PAOLO
GIGLIONI
TEOLOGIA
PASTORALE
MISSIONARIA
LIBRERIA EDITRICE VATICANA
00120 CITTÀ DEL VATICANO
1996
SIGLE E ABBREVIAZIONI
1. Fonti
bibliografiche
AAS Acta Apostolicae Sedis,
Città del Vaticano 1909ss
ASS Acta Sanctae Sedis,
(Roma 1865- 1908)
BiM Bibliographia Missionaria, Pontifical Urban University, Città
del Vaticano.
BJ Bibbia di Gerusalemme.
CCL Corpus Christianorum
Latinorum. Saries Latina (Turnhout 1954)
CSEL Corpus Scriptorum
Ecclesiasticorum Latinorum (Vienna 1866)
DS DENZINGER H. - SCHÖNMETZER A., Enchiridion Symbolorum definitionum et
declarationum, ed. XXXIII Herder,
Barcinone, Friburgi Br, Romae 1976.
ECEI Enchiridion della
Conferenza episcopale italiana, EDB, Bologna, vol. I, 1985; vol. II, 1985;
vol. III, 1986; vol IV, 1991.
EO Enchiridion
Oecumenicum, EDB, Bologna, vol I 1986, vol II 1988.
EV Enchiridion
vaticanum, voll. 1-13, EDB, Bologna 1976ss.
GLNT Grande Lessico del Nuovo Testamento, trad. it. di TWNT, a cura
di F. Montagnini, Paideia, Brescia 1965-1990.
Insegnamenti Insegnamenti, [di PAOLO VI, fino al 1978
compreso; di GIOVANNI PAOLO II, dal 1979 ad oggi], Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano.
OR L'Osservatore Romano,
Città del Vaticano.
PG Patrologiae
cursus completus...Series graeca et orientalis, ed. J.P. MIGNE , Paris
1857-1886.
PL Patrologiae cursus
completus...Series latina, ed. J.P. MIGNE, Paris 1844-1855.
SCh Sources Chrétiennes (Paris 1942ss)
2. Documenti del Concilio ecumenico vaticano II.
AA Decreto Apostolicam
actuositatem sull'apostolato dei laici, 18.11.1965: AAS 58 (1966) 837-864;
AG Decreto Ag gentes
sull'attività missionaria della Chiesa, 7.12.1965: AAS 58 (1966) 947-990;
CD Decreto Christus
Dominus sull'ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa, 28.10.1965: AAS 58
(1966) 673-701;
DH Dichiarazione Dignitatis
humanae sulla libertà religiosa, 7.12.1965: AAS 58 (1966) 929-946;
DV Costituzione dogmatica Dei
verbum sulla divina rivelazione, 18.11.1965: AAS 58 (1966) 817-835;
GE Dichiarazione Gravissimum
educationis sull'educazione cristiana, 28.10.1965: AAS 58 (1966) 728-739;
GS Costituzione pastorale Gaudium
et spes su la Chiesa nel mondo contemporaneo, 7.12.1965: AAS 58 (1966)
1025-1120;
IM Decreto Inter
mirifica sui mezzi di comunicazione sociale, 4.12.1963: AAS 56 (1964)
145-157;
LG Costituzione dogmatica Lumen
gentium sulla Chiesa, 21.11.1964: AAS 57 (1965) 5-71;
NA Dichiarazione Nostra
aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane,
28.10.1965: AAS 58 (1966) 740-744;
OE Decreto Orientalium
ecclesiarum sulle Chiese orientali cattoliche, 21.11.1963: AAS 57 (1965)
76-89;
OT Decreto Optatam
totius sulla formazione sacerdotale, 28.10.1965: AAS 58 (1966) 713-727;
PC Decreto Perfectae
caritatis sul rinnovamento della vita religiosa, 28.10.1965: AAS 58 (1966)
702-712;
PO Decreto Presbyterorum
ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri, 7.12.1965: AAS 58 (1966)
991-1024;
SC Costituzione Sacrosanctum
concilium sulla sacra liturgia, 4.12.1963: AAS 56 (1964) 97-138;
UR Decreto Unitatis
redintegratio sull'ecumenismo, 21.11.1964: AAS 57 (1965) 90-112;
3. Documenti e testi della Santa Sede
ChL GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici su vocazione e
missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, 30.12.1988: AAS 81 (1989) 393-521.
CIC Codex iuris canonici,
25.1.1983.
CT GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Catechesi tradendae sulla catechesi nel
nostro tempo, 16.10.1979: AAS 71 (1979) 1277-1340;
DCG SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio catechistico generale, 11.4.1971: AAS 64 (1971) 97-176;
DeV GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Dominum et vivificantem su lo Spirito Santo nella vita della Chiesa
e del mondo, 18.5.1986: AAS 78 (1986) 809-900;
DM GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Dives in misericordia, sulla misericordia divina, 30.11.1980: AAS
72 (1980) 1177-1232;
DMP SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio per le messe con la partecipazione dei fanciulli
[1.11.1973]: AAS 66 (1974) 30-46.
EN PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo,
8.12.1975: AAS 68 (1976) 5-76;
ESa PAOLO VI, Motu proprio Ecclesiae
sanctae circa l'applicazione dei decreti conciliari CD, PO, AG, 6.8.1966:
AAS 58 (1966) 757-758; Normae: AAS 58
(1966) 758-787;
ES PAOLO VI, Lettera enciclica Ecclesiam suam circa le vie che la Chiesa cattolica è chiamata a
percorrere per adempiere la sua missione oggi, 6.8.1964: AAS 56 (1964) 609-659;
FC GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio sui compiti della
famiglia cristiana nel mondo contemporaneo, 22.11.1981: AAS 74 (1981) 81-191;
IGMR SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Institutio Generalis Missalis Romani (Principi e norme per l'uso
del Messale romano), 26.3.1970.
IOE SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici per l'esatta
applicazione della costituzione liturgica, 26.9.1964: AAS 56 (1964) 877-900.
LE GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Laborem exercens sul lavoro umano a novant'anni dall'enciclica «Rerum Novarum», 14.9.1981: AAS 73 (1981)
577-647;
MD GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Mulieris dignitatem sulla dignità della donna in occasione
dell'anno mariano, 15.8.1988: AAS 80 (1988) 1653-1729.
OICA RITUALE ROMANUM, Ordo
Initiationis Christianae Adultorum [6.1.1972], Typis Polyglottis Vaticanis
1972, 19742;
OLM MESSALE ROMANO riformato a norma dei decreti del Concilio
Ecumenico Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, Ordo Lectionum Missae, Seconda edizione tipica [21.1.1981] a cura
della Conferenza Episcopale Italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1982;
PdV GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, circa la formazione
dei sacerdoti nelle circostanze attuali [25.03.1992]: AAS 84 (1992) 657-804.
RICA Rito dell’Iniziazione
Cristiana degli Adulti: vedi OICA.
RH GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptor hominis all'inizio del suo ministero pontificale,
4.3.1979: AAS 71 (1979) 257-324;
RMa GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris mater sulla beata vergine Maria nella vita della Chiesa
in cammino, 25.3.1987: AAS 79 (1987) 361-433;
RMi GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio circa la permanente validità del mandato
missionario, 7 dicembre 1990, AAS 83 (1991) 249-340;
RP GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia circa la
riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, 2.12.1984: AAS
77 (1985) 185-275;
SA GIOVANNI PAOLO II, Epistola enciclica Slavorum apostoli nel ricordo dell'opera evangelizzatrice dei santi
Cirillo e Metodio dopo undici secoli, 2.6.1985: AAS 77 (1985) 779-813;
SCh GIOVANNI PAOLO II, Costituzione Apostolica Sapientia Christiana, sulle università e
facoltà ecclesiastiche, 15.4.1979: AAS 71 (1979) 469-521;
SD GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Salvifici doloris sul significato cristiano del dolore umano,
11.2.1984: AAS 76 (1984) 201-250;
SRS GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Sollicitudo rei socialis nel ventesimo anniversario dell'enciclica
«Populorum progressio», 30.12.1987: AAS 80 (1988) 513-586;
4. Altre
CEI Conferenza Episcopale Italiana
RdC EPISCOPATO ITALIANO, Il
rinnovamento della catechesi. Documento pastorale di base per la redazione
dei catechismi, 2.2.1970: ECEI 1/2362-2973.
INTRODUZIONE.
L’auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa voluto dal Concilio Ecumenico Vaticano II esige in primo luogo che gli stessi pastori siano formati spiritualmente, intellettualmente, pastoralmente.[1]
Questa stessa esigenza è pure richiesta per il ministero pastorale dei missionari.[2]
Il Concilio ha indicato anche il criterio di quest’opera di formazione: «formare dei veri pastori d’anime, sull’esempio di nostro Signore Gesù Cristo, sacerdote e pastore» (OT 4); «la sollecitudine pastorale deve permeare l’intera formazione» (OT 19) dei pastori d’anime e quindi di ogni missionario, sia esso sacerdote, o religioso o laico.
Il capitolo IV di Ad gentes parla di una formazione spirituale e morale (AG 25) e di una formazione dottrinale e apostolica (AG 26): «Coloro che saranno inviati alle varie nazioni, se vogliono riuscire buoni ministri del Cristo, “siano nutriti delle parole della fede e della buona dottrina” (1 Tm 4,6) [...] Perciò tutti i missionari, sacerdoti, religiosi, suore e laici, debbono essere singolarmente preparati e formati, secondo la loro condizione, perché siano all’altezza del compito che dovranno svolgere» (AG 26). Questa formazione deve essere arricchita ed animata da zelo pastorale.[3]
La formazione pastorale deve dunque disporre gli evangelizzatori a comunicare alla carità di Cristo, buon pastore, che conosce, nutre e guida il suo gregge, va alla ricerca delle pecore smarrite o sono ancora fuori dell’ovile (cf Gv 10,1ss; Lc 15,3-6).
Secondo l’esortazione post-sinodale Pastores dabo vobis,[4] per i pastori d’anime si esige lo studio di una vera e propria disciplina teologica: la teologia pastorale o pratica, che è una riflessione scientifica sulla Chiesa nel suo edificarsi quotidiano, con la forza dello Spirito, dentro la storia (PdV 57); sulla Chiesa, quindi, come «sacramento universale di salvezza», come segno e strumento vivo della salvezza di Gesù Cristo nella Parola, nei sacramenti e nel servizio della carità.
La pastorale non è soltanto un'arte né un complesso di esortazioni, di esperienze, di metodi; possiede una sua piena dignità teologica, perché riceve dalla fede i principi e i criteri dell'azione pastorale della Chiesa nella storia, di una Chiesa che «genera» ogni giorno la Chiesa stessa, secondo la felice espressione di s. Beda il Venerabile: «Nam et ecclesia quotidie gignit ecclesiam» (PdV 57). Tra questi principi e criteri si dà quello particolarmente importante del discernimento evangelico della situazione socio-culturale ed ecclesiale entro cui si sviluppa l'azione pastorale.
Lo studio e l'attività pastorali rimandano a una sorgente interiore, che la formazione avrà cura di custodire e di valorizzare: è la comunione sempre più profonda con la carità pastorale di Gesù, la quale, come ha costituito il principio e la forza del suo agire salvifico, così, grazie all'effusione dello Spirito Santo nel sacramento dell'ordine, deve costituire il principio e la forza del ministero del presbitero.[5] Si tratta di una formazione destinata non soltanto ad assicurare una competenza pastorale scientifica e un'abilità operativa, ma anche e soprattutto a garantire la crescita di un modo di essere in comunione con i medesimi sentimenti e comportamenti di Cristo, buon pastore: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).
