CAPITOLO V Sviluppo delPuffìcio divino nel Medioevo

(secoli VIII-XIII)

 

A. ESPANSIONE DELL'UFFICIO ROMANO DOPO PAPA gregorio magno

 

1. La liturgia romana

 

L'opera di papa Gregorio e il ruolo che egli conquistò al papato presso le popolazioni germanico-cristiane, lo spessore che la sua personalità ha conservato nelle generazioni posteriori, co­sì come tutte le sue iniziative ecclesiali, sono ben marcate da un'impronta imperitura e legate alle grandezze che hanno carat­terizzato quest'epoca.

1 successori di questo grande pontefice sulla cattedra di Pie­tro hanno continuato a incrementare l'opera evangelizzatrice at­traverso la vita liturgica, sviluppando la potenziabilità civilizzatrici della Chiesa. I vari monasteri fondati a Roma presso le ba­siliche della città, le schola cantorum, l'espansione missionaria con il relativo influsso avuto dai monaci sulla liturgia, nonché l'inti­mo rapporto dell'ufficio romano con quello monastico benedet­tino (1), indicano la validità di una tale opera.

L'anonimo autore francese, che agli inizi delI'VIII secolo, ha descritto nel Codice 349, il rituale romano del tempo, afferma che papa Damaso, con l'aiuto di Girolamo, istituisce e organiz­za a Roma uno schema molto simile a quello usato a Gerusa­lemme (2), e del quale troviamo conferma nella Peregrinatio Egeriae. La notizia è anche confermata da Florio di Lione che, intorno altre 480, in un'Inventio canonica, scrive che il grande afflusso della folla (l'esercito dei monaci e dei chierici), avevano instaurato, pro­prio a Gerusalemme, una liturgia solenne e senza interruzione, notte e giorno, composta di inni e salmodia, a sua volta ripresa e imitata da altre chiese e in altri paesi. A Roma, venne portata avanti da Leone, Gelasio, Simmaco, Bonifacio, Gregorio, Marti­no e altri successori.

Anche se brevemente, dobbiamo sottolineare questa prima fase dello sviluppo che va lentamente assumendo l'ufficio roma­no sotto l'influsso della preghiera liturgica apportata dalle co­munità monastiche formatesi nell'Orbe. Infatti, la graduale coesione e poi la definitiva fusione dei due schemi, quello ro­mano e quello benedettino, caratterizzano la prima fase dello svi­luppo progressivo della Liturgia delle Ore.

A partire dal secolo Vili non esisteva molta differenza tra il cursus benedettino e quello romano. Quest'ultimo, celebrato nella quasi totalità delle basiliche cittadine, poggiava sulle anti­che due ore principali di lodi e vespri e solo lentamente verrà a integrarsi con l'intero cursus praticato dai monaci, dimoranti presso le basiliche secondo la regola di Benedetto. Ed è proprio questo schema di ufficio che Amalario ritrova a Roma, ormai già ben consolidato, agli inizi del IX secolo, descrivendolo con cu­ra nelle sue opere liturgiche (3). Lo riportiamo come ci è stato tra­mandato:

a) Tempi di preghiera: vigilie, lodi, prima, terza, sesta, nona, vespri, com­pieta (=7).

b) Struttura dell'ufficio Vigilie (4 tipi):

- Domenicale: 18 salmi, 9 letture con 9 responsori

- Feriale: 12 salmi, 3 letture con 3 responsori

- Festivi: 9 salmi, 9 letture con 9 responsori

- Pasquale: 3 salmi, 3 letture, 3 responsori (da Pasqua a Pentecoste) Lodi: 7 salmi, cantico dell'AT, antifone, lettura breve, Benedictus, preghiere, orazione conclusiva. Mancava il responsorio previsto, inve­ce, nello schema monastico.

Ore minori:

- Prima: 2 parti del salmo 118 + salmo 53

- Terza, Sesta, Nona: 3 parti del salmo 118; in tutte seguiva la let­tura breve, responsorio breve (ad eccezione di prima), versetto, pre­ghiere, orazione conclusiva. Mancava il simbolo atanasiano.

Vespri: 5 salmi (secondo l'ordine numerico e la scelta variabile di essi), antifone, lettura breve, Magnificat, preghiere, orazione conclu­siva.

Compieta: 4 salmi invariabili (4, 30 (1-6), 90, 113), versetto, Nurtc dimittis. Mancava l'ufficio di lettura, il capitolo e la preghiera conclu­siva. L'atto penitenziale ed altre piccole parti furono aggiunte solo suc­cessivamente (4).

Sappiamo che la liturgia è espressione della vita della Chie­sa, per cui ogni cambiamento o innovazione sono intimamente uniti ai grandi avvenimenti collegati con la sua storia. Per que­sto dobbiamo vedere in quale misura le idee e i principi di Gre­gorio furono accolti e realizzati con risolutezza in Inghilterra, nelle Gallie e in Germania.

 

2. L'ufficio romano in Inghilterra

 

La liturgia e, quindi, lo stesso cursus dell'ufficio romano giunse tra le popolazioni anglosassoni sin dai primi momenti del­l'evangelizzazione, ad opera dei discepoli di papa Gregorio: i mo­naci benedettini. La liturgia e il canto da essi celebrato quoti­dianamente non tardarono a trovare il favore e l'interesse di quelle popolazioni, al punto che resteranno inalterati fino ai no­stri giorni, come si può ancora osservare in qualche cattedrale o basilica dell'isola britannica.

La venuta dei monaci favorì ben presto l'apertura di due grandi scuole per il canto, una nel regno di Kent e l'altra nella lontana Nordumbrai. Erano i tempi della lotta inerente alla fe­sta di Pasqua che divideva la giovane popolazione cristiana tra i seguaci dei monaci irlandesi e i capi anglosassoni recentemente convcrtiti. Il sinodo di Whitby, del 664, pose fine a tale conte­sa, grazie all'impegno di S. Wilfrid.

Consacrato vescovo, trascorre alcuni periodi nel Kent, dove partecipa alle magnifiche celebrazioni nella chiesa di Canterbury, ottenendo due cantori per introdurre la regola e il canto bene­dettino nel suo monastero di Ripone. Frattanto il suo amico, Be­nedetto Biscop, dopo aver trascorso un lungo periodo tra Roma e Lérins, riceve da papa Agatone (678-682) il permesso di por­tare con sé, nel monastero di Wearmouth, Giovanni, il prototrecantore di S. Pietro e abate del vicino monastero di S. Martino, con lo scopo di insegnare ai monaci il canto gregoriano secon­do la consuetudine delle basiliche romane, oltre al compito di informare il pontefice circa la situazione della Chiesa anglosas­sone.

Secondo la testimonianza di Beda il Venerabile, l'abate di S. Martino trascorse due anni in Inghilterra “insegnando la struttura canonica del canto e dell'ufficio divino secondo il rito della Chiesa romana ed apostolica” (5).

Durante il suo soggiorno, Giovanni ebbe l'opportunità di creare nell'isola britannica una vera e propria scuola di canto li­turgico, dal momento che quasi tutti i monasteri inviavano qual­che monaco a Wearmouth per esserne istruito. Anzi, al suo rien­tro a Roma, l'abate scrisse un olllo per le varie feste di tutto l'an­no liturgico, corrispondente a quello in vigore a Roma durante il pontificato di papa Agatone. Il testo era ancora ben conser­vato al tempo di S. Beda (735), che ne tramanda la notizia.

Nel frattempo, nel monastero di S. Paolo di Jerrow, fonda­to da Benedetto Biscop nel 682, sotto la guida dell'abate Ceolfrid, di Canterbury, si seguiva la struttura delle ore, così come veniva osservata a Wearmouth; ma con il ritorno dei monaci di Wearmouth nella loro abbazia, i pochi rimasti a Jerrow continua­rono l'intero ufficio e i salmi senza antifone. L'uso delle antifo­ne fu limitato a lodi e vespri, sottolineando, così, la preminenza data a questi due momenti, nel nord Europa, in un monastero fondato da Roma, pur conservando inalterato lo schema usato nella Chiesa madre.

Più avanti lo stesso schema e ordo saranno adottati anche dal monastero di Canterbury, ai tempi della visita degli inviati pontifìci, Teodoro e Adriano; circa settantenni più tardi il con­cilio di Cloveshoe (747) stabilirà che nelle grandi feste dell'an­no liturgico sia adottato il canto secondo la consuetudine della Chiesa romana (6).

 

3. L'ufficio in Gallia

 

II rito romano o, meglio, la salmodia celebrata a Roma e il relativo ordinamento romano dell'ufficio, trovò libera cittadinan­za nelle terre galliche, grazie all'opera missionaria inglese, in par­ticolare di Bonifacio, apostolo della Germania, che esercitarono un grande influsso sulla dinastia regnante carolingia. Infatti fu at­traverso Bonifacio, Crodegango e Rimedio di Rouen che il rito ro­mano sostituì quasi del tutto gli altri riti preesitenti nella Gallia.

Bonifacio

La figura e l'opera di questo grande vescovo ebbero non poco influsso su Carlo Martello, sui suoi figli e successori, al pun­to che appena divenuti dinastia regnante, non esitarono a lasciare piena libertà al santo vescovo nell'attuare ogni suo progetto.

La sua opera riformatrice non tardò a produrre i suoi ef­fetti. Con l'appoggio dei figli di re Carlo, Pipino il Breve e i suoi fratelli, iniziò ad affermarsi quel movimento che porterà alla pro­gressiva predominanza del rito romano su ogni altra liturgia al­lora in vigore. Lo stretto legame createsi tra la dinastia regnante è la Sede apostolica, favorirà sempre più questo processo di uni­ficazione liturgica. L'ambasceria che Pipino invia a Roma pre­parerà la venuta di papa Stefano in Gallia, con la consacrazione dei primi sovrani appartenenti alla dinastia carolingia, in Saint-Denis.

Crodegango

La fiducia di Pipino aveva fatto di Crodegango, vescovo di Metz, cui Stefano II aveva conferito la dignità arcivescovile, uno dei personaggi più eminenti della Gallia. Crodegango meritava questa fiducia, avendo mostrato ciò che conveniva fare per re­stituire al clero secolare la dignità dei costumi e la regolarità nel­l'osservanza della vita ecclesiastica. Godendo, in virtù del suo titolo di arcivescovo, di una reale superiorità sui vescovi france­si, fu nello stesso tempo, il grande continuatore, presso re Pipi­no, dell'opera riformatrice di Bonifacio.

Tuttavia, tra lui e Bonifacio, l'arcivescovo martire, si può no­tare una differenza essenziale. Anglosassone, Bonifacio era stato educato nel culto della Sede apostolica, come Beda e Alcuino.

Crodegango, invece, benché devoto alla Sede romana, non ne avrà scrupoli nel far intervenire nelle cose ecclesiastiche, in for­ma risolutiva e con piena autorità, una potestà diversa da quel­la pontifìcia. Personaggio principale durante la delegazione invia­ta a Roma, di ritorno introdusse presso il clero non solo il can­to romano, ma in una certa misura, lo stesso rito romano. La ve­nuta di papa Stefano incrementò notevolmente l'accettazione del rito romano, tanto che da lì a qualche anno iniziò la compila­zione dei libri carolingi.

Alla riforma morale del clero doveva servire la regola dei canonici, redatta verso il 754 da Crodegango per il clero della cattedrale di Metz (7). In quest'opera seguì il modello romano, at­tingendo la maggior parte delle sue deliberazioni dalla regola di S. Benedetto e fondandosi anche sul diritto sinodale franco.

A differenza dei monaci, i canonici conservarono l'usufrut­to del loro patrimonio privato. Nel sinodo di Ver l’ordo dei chie­rici, basato sui canones, per la prima volta fu contrapposto all'ordo dei monaci.

Crodegango e Pipino iniziarono anche la romanizzazione della liturgia gallicana e del canto ecclesiastico, portata a termi­ne da Carlo Magno. In questo campo si manifestarono subito gli effetti degli stretti rapporti creati con Roma dalle spedizioni di Pipino in Italia.

Per quanto riguarda la regola di Crodegango (8), è inutile ri­cordare che la vita comune del clero secolare esisteva già da lun­go tempo; ricordiamo le esperienze iniziate da Agostino, Eusebio di Vercelli, i canoni del concilio di Toledo, nel 633, che favori­va la vita comune del vescovo con il suo clero.

Nella Chiesa gallica merovingia ritroviamo Gregorio di Tours, Rigoberto di Reims, Bonifacio e altri. Crodegango, ispi­randosi non poco alla regola di Montecassino, va al di là di quan­to aveva già fatto lo stesso Bonifacio e, pur mantenendo una netta separazione tra la legislazione monastica e quella canonica, ten­ta di conciliarle, utilizzando quella monastica come punto di ri­ferimento per chiarire a sua volta quella dei chierici.

Un semplice sguardo agli 86 capitoli della regola di Crode­gango è sufficiente per inquadrare la fonte a cui egli si ispira. I due terzi almeno di questi titoli sono improntati, in tutto o in parte, alla regola benedettina: De officiis divinis in noctibus, De disciplina psallendi, De gravioribus culpis...

Andando oltre, si constata che alcuni capitoli sono riporta­ti quasi integralmente, o in gran parte. È il caso della celebra­zione dell'ufficio divino, il silenzio della notte, i rapporti tra i chierici...

Non accade altrettanto quando descrive i dettagli liturgici che si ispirano alla Chiesa romana. In questo caso sottolinea chia­ramente l'origine di tale consuetudine: secundum constitutionem sanctae Ecclesiae sedis apostolicae; il nome proprio dei canonici è preceduto dall'indicazione del loro ordine e funzione: mini-storii sui gradus (cap, II). Tutto il clero della città verrà la do­menica in cattedrale per assistere al capitolo, rivestito dei para­menti liturgici: sicut habetur Ordo romanus (cap. Vili). La do­menica, poi, dopo il canto di terza, i canonici attendono, cia­scuno al proprio posto, l'arrivo del vescovo: sicut mos est romanae Ecclesiae (cap. XXXIII).

A Metz, Crodegango s'impegna attivamente per introdur­re la liturgia e il canto della Chiesa di Roma; Paolo Diacono ci offre una testimonianza che dissipa ogni dubbio in merito. Nel­la sua Storia dei Vescovi di Metz, richiestagli dal successore di Crodegango, Angiiramne (768-791), lo storico ci informa che Crodegango:

“Ipsum clerum abundanter lege divina Romariaque imbutum can­tilena, morem atque ordinem Romanae Ecclesiae servare praecepit, quod usque ad id tempus factum minime” (9).

Alla luce di tutti questi dati si comprende l'esplicito rife­rimento fatto ben quattro volte dalla regola di Crodegango che, pur tacendo numerosi altri riferimenti relativi alla celebrazione dell'ufficio divino, fonda le sue radici nella liturgia delle basi­liche romane e dei monasteri di Roma e d'Italia (10).

Carlo Magno, nel 789, a Aix-la-Chappelle, si mostra più esplicito nel dichiarare, al capitolare LXXIII:

“Coloro che accedono alla vita clericale, da noi chiamata vita ca­nonica, vogliamo che tutti vivano in tutto canonicamente secondo la lo­ro regola, e il vescovo regga la loro vita, come un abate quella dei monaci” (11).

La Regula canonicorum, secondo le due edizioni riportate dal Migne, dedica alcuni capitoli all'ufficio divino, senza peral­tro, entrare in minuziose descrizioni delle regole monastiche an­teriori. Il testo mira chiaramente a puntualizzare lo spirito delle celebrazioni liturgiche prescritte. Il capitolo XIV descrive il mo­do in cui i canonici devono iniziare la loro giornata di lode, ap­pena desti dal sonno; il capitolo XV tratta del significato degli uffici notturni, il capitolo XVI sull'antichità delle ore vigiliari, e i capitoli XVII-XXII, affrontano le singole ore diurne, compie­ta inclusa. Gli ultimi capitoli XXIII-XXVI, indicano l'atteggia­mento da assumere durante la preghiera e del comportamento da conservare dopo la recita delle ore.

Rimedio di Rouen

Non si possono avere dubbi circa alcune decisioni o pro­grammi fondamentali che animavano la politica di Pipino, il qua­le considerava di vitale importanza l'unione con la sede di Roma. Rientrava pure in quel progetto, di graduale unificazione sul pia­no liturgico, il ricevere dal successore di papa Stefano, Paolo I, un Antifonario e un Responsoriale (12) e il far pervenire, da Roma, tramite suo fratello Rimedio di Rouen, un cantore di nome Si-meone, secondicerius (secondo cantore), con il compito specifi­co di istruire i monaci di questa città nel canto al modo romano.

Durante la sua permanenza in Gallia, a Roma muore il can­tore primicerius e il papa si vede costretto a richiamare Simeo-ne. Rimedio, rattristato da questa partenza, chiede con insistenza al fratello Pipino di poter inviare a Roma alcuni monaci, già for­mati nel canto e nell'ufficio da Simeone, con una lettera del re al papa, perché completassero la loro formazione nella melodia e nella salmodia romana.

La richiesta fu accolta con benevolenza e furono affidati al­le cure e alla direzione di Simeone (13). Con simili presupposti, il canto romano non poteva non estendersi in tutto il regno fran­cese.

Qualche anno dopo, Metz assurge ad uno dei centri di mag­gior diffusione del cantus romanus, al punto che Sigulfo, amico e compagno di Alcuino, al quale succederà nella dirczione del­l'abbazia di Ferrieres, fu inviato dallo zio Autperto a Roma, per apprendere gli statuti e gli ordinamenti liturgici mentre per il canto liturgico, fu inviato a Metz (760-770). Venticinque anni più tardi Carlo Magno estenderà a tutte le chiese del suo impero l'u­so del canto gregoriano.

Amaldrio di'Metz

Corepiscopo di questa diocesi, scrisse Forma Institutionis canonicorum Vita clericorum, in 133 capitoli, ai quali va poi ag­giunta De Vita sanctimonialium, in 28 capitoli. Ambedue furo­no approvate dal concilio di Aquisgrana, nell'anno 816, con l'auspicio di Ludovico il Pio, e pubblicate con una prefazione fatta dagli stessi padri conciliari. I capitoli riguardanti la celebra­zione dell'ufficio divino vanno da 126 a 133, dove tratta dei fon­damenti biblici e teologici delle varie ore canoniche secondo l'impostazione data da Isidoro. Il 126, tratto dal Liber Officiorum di Isidoro, dimostra il fondamento autorevole per cui ven­gono celebrate le ore e quali cose debbano essere conosciute e osservate da parte dei canonici. Il 127 parla dell'ufficio vesper­tino (Isidoro, 20), mentre il 128 della celebrazione di compieta (Isidoro, 21). Il 129 e 130 (Isidoro, 22-23) della tradizione bi-blico-storica delle vigilie e dei mattutini. Il 131, invece, entra in modo particolareggiato sul modo in cui i chierici devono cele­brare la loro liturgia, con la descrizione del relativo rituale. Il 132 del modo di cantare e salmeggiare al Signore, alla presenza dei suoi angeli. Il 133, infine, segue una tradizione più agosti-niana, circa le parti da leggere e da cantare in chiesa.

