CAPITOLO VIII Dal concilio di Trento al Vaticano II

 

A. SVILUPPO STORICO DEL TESTO DEL BREVIARIO

 

Abbiamo già avuto modo di sottolineare come il breviario di Pio V, che rifletteva le esigenze e le prospettive emerse nel­l'assise conciliare di Trento, aveva dato il suo pieno assenso a quell'ufficio romano che si ricollegava alla tradizione iniziata con la riforma della Curia romana promossa da Innocenze III.

Frutto di un non facile travaglio da parte degli esperti e del­la stessa Sede apostolica, il breviario fu accettato universalmen­te, anche perché maturato in sede conciliare ed era espressione dei desiderata della maggioranza. Tuttavia i limiti e le carenze della nuova riforma fecero sentire ben presto il loro peso, susci­tando la necessità di ulteriori ritocchi e modifiche. Queste si po­nevano su un doppio livello: da una parte interessavano la Curia romana, dall'altra interessavano e interrogavano anche le Chiese locali (1).

Da parte sua, la Sede romana non rimase a guardare ne, tanto meno, ignorò il problema; i pontefici dei due secoli suc­cessivi: Sisto V, Clemente Vili, Urbano Vili, Clemente X han­no tentato di ritoccare alcuni aspetti, senza intervenire in modo completo e radicale. L'unico che tentò una nuova e completa re­visione fu Benedetto XIV, Lambertini, intorno alla metà del XVIII secolo, ma le difficoltà furono così ingenti che la riforma stentò a decollare e la morte impedì al papa di condurre in por­to il lavoro iniziato.

Un tale stato di cose lasciava molte incertezze, mentre al­cune chiese locali, autonomamente, intrapresero una riforma del breviario che rispondesse alle esigenze del momento. La Francia fece il primo passo e ben presto, qualche altra nazione la seguì.

Poi l'esigenza di adeguamento era più forte del tentennamento con cui Roma affrontava il problema, non si può negare, come ha scritto qualche studioso, che una tale scelta generò “la mania di liturgie particolari” (2).

Questa affermazione, forse radicale, va considerata nella cornice del momento storico che stava vivendo la Francia. Lo sfondo culturale e religioso era animato da correnti che si pro­fessavano chiaramente anti-romane, come il giansenismo e il gal­licanesimo.

Anche se la loro posizione non raggiunse quella delle chie­se riformate del secolo precedente, tuttavia lo spirito di auto­sufficienza causava antagonismo e disobbedienza contro tutto ciò che era la disciplina e la dottrina della Chiesa romana.

Da questi due piani, ora citati, si giunse ben presto anche a quello liturgico, intaccando lo spirito di unità che aveva gui­dato il concilio di Trento. Una simile posizione riversava sulla preghiera della Chiesa in quanto tale, tutto lo spirito nazionali­stico, mettendo a repentaglio il senso “cattolico” che la doveva caratterizzare.

Al di là, poi, dello spirito di contestazione, le proposte dei breviari gallicani contenevano tutti gli aspetti fino ad allora ri­masti insoluti: la sproporzione del santorale; la devozione e la celebrazione del culto della B. Vergine Maria; la rivalorizzazio­ne della domenica e della “feria”; la distribuzione del salterio nell'arco della settimana e quello della Scrittura nell'arco di un anno; la lettura di testi patristici.

Da questo si può notare l'ansia e il desiderio di migliora­mento che sottostava a un'autentica riforma dell'ufficio divino. Anche in questo caso il testo del Quinones fece da modello per la riforma.

1. I breviari gallicani

Gli studiosi, generalmente, raggruppano tutti i breviari sor­ti nello sforzo di tale riorganizzazione, in tre periodi.

L'esemplare che caratterizza questo primo periodo è il co­siddetto Breviario di Parigi (1680), voluto e portato avanti da Francesco De Harlay, arcivescovo di Parigi. Scrive il Baudot:

“Si ebbe cura di togliere dal Breviario "le cose superflue o poco convenienti alla dignità della Chiesa, di farne sparire ciò che vi sareb­be stato introdotto di superstizioso per non lasciarvi che ciò che fosse conforme alla dignità della Chiesa e alle istituzioni dell'antichità"” (3).

La nuova struttura che caratterizza questo breviario riguar­da soprattutto un insieme di abbreviazioni e riduzioni: le prime interessano le letture delle ottave riguardanti le feste del Signo­re (cambiate rispetto al breviario romano), e quelle della B. Ver­gine Maria. Per la festa della SS. Trinità, rispetto al romano, furono sostituite le letture e le antifone; altri testi furono modi­ficati; il santorale con gli inni, letture, responsori e antifone, ven­nero notevolmente ridotti (4).

Resta l'uso della recita del salterio in una settimana, com­presa la domenica e le feste dei santi, ad eccezione di qualche festa della B. Vergine Maria o dei SS. Martiri. Furono eliminate circa una quarantina di letture agiografiche che risultavano chia-, ramente spurie (5).

A questo breviario ne vanno aggiunti altri, più o meno del­lo stesso periodo, ma sempre caratterizzati dal medesimo stile:

Orleans (1693); Sensi (1725); Auree (1726). Anche i Benedetti­ni di Cluny fecero sentire la loro opinione, sotto la dirczione di Claudio De Vert (1686); oltre ai punti sopra elencati del brevia­rio parigino, intaccarono anche gli uffici della Settimana santa (6).

Di questo periodo è il piccolo trattato di Carlo Savreux, composto a Parigi nel 1669, di chiara matrice quinoniana. In es­so rinveniamo alcune espressioni come “semaines d'apres l'A-vent” (post-Adventum) e “semaines errantes” (dominicae vagantes). La Sacra Scrittura è distribuita in tutto l'anno liturgico.

II Periodo

Tra le varie opere che si svilupparono in questo tempo ci­tiamo la riforma del “calendario” fatta da F. M. Fionard e il nuo­vo breviario parigino da lui composto insieme al noto liturgista Grancolas e pubblicato nel 1736.

Preparato per volontà dell'arcivescovo Carlo De Ventimille, ne porta anche il suo nome. Siamo in clima di pieno gianse­nismo e gallicanesimo molto diffusi; tuttavia, per quanto il conte­nuto di queste due opere manifesti punte molto avanzate e non in piena sintonia con Roma, non si può affermare che siano il prodotto di tali correnti.

Infatti l'arcivescovo, benché non dimostrasse una sua ade­sione con la linea assunta dalla Santa Sede, non si era neppure schierato con il giansenismo, del quale era un noto oppositore (7). Per quanto riguarda le reazioni suscitate negli ambienti della se­de romana, va sottolineato che furono chiare e perentorie. L'ar­civescovo di Parigi promise, dopo un po' di tensione, di rivedere alcune parti ed aspetti secondo le direttive di Trento e del bre­viario di Pio V, ma gli impegni assunti rimasero una semplice promessa!

Al contrario, il breviario fu bene accetto in diverse diocesi francesi, della Germania e anche in Italia, soprattutto Pistola, do­ve ebbe luogo il famoso sinodo che rilanciò una nuova immagi­ne di liturgia; senza dubbio questo breviario influì non poco su alcune scelte del sinodo.

Le fonti alle quali il nuovo breviario parigino si ispirava era­no il precedente breviario di De Harlay e soprattutto quello del Quinones.

Rispetto ai quali, la riforma attuale risultò più radicale, as­sumendo tutto il sapore della contestazione e dell'indifferenza.

Al salterio fu dato un nuovo riassetto e distribuzione; lo stes­so avvenne anche per l’innario. Attingendo al precedente bre­viario parigino e ad altri testi della Francia, questi due ultimi aspetti fecero sì che il breviario fosse ritenuto di chiaro stampo gallicano e giansenista. L'ufficio nel suo complesso fu ridotto no­tevolmente e i notturni da 9 lezioni organizzate secondo uno schema, con 6 lezioni (8).

La reazione fu ulteriormente aggravata dalla revisione del calendario liturgico, che rivoluzionò l'ordinamento di quello uni­versale in uso nella Chiesa: riduzione del santorale e nuova di­sposizione del feriale; inoltre le feste furono divise in: I classe, ' feste del Signore; II classe, ufficio della domenica, con prece­denza su ogni altra festa o solennità, anche della B. Vergine Ma­ria e di tutti i santi. Tra le feste del santorale, quelle dei martiri erano ritenute privilegiate.

Ii Periodo

Questo periodo è caratterizzato non più dai breviari dioce­sani della Francia, ma da quelli riformati di alcuni Ordini reli­giosi, primi in testa, i Benedettini. Tra essi ricordiamo alcune abbazie a cui faceva capo un'intera congregazione: quella di Saint Vanne (1777) e di Saint Maure (1787). La caratteristica di que­sti breviari era il tentativo di riforma fondato sull'equilibrio tra tradizione e “nuovo” (9). La preparazione e la competenza monastica consentirono una simile riforma nel XVIII secolo.

Questo modello di ufficio divino era costituito da una certa libertà e varietà, che si rifletteva in particolare nella scelta dei I testi, raggruppati negli antifonari, nei lezionari e nei nuovi seri moni dei Padri.

Volendo sintettizzare la matrice comune dei vari breviari gallicani possiamo sottolineare:

Salterio: l'intero numero dei salmi era suddiviso in modo tale che fosse recitato nello spazio di una settimana. Letture: la quasi totalità della Scrittura, Antico e Nuovo Testamento, era presente.

Innodia: rispetto a quello universale romano, furono scel­iti inni più recenti e facilmente adattabili al canto. Responsori, antifone e versi: assunsero un tono e un aspetto tipicamente biblico; nell'ufficio soprattutto della “feria” occuparono un posto di rilievo.

- Più che essere un libro di sola preghiera, nel breviario neogallicano iniziò a predominare un aspetto moralizzante.

Il lavoro di riforma intrapreso in Francia, tra il XVII e il XVIII secolo, comportava un triplice aspetto:

1. Positivo. Seppero cogliere lo spirito di attesa e la neces­sità che animava la Chiesa del tempo. Anche se, spesso, in mo­do parziale, il lavoro aprì nuove vie, pur restando nell'alveo fon­damentale della tradizione della Chiesa.

2. Quinones. L'aggancio con la tradizione ecclesiale si espri­meva in modo particolare nel prendere a modello di riforma il breviario della S. Croce. Per questa via si poteva facilmente at­tingere a quelle fonti che conservavano intatta l'unità della tra­dizione e, allo stesso tempo, aprirsi a quegli orizzonti tanto desi­derati dalle esigenze del tempo.

3. Anti-romanità. Questo aspetto ha sempre limitato, in sen­so negativo, il valore dei breviari. Infatti, il giudizio non si pone solo sul piano disciplinare e della communio, quanto invece su­gli effetti storico-pratici. Il gallicanesimo, se da un lato fossilizzò la riforma, chiudendola su di un piano nazionale, dall'altro fa­vorì un pluralismo che divenne non comunione locale o nazio­nale, tra le stesse diocesi, generando atteggiamenti di chiusura.

Ricordiamo che col sopraggiungere della Rivoluzione fran­cese, nel 1791, ben ottanta diocesi non avevano niente in comu­ne nei loro uffici con la liturgia romana. Intuendo tutti gli aspetti che conseguono da una situazione ecclesiale del genere, quel mo­mento storico trovò una Chiesa nazionale chiusa in se stessa.

In altre parole, facendo prevalere lo spirito di rivalsa e di individualismo, si impedì alla riforma di assumere quegli aspet­ti che potevano andare a vantaggio di scelte più universali. Al­tro limite: con il gallicanesimo prevalse, degenerando sul piano liturgico, più il senso di Chiesa particolare che quello di Chiesa universale.

Va anche sottolineato che, da parte della Sede apostolica, le esigenze che ormai da secoli giacevano sotto le ceneri, non fu­rono mai accolte con risolutezza e ferma decisione di rinnova­mento; ci si limitò a delle semplici modifiche che non risolvevano il problema, come avremo modo di constatare scorrendo i vari interventi del magistero. Inoltre tutte le riforme intraprese a li­vello universale (Quinones) o locale (breviari nazionali), furono sempre viste con diffidenza e, per questo, male accolte.

2. Altri breviari europei

La Spagna impegnata, anche per motivi coloniali, a conser­vare l'unità di fede e di comunione con Roma non ebbe parti­colari esplosioni di riforma in questo campo.

Tra le nazioni, invece, che subirono maggiormente lo sti­molo e l'influsso del gallicanesimo e del giansenismo, va anno­verata soprattutto la Germania. Qui era molto vivo l'influsso del giosefismo e dei fabbroniani, i quali sentivano fortemente l'anti­romanità.

Tra le diocesi tedesche, quelle che aderirono attivamente al­lo sviluppo delle nuove tendenze, ricordiamo: Colonia, Mùnster, Treviri. Ciascuna diocesi ristrutturò un proprio breviario, le cui idee erano affini a quelle espresse a suo tempo dal Quinones. La loro caratteristica era (11):

1. Semplificazione del salterio.

2. Diminuzione, con molte eliminazioni, del santorale e in­serimento di un numero adeguato di feste dei santi.

3. Riduzione dell'ufficio della Madonna, intaccando anche quelle parti che costituivano una forte tradizione.

4. Una sempre maggiore prevalenza della Scrittura nello schema dell'ufficio, con abbondante presenza nelle antifone, responsori e capitoli.

5. Rinnovamento del santorale con un rilevante uso del “co­mune”.

6. Rivalorizzazione dell'ufficio domenicale e feriale con l'in­tera recita del salterio.

In questi breviari emerse in modo evidente il desiderio e la tendenza a divenire sempre più autonomi da ciò che formava la tradizione della Chiesa.

Tuttavia sarebbe parziale e poco storico concludere il no­stro panorama sui breviari della Germania (11), fermandoci solo a quelli che manifestavano una certa tendenza, frutto di ideologie locali e nazionali. Accanto a questi ci fu l'opera di riforma por­tata avanti da altri breviari tedeschi, che pur restando fedeli a quello romano, seppero cogliere gli aspetti positivi che avevano animato il Quinones, rispettando pienamente la tradizione ecCLesiale. Ricordiamo quello di Magonza (1786) e quello scritto da T. A. Dereser (tra il 1790-1791). Di quest'ultimo sottolineamo che era destinato più ad uso privato che comunitario. Com­prendeva solo due ore canoniche: mattutino (con 3 salmi e 3 letture, a cui si aggiungeva nelle feste dei santi una quarta lettu­ra) e il vespro. Tale schema impediva la lettura completa della Bibbia, permetteva solo poche letture dei Padri e il salterio non era più distribuito settimanalmente. Venne usato in particolare nella diocesi di Colonia, ad opera dell'arcivescovo Massimiliano Francis.