Qui ci occuperemo in modo particolare della formazione pastorale del missionario. Sempre secondo Pastores dabo vobis, la formazione pastorale deve mirare a far conoscere e vivere la Chiesa come mistero, come comunione, come missione. La coscienza della Chiesa quale comunione «missionaria», aiuterà l’operatore pastorale ad amare e a vivere l'essenziale dimensione missionaria della Chiesa e delle diverse attività pastorali; ad essere aperto e disponibile a tutte le possibilità oggi offerte all'annuncio del Vangelo, senza dimenticare il prezioso servizio che al riguardo può e deve essere dato dai mezzi della comunicazione sociale; a prepararsi a un ministero che gli potrà chiedere la concreta disponibilità allo Spirito Santo e al vescovo per essere mandato a predicare il Vangelo oltre i confini del suo paese (cf PdV 59).[6]
Al missionario, chiamato ad operare in una situazione di «missione» (AG 6; RMi 33), è dunque richiesta una specifica preparazione pastorale. Qui chiameremo «teologia pastorale missionaria» la disciplina teologica che si prende cura di questa specifica formazione. Il nostro discorso però si può allargare anche alla pastorale ordinaria dal momento che oggi, in un contesto di «nuova evangelizzazione», ogni pastore, oltre ad avere uno spirito e una sensibilità missionaria, deve di fatto applicare alla pastorale ordinaria i modelli operativi della «pastorale missionaria».[7]
Di questa «teologia pastorale missionaria» descriveremo brevemente la natura e il significato, gli obiettivi, i contenuti, le qualità, partendo ovviamente dalle indicazioni offerte dai più recenti documenti riguardanti la missione: Ad gentes,[8] Evangelii nuntiandi,[9] Redemptoris missio.[10]
1. LA NATURA E IL
SIGNIFICATO DI «PASTORALE».
La Chiesa, nel suo agire missionario, ha sempre necessità di riflettere sulla propria vita e missione, sulle proprie scelte e azioni. In questo è aiutata, congiuntamente ad altre discipline teologiche, anche dalla teologia pastorale. [11]
A seguito del Vaticano II il termine «pastorale» si è fatto sempre più frequente, anche se non sempre con significato univoco. Le accezioni più frequenti sono:
- ciò che ha attinenza con i «pastori» (vescovi, presbiteri: visione clericale);
- una particolare sensibilità per i problemi organizzativi, operativi (pastorale, in antagonismo con teologico o speculativo);
- ciò che si richiede per condurre una comunità, con la collaborazione di tutti;[12]
1.1. La pastorale
nell’esperienza ecclesiale.
Per essere in grado di comprendere «oggi» quale tipo di pastorale debba essere applicata all’agire missionario della Chiesa, è opportuno offrire un breve excursus storico delle principali espressioni di questo agire pastorale-missionario.
1.1.1. Il NT e la prima comunità cristiana.
- profetico: egli è l'evangelizzatore del regno del Padre (Lc 4,18-19)
- sacerdotale: egli è il redentore che si fa carico del peccati del mondo e sempre vivente intercede per noi presso il Padre (Rm 8,34; Eb 7,25);
- regale: egli viene per servire, non per essere servito; viene per dare la vita in riscatto (Mt 20,28; Fil 2,7-8).
La comunità primitiva ha fatto propri i sentimenti del Signore Gesù (Fil 2,5-11); si è subito qualificata come:
- comunità profetica che annuncia la buona novella del Regno; la priorità dell'annuncio (At 6,1-4; 2 Tm 4,1-5);
- comunità sacerdotale che loda il Signore e ne attua il memoriale sacrificale salvifico (At 2,42.46; 20, 7.11; 1 Cor 10,16-17; 11,23-34; Gv 20,26);
- comunità regale che serve nella comunione e nella carità in modo che nessuno sia indigente (At 2,42).
La «pastoralità» della comunità primitiva si caratterizza dunque come una azione comunitaria-fraterna, nell'unità della missione e la diversità di ministero per la comune edificazione del corpo di Cristo (Ef 4, 11-12; 1 Cor 12,1ss).
Non esiste il culto della personalità di alcuno (Gal 2,6), ma tutto è improntato alla comunione fraterna, alla fede in Cristo, sotto la guida degli Apostoli (cf At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16).
a. Tutto è fatto con
spirito di «diakonìa»:
- Le eccezioni sono stigmatizzate e punite severamente (cf il caso di Ananìa e Saffira in At 5,1-11);
- La diakonìa di Paolo: 2 Cor 1,24 [non padroni, ma collaboratori; cf 4,5; 1 Ts 2,7];
- La diakonìa di Pietro: 1 Pt 5,1-4 [pascete, sorvegliate, non spadroneggiate; cf Mt 20,25-28; 23,8].
- Con docilità all'azione preveniente dello Spirito (At 15,28: Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi...; cf 1,8; 5,32: di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo); lo Spirito rende testimoni e profeti (At 1,8; 2,17-18; RMi 24).
b. Tutto è fatto con spirito di «koinonìa».
Le tensioni apostoliche sono superate nel dialogo ecclesiale aperto e sincero (Gal 2,1-2.11: mi opposi a Pietro a viso aperto). C'è tuttavia il rispetto per le decisioni prese da coloro che sono considerati le «colonne» (Gal 2,9). Il ministero si apre alla collaborazione di persone valide designate dalla comunità (At 6: i sette). Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione (RMi 26; EN 41-42).
c. Tutto è fatto con spirito apostolico.
Con un forte dinamismo missionario la comunità evangelizza al suo interno e all'esterno [le missioni ai pagani (At 13,46-48), agli ebrei (At 2,22-39; 3,12-26; 4,9-12; 5,29-32; 10,34-43; 13,16-41; RMi 24), alla comunità cristiana]; viene evitata ogni forma di chiusura «giudaizzante» (At 15: il concilio di Gerusalemme). L'evangelizzazione non è un vanto, ma una necessità (1 Cor 9,16); noi non possiamo tacere (At 4,20; RMi 11); l'amore di Cristo ci spinge (2 Cor 5,14); dinamicamente aperte e missionarie (RMi 26).
1.1.2. La pastorale nel periodo patristico.
Il forte accento «cristologico» e «pneumatologico» dell'età apostolica, si arricchisce, in epoca patristica, anche di un altrettanto accento «ecclesiologico».
Nei primi secoli dell'età patristica la tematica pastorale è trattata sotto la simbolica della «ecclesia mater», come mediatrice di salvezza, come vergine-madre avendo Cristo come unico Sposo; mediatrice di verità e di vita. Se in Atti 4,10.12 si afferma che in nessun altro c'è salvezza, nel IV secolo si potrà aggiungere che «extra ecclesiam nulla salus».
La cura pastorale è gerarchica, ma anche intensamente carismatica (presenza dei laici nell'evangelizzazione: Stefano: At 6,8; Filippo: At 8,26; molti altri discepoli: At 15,35; semplici cristiani che andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio: At 8,4; si vedano i numerosi collaboratori di Paolo: Rm 16,1-16).[13]
Il Pastore di Erma e la cura pastorale: l'offerta della vita al servizio di Dio.
Le Costituzioni Apostoliche: il Vescovo, i presbiteri, i diaconi.
L'importanza della Parola e della vita sacramentale [nella catechesi si insegna prima il Credo, poi i sacramenti, infine i comandamenti; cf anche il Catechismo romano e quello del Vaticano II]. L'imitazione di Cristo non è uno sforzo ascetico, ma un dono della grazia di Dio.
La Chiesa è sposa (genera i figli) ed è madre (li nutre con la Parola ed i sacramenti pasquali).
L'esercizio del sacerdozio battesimale e la sua complementarietà col sacerdozio ministeriale (S. Agostino: con voi sono cristiano, per voi sono vescovo [cf LG 32; PdV 20]; La Chiesa- madre..tutta intera ci genera tutti e ciascuno [OBP 3]). Anche S. Ambrogio afferma: “Voi, che possedete il sacerdozio universale, siete per me dei genitori. Proprio così: voi siete contemporaneamente genitori e figli. Presi ad uno ad uno siete figli, mentre tutti insieme formate un corpo, siete dei genitori che danno la vita” (In Luc. 8,73).
Altre caratteristiche della pastorale in questo periodo:
- l'organizzazione del catecumenato come forma del «diventare cristiani»;
- l'opera missionaria di Gregorio Magno e la forte espansione geografica (missione agli Angli, ai Germani..);
- un forte impegno di inculturazione in una ricerca armonica tra fede e cultura (l'impegno dello stesso Gregorio Magno e le sue direttive a Agostino di Canterbury);
Per Gregorio Magno, colui che ha responsabilità pastorale nella guida della comunità deve avere queste qualità:
* forte coscienza della propria vocazione;
* verifica costante delle motivazioni del proprio agire;
* rapporto primario con la Parola di Dio (ascoltata e predicata);
* atteggiamento di servizio e non di potere;
* libertà interiore;
* sincero amore per la giustizia;
* adeguata formazione;
* continua verifica del proprio agire pastorale.[14]
Colui che ha responsabilità pastorali, sempre secondo Gregorio Magno, deve rifuggire anche da questi rischi: arrivismo, esteriorità, attivismo, presunzione, arroganza, orgoglio; “sedotto dalla quantità delle adulazioni, si lascia inorgoglire e mentre all'esterno è circondato da immenso favore, dentro si svuota di verità... Crede di essere superiore agli altri in merito perché si vede superiore in potere; crede di valere di più perché può di più” (Regulae pastoralis liber 2,6).
1.1.3. La pastorale nel
periodo medioevale.
Si rafforza la struttura ecclesiastica (il potere anche civile ai vescovi); si ha un forte influsso «clericale» (sacerdotalizzazione dei monaci); l'aspetto cultuale prende il sopravvento su quello evangelizzante e missionario; prevale l'aspetto sociologico e politico nel contesto del sacro romano impero: la «ecclesia mater» diventa la «ecclesia regina»; si sviluppa l'ecclesiologia della «potestas» e prevale l'aspetto giuridico su quello profetico-carismatico.
Conseguenze:
* decade la predicazione e la catechesi in genere;
* l'ignoranza delle scritture porta al devozionismo e all'allegorìa;
* il clericalismo soffoca lo spazio di azione del laicato [il duo sunt genera christianorum di Graziano]; rapporto di sudditanza dei laici (mentalità feudale).
Reazione:
* assistiamo ad una certa reazione da parte dei nuovi ordini mendicanti (Francescani e Domenicani): poveri, evangelizzanti;
* prendono consistenza le «parrocchie» presso il popolo, e si riafferma la residenza dei vescovi (con Innocenzo III);
* istruzione al popolo con l'istituzione delle scuole e delle università da parte della Chiesa.
1.1.4. La pastorale nel
periodo tridentino.
Nel progetto di riforma voluto dal Concilio, si dà ampio spazio al progetto pastorale della «cura d'anime»; centro di azione è la figura del Vescovo, capo e animatore della comunità ecclesiale; si istituiscono i seminari per la formazione del clero; si pubblica un «catechismus ad parocos».
La pastorale tuttavia soffre di alcuni limiti: la reazione anti-protestante (apologetica e canonista); l'istituzione prevale sulla profezia; l'enfasi è posta sull'«opus operatum» dei sacramenti (a discapito della catechesi e dell'«opus operantis»); la conservazione (nihil varietur) prevale sulla diversificazione; attività pastorale equivale ad attività gerarchica; una pastorale di tipo cultuale con poca incidenza nell'ordine temporale e sociale.
1.1.5. La pastorale nel
Vaticano II.
Verso gli inizi del secolo, già con S. Pio X, ma soprattutto con l'esperienza della seconda guerra mondiale e la reazione al fenomeno della secolarizzazione-scristianizzazione, nascono i vari movimenti di azione (biblico, liturgico, patristico); in Francia nasce il movimento della «pastorale d'insieme» (costatazione del distacco dalla Chiesa del mondo operaio e della cultura).
Nascono i movimenti laicali con una forte presenza nel sociale.
