LITURGIA SPIRITO E VITA
Prof. Paolo GIGLIONI
Con l'avvento di Cristo, unico
e perfetto Liturgo della nuova
alleanza, ha inizio il nuovo culto "in
Spirito e verità", quello che il Padre desidera dai suoi veri
adoratori (cfr Gv 4,23-24). Questo culto nuovo che sale al Padre nell'azione
santificante dello Spirito e per la
mediazione della Verità che è
Cristo, è evento di salvezza, azione di Cristo e del suo popolo santo riunito
nel suo nome, memoriale dell'alleanza pasquale, momento sorgivo della Chiesa e
alimento della vita dei discepoli che la costituiscono.
Di questa liturgia
indicheremo: il nome, la natura, l'importanza.
1. IL NOME.
Il termine greco "leitourgìa" (lêton = del popolo, érgon
= azione) significa[1]:
* azione di Dio per il suo popolo: è infatti un'opera[2]
divina (cf Gv 17,4) mediante la quale Dio santifica il suo popolo;
* azione del popolo per il suo Dio: opera-azione di
glorificazione, opera dell'uomo verso il suo Dio.
Come la Chiesa, anche la
Liturgia, ha la caratteristica di essere allo stesso tempo umana e divina,
visibile, ma dotata di realtà invisibili (cfr SC 2).
2. LA NATURA.
Seguendo le indicazioni
fornite dalla Costituzione Sacrosanctum
Concilium su la sacra liturgia[3],
vediamo che la liturgia è intesa come:
2.1: Attuazione dell'opera della Redenzione (SC 2).
L'opera della redenzione è
l'attuazione del disegno di Dio, il quale "vuole che tutti gli uomini
siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tim 2,4).
Un tale progetto di salvezza è
rivelato e attuato in diversità di modi e di tempi (Eb 1,1-2):
a. diversità di modi: fase della religione naturale e del suo ambito
culturale; fase della religione rivelata, prima ebraica, poi cristiana;
b. diversità di tempi: tempo della "profezia" in cui viene gradualmente rivelato l'eterno amore
del Padre; tempo della "pienezza"
o tempo di Cristo nel quale la salvezza da annuncio per gli uomini (Parola), si
fa realtà negli uomini (carne): è il tempo del "Verbum-caro" (Gv
1,14) e della pienezza dei tempi ("kairoi":
Gal 4,4; At 1,7; Rom 16,25-27; 1 Tim 3,16); tempo della "prosecuzione" nella Chiesa mediante
la quale l'evento "storico" di Cristo diventa evento
"sacramentale" per gli uomini di tutti i tempi.
Una sintesi di questo
procedimento di salvezza è descritto da Efesini 1,13: "In lui anche voi
dopo aver ascoltato (akoùsantes)
l'Evangelo della vostra salvezza, e aver in esso creduto (pistéusantes), avete ricevuto il sigillo (esphragìsthête) dello Spirito Santo".
La liturgia diventa
indispensabile cerniera tra il tempo di Cristo e il tempo della Chiesa; tra la
storia della salvezza compiuta da Cristo per
noi e la storia della salvezza attualizzata da Cristo in noi nell'azione santificante dello Spirito Santo. Una tale
liturgia si presenta come:
* momento-sintesi: unisce annuncio e avvenimento; ciò che è
avvenuto "una volta per
sempre" (ephàpax: Rom 6,10;
Eb 7,27; 9,12.26; 10,10.12.14), diventa "ogni volta" (osàkis:
1 Cor 11,26) presente-attuale-efficace qui-per-noi; ciò che è avvenuto
"diacronicamente" (=lungo il tempo) nel tempo storico di Cristo, si
attua "sincronicamente" (=stesso tempo) nell'azione sacramentale
della Chiesa;
* momento ultimo: è la via ordinaria, fino alla parusìa, nella
quale Dio incontra e salva l'uomo mediante l'economia sacramentale[4].
* anamnesi: è il "memoriale" che attualizza[5] il
passato (1 Cor 11,24: fate questo come memoriale di me).
* epiclesi: è "invocazione"[6] dello
Spirito perché compia oggi nella Chiesa ciò che Cristo ha attuato una volta per
sempre secondo la volontà del Padre. "Infatti dal costato di Cristo
dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la
Chiesa" (SC 5). Nella Chiesa e mediante l'azione liturgico-sacramentale
della Chiesa si attua "oggi" l'opera della nostra redenzione (SC 2);
la fede dei partecipanti è alimentata; le menti sono sollevate verso Dio per
rendergli un culto spirituale; si riceve con più abbondanza la sua grazia (SC
33).
* anticipazione: già si pregusta qui quanto dovrà compiersi
nella celeste liturgia nel Regno (2 Cor 1,22; 5,5)[7].
A differenza degli altri culti,
dunque, il culto cristiano non è iniziativa umana a cui Dio presti la sua
potenza, ma piano di salvezza del Padre, volontà di Cristo fondatore,
obbedienza piena e gioiosa della Chiesa animata dallo Spirito alla volontà del
Maestro. Nel mistero del culto, per la mediazione del gesto sacramentale,
l'evento di Cristo e la storia dell'uomo si compenetrano e si compongono in
unità: il sacrificio di Cristo si completa nel sacrificio dei suoi discepoli
(cfr SC 48).
2.2 Presenza reale di Cristo (SC 7).
Per realizzare un'opera così
grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, ed in modo speciale nelle
azioni liturgiche. Nel sacrificio della Messa, ad esempio, è presente:
* nella persona del ministro: Egli che, offertosi una volta per sempre
sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti;
* nei Sacramenti: di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che
battezza;
* nella sua parola: giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge
la Sacra Scrittura;
* nell'assemblea della Chiesa che prega e loda: Lui che ha promesso che
dove due o tre sono riuniti nel suo nome, si fa presente in mezzo a loro (Mt
18,20);
* soprattutto (tum maxime, praesertim) sotto le specie
eucaristiche. Paolo VI nell'Enciclica Mysterium
fidei[8]
spiegò che queste forme di presenza sono tutte "reali", pur nella
diversità di "modi" e di "luoghi". Nell'Eucaristia,
pertanto, Cristo è "realmente"
presente non "per esclusione" (quasi che le altre presenze non siano
reali), ma per eccellenza; questa è
dovuta al "modo" di presenza: sostanziale,
permanente, tutto e intero; un modo legato cioè alla sostanza del pane e
continuato anche dopo la celebrazione del sacrificio nel tutto e nelle singole
parti.
