Malgrado
la sua complessità, o forse a causa di essa, il Pentateuco rimane un testo
affascinante. Dopo aver lungamente studiato la sua genesi, è venuto il momento
di contemplare, per un momento, l'architettura della città come sta, ora,
davanti ai nostri occhi.
Dobbiamo
affrontare un'ultima domanda: è possibile trovare un filo conduttore in questo
paesaggio variegato? Oppure bisogna dire che è impossibile parlare della “forma
finale” del testo perché non è mai esistita e perché nessuno ha mai voluto
dargli un tocco definitivo (1)?
A
questo punto possiamo dare per scontato almeno un risultato della ricerca: il
Pentateuco non è l'opera di un solo autore che avrebbe scritto il tutto in un
lasso di tempo relativamente breve.
Non
è neanche stato redatto da una sola scuola di autori, in un'epoca determinata,
con uno scopo ben definito e un solo stile ben riconoscibile.
Il
Pentateuco è composito, e su questo punto non può esistere il minimo dubbio. Il
problema è diverso. Si potrebbe dire, come affermano alcuni esponenti delle
letture sincroniche e canoniche, che malgrado tutte le “fratture” del testo,
sia possibile scoprire una sua unità letteraria?
Il
testo è composito, ma sarebbe anche composto con grande cura e grande arte
(2). Vi sono molti architetti, ma l'architettura sarebbe una sola. L'edificio
finale sarebbe il frutto di un lavoro comune, sulla base di un solo piano.
Esiste o non esiste l'unità del Pentateuco? Forse, la domanda, formulata in
questi termini, nasconde una falsa alternativa. Esistono parecchie soluzioni
al problema, e non solo un sì o un no perentorio.
La
diversità dei materiali entrati nella composizione del Pentateuco impedisce di
parlare di “unità” senza qualificare subito questo concetto. Dobbiamo porre la
domanda in un modo alquanto diverso:
esiste
una volontà di organizzare i materiali secondo alcuni principi semplici? Gli
ultimi editori del Pentateuco hanno voluto rispettare le tradizioni tramandate
per lungo tempo e non le hanno ritoccate. Però è la domanda da porre per ora -
forse le hanno integrate in un modo organico, con uno scopo preciso.
Se,
come visto nel capitolo, il Pentateuco è nato nella comunità postesilica che si
è riedificata attorno al tempio di Gerusalemme, con l'appoggio e la
collaborazione di due istituzioni principali, i sacerdoti e gli anziani, si
dovrebbe poter ricavare dalla struttura globale qualche cosa dell'identità di
questa comunità.
L'immagine
sarà forse in qualche angolo più sfocata, però deve essere riconoscibile. La
comunità postesilica non poteva fondare la sua esistenza su un documento
contraddittorio, almeno nei suoi punti essenziali. Poteva ammettere differenze
sui dettagli, ma non su quello che definiva l'identità del popolo d'Israele. Per
esempio, non era possibile trovare nel Pentateuco due serie di personaggi che
si contendessero il privilegio di essere gli antenati d'Israele. E vi è un
solo mediatore fra JHWH e il suo popolo, un solo “fondatore” d'Israele, vale a
dire Mosè.
La
legislazione contiene un gran numero di leggi. La loro origine, tuttavia, è
unica e comune a tutte: sono state tutte promulgate dallo stesso JHWH e
trasmesse dallo stesso Mosè allo stesso Israele presso il monte Sinai/Oreb, o
durante la permanenza nel deserto. Portano lo stesso sigillo e risalgono allo
stesso “periodo simbolico” della storia.
Israele
ha un solo legislatore, perché ha un Dio solo. Per questo motivo, bisogna
affermare che esiste un'unità di pensiero nel Pentateuco. Questa unità non
esclude - anzi, forse, implica - qualche varietà e diversità di concezioni
particolari.
Il
Pentateuco è un “compromesso” fra varie tendenze e come ogni compromesso, deve
tenere conto delle diverse prospettive (3). D'altronde, se è un compromesso,
significa anche che i vari gruppi sono arrivati a un “accordo” sufficiente per
poter elaborare un documento comune ed erigere insieme, su questa base, la
comunità postesilica.
Quali
sono i cardini di questa opera? Gn 1-11 fornisce il “fondale”, aperto su una
prospettiva universale. Gn 12-50 definisce Israele a partire dai suoi antenati
(4). Quando quest'ultimo ha raggiunto lo stadio di popolo numeroso (Es 1,1-7),
Es-Nm e Dt fondano la sua esistenza sull'alleanza, risposta e impegno libero,
di un popolo libero, nei confronti di un Dio liberatore.
In
questa costituzione emergono alcuni elementi primari: la legge, il culto e la
terra. Si suole, abbastanza frequentemente, opporre questi tre elementi.
