LITURGIA SPIRITO E VITA

 

Prof. Paolo GIGLIONI

 

 

Con l'avvento di Cristo, unico e perfetto Liturgo della nuova alleanza, ha inizio il nuovo culto "in Spirito e verità", quello che il Padre desidera dai suoi veri adoratori (cfr Gv 4,23-24). Questo culto nuovo che sale al Padre nell'azione santificante dello Spirito e per la mediazione della Verità che è Cristo, è evento di salvezza, azione di Cristo e del suo popolo santo riunito nel suo nome, memoriale dell'alleanza pasquale, momento sorgivo della Chiesa e alimento della vita dei discepoli che la costituiscono.

Di questa liturgia indicheremo: il nome, la natura, l'importanza.

 

1. IL NOME.

 

Il termine greco "leitourgìa" (lêton = del popolo, érgon = azione) significa[1]:

* azione di Dio per il suo popolo: è infatti un'opera[2] divina (cf Gv 17,4) mediante la quale Dio santifica il suo popolo;

* azione del popolo per il suo Dio: opera-azione di glorificazione, opera dell'uomo verso il suo Dio.

Come la Chiesa, anche la Liturgia, ha la caratteristica di essere allo stesso tempo umana e divina, visibile, ma dotata di realtà invisibili (cfr SC 2).

 

2. LA NATURA.

 

Seguendo le indicazioni fornite dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium su la sacra liturgia[3], vediamo che la liturgia è intesa come:

 

2.1: Attuazione dell'opera della Redenzione (SC 2).

L'opera della redenzione è l'attuazione del disegno di Dio, il quale "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tim 2,4).

Un tale progetto di salvezza è rivelato e attuato in diversità di modi e di tempi (Eb 1,1-2):

a. diversità di modi: fase della religione naturale e del suo ambito culturale; fase della religione rivelata, prima ebraica, poi cristiana;

b. diversità di tempi: tempo della "profezia" in cui viene gradualmente rivelato l'eterno amore del Padre; tempo della "pienezza" o tempo di Cristo nel quale la salvezza da annuncio per gli uomini (Parola), si fa realtà negli uomini (carne): è il tempo del "Verbum-caro" (Gv 1,14) e della pienezza dei tempi ("kairoi": Gal 4,4; At 1,7; Rom 16,25-27; 1 Tim 3,16); tempo della "prosecuzione" nella Chiesa mediante la quale l'evento "storico" di Cristo diventa evento "sacramentale" per gli uomini di tutti i tempi.

Una sintesi di questo procedimento di salvezza è descritto da Efesini 1,13: "In lui anche voi dopo aver ascoltato (akoùsantes) l'Evangelo della vostra salvezza, e aver in esso creduto (pistéusantes), avete ricevuto il sigillo (esphragìsthête) dello Spirito Santo".

La liturgia diventa indispensabile cerniera tra il tempo di Cristo e il tempo della Chiesa; tra la storia della salvezza compiuta da Cristo per noi e la storia della salvezza attualizzata da Cristo in noi nell'azione santificante dello Spirito Santo. Una tale liturgia si presenta come:

* momento-sintesi: unisce annuncio e avvenimento; ciò che è avvenuto "una volta per sempre" (ephàpax: Rom 6,10; Eb 7,27; 9,12.26; 10,10.12.14), diventa "ogni volta" (osàkis: 1 Cor 11,26) presente-attuale-efficace qui-per-noi; ciò che è avvenuto "diacronicamente" (=lungo il tempo) nel tempo storico di Cristo, si attua "sincronicamente" (=stesso tempo) nell'azione sacramentale della Chiesa;

* momento ultimo: è la via ordinaria, fino alla parusìa, nella quale Dio incontra e salva l'uomo mediante l'economia sacramentale[4].

* anamnesi: è il "memoriale" che attualizza[5] il passato (1 Cor 11,24: fate questo come memoriale di me).

* epiclesi: è "invocazione"[6] dello Spirito perché compia oggi nella Chiesa ciò che Cristo ha attuato una volta per sempre secondo la volontà del Padre. "Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa" (SC 5). Nella Chiesa e mediante l'azione liturgico-sacramentale della Chiesa si attua "oggi" l'opera della nostra redenzione (SC 2); la fede dei partecipanti è alimentata; le menti sono sollevate verso Dio per rendergli un culto spirituale; si riceve con più abbondanza la sua grazia (SC 33).

* anticipazione: già si pregusta qui quanto dovrà compiersi nella celeste liturgia nel Regno (2 Cor 1,22; 5,5)[7].

 

A differenza degli altri culti, dunque, il culto cristiano non è iniziativa umana a cui Dio presti la sua potenza, ma piano di salvezza del Padre, volontà di Cristo fondatore, obbedienza piena e gioiosa della Chiesa animata dallo Spirito alla volontà del Maestro. Nel mistero del culto, per la mediazione del gesto sacramentale, l'evento di Cristo e la storia dell'uomo si compenetrano e si compongono in unità: il sacrificio di Cristo si completa nel sacrificio dei suoi discepoli (cfr SC 48).

 

2.2 Presenza reale di Cristo (SC 7).

Per realizzare un'opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, ed in modo speciale nelle azioni liturgiche. Nel sacrificio della Messa, ad esempio, è presente:

* nella persona del ministro: Egli che, offertosi una volta per sempre sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti;

* nei Sacramenti: di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza;

* nella sua parola: giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura;

* nell'assemblea della Chiesa che prega e loda: Lui che ha promesso che dove due o tre sono riuniti nel suo nome, si fa presente in mezzo a loro (Mt 18,20);

* soprattutto (tum maxime, praesertim) sotto le specie eucaristiche. Paolo VI nell'Enciclica Mysterium fidei[8] spiegò che queste forme di presenza sono tutte "reali", pur nella diversità di "modi" e di "luoghi". Nell'Eucaristia, pertanto, Cristo è "realmente" presente non "per esclusione" (quasi che le altre presenze non siano reali), ma per eccellenza; questa è dovuta al "modo" di presenza: sostanziale, permanente, tutto e intero; un modo legato cioè alla sostanza del pane e continuato anche dopo la celebrazione del sacrificio nel tutto e nelle singole parti.