Nella regola delle monache, nella quale appare evidente l'in­flusso della Regula Benedicti, tratta l'argomento ai capitoli 1°5-16-17.

Al 1.5 si occupa dello spirito di prontezza e disponibilità nel celebrare le ore canoniche, mentre nel capitolo seguente, del­l'atteggiamento inferiore ed esteriore da tenersi durante la pre­ghiera; il 17 si sofferma sul tempo e sulle letture da tenersi nello spazio che intercorre tra l'ufficio vespertino e compieta.

treNotiamo come queste regole (Crodegango e Amalario) non parlino affatto della struttura della salmodia, segno che lo sche­ma romano è ormai definitivamente entrato in Gallia; tuttavia es­se restano ancorate alla tradizione monastica e allo spirito di quella celebrazione descritte da S. Benedetto nella sua regola. Un'altra opera di Amalario è il De Ordine Antiphonarii, che tanto influì nella Francia del tempo (14).

La riforma carolingia

Al di là della predicazione del clero, la liturgia costituisce un mezzo efficacissimo per sviluppare nel popolo una vita cri­stiana coerente. Carlo Magno ritenne che fosse degno di lui af­frontare questo tema nei dettagli. Gli esperti dell'antica liturgia gallicana gli rimproverano di essersi mosso su questo terreno con eccessiva pesantezza (15). In effetti, un successivo pluralismo si era affermato negli usi delle chiese franche mentre i contatti con Ro­ma, moltiplicatisi a partire dal 754, avevano indotto i franchi a comparare i loro formulari liturgici con quelli in uso nella capi­tale della cristianità. Pipino si era dato da fare per introdurre nel suo regno almeno una cantilena romana (= il canto gregoriano), a discapito del canto praticato fino ad allora. Carlo Magno lo sottolinea nel capitolare XXII:

“Gli ecclesiastici devono imparare perfettamente il canto romano ed eseguirlo nell'Ufficio notturno e diurno, conforme a quanto si è sfor­zato di introdurre il nostro padre Pipino di venerata memoria, quando ha soppresso il canto gallicano, per mettersi d'accordo con la Sede apo­stolica e favorire la concordia e la pace nella Chiesa...” (16).

Tutto questo rinnovamento non poteva essere arrestato: il canto implicava altre formule e un proprio cerimoniale. Fin da­gli inizi del regno di Carlo Magno, non poche chiese si erano procurate un “sacramentario” romano e tale immissione in luo­ghi isolati non faceva che accrescere ulteriormente la confusio­ne già esistente. Verso il 785, l'imperatore ottenne da Adriano I un esemplare-tipo del Sacramentario Gregoriano.

Il papa, venendo incontro di buon animo a questa iniziati­va (17), permise che il libro ufficiale della liturgia romana si esten­desse in tutta la Francia, dove molto presto avrebbe sostituito i libri della liturgia gallicana. Benché non si sia conservato alcun testo legislativo che ne prescrivesse l'adozione, resta fuori dub­bio che il rito romano sia stato imposto d'autorità (18).

Nei programmi dell'imperatore non erano solo le preghie­re e il rituale della messa a dover essere regolati secondo l'uso di Roma; anche l'ufficio divino, il cursus, come veniva ancora chiamato, fu adattato in modo da uniformarlo agli usi romani. I questionar! relativi al clero lo menzionano esattamente al pari del rituale della messa.

Difatti, i testi dei Capitulari, che riportano i decreti poste­riori emanati dalla cancelleria imperiale contenenti prescrizioni dettagliate, raccomandavano l'osservanza e lo studio del nuovo canto. Nel Capitolare ecclesiastico, del 23 marzo 789, rinveniamo l'obbligo per tutto il clero di studiare con impegno il canto gre­goriano, sia per la messa che per l'ufficio (per nocturnale vel gra­dale officiuni).

In un altro Capitolare generale, dell'ottobre 802, tra le altre cose, è prescritto che nelle visite canoniche o pastorali, si con­trolli con cura che i preti abbiano adempiuto questo loro dove­re relativo al cursus (breviario o ufficio divino) notturno e diurno, conforme allo schema romano. Infine, due anni dopo, nel di­cembre 805, alla Dieta di Thionville l'imperatore stabilisce che il canto sia insegnato ed eseguito secondo Vordo e la consuetu-dine della Chiesa romana (19).

Tuttavia, a dispetto di ogni ordinamento e decisione, a cau­sa del sentimento di orgoglio generato da una tale presa di po­sizione che interessava Gallia, Germania, Italia e le popolazioni sassoni e del Mare del Nord, il cambiamento non si attuò mai in modo completo e molto lentamente.

 

4. La liturgia romana in Germania

 

Anche l'Inghilterra, la “figlia prediletta” e la fedele inter­prete del pensiero e della dottrina di Gregorio Magno, non tardò a far sentire prima il suo influsso sul continente, in Germania e poi nella stessa Gallia. Infatti, i missionari anglosassoni s'impe­gnarono non poco affinchè il rito romano fosse ben accetto an­che da queste popolazioni.

Il primo tentativo si realizzò proprio nella Baviera, regione a sud-ovest della Germania, non lontano da S. Gallo. Nel 716, pa­pa Gregorio II, inviò due suoi legati, il vescovo Martiniano e il presbitero Giorgio, con il compito precipuo di vegliare affinchè in quelle regioni non deficitasse il necessario per celebrare la Li­turgia delle Ore sia di notte che di giorno (20). Come dimostra il te­sto dell'istruzione, nella Chiesa romana vigeva un ordinamento per la celebrazione eucaristica, l'ufficio divino notturno e diurno, le relative letture o pericopi bibliche e la stessa predicazione.

Ignoriamo fino a che punto le disposizioni pontificie siano state accettate ed eseguite e se il risultato sia stato duraturo. Va sottolineato che l'adozione del cantus e dell'Orbo divini off idi romani sono da collegarsi al sorgere della vita religiosa, frutto dell'opera evangelizzatrice di Bonifacio e dei suoi compagni.

 

5. La liturgia ispanica: uno sviluppo nell'autonomia

 

La liturgia ispanica, a cui sono stati dati anche il nome di mozarabica e visigotica, fu la liturgia autoctona che si sviluppò, in Spagna, in un modo ben definito a partire dal secolo VI e che rimase in vigore fino alla sua soppressione, che ebbe luogo du­rante il pontificato di Gregorio VII (1073-1085).

Quando il regno dei visigoti raggiunse la sua massima esten­sione (sec. VII), il rito ispanico era celebrato in tutta la peniso­la iberica e in quella regione delle Gallie, denominata Narbonen-se, nella zona dei Pirenei orientali.

L'aggettivo mozarahes, applicato ai cristiani che vivevano sot­to il giogo musulmano, deriva dalla parola araba mohaides, che significava tributar!. Sembra che la parola sia stata usata la pri­ma volta a Toledo nell'ultimo periodo della dominazione araba (21).

Nella formazione del rito ispanico, sono confluite le scuole liturgiche di tré grandi Chiese metropolitane: Tarragona, Siviglia e Toledo, capitale del regno visigotico. La grande estensione geo­grafica in cui si è elaborato successivamente il rito ispanico, è un primo dato che spiega la sua ricchezza. Tuttavia altri fatti vi han­no contribuito in modo decisivo. Verso la fine del secolo VI, quando il regno visigotico divenne ufficialmente cattolico, il ri­to ispanico ha finito per divenire l'espressione religioso-cultura­le più rappresentativa del medesimo. 

Durante il secolo VII, la liturgia ispanica è stata per il regno visigoto ciò che era il rito bizantino per l'impero d'Oriente e ciò che doveva essere più tar­di la liturgia romano-franca per il sacro romano impero (22).

Il rito ispanico dal secolo Vili al secolo XI

Con l'invasione degli arabi, provenienti dall'Africa del nord, iniziata nell'anno 711, crollava il regno visigotico. L'occupazio­ne fu rapida. Nel 719 si era già estesa a tutta la penisola: solo in alcune zone montuose della Cantabria e dei Pirenei occidentali non erano riusciti a penetrare. Entrati anche in territorio fran­co, con la vittoria di Poitiers, Carlo Martello li fermò facendoli retrocedere (a. 732). L'altro braccio della riconquista veniva dal regno dei franchi. Un primo tentativo fallito, per formare un nuo­vo stato tra i Pirenei e l'Ebro, sotto l'egida del regno franco e con l'intervento di Carlo Magno in persona, si concluse con la rotta di Roncisvalle. Tuttavia la lotta riprese quasi subito, e già nell'anno 782 furono liberate le prime fasce del territorio oltre i Pirenei orientali. Si vennero a formare la Marca Hispanica (la fu­tura Catalogna) e il regno di Navarra, nella parte occidentale dei Pirenei.

Nella Marca Hispanica s'impose il rito romano-franco per influsso dei monaci benedettini, come segno della liberazione. L'antica liturgia resisteva, oltre che nei regni cristiani di Castiglia e di Leon, anche in quello di Navarra, nonché tra le comunità cristiane che vivevano sotto il giogo arabo. Le attività creative e organizzative della liturgia trovarono la loro massima attualizza-zione soprattutto nella Spagna libera. Gli antichi codici erano stati ricopiati; gran parte degli antichi manoscritti liturgici per­venuti ci furono trascritti nei secoli X e XI (23).

I due settori della liturgia rimasti aperti a ulteriori evolu­zioni dalI'VIII all'XI secolo furono il rituale pontificale e l'uffi­cio monastico, che proprio in questo periodo diedero luogo alla formazione del Liber urdinum e del Liber Horarum.

Noi attingeremo a due opere: Liber Mozarabicus Sacramen-torum, e Las Horas Diurnas del Liber Horarum de Silos (24).

Liber Mowrabicus Sacramentorum

L'ufficio delle ore, ricavato dai principali manoscritti ispa­nici, risulta composto dallo schema che riportiamo (25).

 

Orda ad medium noctis

O Dio, vieni a salvarmi. Gloria al Padre. O Dio, vieni a salvarmi 3 salmi

Lettura dell'Apostolo, al termine si dice il Gloria al Padre Laudes: Laus tibi, rex eternae gloriae. Alleluia (2 volte). Media notte

Le antifone variano secondo i tempi liturgici.

Inno

Credo

Fiat Domine Kyrie eleison (3 volte)

Padre nostro

Miserationes

Preghiera conclusiva

 

Nei tempi in cui la notte è più lunga

Verso iniziale

9 salmi

3 cantici

Preghiera

Lettura del Profeta

Lettura dell'Apostolo

Laudes: Alleluia (5 volte).

De profundis

Inno

Conclusione

Benedizione

Miserationes

Preghiera conclusiva

 

Ordo ad celebrandum Nocturnos

 

a) Nelle domeniche e feste

Antifona

3 salmi

Preghiera

3 salmi

Psallendum

3 salmi

Responsorio

3 cantici

Psallendum

Alleluia

Lettura dell'AT: lettura breve

Lettura del NT (Apostolo); lettura breve

Laudes: Alleluia; in quaresima:  Laus tibi Domine

Inno

Benedizioni

Clamores

Oremus pium..., ut nobis spiritualis gratiae...

Conclusione

Benedizione

Preghiera

Congedo

 

b) Nelle ferie infrasettimanali

Antifona

3 salmi

Preghiera

Inno

Conclusione

Benedizione

Miserationes

Preghiera

 

Orda posi Nocturnos

Verso: Al mattino io ti cerco

12 salmi

Laudes: Alleluia. Alleluia. Beati i puri di cuore

Inno

Verso: Mi ricordo di tè nella notte

Kyrie eleison (3 volte)

Misererò (9 volte)

Preghiera

 

Mattutinum

 

a) Festivo

Antifona (salmo 3), salmo, preghiera

Antifona (in forma di responsorio) e preghiera

Antifona (in forma di responsorio) e preghiera

Antifona (in forma di responsorio) e preghiera

Responsorio e preghiera

Responsorio (psallendum o laudes)

Antifona, salmo 50 Antifona e cantico

Benedizioni (antifona seguita dal cantico di Daniele)

Sono (antifona)

Inno

Preghiera (Completoria)

Preghiera (benedizione)

Psallendum (a volte si tratta di un'orazione dopo il salmo)

 

b) Domenicale Inno

Antifona (salmo 3) Antifona (salmo 50)

Antifona (salmo 56) 3 antifone Responsorio

Antifona e cantico

Benedizioni Sono

Laudes (antifona) Lettura (AT e Apocalisse)

Inno

Preghiera (Completoria)

Preghiera (benedizione)

Psallendum (molto raramente)

 

Ordo peculiaris

Antifona: O Dio, vieni a salvarmi. Gloria al padre. O Dio, vieni a sal­varmi. Gloria. Salmo 69 Salmo 118

Laudes: Alleluia. Alleluia. Versetto

Inno

Verso

Credo. Exurge, Christe, adiuva nos. Kyrie eleison (3 volte). Padre

nostro. Embolismo. Preces

 

Ordo ad Primam et Secundam

Antifona

7 salmi

Responsorio

Lettura dell'AT (lettura breve)

Lettura del Nuovo Testamento, dell'Apostolo (lettura breve)

Laudes: Alleluia.

Alleluia

Inno (inno di Prima; inno di Seconda)

Verso

Cantico Salmo 50

Tè Deum laudamus (che nell'ufficio mozarabico era considerato come un inno ordinario)

Gloria in excelsis Deo (solo in alcune occasioni)

Credo

Verso

Preghiera

Kyrie eleison (3 volte)

Conclusione

Padre nostro Benedizione

 

Orda ad Tertiam

Antifona: O Dio, vieni a salvarmi

Salmo 94

Salmo 118

Responsorio o psallendum

Lettura dell'AT

Lettura del NT (epistola paolina)

Laudes: Alleluia

Inno

Clamores

Conclusione

Padre nostro

Benedizione (In alcuni tempi vi erano delle variazioni e le litanie)

 

Orda ad Quarta-m et Quinta-m

Antifona: O Dio, vieni a salvarmi

Salmo 118

5 salmi

Laudes: Alleluia

Inno

Verso

Cantico

Salmo 56

Gloria in excelsis Deo

Credo

Verso

Kyrie eleison

Padre nostro

Fetido

Secondo il codice di Toledo, dopo il Gloria in excelsis e quanto segue, vi era una semplice orazione.

 

Orda ad-Sextam

O Dio, vieni a salvarmi

Salmo 118

2 salmi

Psallendum (variabile secondo i giorni)

Lettura dell'AT

Lettura dell'Apostolo Paolo

Laudes: Alleluia

Inno

Clamor

Kyrie eleison (3 volte)

Conclusione

Padre nostro Benedizione

(Sesta variava nei giorni di litanie e in tempo di quaresima)

 

Ordo ad Septimam et Octavam

Salmo 118

3 salmi Salmo 118 Salmo 120

Laudes: Alleluia

Inno

Verso

Cantico

Salmo 145

Padre nostro Benedizione

 

Ordo ad Nonam

Schema come terza e sesta

4 salmi (145, 121, 122, 123)

 

Ordo ad Decimam, Vndedmam et Duodecimam

O Dio, vieni a salvarmi

Salmi 140, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131

Laudes: Repleatur

Inno (inno di Decima; inno di Undecima)

Verso

Gloria in excelsis Deo

Credo

Verso

Padre nostro

Miserationes

Preghiera

 

Ordo ad Vesperum

 

a) Vespro ordinario

Vespertino (responsorio con più versetti)

Sono (con più versetti)

Antifona I

Antifona II (o alleluiatico, soprattutto in tempo pasquale: laudes, an­tifona, versetto, Kyrie eleison, Gloria)

Inno

Conclusione

Benedizione

Psallendum (in alcuni giorni di festa)

Preghiera

 

b) Vespro quaresimale

Domenica

Laudes (qualche volta accompagnata da una orazione)

Antifona (raramente accompagnata da una seconda laudes)

Inno (con versetto)

Conclusione

Benedizione

Laudes (seguita da una o più versetti)

Preces e orazione

Feriale Laudes Antifona (i salmi che ne seguono sono spesso elencati nei manoscritti)

Laudes (con uno o più versetti)

Antifona.

Preghiera.

Benedizione (solo nel codice Toledano)

 

Orda ad Completa

Ante completa

Psallendum

Inno

Ad Completa

Antifona

Altra antifona

Salmo

Antifona

Cantico

Inno

Clamor

Preghiera

Conclusione

Benedizione

Post completa

Responsorio

Laudes

12 salmi (solo nelle feste e nelle domeniche)

Psallendum

Lettura dell'AT

Lettura dell'Apostolo Paolo

Laudes: Alleluia

Inno (variabile per ogni giorno)

Preces

Preghiera

 

Ordo ante Lectulum

Antifona

Laudes

Inno

Credo

Padre nostro

Miserationes

Preghiera

 

Liber Horarum di Silos

Gli elementi che lo costituiscono nella sua parte diurna sono (26);

Elementi biblici

Padre nostro

Salmi

Responsori

Letture

Elementi eucologici

Conclusioni

Miserationes

Clamores

Laudes

Benedizione

Verso

Fetido

Benedizioni

Supplicatio

Altri elementi

Inni Credo Gloria Tè Deum Pred

La struttura dell'ufficio monastico ispanico diurno secondo il Liber Horarum (27) di Silos, è la seguente:

a. Parte introduttiva: versetto

b. Salmodia

e. Letture e/o canti

d. Innodia

e. Eucologia

f. Intercessioni

Per Flores, stando allo schema della fonte silense, le ore si possono dividere in tré grandi gruppi:

Ore vigiliari

Ordo ad medium Noctis Ordo peculiaris vigiliae Ordo ad Nocturnos Ordo posi Nocturnos

Ore del gruppo compieta

Ordo ante Completam Ordo ad Completam Ordo post Completam Ordo ante lectulum

Ore diurne

Ordo peculiaris

Ordo ad Primam et Secundam

Ordo ad Tertiam

Ordo ad Quartam et Quintam

Ordo ad Sextam

Ordo ad Septimam et Octavam

Ordo ad Nonam

Ordo ad Decimam, Undecimam et Duodecimam

A loro volta, una differenza comune che emerge dagli stu­di citati, riguarda le ore canoniche, le quali vanno chiaramente distinte in:

Ore peculiari (non canoniche dell'ufficio monastico)

Ordo ante Completam

Ordo post Completam

Ante lectulum

Ad medium Noctis

Peculiaris vigilia

Post Nocturnos

Ordo peculiaris

Ordo ad Primam et Secundam

Ordo ad Quartam et Quintam

Ordo ad Septimam et Octavam

Ordo ad Decimam, Undecimam et Duodecimam

Ore canoniche

Ordo ad Tertiam Ordo ad Sextam Ordo ad Nonam

Ordo ad Completam Ad Nocturnos

“Queste ultime sono le ore canoniche che il manoscritto del Liber Horarum non ha fuso all'interno del testo. Nel Liber Ho-rarum, sempre nella sezione diurna, la differenza viene sottoli­neata perché le ore peculiari o non canoniche sono in classi di due o tré e non si concludono senza le miserationes” (28).