2.3. Azione santificante e glorificante (SC 7b).
"In quest'opera così grande,
con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono
santificati..." (SC 7b), "Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia
ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e la
preghiera" (SC 33). La Liturgia in genere, e quella eucaristica in
particolare, si svolgono secondo un duplice
movimento:
a. movimento santificante (o discendente): dal Padre, fonte di ogni grazia, per-con-in Cristo unico mediatore o
pontefice di quest'opera di redenzione, nello
Spirito di santificazione, a noi
nella Chiesa e per mezzo della Chiesa[9]
giunge ogni dono di salvezza (= theosis
o divinizzazione: 2 Pt 1,4);
b. movimento glorificante (o ascendente): da noi nella
Chiesa, nello Spirito di
santificazione, per-con-in Cristo, al
Padre ogni onore e gloria (= doxologia
o glorificazione);
Per la stessa "via
economica" per la quale Dio ci salva santificandoci, noi dobbiamo fare
ritorno a Lui glorificandolo: una via e un metodo sempre strettamente "trinitari" nella successione dei
movimenti e nel rispetto della competenza di ciascuna delle divine Persone. Una
sintesi di tale movimento la troviamo nella grande "dossologia"
eucaristica: "Per Cristo, con
Cristo ed in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito
Santo, ogni onore e gloria".
Sacrosanctum Concilium al n. 5 presenta diffusamente
la "natura trinitaria"
della Liturgia: l'opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
2.4. La Liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Cristo (SC
7c).
Ogni azione liturgica è sempre
opera di Cristo sacerdote e del suo corpo (sacerdotale) che è la Chiesa (SC
7c).
La Costituzione dogmatica Lumen gentium (LG 10) ha spiegato che
pur partecipando tutto il popolo di Dio all'unico sacerdozio di Cristo, una
tale partecipazione differisce "essenzialmente" e non solo di
"grado"[10].
Infatti il sacerdozio di Cristo è comunicato a tutto il popolo sacerdotale su
base "sacramentale":
* mediante il Battesimo: è il "sacerdozio comune" dei
fedeli che vengono così abilitati ad esercitare il ruolo del
"Cristo-Corpo" nell'assemblea liturgica;
* mediante il sacramento dell'Ordine: è il "sacerdozio
ministeriale" dei presbiteri che, mediante questa nuova e speciale
effusione dello Spirito vengono abilitati ad esercitare il ruolo del
"Cristo-Capo" in mezzo all'assemblea liturgica.
Come tra capo e corpo non c'è
conflitto, ma piuttosto necessaria complementarietà, così tra le due forme di
partecipazione al sacerdozio di Cristo; il "sacerdozio ministeriale"
dei presbiteri non esclude il "sacerdozio comune" dei fedeli, ma
piuttosto "forma e regge"
il popolo sacerdotale (LG 10) che può concorrere così all'offerta
dell'Eucaristia non soltanto attraverso le mani del sacerdote, ma insieme con
lui proprio in forza di questo regale sacerdozio (cf SC 48.14)[11].
Ogni celebrazione dovrà
pertanto essere ordinata in modo tale che i ministri e i fedeli vi partecipino
ciascuno secondo il proprio ordine e grado (cf IGMR 2); ciascuno deve fare
tutto e soltanto ciò che gli compete (SC 28; IGMR 58); non vi deve essere
neppure confusione di ruoli nel servizio e nello stesso vestire (IGMR 297).
2.5. E' partecipazione della liturgia celeste (SC
8).
Essendo azione eminentemente
"ecclesiale" anche la Liturgia partecipa di quelle che sono le
prerogative della Chiesa: è umana e divina, visibile ma dotata di realtà
invisibili, fervente nell'azione ma dedita alla contemplazione (cf SC 21).
Ecco perché nella Liturgia che
noi celebriamo qui sulla terra già partecipiamo, pregustandola, a quella
celeste che viene celebrata nella santa Gerusalemme dove il Cristo "sempre
vivente" intercede per noi (Eb 7,25; Rom 8,34) e verso la quale siamo
incamminati come pellegrini (Eb 13,14). Fin da ora il nostro canto di lode è
unito a quello degli angeli e dei Santi formando con loro un'unica voce nella
speranza di essere un giorno con loro nella Liturgia celeste senza fine nella
casa del Padre[12]. Non
vi sono quindi due liturgie, una celeste e una terrena, ma un'unica liturgia
partecipata da noi qui ora in maniera "assetata" e da pellegrini
sotto il peso "delle sofferenze del momento presente" (Rom 8,18), e
dai Santi in maniera "saziata" e da cittadini dei cieli già
"partecipi della gloria futura" (Rom 8,18); noi qui mediante i
"segni" sacramentali, loro ormai "faccia a faccia" nel
santuario celeste (1 Cor 13,12; 1 Gv 3,2; cf LG 48. 50)[13].
"Mediante l'assemblea liturgica la Chiesa manifesta più pienamente
l'indole escatologica della sua vocazione" (LG 48) ed "attua già su
questa terra, in maniera nobilissima, la sua unione con la Chiesa celeste"
(LG 50).
Tra liturgia terrena e
liturgia celeste vi è un duplice legame: * teologico,
a motivo della presenza dell'unico Signore e Liturgo (Eb 8,2.6), il Signore
Risorto; * cronologico, a motivo del
"già" che noi abbiamo (Gal 5,25) in rapporto al "non
ancora" che deve compiersi (1 Gv 3,2; Fil 3,21)[14].
2.6. E' culmine e fonte della vita della Chiesa (SC 9-10).
Pur non esaurendo tutta
l'azione della Chiesa, tuttavia "la
liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la
fonte da cui promana tutta la sua virtù" (SC 10).
A motivo di questa sua
"centralità" nella vita della Chiesa, il Concilio ha detto: "Dalla Liturgia, e particolarmente
dalla Eucaristia, deriva a noi, come da sorgente, la grazia e si ottiene, con
la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di
Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine le altre attività
della Chiesa" (SC 10).
La liturgia, pertanto, è:
a. "culmine" perché verso di essa convergono tutte le
attività della Chiesa, soprattutto l'evangelizzazione (cf Rom 10,14-15); per
questo la Chiesa: * annuncia la salvezza a coloro che ancora non credono (=
kerygma), * predica la fede e la penitenza ai credenti (= catechesi; cf CT 23),
* li dispone ai sacramenti, e insegna loro ad osservare i comandamenti e ad
esercitare la carità (=omelìa, mistagogìa, parenèsi) (SC 9)[15], *
compie una "nuova evangelizzazione per coloro che si sono allontanati
dalla chiesa o che hanno perduto il senso vivo della fede (RM 33). Pertanto: se
non c'è fede senza annuncio, non c'è nemmeno salvezza senza sacramenti della
fede; la Chiesa ha ricevuto congiuntamente e inseparabilmente tanto la missione
di "predicare" l'Evangelo ad ogni creatura (Mc 16,15) quanto la
missione di "battezzare" nel nome della santa Trinità (Mt 28,19),
perché la salvezza è promessa a colui che "crederà e sarà battezzato"
(Mc 16,16).
b. "fonte" perché da essa scaturisce la grazia e si ottiene
con la massima efficacia la
santificazione del popolo di Dio. Spinge inoltre i fedeli a tradurre nella
vita quanto hanno ricevuto nella fede (SC 10). Se la missione-evangelizzazione
culmina nella Liturgia, dalla Liturgia nasce e trae forza la missione (cf SC
10; PO 5). Dalla liturgia come "fonte" traggono origine: la koinonìa o comunione tra le membra
dell'unico corpo (1 Cor 12,12s); la mistagogìa
o introduzione ai santi misteri partendo dai segni della stessa liturgia; la diakonìa o servizio verso i fratelli (cf
At 2,42ss); la apologìa o difesa
della fede con la parola e lo scritto (cf 1 Pt 3,15; cf LG 10); la martyrìa o testimonianza fino al dono
della vita (cf At 1,8; 22,15; cf AG 5, RMi 45); la missione o testimonianza, con la parola e le opere, della Buona
Novella (Cf PO 5-6; SC 10).