Da parte italiana invece prevalse sempre quel senso diprofondo legame e accettazione dello schema universale, dato dalla Chiesa.

Un'eccezione, inaspettata e unica, si rivelò la posizione as­sunta dalla diocesi di Pistola e promossa dal prelato Scipione Ric­ci, nel 1786. Animata soprattutto dall'influsso del gallicanesimo, imperante in quei tempi, rimase un'espressione circoscritta e di breve durata (12). Per una migliore comprensione è necessario in­quadrarla nell'ambito di un'azione e di un avvenimento molto più ampio come il sinodo di Pistola. Nonostante alcune espressioni e atteggiamenti, di difficile comprensione per quel tempo, il si­nodo ebbe risvolti positivi e fu guidato da uno spirito diverso dal­le posizioni inficiate dal gallicanesimo o febbronianismo. La storia, la fede e l'atteggiamento di quella diocesi erano ben altre.

 

B. IL SINODO DI PISTOIA

 

Nel 1786 il giansenismo toscano tenne a Pistola la sua so­lenne assise, sotto la direzione di Scipione de Ricci e la prote­zione del granduca Pietro Leopoldo. Il sinodo era stato preparato con l'aiuto di giansenisti olandesi, francesi, italiani, fra cui Pie­tro Tamburini, noto bresciano, professore a Pavia. Ben più che un episodio di storia locale, esso può essere considerato come l'epilogo di tutto il movimento. Doveva essere la rivincita del giansenismo dopo il colpo subito con la Umgenitus. Stabilita la convocazione del sinodo, il 26 gennaio 1786, Leopoldo II inviò una lettera circolare “ai vescovi suoi sudditi”, articolata in cin-quantasette punti, dei quali più della metà toccano problemi liturgici o devozionali. Il sinodo ebbe sette sessioni, dal 18 al 28 settembre, con la presenza oscillante di circa duecentocinquan-ta sacerdoti. Presieduto dal de Ricci, la parte teologica fu 'di­retta dal Tamburini.

Praticamente, quasi tutto si ridusse all'approvazione dei de­creti già preparati, che in molti casi rappresentavano una salu­tare reazione contro gli usi del tempo, un sincero sforzo per una purificazione del culto e una migliore partecipazione del laicato alla liturgia. Tra i vari punti affrontati ci fu quello riguardante la riforma del breviario. Nella sessione VI, nel Decreto sulla pre­ghiera pubblica, leggiamo:

“... Di qui ne viene l'obbligazione per ogni cristiano di prendere parte alla preghiera pubblica, di entrare nello spirito e nella intelligen­za delle orazioni e delle cerimonie della chiesa, degli uffizi divini, e in specie del santo sacrificio della messa; di qui pure ne nasce per i pastori il dovere d'invigilare alla esecuzione di oggetti così importanti... Prima di tutto però noi giudichiamo di dovere operare con il nostro prelato alla riforma del Breviario e del Messale della nostra chiesa, va­riando, correggendo e ponendo in miglior ordine i divini uffizi. Ognu­no sa che Iddio, il quale è la verità, non vuole essere onorato con menzogne, e che per altra parte i più dotti e santi uomini, e i Pontefi­ci medesimi in questi ultimi tempi hanno riconosciuto nel nostro Bre­viario, specialmente per quel che riguarda le lezioni dei santi, molte falsità, ed hanno confessato la necessità d'una più esatta riforma. Per quello che riguarda poi le altre parti del Breviario, ognun comprende, che a molte cose o poco utili o meno edificanti sarebbe necessario so­stituirne altre tolte dalla parola di Dio o dalle opere genuine dei Padri; ma soprattutto dovrebbesi disporre il Breviario medesimo in maniera, che nel corso di un anno vi si leggesse tutta intiera la santa Scrittura. II santo concilio intanto adotta il saggio delle correzioni trasmesse dal vescovo ai sacerdoti con la pastorale del 1° gennaio di quest'anno e ri­mette al vescovo medesimo il deputare alcuni dei nostri confratelli a compiere questa santa opera... Giacché noi sappiamo, che sarebbe un'o­pera contro la pratica apostolica, e contro i disegni di Dio il non pro­curare al semplice popolo i mezzi più facili per unire la sua voce a quella di tutta la Chiesa, crediamo bene di rilasciare al nostro vescovo la cura di eleggere alcuni dei venerabili padri che attendano alla com­pilazione... In questo manuale si procurerà d'inserirvi ancora dei salmi e degli inni ridotti in poesia italiana, perché questi sieno sostituiti, per quanto è possibile, alle canzoni profane, e perché si possa avere quel­la istessa consolazione, che risentiva S. Girolamo in udire i laboriosi campagnoli di Betlem accompagnare con il canto dei salmi il loro tra­vaglio” (13).

Un giudizio su un tale avvenimento e sulle prospettive liturgiche da esso avanzate, lo troviamo espresso da uno dei più noti studiosi del giansenismo italiano, Benvenuto Matteucci, il quale “ha scritto che si potrebbe comporre uno studio sul tema: “Da Pistola al Vaticano II”, sottolineando che la Costituzione sulla liturgia del re­cente concilio ecumenico ha accolto molte tesi difese a Pistola. L'affer­mazione non stupisce chiunque ha un po' di senso storico: non si tratta di una ritrattazione di uno sbaglio commesso dal papato del Settecen­to, ma del termine di un processo di purificazione e di decantazione, che ha separato la pula dal grano, i postulati pratici positivi dal conte­sto dogmatico erroneo...” (14).

Al di là delle posizioni antiromane, tra il XVI e il XVIII se­colo, assunte dal gallicanesimo imperante in Francia su diversi piani, dobbiamo ricordare che la posizione francese e quella del­la stessa Germania, comportavano dei risvolti che non possiamo che considerare positivi. Permisero, se non nell'immediato, al­meno a lungo termine, di influire positivamente sulle riforme rea­lizzatesi ai nostri giorni; a livello di breviario va sottolineata anche l'eliminazione dei responsori e delle antifone non bibliche e di molti altri elementi addizionali.

A ciò si aggiunge, secondo qualche studioso, il significato estremamente positivo della revisione delle letture agiografiche, nonché lo stile caratterizzato dalla semplicità dei breviari, so­prattutto, gallicani (15). Sotto l'aspetto negativo dell'anti-romanità, con i breviari gallicani e neo gallicani, l'episcopato, soprattutto quello francese, si convinse pian piano che solo nell'unità sa­rebbe stato possibile una ripresa a livello spirituale e morale del clero e del popolo di Dio ad essi affidato. La spinta a una in­versione di marcia, però, non venne dall'interno della Chiesa, ma dal lento mutare dei tempi e dal sorgere in modo radicale di quel movimento denominato: Romanticismo. Esso si impose lenta­mente su tutti i fronti culturali e religiosi e fomentava ciò che era un ritorno al passato e alla tradizione. Tutto questo non si limitò ad affermarsi sul piano culturale ma divenne una menta­lità diffusa e un'esigenza generale. Con tale spinta anche la cri­si liturgica iniziò a rientrare in un alveo più comune che permet­teva un riawicinamento delle diverse parti alla Curia romana (16).

 

C. IL CARD. giuseppe maria tomasi DI lampedusa (1649-1713)

 

“Non senza sorpresa si nota che in testi di storia della liturgia an­che recenti non è registrato neppure il nome di G. M. Tornasi, accanto. a quelli di... Non fa quindi meraviglia se studi precedenti sui precursori del movimento liturgico italiano o sulla partecipazione del popolo alla liturgia non abbiano tenuto conto del Tornasi. Il motivo di queste lacune è da ravvisare nel fatto che non esistono studi monogra­fici sull'opera del Tornasi, che pure al suo tempo era considerato in Ita­lia e fuori di essa quasi l'oracolo in fatto di liturgia” (17).

Con queste affermazioni intendiamo introdurre, anche se brevemente, il pensiero e l'opera di Giuseppe Tornasi (18).

In campo biblico il primo lavoro pubblicato è quello ri­guardante la doppia versione del salterio, romana e gallicana (19). L'opera consta di tre parti:

a. Prefazioni ai salmi, tratte dai Padri.

b. Salterio vero e proprio nella duplice versione.

c. Cantici, Inni e Orazioni (20).

Anche in campo patristico Tornasi diede il suo contributo attraverso ricerche e pubblicazioni (21). Egli considerava i Padri co­me il legame che ci unisce alla Scrittura, il veicolo della tradi­zione. In una sua pubblicazione, Indiculus, nella prefazione l'autore ci da alcune regole di ermeneutica patristica; qualche an­no dopo pubblicò la sua seconda opera strettamente liturgica, sotto lo pseudonimo Giuseppe M. Caro, riguardante gli antifo-nari e i responsoriali dell'ufficio divino.

“Nella prefazione osserva che in origine, più che una raccolta di testi, i termini antifonale e responsoriale indicavano, come aggettivi, due modi diversi di cantare i salmi, soprattutto nelle ore canoniche princi­pali” (22).

Dell'ufficio divino, il Tornasi ne tratta molto spesso, anzi sembra quasi essere uno degli argomenti di maggior interesse. Lo chiama Ecclesiasticum Officium e talvolta anche Breviarium, preferendo tuttavia denominarlo con il titolo Opus Dei, che si rifa maggiormente al linguaggio e alla visione patristica.

Benché l'ufficio si ricolleghi direttamente al comando esplicito del Signore e all'esortazione di Paolo di pregare incessante­mente, non si può negare o ignorare che nella Chiesa vi siano , momenti particolari destinati alla preghiera. Tra le varie ore o momenti il Tornasi stabilisce una gerarchla, fondata non tanto sul tempo della loro istituzione, ma sul valore intrinseco che han­no sempre avuto nella comunità ecclesiale. Ad esempio, a lodi e vespri la comunità ecclesiale ha sempre riconosciuto un valore del tutto particolare, attribuendo ad altre ore, sorte posterior­mente, una minore solennità. Il contenuto, poi, dell'ufficio si rifa direttamente alle fonti rivelate da Dio stesso nella Scrittura: la salmodia, il rendimento di grazie...

Il salterio, secondo il Tornasi, va recitato integralmente du­rante il tempo della settimana, sia nell'ufficio corale che in quel­lo privato, e dovrebbe nuovamente coinvolgere l'intero popolo di Dio, chierici e laici. La liturgia salmodica cantata vede unita in un'unica identità, che rende gloria a Dio, la Chiesa terrestre con quella celeste (23). Il salterio ingloba tutte le varie forme di pre­ghiera del popolo di Dio ed esprime anche i vari stati d'animo dell'orante e del mondo intero: gloria, ringraziamento, supplica, impetrazione...

Il Padre nostro, proprio per la sua completezza, andrebbe inteso come vera ed unica preghiera conclusiva di tutte le ore.

Abbiamo citato gli studi di questo noto liturgista, proprio perché egli non si è limitato ad approfondire la tradizione litur­gica, ma seppe anche valutarne il peso, offrendo una sua pro­posta. Per quanto riguarda l'ufficio divino, possediamo due scrit­ti “o privati o a lui richiesti da qualcuno dei personaggi che pos­sono una volta condurla a fine” (24).

Nell'opuscolo Della riforma del Breviario e del Messale l'au­tore riassume rapidamente la storia della formazione del brevia­rio partendo proprio dalle ore che costituiscono i tempi tradizio­nali della preghiera della Chiesa. Chiaramente propende per un ritorno alla consuetudine antica di avere libri diversi per ogni par­te dell'ufficio, distinguendo tra ufficio corale e ufficio privato.

Ufficio corale. Rifacendosi alle origini, tiene a ricordare che per i chierici altro era la recita privata, altro quella corale. La recita pubblica, nei primi secoli, ruotava soprattutto sulla salmo­dia e le orazioni.

Ufficio privato. Nei primi secoli era più semplice di quello pubblico o corale, fondato essenzialmente sulla recita dei salmi, senza letture, con qualche breve orazione alla maniera di giacu­latoria e una devota genuflessione (25).

Temporale. Altro punto sul quale mirava la riforma propo­sta dal Tornasi era la reintegrazione del “de tempore” nel suo posto d'onore.

Fermo restando la distinzione tra privato e corale e la desi­derata integrazione del santorale, la proposta del Tornasi per la riforma del breviario consisteva:

- Ufficio privato. Bisognava reintegrarlo nella sua primitiva semplicità. I salmi, con i cantici, dovevano essere sempre gli stes­si, con una equa distribuzione nelle diverse ferie della settima­na, ad eccezione delle feste principali che, “ex antiquo more”, conservavano i salmi propri. Al termine delle singole ore, vi era un'unica orazione, quella della domenica, mentre le altre ora­zioni dovevano essere riservate alla sola recita pubblica.

I notturni andavano ridotti ad uno solo, con 3 letture bi-bliche, di cui la terza dal Vangelo. I libri dell'Antico e Nuovo Testamento, dovevano essere distribuiti durante l'intero anno li­turgico. Una “lectio brevior” si conservava solo a vespri, tratta dalle sette lettere dell'Apocalisse, alle sette Chiese. Per il Torna­si, la sola lettura della Scrittura sarebbe stata sufficiente per sod­disfare l'obbligo dell'ufficio privato, dal momento che tutti gli altri elementi (antifone, inni, versetti, responsori) erano parte in­tegrante di quello corale.

- Ufficio corale. Ci offre tre punti: 1. Le domeniche siano preferite ad ogni altra festa, ad eccezione delle solennità. 2. Quando coincidono due feste nello stesso giorno, si preferisca quella più celebre e dell'altra si faccia solo commemorazione, senza differirla ad altro giorno. 3. Riduzione, “more antiquo”, delle feste con 9 letture, considerandone però l'importanza del­le loro solennità (26).

Prima di procedere ad ogni riforma, il Tornasi proponeva la consulta di tutti i vescovi italiani perché approfondissero, nei loro archivi, i manoscritti e i libri che riguardavano la liturgia.