 

6. Nuove forme di devozione agli inizi del secolo XI

 

La preghiera canonica comunitaria, rappresentava un im­portante fattore di formazione religiosa poiché comportava la let­tura spirituale in comune che era di una lunghezza maggiore di quella contenuta nei breviari delle epoche successive. Nei mo­nasteri posti sotto l'influenza di Cluny era importante la lettura annuale dell'intera Scrittura. A ciò si aggiungeva quanto le bi­blioteche dei conventi e delle colleggiate potevano offrire circa gli scritti dei Padri, vite dei santi e passioni dei martiri. La let­tura fatta in coro spesso continuava in refettorio.

Data la preziosità dei libri, la lettura spirituale individuale (fi; era posta in secondo piano, tuttavia era praticata e raccomandata come lectio divina.

La preghiera corale dava importanza alla recita dei salmi, che occupava un posto di rilievo anche al di fuori della preghiera comunitaria. Chi imparava a leggere lo faceva con l'aiuto dei sal­mi, tanto che il detto psalmos discere equivaleva a: imparare a leggere.

Fra le opere ascetiche più rilevanti del secolo IX troviamo lo scritto, attribuito ad Alcuino, De psalmorum usu, che con ac­centi di autentico entusiasmo insegna come recitare i salmi per le più diverse intenzioni e nelle occasioni più differenti. L'antica consuetudine di aggiungere ad ogni salmo unoratio o qualche altra preghiera, anche se in disuso nella preghiera corale, conti­nuò ad essere praticata, come emerge dal commento ai salmi di Bruno, vescovo di Wurzburg (t 1045).

I salmi erano letti alla luce del loro compimento, realizza­tesi nel Nuovo Testamento, come risulta dai vari commenti e dai manoscritti sul salterio, che sin dall'alto Medioevo pongono all'inizio di ogni salmo un titolo di spiegazione quale vox Christi, oppure vox Ecclesia (29); nell'opera De psalmorum usu essi sono in­dicati Post Dominicam orationem versus. Praticamente sono i ver­setti ancor oggi presenti nelle preces del nostro breviario.

Verso la fine del secolo XI, i salmi cominciarono a perdere un po' della loro popolarità. La penitenza imposta ai penitenti non era più espressa in salmi (ad esempio il salmo 50 o 150, con altrettante genuflessioni), ma s'impose l'uso di ripetere 50 o 150 volte il salmo Misererò o una preghiera, ad esempio Padre no­stro. Nasce così il salterio composto da 150 Padre nostro, che do­po un periodo di fioritura, con gli ordini dei frati mendicanti, a partire dalla fine del secolo XIII verrà sostituito dal salterio ma-riano, composto di Ave Maria, che a sua volta evolverà nella for­ma definitiva del rosario.

Sempre in questo periodo inizia la raccolta del libro di pre­ghiere, inizialmente riservato a pochi. Dall'Irlanda viene tra­mandato il Book of Cerne (secc. VIII-IX), una delle raccolte più importanti di preghiera. Nel territorio carolingio il più noto è il libro di preghiere di Carlo il Calvo (30), che si caratterizza per il tentativo di aiutare il re a partecipare alle celebrazioni liturgiche pubbliche.

Hanno un legame con la liturgia due raccolte di preghiere del IX secolo, attribuite ad Alcuino: il già citato De psalmorum usu e Officia per feria, e altre raccolte, rese note da Wilmart. Es­se attingono ampiamente alla liturgia, ai Padri della Chiesa e ai salmi. L'impostazione non esclude preghiere personali, come apologie e orazioni per ottenere la virtù... Vi figurano testi per il culto della Santissima Trinità e delle singole persone divine, mentre di particolare intensità sono le preghiere composte in onore della Croce, una delle reliquie preferite di questi secoli. Specialmente per l'adorazione della Croce il venerdì santo furo­no composti numerosi testi, divenuti testi liturgici. Da questo si può rilevare la costante e mutua influenza fra i più antichi libri di preghiera e quelli liturgici.

Ma il carattere di transizione di quest'epoca si palesa in mo­do eloquente nella comparsa di un nuovo genere di devozione, giunta a maturità a Medioevo inoltrato e nella devozione popolare contemporanea. Una nuova concezione penetra lentamente anche nella liturgia romana. La conclusione romana delle ora­zioni; ... per Dominum nostrum, che sottolinea la mediazione fon­data nell'umanità dell'Uomo-Dio, esaltandone la sovranità e la vita trasfigurata presso il Padre, non raramente si trasforma nel­l'altra: qui vivis, che mette in evidenza la sua divinità. Infatti lasciando in secondo piano l'umanità di Cristo, si indebolisce an­che la coscienza dell'intimità con Dio, procurata al cristiano dal­la mediazione dell'Uomo-Dio.

Oltre a questo, accanto e al di sopra del culto dei martiri, il culto di Maria acquista una importanza crescente. Per la pri­ma volta, in Alcuino, un giorno della settimana, il sabato, è de­dicato a Maria. Specialmente Cluny diffuse la devozione alla Vergine, che viene invocata col titolo di Mater Misericordiae. Il biografo di S. Ulrico di Augusta riferisce che il santo, dopo il consueto ufficio canonico, era solito recitarne altri tré più brevi, uno in onore della S. Croce, l'altro di tutti i santi e il terzo del­la B. V. Maria.

Nell'XI secolo è largamente diffuso e conosciuto anche il quotidiano Officium parvulum Beatae Mariae Virginis.

Prima di analizzare le nuove riforme richieste dagli avveni­menti ecclesiali del secolo XIII, diamo uno sguardo all'ulteriore evolversi del cursus e delle varie riforme monastiche, dall'XI al XIII secolo.

 

B. sviluppo DELL'UFFICIO ROMANO

 

Allo stato attuale delle cose non siamo in grado di cono­scere chiaramente le modifiche che papa Gregorio Magno ap­portò alla Liturgia delle Ore canonicali. Tutto questo avrebbe chiarito meglio lo sviluppo avvenuto tra la fine dell'Vili e gli ini­zi del IX secolo, così come lo ricaviamo dai manoscritti, oggi in nostro possesso.

Infatti le notizie particolari e chiare a noi pervenute sono databili a un periodo posteriore, quando il cursus romano rice­ve il suo pieno sviluppo; notizie attinte da fonti sicure riguar­danti questo periodo ancora poco conosciuto.

Vanno sottolineate tré parti esterne nelle quali la struttura del­l'ufficio si sviluppa coinvolgendo anche l'ordinamento dei salmi:

a. La distribuzione dei salmi nel corso della settimana, che ci offre al tempo stesso le basi deìl'Ufficmm prò tempore, nei principali giorni di festa o delle feste dei santi (Santorale). b. Lo sviluppo del sistema di lettura della Scrittura nell'ufficio.

c. La scelta e l'ordinamento delle altre letture.

Tutto questo va coniugato con lo sviluppo delle feste e del­l'anno liturgico. Secondo le descrizioni di Amalario (fine sec. Vili) convergenti con quelle riportate dall'ordo Romanus XII, della medesima epoca, le vigilie dell'ufficio nelle basiliche ro­mane erano così composte:

 

Domeniche

Invitatorio

I notturno: 8 salmi 3 letture

II notturno: 8 salmi 5 letture

III notturno: 8 salmi

3 letture  

8 responsori (distribuiti nei tré notturni)

Tè Deum

 

Feste

Invitatorio

I notturno: 3 salmi 3 letture

II notturno: 3 salmi 3 letture

III notturno: 3 salmi

3 letture

8 responsori (distribuiti nei tré notturni)

Tè Deum

 

Feriale

Invitatorio

1 notturno: 12 salmi

3 letture

3 Responsori

Questi schemi vigiliari rendono l'idea a quale punto fosse giunto l'influsso monastico-benedettino nella celebrazione cano­nicale delle ore nelle basiliche romane: l'unico elemento che non era stato ancora accolto dal rito romano erano gli inni, adottati solo a partire dal secolo XI. Tuttavia, anche altri elementi monastici entrarono nell'ufficio romano: L’Officium capituli, all'ora di prima, e l'atto penitenziale, all'inizio della compieta.

“Tali divergenze risulterebbero ancora più rilevanti se si confron­tassero tra loro l'Ordo delle grandi basiliche e quello delle chiese del­l'Urbe, o del resto dell'Italia, o ancora degli altri paesi dove era stato adottato il rito romano. Si trattava tuttavia di divergenze accidentali: la scelta e l'ordinamento dei formular!, il modo di fare le commemora­zioni, o i cosiddetti uffici misti. L'uniformità assoluta era allora inconce­pibile, e in parte anche impossibile. Non esisteva un libro unico per l'ufficio divino. I cori cattedrali e monacali si vedevano costretti a ser­virsi di vari volumi, contenenti libri diversi: salterio, innario, lezionario, responsoriali, martirologi e collettari. Si cominciava proprio allora, nel secolo XI, a fondere il contenuto dei vari libri liturgici in un numero più ristretto di volumi. Ma si dovrà aspettare il secolo XIII per veder compiuta l'opera di globale coordinazione, in un unico libro, di tutti i formulari per l'ufficiatura” (31).

Intanto, lasciandosi trascinare dalla tendenza devozionale propria dell'epoca, l'ufficio romano si era caricato enormemen­te di preghiere supplementari supererogatorie: suffragi, preces, processioni, con il canto di antifone e responsori. Furono com­poste collezioni di salmi penitenziali, di salmi graduali, di salmi per i defunti, oltre che un'altra serie salmodica chiamata fami-Uares o peculiares. Addizionati all'ufficio del giorno, spesso si re­citavano gruppi di questi salmi, o per intero o in parte, secondo le circostanze e non di rado anche quotidianamente.

 

1. Ordines romani

 

L'ufficio descritto nella regola di S. Benedetto prevedeva il salterio settimanale, ma non ancora la lettura annuale della Scrit­tura, che viene invece attestata esplicitamente nell'ordo dei secoli VII-VIII, proveniente dai monasteri romani. Tuttavia è cer­to che l'ufficio romano di tipo monastico-ecclesiastico di que­st'epoca comportava la recita settimanale del salterio e la lettura annuale della Sacra Scrittura.

In questo periodo vengono introdotte nuove trasformazio­ni nella struttura dell'ufficio: nel IX secolo assistiamo alla tra­sformazione del responsoriale. Dal Liber Pontificalis e dall'Ano­nimo di S. Gallo ricaviamo informazioni frammentarie, mentre si presentano più precise e dettagliate quelle tramandateci da Amalario e Elisacar, i quali mostrano come prima a Roma e, poi, nel regno franco, V antifonario o responsoriale subisca alcune mo­difiche che, tuttavia, non intaccano la sostanza.

Anche il testo delle Letture subisce una trasformazione. Car­lo Magno incarica il suo amico Paolo Diacono o Warnefrido, mo­naco del monastero di Montecassino e storico dei longobardi, di “raccogliere con cura testi dei Padri cattolici” (32), perché possano essere letti durante la celebrazione dell'ufficio. Questi fece del suo meglio per soddisfare le esigenze e i desideri dell'imperatore.

Ne derivò una raccolta di letture adatta per l'ufficio not­turno di tutto l'anno e per ciascuna festa, in due volumi. In ve­rità, già si conoscevano altri tipi di raccolte di sermoni dei Padri destinate alla celebrazione dell'ufficio, che non avevano ottenu­to un buon esito ne una buona diffusione (33).

Un altro incremento caratteristico dei testi liturgici di que­sto periodo, sia per l'ufficio che per la celebrazione, è quello ap­portato dal diffondersi dei Tropi. Erano già ben conosciuti e accetti dai papi Gregorio Magno e Adriano I (+ 795) per il can­to della messa, mentre ora ricevevano da Adriano II (+ 872) la solenne sanzione di laudes festivae per la Chiesa romana. Tale uf­ficialità fu tanto ben accetta al popolo e ai cantori che la loro esecuzione divenne, lentamente, un loro monopolio, sia nella ce­lebrazione della messa che in quella delle ore.

Lo stesso Temporale, come il Santorale, iniziano ad arric­chirsi di nuove feste, per cui l'anno liturgico assunse una nuova fisionomia. Nascono le Quattro tempera, le feste della Trinità e della Trasfigurazione e altre feste della Vergine, che vanno ad ag­giungersi a quelle già esistenti per i misteri del Signore, la dedi­cazione della Chiesa, martiri e confessori.

Tutto questo influì non poco sullo sviluppo dell'ordinamen­to della Liturgia delle Ore, incidendo notevolmente sulla sua strut­tura, con la presenza di cantici, numero di antifone, responsori...

Inoltre, una simile impostazione dava origine a due tendenze quasi opposte tra di loro: da una parte il sovraccarico dell'ora­rio e del contenuto delle ore e, dall'altra, più tardi, l'abolizione graduale del loro riferimento al ritmo naturale dei giorni e del­le notti.

Con l'andar del tempo, al decadere della dinastia carolin­gia, ritroviamo l'ufficio monastico appesantito con uffici addi­zionali come quello della B.V. Maria, dei defunti, salmi graduali, salmi penitenziali, suffragi, commemorazioni, litanie e preci di vario genere.

Questo ufficio, già verso il IX secolo, venne esteso anche al clero, almeno a quello soggetto alla vita canonica, chiamato a vi­vere secondo una certa norma o statuto e legato alla chiesa lo­cale. Per questa via, lentamente, passa nell'orario di preghiera proposto a ogni chierico.

Era inevitabile che un ufficio del genere, ponderoso e pro­lungato, esigesse dispense o abbreviazioni e riforme varie. I mol­ti interventi privati o di autorità locali rischiavano di perpetrare abusi di ogni tipo e l'anarchia.

Andrieu nell'edizione dei suoi 50 Ordines, li presenta divi­si in 10 sezioni 34, delle quali, la III {Ordines XII-XIV), tratta de­gli ordinamenti dei canti e delle letture. Infatti l’VOrdo XII offre uno schema di antifone durante l'anno liturgico e nelle feste dei santi, come erano celebrate nelle chiese romane, indicando il mo­do di dire l'invitatorio, il Gloria Patri, l'alleluia; il soggetto e il tempo in cui sedersi o stare in piedi per la salmodia. Nell'CWo XIII (diviso in 4 parti, denominate A, B, C, D) viene descritto, per il ciclo dell'intero anno liturgico, l'ordine delle letture bibli-che da leggere, corrispondente a quello testimoniato da Amala­rio. L’Ordo XIV, C, tratta dei tempi nei quali vanno letti i testi sia dell'Antico come del Nuovo Testamento. Nella parte D, in­vece, quali libri o responsori sia più conveniente leggere o dire, mentre l’Ordo XIV, il più breve della serie, indica le letture e i tempi secondo l'uso della basilica Vaticana.

 

C. sviluppo DELL'UFFICIO MONASTICO (SECOLI XI-XIII)

 

Con l'enorme bagaglio della sua lunga tradizione e nel con­testo delle varie riforme venutesi a ripetere nella storia della Chie­sa, il monachesimo occidentale si trovò ben presto nella necessità di far fronte ad un suo rinnovamento, che purtroppo non sem­pre fu attuato anche sul piano liturgico. L'antico e plurisecolare albero monastico risentiva dell'ap-pesantimento che l'ufficio liturgico aveva subito, soprattutto do­vette far fronte alla tendenza di moltipllcare il numero dei testi con una recita non solo settimanale, spesso anche più frequen­te, dell'intero salterio accompagnata dalla lettura annuale della Bibbia o di gran parte di essa. In parecchi monasteri, insieme a un rilassamento della vita monastica, si adottarono modi sempre più sofisticati di esecuzioni musicali di salmi, antifone, respon-sori e altre formule. L'ufficio monastico, già impostato su un ora­rio piuttosto fitto, venne così sempre più prolungandosi con nuovi elementi.

In verità, la risposta a un simile status fu varia e manifestò molto spesso la ferma volontà di far prevalere più lo spirito che la struttura.

Nel corso del secolo IX le cause maggiori che condussero a una diffusa decadenza dei monasteri e delle collegiate furono principalmente quattro: interventi di secolarizzazione dei sovra­ni, dissipazione dei beni da parte degli abati laici, mancanza di protezione a causa della debolezza dei re, invasioni devastateci dei normanni, dei saraceni e, da ultimo, degli ungari. Tuttavia la forza vitale della cristianità occidentale rimase illesa. Poco a po­co sorsero centri monastici la cui forza d'irradiazione superò la cerchia dei singoli monasteri. Anche le collegiate, sebbene in mi­sura minore, furono coinvolte dal movimento di riforma.

Continuando, dunque, il nostro excursus vediamo lo svi­luppo che lo ha caratterizzato in questi secoli, sfociando poi in nuove forme di vita comune, come i frati mendicanti. Vediamo anzitutto l'unità e il processo di differenziazione all'interno del monachesimo.

Se si prescinde da alcuni singoli casi, la ricerca in più luo­ghi di nuove forme non fu provocata dalla condotta riprovevo­le del monachesimo, fedele alla tradizione; esso infatti, grazie al rinnovamento iniziato nel X secolo, rimase su un livello elevato.

 

1. Cluny

 

Di poco anteriori alla nascita della Grande Certosa, sono due i veri .monumenti di questo genere: Consuetudini di Cluny, di 12.5 capitoli, e quelle di Hirsau, di 182 capitoli (35).

Nata da modesti inizi nella Borgogna francese, l'abbazia di Cluny diventò il centro più importante della riforma. La sua fon­dazione (909) fu opera di Guglielmo il Pio, duca d'Aquitania e conte di Alvernia. Già nel documento di fondazione tutto il pa­trimonio conventuale fu sottratto all'ingerenza di qualsiasi auto­rità ecclesiastica e profana e l'abbazia fu posta sotto la diretta protezione della Santa Sede.

Di per sé Cluny affondò le proprie radici nella stessa tradi­zione iniziata da Benedetto di Aniane, come i centri del rinno­vamento lorenese. Non elaborò nuove idee spirituali o ascetiche, ma perfezionò alcune sue scelte fondamentali, come il silenzio rigoroso e il prolungamento della preghiera corale.

I paramenti e i vasi preziosi, l'architettura grandiosa ne au­mentarono lo splendore. Secondo la testimonianza del biografo di Oddone, si giunse al punto di recitare più di 138 salmi al gior­no. Una simile preponderanza dell'elemento liturgico lasciava ai monaci poco tempo per lo studio e, conscguentemente, il lavo­ro manuale fu quasi abolito.

Questo dimostra quanto Cluny fosse intimamente legata al­l'epoca carolingia ottoniana, divenendone sotto molti aspetti un'emblema.

Nell'ambito interno alla Chiesa, invece, Cluny ha prepara­to direttamente la riforma gregoriana, avviata da Gregorio VII, sotto un preciso aspetto: la sua unione con Roma,

Cluny raggiunse, con l'abate Ugo il Grande (1049-1109) il suo apogeo; in modo diretto o indiretto le sue usanze entrarono in Inghilterra, in Lorena e in Germania.

Le Consuetudines cluniacensi, divise in tré libri o parti, con 125 brevi capitoli, affrontano il nostro tema nei 54 capitoli del I libro. Poste sotto forma di domanda e risposta, offrono al let­tore una chiara illustrazione delle consuetudini liturgiche vigen­ti nella grande abbazia francese.