Tutto questo, ovviamente, non
avviene in una forma "magica". Per ottenere questa efficacia di
santificazione è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia con
le dovute "disposizioni personali" (SC 11).
La liturgia sta dunque nel
cuore della Chiesa: qui la chiesa vive ed esprime la sua vera identità come
comunità: battesimale, scelta non
secondo la carne ma chiamata per vocazione e passata oltre le acque battesimali
come nuovo Israele; nuziale perché
sposa del Cristo che risponde "sì" nella fede e attende nella fedeltà
il suo Sposo che torni (1 Cor 11,26; Mt 25,1-13); cattolica, perché supera le barriere di razza, di lingua, di
cultura, di spazio, di tempo: è "ante et retro oculata" (s.
Bernardo); diakonale, ordinata al
servizio di Dio e del mondo e articolata nella diversità di ordini e di
ministeri (LG 4.12); missionaria,
perché si raduna nel "primo giorno" della settimana (l'inizio,
l'alfa), che è anche "l'ottavo" (il compimento, l'omega), e sa di
essere "diastole" verso il mondo per santificarlo e
"sistole" per riportare il mondo verso il cuore della chiesa che è
l'Eucaristia (cf PO 5: "Per questo
l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelilzzazione").
2.7. E'
coinvolgimento di tutta la persona.
Non solo lo spirito, ma anche
il corpo deve partecipare all'azione liturgica in modo da ottenere una partecipazione
"consapevole, attiva, fruttuosa"; ciò suppone:
* retta disposizione d'animo (la liturgia "accresce" la fede,
ma "suppone" anche la fede); "Chi salirà il monte del Signore?
Chi ha mani innocenti e cuore puro" (Sal 24 [23], 3-4)
* conformare la mente alle parole
che si pronunziano ("mens concordet
voci": s. Benedetto citato in SC 90 e IGLH 19.105);
* cooperare con la grazia divina per non riceverla invano,
* osservare le regole liturgiche,
* partecipare in maniera attiva-piena-consapevole-fruttuosa (SC
11.19.21.27.41.48).
E' per questo che la liturgia
si attua per mezzo di "segni sensibili" che significano-realizzano i
misteri da essi annunciati (SC 7). Per mezzo dei "santi segni" Cristo
continua il suo mistero di incarnazione che allo stesso tempo rivela e nasconde
la sua vera identità: apre lo spirito all'intelligenza; apre gli occhi, la
bocca, le orecchie; scioglie le membra rigide[16].
Coinvolge la persona nella globalità dei suoi àmbiti: logico (intelligenza, comunicazione: cf 1 Cor 14,14-20); acustico ("La fede
dall'ascolto": Rom 10,17; la Parola è parlata, letta, proclamata,
recitata, cantata; si fa anche silenzio; si suonano gli strumenti); ottico (vedere, contemplare, ammirare,
nascondere, velare, ostendere, illuminare, abbuiare); cinetico (in piedi, in ginocchio, seduti, inchinati, genuflessi,
prostrati, processione, camminare, danzare, battere le mani). Sono segni presi
dalla creazione (luce, acqua, fuoco...), dalla vita umana (lavare, ungere,
bere, mangiare...), dalla storia della salvezza (l'immersione, il
sacrificio....).
3. IMPORTANZA.
Da quanto è stato detto circa
la "natura" della Liturgia è facile dedurre che tale azione ha nella
vita della Chiesa una importanza:
ecclesiale: * ogni
giorno edifica quelli che sono nella Chiesa in tempio santo del Signore, in
abitazione di Dio nello Spirito (Ef 2,21-22), fino a raggiungere la misura
della pienezza di Cristo (Ef 4,13) (SC 2); * fa crescere ogni giorno di più la
vita cristiana tra i fedeli (SC 1); * assicura maggiormente al popolo cristiano
l'abbondante tesoro di grazie che la sacra liturgia racchiude (SC 21); * è la
prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possano attingere il
genuino spirito cristiano (SC 14); missionaria: * irrobustisce in modo
mirabile le loro forze perché possano predicare il Cristo (SC 2); *
contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella vita quanto hanno
ricevuto nella fede (SC 10) e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la
genuina natura della vera Chiesa (SC 2)
ecumenica: * a coloro che sono
fuori mostra la Chiesa come vessillo innalzato sui popolo (Cf Is 11,12) sotto
il quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi (cf Gv 11,52), finché si
faccia un solo ovile e un solo pastore (cf Gv 10,16) [SC 2] * favorisce tutto
ciò che contribuisce all'unione di tutti i credenti in Cristo (SC 1); *
rinvigorisce tutto ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa (SC 1);
antropologica: * dare nuovo vigore ai
testi e ai riti come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo
(SC 4) in modo che le sante realtà in essi significate siano espresse più
chiaramente (SC 21) ed i fedeli possano così partecipare alla liturgia non
quali muti spettatori, ma comprendendola bene vi partecipino
consapevolmente-piamente-attivamente-fruttuosamente (SC 48).
Possiamo dire che l'importanza
della liturgia sta nel fatto che:
3.1: La liturgia è azione sacra per eccellenza
Essendo azione sacra per
eccellenza "nessun'altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo
stesso grado, ne uguaglia l'efficacia" (SC 7d). Già abbiamo detto, però,
che la liturgia non esaurisce tutta l'azione della chiesa (SC 9); ciò significa
che la sua preminenza e la sua eccellenza non sono "esclusive", ma
"complementari" con le altre forme di vita e di azione presenti nella
comunità ecclesiale. Dovranno essere impostati alcuni rapporti ben chiari tra:
3.1.1.. Liturgia e preghiera
personale (SC 12).
"La vita spirituale non
si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia" (SC 12). Significa
che oltre alle azioni liturgiche
comunitarie (che restano la forma tipica e privilegiata del pregare: SC 27) vi
deve essere anche la preghiera
"personale" e privata che ciascuno è tenuto a fare entrando nella
propria stanza per pregare il Padre in segreto (cf Mt 6,6). Chi non sa pregare
individualmente in segreto, come potrà pregare comunitariamente nell'assemblea
comunitaria? E poiché occorre pregare sempre senza interruzione (Lc 18,1) è
evidente che oltre allo spazio riservato alla liturgia comunitaria deve esserci
necessariamente la preghiera personale che occupa il resto del tempo.