Per quanto riguarda uno schema di letture bibliche da in­serire e leggere durante l'anno liturgico, proponeva:

Avvento-Settuagesima: Isaia e altri profeti; Vangelo di Luca.

Settuagesima-Palme: Pentateuco, Giosuè, Giudici; Vangelo di Marco.

Settimana Santa: Lamentazioni di Geremia. La passione nei quat­tro Vangeli (negli ultimi 4 giorni).

Ottava di Pasqua: Atti degli Apostoli; Vangelo di Giovanni; la ri­surrezione nei quattro Vangeli.

Tempo pasquale: Atti; Lettere cattoliche; Apocalisse; Vangelo di Giovanni.

 

Dopo Pentecoste:

Fino alla 3/4 settimana: 1-2 Re; 1-2 Cronache.

Dalla 5 alla 20/23 settimana: Sapienziali; Lettere di Paolo; Vange­lo di Matteo.

Ultime settimane: Giobbe; Tobia; Giuditta... Matteo (discorso del­la montagna

Vespro (ogni giorno): Apocalisse, capp. 2-3 (Lettere alle sette Chie­se).

Solennità: Letture proprie.

Padre nostro: al termine di tutte le ore canoniche, in sostituzione delle collette (27).

 

D. LE POSIZIONI DEL MAGISTERO ROMANO (secoli XVI-XX)

 

Secolo XVI

 

Leone X (1513-1521)

Uno dei primi tentativi di riforma del breviario, in quest'epoca, fu fatto da questo pontefice, che diede l'incarico a Zaccaria Ferreri (28), affidandogli soprattutto il compito di rivedere l'innano antico (Ambrogio, Venanzio Fortunato... ), del quale si era, smarrito il vero significato e contenuto, a motivo dei numerosi cambiamenti. Il Ferreri compose subito un nuovo innario per soddisfare i desideri del papa. Purtroppo Leone X morì prima ancora che il testo venisse alla luce (29).

Clemente VII (1523-1534)

Dopo il breve interregno di Adriano VI, tutta la riforma passò sotto la cura di Clemente VII che, con un Breve, approvò l'innario del Ferrari nel 1523, anche se venne pubblicato solo nel 1525. Il papa ne concesse l'uso ad ogni sacerdote durante l'uf­ficio divino (30).

Nonostante l'impegno profuso e la cultura sottostante al nuovo innario, non si possono ignorarne limiti e difetti. Innan­zitutto, l'aggancio all'antichità classica impedì all'autore di inse­rirsi nell'alveo della tradizione cristiana, dalla quale si era note­volmente sganciato. Le espressioni usate riflettono piuttosto il pensiero e la mentalità alquanto borghese dell'epoca. La lingua latina usata è dominata dallo stile classico ciceroniano, caratteristico del Rinascimento.

I nuovi inni erano ricchi di espressioni che rispecchiavano lo spirito pagano, attribuite ai misteri storico-salvifici del cristia­nesimo (31). Accanto a queste espressioni, non si può ignorare la presenza di altre che sottolineano appieno i valori e le ricchez­ze della fede cristiana (32).

Interessante sottolineare come il pontefice (Clemente VII), pur permettendone la pubblicazione, non abbia mai voluto esten­derlo a tutti, rendendolo obbligatorio. Certamente l'innario non poteva sostituire gli antichi inni dell'ufficio corale, ma doveva so­lo essere parte di quella riforma più ampia, portata avanti dallo stesso Ferreri (33).

Gli aspetti che avrebbero caratterizzato questo breviario sa­rebbero stati la brevità, la semplicità, la comodità e la revisione di ogni errore linguistico e storico; invece lo stile doveva rispec­chiare in tutto quello classico, secondo l'idea di papa Clemente. Per questi aspetti bisognava attendere tempi e persone diverse: il Quinones!

Gregario XIII (1572-1585)

Abbiamo già avuto modo di accennare al pontificato di Pio V, che, però, va completato con l'impegno di riforma prosegui­to dal successore, Gregorio XIII, in relazione al breviario, o me­glio ancora all'ufficio divino. Infatti, la riforma del breviario inglobava anche quella del martirologio, da recitarsi dopo l'ora di prima, o dai monaci in coro. Tuttavia, il nome di questo pon­tefice è soprattutto legato alla riforma del calendario (1582), che da lui fu detto gregoriano.

Si tratta di un adattamento dell'anno ufficiale con quello astronomico, ma che ebbe i suoi risvolti anche per quanto ri­guarda l'impostazione dell'anno liturgico. Inizialmente, a causa dell'influenza che il card. Sirleto aveva esercitato su Pio V, op­ponendosi ad ogni ulteriore riforma del breviario, Gregorio, nel 1573 permise la memoria della B. V. del Rosario, e nel 1584 l'e­stensione a tutta la Chiesa della festa di S. Anna.

La riforma e la revisione del martirologio, furono stretta­mente legate a quella del calendario. Alcuni studiosi ipotizzano che l'autore materiale della nuova edizione del martirologio romano, nel 1584, fosse il Baronie, essendo stato a capo della com­missione che revisionò il precedente (34).

Sisto V (1585-1590)

II genio di questo pontefice, che si manifestò con pieno suc­cesso tanto sul piano amministrativo che su quello della legisla­zione ecclesiastica, non mancò di volgere una particolare atten­zione anche al perfezionamento dell’ Opus Dei, cioè l'ufficio di­vino.

In tal senso, Sisto V volle arricchire soprattutto il calenda­rio del breviario, in modo particolare inserendo nuove feste e memorie nel santorale e, poi con la revisione dei testi della Vul­gata, che aveva ordinato di pubblicare, facendoli includere in tut­ti i libri liturgici allora in uso. Dopo aver dato ulteriore riassetto alla Sacra Congregazione dei Riti, il 22 gennaio 1588, con la ce­lebre bolla Immensa aeterni Dei, diede ordine di rivedere anche il breviario già approvato da Pio V. Il lavoro richiese un tale im­pegno che oltrepassò gli anni del suo pontificato estendendosi a Gregorio XIV e Clemente Vili.

Con la costituzione della nuova Sacra Congregazione, il pa­pa volle affidarne la responsabilità al suo primo prefetto, il card. Gesualdo, incaricandolo di consultare i vescovi della Chiesa cat­tolica, allo scopo di informarsi se i vari libri liturgici editi da Pio V, in particolare il breviario, rispondessero alle necessità del cle­ro o fossero necessari ulteriori cambiamenti o miglioramenti.

Numerosi cardinali e vescovi di importanti diocesi espres­sero i loro pareri, alcuni proponendo un cambiamento radicale, altri restando nei limiti di una critica molto misurata. Purtrop­po i principali desiderata poterono essere presi in considerazione solo nel 1.592, causa la morte di Sisto V e del successore, Ur­bano VII, che governò solo quindici giorni (15-27 novembre).

Gregario XIV (1590-1591)

Eletto il 5 dicembre, nei suoi soli dieci mesi di pontificato, volle riprendere l'opera già iniziata del breviario, con l'intento di portarla a buon fine. Tra aprile e luglio del 1591 la Congre­gazione dei Riti tenne varie sessioni di lavoro, delle quali igno­riamo ancora molte cose (35).

La morte del papa sospese i lavori e bisognerà attendere l'e­lezione di Clemente Vili, per la riorganizzazione della commis­sione. Infatti, tra Gregorio XIV e Clemente Vili, fu eletto Innocenze IX che morì il 30 dicembre, dopo soli sessantadue giorni di pontificato.

Clemente Vili (1592-1605)

Ippolito Aldobrandini, giurista, uditore della Rota, legato pontificio in Polonia e cardinale, dedicò i suoi tredici anni di pontificato impegnandosi in una approfondita riforma liturgica. Durante il suo ministero furono terminate, riviste e pubblicate varie edizioni di libri liturgici: la Vulgata (1592-1598), il Pontifi­cale (1596), il Martirologio (1598), il Cerimoniale Episcoporum (1600), il Messale Romano (1604).

Riprese la revisione del breviario, sospesa da circa quattro anni. La commissione a ciò incaricata era formata da diversi car­dinali, non solo della Curia romana, e da noti esperti del tempo con il compito di riprendere il lavoro, esaminandone il valore complessivo, oltre a rivedere la validità delle formule e dell'im­postazione. Le Adnotationes pervenute dalle varie sedi episco­pali furono sottoposte ai cardinali Baronie e Francolini. Il papa, quindi, le demandò alla Congregazione dei Riti, la quale volle raccogliere in un volume a parte gli errata o corrigenda, le nuo­ve letture, i testi delle feste e dei cambiamenti introdotti dopo la pubblicazione del Breviario Piano. Questo avrebbe permesso ai preti di utilizzare più facilmente i nuovi cambiamenti appor­tati.

Il Baronie, invece, pensava fosse preferibile preparare una nuova edizione che tenesse conto dei miglioramenti e dei cam­biamenti apportati, lasciando facoltativa la nuova edizione per coloro che già erano in possesso del testo precedente, mentre di­veniva obbligatoria per tutti quei chierici e religiosi che doveva­no acquistarlo per la prima volta.

Oltre al santorale, la riforma clementina si estese anche al campo delle “rubriche”. Il “Commune sanctorum” si arricchì di quello per le “Donne sante”; furono sostituite numerose feste in­trodotte da papa Pio, inserendone delle nuove e stabilendo un nuovo criterio per le feste di doppia classe {per annum; duplicia maior, duplex maius; feste cristologiche; feste mariane; santorale}.

Così strutturato, il nuovo breviario fu pubblicato il 10 mag­gio del 1602, con la bolla Cum in Ecclesia, con il titolo: Brevia-rium ex decreto sacrosancti Tridentini restitum, Pii V, Pont. Max. lussa editum et Clementis Vili auctoritate recognitum, Roma 1602, con ordine, sotto pena di scomunica, di non poter pubblicare al­tre breviari, diversi da quello dell'“editio typica” vaticana.

 

Secolo XVII

 

Paolo V (1605-1621)

Dopo il breve pontificato di Leone XI Medici (26 giorni), fu eletto il cardinale Camillo Borghese.

Alla sua figura ed opera sono legate non solo la ristruttu­razione della basilica vaticana, ma anche la revisione del Ponti­ficale romano del Castellani, Samarini e Santorio. Con la bolla Apostolicae Sedis (17 luglio 1614), pubblica il nuovo rituale, ca­ratterizzato da una maggiore unità, omogeneità, semplicità e di­gnità.

Anche, per quanto riguarda il breviario, fece sentire il suo influsso. Arricchì ulteriormente il santorale, introducendo la me­moria semidoppia ad libitum (1615).

Un ulteriore intervento fu la revisione del breviario mona-stico benedettino, che tanto aveva fatto da modello a quello ro­mano, e che ora, dopo lunghi secoli, subiva un nuovo e definitivo assestamento. La commissione dell'Ordine a questo designata la­vorerà con assiduo impegno tra il 1608 e il 1611. Il Papa ne ap­proverà il nuovo testo con il breve Ex iniuncto nobis, del 1° ottobre 1612. Accordata l'approvazione definitiva, la Congrega­zione dei Riti, ordinerà perentoriamente a tutti i monasteri del­la famiglia benedettina, che avevano introdotto l'uso della recita del breviario romano, di conformarsi al nuovo testo monastico; decisione riconfermata più tardi dalla bolla In cathedra Principis ! (7 maggio 1626), di papa Urbano Vili.

Gregario XV (1621-1623)

Succeduto a papa Paolo V, il suo pontificato durò solo due anni. E soprattutto ricordato per la canonizzazione di S. Ignazio di Loyola, S. Francesco Saverio, S. Filippo Neri, S. Teresa d'Avila e Isidoro, oltre alla beatificazione di Luigi Gonzaga. Per que­sto motivò arricchì il santorale, introducendo nel Proprium sanctorum un loro ufficio.

Urbano Vili (1623-1644)

Alla morte di Gregorio XV fu eletto papa, dopo un rapido conclave, Maffeo Vincenzo Barberini, II suo lungo pontificato segnò una svolta nella storia della Chiesa cattolica del Seicento. Accanto al trionfalismo artistico, il papa si impegnò alacrementè anche sul piano di alcune riforme, tra cui il breviario.

Istituì una commissione sotto la presidenza del cardinale Luigi Cajetano, la quale, nell'arco di circa tre anni (1629-1631), in quarantacinque o cinquanta riunioni, portò a termine la sua opera, l'il dicembre 1631 (36). Il nuovo breviario fu approvato e presentato alla Chiesa cattolica con la bolla Divinam Psalmodiam (37).

Benché le correzioni e i cambiamenti fatti dalla commissio­ne non fossero di grande rilievo, tuttavia si tentò di eliminare, con inesorabile severità, tutte quelle parti che si prestavano a una giusta critica, in particolare le letture stanche o legendae sive vitae sanctorum. In questo senso furono accolti ed inseriti tutti quei testi presi dalle ultimi edizioni del tempo, come le tìomeliae dei Padri.

L’innario fu rivisto alla luce di una nuova traduzione (38), affi­data ad un gruppo di quattro gesuiti di Roma, esperti in latino classico. Tale scelta, se depurò la lingua usata per gli inni, non impedì che si ricadesse nei limiti già riscontrati nella revisione fatta dal Ferreri. Furono ritoccati gli inni di Prudenzio, Sedulio, Sidone Apollinare, Venanzio Fortunato, Ambrogio, Paolino di Aquileia, Rabano Mauro... non sfuggirono anche il Tè Deum, l’Ave, maris stella, nonché gli inni di Tommaso d'Aquino.

L'opera dei quattro gesuiti fu accolta in maniera controver­sa anche dai loro stessi confratelli ed esperti. La nuova redazio­ne, una volta inserita nel breviario di Urbano Vili, fu resa obbligatoria per tutto il clero secolare e regolare, ad eccezione della basilica Vaticana, che conservava il breviario della cappel­la papale, cioè quello dei Benedettini, Certosini, Cistercensi, Do­menicani e Carmelitani.

Con papa Urbano l'evolversi delle varie riforme conobbe una battuta di arresto, fino al pontificato di Benedetto XIV.

Innocenza X (1644-1655)

L'immediato successore di Urbano Vili introdurrà solo al­cuni ritocchi riguardanti il calendario e il grado delle feste (ad. es.: Francesca Romana, Ignazio di Loyola, Teresa d'Avila, Carlo Borromeo...).