Nel Vaticano II si risente ancora una certa antinomìa: si parla di ministero pastorale (riservato alla gerarchia: LG 13.28.31) e di apostolato (riservato ai laici: LG 33; CD 17; AA 1; AG 15.21). Il ministero pastorale equivale a «cura d'anime», mentre l'apostolato si identifica con la consecratio mundi (LG 31; AA 2.5.10-14).
Tuttavia il triplice munus (regale, profetico, sacerdotale) è partecipato sia dai vescovi, che dal clero, dai Religiosi e dai laici (cf LG 34-36; CIC 204; ChL 14s).
Se con Lumen gentium ancora si ha incertezza sul ruolo dell'attività pastorale, è con Gaudium et spes che si acquisisce un autentico spirito «pastorale» (questa Costituzione si qualifica proprio come «pastorale»).
Leggendo attentamente la nota 1 apposta al titolo della Costituzione, si può avere una definizione descrittiva di ciò che è «pastorale»:
* due parti (I. La Chiesa e la vocazione dell'uomo: principi dottrinali; II. Alcuni problemi più urgenti: suggerimenti pastorali), ma un tutto unitario;
* perché «pastorale»: esporre l'atteggiamento della Chiesa in rapporto al mondo e agli uomini d'oggi: partire dai principi dottrinali per offrire impulsi pastorali;
* la pastorale è l'impegno della Chiesa intera verso il mondo e gli uomini d'oggi; non come semplice azione dei pastori, ma come azione di tutta la Chiesa;
* i contenuti della pastorale: non solo i problemi della Chiesa ad intra, ma anche quelli ad extra, inerenti alla sua missione salvifica universale;
* la parte teoretico-teologica ha bisogno di concretizzarsi in quella pratico-pastorale (interdipendenza e complementarietà tra teoria e prassi, tra teologia e pastorale);
* la Chiesa sta in ascolto della Parola di Dio, ma trae insegnamento anche dalla storia e dai «segni dei tempi»;
* il ruolo pastorale consiste anche nel saper discernere i segni della presenza e della provocazione di Dio nell'attuale momento storico;
* la necessità di rendere comprensibile e accessibile il messaggio evangelico (attenzione al linguaggio e alla comunicazione).
In sintesi: secondo Gaudium et spes, per «pastorale» si può intendere l'impegno della Chiesa nel realizzare con maggiore consapevolezza e competenza la propria missione di salvezza nella situazione storica concreta in cui si trova ad agire. E' un modo di essere e di fare Chiesa nel mondo di oggi e nelle diverse culture, il modo di esprimere le diverse funzioni ecclesiali, la necessità di un rinnovamento delle strutture per poter meglio rispondere alle esigenze attuali della evangelizzazione.[15]
1.2. La pastorale
«missionaria»..
Il referente primo dell'azione pastorale missionaria è la Chiesa, missionaria per sua propria natura (AG 2); gli ambiti possono essere rapportati alle diverse situazioni: di missione ad gentes, di nuova evangelizzazione, di cura pastorale missionaria (RMi 33). Sono proprio le situazioni, gli ambiti, le vie di azione, che caratterizzano la pastorale «missionaria».
Tra Ad gentes e Redemptoris missio c’è tuttavia una certa continuità-distinzione circa la comprensione della natura dell’attività missionaria della Chiesa; vediamole separatamente:
1.2.1. Ad gentes.
Descrivendo l’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes dice che tale compito:
- è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo (AG 6; cf RMi 33)
- tale azione tende alla realizzazione del Piano divino della salvezza: rendere più facile e sicura la partecipazione di tutte le genti al mistero pasquale di Cristo (cf 1 Tm 2,4);
- le iniziative principali dell’attività missionaria sono: * la predicazione del Vangelo, * la «plantatio Ecclesiae» in mezzo ai popoli e ai gruppi che ancora non credono in Cristo (AG 6);
- questo è da considerare il «fine specifico» dell’attività missionaria che tende appunto alla evangelizzazione (predicazione, conversione, Battesimo, aggregazione alla Chiesa) per la formazione di Chiese locali (ricche di forze proprie e di una propria maturità, fornite di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, fornite di mezzi appropriati per vivere bene la vita cristiana) (AG 6);
- l’attività missionaria tra le genti differisce sia dall’attività pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli, sia dalle iniziative da prendere per la ricomposizione dell’unità dei cristiani. Tuttavia queste due forme di attività si ricongiungono saldamente con l’operosità missionaria della Chiesa (AG 6).
1.2.2. Redemptoris missio.
La missione della Chiesa è una missione universale che non ha confini (a tutte le persone, a tutti i popoli, a tutti i luoghi: RMi
- è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma all’interno di essa si danno compiti e attività diverse (RMi 31
- guardando al mondo d’oggi dal punto di vista della evangelizzazione si possono distinguere:
a) Tre situazioni. Le differenze nell’attività all’interno dell’unica missione della Chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge (RMi 33):
- la missione Ad gentes: popoli, gruppi umani, contesti socioculturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente ed annunziarla ad altri gruppi. è, questa, propriamente la missione ad gentes.
- la cura pastorale delle comunità ecclesiali: ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o cura pastorale della Chiesa.
- la nuova evangelizzazione: esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle Chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo. In questo caso c'è bisogno di una < nuova evangelizzazione >, o < rievangelizzazione >.
b) Tre ambiti. La missione ad gentes non ha confini. Si possono tuttavia delineare vari ambiti in cui essa si attua (RMi 37-38):
- ambiti territoriali: l'attività missionaria è stata normalmente definita in rapporto a territori precisi. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto la dimensione territoriale della missione ad gentes (AG 6), anche oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti geografici d'azione.
- mondi e fenomeni sociali nuovi (urbanizzazione, giovani, migranti e rifugiati, condizioni di povertà);
- aree culturali, o areopaghi moderni (mondo della comunicazione, areopago della cultura e della ricerca scientifica, dei rapporti internazionali che favoriscono il dialogo; impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti dell’uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze; la promozione della donna e del bambino; la salvaguardia del creato; società secolarizzate da portare all’incontro con Dio, alla preghiera, all’ascesi, alla scoperta del senso della vita).
c) Quattro vie. La missione è una realtà unitaria, ma complessa, e si esplica in vari modi (RMi 41-54):
- l’evangelizzazione come testimonianza della vita (RMi 42-43);
- l’evangelizzazione come primo annunzio di Cristo Salvatore in vista della conversione-Battesimo (RMi 44.45.46);
- l’evangelizzazione come formazione di Chiese locali (RMi 48-50);
- l’evangelizzazione come incarnazione del Vangelo nelle culture dei popoli (RMi 52-54).
2. L’obiettivo.
Anche se si parla di «attività» e di «pastorale», non si deve per questo dimenticare che la nostra è anche una riflessione «teologica»;[16] per questo viene chiamata «Teologia pastorale missionaria», con obiettivi e contenuti specifici.
La teologia pastorale affianca le discipline teologiche sistematiche (le quali hanno per oggetto l'essenza “trascendentale” della Rivelazione e della fede) elaborando principi e orientamenti che consentono alla Chiesa di compiere “qui e oggi” la sua opera missionaria.
Di qui il duplice compito della teologia pastorale: l'analisi sociologico-teologica della situazione in cui la Chiesa vive, storicamente e geograficamente, in mezzo all'umanità, e la rigorosa elaborazione di quei principi di azione pastorale che si possono ricavare dalla Rivelazione in presenza delle sollecitazioni del nostro tempo, perché il cammino della Chiesa possa percorrere pienamente e con adeguatezza le «vie della missione».
La teologia pastorale deve rivolgere la sua attenzione ai soggetti responsabili dell'opera di salvezza, cioè a tutta la comunità cristiana e ai diversi ministeri che la compongono e la servono.
Deve poi analizzare le funzioni caratterizzanti la vita della Chiesa (quali l'evangelizzazione, la liturgia, la vita sacramentale, l'azione di carità), in quanto cardini dell'agire pastorale della Chiesa.
Dovrà inoltre esaminare le strutture fondamentali con cui viene organizzata la vita della Chiesa (strutture odegetiche o di guida [regalità], strutture di santificazione [sacerdozio], strutture di annuncio [profezia]).[17]
3. I contenuti.
All'interno della teologia pastorale “generale”, vanno posti in evidenza e sviluppati adeguatamente settori particolari, per l'importanza che rivestono nella formazione e per il ministero di ogni evangelizzatore:
3.1. La pastorale
dell’annuncio.
Circa la pastorale dell'annunzio, le azioni pastorali da analizzare compiutamente quanto a natura e a metodo sono: l’annuncio kerigmatico e catechetico, l'omelia, la mistagogia.
a. Lo studio della natura-oggetto-metodo della prima evangelizzazione (kerygma) come pure del suo approfondimento (catechesi) ha il compito di presentare la complessità di questa realtà, che assorbe tanta parte della vita della Chiesa, nei suoi contenuti, nei ministeri che la effettuano, nei metodi che la caratterizzano.[18]
b. Lo studio sull'omelia, partendo dalla constatazione che essa è la più frequente e connaturale attualizzazione dell'annunzio del messaggio di Dio alla Chiesa, e per essa, all'umanità, ed è parola del ministro autentico della Chiesa, illustrerà i principi e le regole cui deve ispirarsi chi ha il dovere di guidare i partecipanti alla liturgia a comprenderne esattamente le motivazioni e a cogliervi le applicazioni della divina Rivelazione, per la costruzione della vita spirituale.[19] Anche la mistagogia è un tipo di annuncio liturgico, ma si caratterizza per il fatto di partire dai ritus et preces della liturgia stessa (SC 48).
3.2. La pastorale
sacramentale e liturgica.
Nella pastorale sacramentale e liturgica ci si dovrà occupare di tutto il cammino del «diventare cristiani»: catecumenato e iniziazione cristiana; della pastorale sacramentale; della pastorale della speranza (funerali, benedizioni, comunione ai malati); della liturgia delle Ore e dell’Anno liturgico; dell’inculturazione liturgica.[20]
3.3. La pastorale della
guida della comunità.
Circa la pastorale della guida della comunità, l'intento è quello di fornire un'adeguata preparazione a chi avrà il compito abituale di guidare e presiedere le comunità cristiane, comprese quelle che si riuniscono nella Domenica in assenza-attesa del presbitero. Infatti, se tutta la formazione teologica deve concorrere a plasmare il pastore, resta tuttavia da unificare e illustrare un complesso di dati in vista del conseguimento di una immediata attitudine a svolgere la funzione di guida della comunità cristiana, specialmente di quella sua eminente espressione che è la parrocchia (cf. SC 42).[21]
La proposta educativa si fa carico di una vera e propria iniziazione alla sensibilità del pastore, all'assunzione consapevole e matura delle sue responsabilità, all'abitudine interiore di valutare i problemi e a saper leggere «i segni dei tempi», e di stabilire le priorità e i mezzi di soluzione, sempre in base a limpide motivazioni di fede e secondo le esigenze teologiche della pastorale stessa.
Attraverso l'iniziale e graduale sperimentazione nel ministero, gli operatori pastorali potranno essere inseriti nella viva tradizione pastorale della loro Chiesa particolare, impareranno ad aprire l'orizzonte della loro mente e del loro cuore alla dimensione missionaria della vita ecclesiale, si eserciteranno in alcune prime forme di collaborazione tra loro e con i presbiteri accanto ai quali saranno mandati (cf PdV 58).
La pastorale missionaria dovrà qui preoccuparsi della formazione del clero indigeno, dei religiosi e dei laici; dovrà dar vita a tutte quelle istituzioni che permettono ad una comunità ecclesiale di svolgere la sua missione evangelica (si pensi ai vari consigli: presbiterale, parrocchiale, per gli affari economici).