Le due forme di preghiera,
pertanto, non sono in opposizione o concorrenza tra loro, ma si completano a
vicenda e stanno in stretta continuità tra loro. Non vi sia però neppure
sovrapposizione nel senso che il tempo della preghiera liturgica-comunitaria
non deve essere occupato per le preghiere personali e devozionali.
3.1.2. Liturgia e pii esercizi
(SC 13)
Per Liturgia, come è stato fin
qui spiegato, si intende l'azione pubblica, solenne, qualificata di culto il
cui "soggetto" celebrante è Cristo e la Chiesa ed il cui
"oggetto" celebrato è il mistero pasquale di Cristo e la vita della
Chiesa secondo testi-riti regolati dall'Autorità della Chiesa (SC 22 § 1). La
Liturgia è perciò la preghiera del "Cristo totale": Capo e membra
esercitano il culto pubblico integrale, l'azione sacra per eccellenza, opera
del Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa (SC 7)[17].
Essa, in effetti, forma col suo Capo la "mistica persona" del
"Cristo totale". Misticamente unita dallo Spirito al suo Capo, essa
partecipa del suo intercessore servizio celeste "innanzi a Dio" (cf
Eb 9,24; 7,25; 1 Gv 2,1)[18].
I "pii esercizi"
sono invece azioni di devozione il cui "soggetto" sono le singole
persone, ed il cui "oggetto" sono composizioni e forme di libera
iniziativa dei fedeli senza che intervenga la Chiesa con la sua autorità per
regolarle.
Dal momento che la Liturgia è
azione sacra per eccellenza, nessun'altra azione della Chiesa allo stesso
titolo e allo stesso grado ne uguaglia l'efficacia (SC 7).
Tra Liturgia e pii esercizi vi
devono essere rapporti di:
* armonia: rispetto dei tempi e delle leggi della
liturgia;
* ispirazione: i pii esercizi devono arricchirsi e imitare i
contenuti e lo stile celebrativo della Liturgia ritenuto di gran lunga
superiore;
* condurre alla Liturgia ed arricchire la Liturgia stessa con i loro
valori (es. maggiore partecipazione, intensità di espressione e di calore
umano, contatto con la vita quotidiana. In certe epoche è stata l'unica forma
di pietà accessibile al popolo cristiano, escluso come era dalla ricchezza
della liturgia);
* non sovrapposizione: durante la Liturgia non si devono fare i pii
esercizi (es. la recita del Rosario, le Novene);
* non esclusione: non deve esistere solo la Liturgia, ma nel
rispetto dei tempi e delle norme liturgiche, devono pure essere conservati e
valorizzati i pii esercizi);
* non concorrenza: non vi deve essere dubbio di fronte ad una
scelta: le azioni liturgiche devono avere la precedenza essendo "di gran
lunga" superiori ai pii esercizi; è dunque un errore lasciare la Liturgia
delle Ore per far spazio ad un pio esercizio, ad es. la Via Crucis in tempo di
Quaresima.
Si dovrà quindi comporre in armonìa liturgia e pietà
popolare, ispirando la seconda alla prima (cf SC 13) e vivificando quella con
questa, senza esclusivismi e senza preclusioni, ma anche senza
"fondere" o "confondere" le due forme di pietà: il popolo
cristiano avrà sempre bisogno dell'una e dell'altra, e a Dio bisognerà lasciare
aperte tutte le strade che conducono al cuore dell'uomo[19].
I pii esercizi, pertanto, siano mantenuti, rispettati,
valorizzati, ma nei loro tempi e nell'ambito che loro compete; possono essere
anche assunti, nell'ambito dell'adattamento liturgico, come parte integrante
dei segni-riti della liturgia (SC 37-40).
3.2. Si dovrà promuovere la
formazione e la partecipazione attiva. (SC 14)
Per poter avere un vero
"rinnovamento" liturgico e non un semplice "aggiornamento",
occorre dedicare alla liturgia una specialissima cura che si concretizza in
un'opera di:
a. formazione. Il Concilio ha chiaramente detto che la Liturgia
"è la prima e indispensabile fonte
alla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano"
(SC 14). Per poter attingere da questa sorgente inesauribile e preziosa, si
richiede:
a.1. formazione del clero: i
pastori per primi devono essere penetrati dello spirito e della forza della
Liturgia per poter essere in grado a loro volta di formare anche i fedeli; la
formazione liturgica del clero è posta come una "conditio sine qua
non". Formare anche i professori di liturgia (SC 15) e porre
l'insegnamento della liturgia tra le materie necessarie e principali nelle
facoltà teologiche e nei seminari (SC 16). Gli stessi seminari e gli istituti
religiosi devono essere profondamente permeati di spirito liturgico (SC 17).
A loro volta i pastori
dovranno curare con zelo e pazienza, con la parola e con l'esempio, la
formazione liturgica dei fedeli (esterna ed interna, dello spirito come della
legge: SC 19), facendo volentieri ricorso ai mezzi audiovisivi e della
comunicazzione (SC 20).
a.2. la formazione dei fedeli:
devono avere una opportuna "mistagogia" o iniziazione alla Liturgia
che permetta loro di penetrare il senso sei sacri riti e delle parole e di
prendervi parte con tutto il loro animo, imparando anche ad osservare le leggi
liturgiche (cf SC 17).
Attraverso la formazione
liturgica tutto il popolo cristiano deve essere in grado di poter comprendere il senso di ciò che compie
e vivere ciò che celebra (cf SC 18).
Si cerchi anche di inculcare
in tutti i modi una catechesi più
direttamente liturgica (SC 35.3)[20].
b. partecipazione attiva. La Chiesa desidera
ardentemente che i fedeli abbiano una "partecipazione
piena, attiva, consapevole alle celebrazioni liturgiche", per due motivi:
b.1.: lo richiede la natura
stessa della Liturgia in quanto azione ecclesiale, comunitaria e non privata
(SC 27); le azioni liturgiche, infatti, non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa...tali azioni
appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano (SC
26; CIC 837 § 1);
b.2.: lo richiede, come
diritto-dovere, la dignità battesimale dei fedeli "stirpe eletta,
sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto" (1 Pt 2,9; cf
2,4-5).
I pastori, pertanto, dovranno
curare con zelo e pazienza, con la parola e con l'esempio, la formazione
liturgica dei fedeli.
Partecipazione attiva, però
significa anche rispetto dei propri ruoli; "nelle celebrazioni liturgiche
ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a
compiere tutto e soltanto ciò che,
secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza" (SC
28; IGMR 58)[21].