 

2.3. Azione santificante e glorificante (SC 7b).

"In quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati..." (SC 7b), "Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e la preghiera" (SC 33). La Liturgia in genere, e quella eucaristica in particolare, si svolgono secondo un duplice movimento:

a. movimento santificante (o discendente): dal Padre, fonte di ogni grazia, per-con-in Cristo unico mediatore o pontefice di quest'opera di redenzione, nello Spirito di santificazione, a noi nella Chiesa e per mezzo della Chiesa[9] giunge ogni dono di salvezza (= theosis o divinizzazione: 2 Pt 1,4);

b. movimento glorificante (o ascendente): da noi nella Chiesa, nello Spirito di santificazione, per-con-in Cristo, al Padre ogni onore e gloria (= doxologia o glorificazione);

Per la stessa "via economica" per la quale Dio ci salva santificandoci, noi dobbiamo fare ritorno a Lui glorificandolo: una via e un metodo sempre strettamente "trinitari" nella successione dei movimenti e nel rispetto della competenza di ciascuna delle divine Persone. Una sintesi di tale movimento la troviamo nella grande "dossologia" eucaristica: "Per Cristo, con Cristo ed in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell'unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria".

Sacrosanctum Concilium al n. 5 presenta diffusamente la "natura trinitaria" della Liturgia: l'opera del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

 

2.4. La Liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Cristo (SC 7c).

Ogni azione liturgica è sempre opera di Cristo sacerdote e del suo corpo (sacerdotale) che è la Chiesa (SC 7c).

La Costituzione dogmatica Lumen gentium (LG 10) ha spiegato che pur partecipando tutto il popolo di Dio all'unico sacerdozio di Cristo, una tale partecipazione differisce "essenzialmente" e non solo di "grado"[10]. Infatti il sacerdozio di Cristo è comunicato a tutto il popolo sacerdotale su base "sacramentale":

* mediante il Battesimo: è il "sacerdozio comune" dei fedeli che vengono così abilitati ad esercitare il ruolo del "Cristo-Corpo" nell'assemblea liturgica;

* mediante il sacramento dell'Ordine: è il "sacerdozio ministeriale" dei presbiteri che, mediante questa nuova e speciale effusione dello Spirito vengono abilitati ad esercitare il ruolo del "Cristo-Capo" in mezzo all'assemblea liturgica.

Come tra capo e corpo non c'è conflitto, ma piuttosto necessaria complementarietà, così tra le due forme di partecipazione al sacerdozio di Cristo; il "sacerdozio ministeriale" dei presbiteri non esclude il "sacerdozio comune" dei fedeli, ma piuttosto "forma e regge" il popolo sacerdotale (LG 10) che può concorrere così all'offerta dell'Eucaristia non soltanto attraverso le mani del sacerdote, ma insieme con lui proprio in forza di questo regale sacerdozio (cf SC 48.14)[11].

Ogni celebrazione dovrà pertanto essere ordinata in modo tale che i ministri e i fedeli vi partecipino ciascuno secondo il proprio ordine e grado (cf IGMR 2); ciascuno deve fare tutto e soltanto ciò che gli compete (SC 28; IGMR 58); non vi deve essere neppure confusione di ruoli nel servizio e nello stesso vestire (IGMR 297).

 

2.5. E' partecipazione della liturgia celeste (SC 8).

Essendo azione eminentemente "ecclesiale" anche la Liturgia partecipa di quelle che sono le prerogative della Chiesa: è umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione ma dedita alla contemplazione (cf SC 21).

Ecco perché nella Liturgia che noi celebriamo qui sulla terra già partecipiamo, pregustandola, a quella celeste che viene celebrata nella santa Gerusalemme dove il Cristo "sempre vivente" intercede per noi (Eb 7,25; Rom 8,34) e verso la quale siamo incamminati come pellegrini (Eb 13,14). Fin da ora il nostro canto di lode è unito a quello degli angeli e dei Santi formando con loro un'unica voce nella speranza di essere un giorno con loro nella Liturgia celeste senza fine nella casa del Padre[12]. Non vi sono quindi due liturgie, una celeste e una terrena, ma un'unica liturgia partecipata da noi qui ora in maniera "assetata" e da pellegrini sotto il peso "delle sofferenze del momento presente" (Rom 8,18), e dai Santi in maniera "saziata" e da cittadini dei cieli già "partecipi della gloria futura" (Rom 8,18); noi qui mediante i "segni" sacramentali, loro ormai "faccia a faccia" nel santuario celeste (1 Cor 13,12; 1 Gv 3,2; cf LG 48. 50)[13]. "Mediante l'assemblea liturgica la Chiesa manifesta più pienamente l'indole escatologica della sua vocazione" (LG 48) ed "attua già su questa terra, in maniera nobilissima, la sua unione con la Chiesa celeste" (LG 50).

Tra liturgia terrena e liturgia celeste vi è un duplice legame: * teologico, a motivo della presenza dell'unico Signore e Liturgo (Eb 8,2.6), il Signore Risorto; * cronologico, a motivo del "già" che noi abbiamo (Gal 5,25) in rapporto al "non ancora" che deve compiersi (1 Gv 3,2; Fil 3,21)[14].

 

2.6. E' culmine e fonte della vita della Chiesa (SC 9-10).

Pur non esaurendo tutta l'azione della Chiesa, tuttavia "la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù" (SC 10).

A motivo di questa sua "centralità" nella vita della Chiesa, il Concilio ha detto: "Dalla Liturgia, e particolarmente dalla Eucaristia, deriva a noi, come da sorgente, la grazia e si ottiene, con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine le altre attività della Chiesa" (SC 10).

La liturgia, pertanto, è:

a. "culmine" perché verso di essa convergono tutte le attività della Chiesa, soprattutto l'evangelizzazione (cf Rom 10,14-15); per questo la Chiesa: * annuncia la salvezza a coloro che ancora non credono (= kerygma), * predica la fede e la penitenza ai credenti (= catechesi; cf CT 23), * li dispone ai sacramenti, e insegna loro ad osservare i comandamenti e ad esercitare la carità (=omelìa, mistagogìa, parenèsi) (SC 9)[15], * compie una "nuova evangelizzazione per coloro che si sono allontanati dalla chiesa o che hanno perduto il senso vivo della fede (RM 33). Pertanto: se non c'è fede senza annuncio, non c'è nemmeno salvezza senza sacramenti della fede; la Chiesa ha ricevuto congiuntamente e inseparabilmente tanto la missione di "predicare" l'Evangelo ad ogni creatura (Mc 16,15) quanto la missione di "battezzare" nel nome della santa Trinità (Mt 28,19), perché la salvezza è promessa a colui che "crederà e sarà battezzato" (Mc 16,16).

b. "fonte" perché da essa scaturisce la grazia e si ottiene con la massima efficacia la santificazione del popolo di Dio. Spinge inoltre i fedeli a tradurre nella vita quanto hanno ricevuto nella fede (SC 10). Se la missione-evangelizzazione culmina nella Liturgia, dalla Liturgia nasce e trae forza la missione (cf SC 10; PO 5). Dalla liturgia come "fonte" traggono origine: la koinonìa o comunione tra le membra dell'unico corpo (1 Cor 12,12s); la mistagogìa o introduzione ai santi misteri partendo dai segni della stessa liturgia; la diakonìa o servizio verso i fratelli (cf At 2,42ss); la apologìa o difesa della fede con la parola e lo scritto (cf 1 Pt 3,15; cf LG 10); la martyrìa o testimonianza fino al dono della vita (cf At 1,8; 22,15; cf AG 5, RMi 45); la missione o testimonianza, con la parola e le opere, della Buona Novella (Cf PO 5-6; SC 10).