Dal momento che si dilungano in tutti i dettagli inerenti l'ar­gomento, crediamo sia opportuno riportare, in questo contesto, solo le linee generali dei temi.

c 2: Sui notturni e su tutte le ore regolari; se ad esse sia stata aggiunta i.:               qualcosa in più di quanto abbia già prescritto S. Benedetto.

c 3: La salmodia che suole essere detta prima delle ore regolari.

c 4: Per quali cause e in che modo può essere cambiata la salmodia.

c 5: Le collette e i versiceli che seguono nella salmodia e la quantità di litanie da dirc

c.6: Le messe solenni e quella maggiore in giorni particolari.

c 7: Per chi vengono dette le collette nelle messe per i defunti.

c 8: La messa solenne della domenica.

c 9: La messa mattutinale della domenica.

c 10: La processione domenicalc

c 11: I diversi gradi di solennità dell'anno liturgico.

c 12: Giovedì Santo: In Coena Domini.

c 13: Venerdì Santo: In Parasceve

c 14: Sabato Santo.

c 15: La veglia pasquale e il giorno della Santa Pasqua.

c 16: II Lunedì “in albis” e i giorni dell'ottava pasquale.

c 17:  Ottava o “Domenica in albis” e in che modo vada cantato l'Al­leluia alle ore canoniche.

c 18: Lunedì dopo l'ottava e quali consuetudini vengono introdotte in questo tempo.

c 19: Dalla terza settimana dopo Pasqua all'Ascensione del Signore.

c 20: Le feste dei santi da celebrare durante il tempo pasquale.

c 21: Le Rogazioni o Quattro Tempera.

c 22; L'Ascensione del Signore.

c 23: La Vigilia di Pentecoste.

c 24: La Pentecoste e sua ottava.

c 25: La domenica dell'ottava di Pentecoste.

c 26: La settimana seguente dopo l'ottava.

c 27: II digiuno delle Quattro Tempera nel mese di giugno.

c 28: Le feste nel tempo liturgico dopo la Pentecoste.

c 29: II digiuno da osservare il mercoledì e il venerdì.

c 30: La preghiera salmodica durante il tempo del lavoro manuale.

c 31: La terza domenica dopo Pentecoste e la settimana.

c 32: II Natale di S. Giovanni Battista.

c 33: II Natale dei SS. Apostoli Pietro e Paolo.

c 34: Traslazione del S. Padre Benedetto.

c 35: Benedizione delle vigne e degli altri frutti.

c 36: Assunzione della beata Vergine Maria.

c 37: Ciò che si deve cantare nel mese di settembre.

c 38: Esaltazione della S. Croce.

c 39: Ciò che si può mangiare dalle idi di settembre.

c 40: Le consuetudini da introdurre dalle kalende di ottobre fino a quelle di novembre.

c 41: Consuetudini del mese di novembre.

c 42: Solennità di Tutti i Santi e Commemorazione dei fedeli defunti.

c 43: Festa di S. Martino e le consuetudini che iniziano in quel giorno.

c 44: Avvento.                                   .

c 45: La settimana del digiuno delle Quattro Tempera.

c 46: La Vigilia e Natività del Signore.

c 47: Ottava di Natale ed Epifania.

c 48: La Purificazione di Santa Maria.

c 49: Settuagesima e Quaresima.

c 50: Mercoledì delle Ceneri e Quaresima.

c 51: Le domeniche di Quaresima.

c 52: II lunedì di Quaresima.

c 53: II digiuno delle Quattro Tempera nel mese di marzo.

c 54: La passione del Signore e pomenicà delle Palme.

c 55: Le festività che cadono in Quaresima.

 

2. Abbazia di Hirsau

 

Importanza ancora maggiore raggiunse l'abbazia di Hirsau rinnovata nel 1065, quando l'abate Guglielmo (1069-1091), per questioni di principio, fece proprie le idee riformatrici di Gregorio VII, adottando per la vita monastica quotidiana le Consuetu-dines di Cluny. Con rapida ascesa, durata solo pochi decenni, Hirsau con i suoi numerosi monaci, fratelli laici e altri sostenito­ri d'ambo i sessi, diventò non solo un centro monastico propul­sore, ma anche un baluardo e luogo di rifugio dei gregoriani in lotta contro il matrimonio dei sacerdoti, la simonia, l'investitura dei laici e la teocrazia del re (36).

Dei 182 capitoli che compongono le costituzioni dell'abba­zia il I libro tratta del nostro argomento in diversi capitoli. Da­ta la loro ampiezza riportiamo anche qui solo le linee generali.

c 1: Come devono stare in cella i novizi e in che modo vadano istrui­ti sull'ufficio divino, le letture e le Ore canoniche.

c 18: Sui segni delle messe e delle Ore.

c 20: Sui segni che riguardano l'ossequio' divino (i segni del cerimo­niale per le Ore canoniche).

c 21: Sui segni dei libri.

c 26; In che modo si deve alzare il monaco per i notturni e come de­ve fare orazione. 

c 27: Quanto tempo debba trascorrere nella preghiera prima dei not­turni.                                    

c 28: II fratello che dopo aver terminato le tré orazioni perlustra i let­ti in dormitorio e i fratelli rimasti fuori del coro.

c 29: II comportamento da avere durante la salmodia che viene reci­tata dopo le suddette orazioni.

c 30: Colui che entra in coro durante o dopo il Gloria Patri.

c 32: Colui che dopo il Gloria del I salmo entra in qualsiasi momen­to a suo piacere.

c 33: Colui che subisce un'emorragia nasale o altro durante la cele­brazione delle Ore.

c 34: Quale comportamento si debba avere durante l'intervallo tra le varie Ore.

c. 35: Come e quando ci si debba sedere durante la celebrazione del­le Ore.

c 36: In che modo si debba girare con la lanterna durante i mattuti­ni per scuotere coloro che si sono addormentati.

c 37: Come ci si debba comportare nell'intervallo delle Ore.

c 38: Norme per il coro minore.

c 39: In che modo si debba trattare in monastero i malati di gotta e gli zoppi (in riferimento alla celebrazione dell'ufficio e dei ca­pitoli).                             .

c 40: Norme disciplinari per coloro che dopo i mattutini tornano a ri­posare o nel tempo invernale stanno ad oziare.

c 41: Come ci si debba levare con prontezza e cosa fare appena levato.

c 42: Come si sta seduti durante le letture.

c 43: Perché non si può uscire durante la celebrazione dell'ufficio, se non per grave necessità.

 

3. Citeaux

 

Nessun'altra comunità nell'ambito monastico può dare una idea così chiara delle forze riformatrici ivi operanti come l'ordi­ne dei Cistercensi. Gli inizi e i decisivi decenni successivi pur­troppo sono ancora avvolti in una fìtta oscurità (37).

Come fatti sicuri possono essere ritenuti i seguenti: la fon­dazione di Citeaux (1098) ad opera di Roberto di Molesme; il ritorno di Roberto nel suo monastero; la dirczione di Citeaux te­nuta dapprima dall'abate Alberico e, dopo la sua morte (intor­no al 1109), da Stefano Harding (1109-1133/34), un inglese di Sherborne, che aveva compiuto i suoi studi a Parigi, conosceva Roma e si era fatto monaco a Molesme sotto Roberto.

La rapida crescita dell'ordine pose Stefano Harding e gli al­tri abati cistercensi di fronte al problema di come mantenere l'u­nità nella molteplicità delle fondazioni.

I Cistercensi volevano osservare la regola di S. Benedetto nella sua originaria purezza, e accentuarono questo ritorno al­l'antico e alle fonti anche per sfuggire al rimprovero di intro­durre innovazioni. In realtà non si trattava affatto di un'osservan­za alla lettera della Regola.

Le abbazie si promettevano reciprocamente aiuto economi­co, il mantenimento di una disciplina unitaria e l'abitudine di una liturgia semplificata, il cui contesto (architettura della chie­sa, paramenti, suppellettili e canti), contrariamente al movimen­to di Cluny, doveva mantenersi il più possibile sobrio.

L'abito, l'assoluta solitudine, la durezza del tenore di vita, dovevano riflettersi anche nella semplicità della liturgia, facendo così raggiungere all'ordine un alto prestigio fra le nuove istitu­zioni del mondo monastico.

Tra i manoscritti della biblioteca di Digione si trova un sal­terio di S. Roberto (ms. 30), il cui testo (f. 10-123), con un ric­co frontespizio e ampie pagine ornate, è preceduto da un calen­dario della Chiesa di Arras e seguito da diversi cantici, litanie e preghiere. Il f. 10 porta una nota del sec. XII:

“II beato Roberto, uscendo per ispirazione dello Spirito Santo dal monastero di Molesme che aveva fondato e venendo come un ape la­boriosa in compagnia dei suoi fratelli nel luogo indicategli dal cielo, il santo monastero di Citeaux, per costruirvi il capo di quest'ordine ec­cellente e santo, portò tra l'altro questo salterio che, per effetto del pat­to stabilito tra i Cistercensi e i monaci di Molesme, ratificato dall'autorità apostolica, è restato a Citeaux. Tutti i salteri della santa istituzione de­vono essere trascritti e corretti su questo modello quanto alla lettera, quanto all'accentuazione e quanto alla punteggiatura. L'Ordine ha tuttavia escluso sia il Kalendarium che precede sia le preghiere titaniche che seguono” (38).

In data non precisata, Lamberto, abate di Pothieres nella diocesi di Langres, che da giovane era stato allievo di Maestro Bruno a Reims, fu consultato in materia di prosodia, su alcune parole, da un abate di nome Alberico. Si tratta senza dubbio del nostro Alberigo (cfr. ms. Douai 365, f. 146). Lamberto rispose ad Alberigo e ai suoi fratelli tessendo un elogio della precisione I e suggerendo alcune regole di accentuazione (39).

Questi testi denotano lo scrupolo dei primi Cistercensi per I un'esecuzione liturgica perfetta. I risultati ottenuti sotto Stefano I Harding fanno capire meglio il lavoro svolto nell'umile scriptorium del nuovo monastero, durante gli anni di Alberigo, per la preparazione dei libri liturgici cistercensi. E questa una grande opera.

Alcune indicazioni ci spingono a fissare gli inizi del lavoro con l'abate Alberigo e poi Stefano Harding. Il f. 150 del testo di Bigione, voi. II, ci informa quando, perché e per qual fine, l'o­pera era stata intrapresa e come era stata compiuta:

“Questo libro è stato ultimato l'anno 1109 dell'Incarnazione, es­sendo al governo del monastero di Citeaux, Stefano, secondo abate”.

Sappiamo che i Cistercensi stabilirono tra i loro diversi mo­nasteri un'unità completa circa gli usi e i costumi, e per essere fedeli il più possibile a questa unità, fondata sulla verità delle co­se, vollero risalire quanto più possibile alle sorgenti. Per quanto riguarda la versione della Bibbia, ricorsero al testo ebraico e a quello dei rabbini, per poi stampare la versione corretta cister-cense, ancora oggi conservata nella biblioteca di Bigione, cono­sciuta con il nome di Bibbia di S. Stefano.

Per il canto, volendo essere fedeli alla regola di S. Bene­detto che prescriveva gli inni di S. Ambrogio, presero da Mila­no il testo e la melodia degli inni ambrosiani. Dal rinomato Anti­fonario di Metz (40), invece, ricavarono ciò che serviva per il canto liturgico. Ignoriamo secondo quale metodo riformassero i libri liturgici. Sembra che, almeno inizialmente, abbiano voluto sop­primere tutte quelle parti che si erano aggiunte nel tempo, ap­pesantendo notevolmente la celebrazione originale dell'Opus Dei, come sottolinea l'autore deH'Exordium magnum (41). Grazie alla lettera di Abelardo, siamo al corrente di non pochi dettagli che, purtroppo, non tarderanno a scomparire.

Secondo il rito benedettino anche i Cistercensi avevano con­servato due tipi di ufficio:

Domenicale e festivo Vigilie

I notturno: 6 salmi, lettura, 4 responsori .

II notturno: 6 salmi, lettura, 4 responsori,

III notturno: 3 cantici dall'AT, Vangelo, Tè decet Laus, Tè Deum, colletta

Le letture erano prese dal Lezionario, abbreviando e allungando secondo le necessità.

Feriale Vigilie

I-II notturno: 6 salmi, 3 letture (di durata variabile in inverno; 1 dall'AT, più breve, in estate).

Nei giorni ordinar! il contenuto delle letture era già stabili­to, ma il cantore era incaricato di distribuirle in modo che i li­bri della Scrittura corrispondessero a ciascuna stagione e fossero letti per intero, sia in chiesa che in refettorio, dove si continua­va anche la lettura delle omelie o dei sermoni iniziati in coro.

In conformità alla RB, nell'ufficio feriale non si leggevano sempre e solo letture bibliche, come anche durante il I nottur­no delle feste. Certamente, nei giorni festivi, la lettura dei libri biblici veniva fatta anche in refettorio, mentre in quelli feriali a volte era tratta dai sermoni dei Padri, in riferimento al tempo li­turgico celebrato.

Nei giorni con 12 letture (lezioni), i sermoni dei Padri del­la Chiesa, authenticorum Patrum, costituivano generalmente il contenuto di quelle fatte al I e II notturno, in relazione alla fe­sta e ai tempi liturgici; tuttavia, almeno nei primi tempi, non sem­bra vi fosse una raccolta già stabilita e la scelta era lasciata al cantore.

Feste

Erano divise in tré gradi:

a. Feste non lavorative con 12 lezioni e 1 sola messa conventuale. b. Feste lavorative, con 12 lezioni e 2 messe conventuali (una mes­sa mattutina dopo l'ora prima; messa solenne dopo terza).

trec. Feste di sermone: qualcuno di queste feste comportava una mag­giore solennità con un sermone da tenersi in capitolo, da cui il nome.

Ottave

Non erano celebrate tutte con la stessa solennità, ma erano così suddivise:

a. Pasqua e Pentecoste.

b. Natale (con norme particolari).

e. Epifania, Ascensione, Assunzione (erano celebrate con una mes­sa nei giorni liberi e con semplice memoria all'ufficio, che restava fe­riale).

d. Giovanni Battista, Pietro e Paolo (non richiedevano che una so­la messa al primo giorno libero, e la sola memoria).

e. Feste con XII lezioni; eccetto S. Stefano, S. Giovanni Evangeli­sta, SS. Innocenti, S. Lorenzo, S. Agnese (una messa e memoria all'uffi­cio).

Salmodia

Strettamente attinente alla KB, ogni giorno a lodi e a vespri si ce­lebravano sempre gli stessi salmi, compreso nei giorni festivi; questo per­ché la regola prevedeva la variazione di salmodia solo per le vigilie.

Tutte le ore

Ben presto si introdusse Fuso molto diffuso di concludere con il Padre nostro a cui si aggiungeva il Credo prima di terza in inverno, al­l'ora di prima nelle feste e in estate.

Seguiva il versetto: O Dio, vieni a salvarmi, sempre al mattino e a compieta, ad eccezione di quando veniva detto il Converte nos o il Con­fiteor.

Terminando la celebrazione, dopo il versetto la benedizione di Dio onnipotente..., tutti si segnavano proseguendo con la recita del Padre nostro e con il Credo.

Dopo Compieta

Nel chiostro si faceva una lettura in latino denominata Collodio.

Inni

Quelli di mattutino, lodi, terza, vespri e compieta, variavano se­condo i tempi e le feste.                                

Quasi sempre l'inno di vespri si divideva in 2 parti: la prima si di­ceva anche a mattutino, la seconda anche a lodi.

Orazione

Ogni ora dell'ufficio aveva la propria preghiera: nei giorni di 12 lezioni, l'orazione della messa serviva anche per mattutino, lodi, terza. Il II notturno dei giorni feriali aveva una propria orazione variabile se­condo i tempi.

Conclusione

Originariamente le ore terminavano con l'orazione propria, alla quale seguiva, secondo la regola, la memoria dei fratelli assenti con le parole: Custodisci da ogni pericolo i tuoi servi, detta prima della con­clusione. Poi, da parte del presbitero: il Signore sia con voi... e Bene­diciamo il Signore, eccetto quando seguiva l'ufficio di prima o quello dei defunti.

Più tardi si aggiunse, dopo il Benediciamo il Signore e l'ufficio dei defunti anche il ricordo dell''Annunciazione e dello Spirito Santo, con la colletta Laetifica e il versetto Et fidelium.

Salve Regina   

È diffìcile stabilire con esattezza l'anno in cui fu introdotta la Sal­ve Regina, dopo compieta.

Il primo atto ufficiale è quello del Capitolo Generale del 1335, ma già veniva recitata nel 1218, tanto dopo l'ora di prima come anche do­po il capitolo. Nel 1251 fu trasferita dopo compieta.

Ufficio di 12 lezioni

Iniziava dopo i primi vespri in capitolo ed era seguito nei giorni di festa da due messe; includeva anche un responsorio prolisso al posto di quello breve abituale. Lo stesso veniva detto anche ai primi vespri di quei sabati, durante i quali a mattutino veniva letto un nuovo libro della Scrittura: tali domeniche venivano dette privilegiate. .

Ingresso e inizio delle ore

I monaci si segnavano con l'acqua benedetta solo entrando in chie­sa, mentre la domenica, solo all'ora di prima o di terza.

Gli usi

Descrivevano dettagliatamente tutte le cerimonie, alcune delle qua­li restano ancora in vigore. Entrando facevano un profondo inchino al­l'altare maggiore e al SS. Sacramento, si recavano quindi al proprio posto in coro.

A mattutino, lodi, prima, vespri, la comunità è seduta durante le letture e metà salmodia, in tal modo un salmo era cantato seduto, quel­lo seguente in piedi.

Il versetto: O Dio, vieni a salvarmi era, preceduto da un segno di croce e un profondo inchino; quest'ultimo era ripetuto ancora al Glo­ria Patri, al Kyrie eleison, al Padre nostro e durante l'orazione.

L'ufficio divino era celebrato ogni giorno allo stesso modo, ad ec­cezione del triduo santo, durante il quale si seguiva il rito feriale abi­tuale (3 letture, il Gloria Patri ai salmi, gli inni, capitoli, orazioni), come prescritto.

Ufficio dei morti

Era preso dalle usanze tutti i giorni dopo l'ufficio regolare, ad ec­cezione delle feste con 12 lezioni, e le 3 ottave più solenni.

Era in tutto simile a quello romano, ad eccezione di qualche va­riante; comportava 3 notturni, ma abbinato a lodi e vespri si diceva 1 solo notturno, anche per il 2 novembre. Infatti, in inverno i notturni erano detti dopo mattutino dei giorni feriali, mentre in estate, dopo vespri.

I 3 notturni si dicevano alternativamente a partire ogni settimana dal I notturno.

Altri uffici particolari

Oltre quello regolare, i Cistercensi conoscevano altri 5 uffici pro-pri solenni: il 2 novembre, per i vescovi, per gli abati, i monaci, i pa­renti.

Il 15 settembre si. faceva la commemorazione dei monaci, parenti e benefattori defunti durante l'anno. Per gli abati si celebrava in ogni .abbazia il 17 settembre.