"L'interesse per
l'incremento e il rinnovamento della Liturgia è giustamente considerato come un
segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua
Chiesa" (SC 43).
3.3. Lex orandi, lex credendi.
Questa espressione, attribuita
a Prospero di Aquitania, significa: "La legge (= norma) del pregare
stabilisce la legge del credere": la fede regola la preghiera e la
preghiera regola la fede; se si prega bene e soprattutto con contenuti esatti,
anche la fede sarà salda e senza eresie[22]. Per
l'azione dello Spirito, fede e preghiera sono inseparabilmente unite: la
preghiera vera scaturisce dalla fede e la fede trova la sua espressione più
ricca nella preghiera della Chiesa. A seguito di questa convinzione, da sempre
la Chiesa ha controllato le espressioni della Liturgia evitando nel modo più
assoluto che i singoli possano introdurre o cambiare qualcosa di loro
iniziativa (cf SC 22 § 3). La liturgia è celebrata nella fede della Chiesa.
Tuttavia la Chiesa non intende
imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità; anzi rispetta e
favorisce le qualità e le doti d'animo delle varie razze e dei vari popoli;
tutto ciò poi che nei costumi dei popoli non è indissolubilmente legato a
superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile,
lo conserva inalterato, anzi a volte lo ammette
nella stessa Liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico
spirito liturgico (SC 37).
Si dovrà quindi lasciare posto
alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici,
soprattutto nelle missioni (SC 38).
Questo principio che si chiama
"adattamento liturgico"
deve essere fatto dalle Conferenze episcopali e sottoposto all'approvazione
della Santa Sede prima di passare all'uso liturgico dei fedeli (SC 39-40).
Regolare la sacra Liturgia
compete unicamente all'autorità della Chiesa (SC 22 § 1).
3.4.
Una Liturgia epifanìa del mistero.
La Chiesa deve celebrare il
culto divino in modo che esso sia "epifanìa" del mistero d'amore di
Dio per i suoi figli. Allo stesso tempo dovrà essere docile a lasciarsi
modellare dalle realtà celebrate per essere degna essa stessa di celebrarle e
annunciarle agli uomini.
Una liturgia che sia al tempo
stesso annuncio e conferma, esortazione e verifica, ammonimento e sprone per
ogni singolo fedele e per l'intera comunità. Una liturgia che, vivendo di fede,
nutra la fede; cantando la speranza, susciti la speranza; celebrando la carità,
faccia crescere la carità.
Essendo non solo rito, ma
soprattutto mistero, la liturgia esige l'adesione cosciente e fervorosa di
quanti vi partecipano; suppone la fede, la speranza, la carità e tante altre
virtù, come l'umiltà, il pentimento, il perdono delle offese, l'intenzione,
l'attenzione, l'espressione interiore ed esteriore...atteggiamenti che
sospingono il fedele all'immersione nella realtà divina che la celebrazione
liturgica rende presente e operante. Una liturgia, ricordiamolo, credente,
innegginte, sensibile all'esperienza terrestre, pellegrina verso la
celebrazione nuziale nella Gerusalemme celeste. Solo così la liturgia potrà
generare, nutrire, accrescere la chiesa che celebra.
3.5.
Una liturgia da celebrare.
Il termine
"celebrare", riferito alla liturgia, indica un servizio-azione che ha
lo scopo di manifestare-attualizzare-comunicare ciò che Cristo ha compiuto una
volta per sempre nella sua opera di redenzione[23].
Celebrare suppone una "comunità" dal momento che le azioni liturgiche
non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa intera (SC 27; CIC 837.1);
appartengono all'intero corpo della Chiesa: lo manifestano e lo implicano (SC
26). Celebrare suppone un clima di "festa": celebriamo infatti non le
nostre idee ma il Signore Risorto nostra Pasqua. Celebrare suppone
l'utilizzazione di "segni" e "simboli" secondo l'ordine
della creazione attraverso la quale Dio stesso si manifesta[24], e
dal momento che Cristo stesso "è passato nei suoi misteri"[25] e nei
suoi misteri si fa trovare[26].
Principale "Liturgo"
di questa celebrazione è Cristo: "lo stesso che offre ed è offerto, che
dona ed è donato"[27]. Egli
però in quest'opera così grande associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa
amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto
all'Eterno Padre (SC 7b). Ogni celebrazione è dunque il culto pubblico
integrale che viene esercitato dal Christus
totus, ciè dal Capo e dalle sue membra (SC 7c): "Cristo prega per noi,
prega in noi ed è pregato da noi...Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e
la sua voce in noi"[28]. In
questa celebrazione la Chiesa orante è assistita dallo Spirito Santo (Rom 8,26;
Ap 22,17-20; 1 Cor 16,22; Gal 4,6; Giuda 20): non vi può essere alcuna
preghiera cristiana senza l'azione dello Spirito Santo (IGLH 8).
Il fine ultimo di ogni
celebrazione è, secondo SC 59: dossologico
(dare gloria a Dio: Gv 17, 1-4), soteriologico
(la salvezza-deificazione del Corpo di Cristo: 1 Gv 5,11; Gv 16,14; 2 Pt 1,4), ecclesiologico (edificare il Corpo di
Cristo in tempio santo, in abitazione di Dio nello Spirito: cf Ef 2,21-22; SC
2), didattico (istruire il popolo
fedele: SC 33; nella Liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo [=AT] e Cristo
annunzia ancora il suo Vangelo [=NT]); missiologico
(contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino
agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa [SC 2];
rinvigorisce tutto ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa [SC 1];
per questo la liturgia, ed in specie l'Eucaristia, si presenta come culmine e
fonte di tutta l'evangelizzazione [PO 5]; coloro che annunciano il Vangelo
compiono una vera "liturgia": Rom 15,16).
3.6. Liturgia e missione.
L'opera
missionaria di san Paolo è descritta come una diakonía, un rendere culto a Dio (latréuô: Rm 1,9); egli stesso si considera un ministro (leitourgòn) che, esercitando l'ufficio
sacro (hierourgoúnta) del Vangelo di
Dio, rende possibile l'offerta dei pagani quale oblazione (prosphorá) gradita e santificata dallo Spirito (Rm 15,16). Anche
altrove la missione è descritta con linguaggio e contenuti liturgici. La
missione ricevuta da Dio di realizzare la sua parola presso i pagani, comporta
un sacrificio che il missionario deve completare nelle proprie membra quale
prolungamento di quello di Cristo (Col 1,24-25). E lo stesso Spirito che tutto
ricorda e tutto insegna (Gv 14,26), accompagna sia la missione (AG 4) sia la
celebrazione liturgica (SC 6). La missione diventa così una vera celebrazione
per la gloria di Dio, per la salvezza delle genti.