Alessandro VII (1655-1667)

Uomo prudente e zelante, entrò nella storia del breviario, soprattutto per alcune modifiche fatte al santorale, cambiando il grado di alcune feste e memorie e universalizzando le celebra­zioni di alcuni santi.

Clemente IX (1667-1669)

Arricchì il breviario con nuovi uffici di santi e aumentò no­tevolmente il numero delle feste di precetto.

Clemente X (1670-1676)

Pur non apportando modifiche di rilievo, elevò a un rango superiore la festa di molti santi. Sotto il suo pontificato si giun­se nuovamente alla prevalenza del santorale sul temporale, così a lungo combattuta durante il basso Medioevo fino al concilio di Trento. Ad eccezione di quelle di Avvento e di Quaresima, tutte le altre domeniche dovevano cedere il posto alla cele­brazione dei santi.

Innocenza XI (1676-1689)

Uomo di vita ascetica fu molto impegnato nel risolvere al­cuni problemi lasciati sospesi dal suo predecessore. Volle intro­durre, in grado di rito doppio, almeno una decina di feste del santorale, universalizzando ed incrementando soprattutto quella della Natività di Maria.

Alessandro Vili (1689-1691)

Appoggiò molto gli studi liturgici ed acquistò per la Bi­blioteca Vaticana la collezione portata a Roma da Cristina di Sve­zia. Nel suo breve pontificato seguì le tracce dei suoi predeces­sori, in particolare per il santorale.

Innocenza XII (1691-1700)

Sulla scia dei precedenti pontefici rafforzò ancora il santo­rale, dando così un nuovo assetto all'anno liturgico.

 

Secolo XVIII

 

Clemente XI (1700-1721)

Durante il suo pontificato fu impegnato nel concludere la questione giansenista con le bolle Vmeam Domini e Vnigenitus. Incremento la festa di S. Giuseppe, quella della B. V. del Rosa­rio e universalizzò la memoria di alcuni santi. A causa delle fre­quenti calamità naturali che avvenivano in Italia, rivide e modi­ficò la preghiera delle litanie, inserendovi nuove invocazioni.

Innocenza XIII (1721-1724)

Alle feste cristologiche aggiunse quella del SS. Nome di Ge­sù, da celebrarsi, con il grado di seconda classe, nella II dome­nica dopo l'Epifania.

BenedettoXIII (1724-1730)

Sul piano del nostro tema, atto degno di rilievo fu quello di aver esteso a tutta la Chiesa la festa di S. Gregorio VII, già canonizzato da Gregorio XIII nel 1584. Alessandro VII ne ave­va conservato memoria particolare nella basilica Vaticana e nel breviario benedettino e cistercense. Benedetto XIII, con decre­to del 25 settembre 1728, estese quest'ufficio a tutta la Chiesa. Una simile decisione suscitò polemiche e reazioni in Francia, nei Paesi Bassi, nel regno di Napoli, nel nord Italia e, in particola­re, in Spagna. Inoltre, papa Benedetto profuse il suo impegno in altri lavori liturgici: revisione del Cerimoniale Episcoporum, am­pliamento del calendario del breviario con l'inserimento di altre feste, elevazione di molte chiese al grado di Basilica, tra le qua­li quella di Montecassino.

Clemente XII'(1730-1740)

Promosse a rango superiore le feste dei SS. Anna e Gioac-chino, quest'ultimo da celebrare la domenica dell'ottava del­l'Assunzione. Incremento anche le feste di alcuni santi e permise una nuova edizione del breviario monastico benedettino.

Benedetto XIV (1740-1758)

Al secolo Prospero Lambertini, resse la diocesi di Bologna per quasi un decennio. Gli scritti di questo periodo, di buon im­pianto storico-critico e di carattere liturgico-devozionale, lo re­sero abbastanza noto, insieme alla sua esperienza pastorale bolo­gnese, spianandogli la strada per il pontificato. Nella sua molte­plice attività, soprattutto liturgica, ebbe la chiaroveggenza di isti­tuire un Istituto di Liturgia, affidandolo alla Compagnia di Gesù. Lo statuto manifesta chiaramente la competenza e l'impostazio­ne tipicamente teologica su cui veniva poggiata la liturgia. Per quanto riguarda il nostro tema, papa Lambertini lo affrontò con tre documenti e alcune iniziative a carattere pratico.

Iniziative. Sin dagli inizi Benedetto XIV ebbe coscienza di dover avviare una nuova e radicale revisione del calendario li­turgico, del breviario e dei processi di canonizzazione.

Il primo richiedeva una certa urgenza. L'introduzione, nel calendario, di molti santi a grado di festa o doppia classe, aveva creato un forte disagio non solo sul piano liturgico (prevalenza del santorale sul temporale e soprattutto le domeniche), ma an­che su quello civile: i giorni dell'anno, festivi o di precetto, su­peravano di gran lunga quelli lavorativi, con discapito della vita sociale.

La riorganizzazione, poi, delle cause dei santi limitò gli abu­si derivanti da una inopportuna prevalenza del santorale.

Anche il breviario ormai aveva superato lo scopo e le esi­genze dei secoli precedenti.

Da buon giurista si consacrò pienamente ad una completa riorganizzazione dell'ufficio e ad una trasformazione del brevia­rio, tenendo conto delle giuste osservazioni pervenutegli dall'I­talia, dalla Francia e dalla Germania.

A questo scopo istituì una commissione composta da car­dinali, vescovi ed esperti liturgisti, sotto la guida di Luigi Valenti Gonzaga, che portasse a termine con impegno l'opera voluta dal pontefice (39).

Gli italiani proponevano soprattutto una semplificazione e depurazione dei testi, dando una chiara distinzione tra le parti principali caratterizzanti il rito romano (nome, ordine, divisione delle ore canoniche, i notturni, ordine delle antifone, delle let­ture, delle collette...), e le parti accessorie o elementi variabili (calendario, testo delle letture, dei responsori e delle antifone bi­sognose di una vera riforma).

Per i francesi, invece, la riforma doveva attuarsi in maniera più radicale. Questo significava tener conto, senza rimpianti, di quegli aspetti che la critica storica aveva a lungo sottolineato. Nella stessa ripartizione dei salmi, alcuni erano recitati o quoti­dianamente o più volte la settimana, mentre altri, solo raramen­te o mai.

La domenica e i giorni festivi, già così impegnativi per il mi­nistero pastorale dei sacerdoti, erano sovraccaricati dalla recita di salmi partìcolarmente lunghi. Diverse antifone e responsori non comportavano alcun aiuto o alimento per la vita spirituale, per cui non stimolavano affatto una celebrazione attenta dell'uf­ficio. L'eccessiva predominanza del santorale offuscava la cele­brazione della domenica; le molteplici feste della Chiesa universale davano troppo poco spazio a quelle particolari delle varie Chiese locali.

Queste idee trovarono poca accoglienza da parte della com­missione, che era più incline a difendersi dalle innovazioni, trin­cerandosi dietro la tradizione romana. La distribuzione dei salmi, dal momento che aveva una sua lunga storia, era difficilmente rivedibile, come anche l'ordine dell'intero ufficio divino. Per la commissione non si trattava di creare un nuovo breviario, quan­to invece di correggervi alcuni errori. Si stava ripetendo quanto era avvenuto ai tempi di Pio V, con il suo breviario (40).

La commissione affrontò il problema delle feste del Signo­re, della B. V. Maria, del santorale e del calendario, senza giun­gere ad alcun serio cambiamento e disattendendo anche alle indicazioni date dal papa, il quale comprendeva bene che ciò avrebbe generato un profondo malcontento, innanzitutto in Francia e poi in gran parte del clero mondiale.

Per questo motivo sciolse la commissione e con un breve ne istituì una nuova, che iniziò i suoi lavori il 2 marzo 1744, do­ve la rappresentanza dei francesi e degli italiani era ben rispet­tata. Furono cooptati anche due nuovi esperti: il procuratore dei Celestini, Orlandi, e il canonista gesuita, Giuli.

In marzo, alla presenza del papa, fu rivista anche la que­stione del salterio. Egli incoraggiava i consultori a voler spende­re tutte le loro forze e competenza per esaminare, correggere, pulire e, se necessario, sostituire tutte quelle parti del breviario ormai superate e sclerotizzate.

A novembre si discusse sull'ufficio “De tempore”, affron­tando, per prima cosa, il lezionario. A gennaio la revisione af­frontava il santorale.

Le difficoltà sorte in seno alla commissione non impediro­no di procedere, anche se con lentezza; il papa, da parte sua, non sembrava ancora del tutto soddisfatto dei risultati ottenuti. Nel 1755, scrivendo al Peggi, ricordava la sua preoccupazione di portare a termine, insieme al Rituale dei Sacramenti per la Chiesa i orientale, anche quello del Breviario romano. Nel 1756 fu dato alle stampe il Rituale Graecorum, mentre la riforma del breviario I, rimase solo un desiderio. Il 4 maggio 1758, Benedetto XIV mo­li rirà senza aver potuto portare a termine l'opera tanto a lungo de-I siderata (41).

Documenti. Per quanto concerne il breviario, i documenti | interessati sono tre.

La lettera Singularem voluptatem (31 agosto 1745), al card. Tommaso de Almeyda. Parlando dell'ufficio nelle veglie nottur­ne richiama l'importanza della tradizione e lamenta l'assenza la preghiera del popolo di Dio. Non basta, sostiene il pontefice, aver conservato i mattutini del Triduo pasquale, occorre ritor­nare all'antica e autentica tradizione della Chiesa.

L'enciclica Annus qui (19 febbraio 1749), ai vescovi degli stati della Chiesa. Tratta della necessità di una seria riforma li­turgica in questi territori nell'imminenza dell'anno santo del 1750. Tra i punti da rivedere cita gli uffici divini e il canto sa­cro. Pur non accennando ad alcuna riforma della struttura (lo farà qualche anno dopo), entra in merito allo spirito della pre­ghiera salmodica pubblica e del modo con cui essa va recitata. Per il canto liturgico sottolinea “... sia eseguito modo tale da non apparire profano, mondano o teatrale...”, e ne evidenzia tut­te le devianze e conseguenze.

Nella costituzione apostolica Milantis Ecclesiae (13 ottobre 1754), affronta il tema del ruolo e dell'importanza del culto dei dottori per la vita e la liturgia della Chiesa.

Clemente XIII (1768-1769)

Del suo predecessore non condivideva l'atteggiamento tol­lerante in campo culturale e religioso. Per questo motivo lasciò cadere ogni tentativo di riforma liturgica, limitandosi a univer­salizzare, su richiesta dei vescovi francesi e italiani, la festa del S. Cuore, approvando i testi dell'ufficio e della messa. Univer­salizzò la memoria di diversi santi.

Clemente XIV (1769-1774)

Frate minore conventuale, si adoperò, con pietà filiale, sul­la scia di Pio V, Sisto V, Benedetto XIII, a rivedere e incremen­tare il santorale del proprio Ordine.

Pio VI (1775-1799)

Angelo Braschi, di Cesena, introdusse nel calendario la me­moria di S. Giovanni decollato, elevandola al rango di doppia classe; in contrasto con le posizioni assunte dal sinodo di Pistola e di altre provenienti dalla Francia e dalla Germania contro il breviario e il santorale, potenziò la festa di alcuni santi.

Con la lettera apostolica Quod aliquantum (10 marzo 1791), al cardinale de la Rochefoucauid e ai vescovi dell'assemblea na­zionale, volle ribadire l'importanza della preghiera corale come impegno principale dei canonici. Rifacendosi anche alla tradi­zione dei Padri, della stessa Chiesa in Gallia (e cita Crode-gango), ribadisce il valore insostituibile che questa preghiera pubblica e comunitaria della Chiesa ha sempre occupato.

Durante il suo pontificato si presentò nuovamente il pro­blema della riforma del breviario. Per suo ordine la Congrega­zione dei Riti elaborerà un progetto, che purtroppo non giunse in porto, procastinando ogni decisione in merito.

 

Secolo XIX

 

Pio VII (1800-1823)

Monaco benedettino, la sua opera si distinse per un ulte­riore arricchimento del santorale. Per la sua particolare devo­zione alla Vergine Maria, volle istituire la festa di Maria, regina dei martiri; una seconda festa di Maria addolorata, la festa dei sette dolori (II domenica di settembre); la festa del Cuore di Maria; in ringraziamento della sua liberazione dalla prigionia na­poleonica, estese a tutti gli stati cattolici la festa di Maria ausi -liatrice (24 maggio).

Leone XII (1823-1829)

Come segno di riconoscenza per l'opera e la cultura svolta dai monaci, e soprattutto per la loro fedeltà alla Sede apostoli­ca, dichiarò S. Pier Damiani, dottore della Chiesa, elevando al rango di doppia classe la sua memoria.

Pio VIII (1829-1830)

Proclamò S. Berna;rdo dottore della Chiesa, denominando­lo Doctor mellifluus.

Gregario XVI (1841-1846)

Monaco camaldolese, toccò solo due aspetti che riguarda­vano il breviario. Introdusse la festa di S. Alfonso M. de Liguori e rivide alcune memorie di santi. Con la lettera apostolica Stu-diumpio (6 agosto 1842), a mons. Gousset, arcivescovo di Reims, deplorò il pluralismo di breviari e libri liturgici diffuso in Fran­cia (42), richiamando i vescovi del luogo ad una maggiore unità, co­me era stato stabilito dal concilio tridentino e dai pontefici suoi predecessori. La lettera sottolineava anche la necessità di un ri­torno alla liturgia romana.

Pio IX (1846-1878)

L'esigenza di una seria revisione del breviario romano, av­viata da papa Lamberrini, era ormai solo un ricordo storico, ma nonostante l'urgenza, la questione fu quasi accantonata in atte­sa di tempi più maturi. Giovanni Maria Mastai Ferretti non as­sunse, in merito, alcuna posizione, infatti la politica degli Stati del tempo richiamò l'attenzione di Pio IX, per quasi tutto il suo pontificato.