Tra i contenuti della teologia pastorale missionaria, oltre alla ricerca della identità e compiti della stessa azione pastorale, va pure collocata la ricerca dei criteri fondamentali che devono ispirare e verificare l'azione pastorale; le mediazioni pastorali fondamentali nella vita e nella missione della Chiesa; il soggetto dell'azione pastorale; l’organizzazione e programmazione dell'azione pastorale; il tutto nella prospettiva dell'evangelizzazione come compito di una Chiesa che sa di essere missionaria per natura (AG 2), e quindi portatrice del Vangelo della carità; nella ricerca sempre più convinta di una fedeltà piena al Signore, e quindi di autenticità spirituale nel testimoniare e proclamare con ferma fiducia il Risorto agli uomini del nostro tempo.
4. LE QUALITÀ.
Una teologia pastorale missionaria, aperta cioè alle esigenze della missione, non deve essere né «sorda» dinanzi ai numerosi problemi posti dalle differenti situazioni apostoliche, né «spiazzata» davanti alle vere necessità della missione, né «cieca» dinanzi alle vere esigenze pastorali [accentuazione dell'agire politico più che profetico; esasperazione dell'attivismo presenzialista, del protagonismo individualista, dell'immagine esteriore, del soggettivismo dell'essere e dell'agire ecclesiale (= identificazione del pensare ed agire ecclesiale con le proprie idee personali o di gruppo, e conseguente emarginazione di chi pensa diversamente)]; delle rivalse particolaristiche o di gruppo a scapito dell'ecclesiologia di comunione (rigurgito dell'«ecclesiastico» sul «cattolico» con conseguente calo di tensione ecumenica ed interecclesiale).
Pertanto, al di là delle vedute «locali» o «particolari» della teologia pastorale, è opportuno evidenziare gli elementi interecclesiali che permettono alla teologia pastorale di essere una teologia cattolica, cioè universale, con un respiro missionario e un'autocoscienza missionaria.
Giovanni Paolo II nella esortazione Christifideles laici, parlando del grande passo in avanti e della nuova tappa storica cui è chiamata la Chiesa evangelizzante, ha scritto: “le comunità ecclesiali devono collegarsi tra loro, scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione di annunciare e di vivere il vangelo” (ChL 35). Le Chiese di antica cristianità e le Chiese giovani abbisognano di reciproci scambi di ricchezze. Basta pensare al contributo di riflessione teologica che le giovani chiese hanno portato alle comunità del primo mondo: impegno per la giustizia e la promozione umana; l'urgenza della missione ad gentes; il dialogo interreligioso; relazioni tra Chiesa universale e Chiesa locale. A motivo di questo ampliamento di orizzonte ecclesiale la teologia pastorale delle Chiese europee e nordatlantiche deve essere sempre più aperta alla dimensione missionaria, cioè universale; apertura ai problemi del mondo intero. Soprattutto dopo Redemptoris missio, come potrebbe una teologia pastorale non essere aperta al dinamismo-respiro della missione ad gentes? Oggi, più che sulla distinzione-separazione tra teologia pastorale e azione missionaria (cf AG 6), si dovrebbe ricercare la convergenza e l'interscambio delle metodologie, per cui ogni pastorale deve essere sempre missionaria secondo il pensiero di Gv 10,16 e Lc 15,3-7.[22]
Prima di parlare di una qualche prospettiva pastorale, occorre chiedersi qual è il modello di Chiesa che vuol edificare questa pastorale.
4.1. Quale modello di Chiesa.
Come ce lo presenta il Vaticano II, è quello di un agire ecclesiale e pastorale che ha alcune caratteristiche:
* l'autocoscienza di essere epifanìa del mistero: “l'attività missionaria non è né più né meno che la manifestazione, cioè l'epifanìa e la realizzazione del Piano divino nel mondo e nella storia” (AG 9b); attuare all'evidenza la storia della salvezza;
* l'autocoscienza della universalità: “poiché è cattolica, la Chiesa non si sente estranea presso alcun popolo o nazione” [Maximum illud, citato in AG 8, nota 46]; essa è chiamata a manifestare la destinazione universale della salvezza (RMi 9-11);
* l'autocoscienza di agire nella storia dell'uomo, ma proiettata nel futuro del Regno: l'attività missionaria si svolge nella vita e nella storia dell'uomo [AG 8], ma tende anche ad una pienezza escatologica, alla piena maturità della statura del Corpo di Cristo [Ef 4,13; AG 9; RMi 13.20];
* l'autocoscienza di essere missionaria in ciascuno dei suoi membri, nella diversità e reciprocità dei rispettivi carismi e ministeri [dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio: AG 35. 36; RMi 71-72];
* l'autocoscienza di essere lievito, di dover seguire la stessa via tracciata da Cristo: povertà, obbedienza, servizio, sacrificio, martirio [AG 5], attesa, pazienza, carità [AG 6d];
* l’autocoscienza di essere «sacramento universale di salvezza». Il Vaticano II ha descritto la Chiesa come sacramento universale di salvezza (LG 48; AG 1; GS 45) e ha inteso il termine «sacramento» come «segno» e «strumento»: ciò sta a significare che la Chiesa non esiste o vive per se stessa, ma è totalmente relativa a Dio e all'umanità; infatti: è strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano: LG 1; cf anche LG 9.48; svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo: GS 45; si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini: AG 1; costituisce per tutta l'umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza; costituita da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunta ad essere strumento di redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviata a tutto il mondo: LG 9c; Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, ha convocato e costituito la Chiesa perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile dell'unità salvifica [inseparabile unitatis sacramentum: S. Cipriano]: LG 9d.
L'essere e l'agire della Chiesa è dunque costituito dall'autocoscienza di essere per propria natura missionaria (AG 2). Non è pertanto possibile pensare che questa autocoscienza missionaria sia tale solo nella propria attività ad extra, cioè ad gentes. L'attività della Chiesa è missionaria anche quando è svolta ad intra, cioè nella sua azione pastorale per la comunità credente; infatti mentre la Chiesa annuncia il Vangelo agli altri edifica se stessa, e mentre edifica se stessa si pone come annuncio di salvezza per gli altri. La pastorale della Chiesa non può non essere missionaria.
4.2. Quali prospettive di pastorale missionaria.
Al di là di facili superficialità che si manifestano nel seguire mode appaganti, al di là di visioni riduttive o unilaterali di Chiesa (prevalentemente sociologiche), rispecchiandosi nel progetto indicato dal Vaticano II, la Chiesa dei nostri giorni è chiamata a perfezionare sempre di più il modello di pastorale missionaria che le è richiesto per far fronte alla propria vocazione-natura che è quella di servizio al regno di Dio.
Prima ancora dei progetti pastorali, occorre ricordarlo, sta la formazione di una comunità cristiana che ha un amore sincero e coraggioso verso la Chiesa e la sua missione; una comunità che sa evitare sia le false euforie sia le facili depressioni; solo una siffatta comunità potrà essere in grado di elaborare e di attuare una pastorale missionaria rinnovata.
5. PROGETTI ATTUALI DI
TEOLOGIA PASTORALE.
5.1. Stando alle indicazioni fornite da C. FLORISTAN e M. USEROS,[23] la teologia pastorale è definita come «la scienza teologica che analizza la situazione concreta in cui la Chiesa si edifica con le proprie azioni». Oppure «è la scienza che esamina teologicamente la realizzazione dell'opera salvifica o ecclesiale nella situazione presente e nella futura».
L'oggetto materiale (o campo di riflessione) è riconducibile al triplice ministero:
* profetico: annuncio della parola a tutti i livelli: evangelizzazione (kerygma, catechesi), omelia, mistagogìa, apologia;
* liturgico: celebrazione del mistero cultuale: sacramenti, anno liturgico, liturgia delle ore; sacramentali;
* odegetico: la guida della comunità con funzioni di governo e di promozione dei valori umani.
Un tale progetto, come si può vedere, è prevalentemente «ecclesiologico», mira cioè alla edificazione della Chiesa in un contesto storico-locale.
5.2. Secondo un altro progetto, di area nord Americana, espresso dal pastoralista presbiteriano Seward Hiltner, la teologia pastorale è da ritenersi come «scienza dell'azione», interpretazione teologica dei problemi e delle istanze che tale azione pone in vista di un giudizio diretto alla prassi futura della Chiesa.
La vita ecclesiale è vista sotto l'aspetto della:
* organizzazione (formazione e conduzione della comunità);
* comunicazione (i processi attraverso cui la Chiesa trasmette il Vangelo: catechetica, omiletica, missiologia...; studio dei mezzi e dei metodi);
* servizio all'uomo (psicologia, psicoterapia).
5.3. In ambito latinoamericano si è sviluppata una teologia pastorale a servizio di una prassi liberatrice, in vista di uno sviluppo integrale della persona e di una sua liberazione integrale.[24] Si è andata così sviluppando una evangelizzazione liberatrice, basata sulla solidarietà con le classi popolari e con l'opzione preferenziale per i poveri, sulla funzione critica e profetica di denuncia dell'ingiustizia e di annuncio della fraternità cristiana. Una tale teologia pastorale mira a far maturare comunità cristiane capaci di assumere le proprie responsabilità nella liberazione dell'uomo e nella costruzione di una società più giusta e fraterna. La IV Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano (Santo Domingo 1992) ha indicato tre ambiti di azione: la nuova evangelizzazione, la promozione umana, la cultura cristiana.[25]
5.4. Una nuova riflessione teologico-pastorale viene oggi dalle «giovani chiese» di di Africa e di Asia che, dopo una evangelizzazione di tipo «occidentale» ricercano criteri e modalità di azione pastorale più rispondenti alla loro situazione socio-culturale.
Le piste di lavoro su cui si muove questa teologia pastorale sono:
* le culture locali ed i valori tradizionali (assumere, purificare, elevare, aprire a Cristo);
* il rapporto costruttivo tra fede-cultura-sviluppo in un'azione evangelizzatrice;
* la scelta della promozione umana;
* la valorizzazione dei nuovi ministeri;
* un'attenzione al dialogo (ecumenico e interreligioso);
5.4.1. Per quanto riguarda l'esperienza africana si assiste a questo sviluppo della pastorale:
* superamento della prassi della «conversione degli infedeli» o salus animarum, come pure della semplice «plantatio ecclesiae» intesa come trasposizione di modelli ecclesiastici occidentali quasi fosse una «tabula rasa».
Verso gli anni 1956 prende sviluppo la «teologia dell'adattamento» o «teologia degli addentellati» [théologie des pierres d'attente] intesa come ricerca di punti di inserzione nei riti, simboli, credenze, istituzioni... tradizionali al fine di poter dare un «volto africano» al cristianesimo.[26]
La teologia dell'adattamento si è espressa meglio in seguito
nella «teologia dell'incarnazione» [vescovi africani al sinodo 1974]. Questa
teologia pastorale si sviluppa in due direzioni:
a. incarnazione come inculturazione. Alla luce di At 15 le giovani chiese vogliono ricercare una propria «via africana» al cristianesimo, nella fedele interpretazione-espressione-attuazione del Vangelo, senza dover accogliere l'esteriorità delle prescrizioni dei nuovi «giudaizzanti» [altre esperienze storiche: dal giudaismo all'ellenismo; dalla latinità all'uso franco-germanico della liturgia].
Questa teologia pastorale vuol salvaguardare l'unità del «te» nel te-andrico [theos=Dio, andros=uomo], lasciando la diversità in tutto ciò che è «andrico», cioè umano-culturale. Va dunque superata non solo la teologia della «salus animarum» e della «plantatio ecclesiae», ma anche la «teologia dell'adattamento» intesa come «africanizzazione» o «indigenizzazione» del cristianesimo in Africa: forme moderne dell'antica politica giudaizzante. Queste teologie sarebbero «teologie intrappolate». Vanno allora ricercate espressioni africane della fede-teologia «senza passare attraverso la sinagoga europea, ma attraverso la circoncisione dello spirito e del cuore». E' lo sforzo di recuperare l'africanità, la sua visione della vita, la sua cultura, la sua sapienza e religiosità. Si suol dire che le Chiese d'Africa o saranno africane o non saranno Chiesa. Una inculturazione che inserisca il messaggio cristiano in una cultura, aderendovi con i propri modi di pensare, di agire, di vivere, con tutto ciò che si è e che si aspira ad essere.
b. incarnazione come liberazione. Accanto alla ricerca di identità culturale, un certo filone della teologia pastorale africana inserisce anche il problema della promozione-liberazione umana quale impegno prioritario della evangelizzazione.