Ufficio della B. V. Maria

La tradizione vuole che alle origini venisse celebrato ogni giorno come segno di speciale devozione. Ne constatiamo l'esistenza a partire dal 1151. Per essere fedeli alla regola e non aggiungere ulteriori usi a quanto già previsto, tale ufficio conservava il carattere del tutto priva­to. I monaci che erano fuori (conversi?) si radunavano durante le ore per celebrare insieme. Coloro che erano in infermeria, e coloro che ve­gliavano un defunto celebravano per intero tale ufficio, secondo le nor­me introdotte dai Capitoli Generali (42).

Nel 1095 Urbano II l'aveva imposto a tutto il clero per il buon successo della crociata. L'ufficio De Beata comportava:

Mattutino: 1 notturno, 3 letture, 3 responsori.

Lodi: si aggiungevano i salmi 62 e 66.

Ore minori: salmo 118 distribuito lungo tutta la settimana, secon­do l'uso romano.

Altre memorie

All'ora di prima e a compieta: memoria dei SS. Fondatori.

Tutte le ore

Colletta dello Spirito Santo, della S. Vergine e per la conservazio­ne del monastero; memoria dell'Incarnazione (Missus est) e il versetto Dulce nomen.

Legionario(43)

I Avvento: I-II notturno (Prologo di S. Girolamo a Isaia. Isaia, capp. 1-3); III notturno (Me: Ecco io mando il mio angelo; omelia di Beda il Venerabile).

II Avvento: T-II notturnodsaia capp. 5-8, 8); III notturno (Le: Vi saranno segni nel sole; omelia di S. Gregorio).

Ili Avvento: I-II notturnodsaia capp. 66 alla fine); III notturno:

(Mt: fu mandato...; commento di Beda il Venerabile).

Venerdì: Vangelo di Le: Maria si alzò e partì in fretta.

Sabato: omelia di S. Gregorio sul Vangelo: l'i eli'anno decimoquinto...

In Avvento era letto il commento di S. Girolamo ad Isaia.

Domenica di Settuagesima: commento di un Dottore sul Penta­teuco.

V Domenica di Quaresima o I Passiorie: prologo di Geremia. Negli altri tempi: Apocalisse, lettere canoniche, libri dei Re, Saio-mone, Sapienza, Giobbe, Tobià, Giùditta, Ester, Maccabei, Ezechiele,

Daniele.  

Santorale

8 letture dei primi due notturni: i sermoni. Altrettanto per S. Ste­fano martire, S. Giovanni Evangelista, SS. Innocenti, S. Silvestre, Tom-maso di Canterbury.

B.V. Maria: Purificazione, Annunciazione, Assunzione e ottava,

Natività.

Le omelie, generalmente, erano tratte da quelle di Origene, consi­derato: “Padre autentico e ortodosso”.

Innario            

L'innario (fogli da 356 a 369, biblioteca di Digione) contiene cir­ca 70 divisioni di inni.(44).

 

4. Pietro Abelardo

 

Parlando di Citeaux, abbiamo già avuto modo di accenna­re alla famosa Lettera X di Pietro Abelardo a Bernardo di Chiaravalle (45). Da essa ricaviamo tré notizie di particolare importanza per il nostro studio.

Sappiamo che Bernardo di passaggio nel monastero del Paraclito, dove era abbadessa Eloisa, aveva notato un profondo cambiamento introdotto nella Liturgia delle Ore, con un eleva­to numero di nuovi inni. Sapendo che l'autore di questa nuova impostazione era proprio Pietro Abelardo, scrisse per ottenere ulteriori chiarimenti in merito. Dalla risposta, che certamente non eccelle per delicatezza, siamo informati su alcuni dettagli cir­ca la vita liturgica di Citeaux; inoltre che egli stesso aveva com­posto nuovi inni per l'ufficio divino (46).

L'abate cistercense aveva notato che la Dominicam oratio-nem, recitata al Paraclito, seguiva la versione di Le 11 e non quel­la da tutti usata di Mt 6. Abelardo, dopo aver motivato una simile scelta, passa ad accusare i Cistercensi di aver introdotto e adot­tato usi liturgici che non sono in armonia con la tradizione del­la Chiesa romana, sia per quanto riguarda l'ufficio canonicale, come per quello monastico. Segue l'elenco dei punti discussi: la scarsità e la fissità dell'innodia, che resta invariata per tutto l'an­no, anche nelle solennità del Signore, ^abolizione delle preghie­re dopo il Padre nostro e del ricordo dei santi, in particolare della Madre del Signore. Abolizione delle processioni, ^alleluia, che in tutta la Chiesa veniva abrogato già in tempo di Settuagesima, i monaci bianchi lo conservavano fino alla Quaresima. Il Simbolo atanasiano che comunemente era detto a compieta, da essi era recitato solo la domenica. Il Gloria con i responsori vigiliari del triduo santo, erano stati eliminati, mentre avevano introdotto l'in­vitatorio e l'inno negli uffici con solo 3 letture, con relativi re­sponsori con Gloria. A questo va aggiunto il radicale mutamento della liturgia corale del triduo santo. Simili cambiamenti, secon­do Abelardo erano di gran lunga superiori a quelli che Bernar­do aveva potuto constatare presso il monastero del Paraclito. Per questo, sostiene che:

“Non enim vocum novitates, sed profanas tantum et fidei contra­rias Apostolus interdicit...” (47).

Una simile risposta, che nella lettera ha il tono di palese ac­cusa, insieme ad altre posizioni di diversi prelati, provocò un nuovo impegno di revisione da parte dei monaci bianchi di Ci­teaux.

Abelardo aveva composto anche un considerevole numero di inni, 94 in tutto, per l'ufficio divino del monastero del Para­clito, così suddivisi: inni feriali, notturni e diurni( n. 28); per le solennità del Signore e la dedicazione della Chiesa (n. 58); inni per il santorale (n. 36). A questi vanno aggiunti un inno per V An­nunciazione e uno per la SS. Trinità.

Egli inoltre aveva redatto una regola del tutto nuova e par­ticolare per le monache del Paraclito, che nel tempo ricevette l'approvazione di ben dieci pontefici.

 

5. I canonici regolari: S. Norberto e i Premostratensi

 

I canonici regolari

La diffusione dei canonici regolari avvenne in modi diver­si. L'idea più immediata fu naturalmente quella di indurre le vec­chie comunità, specialmente le collegiate, a rinunciare alla pro­prietà privata. Vescovi e superiori di canonici nell'Italia, nella Francia meridionale e isolatamente anche altrove (in Germania con l'arcivescovo Corrado di Salisburgo e Norberto di Magdeburgo) portarono avanti questa riforma, naturalmente con suc­cessi differenti e spesso esigui. Questo si verifìcò un po' ovunque. Non di rado le case già esistenti aiutarono le nuove nel compie­re i primi passi. Le usanze comuni, l'unione nella preghiera o addirittura la dipendenza giuridica stabilirono dei vincoli ora più rigidi, ora più blandi.

Una parte di canonici, in verità passò al monachesimo. Al­tri, invece, fra i quali Norberto, fondatore di Premontré, resta­rono fedeli all'orbo canonicorum. Questa scelta era più risponden­te alle necessità del tempo, come dimostra il rigoglioso sviluppo dell'ordine premostratense.

A differenza del monachesimo occidentale che, a partire dal secolo Vili e IX seguì in quasi tutti i monasteri la tradizione be­nedettina, i canonici regolari dovettero elaborare essi stessi un loro stile di vita (48).

Negli ultimi decenni del secolo XI si fece, è vero, sempre più riferimento alla regola agostiniana, che venne presa come fondamento della vita religiosa; tuttavia indagini recenti hanno accertato che questa affermazione non va presa in modo assolu­to. Nella prima fase del loro sviluppo i canonici regolari attin­sero anche a tradizioni diverse: alla regola di Aquisgrana del-1'816 (49), che cambiarono accentuando il principio della povertà, richiamandosi agli Atti degli Apostoli, ai decreti conciliari, agli scritti patristici e perciò anche ad Agostino, in particolare alla Regula ad servos Dei (comunemente chiamata Regula tertia), al­le sue prediche sulla vita clericale e alla vita scritta da Possidio.

Però queste usanze non rispondevano all'austerità ascetica dei canonici regolari, mossi soprattutto dall'ideale eremitico. I loro tentativi di giungere a delle Consuetudines proprie fissaro­no il fondamento di una tradizione agostiniana nel cosiddetto Ordo monasterii (denominata Regula secunda).

Applicato per la prima volta, all'inizio del XII secolo, a Springiersbach (diocesi di Treviri) e di qui passato poi a Pre-montré, il testo acquistò una grande importanza. Fondandosi su di esso, i canonici regolari, animati dall'ideale eremitico, con­trapposero all'ordo antiquus, un ordo novus, dando origine a una disputa simile a quella sorta fra Cistercensi e Cluniacensi. Nel­le fasi immediatamente successive si svilupparono poi le forme miste.

Un altro motivo di tensione fu il problema relativo alla cu­ra d'anime (50). Già la regola di Aquisgrana aveva posto l'accento sulla preghiera del coro e sulla disciplina claustrale. Questo ele­mento prettamente monastico fu curato ancor più dai canonia regolari, al punto che molti preferirono vivere nell'eremo.

D'altra parte la comunanza delle idee fra gli araldi della vi­ta apostolica e i laici religiosamente inquieti portava a intensi contatti pastorali, anzi perfino alla cosiddetta predicazione am­bulante. Per di più non di rado i nuovi canonici acquisirono chie­se proprie, per cui sorse il problema di stabilire se dovevano essere essi stessi ad assumere la cura d'anime o ricorrere a pre­ti diocesani.

Per questi motivi le forme organizzative delle comunità di canonici furono, almeno all'inizio, molto varie (51).

S. Norberto

Norberto di Gennep (e. 1082-1134), discendente da una no­bile famiglia della Bassa Renania, canonico a Xanten e, poco do­po, cappellano del re Enrico V, in un momento di estremo pericolo per la sua vita compì una profonda conversione e, do­po l'ordinazione presbiterale (1115), si dedicò alla predicazione ambulante. Fino al 1118 operò in Germania, poi in Francia, dove papa Gelasio II gli permise di predicare. Che Callisto II nel 1119 non gli abbia più rinnovato il permesso obbligandolo ad aderi­re a una congregazione, è una notizia da provare.

E vero che per desiderio del vescovo di Laon, Norberto si dedicò alla riforma della collegiata di S. Martino e che nel 1120, non essendo riuscito nel suo intento, si ritirò in una regione so­litària non molto lontana per fondarvi Premontré, ma per un pre­dicatore ambulante questi cambiamenti non erano per nulla eccezionali. Solo nel 1121, con l'adozione dello stile canonicale, la vita eremitica di Premontré assunse una sua connotazione spe­cifica, che fu coerentemente sviluppata secondo Vordo novus.

Benché Norberto abbia continuato la sua vita di predicato­re ambulante, fin quando fu eletto vescovo di Magdeburbo, nel 1126, Premontré, era diventato convento doppio a causa delle numerose vocazioni di conversi e mantenne il suo carattere ascetico-contemplativo.

Nei conventi affiliati sorti poco dopo, specialmente nelle re­gioni tedesche, l'elemento pastorale fu spesso fortemente accen­tuato. In tutti i casi da Premontré non sorse nessun ordine di predicatori, anche se talvolta in Sassonia ci si dedicò alla predi­cazione. La storia dei Premostratensi ha delle evidenti somiglianze con quella dell'ordine cistercense. Ambedue gli ordini si sono diffusi rapidamente, anche se le scelte da essi sostenute non

erano del tutto nuove.

Premontré era solo una delle tante comunità canonicali di stile eremitico, tuttavia il suo fondatore manifestò una persona­lità così eccezionale al pari di quella dei tré santi fondatori e del­lo stesso Bernardo, per Citeaux. Al contrario, nella sua riforma troviamo attuati tutti quei punti che Abelardo evidenziava come

assenti nella liturgia cistercense.

Quando nel 1126 Norberto andò a Magdeburgo, la conti­nuità della sua opera era assicurata. Nello stesso anno Onorio II approvò l'Ordine, che poi il suo discepolo, Ugo di Fosses, aba­te generale di Premontré (1129-1161) continuò felicemente a svi­luppare ispirandosi alla forma associativa dei cistercensi, senza adottare l'idea dei monasteri affiliati.

La Liturgia delle Ore (52)

II fondatore di Premontré impostò la liturgia secondo i'Or­da Monasterii o Regula secunda di Agostino, rifacendosi in tal modo agli usi dei canonici regolari di Springiersbach. Adottò la Triforio temporum permutatio per antiphonarum et psalmorum va-rietates, che nelle celebrazioni dell'ufficio vigiliare, comportava una variazione del numero dei salmi, delle antifone e delle let­ture, secondo la durata della notte (53).

Il ciclo annuale era suddiviso in tré parti:

1. Da novembre a febbraio

2. Marzo-aprile, settembre-ottobre

3. Da maggio ad agosto

L'ufficio era poi così suddiviso:

Vigilie

Da novembre a febbraio:

12 antifone

6 salmi

3 letture

Marzo-aprile. settembre-ottobre:    

10 antifone

5 salmi

3 letture

Da maggio ad agosto:              

8 antifone

4 salmi

2 letture

Ore diurne

Lodi, terza, sesta, nona, vespro o lucernario.

Non era ancora considerata la compieta, ma prima di sali­re in dormitorio si recitavano alcuni salmi.

Lo schema adottato da Norberto riflette pienamente quel­lo descritto nell'ordo Monasterii da Agostino. Inoltre questa ini­ziale codificazione di Premontré presenta ancora il problema della “triplice orazione”, da recitare dopo la salmodia, prima di coricarsi. Questa pratica primitiva risulta essere molto più sem­plice di quella assunta, più tardi, con il nuovo regolamento. In­fatti, le dure proteste di personaggi influenti, come Ponzio, abate di S. Rufìno, e Gualtiero, vescovo di Maguelonne (54), in­debolirono la figura e l'opera di Norberto agli occhi dei suoi discepoli.

Il papa Onorio II intervenne nel dibattito inviando una bol­la ai canonici di Premontré e imponendo, da quel momento in poi, di celebrare l'ufficio divino secundum aliorum regularium fra-trum consuetudinem. Anche se il documento originale della bolmetà del secolo XII.

Con la posizione assunta dal pontefice, il fondatore rinun­cia all'ordinamento liturgico dell'Orbo Monasteri! e. accetta quel­lo adottato dalle altre congregazioni canonicali, che ben presto sarà imposto a tutte le abbazie dell'ordine.

Dopo il suo insediamento a Premontré, come successore di Norberto, una delle prime preoccupazioni di Ugo di Fosses fu quella di creare un repertorio di preghiere, canti e cerimonie,

che terminò nel 1131.

Due paragrafi sono dedicati completamente alle preghiere per i defunti e all'ufficio della B. V. Maria. Senza dubbio, rifa­cendosi alla bolla di papa Innocenze II, del 12 aprile 1131, Ugo sollecita tutti gli abati dell'ordine a rispettare l’Ordinis integritas et consuetudo Premonstratensis monasterii.

A partire dal XII secolo, l'ordinamento delle ore canoniche, sia nelle chiese diocesane che in quelle rette dai canonici rego­lari, si va sempre più conformando all'uso romano chiamato mo­derno. Questi si differenziava dal rito originario per la semplifi­cazione del canto delle antifone, dei responsori e delle letture; veniva adottato l'uso dell'innario, mutuato dall'ufficio monastico, e si aggiungevano alcuni supplementi nuovi, come i suffragi comuni a lodi e vespri, il simbolo Quicumque all'ora di prima, uffici supererogatori della Vergine e dei defunti (55).

Ecco come risulta il nuovo ordinamento premostratense:

Temporale e santorale: iniziano con i primi vespri e terminano il giorno seguente, dopo la compieta.

Feste (di 3 lezioni), uffici votivi, ufficio feriale: terminano dopo no­na, mattutino e lodi: sono conformati alla pratica delle Chiese antiche, cattedrali e collegiate.

Nelle feste (di 3 lezioni): salmi e antifone dal comune dei santi, se­guito dal Tè Deum.

Tempo pasquale: ogni notturno è cantato con una antifona dall'uf­ficio festivo e 3 salmi.

Tempo pasquale feriale: I notturno con antifona alleluiatica e 12

salmi.

Quest'uso si discostava dalle altre grandi chiese collegiali. Contrariamente ai canonici secolari, i Premostratensi cantavano:

Ufficio mattutino: invitatorio, salmi, inno. Lodi; Invitatorio, Salmi, Inno.

La struttura delle ore nelle ferie del Tempo Ordinario, resta invariato:

Letture: I lettura della Scrittura.

II lettura: dai Padri (nelle feste dei santi è sempre agiografica).

Ili notturno: si canta il Vangelo con omelia appropriata.

L'ordine delle letture bibliche ci è stato tramandato minu­ziosamente, distribuito lungo il corso dell'anno, così da poter leggere la Scrittura per intero.

Avvento - Natale: Isaia. Dopo l'Epifania fino alla Settuagesima: e. lettere paoline.

Da Settuagesima alla I Domenica di Passione: Pentateuco, Giosuè, Giudici.

II Domenica di passione fino a Pasqua: Geremia.

I-III dopo Pasqua: Atti degli Apostoli.

IVfino all'Ascensione: Lettere canoniche.

Ascensione fino a Pentecoste: Apocalisse,

Dopo l'Ottava della Trinità fino ad agosto: 1 e 2 Re.

Agosto: Libri di Salomone (Proverbi, Qoelet, Sapienza, Siradde).

Settembre: Giobbe, Tobia, Esdra, Ester, Giuditta.

Ottobre: Maccabei.

Novembre (fino all'Avvento): Ezechiele, Daniele e i 12 profeti mi­nori.

Il Tè Deum: tutte le domeniche, ad eccezione di quelle di Avven­to e dalla Settuagesima fino a Pasqua.       In sostituzione si dicono 9 responsori.

Tuttavia, il Tè Deum resta solo nelle feste con 9 letture e dopo il XIII secolo anche in quelle di 3 letture.

Lodi

Versetto

5 antifone. Ad eccezione del tempo pasquale, nelle domeniche da Pentecoste fino alla I domenica di ottobre, e nelle ottave solenni, che avevano una sola antifona.

Benedictus e Magnificat: l'antifona era cantata prima e dopo il can­tico solo nelle feste solenni.

Inno: dopo la lettura breve (contrariamente alle chiese collegiali).

Preces: nei giorni feriali.

Preghiera finale.

Preghiera della S. Croce.

Preghiera “prò poenitentibus” solo durante la Quaresima.

Confitemini e 5 salmi (la domenica).

Pentecoste, Natale, Epifania, feste mariane e loro ottave: alle preci si aggiungeva un'orazione propria.

Prima

3 salmi con la recita del Quicumque (nelle feste dei santi).

In capitolo

Martirologio, benedizione del lavoro quotidiano, lettura della re­gola di Agostino, necrologio conventuale.

Terza, sesta, nona

Nei giorni feriali, si aggiungevano le preces, come a lodi.

Vespri

5 salmi (ad eccezione del sabato). Antifone feriali.

1 antifona (nelle feste maggiori per il santorale; sempre nell'otta­va di Pasqua e delle solennità).

Prima di compieta

Lettura

Collatio (dal 14 settembre a Pasqua)

Salmi

Lettura breve

Inno

Cantico

Ufficio mariano

I notturno (ad eccezione del triduo pasquale, feste solenni e loro ottave).