3.7. Liturgia e catechesi[29].
Secondo le indicazioni di Catechesi
Tradendae "La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta
l'azione liturgica e sacramentale, perché è nei Sacramenti e, soprattutto,
nell'Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli
uomini" (CT 23). Il rapporto tra Liturgia e catechesi può essere così
riassunto:
a. "Ogni catechesi
conduce necessariamente ai Sacramenti della fede" (CT 23); in questo senso
la Liturgia resta il culmine, cioè il punto di arrivo, dell'azione
evangelizzatrice della Chiesa (SC 10).
b. "D'altra parte,
un'autentica pratica dei Sacramenti ha necessariamente un aspetto
catechetico" (CT 23). Ogni Liturgia, in quanto lex orandi, diviene necessariamente anche lex credendi: i suoi riti e le sue preghiere sono una fonte
inesauribile di insegnamento delle grandi verità della fede. "La Liturgia
è una ricca fonte di istruzione per il popolo fedele" (SC 33). La Liturgia
resta la "prima e indispensabile fonte" del genuino spirito cristiano
(SC 14). La Liturgia è una preziosa catechesi in atto[30].
Senza celebrazione della fede non ci sarebbe maturazione della fede. Nella
celebrazione liturgica si educa la fede. In essa si costruisce la Chiesa. Per
suo mezzo viene modellata la vita del credente.
c. "La vita sacramentale
si impoverisce e diviene ben presto un ritualismo vuoto, se non è fondata su
una seria conoscenza del significato dei Sacramenti. E la catechesi diventa
intellettualista, se non prende vita nella pratica sacramentale" (CT 23).
E' il reciproco e inseparabile rapporto tra Liturgia e catechesi. L'iniziazione
alla Liturgia deve essere un compito ed un obiettivo della catechesi, in vista
di una partecipazione attiva, piena, consapevole, fruttuosa (SC 14).
"Quanto più una comunità cristiana è matura nella fede, tanto più vive il
suo culto in spirito e verità nelle celebrazioni liturgiche, specialmente
eucaristiche" (DCG 25).
d. "Si cerchi di
inculcare in tutti i modi una catechesi più direttamente liturgica, e negli
stessi riti siano previste, quando necessario, brevi didascalie da farsi con
formule prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente, ma solo
nei momenti più opportuni" (SC 35.3). Questo tipo di catechesi è chiamata,
dai Padri e dalle Liturgie, mistagogica:
tende ad introdurre nel mistero di Cristo procedendo dal visibile
all'invisibile, dal significante al significato, dai sacramenti ai misteri.
3.8. Liturgia e carità.
Abbiamo
detto che Liturgia significa "opera del popolo" ma anche "opera
di Dio" (cf Gv 17,4). Questa "opera" è il mistero stesso di
Cristo: rivelato e compiuto nella Economìa
(Ef 1,10; 3,9), confessato e celebrato nella Liturgia, vissuto e testimoniato nella Vita della Chiesa
E' da
notare che le espressioni del Nuovo Testamento non riducono affatto la Liturgia
alla celebrazione del culto divino[31] (cf
At 13,2; Lc 1,23), ma l'estendono all'annuncio dell'Evangelo (cf Rom 15,16; Fil
2,17.30) e alla carità in atto (cf Rom 15,27[32]; 2
Cor 9,12; Fil 2,25). In tutte queste situazioni la Liturgia implica il servizio
a Dio e agli uomini. Così nella Liturgia del mistero la Chiesa è
"serva" (come gli angeli, ministri-liturghi: Eb 1,7.14)[33], ad
immagine del suo Signore, l'unico Liturgo (Eb 8,2.6) che dà la massima espressione
sacerdotale di lode al Padre nel gesto liturgico supremo del "chinare il
capo" e rendere lo Spirito (Gv 19,30).
a. La Liturgia celebra la carità.
Dare la vita (Gv 15,13) come
atto di amore ad imitazione del Padre (Gv 3,16), è il segno che contraddistingue
i veri adoratori che devono appunto adorare Dio non in templi costruiti da mano
d'uomo, ma "nello Spirito e nella Verità" (Gv 4,23)[34].
Liturgia
e carità, nell'economìa dell'uno e dell'altro Testamento, sono l'una verifica
dell'altra[35]. La
Liturgia è sempre celebrazione epifanica della divina "filantropìa"
(= del grande amore con il quale Dio ci ha amati).
b. La Liturgia è "fonte"
di carità.
b.1. La Costituzione liturgica
Sacrosanctum concilium parlando della
Liturgia come "fonte" della vita della Chiesa, dice: "A sua
volta la Liturgia spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in
perfetta unione e domanda che "esprimano nella vita quanto hanno ricevuto
nella fede""[36].
Questo è anche lo
stile-contenuto della maggior parte dei post-communio della Messa (dalla Missa
alla "missio" per l'annuncio e per la diakonìa).
b.2. L'esempio dei Padri.
* S. Giovanni Crisostomo:
"Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri": il corpo di Cristo
che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello
che sta fuori ha bisogno di molta cura; impariamo dunque a onorare Cristo come
egli vuole (cf Mt 25.35.45)[37].
* S. Cesario d'Arles: "Se
qualcuno non consuma nella pratica la Parola di Dio, essa, come la manna, fa i
vermi (cf Es 16,20) i quali rodono.
b.3. Altri.
* "La Liturgia celebra la
carità e fa crescere la carità"[38].
* "La Liturgia, in quanto
opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo dove il divino e l'umano vengono a
contatto fra di loro, affinché il divino salvi ciò che è umano e l'umano
acquisti dimensione divina"[39].
* "L'Eucaristia immette
nella carità di Cristo che ha dato se stesso per noi fino al sacrificio di
sé"[40].
* "Ogni atto liturgico
riattualizza la missione radicata nel battesimo: ci manda ai fratelli"[41]; che
cosa manca alle nostre liturgie perché siano davvero promozionali?
* Saper cogliere la dimensione
ecclesiale e sociale dell'Eucaristia[42].
3.9.
Ciò che la liturgia non è.
Per far risaltare meglio ciò che la liturgia è, diciamo anche ciò che la liturgia non è.
a. Non è né spettacolo, né folklore, né finzione
drammatica.
Sebbene non manchino nel
tessuto celebrativo della liturgia cristiana elementi propri dello spettacolo e
delle tradizioni popolari, tuttavia sarebbe inadeguato e fuorviante assimilare
la celebrazione rituale ai generi suddetti.
Lo spettacolo infatti rappresenta l'evento; il folklore tramanda un patrimonio culturale; la
liturgia, invece, celebra-attua la
realtà storica di cui si fa "memoriale" (SC 102) estendendone
l'efficacia all'oggi della nostra storia
rendendola "storia di salvezza".
L'efficacia della liturgia non
sta dunque nella sua capacità drammatica-imitativa[43], ma
nella capacità di rendere presente-efficace-attuale
la Pasqua della nostra salvezza, cioè Cristo Signore Risorto sempre presente ed
operante nella sua Chiesa.