Il Sinodo per l' Africa, nei suoi Lineamenta e nell’Istrumentum laboris, ha inserito molte di queste problematiche (evangelizzazione, inculturazione, dialogo, impegno per la giustizia e la pace, strumenti della comunicazione). Questi stessi temi sono stati poi recepiti dall’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa[27]
5.4.2. La riflessione
della teologia pastorale in Asia.
Si sta sviluppando attorno ai problemi legati alla «terzo-mondialità» e a quelli della «asiaticità», con un certo legame metodologico mutuato dalla teologia della liberazione. Le espressioni più significative di questa teologia pastorale asiatica sono:
* instaurare una evangelizzazione che abbandoni la dominazione economica, culturale, classista, sessista, razzista, che si esprime in categorie di superiorità rifiutando il dialogo e il rispetto con le culture e le religioni asiatiche.
* instaurare una nuova «teologia delle religioni» che parli agli asiatici non partendo da criteri di fede (la teologia), ma da criteri di liberazione (la soteriologia); ogni religione va considerata come «via di salvezza» e va quindi aiutata ad esprimere le proprie potenzialità di liberazione.
* da parte dei vescovi asiatici (FABC) si insiste su due priorità: l'inculturazione e il dialogo interreligioso; si cerca di combattere la secolarizzazione e il materialismo; liberare le popolazioni sotto il giogo comunista; eliminare la violazione dei diritti umani e le vaste sacche di povertà.[28]
Proposte offerte dalla teologia pastorale: una evangelizzazione che sia annuncio integrale del Vangelo, incentrato sulla conversione e la speranza, coinvolgendo tutte le risorse, compresi i laici formati.
6. PER UNA DEFINIZIONE DI TEOLOGIA PASTORALE.
A questo punto della nostra riflessione si può offrire una definizione-descrizione di teologia pastorale:
Una riflessione teologica su tutta l'azione-prassi della Chiesa, nel suo edificarsi-realizzarsi a servizio del regno di Dio per la salvezza integrale di tutti gli uomini, nel concreto e nell'attualità della situazione storica, in una prospettiva universale e di futuro, in vista di una sempre maggiore fedeltà alla sua missione.
6.1. Oggetto materiale
o ambito di riflessione.
- è la vita-azione-prassi della Chiesa: nei suoi membri, nelle sue istituzioni;
- sono gli àmbiti territoriali, sociali, culturali, economici, politici, religiosi nei quali la Chiesa è chiamata ad operare.
6.2. Oggetto formale o prospettiva di riflessione.
E' l'oggi e l'universalità-missionarietà (non si può più pensare o risolvere i propri problemi locali senza apertura alla mondialità; è la prospettiva del «villaggio globale» [RMi 37c.]). Sono le «situazioni» nelle quali si attua l’unica missione della Chiesa: ad gentes, cura pastorale, nuova evangelizzazione.
6.3. Finalità.
E' la progettazione-pianificazione dell'azione della Chiesa in vista di un suo cambiamento-rinnovamento, nella piena fedeltà a Dio e all'uomo.
6.4. Metodo.
E' una interazione tra teologia e prassi, tra scienze teologiche e scienze antropologiche, senza esasperazioni e enfatizzazioni dell'una sull'altra.
6.5. Mediazioni.
Chiamata ad essere «sacramento universale di salvezza» (LG 48; AG 1), la Chiesa deve essere, dinanzi al mondo e dinanzi agli uomini, segno-strumento del disegno salvifico universale del Padre. A sua volta la Chiesa-sacramento per espletare la sua missione utilizza alcune forme o mediazioni particolari:
a. La testimonianza della vita o diakonìa, sempre unita alla comunione fraterna o koinonìa.
b. La Parola annunciata o profezia; solo la Parola di Dio è rivelazione del disegno del Padre; è interpretazione della vita dell'uomo alla luce della pasqua di Cristo. La Chiesa è chiamata ad annunciare e a testimoniare questa Parola:
* con il primo annuncio o kerygma;
* con il suo approfondimento o catechesi;[29]
* con la predicazione liturgica o omelia;
* con la spiegazione dei «ritus et preces» o mistagogìa.
c. La celebrazione dei santi misteri o liturgia.
6.6. Definizione descrittiva.
Puebla parla della teologia pastorale con questi termini: “l'azione pastorale è la risposta specifica, cosciente e meditata, alle necessità della evangelizzazione” (Puebla 1307). Quindi:
* la pastorale è azione. è azione cosciente e meditata (né acritica, né ripetitiva, né improvvisata, né fuori contesto).
* è azione ecclesiale. E' compiuta dalla Chiesa in quanto Popolo di Dio, cioè nella sua totalità e nella sua globalità (AG 35; EN 59-66); è compiuta da tutti e per tutti (né solo clericale, né solo laicale).
* a servizio della evangelizzazione del regno di Dio. Un regno già presente in mezzo a noi (Mt 12,28; 16,28), aperto alla universalità senza frontiere (Mc 16,15; EN 49-58), aperto al futuro compimento (Mt 4,17; 6,10; 10,5; Mc 1,15).
* attraverso l'attualizzazione della prassi di Gesù. Secondo EN 15 la Chiesa è un segno opaco e luminoso della presenza di Gesù; essa prolunga-continua-attua la stessa missione di Gesù.
* nella potenza dello Spirito. EN 75; RMi 21-30.
* perché ogni uomo possa essere liberato e salvato nella sua totalità e pienezza. Se ogni uomo è «la via della Chiesa» (RH 13-14) deve esserlo anche per la sua azione pastorale la quale dovrà essere la messa in atto del mistero della salvezza in modo idoneo, in un determinato contesto storico, mediante la partecipazione responsabile di tutti i suoi membri, con l'utilizzazione di tutti i carismi-ministeri, secondo la carità di Dio Padre, per l'edificazione dell'unico Corpo di Cristo, in atteggiamento di servizio e conversione, per evangelizzare ogni uomo.
6.7. Criteri ispiratori.
L'azione pastorale ha almeno un duplice fondamento: teologico e antropologico.
a. Il fondamento teologico a sua volta è costituito da quattro elementi:
- il principio teocentrico (=AG 2): la libera iniziativa di Dio e della sua grazia, il suo paterno intervento nella storia dell'uomo, la sua iniziativa di alleanza; la Trinità come mèta, fine, modello della missione;
- il principio cristocentrico (=AG 3): la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza (SC 5); la legge della incarnazione (AG 9.10);
- il principio pneumatologico (= AG 4; RMi 21-30): lo Spirito guida la missione (RMi 24-25), rende missionaria tutta la Chiesa (RMi 26-27), è presente e operante in ogni luogo e tempo (RMi 28-29), aiuta gli inizi della missione a svilupparsi (RMi 30).
- il principio ecclesiologico (=AG 5): l'azione pastorale-missionaria della Chiesa ha un fondamento nel suo proprio essere missionaria per natura (AG 2), per un divino mandato (Mt 28,18), per un atto di carità (2 Cor 5,14), perché è cattolica (CCC 830-856).
b. Il fondamento antropologico.
Oltre che «fedele a Dio», la pastorale deve essere congiuntamente anche «fedele all'uomo».
Rivelando il mistero del Padre e del suo amore, Gesù Cristo spiega anche pienamente l'uomo all'uomo: gli fa noti gli elementi essenziali della sua vocazione, nonché le tappe del suo itinerario nella comunità di salvezza. Così nel mistero di Cristo trova piena luce il mistero dell'uomo (cf GS 22). La pastorale deve essere sempre «volta» all'uomo e «attenta» all'uomo (cf GS 1.3). E' il principio del «per noi uomini e per la nostra salvezza» (Credo). La pastorale «missionaria», per il fatto stesso che annuncia Cristo alle genti, “rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro integrale vocazione, poiché è Cristo il principio e l'esemplare dell'umanità nuova” (AG 8).
Il fondamento antropologico della pastorale esige che essa sia:
* differenziata: si rivolge sempre a uomini concreti (RH 13-14); questo uomo è la prima fondamentale via della Chiesa;
* comunitaria: è piaciuto a Dio salvare l'uomo non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma in quanto popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse (LG 9);
* inculturata: attenta all'uomo nel suo ambiente-cultura (AG 11; CT 53; RMi 52-56).
7. NELL’ASCOLTO E INTERPRETAZIONE DEI «SEGNI DEI TEMPI».[30]
L'espressione «segni dei tempi», è divenuta abituale dopo l’uso fattone da Giovanni XXIII[31] e ripresa poi dal Vaticano II e dal Magistero successivo;[32] in GS 4 si parla dei «segni dei tempi» con questo invito: scrutarli e interpretarli alla luce del Vangelo, secondo un discernimento mosso dalla fede e sotto la guida profetica dello Spirito; è compito della Chiesa rispondere agli impulsi dello Spirito per poter discernere negli avvenimenti del mondo quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio (GS 11); per poterlo evangelizzare, occorre infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, nonché le sue attese e aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche (cf GS 4); questo mondo si caratterizza per le seguenti antinomìe: * il divario tra ricchezza economica e povertà; * desiderio di libertà e schiavitù sociale e psichica; * desiderio di unità, solidarietà, interdipendenza e fenomeni di contrasti-divisioni politiche, razziali, economiche ..; * scambio di idee e confusioni ideologiche; * progresso temporale, lentezza del progresso spirituale; * incapacità di identificare i valori perenni e di armonizzarli con la vita quotidiana; * Inquietudine e tormento tra speranza e angoscia.[33]
8. Progettazione e
programmazione pastorale.
Solo una pastorale adeguatamente progettata può costituire una risposta adeguata, cosciente, specifica, all'urgenza della evangelizzazione.
Il fatto che la salvezza sia sempre dono gratuito da parte di Dio e si attui nella storia umana per la potenza dello Spirito Santo, non esime la Chiesa dal compiere la sua mediazione salvifica in risposta alle concrete situazioni storiche e culturali delle persone. Anzi, proprio per servire con sapienza evangelica l'incontro salvante di Dio con ogni uomo in situazione, la teologia pastorale deve essere in grado di progettare e programmare una azione pastorale rinnovata.
Progettare: è smettere di improvvisare, è smettere di ripetere automaticamente le azioni di sempre; è cercare di prevedere e di pensare, prima dell'azione, quale possa essere il cammino migliore per raggiungere una mèta. Progettare significa prendere delle decisioni e fare scelte concrete; presuppone un «piano» di azione che indichi scelte e decisioni; un piano presuppone l'individuazione degli obiettivi da raggiungere.
Progettare significa: organizzare mediazioni e attività pastorali di una comunità ecclesiale in vista del raggiungimento di obiettivi pastorali necessari e possibili per il compimento della propria missione.
La progettazione di un piano pastorale prevedere le seguenti tappe:
8.1. Analisi della
realtà: determinare il chi siamo e come siamo.
Seguire le indicazioni di GS 4: scrutare i segni dei tempi, interpretarli, rispondere agli interrogativi degli uomini, per poter collaborare all'attuazione del disegno divino di salvezza nel momento storico presente. Una programmazione pastorale non si può fare stando a guardare dalla finestra e applicando formule preconfezionate o importate.