In campo liturgico le innovazioni da lui apportate si inserirono nella scia dei predecessori. L'opera del papa, infatti, fu quel­la di rinvigorire con nuove feste il calendario liturgico della Chiesa romana. Il suo pontificato (uno dei più lunghi della sto­ria) fu caratterizzato dalla moltiplicazione degli uffici divini e dal­l'introduzione di altre feste nel breviario romano e in quello dei Regolari, come il monastico e quello domenicano. Poco dopo la sua elezione volle introdurre la festa del Patronato di S. Giu­seppe (III domenica dopo Pasqua); subito dopo, durante la sua fuga e soggiorno a Gaeta, quella del Preziosissimo Sangue di Gesu (I domenica di luglio), al suo ritorno a Roma, la Visitazione della B.V. Maria (2 luglio). Nel 1850, su richiesta dei vescovi del­la provincia ecclesiastica di Bordeaux, dichiarò S. Ilario dottore della Chiesa.

Seguirono: Tito e Timoteo, Ignazio di Antiochia, al rango di festa doppia. Proclamò il dogma dell'Immacolata Concezione della B. V. Maria, e nell'agosto del 1856, estese a tutta la Chie­sa, l'obbligatorietà della festa del S. Cuore. Nel 1867, canonizzò Paolo della Croce, mentre con decreto dell'8 dicembre 1870 elevò a rango di prima classe, cioè di solennità, S. Giuseppe, di­chiarandolo patrono della Chiesa universale. Con lo stesso de­creto stabilì la memoria quotidiana, a lodi e a vespri, con anti­fona, versetto e orazione del santo.

Nel 1874, per la situazione creatasi a causa della 'Cul-turkampf in Germania e nei Paesi Bassi, volle rivitalizzare, so­prattutto per i Benedettini, la festa di S. Bonifacio. Sempre nello stesso anno dichiarò S. Francesco di Sales dottore della Chiesa, indicando le modifiche necessario da inserire nel breviario.

Due documenti interessano il nostro argomento: il primo, l'enciclica Singulari quidem (17 marzo 1856) ai vescovi d'Austria, nella quale si sofferma sull'importanza della preghiera litur­gica e sulla riverenza da avere durante la Liturgia delle Ore. Il secondo, di qualche anno dopo, è la lettera apostolica Non me-diocri (17 marzo 1864) diretta all'arcivescovo di Lione, in meri­to alla liturgia di quella Chiesa, dove dichiarava ormai tramontata la liturgia che quella diocesi conservava da lunga data, soprat­tutto in merito al breviario.

Concilio Vaticano I (1869-1870)

II problema di una nuova revisione, accantonato nel 1758 con la morte di Benedetto XIV, ritornò più volte nella forma di proposte e progetti, in alcune sessioni del concilio Vaticano I.

Esse avevano di mira un progetto di correzione e di sem­plificazione del breviario, per rendere meno pesante la preghie­ra per il clero impegnato nella vita pastorale. D'altra parte, una simile esigenza era già stata avanzata dai Padri conciliari a Tren­to (43). In questo senso gli emendamenti emersi nel Vaticano I riflettevano un certo pluralismo di esigenze che vari episcopati, presenti in aula, manifestavano a nome del loro clero e della tra­dizione (44).

Undici vescovi della Francia, nei postulata De revisendo Bre­viario chiedevano:

“II Breviario sia opportunamente riformato; in particolare: affin­chè non siano sufficientemente riviste le letture dagli apocrifi storici; alcuni inni, composti in uno stile oscuro e quasi barbaro; la distribu­zione dei salmi, che deve essere maggiormente variata; la troppo fre­quente ed eccessiva traslazione delle feste dei Santi; la stessa scelta dei Santi, dei quali molti sono proprio di Roma, mentre fuori di Roma so­no poco conosciuti; la quantità degli uffici, che spesso, soprattutto la domenica e nelle ferie, sembrano essere più lunghi, come attualmente sono imposti al clero secolare, molto meno numeroso di una volta, e per questo molto più occupato, non è sufficientemente adatta”  (45).

Un certo numero di vescovi della Germania, dei quali non conosciamo i nomi, lamentano che:

“II Breviario Romano contiene alcuni punti, che non sembrano es­sere in armonia ne con la storia autentica ne con una sana esegesi del­la S. Scrittura; per cui chiediamo che in tutti questi punti il Breviario sia sottoposto ad una accurata revisione. Inoltre chiediamo, che alme­no ai sacerdoti in cura d'anime, sia sempre permesso di anticipare al pomeriggio del giorno precedente la recita dell'Ufficio del Mattutino, poiché molto spesso dopo sono impegnati in altre funzioni del loro mi­nistero” (46).

Anche i dodici vescovi canadesi, presenti nell'aula concilia­re, esposero un postulato e le ragioni che lo motivavano:

“Postulato... perché via sia una nuova edizione del Breviario Ro­mano, nella quale: 1. per quanto possibile, ordinariamente si reciti l'in­tero salterio in una settimana: 2. l'Ufficio sia più breve in quei giorni, nei quali i parroci e i confessori sobo impegnati maggiormente nei loro uffici, le vigilie delle feste, il sabato, soprattutto rielle domeniche di Avvento e di Quaresima.

Ragioni del postulato. 1. Secondo la primitiva disposizione del Bre­viario, l'intero salterio era recitato in una settimana; ora poi si ripeto­no sempre gli stessi salmi del Comune dei Santi; questo diminuisce la devozione di coloro che lo recitano e si perdono i frutti, che possono derivare dalla recita degli altri salmi. 2. I parroci e i confessori già trop­po affaticati, non possono essere ulteriormente aggravati in quei gior­ni sopra elencati (47)”.

Anche i vescovi dell'Italia centrale, per mezzo del vescovo di Pistola e Prato, fecero arrivare all'assemblea smodale il lóro parere:

“Nel Breviario, invece, i vescovi chiedono solo una revisione me­diante la quale siano modificati quei passi e quelle parti che probabil­mente risultano essere a-storici; e per le omelie dei Padri in alcune festività siano sufficienti solo alcune parti più scelte ed adatte. Soprat­tutto, poi, vorrebbero che il salterio davidico sia distribuito in modo tale che possa essere recitato integralmente più volte l'anno. Mentre at­tualmente nella maggior parte delle volte la stragrande maggioranza dei salmi a stento e neppure a stento viene recitato negli uffici ordinari” (48).

Mons. Farina, vescovo di Vicenza presenta un suo postula­to, nel quale:

“Si chiede umilmente che sia abolito l'obbligo di trasferire gli uf­fici dei santi, perché impediti da un'altra festa di titolo “maggiore”, e la loro commemorazione sia permessa solo nella recita dell'ufficio e del­la messa” (49).

Il Ministro Generale dei Frati Minimi, fr. Raffaele Ricca, formulò una proposta al sinodo, chiedendo che vi fosse maggiore uniformità e unità nella Chiesa universale, tra le varie diocesi, tra regolari e secolari, nella recita delle ore canoniche e nella cele­brazione della messa, abolendo definitivamente quei privilegi che ne impedivano l'attuazione (50).

Leone XIII (1878-1903)

Durante il suo pontificato, l'opera di Leone XIII, riguardo al santorale del breviario romano, non fu da meno di quella del suo predecessore. Molti suoi atti riguardano la nostra materia, sia a livello di Chiese locali, sia gli Ordini, le famiglie religiose o i sin­goli monasteri. In questo nostro lavoro richiamiamo solo gli aspet­ti che interessano la Chiesa universale.

Le feste dei santi. Eletto da pochi mesi (1° agosto), inau­gurò il suo pontificato elevando la festa dei SS. Gioacchino e Anna al rango di festa doppia di seconda classe. Subito dopo (30 novembre) elevò la festa dell'Immacolata Concezione al rango di prima classe con vigilie. Più tardi (1880) estese la festa dei SS. drillo e Metodio a tutta la Chiesa, e ordinò nuove letture per quella di S. Tommaso. Anche il santorale della diocesi di Roma, si arricchì di nuovi santi canonizzati da lui o dal suo predeces­sore.

Alle rubriche volle dare la sua impronta. Sulla scia di quan­to emerso nel Vaticano I, deliberò che molte feste fossero mo­bili, cioè trasferibili di giorni o di mesi, soprattutto se coincidenti con una domenica o feria “privilegiata”, o con una festa mobile del Signore

Di conseguenza la celebrazione dell'ufficio feriale o delle fe­ste dei santi nazionali o locali non potevano aver più luogo. Con un decreto del 28 luglio 1882, stabiliva che le feste semidoppie o doppie minori, ad eccezione di quelle dei dottori, non erano più trasferibili. Le nuove rubriche del breviario (1883-1884) sta­bilivano che la commemorazione e la nona lettura, fossero cele­brate solo quando la festa di rango inferiore coincideva con una festa doppia di prima classe.

Ufficio feriale. Una delle preoccupazioni del pontefice era proprio quella di aiutare il clero a recitare meglio l'ufficio fe­riale, il quale, a causa dei 12 salmi mattutini, delle preghiere e dei salmi addizionali delle altre ore, generalmente era più lungo.

Tale appesantimento favoriva nel clero la vita devozionale, in particolare quella personale rivolta ai santi. Per questo il pa­pa concesse a molte diocesi di poter elevare al rango di doppia maggiore molte feste, ritenute non sopprimibili, arricchendo sempre più il calendario.

Quelle del S. Cuore, della B.V. del Rosario e di alcuni santi furono ulteriormente rinvigorite.

Agli stessi Benedettini furono concesse nuove modifiche al­le rubriche (7 aprile 1884), l'Ordine doveva, però, conservare inalterato lo schema monastico del V secolo, senza adottare il breviario romano, in uso presso il clero, ad eccezione di quello monastico-romano, già corretto sotto Paolo III e approvato nel 1612.

Alla fine del 1902, ad un anno dalla sua morte, Leone XIII istituì una commissione, aggregata e, allo stesso tempo, indipen­dente dalla Congregazione dei Riti, incaricata di studiare le que­stioni storico-liturgiche del breviario, del messale, pontificale e rituale e, inoltre, con il compito di preparare le prossime edi­zioni liturgiche di questi testi, il più possibile fedeli alla storia e alla tradizione (51).

 

Secolo XX

 

Pio X (1903-1914)

Agli inizi del nuovo secolo, i disagi già denunziati al Vati­cano I continuavano a far sentire il loro influsso, a causa di “quel conflitto quasi millenario del ciclo santorale con il ciclo tempo­rale e feriale” (52). Il santorale, ormai, abbracciava circa 266 giorni, mentre per il temporale e il feriale restavano soltanto 60 giorni. L'ufficio mattutino domenicale conservava ancora i suoi 18 sal­mi, mentre il feriale 12 salmi. Se ad essi aggiungiamo le feste di prima e seconda classe, quelle locali e le ottave privilegiate, gli uffici domenicali e quelli feriali erano praticamente in disuso (53).

Oltre questa plurisecolare difficoltà, all'interno della Chie­sa cattolica andava prendendo corpo una nuova realtà ecclesia­le, che avrebbe radicalmente fatto cambiare la visione della litur­gia: il Movimento liturgico.

Sorto nel XIX secolo, fu intimamente collegato alla rinasci­ta monastica (54). Senza dubbio uno dei suoi massimi esponenti è il fondatore e primo abate di Solesmes Dom P. Guéranger (1805-1875), autore delle Institutions liturgiques e dell'Année liturgique. Egli riproponeva con vivacità la considerazione della litur­gia come “preghiera della Chiesa”, vero tipo di incarnazione della preghiera cristiana, in contrapposizione a tutte le scuole e ai me­todi particolari (e individualistici) di preghiera.

Con l'elezione al pontificato di Pio X (4 agosto 1903), il movimento liturgico entra in una fase completamente nuova. Fi­no a quel momento era stato monopolio di alcune forze parti­colari.

Un po' dovunque, nella Chiesa, si sentiva il bisogno di fron­teggiare l'ondata di laicismo che imperversava e anche un ritor­no autentico alle fonti della liturgia cristiana, che poteva offrire un mezzo veramente efficace di “ricristianizzazione”.

I diversi interventi del papa a proposito della musica sacra, del salterio e della comunione frequente, furono definiti “altrettanti colpi di timone che orientarono decisamente la Chiesa ver­so una liturgia interamente impregnata di pietà tradizionale, di grazia sacramentale e di ispirata bellezza” (55).

Gli atti di Pio X in materia liturgica possono anche sembra­re di non grande entità (56), I più importanti furono due: il motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903) (57), riguardante la liturgia e la costituzione Divino afflatu (11 novembre 19 11) (58), per la riforma del calendario e del salterio.

A questo proposito ci si potrebbe chiedere se l'opera di Pio X sia stata di riforma o di restaurazione. Salvo la Divino afflatu, che apertamente proponeva una riforma, quella del salterio, la sua opera potrebbe essere di restaurazione, poiché con questa espressione ci sembra di poter asserire qualcosa di più che non una riforma, perché si tratta proprio di una restaurazione, di un rinnovamento dello spirito cristiano (59). I punti di orientamento fissati dal Papa sono tre:

(55) stoelen A., La papauté et le renouveau liturgique au début du XX siede, in Enciclopedia Tu es Petrus (Jacquemet G.) Parigi 1930, 71ss.

1. Il canto, la dignità del luogo sacro e le cerimonie non so­no fini a se stessi, ma ordinati alla pietas ulteriore e alla santità del cristiano.

2. Importanza della partecipazione attiva dei fedeli.

3. Valorizzazione del salterio (60).

In questo contesto storico la revisione dell'ufficio romano vede la luce di papa Sarto. Il lavoro aveva richiesto lungo tem­po e grande impegno degli esperti della commissione, il cui ri­sultato fu approvato con la costituzione apostolica Divino af­flatu (61).

Dopo circa due anni con Abbine duos annos (23 ottobre 1913) (62), veniva abrogato l'ufficio precedente di Pio V ed esteso a tutta la Chiesa il nuovo schema, che rappresentava un ulterio­re tentativo di conciliare la tradizione con le esigenze pastorali del clero, come aveva indicato il concilio.

Tra gli aspetti che caratterizzano il nuovo breviario notia­mo:

a. Un adeguato equilibrio tra il santorale e il “proprium de tempore”, punto fondamentale della riforma.

b. Salterio distribuito nel tempo di una settimana; che non fosse impedito dal peso settimanale; più agevole per il clero im­pegnato nella pastorale.