In questo senso ogni azione
liturgica è sempre e congiuntamente: * anamnesi:
"memoriale" di un fatto storico-salvifico passato; * epiclesi: "in-vocazione" dello
Spirito santificante perché tale avvenimento sia efficace qui-oggi- per-noi; * anticipo: "pegno" della gloria
futura nella caparra dello Spirito effuso nei nostri cuori (2 Cor 1,22; 5,5; Ef
1,14).
b. Non è semplice pratica
devozionale.
La liturgia non ricerca né il
sentimento, né la commozione; vuol solo far vivere il mistero pasquale del
Signore morto e risorto. Mentre la devozione ricerca il "privato", la
liturgia esige il "comunitario" e l'ufficiale perché è espressione di
una comunità (ecclesìa) di credenti.
Non è fatta perché "diverte"[44] o
perché piace, ma solo perché è incontro di salvezza col Risorto. Non è neppure
richiesto di essere "molti", ma unicamente "tutti" coloro
che ne sono interessati.
c. Non è azione magica.
La liturgia è
proclamazione-attuazione-celebrazione della salvezza offerta in dono; la
"magìa" al contrario è appropriazione-esproprio mediante una
ritualità razionale. Alla liturgia occorre: conoscenza, adesione intellettuale
e spirituale alla Parola ricevuta (intelligo
ut credam) e alla fede professata (credo
ut intelligam)[45]. Se
non c'è fede senza annunzio (cf Rom 10,17: la fede dipende dalla predicazione),
non c'è nemmeno salvezza senza sacramenti della fede[46].
Esige conversione e impegno totale.
BIBLIOGRAFIA
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VAGAGGINI C., Il senso teologico
della liturgia, Paoline, Roma 51965.
VERHEUIL A., Introduzione alla
liturgia (in diverse lingue).
[1]) Nella letteratura greca (es.
Senofonte) significa: eseguire un servizio pubblico a proprie spese. Nella
Bibbia greca dei LXX leitourgéo/leitourgìa
ricorre circa 140 volte con il significato di servizio dei sacerdoti e dei
leviti nel tempio. Nel N.T. leitourgìa
ricorre raramente (Eb 8,6; 9,21; Rom 15,16; Fil 2,17).
[2]) Questa "opera" è il
mistero stesso di Cristo rivelato e
compiuto nell'Economìa (Ef 1,10;
3,9), confessato e celebrato nella liturgia, vissuto e testimoniato nella vita
della Chiesa. La liturgia è congiuntamente: culto
divino (At 13,2; Lc 1,23); annuncio
(Rom 15,16; Fil 2,17.30), carità (Rom
15,27; 2 Cor 9,12; Fil 2,25).
[3]) CONCILIO ECUMENICO VATICANO
II, Sacrosanctum concilium,
Costituzione su la sacra liturgia (4.XII.1963). E' stato il primo documento ad
essere discusso ed approvato dal Concilio.
[4]) "Ciò che era visibile
nel nostro Salvatore è passato nei sacramenti" (s. Leone Magno: Ep. 74,2).
[5]) Non è esatto parlare di
"rinnovamento" della Pasqua, quasi che essa fosse diventata vecchia;
è preferibile dire "attuazione" nel senso che tutto quanto è avvenuto
una volta nel tempo storico di Cristo, si attua ancora e pienamente
nel'"oggi" del tempo della chiesa.
[6]) epìclesi, dal greco epì-kaléô,
significa in-vocare, chiamare sopra o chiamare accanto (da qui anche il termine
paràklêtos dato allo Spirito Santo:
Gv 14,16.17; 15,26; 16,13). Dice s.
Giovanni Damasceno "Tu chiedi come il pane e il vino divengono il corpo e
il sangue di Cristo? Ti rispondo: lo Spirito fa irruzione e compie ciò che
sorpassa ogni parola e ogni pensiero...Ti basti capire che è per mezzo dello
Spirito, allo stesso modo che dalla Vergine e dallo stesso Spirito ha assunto
la carne" (De fide ortodoxa, IV,
13).
[7]) Cf P. GIGLIONI, Salvezza Liturgia Inculturazione, in
AA.VV., "La salvezza oggi": Atti del Congresso Internazionale di
Missiologia (5-8 ottobre 1988), "Studia Urbaniana" 34, Urbaniana
University Press, Roma 1989, pp.383-396; anche in Euntes Docete 3 (1988) 461-472.
[8]) PAOLO VI, Lett. Enc. Mysterium Fidei sulla dottrina e il
culto della ss. Eucaristia (3.IX.1965): AAS 57 (1965) 753-774; Enchiridion Vaticanum (= EV) 2, 406-443.
[9]) Secondo LG 48 la Chiesa è
"universale sacramento di salvezza". Ogni liturgia, pertanto, è
legittima solo in quanto è fatta in comunione con la Chiesa (significata dalla
comunione con il Vescovo).
[10]) Significa che la differenza
non è tanto una questione di maggiore o minore dignità (= grado), quanto
piuttosto una differenza di natura (= sostanziale); differenza non significa
poi separazione o contrapposizione: sono infatti strettamente ordinati l'uno
all'altro [su "Il sacerdozio comune
nel suo rapporto col sacerdozio ministeriale" si veda il testo
proposto dalla COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNATIONALE, Temi scelti di ecclesiologia, ( 7 octobris 1985), n.7, in: CivCatt 136 (1985) 446-482; EV 9,
1668-1765; Regno\doc 1/1986, 32-45].
Si veda anche SYNODUS EPISCOPORUM (SECRETARIA), Lineamenta Ex Ecclesiae coetibus de vocatione et missione laicorum in Ecclesia
et in mundo viginti annis a concilio Vaticano II elapsis, 28 ianuarii 1985: OR 20.02.1985; EV 9, 1340-1409: "Entro il popolo sacerdotale e al suo
servizio, il Signore Gesù ha stabilito il sacerdozio ministeriale, ossia una
particolare partecipazione al suo sacerdozio che viene comunicata ai battezzati
dal sacramento dell'Ordine e che è ordinata al sacerdozio comune anche se da
questo differisce essenzialmente e non solo di grado" [EV 9, 1369].
[11]) Questo rapporto di
distinzione-complementarietà serve ad evitare due rischi: il rischio
"clericale" dove predomina il prete tuttofare; il rischio
"protestante" dove tutti sono alla pari senza alcuna distinzione tra
gerarchico e carismatico (cf LG 10).
[12]) Questa realtà della
partecipazione alla liturgia celeste è ben espressa al termine di ogni
"Prefazio" nella Messa: insieme con gli angeli ed i Santi con una sola voce
cantiamo...Riferimenti biblici in Fil 3,20; Col 3,4).
[13]) A questo proposito commenta
S. Agostino: "Quando poi il nostro desiderio sarà saziato di beni, non vi
sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con gioia" (Lettera a Proba, 130,14,27 - 15,28; CSEL
44,71-73: cf Ufficio delle letture, venerdì XXIX per annum).