E' ispirata dall'ascolto e dal servizio; tende a discernere le attese di salvezza, le chiamate di Dio, le esigenze delle persone e dell'ambiente. Prevede:
* conoscere e discernere con obiettività le varie realtà (sociale, religiosa, pastorale, economica, politica, culturale);
* rilevare i problemi (demografico, economico, culturale, religioso), le linee di tendenza, le forze positive e negative presenti nella comunità [fare attenzione alle tecniche di rilevamento[34]];
L'analisi della realtà, oltre a motivazioni socio-culturali (affrontare i problemi presenti nella comunità), risponde anche a necessità teologico-pastorali: dare compimento al processo di incarnazione del Verbo fatto carne; costruire una comunità caratterizzata dalla comunione e dalla compartecipazione (Puebla 211); motivare e coinvolgere la comunità in vista di una «pastorale organica» (Puebla 1222), di una progettazione più partecipata.
8.2. Diagnosi
pastorale: determinare come dobbiamo essere.
L'analisi socio-pastorale va interpretata: alla luce della fede, della Parola di Dio, delle direttive conciliari e del magistero, al fine di:
* far emergere le esigenze-urgenze per l'azione pastorale;
* individuare ciò che è in continuità o in contrasto col progetto di Dio;
* individuare e definire le principali esigenze-urgenze da attuare per modificare-rinnovare la prassi pastorale;[35]
8.3. Prognosi pastorale: determinare che cosa fare e come fare.
Comporta la presa di decisioni e la loro attuazione pratica. Prevede le seguenti fasi o tappe:
* obiettivi: in base alle sfide, determinare gli obiettivi (obiettivo pastorale generale, a sua volta attuato in obiettivi specifici nelle diverse mediazioni o settori pastorali: annuncio della Parola, celebrazione, comunione, diaconìa e carità);
* servizi-strategie: determinare i servizi e le strategie-criteri di azione nei diversi settori, per raggiungere le mete pastorali prefissate; fare un inventario dei mezzi e delle forze su cui si può contare;[36]
* programmazione: determinazione dei programmi concreti e delle attività per raggiungere gli obiettivi;[37]
* organizzazione: organizzare i meccanismi di attuazione, coordinamento, collegamento, cooperazione: chi collega, anima, soprintende l'azione pastorale? Quali persone, gruppi, istituzioni sono disponibili?[38]
* valutazione: seria e umile verifica dell'azione pastorale a partire dai risultati conseguiti e dalle difficoltà incontrate, per una ri-progettazione più adeguata; fare attenzione alle cause che hanno prodotto risultati o insuccessi.
In sintesi: la dinamica metodologica che sottostà alla progettazione pastorale può essere così espressa: vedere analiticamente - giudicare teologicamente - agire pastoralmente.
CONCLUSIONE.
Dopo questa introduzione dedicata ad una visione generale del significato di teologia-pastorale-missionaria, è opportuno passare all’analisi particolare delle singole situazioni pastorali in cui si attua l’unica missione della Chiesa; tutto questo secondo il principio «a situazioni diverse, attività differenti» (RMi 31.33) [capitolo II]; non senza però aver prima delineato il fondamento trinitario-cristologico-pneumatico della missione e la sua valenza ecclesiologica e antropologica [capitolo I]; un terzo e un quarto capitolo verranno dedicati ai «soggetti» della pastorale missionaria [capitolo III] e al superamento di alcuni dubbi e ambiguità che impediscono il pieno svolgimento di questa attività missionaria [capitolo IV].
CAPITOLO I
NATURA DELLA MISSIONE
E DELL’ATTIVITÀ MISSIONARIA DELLA CHIESA.
«Inviata da Dio alle genti per essere “sacramento universale di salvezza”, la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini (cf Mt 28,19-20)».[39]
«Il mandato missionario del Signore ha la sua ultima sorgente nell’amore eterno della Santissima Trinità [AG 2]... E il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d’amore».[40]
1. IL FONDAMENTO
TRINITARIO DELLA MISSIONE.
Con la riflessione che la Chiesa ha fatto di se stessa nel Vaticano II, ha preso chiara coscienza di essere una “Chiesa per sua natura missionaria” (AG 2) in quanto trae origine dalla missione del Figlio di Dio, Gesù Cristo, e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il Piano salvifico dell'amor fontalis di Dio Padre (AG 2).
Il dono e l'impegno della comunione e della missione scaturiscono dalla “fonte d'amore”, cioè dalla carità di Dio Padre (1 Tm 2,4: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati; Gv 3,16ss: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo unigenito). Il Dio creatore vuol essere anche il Dio redentore per essere “tutto in tutti” (1 Cor 15,28).
“La Chiesa che vive nel tempo per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il Piano di Dio Padre, deriva la propria origine” (AG 2; cf LG 2). Pertanto: ogni missione che si esprime nella Chiesa va ricondotta all'iniziativa missionaria del Padre, che ha mandato il Figlio nel mondo, e al gesto missionario di Cristo che, venuto al mondo per salvarci, ha effuso il dono dello Spirito Santo. La Chiesa non esiste da sé e per se stessa: essa è il prolungamento nel tempo e nello spazio della presenza di Cristo e della sua missione, originati a loro volta dall'amore del Padre e portati a compimento per la forza dello Spirito.[41]
Il mistero di comunione della Trinità diventa così origine, modello e mèta della missione[42]. Dalla comunione trinitaria nasce la missione e alla comunione trinitaria è pure finalizzata la missione del Figlio e dello Spirito Santo[43].
E' da questa comunione d' amore trinitario (ad intra) che scaturisce la missione (ad extra) che si concretizza nella
missione di Gesù Cristo e nella missione dello Spirito Santo per la salvezza di
tutti gli uomini voluta dal Padre.
La teologia missionaria del Vaticano II fonda la propria natura ben oltre il mandato positivo del Signore di andare ed ammaestrare tutte le genti; la missione della Chiesa procede intrinsecamente ed essenzialmente dalla Trinità, ed è strutturata trinitariamente; al principio e alla sorgente della missione sta la carità che ha mosso Dio a manifestarsi e a donarsi agli uomini: Dio è Amore (1 Gv 4,8) e ha dato il Figlio suo per noi (Gv 3,16); la stessa carità però è anche il fine ultimo della missione perché essa ha come scopo di farci partecipi della sua vita e della sua gloria (AG 2).
Si può pertanto costatare che a partire dal Vaticano II si è andata sviluppando una nuova visione di missione. Superando una concezione “ecclesiocentrica”, che faceva della Chiesa il punto di partenza e di arrivo della missione,[44] la teologia e lo stesso Magistero, approfondendo l'insegnamento conciliare, hanno progressivamente dimostrato che la missione, come la Chiesa stessa, trova la sua prima origine, il suo perenne fondamento e la sua suprema finalità nella Trinità, quale mistero di vita e di comunione. La Chiesa è dunque missionaria perché ed in quanto è partecipe della vita trinitaria. Questa visione ha portato a considerare in modo unitario tutta l'attività della Chiesa, tanto che oggi vengono qualificati come missione non solo l'annuncio della fede e la fondazione delle comunità cristiane con la catechesi ed i sacramenti (plantatio Ecclesiae), ma anche la promozione umana, il dialogo interreligioso, l'impegno per i diritti dell'uomo, l'inculturazione della fede (RMi 55-60).[45]
1.1. Gesù, missionario
del Padre.
Colui per opera del quale Dio aveva creato tutte le cose (Gv 1,3.10), di tutte lo costituì erede per tutto in lui riunire (Ef 1,10). Cristo fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini, quale nuovo Adamo capo dell'umanità nuova, al fine di rendere gli uomini partecipi della natura divina (2 Pt 1,4). Gesù ha piena coscienza di essere il missionario del Padre: Gv 10,36; Lc 4,18.43; 19,10.
Con la sua morte e risurrezione Gesù porta a compimento la missione affidatagli dal Padre; Egli può così assicurare agli uomini la remissione dei peccati, la liberazione integrale, la pienezza della vita nuova e della filiazione divina nel dono dello Spirito (Rm 8).
La Missione del Figlio, pur manifestandosi al momento della sua incarnazione, ha tuttavia inizio fin dall'eternità in quanto Egli è il Verbo eterno del Padre. La sua pre-esistenza è presupposto della sua pro-esistenza. In questo senso egli è il missionario per antonomasia perché rivela e attua pienamente il progetto salvifico del Padre che vuole tutti gli uomini salvi e partecipi della verità (1 Tim 2,4).[46]
Sant'Atanasio, citato da AG 3, dice che “non fu redento quel che da Cristo non fu assunto”. Una incarnazione completa (non docetista-apparente) per una completa opera di redenzione.
Tutto ciò che è stato compiuto nel tempo storico del Cristo, ora deve essere annunziato e attuato per tutta la terra nel corso dei secoli (AG 3).
1.2. La missione dello
Spirito Santo.
Quantunque lo Spirito operasse nel mondo già prima che Cristo fosse glorificato, è con la Pentecoste che viene effuso sui discepoli e accredita la Chiesa di fronte alle moltitudini.[47] La teologia di Luca fa così vedere che come agli inizi del mistero del Verbo fatto carne in Maria sta l'opera dello Spirito Santo, così agli inizi dell'opera missionaria del Corpo mistico di Cristo sta ancora lo stesso Spirito Santo.[48] Da Giovanni è chiamato “l'altro Paraclito” (Gv 14,16) ad indicare la sua azione dentro la Chiesa perché la spinge verso la missione allo stesso modo che già aveva spinto Cristo.[49]
Il Signore Risorto ha effuso il suo Spirito sulla Chiesa e l'ha resa in tal modo partecipe della sua stessa missione: “Come il Padre ha mandato me anch'io mando voi...Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20, 21-22).[50] Spetta ora allo Spirito compiere dentro la Chiesa l'opera di salvezza realizzata da Cristo e stimolarla a svilupparsi presso tutte le genti.
Nel giorno di Pentecoste lo Spirito promesso (cf Gv 14-17) è effuso sui discepoli per rimanere con loro in eterno (cf Gv 14,16) e per fare di essi dei testimoni e dei profeti (cf At 1,8; 2,17-18), infondendo in essi una tranquilla audacia, la “franchezza-parresìa” (cf At 2,29; 4,13.29.31; 9,27-28; 13,46; 14,3; 18,26; 19,8.26; 28,31; citato in RMi 24, nota 33); ha inizio, mediante la predicazione, la diffusione del Vangelo in mezzo alle genti; è superata la dispersione babelica (cf Gen 11,1-9) e tutti i popoli sono riuniti nell'universalità della fede attraverso la Chiesa della nuova alleanza che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e comprende (AG 4).
Ed è ancora lo Spirito che in tutti i tempi fornisce la Chiesa di doni gerarchici e carismatici (LG 4), vivifica le istituzioni ecclesiastiche, infonde lo spirito missionario nel cuore dei profeti-missionari (cf Is 61,1; At 1,8; 16,6ss) ed in tutte le membra missionarie del corpo di Cristo. Lo Spirito previene, accompagna e regola tutta l'azione apostolica della Chiesa (AG 4). Redemptoris missio chiama lo Spirito Santo «il protagonista della missione» (RMi 21-30).
2. FONDAMENTO
ECCLESIOLOGICO DELLA MISSIONE.
Già si è detto che la missione è una esigenza della Chiesa “cattolica” (CCC 849). Se poi ci si interroga sulla natura e sul perché dell'attività missionaria della Chiesa, si deve rispondere:
2.1 La Chiesa è
missionaria per sua propria costituzione.