Tutto questo, ovviamente, non avviene in una forma "magica". Per ottenere questa efficacia di santificazione è necessario che i fedeli si accostino alla sacra Liturgia con le dovute "disposizioni personali" (SC 11).

La liturgia sta dunque nel cuore della Chiesa: qui la chiesa vive ed esprime la sua vera identità come comunità: battesimale, scelta non secondo la carne ma chiamata per vocazione e passata oltre le acque battesimali come nuovo Israele; nuziale perché sposa del Cristo che risponde "sì" nella fede e attende nella fedeltà il suo Sposo che torni (1 Cor 11,26; Mt 25,1-13); cattolica, perché supera le barriere di razza, di lingua, di cultura, di spazio, di tempo: è "ante et retro oculata" (s. Bernardo); diakonale, ordinata al servizio di Dio e del mondo e articolata nella diversità di ordini e di ministeri (LG 4.12); missionaria, perché si raduna nel "primo giorno" della settimana (l'inizio, l'alfa), che è anche "l'ottavo" (il compimento, l'omega), e sa di essere "diastole" verso il mondo per santificarlo e "sistole" per riportare il mondo verso il cuore della chiesa che è l'Eucaristia (cf PO 5: "Per questo l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelilzzazione").

 

2.7. E' coinvolgimento di tutta la persona.

Non solo lo spirito, ma anche il corpo deve partecipare all'azione liturgica in modo da ottenere una partecipazione "consapevole, attiva, fruttuosa"; ciò suppone:

* retta disposizione d'animo (la liturgia "accresce" la fede, ma "suppone" anche la fede); "Chi salirà il monte del Signore? Chi ha mani innocenti e cuore puro" (Sal 24 [23], 3-4)

* conformare la  mente alle parole che si pronunziano ("mens concordet voci": s. Benedetto citato in SC 90 e IGLH 19.105);

* cooperare con la grazia divina per non riceverla invano,

* osservare le regole liturgiche,

* partecipare in maniera attiva-piena-consapevole-fruttuosa (SC 11.19.21.27.41.48).

E' per questo che la liturgia si attua per mezzo di "segni sensibili" che significano-realizzano i misteri da essi annunciati (SC 7). Per mezzo dei "santi segni" Cristo continua il suo mistero di incarnazione che allo stesso tempo rivela e nasconde la sua vera identità: apre lo spirito all'intelligenza; apre gli occhi, la bocca, le orecchie; scioglie le membra rigide[16]. Coinvolge la persona nella globalità dei suoi àmbiti: logico (intelligenza, comunicazione: cf 1 Cor 14,14-20); acustico ("La fede dall'ascolto": Rom 10,17; la Parola è parlata, letta, proclamata, recitata, cantata; si fa anche silenzio; si suonano gli strumenti); ottico (vedere, contemplare, ammirare, nascondere, velare, ostendere, illuminare, abbuiare); cinetico (in piedi, in ginocchio, seduti, inchinati, genuflessi, prostrati, processione, camminare, danzare, battere le mani). Sono segni presi dalla creazione (luce, acqua, fuoco...), dalla vita umana (lavare, ungere, bere, mangiare...), dalla storia della salvezza (l'immersione, il sacrificio....).

 

3. IMPORTANZA.

Da quanto è stato detto circa la "natura" della Liturgia è facile dedurre che tale azione ha nella vita della Chiesa una importanza:

 ecclesiale: * ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa in tempio santo del Signore, in abitazione di Dio nello Spirito (Ef 2,21-22), fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,13) (SC 2); * fa crescere ogni giorno di più la vita cristiana tra i fedeli (SC 1); * assicura maggiormente al popolo cristiano l'abbondante tesoro di grazie che la sacra liturgia racchiude (SC 21); * è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano (SC 14);  missionaria: * irrobustisce in modo mirabile le loro forze perché possano predicare il Cristo (SC 2); * contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella vita quanto hanno ricevuto nella fede (SC 10) e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa (SC 2)  ecumenica: * a coloro che sono fuori mostra la Chiesa come vessillo innalzato sui popolo (Cf Is 11,12) sotto il quale i dispersi figli di Dio possano raccogliersi (cf Gv 11,52), finché si faccia un solo ovile e un solo pastore (cf Gv 10,16) [SC 2] * favorisce tutto ciò che contribuisce all'unione di tutti i credenti in Cristo (SC 1); * rinvigorisce tutto ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa (SC 1); antropologica: * dare nuovo vigore ai testi e ai riti come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo (SC 4) in modo che le sante realtà in essi significate siano espresse più chiaramente (SC 21) ed i fedeli possano così partecipare alla liturgia non quali muti spettatori, ma comprendendola bene vi partecipino consapevolmente-piamente-attivamente-fruttuosamente (SC 48).

Possiamo dire che l'importanza della liturgia sta nel fatto che:

 

3.1: La liturgia è azione sacra per eccellenza

Essendo azione sacra per eccellenza "nessun'altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l'efficacia" (SC 7d). Già abbiamo detto, però, che la liturgia non esaurisce tutta l'azione della chiesa (SC 9); ciò significa che la sua preminenza e la sua eccellenza non sono "esclusive", ma "complementari" con le altre forme di vita e di azione presenti nella comunità ecclesiale. Dovranno essere impostati alcuni rapporti ben chiari tra:

 

3.1.1.. Liturgia e preghiera personale (SC 12).

"La vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia" (SC 12). Significa che oltre alle azioni liturgiche comunitarie (che restano la forma tipica e privilegiata del pregare: SC 27) vi deve essere anche la preghiera "personale" e privata che ciascuno è tenuto a fare entrando nella propria stanza per pregare il Padre in segreto (cf Mt 6,6). Chi non sa pregare individualmente in segreto, come potrà pregare comunitariamente nell'assemblea comunitaria? E poiché occorre pregare sempre senza interruzione (Lc 18,1) è evidente che oltre allo spazio riservato alla liturgia comunitaria deve esserci necessariamente la preghiera personale che occupa il resto del tempo.

