
[17] giovanni paolo n, Lettera apostolica «Mulieris Dignitatem» (15.8.1988), n. 6, in «Enchiridion Vaticanum» (EV), 11, Dehoniane, Bologna 1991, pp. 706-843.
[18] Pro xn, Lettera Enciciica «Humani Generis» (12.8.1950), in «Acta Apostolicae Sedis», 42 (1950), p. 575: «Animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet».
[19] Per una breve e autorevole panoramica delle discussioni al riguardo, si veda: H.U. von balthasar, Le persone del dramma: l'uomo in Dio, in id., Teodrammatica, vol. Il, Jaca Book, Milano 1982, pp. 298-316.
[20] S. ireneo, Adversus
Haereses, v, 16, 2.
[21] Per una presentazione
rigorosa e nello stesso tempo elementare della tesi teologica del
«cristocentrismo obiettivo» rimando volentieri al volume di G. Bim, Approccio
al cristo-centrismo. Note storiche per un tema etemo, Jaca Book, Milano
1994. Con riferimento alla teologia balthasariana si veda anche: A. scola, Hans
Urs von Baltiwsar: uno Stile teologico, Jaca Book, Milano 1991, pp. 59-67.
[22] Cfr. G. bifpi, Cultura
cristiana, distinguere nell'unito, Jaca Book, Milano 1983.
[23] AI riguardo: F. mussner, Zöe
Die Anschauung vom «Leben» im vierten Evangelium, München 1952; R.W.
thomas, The Meaning ofthe Terms «Life» and «Death» in the Fourth Gospel and
in Paul, «Scottish Journal ofTheology», 21 (1968), pp. 199-212.
[24] La distinzione classica tra npäfyiy
e ni)ii]rsi^, tra agere efacere e stata criticamente riproposta da
R. bubner, Azione. Linguaggio e ragione. I concetti fondamentali della
filosofiapratica, II Mulino, Bologna 1985, pp. 55-109.
[25] Cfr. von balthasar., Le
persone del dramma..., p. 170.
[26] Cfr. S. tommaso d'aquino, Summa
Theologiae, i, q. 76, a. 4. Per uno sguardo comples-sivo sull'antropologia
tomista, si veda: S. vanni rovighi, L'antropologiafilosofica di San Tommaso
d'Aquino, Vita e Pensiero, Milano 1965.
[27] Cfr. von balthasar, Le
persone del dramma..., p. 336.
[28] Cfr. H. de lubac, Petite
catechese sur nature et gräce, Communio-Fayard, Paris 1980, pp. 18-25.
[29] Cfr. H. de lubac, Mistica
e mistero cristiano, in id., Opera omnia, vol. VI, Jaca Book, Milano
1979, cap. n. «Antropologia tripartita», pp. 59-117.
[30] S. tommaso d'aquino, De
potentia, q. 5, a. 10, «Corpus etiam hominis ordinatur ad hominem, non
secundum animalem vitam tantum, sed ad perfectionem naturae ipsius».
[31] Giovenale, Satirae,
vin, 83-84.
[32] Cfr. von balthasar, Le
persone del dramma..., pp. 310-315.
[33] Cfr. S. bona ventura, La
sapienw cristiana. Le Collationes in Hexaermeron, Jaca Book, Milano 1985,
pp. 112-129.
[34] Indicazioni preziose per un
lavoro in questa dtrezione, sviluppate soprattutto per quel ehe riguarda la
generazione e la figliolanza, si trovano in G. angelini, Ilfiglio. Una
benedi-aone. Un compito, Vita e Pensiero, Milano 1991.
[35] Su questo tema, mi permetto
di rimandare al recente mio articolo: Paternitä e sacrificio (leggi: artificio),
«Communio», 139 (1995), pp. 98-104.
[36] Invito a leggere l'altissima
testimonianza di mons. E. corecco, Significato della soffe-renza, ibi,
pp. 105-112.
[37] Cfr. giovanni paolo n, Lettera
apostolica «Mulieris Dignitatem», n. 7. Su questa tematica nella Lettera
apostolica si vedano i commenti teologici di A. scola, Uomo-donna: unitä
dei due; e di L. e S. grygiel, Persona. Comunione e dono di se,
«L'Osservatore Romano», rispettivamente dell'8 e 14.10.1988, pp. 1-6; pp.1-4.
[38] In merito si veda: G.
angelini, // dibattito teorico sull'embrione. Riflessioni per una diversa
imposta-äone, «Teologia», 16 (1991), pp. 147-166.
[39] Per importanti osservazioni
sul limite della prassi medica rimando naturalmente al classico contributo di
K. jaspers, II medico nell'etä della tecnica, R. Cortina, Milano 1991.
Si veda anche: P. cattorini, Per una filosofia della medicina, «Medicina
e Morale», 3 (1985), pp. 544-564.
[40] B. pascal, Pensieri,
Mondadori, Vicenza 1976, n. 223, p. 81.