Essendo missionaria nel suo “essere” (AG 2), la Chiesa dovrà essere missionaria anche nel suo “agire”. La missione infatti è frutto dell'amore trinitario che ha la sua fonte nella volontà del Padre di salvare tutti gli uomini (cf 1 Tim 2,4-6), il suo apice di manifestazione e di realizzazione nel mistero pasquale di Cristo per cui “non esiste in nessun altro salvezza” (At 4,12), la sua continuazione e regolamentazione nell'azione santificante dello Spirito. Ciò significa che la Chiesa agisce missionariamente perché è stata fondata “in” Cristo e vive ed opera in Cristo di cui è segno-strumento al fine di “realizzare compiutamente in tutti, nel corso dei secoli, quanto una volta è stato operato per la comune salvezza” (AG 3). Cristo ha assunto non solo un “corpo umano” per farlo strumento della nostra salvezza (SC 5; PO 5; AG 3), ma ha voluto assumere anche un “corpo mistico”, la Chiesa, per farsela cooperatrice di salvezza: “Cristo unico mediatore ha costituito sulla terra la Chiesa...quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde la verità e la grazia” (LG 8). La Chiesa è dunque in Cristo “universale sacramento di salvezza” (LG 48; GS 45; AG 1.5)[51] e lo stesso Signore ha anche stabilito che “attraverso di essa” tutte le genti siano congiunte più strettamente a Lui per renderle partecipi della sua vita divina (2 Pt 1,4). La Chiesa entra così nel movimento trinitario e cristico non in maniera accidentale e diacronica, ma in modo essenziale e sincronico (cf LG 4; AG 2). La sua azione missionaria scaturisce dalla sua stessa natura-costituzione: da quella vita che Cristo comunica alle sue membra (Cf Ef 4,16); anzi, dalla fonte stessa della vita, cioè dall'“amore fontale” (ex fontali amore) che è l'agapé del Padre il quale, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza, non solo ci ha liberamente creati ma ci ha anche gratuitamente chiamati a partecipare alla sua vita e alla sua gloria; per pura generosità ha effuso e continua ad effondere la sua divina bontà, sicché come di tutti è il creatore, di tutti vuol essere anche il redentore; per la gloria sua e la felicità nostra (AG 2). “E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può non proclamare il Vangelo, cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso” (RMi 5).
2.2. La Chiesa è
missionaria per divino mandato.
Tutti gli evangelisti, quando narrano l'incontro del risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni...Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20; cf Mc 16,15-18; Lc 24,46-49; Gv 20, 21-23).[52]
Le varie redazioni del mandato missionario contengono elementi comuni ed anche punti caratteristici di ciascun evangelista (RMi 22-23). Gli elementi comuni sono principalmente due: a) la dimensione universale del compito affidato agli Apostoli: “Tutte le nazioni” (Mt 28,19); “in tutto il mondo, ad ogni creatura” (Mc 16,15); “tutte le genti” (Lc 24,47); “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8); b) la presenza e la potenza dello Spirito del Signore Risorto: “Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro” (Mc 16,20); gli Apostoli sanno di non essere soli nella missione, ma di avere dall'alto la forza e i mezzi per svolgere la loro missione.
Quanto alle differenze, possiamo notare le seguenti accentuazioni nei rispettivi evangelisti:
* Marco presenta la missione come proclamazione, o kerygma: “Proclamate il Vangelo” (Mc 16,15); tale annuncio deve condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29) e a dire, come il centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: “Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio” (Mc 15,39);
* Matteo pone l'accento missionario sulla fondazione della Chiesa e sul suo insegnamento (cf Mt 28,19-20; 16,18); in lui il mandato evidenzia che la proclamazione del Vangelo dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale;
* in Luca la missione è presentata come testimonianza-martyrìa (cf Lc 24,48; At 1,8), che viene soprattutto dalla risurrezione (cf At 1,22); il missionario è uno che crede alla potenza trasformatrice del Vangelo; deve pertanto annunziare la conversione all'amore e alla misericordia di Dio; deve annunziare la liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato;[53]
* Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di «mandato»[54] - parola che equivale a « missione » - collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre (Gv 20, 21; 17, 18). Tutto il senso missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella «preghiera sacerdotale »: la vita eterna è che « conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv 17, 3). Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda (cf. Gv 17, 21-23). E', questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa (RMi 23).
I quattro Vangeli, dunque, nell'unità fondamentale della stessa missione, attestano un certo pluralismo, che riflette esperienze e situazioni diverse nelle prime comunità cristiane. Esso è anche frutto della spinta dinamica dello stesso Spirito; invita ad essere attenti ai diversi carismi missionari e alle diverse condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti, però, sottolineano che la missione dei discepoli è collaborazione con quella di Cristo: « ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). La missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma sulla potenza del Risorto (RMi 23).
La Chiesa nasce missionaria perché “fin dall'inizio” (AG 5) il Signore Gesù chiama i suoi apostoli e li manda[55] come egli a sua volta era stato inviato dall'amore del Padre (Gv 20,21).
La Chiesa è dunque inviata nel mondo intero (cf Gv 20,21-23) per predicare il Vangelo ad ogni creatura, per fare discepoli tutti i popoli (Mt 28,19s; Mc 16,15; Lc 24,46-48), per ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra (Ef 1,10). Da qui deriva alla Chiesa l'impegno di diffondere la fede e la salvezza di Cristo (AG 5), unico Salvatore di tutti (At 4,12: in nessun altro c'è salvezza). In questa missione furono confermati il giorno di Pentecoste (cf At 2,1-36) e per questa missione sono mandati come testimoni fino agli estremi confini della terra (cf At 1,8). Nella Chiesa e per mezzo della Chiesa Cristo stesso continua a compiere la sua missione. Essa sa che, acquistata dal sangue di Cristo (At 20,28), è stata da Lui costituita sua collaboratrice nell'opera della salvezza universale.
In quanto sacramento universale di salvezza (LG 48; GS 43; AG 1.7.21), la Chiesa si sforza di portare l'annuncio del Vangelo di Cristo a tutte le genti, perché tutte le genti possano aderire a Cristo. Essa si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli con l'esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà e alla pace di Cristo (AG 5).
In questa ottica è più opportuno dire che la Chiesa è missione, piuttosto che ha le missioni.
2.3. La Chiesa è
missionaria per un grande atto di carità.
La Chiesa è stata inviata da Cristo”a rivelare e a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini ed a tutti i popoli” (AG 10). Infatti”le membra della Chiesa sono sollecitate da quella carità, per cui amano Dio e per cui amano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura” (AG 7). La Chiesa applica a sé le parole di S. Paolo:”l'amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14), oppure “guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16); e quindi”mossa dalla grazia e dalla carità dello Spirito Santo, si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli...alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo” (AG 5). Tutta la Chiesa è così libera serva di Cristo e dello Spirito Santo, cui serve liberamente da strumento rivelatore e santificatore: essa è il segno visibile ed efficace dell'amore salvifico di Dio per il mondo. Proprio agli uomini di questo mondo essa sente il bisogno di rivelare”in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro integrale vocazione” (AG 8). La Chiesa è costituita ed inviata per testimoniare ed annunziare la salvezza in Cristo, l'autocomunicazione di Dio Amore: infatti colui che ama desidera donare se stesso.[56] “La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per essere comunicata a tutti gli uomini” (RMi 11). Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi. Non è dunque possibile essere cristiani e membri di un organismo vivente qual è la Chiesa senza sentire l’urgenza di andare oltre se stessi; non è possibile essere cristiani senza essere missionari; l’opera evangelizzatrice è dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio (AG 35-36).
Secondo s. Tommaso, «Bonum est diffusivum sui»;[57] il bene tende a diffondersi; il bene per sua natura esige di essere condiviso con gli altri.[58]
2.4. La Chiesa è
missionaria perché è «cattolica».
La parola «cattolica», secondo il Catechismo,[59] significa «universale» nel senso di «secondo la totalità». La Chiesa è cattolica in un duplice senso:
* è cattolica perché in essa è presente Cristo. «Là dove è Cristo Gesù, ivi è la Chiesa cattolica» (S. Ignazio di Antiochia). In essa sussiste la pienezza del Corpo di Cristo unito al suo Capo (cf Ef 1,22-23), e questo implica che essa riceve da lui «in forma piena e totale i mezzi di salvezza» (AG 6) che egli ha voluto;
* è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano (Mt 28,19; cf LG 13).
La missione è, pertanto, una esigenza della cattolicità della Chiesa; costituita sacramento universale di salvezza, obbediente all’ordine del suo fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini (AG 1; CCC 849). Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria (CCC 851).
Essa è per tutti e viene da tutti. Tutte le genti sono chiamate a formare il nuovo Popolo di Dio (LG 13).
La Chiesa senza missione non sarebbe la vera Chiesa di Cristo; una Chiesa senza missione sarebbe una contradizione in termini, come lo è, del resto, anche una missione senza Chiesa.[60]
2.5. La Chiesa è
missionaria per la gloria di Dio.
Con S. Ireneo si deve dire che “gloria di Dio è l'uomo vivente”[61]; grazie all'attività missionaria Dio è pienamente glorificato nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa l'opera salvatrice che Dio ha compiuto nel Cristo[62]; e Cristo stesso può glorificare il Padre perché, costituito principio di salvezza per il mondo intero, attraverso l'opera missionaria Egli può dare la vita eterna a tutti coloro che il Padre gli ha affidato (cf Gv 17,1-5) costituendoli Popolo di Dio, riunendoli nel suo unico corpo, edificandoli come suo tempio nello Spirito Santo (AG 7); in Cristo, capo di tutte le cose, viene reso ogni onore e gloria al Creatore e Padre dell'universo (LG 17; AG 3)[63].
3. FONDAMENTO
ANTROPOLOGICO DELLA MISSIONE.
La vocazione ultima di ogni uomo è la comunione con Dio; in vista di questa comunione il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina (cf 2 Pt 1,4; AG 3). Cristo resta “la via principale della Chiesa...la via a ciascun uomo” (RH 13).. Gli uomini e il mondo sono creature di Dio e rimangono sempre destinatari del suo irrinunciabile amore essendo Egli ricco di misericordia. Interprete di questo amore e di questa misericordia, la Chiesa cerca di scoprire nel mondo “i semi del Verbo” (AG 11; EN 53) e in ogni uomo una creatura amata da Dio e chiamata alla salvezza. Anche la Chiesa, come il suo Signore, ama proprio quest'uomo concreto e per portargli l'annuncio della salvezza sente il bisogno di rinnovarsi in un deciso slancio missionario[64].
CAPITOLO II
A SITUAZIONI DIVERSE, ATTIVITÀ DIFFERENTI.
All'interno dell'unica missione della Chiesa vi sono tuttavia differenze di attuazione che nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalla diverse circostanze in cui essa si svolge (cf AG 6). Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni (RMi 33) ciascuna delle quali necessita di una specifica metodologia missionaria per cui è necessario ricercare i contatti ma anche la distinzione tra “missione ad gentes”, “nuova evangelizzazione”, “cura pastorale-missionaria dei fedeli”.[65]
Vi sono popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono ancora conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente ed annunziarla ad altri gruppi; a questa situazione si deve far fronte con quella che è propriamente la missione ad gentes (RMi 33; AG 6).
Ci sono poi comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale; in questa situazione si svolge la cura pastorale che tende a fare missionaria tutta la comunità (RMi 33).
Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle Chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo; per questa situazione occorre una”nuova evangelizzazione” o”ri-evangelizzazione” (RMi 33).
A differenti situazioni va offerta una diversa e appropriata risposta missionaria.
1. LA MISSIO AD GENTES.
E' ben caratterizzata quanto alla natura, ai destinatari, ai fini, alla metodologia.
La natura: è l'attività missionaria in senso specifico della Chiesa (RMi 2.34); è il primo e principale servizio che la Chiesa deve rendere a ciascun uomo e all'intera umanità (RMi 2); è un'attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa (RMi 31); è questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida alla sua Chiesa;[66] lungi dall'essere pienamente attuata, è anzi “ancora agli inizi” (RMi 40); “senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare” (RMi 34).