Le due forme di preghiera, pertanto, non sono in opposizione o concorrenza tra loro, ma si completano a vicenda e stanno in stretta continuità tra loro. Non vi sia però neppure sovrapposizione nel senso che il tempo della preghiera liturgica-comunitaria non deve essere occupato per le preghiere personali e devozionali.

 

3.1.2. Liturgia e pii esercizi (SC 13)

Per Liturgia, come è stato fin qui spiegato, si intende l'azione pubblica, solenne, qualificata di culto il cui "soggetto" celebrante è Cristo e la Chiesa ed il cui "oggetto" celebrato è il mistero pasquale di Cristo e la vita della Chiesa secondo testi-riti regolati dall'Autorità della Chiesa (SC 22 § 1). La Liturgia è perciò la preghiera del "Cristo totale": Capo e membra esercitano il culto pubblico integrale, l'azione sacra per eccellenza, opera del Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa (SC 7)[17]. Essa, in effetti, forma col suo Capo la "mistica persona" del "Cristo totale". Misticamente unita dallo Spirito al suo Capo, essa partecipa del suo intercessore servizio celeste "innanzi a Dio" (cf Eb 9,24; 7,25; 1 Gv 2,1)[18].

I "pii esercizi" sono invece azioni di devozione il cui "soggetto" sono le singole persone, ed il cui "oggetto" sono composizioni e forme di libera iniziativa dei fedeli senza che intervenga la Chiesa con la sua autorità per regolarle.

Dal momento che la Liturgia è azione sacra per eccellenza, nessun'altra azione della Chiesa allo stesso titolo e allo stesso grado ne uguaglia l'efficacia (SC 7).

Tra Liturgia e pii esercizi vi devono essere rapporti di:

* armonia: rispetto dei tempi e delle leggi della liturgia;

* ispirazione: i pii esercizi devono arricchirsi e imitare i contenuti e lo stile celebrativo della Liturgia ritenuto di gran lunga superiore;

* condurre alla Liturgia ed arricchire la Liturgia stessa con i loro valori (es. maggiore partecipazione, intensità di espressione e di calore umano, contatto con la vita quotidiana. In certe epoche è stata l'unica forma di pietà accessibile al popolo cristiano, escluso come era dalla ricchezza della liturgia);

* non sovrapposizione: durante la Liturgia non si devono fare i pii esercizi (es. la recita del Rosario, le Novene);

* non esclusione: non deve esistere solo la Liturgia, ma nel rispetto dei tempi e delle norme liturgiche, devono pure essere conservati e valorizzati i pii esercizi);

* non concorrenza: non vi deve essere dubbio di fronte ad una scelta: le azioni liturgiche devono avere la precedenza essendo "di gran lunga" superiori ai pii esercizi; è dunque un errore lasciare la Liturgia delle Ore per far spazio ad un pio esercizio, ad es. la Via Crucis in tempo di Quaresima.

            Si dovrà quindi comporre in armonìa liturgia e pietà popolare, ispirando la seconda alla prima (cf SC 13) e vivificando quella con questa, senza esclusivismi e senza preclusioni, ma anche senza "fondere" o "confondere" le due forme di pietà: il popolo cristiano avrà sempre bisogno dell'una e dell'altra, e a Dio bisognerà lasciare aperte tutte le strade che conducono al cuore dell'uomo[19].

            I pii esercizi, pertanto, siano mantenuti, rispettati, valorizzati, ma nei loro tempi e nell'ambito che loro compete; possono essere anche assunti, nell'ambito dell'adattamento liturgico, come parte integrante dei segni-riti della liturgia (SC 37-40).

 

3.2. Si dovrà promuovere la formazione e la partecipazione attiva. (SC 14)

Per poter avere un vero "rinnovamento" liturgico e non un semplice "aggiornamento", occorre dedicare alla liturgia una specialissima cura che si concretizza in un'opera di:

a. formazione. Il Concilio ha chiaramente detto che la Liturgia "è la prima e indispensabile fonte alla quale i fedeli possano attingere il genuino spirito cristiano" (SC 14). Per poter attingere da questa sorgente inesauribile e preziosa, si richiede:

a.1. formazione del clero: i pastori per primi devono essere penetrati dello spirito e della forza della Liturgia per poter essere in grado a loro volta di formare anche i fedeli; la formazione liturgica del clero è posta come una "conditio sine qua non". Formare anche i professori di liturgia (SC 15) e porre l'insegnamento della liturgia tra le materie necessarie e principali nelle facoltà teologiche e nei seminari (SC 16). Gli stessi seminari e gli istituti religiosi devono essere profondamente permeati di spirito liturgico (SC 17).

A loro volta i pastori dovranno curare con zelo e pazienza, con la parola e con l'esempio, la formazione liturgica dei fedeli (esterna ed interna, dello spirito come della legge: SC 19), facendo volentieri ricorso ai mezzi audiovisivi e della comunicazzione (SC 20).

a.2. la formazione dei fedeli: devono avere una opportuna "mistagogia" o iniziazione alla Liturgia che permetta loro di penetrare il senso sei sacri riti e delle parole e di prendervi parte con tutto il loro animo, imparando anche ad osservare le leggi liturgiche (cf SC 17).

Attraverso la formazione liturgica tutto il popolo cristiano deve essere in grado di poter comprendere il senso di ciò che compie e vivere ciò che celebra (cf SC 18).

Si cerchi anche di inculcare in tutti i modi una catechesi più direttamente liturgica (SC 35.3)[20].

 

b. partecipazione attiva. La Chiesa desidera ardentemente che i fedeli abbiano una "partecipazione piena, attiva, consapevole alle celebrazioni liturgiche", per due motivi:

b.1.: lo richiede la natura stessa della Liturgia in quanto azione ecclesiale, comunitaria e non privata (SC 27); le azioni liturgiche, infatti, non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa...tali azioni appartengono all'intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano (SC 26; CIC 837 § 1);

b.2.: lo richiede, come diritto-dovere, la dignità battesimale dei fedeli "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto" (1 Pt 2,9; cf 2,4-5).

I pastori, pertanto, dovranno curare con zelo e pazienza, con la parola e con l'esempio, la formazione liturgica dei fedeli.

Partecipazione attiva, però significa anche rispetto dei propri ruoli; "nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza" (SC 28; IGMR 58)[21].

"L'interesse per l'incremento e il rinnovamento della Liturgia è giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa" (SC 43).