[14]) Ci è data la caparra dello
Spirito (Ef 1,14; 2 Cor 1,22; 5,5) che, principio di risurrezione (Rom 8,11),
già ci abilita qui ad un vero culto spirituale (Rom 12,1), sacrificio vivente a
Dio gradito (Ef 5,2; Eb 9,14).
[15]) La liturgia è il necessario
punto di arrivo di ogni opera di evangelizzazione. Cristo infatti ha ordinato
non solo di "annunziare" l'Evangelo di salvezza, ma anche di
"attuare" per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti l'opera di salvezza
che annunziavano (SC 6). Si può parlare di "priorità"
dell'evangelizzazione e di "primato" della liturgia.
[16]) "Fino ad oggi il Signore
non vi aveva dato un cuore per conoscere, degli occhi per vedere, delle
orecchie per udire" (Dt 29,3).
[17]) Si può anche dire che mentre
la Liturgia è azione compiuta "da" Cristo e "dalla" Chiesa,
i pii esercizi sono invece azioni compiute "in" Cristo e
"nella" Chiesa:
[18]) Cf SEBUGAL S., Io credo. La fede della Chiesa, ed.
Dehoniane, Roma 1990, pp.1046-1047.
[19]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della
Commissione Episcopale per la Liturgia a vent'anni della Costituzione
Conciliare "Sacrosanctum Concilium" [21.9.1983], n.18 in ECEI 3, 1523-1548.
[20]) La necessaria catechesi
mistagogica dovrà evitare due pericoli: il formalismo (celebrare senza spirito,
solo per tradizione), il ritualismo (preoccuparsi solo dell'aspetto
esteriore-cerimoniale).
[21]) Sono da temere sia le
deviazioni "clericali" (il prete factotum), sia quelle
"protestanti" (laici e preti allo stesso titolo e livello).
[22]) "ortho-doxia"
significa: retta lode e retta fede. Autore di questo "indiculus"
sarebbe Prospero di Aquitania, un contemporaneo di s. Agostino, che visse tra
il 390 e il 460.
[23]) Già si è detto dei termini
impropri quali "rinnovare" o "ripetere" che suppongono
qualcosa di imperfetto.
[24]) Cf Sap 13,1; Rom 1,19-20; At 14,17.
[25]) S. Leone Magno, Sermo74,2
[26]) "Io trovo Te nei tuoi
misteri": S. Ambrogio, Apologia
Prophetae Davidis 58.
[27]) Anafora di s. Giovanni
Crisostomo.
[28]) S. Agostino, In Ps 85,1, CCL 39, 1178 (cf IGLH 7;
Ufficio delle letture: merc. V quaresima).
[29]) ALBERICH E., Liturgia e catechesi, in GEVAERT J. (a
cura di), Dizionario di catechetica,
LDC, Leumann (TO) 1986, 387-389.
[30]) CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Il rinnovamento della catechesi
n. 114.
[31]) Stessa cosa per lA.T.: vedere
testi come Os 6,6; 1 Sam 15,22-23; Is 1,11-12.15.19; 58,1-10; Ger 7,22; 11,3-4;
Am 5,21-25; vedere anche il "credo di Israele": Deut 6,4-5.13.
[32]) Si tratta della colletta per
i poveri di Gerusalemme organizzata dai convertiti della Macedonia e dell'Acaia
e chiamata "servizio sacro".
[33]) Eb 1,14: gli angeli sono
chiamati "spiriti liturghi" per una "diakonìa" verso coloro
che devono ereditare la salvezza.
[34]) Secondo Rom 12,1-2 il
"culto spirituale" dei cristiani è costituito dall'offerta del
proprio corpo come sacrificio vivente. San Paolo con questo testo introduce la
sezione sull'umiltà e la carità nella comunità (12,3-21).
[35]) Se non esiste vera Liturgia
(doxologia) senza il suo completamento nella carità (diakonìa), è altrettanto
vero che non sarebbe vera carità (agàpê) quella che non partecipasse e si
aprisse all'Amore che è Dio. Vedere due testi tipici (At 2,42-48: la comunità
ideale descritta da Luca vive della sinergia di didascalìa-eucaristìa-diakonìa-koinonìa;
1 Cor 11,17-34: non è capace di riconoscere il corpo-eucaristico di Cristo,
colui che non lo sa riconoscere nel suo corpo-ecclesiale).
[36]) E' la celebre espressione
attribuita a san Gregorio Magno ed attualmente presente in numerose
"collette" della Messa (es. lunedì di Pasqua).
[37]) Vedere tutto il testo in
"Ufficio delle letture": sabato XXI per annum.
[38]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale a vent'anni
dalla Costituzione conciliare "Sacrosanctum Concilium" [Roma,
21.XI.1983], n.22.
[39]) Ibìdem n. 23 che cita Sacrosanctum Concilium n.2,
[40]) CEI, Eucaristia, comunione e comunità, Documento pastorale
dell'Episcopato italiano [25.05.1983] n.105.
[41]) M. MAGRASSI, Liturgia, spiritualità e promozione umana,
Convegno ecclesiale "Evangelizzazione e promozione umana" [Roma, 30
ottobre - 4 novembre 1976], ed. LDC "Vita della Chiesa" 8, Torino
1977.
[42]) A. SORRENTINO, Eucaristia: dimensione ecclesiale e sociale.
Congresso eucaristico nazionale. Reggio Calabria 1988, ed. LDC, "Maestri
della fede" 183, Torino 1987. Vedere tutta la parte II: Eucaristia ed
etica sociale, Eucaristia è sacramento di carità, Eucaristia è sacramento di
socialità, Eucaristia è solidarietà, sacrificio, convivialità...
[43]) Nel teatro greco questo atteggiamento
era chiamato mymesis, cioè
"mimo", imitazione, finzione teatrale, rappresentazione dei fatti che
si riteneva fossero accaduti agli inizi dell'umanità; lo scopo era quello di
"attirare l'attenzione" degli dèi distratti (cf 1 Re 18,27-29; Qo
5,7; Sir 7,14; Mt 6,7)
[44]) Il cosiddetto aspetto ludico della liturgia, cioè una azione
fatta perché "diverte" o piace (es. si partecipa al coro liturgico
perché piace cantare in gruppo).
[45]) "La fede precede i
discorsi su Dio...e nasce dalle energie dello Spirito" (s. Basilio di
Cesarea: in Ps 115,1; s. Ambrogio: De Sacramentis: I.1).
[46]) La Chiesa ha infatti ricevuto
dal Signore due mandati tra loro inscindibili: andate e predicate il Vangelo
[Mc 16,15], andate e battezzate [Mt 28,19]; la salvezza è offerta a colui che
"crederà e sarà battezzato" [Mc 16,16].