Ricordo dei santi

Dopo lodi e vespri: salmo 67 (66) con colletta (a eccezione delle feste doppie).

Ufficio dei defunti

(Dopo il XII) tutti i giorni, a eccezione delle domeniche, feste dop­pie, quelle con i vespri, quelle con 9 letture, vigilie maggiori, ottava di Natale, Pasqua e Pentecoste.

Durante la Quaresima: le domeniche avevano 3 notturni; 1 nei giorni feriali.

A lodi e vespri: salmo complementare con colletta.

Alla fine del XII secolo il testo dell' Ordo permetterà di de­terminare alcuni riti particolari del ciclo liturgico annuale, so­prattutto per quanto riguarda la celebrazione delle “feste

doppie”, a lodi e a vespri, il modo di cantare i responsori pro­lissi e le antifone... Gli usi introdotti allora subiranno con i se­coli non pochi e ulteriori sviluppi (56).

 

6. Certosa

 

Alla Chartreuse, sulle montagne vicine a Grenoble, Bruno, nato a Colonia e ultimo maestro delle scuole di Reims, si stabilì con alcuni compagni in un “deserto” (1084), vivendo secondo lo stile adottato a Camaldoli, che egli forse aveva conosciuto. Il fondatore, dopo pochi anni, fu chiamato dal papa a Roma. Più tardi, fuggito da quella città, fondò un altro eremo in Calabria, dove morì. Ma la Certosa continuò e, a tappe, attraverso nuove Costituzioni particolareggiate, elaborò lo Statuto definitivo del­l'Ordine.

La vita era simile a quella di Camaldoli, ma certe mansioni e certe corvée erano compiute in comune. Molto forte e parti­colare l'aspetto del deserto e della solitudine. Intorno al chiostro sorgevano casette, formanti una sorta di edifìci monastici. Gra­zie ad una rigida osservanza della loro regola di vita e grazie ad una politica decisa che li portava ad accettare solo coloro che erano atti ad un tale regime, i Certosini sono l'unico ordine me­dievale che si è sempre sottratto al lassismo (57). Le Consuetudines sono tutt'oggi il testo legislativo ispirato­re della vita certosina (58). Dopo un breve prologo, il nostro tema è affrontato nei primi 8 capitoli. Nel I capitolo l'ufficio è diviso in due grandi tempi annuali:

“Dunque, dal 1° novembre all'ottava di Pentecoste, ogni giorno eccetto le solennità di dodici letture diciamo tré letture con tré responsori, facendo attenzione se il 1° di quel mese cade prima di gio­vedì...”.

Avvento

Al cap. 2 si dice che la commemorazione della Croce viene sospesa dalla I domenica di Avvento fino al lunedì dopò l'ottava della Pasqua, quella di S. Maria dalla I di Avvento al primo giorno dopo l'ottava del­l'Epifania.

In Avvento i capitoli, versetti e orazioni sono legati al tempo li­turgico, escludendo il Gloria in excelsis Deo fino alla I messa della Na­tività. Le antifone maggiori in O si dicono a lodi e vespri nei giorni prima di Natale. Le domeniche di Avvento sono caratterizzate da an­tifone e responsori propri durante le lodi, mentre nei giorni feriali sem­pre al Benedictus e al Magnificat.

Nei tempi di digiuno

Cap. 3: II sabato del digiuno delle Quattro Tempera cantiamo in chiesa, senza intervallo, l'ora sesta, la messa con cinque letture, esclu­sa l'epistola, e poi l'ora nona. Lo stesso facciamo negli altri digiuni del­lo stesso tipo, tranne il fatto che il primo del mese celebriamo la messa dopo nona a causa della Quaresima, il sabato dell'ottava di Pentecoste fra terza e sesta, e il settimo mese dopo sesta rinviando nona, che va detta nelle celle dopo il sonno.

Tempo quaresimale e pasquale

Cap. 4: Dal giorno successivo all'ottava dell'Epifania fino a Settua-gesima diciamo i responsori feriali, e la prima domenica dopo l'ottava cominciamo il: “Domine in ira tua”. Il sabato che precede la prima do­menica di Settuagesima diciamo l'Alleluia solo fino al vespro, per ri­prenderlo poi alla messa del Sabato santo... La prima e seconda domenica cantiamo il responsorio: “In principio”, le altre domeniche i responsori soliti. All'inizio del digiuno cambiamo i capitoli della notte e del giorno; inoltre cantiamo in chiesa sesta, la messa e nona... In questo sabato cam­biamo a vespro i capitoli della domenica. Durante la Quaresima e l'Av­vento nei giorni festivi diciamo prima il capitolo: “Domine misererò nostri”. Dal lunedì seguente al Giovedì santo, ogni giorno dopo l'ora pri-; ma, la nostra pratica prevede i sette salmi penitenziali con la litania nel-•le celle, eccetto che nelle feste di dodici letture. Ogni giorno in chiesa. cantiamo nona, la messa con il prefazio di Quaresima e vespro... La do­menica di Passione cambiarne i capitoli e interrompiamo i suffragi soliti fino al lunedì dopo l'ottava di pasqua... In questo spazio di tempo, se non interviene una solennità di dodici letture non diciamo il Gloria al­l'invitatorio, nei responsori e all'introito. Delle feste di tré letture faccia­mo soltanto memoria... Il sabato antecedente la domenica delle Palme... a vespro, il capitolo: “Hoc sentite” e il responsorio: “Fratres mei” fino al Giovedì santo... Al Giovedì santo facciamo festa. Ci accontentiamo di nove letture come i chierici. Al Benedictus spegniamo la lampada, se­guendo su questo punto l'uso della chiesa. Ci raduniamo a prima; dopo il capitolo diciamo terza nelle nostre celle... poi sempre là cantiamo se­sta. Celebriamo in chiesa nona, la messa e il vespro... La compieta è suo­nata con una tavoletta. A Parasceve ci mettiamo in ginocchio e diciamo il: “Misererò mei Deus”... Nel corso di tutti questi tré giorni ciascuno di noi dice le preghiere in silenzio. In tutte le ore ripetiamo sempre l'ora­zione: “Respice quaesumus Domine” ed eseguiamo quasi tutto l'ufficio .secondo l'uso dei chierici. Siamo assidui al salterio tralasciando ogni al­tro lavoro... Dato il segnale ci raduniamo in chiesa e celebriamo l'ufficio solito. Vi è inizialmente una lettura, segue il tratto e l'orazione: “Deus a quo ludas”. Poi un'altra lettura e il tratto... Il sabato si cantano in cella sesta e nona, e nel frattempo... Il giorno santo di Pasqua, fra mattutino ;e prima con il grado di solennità delle domeniche ordinarie, è cantata una messa... Lunedì, martedì e mercoledì durante le lodi del mattino ac­cendiamo due candele e offriamo l'incenso... Giovedì, venerdì e sabato dopo aver cantato sesta in chiesa prendiamo la refezione in comune. I primi quattro giorni di Pasqua e Pentecoste non celebriamo assoluta­mente feste dei santi; nei giorni successivi se capita una festa di tré let­ture facciamo solo una memoria, se invece ne capita una di dodici la facciamo per intero. Cantiamo i responsori di Pasqua per quattordici giorni... Alla vigilia di Pentecoste diciamo in chiesa nona e la messa, e facciamo passare l'intera settimana come quella pasquale, salvo il fatto che mercoledì e sabato cantiamo sesta dopo la messa, senza intervallo. Infatti in questa settimana facciamo il digiuno delle Quattro Tempora (59).

Le feste

Cap. 5: Per una festa di tré letture...., dunque, si dicono solo l'in­vitatorio, i versiceli, i responsori, le orazioni e le lodi mattutine, e an­che l'antifona a prima; inoltre se si prende il pasto una volta sola, le antifone, i versetti e le orazioni di terza e sesta; se invece il pasto si prende due volte, solo a terza. In queste feste, e anche dalla Natività all'ottava di Pentecoste, ogni giorno nelle lodi mattutine diciamo: il “Dominus regnavit”.

Ufficio della domenica

... La domenica dopo l'ora prima teniamo il capitolo... Nelle do­meniche che si trovano all'interno dell'ottava di Natale, dell'Epifania e dell'Ascensione del Signore diciamo le antifone, i responsori, i versetti e le prime otto letture di quelle stesse solennità, e le ultime quattro let­ture dalle omelie sul vangelo della domenica: Anche il Vangelo dopo il Tè Deum laudamus, come pure le antifone al Benedictus e al Magnifi­cat, l'orazione e la messa sono della domenica. Ma poi si fa memoria delle solennità. Allo stesso modo si fa nella domenica che si trova fra l'ottava del Natale e l'Epifania, salvo che leggiamo anche le prime ot­to letture della domenica, tratte cioè dalle lettere di san Paolo, e non facciamo memoria della Natività.

Ancora sull'ufficio divino

Dunque, facciamo a pane e acqua le vigilie... Alla vigila del Nata­le del Signore durante le lodi del mattino non ci inginocchiamo. Di­ciamo il: “Dominus regnavit”, tralasciamo il: “Miserere mei Deus”, accendiamo due candele alla messa ma non bruciamo incenso. Rice­viamo la pace. Se questa vigilia cade di domenica diciamo il versetto prima del Vangelo e in seguito tutto l'ufficio della vigilia, facendo sol­tanto memoria della domenica... Allo stesso modo nella vigilia di Pa­squa e di Pentecoste. Al mattino leggiamo le ultime quattro letture tratte dai Vangeli. Facciamo la prima messa con grande solennità fra il not­turno e le lodi; cantiamo la seconda dopo le lodi mattutine all'appari­re della prima luce, come siamo soliti fare le domeniche... Con rito analogo celebriamo la Circoncisione, l'Epifania, la Purificazione, l'An­nunciazione, l'Ascensione, il Natale di san Giovanni e dei beati apo­stoli Pietro e Paolo, l'Assunzione, la Dedicazione, la Natività della beata sempre Vergine Maria, la festa degli angeli.

Letture dell'ufficio

Avvento fino a Natale: dopo aver terminato Ezechiele e i 12 Pro­feti (infatti Daniele lo leggiamo a refettorio) cominciamo Isaia, che ci basta fino alla vigilia della Natività.

2 gennaio fino a Settuagesima: Lettere paoline. Da Settuagesima alla Passione (sia in chiesa che a refettorio): Eptateuco (60).

Lunedì di Passione fino al Giovedì santo (parte in chiesa e parte a refettorio): Geremia.                            

Giovedì Santo (in capitolo per il “mandatum”): Gv 13-Ì4 (a re­fettorio): Gv 15-17.

Da Pasqua all'Ascensione: Atti degli Apòstoli e lettere canoniche.

Ascensione-Pentecoste: Apocalisse.

Dopo il digiuno delle Quattro Tempera (dalla prima festa che si celebra): LII Re.   .                                 

1° agosto - 1° settembre: Parabole, Ecclesiaste, Sapienza, Eccle­siastico.

1° settembre (per 2 o 3 settimane): Giobbe; seguono: Tobia, Giu-ditta, Ester.

1° ottobre-novembre: Maccabei.

Da Pentecoste al 1° novembre: 1 sola lettura, eccetto nelle feste.

Per le feste di tré letture: mai tralasciare i libri storici tranne nei tré giorni dopo la festa dei SS. Innocenti, nelle settimane di Pasqua e Pentecoste e nell'ottava dell'Assunzione di Santa Maria.

Ufficio divino dei fratelli laici

Cap. 42: ... al secondo corrono in chiesa... E se il monaco che è loro preposto è presente, egli recita l'ufficio divino quasi come è scrit­to sopra, solo più in fretta. E quelli, pur conservando con la massima attenzione il silenzio e la pace, lo imitano accuratamente negli inchini e negli altri movimenti del corpo legati alla preghiera. Nelle vigilie del­le solennità in cui si tiene capitolo, la metà di loro... a sera quando si staccano dai lavori salgono alla chiesa superiore. Là ascoltano il mat­tutino e il resto dell'ufficio sacro; e dopo il capitolo dei monaci ascol­tano la parola di Dio dal priore o da colui che ne ha ricevuto il comando... rimangono in silenzio da compieta fino a dopo prima e dal capitolo fino a dopo nona... (poi all'ora stabilita scendono) per ascol­tare il vespro in cappella dal monaco a loro deputato.

Alla luce di quanto riportato possiamo notare come l'espe­riènza della Certosa rappresenti una sintesi dell'intera tradizio­ne, sia dei canonici che dei monaci.

Tuttavia, alcune novità, già presenti a Citeaux, aprono la strada ad un nuovo sviluppo nella tradizione degli ordini corali e monastici: i due uffici, quello dei chierici e quello dei laici o con­versi. Tutto questo evolverà, come vedremo, in modo proprio e particolare nella Regula Minorum e in quella del Carmelo, dan­do origine a un doppio e accentuato stile di preghiera corale.

 

7. Regola di Grandmont

 

Verso il 1076 intorno alla figura del santo eremita Stefano ebbe inizio un nuovo movimento monastico a Muret, presso Litremoges. Alla morte di Stefano, il movimento si era esteso in Fran­cia, Inghilterra e Spagna, per cui il terzo successore, Stefano di Liciac, stese una regola che fissasse per l'ordine nascente gli in­segnamenti fino allora tramandati a voce dal primo maestro. La regola fu approvata da Clemente III nel 1189. Per quanto essa non introduca nulla di nuovo nell'ordinamento liturgico delle ore, tuttavia esprime e ci tramanda come si era ormai giunti ad un assestamento abbastanza chiaro ed uniforme.

Il tema viene affrontato in un breve capitolo, mentre si di­lunga sulla vita di povertà, aspetto dominante in tutta la regola ed espresso in termini di grande afflato evangelico che annuncia il linguaggio di Francesco (61). Al capitolo 58 leggiamo:

“Gli uffici divini. Abbiamo ritenuto cosa degna celebrare gli uffi­ci divini raccolti da autori sicuri e santi e che il beato Gregorio e gli altri santi dottori hanno disposto nella santa Chiesa. Di essi non oc­corre qui parlare in dettaglio, dato che nei nostri libri tutto ciò è con­tenuto per intero”.

 

8. Frati Predicatori (Domenicani)

 

Nella vita liturgica domenicana vi sono state solo poche sin­golarità: per questo motivo ha sviluppato un rito che non com­portava eccessive differenze o particolarità (62), conservandolo quasi inalterato dal 1256 in poi. La realtà liturgica si incarna nell'Or­dine dei Predicatori in modo spontaneo, quasi imposta dall'am­biente della vita religiosa del XIII secolo. Fondato giuridica­mente su un'impostazione di vita che riflette quella dei canoni­ci regolari, lo spirito liturgico domenicano è basato soprattutto sulla regola di S. Agostino, anche per la fisionomia clericale che ha sempre posseduto. La pietas liturgica dell'Ordine ha recepito fortemente quella carica spirituale che caratterizzarono tutti gli Ordini che lo hanno preceduto, ma soprattutto due tradizioni: quella cistercense e quella premostratense.

Volendo inquadrare l'argomento, dobbiamo sottolineare che il rito domenicano ha un carattere fortemente romano, con molte caratteristiche rituali che riflettono la situazione liturgica della Francia dei secoli XII e XIII; tuttavia non si identifica ne con il rito gallicano, ne con quello di alcuna Chiesa particolare o della stessa curia pontifìcia. Data la sua stabilità dal secolo XIII in poi, con ragione si può affermare che è pienamente romano nel senso che ha subito meno addizioni di tipo strettamente ro­mano, che poi nella riforma tridentina divenne universale.

Stando alla testimonianza dell'Ordinarium del 1256 (63) gli elementi che hanno caratterizzato il proprio dell'Ordine, da quel­la data fino alla riforma del XX secolo, sono:

1. Messa conventuale feriale solenne: in alcuni giorni dell'anno, non sempre vi era una messa conventuale, sia fosse dei defunti, sia di gior­ni privilegiati

2. Liturgia delle Ore

* Mattutino

Invitatorio

Inno

Salmi:

a. nei giorni di 9 lezioni; 3 notturni

I notturno: 12 salmi, in tré gruppi da 4; con 3 Gloria Patri e 3 an-tifbne; versetto, letture, responsori.    

II notturno: 3 salmi; 3 Gloria; 3 antifone...         

IlI notturno: 3 salmi; 3 Gloria, 3 antifone...

b. nei giorni di 3 lezioni: notturno 12 salmi; 6 Gloria; 6 antifone... e. nel tempo pasquale 3 salmi; 3 -antifone....

Lodi

5 salmi, 5 antifone, capitolo, inno, versetto, Benedictus, antifona, orazione (preghiere brevi).

* Pretiosa

Lettura del martirologio...

* Prima Inno; salmi:

a. Dalla Settuagesima fino alla Pasqua esclusa: 9 salmi; Quicumque (salmi figli); capitolo; versetto; (preci); confiteor, orazione.

b. gli altri tempi e giorni: 3 salmi; Quicumque (solo la domenica e feste doppie); (salmi figli).

* Terza, Sesta, Nona

Inno; 3 salmi figli; antifona; capitolo; responsorio; versetto; ora­zione.

Vespro:

5 salmi; 5 antifone; (non sempre); inno; versetto; Magnificat; an­tifona; orazione.

* Compieta

4 salmi figli; antifona variabile; capitolo; responsorio; inno varia­bile; versetto; Nunc dimittis; antifona variabile (preci, facoltative); ora­zione; benedizione; canto e processione della Salve Regina.

3. Vfficio quotidiano della Vergine

4. Ufficio settimanale dei defunti. Ufficio quotidiano dei defunti con un notturno di 3 lezioni e 3 salmi, con lodi e vespri.

5. Salmi graduali il sabato, quando viene celebrato in coro l'uffi­cio di S. Maria in Sabato.

6. Litania dei santi nei giorni feriali (64).

l'Ufficio quotidiano della B. V. Maria

È opportuno dare uno sguardo all'ufficio quotidiano della B. V. Maria e sottolinearne il ruolo nella celebrazione corale do­menicana, al punto di influire sulla devozione mariana della Chie­sa universale. Infatti, essendo un ufficio addizionale, ha occupato un posto di rilievo nella vita liturgica dell'Ordine, Lo stesso varrà per l'ufficio dei defunti.

La devozione per questo ufficio va ricercata nella decisione

presa da papa Urbano II (65) per la Chiesa ed ereditata da tutta la tradizione monastica anteriore, mentre l'Ordinario del 1256 po­se le basi per la tradizione posteriore dell'Ordine. L'ufficio del­la Vergine, comprendeva:

Vespri

5 salmi; antifona; inno; versetto; Magnificat; antifona; orazione;

memoria dei santi e per la pace.

Compieta

3 salmi; antifona; capitolo; inno; Nunc dimittis; antifona; orazione.

Mattutini

Invitatorio; inno; 3 salmi; versetto; 3 letture con 3 responsori; Tè Deum (se detto nell'ufficio canonico).

Lodi

5 salmi; antifona; capitolo; inno; Kenedictus; antifona; orazione; memoria dei santi e per la pace.

Le ore minori

Inno; 3 salmi; antifona; capitolo; responsorio; orazione.