 

3.3. Lex orandi, lex credendi.

Questa espressione, attribuita a Prospero di Aquitania, significa: "La legge (= norma) del pregare stabilisce la legge del credere": la fede regola la preghiera e la preghiera regola la fede; se si prega bene e soprattutto con contenuti esatti, anche la fede sarà salda e senza eresie[22]. Per l'azione dello Spirito, fede e preghiera sono inseparabilmente unite: la preghiera vera scaturisce dalla fede e la fede trova la sua espressione più ricca nella preghiera della Chiesa. A seguito di questa convinzione, da sempre la Chiesa ha controllato le espressioni della Liturgia evitando nel modo più assoluto che i singoli possano introdurre o cambiare qualcosa di loro iniziativa (cf SC 22 § 3). La liturgia è celebrata nella fede della Chiesa.

Tuttavia la Chiesa non intende imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità; anzi rispetta e favorisce le qualità e le doti d'animo delle varie razze e dei vari popoli; tutto ciò poi che nei costumi dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato, anzi a volte lo ammette nella stessa Liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico (SC 37).

Si dovrà quindi lasciare posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, soprattutto nelle missioni (SC 38).

Questo principio che si chiama "adattamento liturgico" deve essere fatto dalle Conferenze episcopali e sottoposto all'approvazione della Santa Sede prima di passare all'uso liturgico dei fedeli (SC 39-40).

Regolare la sacra Liturgia compete unicamente all'autorità della Chiesa (SC 22 § 1).

 

3.4. Una Liturgia epifanìa del mistero.

La Chiesa deve celebrare il culto divino in modo che esso sia "epifanìa" del mistero d'amore di Dio per i suoi figli. Allo stesso tempo dovrà essere docile a lasciarsi modellare dalle realtà celebrate per essere degna essa stessa di celebrarle e annunciarle agli uomini.

Una liturgia che sia al tempo stesso annuncio e conferma, esortazione e verifica, ammonimento e sprone per ogni singolo fedele e per l'intera comunità. Una liturgia che, vivendo di fede, nutra la fede; cantando la speranza, susciti la speranza; celebrando la carità, faccia crescere la carità.

Essendo non solo rito, ma soprattutto mistero, la liturgia esige l'adesione cosciente e fervorosa di quanti vi partecipano; suppone la fede, la speranza, la carità e tante altre virtù, come l'umiltà, il pentimento, il perdono delle offese, l'intenzione, l'attenzione, l'espressione interiore ed esteriore...atteggiamenti che sospingono il fedele all'immersione nella realtà divina che la celebrazione liturgica rende presente e operante. Una liturgia, ricordiamolo, credente, innegginte, sensibile all'esperienza terrestre, pellegrina verso la celebrazione nuziale nella Gerusalemme celeste. Solo così la liturgia potrà generare, nutrire, accrescere la chiesa che celebra.

 

3.5. Una liturgia da celebrare.

Il termine "celebrare", riferito alla liturgia, indica un servizio-azione che ha lo scopo di manifestare-attualizzare-comunicare ciò che Cristo ha compiuto una volta per sempre nella sua opera di redenzione[23]. Celebrare suppone una "comunità" dal momento che le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa intera (SC 27; CIC 837.1); appartengono all'intero corpo della Chiesa: lo manifestano e lo implicano (SC 26). Celebrare suppone un clima di "festa": celebriamo infatti non le nostre idee ma il Signore Risorto nostra Pasqua. Celebrare suppone l'utilizzazione di "segni" e "simboli" secondo l'ordine della creazione attraverso la quale Dio stesso si manifesta[24], e dal momento che Cristo stesso "è passato nei suoi misteri"[25] e nei suoi misteri si fa trovare[26].

Principale "Liturgo" di questa celebrazione è Cristo: "lo stesso che offre ed è offerto, che dona ed è donato"[27]. Egli però in quest'opera così grande associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende culto all'Eterno Padre (SC 7b). Ogni celebrazione è dunque il culto pubblico integrale che viene esercitato dal Christus totus, ciè dal Capo e dalle sue membra (SC 7c): "Cristo prega per noi, prega in noi ed è pregato da noi...Riconosciamo dunque in lui le nostre voci e la sua voce in noi"[28]. In questa celebrazione la Chiesa orante è assistita dallo Spirito Santo (Rom 8,26; Ap 22,17-20; 1 Cor 16,22; Gal 4,6; Giuda 20): non vi può essere alcuna preghiera cristiana senza l'azione dello Spirito Santo (IGLH 8).

Il fine ultimo di ogni celebrazione è, secondo SC 59: dossologico (dare gloria a Dio: Gv 17, 1-4), soteriologico (la salvezza-deificazione del Corpo di Cristo: 1 Gv 5,11; Gv 16,14; 2 Pt 1,4), ecclesiologico (edificare il Corpo di Cristo in tempio santo, in abitazione di Dio nello Spirito: cf Ef 2,21-22; SC 2), didattico (istruire il popolo fedele: SC 33; nella Liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo [=AT] e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo [=NT]); missiologico (contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa [SC 2]; rinvigorisce tutto ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa [SC 1]; per questo la liturgia, ed in specie l'Eucaristia, si presenta come culmine e fonte di tutta l'evangelizzazione [PO 5]; coloro che annunciano il Vangelo compiono una vera "liturgia": Rom 15,16).

 

3.6. Liturgia e missione.

L'opera missionaria di san Paolo è descritta come una diakonía, un rendere culto a Dio (latréuô: Rm 1,9); egli stesso si considera un ministro (leitourgòn) che, esercitando l'ufficio sacro (hierourgoúnta) del Vangelo di Dio, rende possibile l'offerta dei pagani quale oblazione (prosphorá) gradita e santificata dallo Spirito (Rm 15,16). Anche altrove la missione è descritta con linguaggio e contenuti liturgici. La missione ricevuta da Dio di realizzare la sua parola presso i pagani, comporta un sacrificio che il missionario deve completare nelle proprie membra quale prolungamento di quello di Cristo (Col 1,24-25). E lo stesso Spirito che tutto ricorda e tutto insegna (Gv 14,26), accompagna sia la missione (AG 4) sia la celebrazione liturgica (SC 6). La missione diventa così una vera celebrazione per la gloria di Dio, per la salvezza delle genti.