Struttura del salterio. Il sistema tradizionale romano aveva suddiviso la maggioranza dei salmi tra mattutino (1-108) e vespri (109-150), nell'arco di una settimana. Ad eccezione dell'ora di prima della domenica, le altre ore conoscevano la ripeti­zione degli stessi salmi. Ora il salterio era suddiviso in una set­timana, ma ben distribuito nelle varie ore canoniche, e quindi con una maggiore variabilità. Infatti furono ridotti i salmi di mat­tutino (da 18 o 12 a 9 salmi, sia nel festivo che nel feriale) e di lodi e vespri (5 salmi con 5 antifone), mentre per le ore minori 3 salmi con una sola antifona. I notturni delle ottave privilegiatè di Pasqua e Pentecoste conservarono la loro tradizionale strut­tura di 3 salmi.

Notiamo come sia stato stabilito un doppio schema per la recita delle lodi (feriale-festivo; penitenziale) e per l'ora di pri­ma, che invece recupera, così, alcuni salmi tralasciati nelle lodi. Nella riforma di Pio V, tuttavia, furono omessi alcuni salmi che la tradizione ha sempre conservato per le lodi: 62, 66 e 148-150. Quest'ultima triade salmodica ha sempre caratterizzato la lode mattutina della Chiesa, come abbiamo potuto ben vedere nei pre­cedenti capitoli; nella riforma, invece, venne privata della sua ca­ratteristica.

Benché il salterio fosse distribuito in una sola settimana, re­stavano ancora molte ripetizioni (63); tuttavia, la sua recita era me­no lunga e pesante.

La riforma interessò anche la distribuzione dei cantici veterotestamentari.

Abolite tutte quelle aggiunte che avevano appesantito il pre­cedente breviario romano, rimasero alcune benedizioni e asso­luzioni, che furono meglio curate; rimasero anche le preci delle due ore maggiori, lodi e vespro, arricchite di invocazioni per il papa, i vescovi e i benefattori.

Per quanto concerne le rubriche, furono presi in considera­zione tutti quegli elementi emersi, a suo tempo, dai Padri con­ciliari.

La domenica assunse la sua centralità, divisa in I e II clas­se. La domenica di I classe aveva la precedenza su ogni altra fe­sta o solennità, mentre quella di II classe cedeva il posto alle solennità. Le feste furono suddivise in doppie e semidoppie, sen­za diritto, ad essere traslate, ma venivano incorporate dal pro­prio o dal comune.

Volendo esprimere una valutazione sulla riforma di Pio X, la critica storica si è sempre manifestata unanimemente posi­tiva.

Il nuovo breviario rispondeva bene alle attese suscitate. Sen­za dubbio restavano alcuni limiti e aspetti irrisolti, ma la ri­strutturazione era riuscita certamente a dare una virata ad un problema che giaceva nell'ombra da vari secoli. Se leggiamo la costituzione di approvazione, vi troviamo una ricchezza teologi­ca e di prospettiva che pone la Liturgia delle Ore su di un piano e in un'ottica celebrativa del tutto diversa e nuova.

Non era facile cambiare una struttura e una mentalità plu­risecolare, mentre si poteva aprire un varco attraverso il quale intraprendere una nuova via: è quanto ha realizzato Pio X al­l'inizio del XX secolo.

Pio XI (1922-1939)

II pontificato di Benedetto XV, Giacomo Della Chiesa, tut­to preso dai gravi problemi della guerra, non ci ha lasciato nul­la che sia degno di nota per il nostro argomento.

Pio XI, invece, a venticinque anni dal motu proprio di pa­pa Sarto, volle ritornare sull'argomento e sullo spirito che ave­va animato quella riforma con la costituzione apostolica Divini cultus (20 dicembre 1928), riguardante la liturgia e la musica sacra.

Per l'occasione, il tema della partecipazione attiva dei fedeli

alla liturgia fece un notevole passo in avanti: essi non solo par­tecipano ai divini misteri, ma in quanto popolo sacerdotale eser­citano il loro essere sacerdote nell'azione liturgica, offrendo per sé e per il mondo intero, in riscatto dei peccati. Per questo mo­tivo, il pontefice si sofferma a lungo sulla preghiera pubblica del­la Chiesa, sottolineandone i fondamenti storico-salvifici e dichiarandone ancora una volta tutta l'importanza.

“Per quanto poi spetta ai nostri tempi moderni, il Sommo Ponte­fice Pio X di vm. nel promulgare, venticinque anni or sono il Motu pro­prio... si era prefisso come scopo precipuo di far rifiorire e mantenere nei fedeli il vero spirito cristiano... per attingere tale fervore di pietà dalla sua prima ed indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera solenne della Chiesa... Ci duole tuttavia che non dappertutto quelle sapienti disposizioni del Nostro predecessore abbiano avuto la dovuta applicazione, e che perciò non si siano ottenuti quei vantaggi che si speravano...” (64).

È interessante notare come tutte quelle esigenze e inquie­tudini emerse nel corso nel XIX secolo, siano poi sfociate in due punti di particolare rilievo: la riforma del breviario e la parteci­pazione attiva di tutti i fedeli (65). Possiamo ancora rilevare che l'e­sortazione diventa sforzo di dimostrazione teologica, investendo non solo sulla partecipazione attiva, ma anche sulla sua radice: il sacerdozio ministeriale e quello regale, cioè il sacerdozio di i  Cristo nella Chiesa. Temi questi che troveranno la loro piena fioritura con la riforma conciliare del Vaticano II.

Pio XII (1939-1958)

E in questo crescere e moltiplicarsi di forze, intese al rinnovamento della liturgia per portare Cristo nel mondo, che venne a cadere il pontificato di papa Pacelli.

La riforma di S. Pio X aveva certamente apportato un notevole miglioramento, ma le nuove circostanze storiche, la ricostruzione del dopo guerra, reclamavano un ulteriore sforzo di revisione. Per molti sacerdoti, a causa del notevole peso pasto­rale, l'ufficio andava sempre più perdendo il suo valore spiri­tuale, restando solo un obbligo legislativo da effettuarsi sotto pena di peccato (66). Occorreva una nuova revisione che conside­rasse bene tutti gli aspetti emersi dal 1911 in poi: aspetti teolo­gici, liturgici, pastorali e pratici.

Il papa intuì per tempo le attese di un tale cotesto e mo­mento e, dopo gli anni della guerra, non tardò ad entrare nel vi­vo della questione con un chiarimento che risulta essenziale per l'iter percorso dal magistero ecclesiastico riguardo alla liturgia e alla partecipazione attiva dei fedeli. Il solenne intervento appar­ve quasi d'improvviso il 20 novembre 1947, con l'enciclica Mediator Dei et hominum (67). In essa ritroviamo un intero capitolo riservato alla lode divina, con particolare approfondimento del­le ore canoniche e dell'anno liturgico.

Ogni celebrazione liturgica iniziava a trasferirsi dal piano puramente rituale e canonico a quello spirituale e teologico. In quest'ottica (68), già nel 1946 era stata stabilita una commissione speciale, di otto esperti (69), per studiare e presentare delle propo­ste concrete per un piano generale di riforma. In precedenza aveva già autorizzato l'uso liturgico di una nuova versione dei sal­mi, fatta sul testo ebraico (Motu proprio In cotidianis precibus, del 24 marzo 1945). Il 28 maggio 1948 venne convocata la com­missione alla quale erano stati aggiunti altri tre specialisti con l'intento di portare a termine il lavoro già iniziato. Il cardinale Cicognani, il 25 novembre 1955, nella riunione della Commis­sione Piana, propose una consultazione ampliata all'intero epi­scopato. Con lettera ufficiale del 31 gennaio 1956, Pio XII consultava l'episcopato mondiale, invitandolo ad esprimere le esigenze presenti nelle Chiese locali, contribuendo con il loro personale parere (70). Da una simile consultazione, la commissione potè ricavare tutto il materiale inerente agli elementi costitutivi l'ufficio romano (salmodia, letture bibliche, antifone, responsori, inni e preci).

Tra le proposte ricavate dal questionario il primo posto fu occupato dal problema della lunghezza dell'ufficio (72). Diversi au­spicavano una revisione dei mattutini domenicali e festivi, pro­ponendo un solo notturno con 3 salmi e 3 letture, a cui aderiva la stessa commissione (72). Inoltre si chiedeva una distinzione mag­giore tra i notturni feriali e quelli festivi. Non mancava anche una corrente che proponeva la suddivisione del salterio in due setti­mane. Un altro piccolo numero di vescovi (26 = 7, 6%) sugge­riva una distribuzione in quattro settimane (73). Mentre nella memo­ria (74) non si escludeva una struttura di 3 salmi per le ore maggio­ri (mattutini, lodi e vespri); praticamente risultò quasi impossi­bile intaccare la struttura vesperale, data la sua lunga tradizione. Per l'ufficio di compieta si richiedeva il ritorno allo schema ro­mano antico dei salmi domenicali, con l'aggiunta del momento penitenziale all'inizio.

(70) “...affinchè esponga in modo chiaro e breve a questa S. Congregazione, quel­le cose riguardanti le emendazioni da apportare circa il Breviario Romano che a Tè sembrano necessario o utili o opportune...”, in dell'oro E, II rinnovamento della liturgia sotto il -pontificato di Pio XII e di Giovanni XXIII, AA.VV, II movimento liturgico tra riforma conciliare e attese del Popolo di Dio, Assisi 1956-1986, 222. Gli ecclesiastici consultati erano circa 400 con un questionario di numerossisime voci.

Qualcuno si augurava che al salmo fosse premessa una bre­ve nota esplicativa del contenuto, per aiutare maggiormente la preghiera e la devozione (75).

Altro punto richiesto dall'episcopato fu quello delle letture bibliche. Occorreva variarne la distribuzione, inserire alcuni libri dell'AT (Sapienziali e Profetici) e del NT (Lettere Paoline), ma si proponeva anche una suddivisione che permettesse una di­stribuzione dell'intera Scrittura nell'arco dell'anno liturgico.

Il secolare e spinoso problema del santorale riemerse. Si pro­poneva un allargamento dei nuovi “Comuni”, con l'inserimento in essi di santi locali; di ridurre le feste di altri santi; di soppri­mere alcune feste che avevano perso il loro significato; di cele­brare la festa di santi secondo la loro nazione (76).

Accanto a questi aspetti maggiori, non furono ignorate al­cune entità secondarie, come le antifone, i responsori, i capitoli brevi, le preci.

Tra le decisioni concrete recepite dalla commissione, diver­se riguardavano l'abbreviazione di alcuni elementi dell'ufficio: ri­to semidoppio (6 letture); i primi vespri fuori delle celebrazioni di prima e seconda classe; le feste semplici ridotte a commemo­razione; i formular! iniziali e conclusivi (Pater, Ave e Credo). L'an­tifona mariana riservata solo al termine della compieta. Restavano l'invocazione iniziale (Deus, in adiutorium...); il Pater a mattuti­no, prima e compieta; il Credo nelle ore di prima e compieta e nell'ufficio dei capitoli.

La commissione volle esaminare anche i postulati riguar­danti il tempo della recita delle ore canoniche, soprattutto in quelle minori; l'ufficio di S. Maria in sabato e l'ufficio parvo del­la Vergine, con distinzione tra laici e persone consacrate.

La commissione fu anche interpellata circa la necessità di un unico ufficio, cioè corale e privato. Il papa si era già espres­so in merito nella sua enciclica Mediator Dei, dichiarandosi aper­tamente per un unico ufficio, che potesse armonizzare la pietà °ggettiva con quella soggettiva (77).

Dalla consultazione emerse anche il problema della lingua da usare nella recita del breviario. Benché solo il 37% dell'episcopato si fosse espresso a favore della lingua materna, tuttavia questo dato restava indicativo di un problema già ampiamente presente nelle esigenze del popolo di Dio.

Data la mole di materiale, i lavori della commissione si pro­lungarono notevolmente, sia per il cambio di alcuni suoi mèm­bri e sia per la morte dello stesso pontefice (ottobre 1958), lasciando ai successori l'incombenza di risolvere il problema.

Giovanni XXIII (1958-1963)

Entrato in conclave il 25 ottobre 1958, Roncalli ne uscì elet­to papa tre giorni dopo. A tre mesi dall'elezione, in un colloquio dimesso e quasi bonario coi cardinali, presso la basilica di S. Pao­lo fuori le mura, il 25 gennaio 1959, annunzio un concilio ecu­menico. Non interferì nella sua fase preparatoria, che restò pra­ticamente nelle mani delle singole commissioni a questo prepo­ste. Questa volta il progetto di riforma, sospeso per la morte di papa Pacelli, Giovanni XXIII lo portò subito a termine e con il Motu proprio Ruhricarum instmctum (25 luglio 1960), approva­va il progetto della Commissione Piana, dichiarando che

“... questa riforma rubricale non doveva essere rimandata, anche se era sua intenzione dare al già indetto Concilio Vaticano II il compi­to di proporre i principi di una riforma liturgica generale” (78).

In effetti il nuovo codice delle rubriche, trovò applicazio­ne immediata in una nuova edizione del breviario, che si ri­chiamava come sempre al concilio tridentino, ma per la prima volta non è sotto la protezione particolare di un papa, e che i salmi potevano indifferentemente essere presi dalla Volgata, che dalla nuova versione di Pio XII: Breviarium Romanum et decreto ss. concilii tridentini summorum pontificum cura recognitum.

 

E. IL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II (1962-1965)

 

Le esigenze che la commissione aveva accolto e analizza­to erano diverse: riduzione e semplificazione dell'ufficio; il progetto di creare un doppio ufficio, uno ad uso corale, l'altro per uso individuale; soprattutto considerare una maggiore armonia e integrazione tra la celebrazione eucaristica e la recita del bre­viario.

Tutte queste esigenze divennero, quindi, oggetto di rifles­sione e di approfondimento della commissione centrale antipre­paratoria del concilio Vaticano II, convocata da papa Roncali, la quale propose uno schema di ufficio che doveva essere inse­rito nella costituzione liturgica e con essa approvato.

Lo schema, suddiviso in cinque capitoli, contenenti dieci punti, prevedeva: il corso e il tempo delle ore, il salterio, le let­ture, l'obbligatorietà dell'ufficio, l'allargamento del tipo di per­sone deputate dalla Chiesa alla preghiera delle ore (79). Le idee innovatrici che emergevano riguardavano anche la distribuzione della S. Scrittura in un ciclo biennale, mentre le letture patristi­che in un ciclo triennale; l'omissione dei cosiddetti “salmi im­precatori”; l'uso delle “preci” solo a vespro e non a lodi, dal momento che queste erano naturalmente più legate alla celebra­zione eucaristica.