Tutto l'ufficio De beata si diceva in comune ma fuori del coro, tra gli intervalli dei segnali di campana per le Ore canoniche, ad eccezio­ne della compieta che seguiva subito dopo quella dell'ufficio. Alcune eccezioni a quest'uso generale erano:

Terza

Quando in Coro si diceva di seguito; prima, messa conventuale e terza, ufficio della Vergine seguiva subito dopo.

Nova

Quando quella canonica veniva celebrata subito dopo pranzo, si diceva prima quella dell'ufficio dei defunti e poi quella della B. V. Ma­ria (es. domenica e giorni di digiuno).

Vespri                     

In tempo di Quaresima veniva detto dopo i vespri, prima di man­giare.

Quando l'ufficio della Vergine non era obbligatorio, bisognava la­sciare il tempo necessario tra le due Ore canoniche, perché ciascuno po­tesse celebrarlo privatamente, giorni in cui non si diceva tale ufficio erano:

a. Dal mattino della vigilia del Natale fino al lunedì dopo l'ottava dell'Epifania

b. Dai vespri del Mercoledì santo al lunedì dopò l'ottava di Pa­squa.                

e. Dai vespri della vigilia di Pentecoste al lunedì dopo la festa del­la SS. Trinità.

d. In tutte le feste doppie, inclusi tra i due vespri e le compiete.

e. In giorno di sabato, quando già èra Celebrato l'ufficio di S. Ma­ria in sabato.

Ufficio dei defunti settimanale e quotidiano

Nella tradizione domenicana si incontrano due tipi di uffi­cio a favore dei defunti: quello settimanale con 9 salmi e 9 lezioni, composto da 3 notturni, e quello quotidiano con 3 salmi e 3 lezioni. Quest'ultimo, non obbligatorio per tutta la comunità, era recitato da quattro religiosi a turno ogni settimana. Tale organiz­zazione proveniente da Cluny (sec. XI), stabiliva come dividere la comunità per la recita degli uffici addizionali.

Struttura dei due uffici

Ufficio settimanale

Mattutino: 3 notturni con 9 salmi e 9 lezioni.

Lodi: 5 salmi...

Vespri: 5 salmi....

Messa: una volta la settimana.

Ufficio quotidiano

Mattutino: un notturno con 3 salmi e 3 letture.

Lodi: 5 salmi....

Vespri: 5 salmi...

La distribuzione del notturno dell'ufficio quotidiano si ricavava da quella dell'ufficio settimanale:

a. Domenica e mercoledì: I notturno.

b. Lunedì e giovedì: II notturno.

c. Martedì e venerdì: III notturno.

Orario dei due uffici: settimanale e quotidiano

Ufficio settimanale con 9 salmi e 9 letture

Notturni: Se possibile era detto dopo il vespro dei defunti. Si po­teva anche dire dopo i vespri del giorno, quando fuori del tempo di di­giuno quelli dei defunti erano recitati dopo nona (nelle prime ore del pomeriggio) e i vespri del giorno trasferiti all'imbrunire.

Lodi: Generalmente seguivano i notturni o le vigilie dei defunti; in caso contrario, dopo le lodi del giorno.

Vespri: Dopo nona (sia nella domenica che in un altro giorno), ma sempre nelle prime ore del pomeriggio.

In tempo di digiuno, dopo il ringraziamento del pranzo.

Fuori Quaresima, dopo i vespri del giorno, all'imbrunire.

In linea di principio tale ufficio poteva anche essere cantato tutto di seguito nel giorno stabilito, oppure distribuito durante le varie Ore.

Ufficio quotidiano con 3 salmi e 3 letture

Da dirsi sempre dopo i vespri, i notturni e le lodi. Fuori del tempo di digiuno (da Pasqua al 14 settembre): dopo ce­na o dopo nona al pomeriggio.

In tempo di digiuno: in Quaresima: dopo il ringraziamento del pranzo.

In tempo di digiuno: fuori la Quaresima: dopo i vespri al tramonto, oppure dopo il ringraziamento del pranzo.

Tempi e giorni nei quali non veniva celebrato

Ufficio settimanale

Tutte le ottave.

Dalla vigilia di Natale all'ottava dell'Epifania inclusa. Dal Mercoledì santo al Lunedì dopo l'ottava di Pasqua escluso. Dalla vigilia dell'Ascensione fino all'ottava inclusa. Dalla vigilia di Pentecoste alla domenica dopo la Trinità esclusa. In tutti i sabati.

Nella vigilia di tutte le feste, ad eccezione di quelle con solo 3 let­ture.

In tutte le feste doppie o tutte doppie. Quando ricorreva l'anniversario o per altra ragione.

Ufficio quotidiano

Dalla vigilia di Natale all'ottava di Pasqua inclusa. Dal Mercoledì santo all'ottava di Pasqua esclusa. Da Pentecoste al giorno della SS. Trinità inclusa. Nei giorni di sabato.

Nelle vigilie di quelle feste che non sono di 3 lezioni. Nelle doppie o tutte doppio in ambedue i vespri.

Terminiamo qui questo sguardo panoramico sulla celebra­zione liturgica domenicana e sulla sua importanza appoggiata da tutta la legislazione e dalle dispense sulle quali si fondava l'ora­rio liturgico dell'Ordine, subito dopo la sua fondazione. Riman­diamo ad altra fonte per la ricostruzione schematica dell'orario secondo i documenti del XIII secolo (66).

 

9. Regola di Francesco (Frati Minori)

 

Benché Francesco non introduca alcuna novità in questo campo, dal momento che, a differenza dei Frati Predicatori, as­sume in pieno la riforma introdotta da Innocenze III, tuttavia per comprendere bene il suo pensiero occorre rifarsi non solo alle due regole da lui composte ma anche a qualche altro suo scritto (67).

Nella Regola non bollata (1221), approvata verbalmente da papa Innocenze III, al capitolo III scrive:

“Perciò tutti i frati, sia chierici sia laici, recitino il divino ufficio, le lodi e le orazioni come sono tenuti a fare. I chierici recitino l'ufficio e lo dicano per i vivi e per i defunti, secondo la consuetudine dei chie­rici. Per i difetti e le negligenze dei frati dicano, ogni giorno, il Mise­rerò mei, Deus, eoa il Poter noster.

Per i frati defunti dicano il De profundis con il Poter noster. E pos­sano avere soltanto i libri necessari per adempiere al loro ufficio. An­che ai laici che sanno leggere il salterio, sia concesso di averlo; agli altri, invece, che non sanno leggere, non sia concesso di avere alcun libro.

I laici dicano il Credo in Dio e ventiquattro Poter noster con il Glo­ria al Padre per il mattutino, cinque per le lodi, per l'ora di prima il Credo in Dio e sette Pater noster, con il Gloria al Padre; per terza, se­sta e nona, per ciascuna di esse, sette Pater noster; per il vespro dodi­ci, per compieta il Credo in Dio e sette Pater noster con il Gloria al Padre; per i defunti sette Pater noster con il Requiem aeternam; e per le mancanze e le negligenze dei frati tré Pater noster ogni giorno” (68).

Da sottolineare come queste prescrizioni rientrino ancora appieno nella tradizione monastica degli ultimi secoli. Per i chie­rici non cita l'uso del breviario romano e prevede che sia i chie­rici sia i frati laici, che sanno leggere dicano la stessa preghiera comune: il breviario. Per i frati che non sanno di lettera, racco­manda solo tutte quelle preghiere improntate sugli uffici addi­zionali e devozionali, aggiuntisi alle ore canoniche di base. La differenza tra preghiera corale dei chierici e quella dei laici già presente a Citeaux e alla Certosa, qui viene formalmente e net­tamente separata, seguendo un suo iter.

Nella Regola bollata (1223), approvata da papa Onorio III, al capitolo III scrive:

“I chierici recitino l'ufficio, secondo il rito della santa Chiesa ro­mana, eccetto il salterio, e perciò dovranno avere i breviari. I laici, in­vece, dicano ventiquattro Poter noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti” (69).

Ih questa seconda regola, che già conosce la riforma della Curia romana promossa da Innocenze III, prevede il breviario romano e non si dilunga sulla preghiera dei fratelli laici. Nel suo Testamento leggiamo:

“E tutti i frati siano tenuti a obbedire ai loro guardiani e a recita­re l'ufficio secondo la regola. E se si trovassero dei frati che non recitassero l'ufficio secondo la regola, e volessero comunque variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati siano tenuti, ovunque trovassero uno di es­si, a consegnarlo al custode più vicino...” (70).

Nella "Lettera inviata all'Ordine, troviamo:

“E poiché chi è da Dio ascolta le parole di Dio, perciò noi, che in modo speciale siamo deputati ai divini uffici, dobbiamo non solo ascol­tare e praticare quello che Dio dice, ma anche...” (71),

Sempre nella stessa lettera, trattando della devozione con cui va celebrato l'ufficio divino, continua:

“Perciò scongiuro, come posso, frate H. (Elia), ministro generale, mio signore, che faccia osservare da tutti inviolabilmente la regola, e che i chierici dicano l'ufficio con devozione, davanti a Dio, non preoc­cupandosi della melodia della voce, ma della consonanza della mente, così che la voce concordi con la mente, la mente poi, concordi con Dio, affinchè possano piacere a Dio, mediante la purezza del cuore piutto­sto che accarezzare gli orecchi del popolo con la mollezza del canto. Per quanto mi riguarda, io prometto di osservare fermamente tutte que­ste cose, come Dio mi darà la grazia, e le insegnerò ai frati che sono con me perché le osservino, riguardo all'ufficio e alle altre norme sta­bilite dalla regola” (72).

 

10. Regole di Chiara d'Assisi

 

La regola di S. Chiara del 1253, o meglio là Torma di vita dell'Ordine delle Sorelle Povere di S. Damano, di cui S. Chiara ebbe l'approvazione dalla Sede Apostolica solo due giorni prima della sua morte (9 agosto 1253), è il punto di arrivo di una serie di esperienze, attraverso cui il gruppo di S. Damiano è passato, per decenni, scivolando sempre invitto attraverso pressioni ester­ne per mitigare la povertà assoluta. Denominata Bolla di Papa In­nocenza IV, che l'approvò in quella data, al capitolo III, scrive:

“Le sorelle che sanno leggere celebrino l'ufficio divino secondo la consuetudine dei frati minori, e perciò potranno avere i breviari, leg­gendo senza canto. Se qualcuna, per un motivo ragionevole, a volte non potesse recitare leggendo le sue Ore, le sia lecito dire il Padre nostro, come le altre sorelle.

Quelle invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste Ore, sette; per il vespro dodici; per compieta sette. Inoltre dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Re­quiem per il vespro e dodici per il mattutino, quando le sorelle che san­no leggere sono tenute a recitare l'ufficio dei morti. Alla morte poi di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster” (73).

La Regola dell'Ordine di S. Chiara, approvata da Urbano IV, il 18 ottobre 1263 (perciò detta urbaniana), con la bolla Beatae Clarae, è stata per secoli ed è tutt'oggi l'unica regola per un nu­mero rilevante di monasteri di Clarisse, in luogo di quella pro­pria di S. Chiara. Al capitolo VI leggiamo:

“Quanto all'ufficio divino che devono offrire al Signore tanto di giorno quanto di notte, si compia in questo modo: quelle che sapran­no, leggere e cantare, devono celebrare l'ufficio divino secondo la con-suetudine dei frati minori, ma con gravita e modestia.

Quelle invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater no­ster per mattutino; cinque per le lodi; per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste ore, sette; per il vespro poi dodici e per com­pieta sette. Lo stesso modo si osservi nell'ufficio della Beata Vergine.

Per i defunti dicano, a vespro sette Pater noster col Requiem ae-temam, per il mattutino dodici, quando le sorelle che sanno leggere re­citano l'ufficio dei defunti.

Se qualcuna, poi, per motivo ragionevole, qualche volta n,qn po­tesse recitare leggendo le sue ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le illetterate” (74).

Abbiamo creduto opportuno riportare i passi presentì nelle regole ciarlane, riguardanti il nostro argomento, per motivi storici.

Nella Bolla del 1253, l'influsso della riforma di papa Inno­cenze IV, adottata da Francesco e dai suoi frati, è fortemente presente. Se pensiamo che i frati esprimevano un nuovo tenore di vita nella Chiesa (i Mendicanti) ed anche a causa loro era sta­ta introdotta la riforma liturgica romana, Chiara, dal canto suo, esprimeva ancora la linea monastica della preghiera. Una simile innovazione che capovolgeva, praticamente, l'intera storia della Liturgia delle Ore, se con Citeaux e i canonici di Norberto ave­va trovato non poche difficoltà, ora non solo era accettata, ma approvata.

I: Nella Bolla del 1263, invece, le cose assumono un aspetto i che rientrano un po' più nella tradizione, cioè il recupero degli uffici addizionali e devozionali: quello della B.V. Maria e dei de­funti, provenienti dall'alto medioevo e di epoca soprattutto me-rovingia-carolingia.

 

11. Il Carmelo

 

Nel 1247 Innocenze IV associò i Carmelitani agli ordini mendicanti. Il loro primo priore generale fu Simone Stock (1247-1265). Tuttavia gli inizi risalgono ancora al XII secolo, a una co­munità di eremiti, che il crociato Bertoldo di Calabria (+ 1195) aveva fondato sul monte Carmelo.

Dal patriarca Alberto di Gerusalemme ereditarono una re­gola strettamente contemplativa (1207-1209), che Onorio III ap­provò nel 1226. Già priore dei canonici regolari di S. Croce di Mortara (ca. 1150-1214), poi vescovo di Bobbio (1184) e di Ver-celli (1185-1205), a testimonianza della sua consuetudine con la vita religiosa, nel 1201 Alberto fu assunto come consigliere per la regola degli Umiliati.

Furono gli stessi eremiti a chiedergli una sorta di regola per la propria comunità, che in breve l'avrebbe situato in una posi­zione anomala rispetto alla legislazione monastica del tempo, per il divieto del concilio Lateranense IV (1215) di istituire una qual-siasi novam religionem. Quando, incalzati dall'islamismo, i Car­melitani emigrarono a Cipro, in Sicilia, in Francia e in Inghilterra, abbracciando (dal 1238) una forma di vita cenobitica, si pensò subito di dare loro una costituzione simile a quella degli ordini mendicanti. Con la regola del Carmelo ci troviamo di fronte ad uno scritto anomalo rispetto alle antiche regole monastiche oc­cidentali, poiché il suo stile appartiene piuttosto alla gamma de­gli scritti spirituali indirizzati ai movimenti penitenti laici, allora così diffusi.

L'autore stesso la presenta come una formula vitae. La realtà profonda del testo resta di carattere prettamente monastico; la sua stessa struttura manifesta un'acuta comprensione dei conte­nuti e dei valori della tradizione monastica e ne offre una tra­sparente e ricca sintesi.

Al capitolo 4, parlando della vita in cella, affronta il nostro argomento che va inserito e compreso nel contesto della regola (75):

“Ciascuno rimanga nella propria cella o vicino ad essa, meditan­do giorno e notte la legge di Dio e vegliando nelle preghiere, se non è occupato in altre giuste occupazioni.

Quelli che conoscono le lettere e sanno leggere i salmi, dicano per ciascuna ora quelli che vi sono stati destinati dalla norma dei santi pa­dri e dalla comprovata consuetudine della Chiesa. Coloro che, invece, non conoscono le lettere, nelle vigilie notturne ripetano venticinque vol­te il Padre nostro, tranne che nelle domeniche e nei giorni di solennità, nelle vigilie dei quali stabiliamo che il suddetto numero sia raddoppia­to, così che si dica il Padre nostro cinquanta volte. Alle lodi mattutine si dica la stessa preghiera sette volte. Analogamente, poi, in ciascuna delle altre ore, la stessa preghiera la si dica sette volte, tranne che ne­gli uffici del vespro, in cui dovrete dirla quindici volte” (76).

Al capitolo 6, invece, a proposito dell'oratorio, dice:

“L'oratorio, secondo come è più comodo, venga costruito in mezzo alle celle, dove.la mattina, ogni giorno, dovrete radunarvi per ascoltare la solennità della messa, laddóve questo Io si può fare comodamente” (77).

La Regula Canneti, per quanto concerne il nostro argo­mento, si presenta di rilievo. Ormai la suddivisione tra monaci letterati e illetterati, non sfocia più come a Citeaux o a Certosa, nei doppi uffici: quello monastico e quello del De Beata o dei defunti; oppure tra ufficio romano e Poter noster come nei Mi­nori. Il Carmelo racchiude una novità: continuità nella diversità. Infatti per i coristi la regola si rifa in toto alla tradizione mona-stica e, stando alle parole, non sembra neppure che abbia as­sunto lo schema della Curia romana (1215).

Al contrario per i conversi o non letterati, si ricollega alla riforma minoritica. Tuttavia è interessante notare come una simi­le innovazione non riguardi più solo la vita cenobitica o comu­nitaria, ma è già presente nella stessa vita eremitica. Solo molto più tardi, superata l'epoca aurea, Citeaux e le altre forme mona-stiche, introdurranno anch'esse una simile divisione nella pre­ghiera comunitaria, dalla quale ne resterà esente solo la Certosa.

 

RIFERIMENTI

 

(1) II ricordo più frequente lo ritroviamo nel Liber Pontificalis, óp. cit.

 

(2) L'opera è stata pubblicata dall'abate Gerbert, Ordine-m ecctesiitsticum de­scriptum de Hierosolyma adiuvante sancto Hieronymo instituit et ordinavi!, in Mon. vet. liturg. alemanicae, S. Blas., 1779, t. II, 175-195, dei quali alcuni frammenti ven­gono riportati da batiffol P., op. cit., 339 ss., in particolare 349.

 

(3) amalarii, Liber officialis, in Amalarii Episcopi opera, liturgica omnia, a cura di hansens J.M., Città del Vaticano 1948-1950, voli. I-IV,

 

(4) amalarii, Off. IV, 2-6 e IV, 2, 8-10; Ant., 7, 3-13, in hansens J.M., op. cit., II, 406-430 e 417-441.

 

(5) S. beda, Opera hist., ed. Stevenson, t. I, 336; cfr. anche PL 95, 199 ss. 

 

(6) Conc. Cloveshoe II, cann. 13 e 15, in labbb P.H., Coli. cotte., voi. VI, 1577. Cfr. anche baumer S. - bikon R., op. cit., I, 322-325.

 

(7) Cfr. schmitz W., Sancii Chrodegangi Regula Canonicorum, Hannover 1889, oppure per una edizioni rivista: napier, Londra 1916. pelt J.B., La liturgie de la cathédrale de Metz, Metz 1937.

 

(8) morhain E., Origine et histoire de la “Regula Canonicorum” de Suini Chro­degangi, in Miscellanea Pio Raschini, voi. I, Lateranum 14, Roma 1948, 173-185; te­sto in PL 89, 1058-1120.

 

(9) Monum. Germ., Scriptores, X, 540.

 

(10) morhain E., op. cit., 179.

 

(11) Monum. Germ., Leg., II, cap. I, 60.

 

(12) jaffé ph. - ewald P., Regesta Romanorum Pontificuum, n. 2451.