 

3.7. Liturgia e catechesi[29].

Secondo le indicazioni di Catechesi Tradendae "La catechesi è intrinsecamente collegata con tutta l'azione liturgica e sacramentale, perché è nei Sacramenti e, soprattutto, nell'Eucaristia che Gesù Cristo agisce in pienezza per la trasformazione degli uomini" (CT 23). Il rapporto tra Liturgia e catechesi può essere così riassunto:

a. "Ogni catechesi conduce necessariamente ai Sacramenti della fede" (CT 23); in questo senso la Liturgia resta il culmine, cioè il punto di arrivo, dell'azione evangelizzatrice della Chiesa (SC 10).

b. "D'altra parte, un'autentica pratica dei Sacramenti ha necessariamente un aspetto catechetico" (CT 23). Ogni Liturgia, in quanto lex orandi, diviene necessariamente anche lex credendi: i suoi riti e le sue preghiere sono una fonte inesauribile di insegnamento delle grandi verità della fede. "La Liturgia è una ricca fonte di istruzione per il popolo fedele" (SC 33). La Liturgia resta la "prima e indispensabile fonte" del genuino spirito cristiano (SC 14). La Liturgia è una preziosa catechesi in atto[30]. Senza celebrazione della fede non ci sarebbe maturazione della fede. Nella celebrazione liturgica si educa la fede. In essa si costruisce la Chiesa. Per suo mezzo viene modellata la vita del credente.

c. "La vita sacramentale si impoverisce e diviene ben presto un ritualismo vuoto, se non è fondata su una seria conoscenza del significato dei Sacramenti. E la catechesi diventa intellettualista, se non prende vita nella pratica sacramentale" (CT 23). E' il reciproco e inseparabile rapporto tra Liturgia e catechesi. L'iniziazione alla Liturgia deve essere un compito ed un obiettivo della catechesi, in vista di una partecipazione attiva, piena, consapevole, fruttuosa (SC 14). "Quanto più una comunità cristiana è matura nella fede, tanto più vive il suo culto in spirito e verità nelle celebrazioni liturgiche, specialmente eucaristiche" (DCG 25).

d. "Si cerchi di inculcare in tutti i modi una catechesi più direttamente liturgica, e negli stessi riti siano previste, quando necessario, brevi didascalie da farsi con formule prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente, ma solo nei momenti più opportuni" (SC 35.3). Questo tipo di catechesi è chiamata, dai Padri e dalle Liturgie, mistagogica: tende ad introdurre nel mistero di Cristo procedendo dal visibile all'invisibile, dal significante al significato, dai sacramenti ai misteri.

 

3.8. Liturgia e carità.

Abbiamo detto che Liturgia significa "opera del popolo" ma anche "opera di Dio" (cf Gv 17,4). Questa "opera" è il mistero stesso di Cristo: rivelato e compiuto nella Economìa (Ef 1,10; 3,9), confessato e celebrato nella Liturgia, vissuto e testimoniato nella Vita della Chiesa

E' da notare che le espressioni del Nuovo Testamento non riducono affatto la Liturgia alla celebrazione del culto divino[31] (cf At 13,2; Lc 1,23), ma l'estendono all'annuncio dell'Evangelo (cf Rom 15,16; Fil 2,17.30) e alla carità in atto (cf Rom 15,27[32]; 2 Cor 9,12; Fil 2,25). In tutte queste situazioni la Liturgia implica il servizio a Dio e agli uomini. Così nella Liturgia del mistero la Chiesa è "serva" (come gli angeli, ministri-liturghi: Eb 1,7.14)[33], ad immagine del suo Signore, l'unico Liturgo (Eb 8,2.6) che dà la massima espressione sacerdotale di lode al Padre nel gesto liturgico supremo del "chinare il capo" e rendere lo Spirito (Gv 19,30).

 

            a. La Liturgia celebra la carità.

Dare la vita (Gv 15,13) come atto di amore ad imitazione del Padre (Gv 3,16), è il segno che contraddistingue i veri adoratori che devono appunto adorare Dio non in templi costruiti da mano d'uomo, ma "nello Spirito e nella Verità" (Gv 4,23)[34].

Liturgia e carità, nell'economìa dell'uno e dell'altro Testamento, sono l'una verifica dell'altra[35]. La Liturgia è sempre celebrazione epifanica della divina "filantropìa" (= del grande amore con il quale Dio ci ha amati).

 

            b. La Liturgia è "fonte" di carità.

b.1. La Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium parlando della Liturgia come "fonte" della vita della Chiesa, dice: "A sua volta la Liturgia spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione e domanda che "esprimano nella vita quanto hanno ricevuto nella fede""[36].

Questo è anche lo stile-contenuto della maggior parte dei post-communio della Messa (dalla Missa alla "missio" per l'annuncio e per la diakonìa).

 

b.2. L'esempio dei Padri.

* S. Giovanni Crisostomo: "Adorna il tempio, ma non trascurare i poveri": il corpo di Cristo che sta sull'altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura; impariamo dunque a onorare Cristo come egli vuole (cf Mt 25.35.45)[37].

* S. Cesario d'Arles: "Se qualcuno non consuma nella pratica la Parola di Dio, essa, come la manna, fa i vermi (cf Es 16,20) i quali rodono.

 

b.3. Altri.

* "La Liturgia celebra la carità e fa crescere la carità"[38].

* "La Liturgia, in quanto opera di Cristo e della Chiesa, è il luogo dove il divino e l'umano vengono a contatto fra di loro, affinché il divino salvi ciò che è umano e l'umano acquisti dimensione divina"[39].

* "L'Eucaristia immette nella carità di Cristo che ha dato se stesso per noi fino al sacrificio di sé"[40].

* "Ogni atto liturgico riattualizza la missione radicata nel battesimo: ci manda ai fratelli"[41]; che cosa manca alle nostre liturgie perché siano davvero promozionali?

* Saper cogliere la dimensione ecclesiale e sociale dell'Eucaristia[42].

 

3.9. Ciò che la liturgia non è.

Per far risaltare meglio ciò che la liturgia è, diciamo anche ciò che la liturgia non è.

a. Non è né spettacolo, né folklore, né finzione drammatica.

Sebbene non manchino nel tessuto celebrativo della liturgia cristiana elementi propri dello spettacolo e delle tradizioni popolari, tuttavia sarebbe inadeguato e fuorviante assimilare la celebrazione rituale ai generi suddetti.

Lo spettacolo infatti rappresenta l'evento; il folklore tramanda un patrimonio culturale; la liturgia, invece, celebra-attua la realtà storica di cui si fa "memoriale" (SC 102) estendendone l'efficacia all'oggi della nostra storia  rendendola "storia di salvezza".

L'efficacia della liturgia non sta dunque nella sua capacità drammatica-imitativa[43], ma nella capacità di rendere presente-efficace-attuale la Pasqua della nostra salvezza, cioè Cristo Signore Risorto sempre presente ed operante nella sua Chiesa.

In questo senso ogni azione liturgica è sempre e congiuntamente: * anamnesi: "memoriale" di un fatto storico-salvifico passato; * epiclesi: "in-vocazione" dello Spirito santificante perché tale avvenimento sia efficace qui-oggi- per-noi; * anticipo: "pegno" della gloria futura nella caparra dello Spirito effuso nei nostri cuori (2 Cor 1,22; 5,5; Ef 1,14).

b. Non è semplice pratica devozionale.