In prossimità dell'apertura dei lavori conciliari, venne crea­ta la commissione centrale preparatoria del concilio (1960-1962). Il lavoro preliminare passò alla discussione in aula e agli esper­ti riuniti in una sezione speciale denominata:. “Coetus de gene­rali structura Offici! divini”, o Coetus IX (80),

In aula, i Padri conciliari erano chiamati a concretizzare il progetto presentato per trasformarlo in realtà, con la preoccu­pazione di salvaguardare alcuni criteri generali: fedeltà alla tra­dizione liturgica; fondamento dottrinale in campo pastorale e rubricale (= conservare i punti fondamentali che avevano rego­lato la tradizione fino a quel momento); desiderio di un maggior arricchimento spirituale per i fedeli; adeguato impegno per una . consapevole partecipazione attiva dei fedeli (81).

Le varie questioni formavano una lista i cui punti erano so-stenuti da posizioni tra loro contrastanti, rischiando, così, solo lunghe discussioni che avrebbero impedito una soluzione. La proposta del card. Bea sbloccò le difficoltà: demandare ad una commissione post-conciliare l'incarico di risolvere i problemi, te­nendo conto degli aspetti proposti dai Padri (82).

Le obiezioni o i diversi pareri dell'assemblea sinodale si pos­sono raggnippare in quattro punti fondamentali:

1, La vita spirituale del clero. La preoccupazione dei vescovi intendeva trovare un equilibrio tra la vita spirituale e l'impegno pastorale a cui sono sottoposti, nella società odierna, i sacerdo­ti. La riforma avrebbe dovuto offrire un solido nutrimento spi­rituale senza ostacolare la vita apostolica. Pur d'accordo sul principio, le posizioni assunte in aula si possono raggruppare in tre gruppi: conservare inalterato lo schema dell'ufficio, compre­sa la lingua latina; l'opportunità di avere tre tipi di ufficio: monastico, corale, pastorale; limitarsi a soli due schemi: quello monastico e quello pastorale.

2. Struttura dell'ufficio. La posizione di coloro che volevano il rinnovamento proponeva anche lo snellimento dello schema, la riduzione a 3 soli salmi per le ore maggiori e 1 solo per quelle mi­nori; l'abolizione dei salmi “imprecatori” e dell'ora di prima. Un eventuale ampliamento dei testi riguardava solo le letture bibli-che e patristiche. Occorreva rafforzare la presenza del Nuovo Te­stamento nelle pagine dell'ufficio e la revisione ulteriore dei testi dei Padri occidentali.

3. La lingua dell'ufficio. Le posizioni erano contrastanti, an­che se coloro che proponevano la lingua latina non avevano ar­gomenti sufficientemente solidi per argomentarne le motivazioni.

4. Obbligatorietà. Comportava due aspetti: l'obbligo sub gravi e l'obbligo di recitare tutto o parte dell'ufficio. Per il pri­mo il discorso non ha mai trovato una risposta ufficiale alla vi­sione tradizionale; per il secondo, si voleva distinguere tra ore, maggiori (lodi e vespro) e ore minori. Il mattutino doveva esse­re riproposto come ora canonica a parte, e quindi sganciato da ogni schema temporale (83).

Il 4 dicembre 1963, al termine della I sessione conciliare, la discussione vide i suoi risultati con l'approvazione della costitu­zione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia. In 19 punti, formanti il IV capitolo, troviamo la risposta del concilio. Tutte le ansie e le esigenze fino allora vissute nella Chiesa cattolica ebbero una loro risposta. Ecco i temi della costituzione:

1. L'ufficio divino opera di Cristo e della Chiesa.

2. Suo valore pastorale.

3. Rivedere l'ordinamento tradizionale.

4. Norme per la riforma dell'ufficio divino.

5. L'ufficio divino fonte di pietà.

6. Distribuzione dei salmi.

7. Norme per le letture.

8. Revisione degli inni.

9. Obbligo dell'ufficio divino.

10. Recita comunitaria dell'ufficio divino.

11. La partecipazione dei fedeli all'ufficio divino.

12. La lingua ufficiale dell'ufficio divino.

In questo modo, il concilio stabilisce che la riforma litur­gica dell'ufficio comporta: le ore di preghiera si accordino il più possibile con l'ora del tempo (SC 88 e 94); lodi e vespri di­ventano i due perni liturgici della giornata; il mattutino (fuori della celebrazione corale) non ha più un riferimento ad un tem­po determinato e sia più abbondante di letture che di salmi; abolizione dell'ora di prima; circa le tre altre ore minori (terza, sesta, nona) se ne celebri una sola, a scelta e che risponda me­glio al momento della giornata; compieta sia veramente intesa come chiusura del giorno; la salmodia, di cui si auspica una nuova e radicale revisione, abbracci uno spazio di tempo che superi quello di una settimana; una più abbondante presenza di letture bibliche; revisione degli inni ed inserimento di altri nuovi.

A. Nocent, riassumendo la costituzione, tra l'altro sottolinea:

“II Vaticano II con la sua Costituzione Sacrosanctum Concilium af­fronta, oltre che nei principi generali, anche nel fatto particolare la rifor­ma dell'Ufficio divino ( il documento conciliare ignora il termine Brevia­rio). Ma questa volta la riforma non è solo ne principalmente rubrica­le e formale. E anche se è tutto questo, ma in maniera ben altrimenti profonda, perché tocca la struttura stessa e l'organizzazione tradizio­nale del Breviario, questo avviene con lo scopo dichiarato di fare ri­trovare le vere linee della preghiera liturgica della chiesa...” (84).

Una volta approvato il testo da parte dell'assemblea, Paolo VI (1963-1978), nel gennaio 1964, creò il Consilium ad exe-quendam Constitutionem de Sacra Liturgia perché lo attuasse (85).

La proposta di mons. A. G. Martimort verteva su quattro principi fondamentali:

a. Fedeltà alla tradizione e sensibilità per le nuove esigen­ze del clero.

b. I testi devono divenire per l'orante fonte di nutrimento spirituale.

e. Anche i fedeli devono poter partecipare all'ufficio, rica­vandone frutto spirituale.

d. Le ore canoniche siano celebrate secondo i tempi del giorno (86).

Tenendo conto di questi ed altri suggerimenti, il Consilium si fecalizzò sui seguenti punti: struttura dell'ufficio; semplifica­zione; partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione delle ore; le ore minar (87). Questo comportava di doversi pronunziare su due questioni: adattamento dell'intero salterio e distribuzione dei sal­mi; tradizione ed esigenze attuali (88).

Il lavoro fu presentato all'assemblea degli esperti nell'adu­nanza generale del 10-19 aprile 1967. Ottenuta l'approvazione, l'impostazione così delineata dell'ufficio divino fu presentata al sinodo dei vescovi del 1967 e votata il 26 ottobre. Gli atti furo­no inviati al papa che espose i suoi emendamenti. Dopo ulteriori lavori di revisione, nel dicembre 1968, Paolo VI decise di invia­re uno specimen di approvazione provvisoria all'episcopato del mondo intero.

I vescovi francesi chiesero di poter utilizzare ad experimen-tum il testo ricevuto, nonostante fosse ancora incompleto; il Con­silium, attraverso la Segreteria di Stato, fece pervenire il suo consenso. Dopo ulteriori revisioni da parte del Consilium e la risposta ad altre questioni, come l'obbligatorietà e la partecipa­zione dei fedeli, Paolo VI approvò il nuovo ufficio divino per l'intera Chiesa romana con la costituzione apostolica Laudis Canticum, del 1 novembre 1970, ma resa pubblica solo nel febbraio 1971 (89).

 

RIFERIMENTI

 

(1) righetti M., op. cit., II, 681.

 

(2) baudot J., Il Breviario romano. Origine e storia. Trad. dalla II ed., Roma 1909,149.

J periodo

 

(3) baudot J., op. cit., 142.

 

(4) baumer S. - biron R., op. cit., II, 331.

 

(5) righetti M., op. cit., II, 681. 

 

(6) righetti M., ibid., II, 682.

 

(7) salmon R, in La Chiesa in preghiera. Roma 1963, op. cit., 915.

 

(8) baudot}., op. cit., 143-144.

 

(9) salmon P, op. cit., 187-188.

 

(10) baumer S. - biron R., op. cit., II, 339-359;

 

(11) Cfr. anche cap. V del nostro lavoro, a proposito dell'influsso del breviario della S. Croce su quelli sorti in altre nazioni.

 

(12) baumer S. - bison R., op. cit., 359-36.5.

 

(13) Nelle intenzioni del Ricci il sinodo costituiva il primo passo verso la forma­zione di una Chiesa nazionale, indipendente da Roma. Si volle chiamarlo concilio perché avrebbe dovuto essere di esempio ad altre diocesi, e i sacerdoti diocesani furono chiamati padri, titolo riservato dalla tradizione ai vescovi partecipanti ai concili ecumenici e provinciali. Il duca vi mandò un suo rappresentante, ma egli abi­tava in una villa vicina a Pistola ed era informato di tutto ogni giorno. Quando Pietro Leopoldo lasciò la Toscana per salire al trono imperiale (1790), Scipione de' Ricci, privo del suo appoggio, dovette rassegnare le dimissioni e la Santa Sede, nel 1794, con la bolla Auctorem fidei proscrisse formalmente le deliberazioni di Pistola.

 

(14) martina G., La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberalismo, del totalita­rismo, da Luterò ai nostri giorni, Brescia 1970, 343.

 

(15) crichton J.D., Thè office in thè West: thè Roman Rite from thè Sixteenth Century, in Thè study, op. cit., 385-385. martimort A.G., La preghiera, in La Chie­sa in preghiera, op. cit., 386. salmon P, op cit., 187-188.

 

(16) righetti M., op. cit., 685.

 

(17) scicolone I., Il Cardinale Giuseppe Tornasi di Lampedusa e gli inizi della saenza liturgica, in AnL 5, Roma 1981, 23; cfr. anche Regnum Dei, Collectanea Theatina, a. 38, n. 108, Roma 1982. Ildebrando Scicolone osb, noto docente di storia „ della liturgia e di interpretazione dei testi liturgici presso il Pontificio Istituto Liturgico di S. Anselmo e professore invitato presso la Facoltà di Teologia della Pont. Università Gregoriana, è attualmente abate del monastero di S. Martino delle Scale (Pa). In questo studio sul santo teatino suo conterraneo, è riuscito in maniera '' chiara e scientifica a delinearne la figura di dotto e santo liturgologo nell'ampia cornice del Seicento e Settecento; epoca che vide sorgere gli studi storici e liturgici. Come di consueto, Scicolone ha saputo mettere in risalto tutti quegli aspetti originali che caratterizzano l'opera del santo. Il suo contributo nel campo delle scienze I. liturgiche abbraccia vari settori: volumi della collana Anàmnesis, articoli, conferenze... Ha retto il Pont. Istituto Liturgico per vari anni e ora speriamo che possa con­tinuare a contribuire alla scienza liturgica attraverso ulteriori studi.

(18) Giuseppe Maria Tornasi nacque a Licata, provincia di Agrigento, il 12 set­tembre 1649. Nel 1664 entrò nell'Ordine dei Chierici Regolari (Teatini) a Palermo. Dopo il tempo di noviziato iniziò gli studi filosofici che, a causa della sua salute mal­ferma, dovette continuare in altre città. Fu ordinato sacerdote il 23 dicembre 1673. Aveva studiato bene, oltre al latino, la lingua greca ed ebraica, dedicando, nei 40 anni di permanenza a Roma, tutte le sue energie alla vita intcriore e ai suoi studi. Divenne, così, l'esperto in varie questioni per i papi, i cardinali, gli eruditi e i con­fratelli. Clemente XI per la grande fiducia in lui lo creò cardinale, del titolo di S. Martino ai Monti, il 18 maggio 1712. Morì a Roma, in concetto di santità, il 1° gen­naio 1713. Molteplici le sue opere in campo biblico, patristico, storico e liturgico.

 

(19) Psalterium iuxta duplicem editionem quam Romanam dicunt et Gallicanam una cum Canticis ex duplici item editione et Hymnarium et Orationale. Editio ad ve-terem ecclesiasticam formam ex antiquis Mss. Exemplaribus digesta per }. Carum Pre-sbyterum. Romae, typis Tinassi, 1683 (Opera omnia II). “Si tratta delle due revisioni di s. Girolamo della versione latina del salterio, la prima fatta a Roma sulla LXX, la seconda a Betlemme sul testo di Origene. La prima si chiama Romana, perché da Roma si cominciò ad usare in Italia e in tutto l'Occidente; la seconda si chiamò Gallicana, perché si cominciò ad usare in Gallia al posto della Romana, e poi la soppiantò lasciandone l'uso solo nella Basilica Vaticana”, scicolone I., op. cit., 44.

 

(20) Per il terzo centenario della nascita di G. Tornasi la Collectanea Theatina gli ha dedicato un fascicolo, nel quale Michele Tucci presenta uno studio dal titolo II Beato Giuseppe Maria Tornasi fu anche un Biblista, in Regnum Dei 5 (1949) 174-214; cfr. anche scicolone I., op, cit., 44ss.

 

(21) “Anche qui non per il solo desiderio di "ricercar l'antico", ma piuttosto per quello di "costruire sull'antico". Il suo scopo era ben preciso e cioè pubblicare i tesd dei Padri”, scicolone I, op. cit., 59.

 

(22) scicolone I, op. cit., 80.

 

(23) “È l'unico accenno esplicito a quella che dopo il Concilio Vaticano II chia­miamo la "dimensione escatologica" della liturgia, ma che si trova sempre presen­te nei testi liturgici”, scicolone I, op. cit., 115.

 

(24) scicolone I, op. cit., 176.

 

(25) andreu E, Pellegrino alle sorgenti, S. Giuseppe M. Tornasi, Roma 1987, 435.

 

(26) Ibid., 434-439.

 

(27) scicolone I., op. cit., 181-182.