Conosciamo bene le antitesi legge/profeti e legge/vangelo. E anche comune dire
che la tradizione sacerdotale non sia interessata alla terra, ma solo al
tempio. Perciò, il racconto sacerdotale dovrebbe concludersi con Es 40 (5) o
Lv 9 (6). Il Deuteronomio si preoccupa della terra, non il racconto
sacerdotale. Bisogna dunque opporre il culto alla terra?
A
mio parere, si tratta nuovamente di una falsa alternativa. La discussione di
questo problema vorrebbe essere uno degli ultimi contributi di questa
introduzione. Prescindo per il momento dal fatto che la terra sia presente a
partire da Gn 17, nella teologia del racconto sacerdotale.
Concentro
l'analisi sulla teologia della “tenda dell'incontro” e le istituzioni cultuali
di P per vedere se possono essere concepite senza riferimento alla “terra”. La
risposta è negativa. La tenda come tale è una costruzione provvisoria, fatta
per viaggiare. Si sposta, come il popolo nel deserto, per poter raggiungere la
meta finale del viaggio, vale a dire la terra.
Le
aggiunte tardive di Es 40,36-38 evidenziano la relazione stretta fra tenda e
viaggio. La “nube” si trova sulla “tenda” o “dimora” e comanda da questa
posizione tutti i movimenti del popolo.
Questo
aspetto non è assente dallo stesso racconto sacerdotale. Il compito dei leviti
(Nm 4*) è di trasportare la tenda e gli oggetti sacri. Nm 10,11-12,
abitualmente attribuito al racconto sacerdotale e comunque di origine
sacerdotale, descrive la prima partenza d'Israele dopo la costruzione della
tenda. L'ordine viene dato dalla nube. Il culto, pertanto, è un culto di un
popolo “in cammino”, un populus viatorum. Come il resto del Pentateuco,
il racconto sacerdotale è teso verso il futuro e sviluppa una “teologia della
speranza”.
Tutto
il Pentateuco è orientale verso la terra. JHWH promette di farla vedere ad
Abramo in Gn 12,1; “Va' verso la terra che ti mostrerè”. Alla fine del
Pentateuco, lo stesso JHWH fa salire Mosè sul monte Nebo per “fargli vedere”
questa terra nella quale Israele non è ancora entrato e dove il più grande tra
i profeti non entrerà (Dt 34,1) (7). L'inclusione è significativa. La terra
rimane una preoccupazione permanente del Pentateuco. Mosè muore lì e Giosuè
porterà a compimento l'opera iniziata. Il Pentateuco è pertanto, sotto questo
aspetto, una “sinfonia incompiuta”.
Per
gli ebrei, un Messia deve venire un giorno per radunare tutti i membri del
popolo e fondare un “regno” di pace che non avrà fine.
Per
i cristiani, Giosuè è Gesù - Giosuè è la forma ebraica e Gesù è la forma
aramaica dello stesso nome -, Per questa ragione, i vangeli iniziano sulle
rive del Giordano, dove Mosè è morto e dove inizia la missione di Giosuè. Gesù
è colui che, nella fede cristiana, fa attraversare il Giordano per entrare nel
“regno”.
La
conclusione del Pentateuco rimane aperta. Ebrei e cristiani leggono gli stessi
cinque libri. Ma si separano quando si tratta di interpretare la conclusione
di questa splendida opera letteraria. La divisione, però, è forse meno grave
di quanto pare di primo acchito.
Anche
il Nuovo Testamento ha una struttura aperta: si conclude su un grido di appello
al Messia finché torni. Il Messia che deve ancora venire per gli ebrei deve
tornare un giorno per i cristiani. Tutti vivono nella speranza, che è anche
l'ultima parola del Pentateuco.
(1)
E. blum, “Gibt es die Endgestalt
des Pentateuch?”, Congress Volume Leuven 1989 (ed. J.A. emekton) (VTS 43; Leiden 1991) 46-57;
cf. id., Studien, 361-382.
(2)
Vedi, per esempio, D.J.A. clines, Theme,
5: “I am arguing that thè Pentateuch is a unity - not in origin, but in its
final shape”; P.R. noble, “S^nchronic
and Diach-ronic Approaches to Biblica! Interpretation”, Literature and
Theology 7 (1993) 130-148.
(3)
La parola “compromesso” viene adoperata da E. blum,
Studien, 358; R. al-BERTZ,
Religionsgeschichte 2, 501; E. zenger,
Einleitung, 42.
(4)
Vedi, fra gli altri, E. blum, Komposition,
505-506, e gli studi di A. DE pusy citati
nei capitoli precedenti.
(5)
T. fola, Priesterschrift.
(6)
E. zenger, Einleitung,
94-96.
(7)
Vedi E. zenger, Einleitung,
36.