La liturgia non ricerca né il sentimento, né la commozione; vuol solo far vivere il mistero pasquale del Signore morto e risorto. Mentre la devozione ricerca il "privato", la liturgia esige il "comunitario" e l'ufficiale perché è espressione di una comunità (ecclesìa) di credenti. Non è fatta perché "diverte"[44] o perché piace, ma solo perché è incontro di salvezza col Risorto. Non è neppure richiesto di essere "molti", ma unicamente "tutti" coloro che ne sono interessati.

c. Non è azione magica.

La liturgia è proclamazione-attuazione-celebrazione della salvezza offerta in dono; la "magìa" al contrario è appropriazione-esproprio mediante una ritualità razionale. Alla liturgia occorre: conoscenza, adesione intellettuale e spirituale alla Parola ricevuta (intelligo ut credam) e alla fede professata (credo ut intelligam)[45]. Se non c'è fede senza annunzio (cf Rom 10,17: la fede dipende dalla predicazione), non c'è nemmeno salvezza senza sacramenti della fede[46]. Esige conversione e impegno totale.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

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VAGAGGINI C., Il senso teologico della liturgia, Paoline, Roma 51965.

VERHEUIL A., Introduzione alla liturgia (in diverse lingue).

 

 

 

 

 

 

 



[1]) Nella letteratura greca (es. Senofonte) significa: eseguire un servizio pubblico a proprie spese. Nella Bibbia greca dei LXX leitourgéo/leitourgìa ricorre circa 140 volte con il significato di servizio dei sacerdoti e dei leviti nel tempio. Nel N.T. leitourgìa ricorre raramente (Eb 8,6; 9,21; Rom 15,16; Fil 2,17).

 

[2]) Questa "opera" è il mistero stesso di Cristo rivelato e compiuto nell'Economìa (Ef 1,10; 3,9), confessato e celebrato nella liturgia, vissuto e testimoniato nella vita della Chiesa. La liturgia è congiuntamente: culto divino (At 13,2; Lc 1,23); annuncio (Rom 15,16; Fil 2,17.30), carità (Rom 15,27; 2 Cor 9,12; Fil 2,25).

 

[3]) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Sacrosanctum concilium, Costituzione su la sacra liturgia (4.XII.1963). E' stato il primo documento ad essere discusso ed approvato dal Concilio.

 

[4]) "Ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei sacramenti" (s. Leone Magno: Ep. 74,2).

 

[5]) Non è esatto parlare di "rinnovamento" della Pasqua, quasi che essa fosse diventata vecchia; è preferibile dire "attuazione" nel senso che tutto quanto è avvenuto una volta nel tempo storico di Cristo, si attua ancora e pienamente nel'"oggi" del tempo della chiesa.

 

[6]) epìclesi, dal greco epì-kaléô, significa in-vocare, chiamare sopra o chiamare accanto (da qui anche il termine paràklêtos dato allo Spirito Santo: Gv  14,16.17; 15,26; 16,13). Dice s. Giovanni Damasceno "Tu chiedi come il pane e il vino divengono il corpo e il sangue di Cristo? Ti rispondo: lo Spirito fa irruzione e compie ciò che sorpassa ogni parola e ogni pensiero...Ti basti capire che è per mezzo dello Spirito, allo stesso modo che dalla Vergine e dallo stesso Spirito ha assunto la carne" (De fide ortodoxa, IV, 13).

 

[7]) Cf P. GIGLIONI, Salvezza Liturgia Inculturazione, in AA.VV., "La salvezza oggi": Atti del Congresso Internazionale di Missiologia (5-8 ottobre 1988), "Studia Urbaniana" 34, Urbaniana University Press, Roma 1989, pp.383-396; anche in Euntes Docete 3 (1988) 461-472.

 

[8]) PAOLO VI, Lett. Enc. Mysterium Fidei sulla dottrina e il culto della ss. Eucaristia (3.IX.1965): AAS 57 (1965) 753-774; Enchiridion Vaticanum (= EV) 2, 406-443.

 

[9]) Secondo LG 48 la Chiesa è "universale sacramento di salvezza". Ogni liturgia, pertanto, è legittima solo in quanto è fatta in comunione con la Chiesa (significata dalla comunione con il Vescovo).

 

[10]) Significa che la differenza non è tanto una questione di maggiore o minore dignità (= grado), quanto piuttosto una differenza di natura (= sostanziale); differenza non significa poi separazione o contrapposizione: sono infatti strettamente ordinati l'uno all'altro [su "Il sacerdozio comune nel suo rapporto col sacerdozio ministeriale" si veda il testo proposto dalla COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNATIONALE, Temi scelti di ecclesiologia, ( 7 octobris 1985), n.7, in: CivCatt 136 (1985) 446-482; EV 9, 1668-1765; Regno\doc 1/1986, 32-45]. Si veda anche SYNODUS EPISCOPORUM (SECRETARIA), Lineamenta Ex Ecclesiae coetibus de vocatione et missione laicorum in Ecclesia et in mundo viginti annis a concilio Vaticano II elapsis, 28 ianuarii 1985: OR 20.02.1985; EV 9, 1340-1409: "Entro il popolo sacerdotale e al suo servizio, il Signore Gesù ha stabilito il sacerdozio ministeriale, ossia una particolare partecipazione al suo sacerdozio che viene comunicata ai battezzati dal sacramento dell'Ordine e che è ordinata al sacerdozio comune anche se da questo differisce essenzialmente e non solo di grado" [EV 9, 1369].

 

[11]) Questo rapporto di distinzione-complementarietà serve ad evitare due rischi: il rischio "clericale" dove predomina il prete tuttofare; il rischio "protestante" dove tutti sono alla pari senza alcuna distinzione tra gerarchico e carismatico (cf LG 10).

 

[12]) Questa realtà della partecipazione alla liturgia celeste è ben espressa al termine di ogni "Prefazio" nella Messa: insieme con gli angeli ed i Santi con una sola voce cantiamo...Riferimenti biblici in Fil 3,20; Col 3,4).

 

[13]) A questo proposito commenta S. Agostino: "Quando poi il nostro desiderio sarà saziato di beni, non vi sarà più da chiedere con gemiti, ma solo da possedere con gioia" (Lettera a Proba, 130,14,27 - 15,28; CSEL 44,71-73: cf Ufficio delle letture, venerdì XXIX per annum).