 

(13) jaffé ph., Monumenta Carol., 101.

 

(14)  baumer S. - biron R., op. cit., I, 400-403.

 

(15) pinell J., Le Liturgie occidentali, la Liturgia gallicana, in Anamnesis/2, op. cit., 62-67.

 

(16) Capitolare XXII, 80, dell'anno 789.

 

(17) Risposta del papa, in jaffé ph. - wattenbach G., 2473, Cod. Carol., 89. Si osservi che il re aveva domandato un testo puro (Immixtum).

 

(18) Cfr. i questionari proposti al clero: Capitolare CXVI, 4 e 7.

 

(19) Mónum. Germ., Scriptores, I, 131.

 

(20) Capit. Greg. li, in schannat-harztzheim, Concilia Germaniae, voi. I, 35-36; labbe ph., Conc., op. rit., voi. VI, 1452; PL, 89, 332; jaffé ph. - ewald P., Regesta Romanorum Pontificuum, n. 2153, ad ann. 716; baumer S. - biron R., op. rit, I, 326. in questo testo di papa Gregorio II, leggiamo: “Ut datis nostris scriptis, ita ut cum duce Provinciae deliberetis, quatenus... ex quesitis sacerdotibus atque mi-nistris, quorum canonicam approbaveritis extitisse promotionem, ac recte fidei tenere ac recipere rationem, bis sacrificano! et ministrimeli sive etiam psallendi ex figura et traditione sanctae Apostolicae et Romanae Sedis Ecclesiae ordine tradetis (tradatis) potestatem. Ut loco singularum Ecclesiarum praevidentes, quomodo unisquisque sa-cerdos seu minister erga Ecclesiam debeat conservare vel qualiter sacra Missarum so-lemnia, sive cetera diurnarum atque nocturnarum horarum officia, sive etiam lectionem sacrorum librorum novi atque veferis Testamenti ordinabilia praedicamenta studeat observare secundum traditum Apostolicae Sedis antiquitatis oràinem disponatis...”.

 

(21) Su questo appellativo o soprannome dato alla liturgia ispanica le posizioni sono alquanto divergenti presso gli studiosi della materia. pinell ]., Anamnesis/2, op. cit., 71-87, ha una posizione alquanto critica; mentre si presenta meno critica e difensiva quella assunta da ward A. - johnson C., in ferotin M. (a cura di), Le Liher Mowabicus Sacramentorum et les manuscrits mozarabes, CLV, Roma 1995,

 

(22) pinell J., op. cit., 74.

 

(23) pinell J., op. cit., 84.

 

(24) flokes arcas J.J., La Horas Diurnas del Liber Horarum de Silos, Introduc-ción y edición critica (Cod. Silos, Arch. Monastico, 7), in Studia Silensia XXI, Abadia de Silos 1997, LXXXIX+291. Lo studio, condotto con serietà e precisione, offre un nuovo e solido contributo, non solo alla liturgia ispanica, ma anche alla scien­za liturgica. L'opera getta una luce nuova, non priva di arricchimento, soprattutto per la pubblicazione integrale di documenti ispanici rimasti finora nell'ombra. Sen­za dubbio, chi oggi vuoi approfondire la liturgia ispanica, non potrà più prescin­dere da questo lavoro. La ricchezza di contenuto e soprattutto la serietà della ricerca ci fanno ben sperare che l'autore continui sulla stessa linea.

 

(25) ferontin M., op. cit., pp. LXI-LXXI, secondo l'edizione a cura di ward-johnson, op. cit., riporta le seguenti fonti da cui ha attinto:

a. Manoscritto di Silos, Psalterium Toletanum, XI sec. (n. 30. 851).

b. Manoscritto di Silos, Rituale antiquissimum, XI sec.

e. Manoscritto della biblioteca privata dei re di Spagna (nn. 2 j. 2), an. 1059.

d. Manoscritto di Compostella (biblioteca dell'Università), (n. 1), an. 1055.

e. Manoscritto di Silos (n. 30. 844).

f. Manoscritto di Silos (n. 30. 845).

g. Manoscritto di Silos (n. 30. 846).

h. Manoscritto della biblioteca capitolare della cattedrale di Toledo (n. 35. 5).

i. Manoscritto della cattedrale di Toledo (n. 35. 6).

1. Manoscritto della cattedrale di Toledo (n. 35. 7).

Ad eccezione dei Luoghi già indicati nei quali si trovano i manoscritti citati quel­li di silos conservano la catalogaziene della biblioteca, in uso presso il British Museum di Londra (pp. LXI-LXII, schema). Il testo viene riportato dall'autore nella II parte, alle pp. 677-962.

 

(26) flokes arcas J.J., op. cit., 217-241.

 

(27) Ibid., 239.

 

(28) flokes arcasj.j., op. cit., 258-259.

 

(29) salmon P., Les tituli psalmorum des manuscrits latins. Roma 1959.

 

(30) ninguakda R, Liber precationum, Ingolstadt 1583. Cfr. anche DACL III, 865 ss.

 

(31) pinell J., Anamnesis/2, op. cit., 198.

 

(32) Eptst. Caroli Magni ad lectores Homiliarii, in PL 95, 1160.

 

(33) Cfr. ad esempio quanto riportato in pez B., Thesaurus, III, in PL 89, 1197.

 

(34) andkieu M., Les Ordines Romani du haut moyen age, voli. 1-5, Louvain 1974. D nostro tema viene studiato nel voi. II (pp. 459-526) e III (pp. 39-41).

 

(35) Rispettivamente in PL 149, 635-778; PL 150, 923-1146.

 

(36) jakobs H., Die Hirsauer. Die Ausbreitung una Rechtsstellung im Zeitalter des Investiturstreites, Colonia-Graz 1961.

 

(37) zakar P., in AnOCist 10 (1964) 103-118; VAN damme J.B., Formano/i de la constitution dsterdenne. Esqmsse historique, in StudMon 4 (1962) 111-137 e in AnOCist 21 (1965) 128-137.

 

(38) boutonjean DE LA croix ocso, Storia dell'Ordine cistercense, parte XI, 310-315, p. 311.

 

(39) PL 106, 397-400.

 

(40) beknardo di chiaravalle, Lettera sull'antifonario dstercense. Cfr. sejalon ti., Nomasficon cistcrciense, Solesmes 1892, 244.

 

(41) “Et primitus quidem, modum et ordinem servitii Dei per omnia secundum traditiones regulae observare decreverunt, recisis penitus et reiectis cunctis appen-dentiis psalmorum et orationum et laetaniarum, quae minus discreti patres prò vel­ie suo superaddiderant; quae etiam, propter fragilitatem infirmitatis humanae, non tam ad salutem quam ad pernicem monachorum sagaci consideratione deprehen-derunt dum ob multiplicitatem sui non solum a fastidiosis, sed ab ispis quoque om-nino tepide et negligenter persolverentur”, cap. XXI, in humpfner T., Der vermisste Teli des Exordium magnum S.O.C, (estratto da Cistercienser Chronik}, in 8, Bregenz, 1908, 11. abelardo P., Epistolario, p. I, epistula X, in PL 178, 339. Questa lette­ra fu scritta dopo il 1131. Alquanto mordace, riporta dettagli curiosi riguardanti le modifiche apportate dai monaci bianchi alle tradizioni ecclesiastiche dell'epoca. Egli rimprovera loro di aver cambiato gli inni fino ad allora in uso, sostituendoli con al­tri per lo più sconosciuti; inoltre la soppressione dei versetti dopo il Padre nostro, prima dell'orazione; la commemorazione dei santi e soprattutto quella della B. V. Maria; le processioni e l'uso dell'alleluia; l'abolizione del Credo a prima e a com­pieta, conservando il simbolo atanasiano solo per la domenica. Li biasima, inoltre, per aver messo il Gloria Patri solo ai responsori del mattutino e di aver trasforma­to in ufficio di sole tré lezioni con invitatorio e con inno quello del Triduo santo. Cfr. anche wadell C., La carta 10 de Vedrò Abelardo y la reforma litùrgica cistercien-se, in Cistercium 129 (1973) 56-66.

 

(42) Capitoli del 1157, 1227, 1316, 1432 e 1439.

 

(43) Manoscritto della biblioteca di Digione, n. 114, primi 102 fogli.

 

(44) Per uno studio più approfondito cfr. altekmatt A.M., Die erste Liturgie-,. reform in Citeaux (ca. 1099-1133), Rottenburger Jahrbuch fur Kirchengeschichte, Band, 4, 1985, 119-148. Interessante la recensione fatta da louf A., abate di Monts des Cats, in Collectanea Cist., 1986. L'opera dell'Altermatt ci presenta uno studio accurato sulle origini della liturgia cistercense. Il rinnovamento iniziato subito do­po la riforma si conclude solo dopo la morte di S. Stefano. Partendo dalle testi­monianze contemporanee e anche da quelle critiche, nonché dai più antichi documenti sul Breviario di S. Stefano, gli Ecclesiastica Officia, contenuti nel ms. 1711 di Trento, recentemento scoperto, l'autore analizza i punti fondamentali che rias­sume in quattro capitoli: Puritas Regulae; autenticità dei testi e delle melodie; sem­plicità del materiale; uniformità in tutti i monasteri. Per un'ulteriore bibliografia sulla storia della liturgia cistercense: marchesi A., De legitimitate breviarii et missalis or-dinis cistercensis (in italiano, con numerose citazioni latine), Romae 1868; malet A., La liturgie cistercienne, Westmalle 1921; renaud N., Les livres liturgiques, sour-ce du rite cistercien, in Coli. OCR 1936, 1-6, 136-142; 1937, 97-106; 1938, 113-122;

canicezj.-m., Le rite cistercien, in EL 63 (1949) 276-3111; choisselet D. - vek-NET P, Les Ecclesiastica officia cisterciens du XII siede, Reiningue 1989.

 

(45) Cfr. PL 178, 335-340.

 

(46) PL 178, 1759-1823.

 

(47) PL 178, 340. Per cui Abelardo conclude: “Ego autem sic illa sicut et sensum, quantum poterò, invariata servabo”, ibidem.

 

(48) dereine ch., DHGE XII, 386-391; id., Coutumiers et ordinaires des cha-noines réguliers, in Scriptorium 5 (1951) 107-113; ibid., 13 (1959) 244-246; carrier A., Cotoumier du XI' siede de l'orare de Saint-Ruf en usage a la cathédrale de Ma-guelone, Sherbrook pres Québec 1950; leclercq J., Un témoignage sur l'influen-ce de Gregoire VII dans la réforme canoniale, in StudGreg VI (1959-1961) 173-227; pauly R, Die Consuetudines von Springier-sbach, in TThZ 67 (1958) 106-11; SlEGWARTJ., Die Consuetudines des Augustiner-Chorherrenstiftes Marbach im Elsass, Friburgo/Svizzera 1965.

 

(49) Abbiamo già avuto modo di parlare di essa trattando di Amalario di Metz, al quale rimandiamo.

 

(50) dekeine ch., DHGE XII, 391-395; id., Les chanoines réguliers dans l'an-cienne province ecclesiastique de Salzbourg d'aprés les travaux récents, in RHE 43 (1948) 902-916; id., Le problème de la cura animarum chez Gratien, in Studia Gra­ttano II, Bologna 1954, 305-318; berliere P., L'exercice du ministère paroissial par les moines dans haut moyen age, in RBen. 39 (1927) 227-250; hofmeister ph., Monchtum und Seelsorge bis wm lì jh., in SM 65 (1953-54) 209-273; fokeville R. - leclercq J., Un débat sur le sacerdoce des moines, in SA 41 (1957) 8-11.

 

(51) Cfr. anche jedin H., Storia della Chiesa, V/l, 15-33.

 

(52) Seguiamo in questa parte lo studio molto approfondito fatto da lefevke pl. F., &a Liturgie Premontrée, histoire, formulaire, chant et cérémonial, in Bfbliotheca Analectorum Praemonstratensium, fase. I, pp. V-XVII, 1-180. La parte riguardante il nostro argomento si trova alle pp. 43-57.

 

(53) dekeine ch., Le premier ordo de Premontré, in RevBen 68 (1948) 84-92.

 

(54) dereine ch., op. cit., nota 87, riporta uno stralcio della lettera del vesco­vo di Maguellone, che mentre rende omaggio alle virtù di Norberto, critica ama­ramente l'uso liturgico da lui introdotto: “Porro canonici officii mutationem, quam nescio per quas antiphonarum et psalmorum varietates trifaria temporum permu-tatione praedicat esse sequendam, sacris canonibus et ipsi beato Augustino obvia-re testamur. Si enim canonici vocamur, et canonicorum vita professi sumus, a romana Ecclesia, matre nostra, canones nobis datos, a quibus edam vocabulum sumpsimus, amplecti in omnibus et precipue in ecclesiastico officio imitari debemus, ita ut hae-reticus approbetur qui centra eam falsas et novas opiniones vel gignit, vel sequitur. (poi aggiunge a parte): Jam vero quid absurdius, quidve enormius dici valeat quam illa diurni nocturnique officii discretio, quae nec romanum, nec monachium, nec ecclesiasticum sequitur usum?”, ibid. 88, nota 1. tre la è andato perso tuttavia ancora oggi ne possediamo una copia databile alla prima

 

(55) baumer S. - biron R., op. cit., I, 354-432; II, 1-21.

 

(56) lefevre pl. E, op. cit., 50-57.

 

(57) Riportiamo qui un'antica testimonianza del tenore di vita condotto da Bru­no e dai suoi discepoli. “Lasciata la città di Reims, Bruno si propose di rinunciare anche al mondo. Fuggì dunque con disprezzo le relazioni con i suoi e si recò a Gre­noble. Qui scelse per abitazione la sommità di una montagna, scoscesa e paurosa, alla quale si accedeva per un sentiero molto stretto e poco frequentato; sotto vi era una vallata situata in fondo ad un precipizio scosceso. Qui egli istituì la sua rego­la, qui ancora oggi vivono i suoi discepoli. La chiesa non era molto lontana dalle falde della montagna. Vi è una china un po' ondulata. Vi risiedono tredici monaci. Questi hanno un chiostro che andrebbe bene alla regola cenobitica; mentre non conducono una vita claustrale come gli altri monaci, ne tanto meno vivono insie­me. Infatti, ognuno di loro ha la sua propria cella attorno al chiostro; in essa lavo­ra, dorme e si nutre. La domenica, ognuno di loro riceve dall'economo gli alimenti, cioè pane e legumi e cuoce per conto proprio questa unica specie di viveri. L'ac­qua di cui si serve per bere e per gli altri usi proviene da una fonte attraverso una condotta che fa il giro delle celle e sbocca in una camera attraverso delle aperture particolari. La domenica e i giorni di festa mangiano pesce e formaggio... Essi van­no in chiesa non nelle ore alle quali noi siamo abituati, ma soltanto in certe ore del giorno. Ascoltano la messa la domenica e nei giorni festivi. Non parlano quasi mai. Se hanno bisogno di qualcosa si esprimono a segni... Sono sotto la guida di un prio­re; però il vescovo di Grenoble, uomo molto religioso, esercita su di essi le fun­zioni di abate e di preside. Si sono votati alla povertà totale, però ammucchiano libri nelle loro biblioteche.,, II luogo si chiama Certosa. Vi coltivano poco la terra per la produzione del frumento, ma sono abituati a procurarsi i cereali di cui ab­bisognano in cambio della lana delle pecore ch'essi allevano in grande quantità” guibert DI nogent, monaco (1053-1124), Histoire de sa vie, in latoucher R.,  Le film de l'histoire medievale, 228 ss.

 

(58) Per capirne la natura sarà bene ricordare il significato del termine consue-tudini. Si può dunque dire che mentre la regola fornisce i principi e i criteri della vita monastica e spesso ne determina anche con una certa precisione ritmi e ordi­namenti, le consuetudini indicano piuttosto il modo concreto e minuto con cui la regola stessa è messa in pratica, e inoltre legiferano in dettaglio sui diversi aspetti della vita quotidiana non toccata dalla regola. Esse mostrano insomma in qual mo­do la regola è interpretata e visssuta nei singoli monasteri. Lo scritto da cui attingia­mo per la vita della Certosa, è opera di Guigo I, quinto priore della Grande Certosa (1083-1136). Il testo su cui la presente traduzione è stata condotta è l'edizione cri­tica curata da Un Chartreux (M. laporte), Coutumes de Chartreuse, Paris, in SChr 313, 1984. Il testo della traduzione è in Regole monastiche d'Occidente, ed. Qiqajon-Comunità di Bose, Magnano (Vercelli) 1989, 141-207.

 

(59) Notiamo presenti in questo capitolo tutti quegli elementi che Abelardo ac­cusava come carenti o eliminati nelle “usanze” di Citeaux.

 

(60) II termine Eptateuco designa i primi sette libri della Bibbia: il Pentateuco con l'aggiunta di Giosuè e Giudici; talvolta comprendeva anche il libro di Rut.

 

(61) Cfr. Regole monastiche d'Occidente, op. cit., 211-263.

 

(62) L'Ordine Domenicano ha poi adottato il rito romano rinnovato dal Conci­lio Ecumenico Vaticano II, nel 1968. e La Liturgia delle Ore, nel 1971; mentre ha conservato alcune particolarità a livello di calendario liturgico. Per questo nostro studio seguiamo quello fatto da fuentes gonzalez A. op, La vida liturgica en la Orden de Predicadores, Istituto Storico Domenicano, Roma 1981, 48-67; 198-219; 268-298. Ad esso rimandiamo per ogni ulteriore approfondimento, non solo per la completezza della ricerca, ma anche per la capacità con la quale l'autore ha sapu­to inquadrare il suo studio, da un punto di vista liturgico, storico e legislativo.

 

(63) Ordinarium O.R, 134-136, 514-526.

 

(64) fuente gonzalez A., Op. cit., 47-51.

 

(65) Ne abbiamo accennato a proposito dei Cistercensi.

 

(66) fuente gonzalez A., bp. cit., 198-218.

 

(67) I testi francescani citati sono presi da Tonti francescane, editio minor, Assi-si-Padova 1986.

 

(68) Ibid, 30.

 

(69) Ibid., 58.

 

(70) Ibid, 70.

 

(71) Ibid, 117.

 

(72) Ibid., 118. Da notare come questo passo risenta totalmente del e. 19 della Regula Benedicti.

 

(73) Tonti francescane, op. cit., 1157-1158.

 

(74) Fonti francescane, op. cit., 1290-1291.

 

(75) Regole monastiche d'Occidente, op. cit., 267-270.

 

(76) Ibid., 272-273.

 

(77) Questa posizione centrale dell'oratorio rispetto alle celle trova un suo cor­rispondente sia in alcune regole monastiche occidentali (cfr. isidoro, Regula mo-nachorum, 1, in PL 83, 869; grimlaico, Regula solitariorum, in PL 103, 594), sia nella disposizione architettonica dei centri monastici palestinesi. Il riferimento, poi, al criterio di una reale possibilità di celebrare quotidianamente l'Eucaristia è moti­vato probabilmente dal carattere molto solenne del rito del Santo Sepolcro, che ve­rosimilmente seguivano e che rendeva dunque un po' arduo il poter partecipare ogni giorno alla celebrazione della messa.