 

(28) Prima monaco benedettino, poi certosino, il Ferreri fu eletto vescovo di Guardia Alfieri (1519-1524). In seguito fu nominato nunzio apostolico in Polonia e in i Russia, impegnandosi per la canonizzazione del re Casimiro, per il quale scrisse l'uffido e la messa propria. Uomo tipico del Rinascimento, era umanista, conoscitore della cultura classica, preferendola a quella ecclesiastica. Con un tale entroterra cul­turale, si comprende meglio come la sua riforma rispecchiasse più l'aspetto umani­stico che quello liturgico. baumer S. - biron R., op. cit., II, 7-12. tacchi venturi P., Storia della Compagnia di Gesù in Italia, voi. I, ed. II, Roma 1930, 169-170.

 

(29) Cfr. il giudizio alquanto negativo che degli antichi innari ci ha lasciato M. Becichemi, uno dei maggiori critici del tempo, che ne ha sottolineato soprattutto la scarsa qualità, in legg W.J., op. cit., II, 8. Marino Becichemi (1468-1526) nato a Scutari, fu professore di lettere e autore di orazioni, commentari e osservazioni di classici; tenne la cattedra di oratoria a Padova.

 

(30) “Ut quilibet edam sacerdos eosdem hymnos etiam in divinis legere et eis uri possit”. L'esemplare in nostro possesso si trova presso la biblioteca Corsiniana di Roma, in via della Lungara, e porta il seguente titolo; Zachariae Ferreri Viceni. Poni. Gardien. Hymni novi ecclesiastici iuxta veram metri et latinitatis normam a Beatiss. Patre Clemente VII. Poni. Max., ut in divinis quisque eis uti possit approbati et no-vis Ludovici Vicentini ac Lautitii Perusini characteribus in lucem traditi. Sanctum et necessarium opus, in baumer S. - biron R., op cit., II, 117.

 

(31) Ad esempio, la SS. Trinità viene denominata Triforme numen Olympi; men­tre la Vergine Maria nympha candidissima o felix Dea. Cfr. anche l'ampia docu­mentazione riportata dal baumer S. - biron R., op. cit., II, 117-125.

 

(32) Non dimentichiamo che lo stesso D. Prosper Gueranger, stimava molto al­cuni inni ed espressioni usate dal Ferreri, per es. a proposito dei misteri della vita  di N.S. Gesù Cristo (Natività, Triduo santo...), della B. Vergine Maria, la Chiesa, gli Apostoli ed Evangelisti.

 

(33) Breviarium ecclesiasticum ab eodem Zach. Pont. longe brevius et facilius. red-ditum, et ab omni errore purgatum, propediem exibit, in baumer S. - biron R., op. cit., 117. Il breviario già preparato, non vide mai la luce e ancora oggi, ne ignoria­mo le cause: forse la morte dell'autore, o il Sacco di Roma (1527), o per un cam­biamento di vedute da parte dello stesso pontefice.

 

(34) Sull'argomento cfr. kaltenbrunner F., Die Vorgeschichte àer gregorianischen Kalenderreform, Vienna 1876, t. XXXII, Sitwngsberichte der Akademie der Wis-senschaften, 289-414; e Die Polemik uber die gregorianische Kalenderreform, ibid., 1877, t. LXXXII, 485-586. stivie, Der Kalenderstreit des 16, Jahrhunders, m Abhandiung der histor. Klasse der kgl. Akademie der Wissenschaften, Monaco 1882. ferrari E, II calendario Gregoriano, Roma, 1882, schmid J., Zur Geschichte der gregorianischen Kalenderreform (Histoir. Jahrbuch der Gorres-Gesellschaft, Monaco 1882, t. Ili, 388ss; 1884, t. XV, 32ss). baumer S. - biron R., op. cit., II, 234-250. achelis H., Die Martirologien. Ihre Geschichte una ihr Werì, Berlino 1900. quen-TIN H., Les martyrologes historique du moyen-age, Parigi 1907. righetti M., op. cit.,320-323. boeschgajano S.,op cit.; nocent A.,iaAnamnesis2, Casale Mon-ferrato 1978, 171ss.

 

(35) Per ricavare ulteriori notizie, cfr, il Codice Vaticano 6097 (fogli 127ss) e la nota II, riportata in baumer S. - biron R., op. cit., II, 263-269.

 

(36) Biblioteca Barberiniana, Roma, cod. lat. XXII, 2, fol. 2-159b.

 

(37) La bolla scrive: lussu nostro aliquot eruditi et sapientes viri suam serio curam contulerunt, quorum diligentia studioque perfectum opus est, 25 lanuarii MDCXXXI. La data è certamente errata, dal momento che era l'anno MDCXXXII.

 

(38) Hymni Breviarii romani Smi D.N. Urbani Vili iussu et S. Rif. congr. appm-batione emendati et editi. Roma 1629.

 

(39)1 documenti e gli atti della commissione sono oggi riscontrabili presso la Bi­blioteca Orsini di Roma, inseriti nei cinque volumi intitolati Coelibatus et Brevia-rium, Pesthini, 1861.

 

(40) II testo si trova nel voi. II degli “Atti”, raccolti dal Valenti. Cfr. Cod. Corsin. 362 (= 39, e. 2), fol. 15-29.

 

(41) Per ulteriori approfondimenti e dettagli, cfr. baumer S. - biron R, op cit., 11,316-401.

 

(42) Cfr. l'inizio di questo capitolo.

 

(43) Cfr. Postulata Conc. Triti, proposito. Nei: “Postulata variorum Episc.”, tro­viamo: “Tarn Breviaria quam Missalia reformanda essent et purganda”. Nei: “Postulata Imp. Germ.”, invece: “Libri Missales, Graduales, Antiphonarii, legendae et Breviaria religiose et diligenter recognoscenda et expurganda: apocrypha expun-genda: prolixitas taediosa in horariis precibus et psalmodia, habito delectu, rese-canda”.

 

(44) I testi delle proposte li possiamo trovare relativamenti completi in Acta et Decreta Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani, t. VII, Collectio Lacensis, Fribur-gi Brisgoviae 1892.

 

(45) Acta et Decreta, op. cit., t. VII, 844.

 

(46) Ibid., 874-875.

 

(47) Ibid, 881.

 

(48) Ibid., 882.

 

(49) Ibid., 885.

 

(50) Ibid., 892-893.

 

(51) baumer S. - biron R., op. dt., 410-419.

 

(52) righetti M., op. dt., voi. II, 687.

 

(53) Ibid., 687-688.

 

(54) Cfr. elberti A., Il Sacerdozio Regale dei fedeli nei prodromi del Concilio Va­ticano II, in An. Greg., 254, Roma 1989. Nel primo capitolo viene trattato l'argo­mento con alcune ampie note bibliografiche.

 

(56) Cfr. elberti A., op. cit., cap. I, Pio X.

 

(57) ASS 36 (190-1904), 329-339.

 

(58) AAS3 (1911), 633-638.

 

(59) butler C., Chemin de vie chretienne, 1937, coli. Pax 40, 188; rousseau O., Storia del movimento liturgico. Lineamenti storici dagli inizi del secolo XX fino ad oggi, Roma 1969 (trad. dal francese), 233-234.

 

(60) Da un certo punto di vista potrebbe anche essere fondata la critica alla rifor­ma fatta da baumstark A., La riforma del salterio romano alla luce della liturgia comparata, in Roma e l'Oriente, 3 (1911-1912), 217-228; 289-302. L'A. pone in ri­salto la differenza che corre fra la liturgia scientifica e la liturgia che si potrebbe chiamare spirituale: l'una sia arresta alla lettera, l'altra cerca lo spirito. Inoltre, in questo suo studio presenta un saggio di analisi storico-liturgica, riportando accan­to a testimonianze della letteratura patristica, usanze dei diversi riti orientali, pa­ralleli a quelli dell'antico rito romano. Di grande interesse è anche il confronto di queste ultime con l'uso di determinati salmi nelle preghiere ufficiali e quotidiane della sinagoga. Afferma, infatti, che un'usanza cultuale di tutti i riti della cristianità o, almeno, di una rilevante maggioranza, collima ancora con l'attuale rito della si­nagoga; è chiaro che si tratta di un fenomeno che è passato dalla liturgia giudaica dell'età degli Apostoli in quella della Chiesa nascente. Alla luce di questo panora­ma, l'A. tenta di presentare la nuova riforma del salterio voluta da Pio X.

 

(61) II piacenza, in uno studio-commento apparso in EL 26 (1912) 23, sottoli­nea: “Studium huius commissionis longo tempore perduravit et alii quoque litur-gistae auditi fuerunt”.

 

(62) AAS 5 (1915), 449-451.

 

(60) Da un certo punto di vista potrebbe anche essere fondata la critica alla rifor­ma fatta da baumstark A., La riforma del salterio romano alla luce della liturgia comparata, in Roma e l'Oriente, 3 (1911-1912), 217-228; 289-302. L'A. pone in ri­salto la differenza che corre fra la liturgia scientifica e la liturgia che si potrebbe chiamare spirituale: l'una sia arresta alla lettera, l'altra cerca lo spirito. Inoltre, in questo suo studio presenta un saggio di analisi storico-liturgica, riportando accan­to a testimonianze della letteratura patristica, usanze dei diversi riti orientali, pa­ralleli a quelli dell'antico rito romano. Di grande interesse è anche il confronto di queste ultime con l'uso di determinati salmi nelle preghiere ufficiali e quotidiane della sinagoga. Afferma, infatti, che un'usanza cultuale di tutti i riti della cristianità o, almeno, di una rilevante maggioranza, collima ancora con l'attuale rito della si­nagoga; è chiaro che si tratta di un fenomeno che è passato dalla liturgia giudaica dell'età degli Apostoli in quella della Chiesa nascente. Alla luce di questo panora­ma, l'A. tenta di presentare la nuova riforma del salterio voluta da Pio X.

 

(61) II piacenza, in uno studio-commento apparso in EL 26 (1912) 23, sottoli­nea: “Studium huius commissionis longo tempore perduravit et alii quoque litur-gistae auditi fuerunt”.

 

(62) AAS 5 (1915), 449-451.

 

(63) II numero complessivo, durante la settimana, era di 231 salmi, dal momen­to che molti erano ripetuti più volte.

 

(64) AAS 20 (1928) 171 ss; elberti A., l.c.

 

(65) Come già osservava pascherj., Das Wesen der Tattgen Teilnahme. Ein Bei-trag wr Theologie der Konstitution uber die heilige 'Liturgie, in Miscellanea liturgi­ca, in.onore di S. Em.za il cardinale Giacomo Lercaro, Roma 1966, 211, “nessuno avrebbe mai sospettato che il concetto di "partecipazione attiva" sarebbe stato il motivo dominante del pensiero liturgico di un concilio ecumenico; e che - possia­mo aggiungere — entrando nel pensiero conciliare avrebbe contribuito anche ad una nuova impostazione della stessa ecclesiologia”.

 

(66) SRC (Sacra Congregazione dei Riti), Memoria sulla riforma liturgica, il Bre­viario, n. 71, Tipografia Poliglotta Vaticana 1948, 168.

 

(67) AAS 39 (1947) 521-595.

 

(68) Come scriverà in un suo articolo, A. bugnini: “... in vista d'un alleggeri­mento dell'apparato litugico e d'un adeguamento più realistico alle esigenze con­crete del clero e dei fedeli nelle mutate condizioni d'oggi”, Per una riforma liturgica generale, in EL 63 (1949), 166-184.

 

(69) I nomi dei mèmbri appartenenti alla commissione erano: il card. Micara, mons. Carinci, p. F. Antonelli, p. G. Low, p. A. Bea, p. A. Albareda, p. A. Bugni-ni, mons. E. Dante.

 

(71) II 12% ne avvertiva la pesantezza soprattutto per i notturni domenicali e te­stivi. L’11l% si dichiarava a favore dell'attuale struttura, mentre un 37% chiedeva solo le modifiche necessarie. Un altro 39% non espresse alcun parere.

 

(72) SRC, Sectio Historica, n. 97. Memoria sulla riforma liturgica. Supplemento IV. Consultazione dell'Episcopato intorno alla riforma del Breviario Romano (1956-1957), I. Risultati e deduzioni. Tipografia Poliglotta Vaticana 1957, 9.

 

(73) Ibid., 15, 21, 22.

 

(74) SRC, Memoria, op. cit. 196.

 

(75) SRC, Supplemento, 45; 22.

 

(76) SRC, Supplemento, 16-19.

 

(77) AAS 39 (1947) 521-600.

 

(78) Ibid.

 

(79) Acfa et Documenta Concilio Vaticano II apparando, Commissio Centralis, V Congragatio - 1962. Schema propositum a Commissione de Sacra Liturgia, Ap-Pendix Voluminis II, Pars II, Typis Polyglottis Vaticanis 1963.

 

(80) rapfa V., Dal Breviario, op. cit., 359-361.

 

(81) caprile G., Il Concilio Vaticano IL II primo periodo 1962-1963, ed. Civiltà Cattolica, Roma 1968, 52ss.

 

(82) Acta Synodalia, XV Congregati” Generalis C9.11.1962), voi. II, Pars V, 411-413.

 

(83) Ibid., 392-394; 440-445; 334-337.

 

(84) nocent A., Storia dei libri liturgici, in Anàmnesis/1, La Liturgia, panorama storico generale. Casale Monferrato 1978, 182. Riportiamo in appendice B il testo conciliare riguardante l'ufficio divino.

 

(85) bugnini A., La riforma liturgica (1948-1975), CLV 30, Roma, 1997, sezione IV, La Liturgia delle Ore, 481-564; Allocutio SS.mi D. N. Pauli PP. VI ad Solidale! Gonsilii ad exequendam Constitutionem De Sacra Liturgia, die 13 octobris 1966, Ti­pografia Poliglotta Vaticana, 1966.

 

(86) Ibid., 482-485.

 

(87) Cfr. Schemata, n. 95, De Breviario, 26, 22. 05. 1965. Gli schemata riportano l'intera attività del “Consilium” e della Sacra Congregazione nello svolgimento del lavori preliminari alle varie riforme attuate in vista del mandato della Costituzion conciliare sulla Liturgia. Volitine 18 (1982) nn. 10-11. cuva A., L'Ufficio divino, m La Costituzione sulla Sacra Liturgia, a cura di favale A.

 

(88) Ibid., 485-498.

 

(89) BUGNINI A. op. cit. 498-510 pubblicazioni dell’istituto Paolo VI Le role de G. B. Montni-Paul VI dans la reforme liturgique, journeé d’etudes, Louvain-la-Neuve, 17 octobre 1984, Brescia 1987.