 

[14]) Ci è data la caparra dello Spirito (Ef 1,14; 2 Cor 1,22; 5,5) che, principio di risurrezione (Rom 8,11), già ci abilita qui ad un vero culto spirituale (Rom 12,1), sacrificio vivente a Dio gradito (Ef 5,2; Eb 9,14).

 

[15]) La liturgia è il necessario punto di arrivo di ogni opera di evangelizzazione. Cristo infatti ha ordinato non solo di "annunziare" l'Evangelo di salvezza, ma anche di "attuare" per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti l'opera di salvezza che annunziavano (SC 6). Si può parlare di "priorità" dell'evangelizzazione e di "primato" della liturgia.

 

[16]) "Fino ad oggi il Signore non vi aveva dato un cuore per conoscere, degli occhi per vedere, delle orecchie per udire" (Dt 29,3).

 

[17]) Si può anche dire che mentre la Liturgia è azione compiuta "da" Cristo e "dalla" Chiesa, i pii esercizi sono invece azioni compiute "in" Cristo e "nella" Chiesa:

 

[18]) Cf SEBUGAL S., Io credo. La fede della Chiesa, ed. Dehoniane, Roma 1990, pp.1046-1047.

 

[19]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia a vent'anni della Costituzione Conciliare "Sacrosanctum Concilium" [21.9.1983], n.18 in ECEI 3, 1523-1548.

 

[20]) La necessaria catechesi mistagogica dovrà evitare due pericoli: il formalismo (celebrare senza spirito, solo per tradizione), il ritualismo (preoccuparsi solo dell'aspetto esteriore-cerimoniale).

 

[21]) Sono da temere sia le deviazioni "clericali" (il prete factotum), sia quelle "protestanti" (laici e preti allo stesso titolo e livello).

 

[22]) "ortho-doxia" significa: retta lode e retta fede. Autore di questo "indiculus" sarebbe Prospero di Aquitania, un contemporaneo di s. Agostino, che visse tra il 390 e il 460.

 

[23]) Già si è detto dei termini impropri quali "rinnovare" o "ripetere" che suppongono qualcosa di imperfetto.

 

[24]) Cf Sap 13,1; Rom 1,19-20; At 14,17.

 

[25]) S. Leone Magno, Sermo74,2

 

[26]) "Io trovo Te nei tuoi misteri": S. Ambrogio, Apologia Prophetae Davidis 58.

 

[27]) Anafora di s. Giovanni Crisostomo.

 

[28]) S. Agostino, In Ps 85,1, CCL 39, 1178 (cf IGLH 7; Ufficio delle letture: merc. V quaresima).

 

[29]) ALBERICH E., Liturgia e catechesi, in GEVAERT J. (a cura di), Dizionario di catechetica, LDC, Leumann (TO) 1986, 387-389.

 

[30]) CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il rinnovamento della catechesi n. 114.

 

[31]) Stessa cosa per lA.T.: vedere testi come Os 6,6; 1 Sam 15,22-23; Is 1,11-12.15.19; 58,1-10; Ger 7,22; 11,3-4; Am 5,21-25; vedere anche il "credo di Israele": Deut 6,4-5.13.

 

[32]) Si tratta della colletta per i poveri di Gerusalemme organizzata dai convertiti della Macedonia e dell'Acaia e chiamata "servizio sacro".

 

[33]) Eb 1,14: gli angeli sono chiamati "spiriti liturghi" per una "diakonìa" verso coloro che devono ereditare la salvezza.

 

[34]) Secondo Rom 12,1-2 il "culto spirituale" dei cristiani è costituito dall'offerta del proprio corpo come sacrificio vivente. San Paolo con questo testo introduce la sezione sull'umiltà e la carità nella comunità (12,3-21).

 

[35]) Se non esiste vera Liturgia (doxologia) senza il suo completamento nella carità (diakonìa), è altrettanto vero che non sarebbe vera carità (agàpê) quella che non partecipasse e si aprisse all'Amore che è Dio. Vedere due testi tipici (At 2,42-48: la comunità ideale descritta da Luca vive della sinergia di didascalìa-eucaristìa-diakonìa-koinonìa; 1 Cor 11,17-34: non è capace di riconoscere il corpo-eucaristico di Cristo, colui che non lo sa riconoscere nel suo corpo-ecclesiale).

 

[36]) E' la celebre espressione attribuita a san Gregorio Magno ed attualmente presente in numerose "collette" della Messa (es. lunedì di Pasqua).

 

[37]) Vedere tutto il testo in "Ufficio delle letture": sabato XXI per annum.

 

[38]) CEI, Il rinnovamento liturgico in Italia, Nota pastorale a vent'anni dalla Costituzione conciliare "Sacrosanctum Concilium" [Roma, 21.XI.1983], n.22.

 

[39]) Ibìdem n. 23 che cita Sacrosanctum Concilium n.2,

 

[40]) CEI, Eucaristia, comunione e comunità, Documento pastorale dell'Episcopato italiano [25.05.1983] n.105.

 

[41]) M. MAGRASSI, Liturgia, spiritualità e promozione umana, Convegno ecclesiale "Evangelizzazione e promozione umana" [Roma, 30 ottobre - 4 novembre 1976], ed. LDC "Vita della Chiesa" 8, Torino 1977.

 

[42]) A. SORRENTINO, Eucaristia: dimensione ecclesiale e sociale. Congresso eucaristico nazionale. Reggio Calabria 1988, ed. LDC, "Maestri della fede" 183, Torino 1987. Vedere tutta la parte II: Eucaristia ed etica sociale, Eucaristia è sacramento di carità, Eucaristia è sacramento di socialità, Eucaristia è solidarietà, sacrificio, convivialità...

 

[43]) Nel teatro greco questo atteggiamento era chiamato mymesis, cioè "mimo", imitazione, finzione teatrale, rappresentazione dei fatti che si riteneva fossero accaduti agli inizi dell'umanità; lo scopo era quello di "attirare l'attenzione" degli dèi distratti (cf 1 Re 18,27-29; Qo 5,7; Sir 7,14; Mt 6,7)

 

[44]) Il cosiddetto aspetto ludico della liturgia, cioè una azione fatta perché "diverte" o piace (es. si partecipa al coro liturgico perché piace cantare in gruppo).

 

[45]) "La fede precede i discorsi su Dio...e nasce dalle energie dello Spirito" (s. Basilio di Cesarea: in Ps 115,1; s. Ambrogio: De Sacramentis: I.1).

 

[46]) La Chiesa ha infatti ricevuto dal Signore due mandati tra loro inscindibili: andate e predicate il Vangelo [Mc 16,15], andate e battezzate [Mt 28,19]; la salvezza è offerta a colui che "crederà e sarà battezzato" [Mc 16,16].