Destinatari: sono i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo, coloro che sono lontani da Cristo, tra i quali la Chiesa non ha ancora messo le radici (RMi 34; AG 6.23.27) e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo (RMi 34; EN 18-20)
Scopo di questa attività missionaria ad gentes “non è né più né meno che la manifestazione, o epifanìa, e la realizzazione del disegno di Dio nel mondo e nella storia” (RMi 41; AG 9). La sua peculiarità è dunque costituita da almeno tre elementi: porta il primo annuncio evangelico ai non cristiani[67] [=evangelizzazione]; tende a costituire-impiantare una Chiesa locale autosufficiente [= implantatio ecclesiae]; attua una profonda inculturazione del Vangelo promuovendo i valori del Regno[68] [= inculturazione].
Per raggiungere questo scopo ben determinato l'attività missionaria ad gentes segue una metodologia specifica che si sviluppa secondo alcune tappe:
1.1.
L'evangelizzazione.
L' evangelizzazione è l'atto col quale la Chiesa, sotto l'impulso dello Spirito Santo, annunzia la salvezza che il Padre, nel suo infinito amore, offre a tutti gli uomini in Cristo e per mezzo di Cristo, morto e risorto. Essa infatti è stata inviata da Cristo al mondo con la missione evangelizzante di “proclamare la Buona Novella” a tutte le genti e cristianizzarle o “far discepoli” Suoi tutti gli uomini, testimoniando loro il Suo gratuito perdono dei peccati e la Sua vittoria sulla morte.[69]
La missione evangelizzatrice di Gesù[70] è così continuata, “con la potenza dello Spirito” (At 1,8), dalla Chiesa. La Chiesa esiste per evangelizzare (EN 14), per il “servizio della Parola”[71]. Il servizio dell' evangelizzazione è un vero servizio al mondo da parte degli inviati di Cristo e della Chiesa. “Se davvero la Chiesa ha coscienza di ciò che il Signore vuole ch'ella sia, sorge in lei una singolare pienezza e un bisogno di effusione, con la chiara avvertenza d'una missione che la trascende, d'un annuncio da diffondere. E' il dovere dell'evangelizzazione. E' il mandato missionario. E' l'ufficio apostolico”.[72]
Il fine ultimo di questa missione è la salvezza degli uomini: una «salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell'eternità» (EN 27).[73]
Mediante l'annunzio del Vangelo la Chiesa invita gli uomini alla conversione e alla fede in Cristo, e per mezzo del Battesimo, che di questa conversione e fede costituisce il sigillo, li accoglie nella comunità dei fedeli.[74]
Questa missione di annunziare la «Parola di salvezza» (At 13,26) si svolge in vari modi e in varie tappe. Questa varietà di modi di predicazione corrisponde alla diversità di situazione in cui si trovano coloro cui è rivolto il messaggio. Qui ci limiteremo all'evangelizzazione «missionaria» quale attività specifica della Chiesa[75], secondo lo schema di Ad gentes[76] e di Redemptoris missio.
1.1.1. la diakonìa: testimonianza della vita e carità.
Non c'è dubbio che l' evangelizzazione sta al primo posto: «guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9,16) e l'annunzio ha la priorità permanente nella missione (RMi 44). Però, più ampio ancora del ministero della Parola parlata è il ministero della Parola testimoniata con la vita e tradotta nella carità. Anzi si danno dei casi nei quali il Vangelo vissuto è l'unica forma possibile di evangelizzazione: «si danno a volte delle circostanze che, almeno temporaneamente, rendono impossibile l'annunzio diretto ed immediato del messaggio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con pazienza e prudenza, ed anche con grande fiducia, offrire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del Signore e rendendolo in qualche modo presente» (AG 6)[77].
Non solo nelle occasioni limite nelle quali la Chiesa è impedita di predicare il Vangelo, ma anche nell'esplicare la sua ordinaria attività missionaria, la Chiesa prevede che accanto alla predicazione e ai mezzi sacramentali della grazia, «con l'esempio della vita» essa deve farsi presente a tutti gli uomini e popoli per condurli alla fede e alla partecipazione piena al mistero di Cristo (cf AG 5)[78].
Questa testimonianza
è fatta di stima e di amore (AG 11), di comprensione e di accoglimento, di
solidarietà negli sforzi per tutto ciò che è nobile e buono (EN 21). Ebbene,
una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed
efficace, della Buona Novella (EN21). Oggi più che mai resta valido quanto
diceva Paolo VI in Evangelii nuntiandi:
« La testimonianza di una vita
autenticamente cristiana [...] è il primo mezzo di evangelizzazione. L'uomo
contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i
maestri lo fa perché sono dei testimoni».[79]
La testimonianza di una vita santa è divenuta più che mai una condizione
essenziale per l'efficacia della predicazione (EN 76); agli evangelizzatori si
richiede: «Credete veramente a quello che
annunziate? Vivete quello che credete? Predicate veramente quello che vivete?»
(EN 76; cf LG 28).
E' prevista anzi una testimonianza di vita che supera ogni linguaggio quanto ad efficacia evangelica: è il sangue dei martiri che, con il loro martirio, sono divenuti «seme fecondo dei cristiani» (AG 5)[80]. Anche nella nostra epoca ce ne sono tanti; sono essi gli anunziatori ed i testimoni per eccellenza (RMi 45).
La testimonianza della vita accompagnata da una grande carità: la stessa carità con la quale Dio ci ha amati (cf 1 Gv 4,11). Una carità «cristiana» che si estende a tutti, «senza discriminazioni etniche, sociali o religiose, senza prospettive di guadagno o di gratitudine» (AG 12); se ci deve essere una preferenza, questa è per i poveri ed i sofferenti (cf 2 Cor 12,15). Il tutto nello spirito delle beatitudini: «perché vedano le vostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16). Senza questa configurazione a Cristo e senza questa vita nuova nello Spirito, le tecniche di evangelizzazione, la stessa preparazione più raffinata...ben presto si riveleranno vuote e prive di valore (EN 75). La carità resta dunque «fonte e criterio della missione» (RMi 60).
Questa carità viene oggi espressa anche con la formula «promozione umana» che sottintende l'agire per la giustizia ed il partecipare alla trasformazione del mondo, quali dimensioni integranti della predicazione del vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato di cose oppressivo[81].
Se da un lato «la Chiesa rifiuta di sostituire l'annuncio del Regno con la proclamazione delle liberazioni umane» (EN 34) e, pur collegandole, «non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo» (EN 35), afferma però che il vangelo è un autentico messaggio di liberazione, e che l' evangelizzazione è legata in maniera profonda e molteplice all'opera di promozione umana: «Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono infatti dei legami profondi» (EN 31).
La Chiesa considera questa sua sollecitudine per l'uomo come un elemento essenziale della sua missione, indissolubilmente congiunto con essa[82]. Col Sinodo 1985 si può dire: «Questa dualità non è un dualismo. Bisogna quindi mettere da parte e superare le false ed inutili opposizioni...tra la missione spirituale e la diaconìa per il mondo»[83]. Sarà tuttavia opportuno ricordare con Redemptoris missio che la stretta connessione non deve far perdere di vista «la priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza escatologica» (RMi 20). Citando Puebla[84], Giovanni Paolo II ribadisce che «il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente».[85] Solo un'evangelizzazione più profonda garantirà un autentico sviluppo umano. Niente false e inutili opposizioni, dunque, come pure niente riduzioni; con Redemptoris missio si può dire: «Non si può dare un’immagine riduttiva del’attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri, contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa dei diritti umani. La Chiesa missionaria è anche impegnata su questi fronti, ma il suo compito primario è un altro: i poveri hanno fame di Dio, e non solo di pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le chiese locali che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi» (RMi 83)
La testimonianza della vita e l'esercizio della carità sono dunque una forma particolare di evangelizzazione: potrà tacere la parola, ma parlerà la carità.
1.1.2. la
didascalìa: l'annuncio di Cristo
Salvatore.
Se la testimonianza della vita ha una importanza primordiale, «tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata - ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1 Pt 3,15) - esplicitata da un annuncio chiaro ed inequivocabile del Signore Gesù» (EN 22).[86]
Pertanto: “L'annuncio ha la priorità permanente nella missione” (RMi 44) dal momento che la fede nasce dall'annuncio-ascolto (cf Rom 10,17). Un annuncio fatto in atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio concreto e adatto alle circostanze[87]. Un annuncio fatto sotto la guida dello Spirito (Gv 20,22; At 10,44; 9,17.31; cf EN 75, RMi 21-30), in unione con l'intera comunità ecclesiale (koinonìa),[88] fatto con franchezza (parresìa),[89] senza impedimento (At 28,31), con entusiamo, in ogni occasione opportuna e non opportuna (2 Tm 4,2), sapendo di essere “collaboratori di Dio” (syn-ergoi: 1 Cor 3,9) e “ambasciatori di Cristo” per riconciliare gli uomini con Dio (2 Cor 5,20), autentici testimoni,[90] artefici di unità e servitori della verità, animati d’amore, col fervore dei Santi;[91] il tutto con metodologie proprie.[92]
Queste metodologie prevedono varietà di modi, di tempi, di persone; compresi gli ostacoli.[93]
* l'annunzio kerygmatico: è il primo annunzio fatto a chi ancora ignora il messaggio di salvezza, allo scopo di portarlo alla «conversione», cioè al pentimento ed alla fede (AG 13; CD 1.13; DCG 17); [94]
* la catechesi: è l'approfondimento del kerigma fatto a coloro che, con la conversione, sono entrati nel catecumenato e si accingono a compiere il cammino dell'iniziazione cristiana (AG 14); ha lo scopo di ravvivare la fede e di renderla cosciente e operosa per mezzo di un’apposita istruzione (CD 14; DCG 17).[95]
La formazione catechetica, intesa come insegnamento sistematico della dottrina e come graduale esperienza di vita cristiana, è dovere grave della comunità e particolarmente dei pastori d'anime (CIC 773; CT 64.67); essi sono tenuti a garantire che la catechesi si svolga con ordine e regolarità in favore di tutte le categorie di fedeli e raggiunga tutte le fasce di età.[96]
Nelle missioni, la catechesi assume una parte di primaria necessità, in quanto si tratta di far nascere nuove comunità e di accompagnare la crescita religiosa dei battezzati, in un contesto ecclesiale giovane, che richiede un'adeguata inculturazione, spesso soggetto a pressioni contrarie da parte dell'ambiente non evangelizzato e talvolta sotto l'influenza del materialismo moderno.[97]
In questo campo è indispensabile la cooperazione di tutte le componenti della comunità, ma particolarmente di alcune categorie:
a. I genitori , anzitutto, ai quali spetta, prima di ogni altro, l'obbligo di formare cristianamente i figli con le parole e con l'esempio (CT 68; CIC 774). I pastori preparino coloro che stanno per contrarre matrimonio e aiutino gli sposi e i genitori cristiani in questa singolare responsabilità, con istruzioni appropriate e sussidi pratici.
b. I catechisti , nelle chiese di missione, hanno il compito di proporre la dottrina evangelica e di organizzare, in collaborazione con i sacerdoti, gli esercizi liturgici e le opere di carità (CIC 788). In qualche caso ad essi viene affidata la cura spirituale di piccole comunità, dove il sacerdote può recarsi solo saltuariamente. Con lo sviluppo delle chiese, il catechista tutto fare tende a configurarsi in un ufficio specifico, al quale è affidato unicamente il compito della catechesi. Occorre che i sacerdoti instaurino una speciale intesa con i catechisti, li valorizzino, li retribuiscano con giustizia e curino la loro formazione spirituale e intellettuale, in concordanza con le norme diocesane, anche in centri appositi (CT 66; CIC 780, 785 § 2).[98]
Il ruolo del catechista è molto più importante del ruolo dei testi e degli strumenti di lavoro (DCG 71; AG 17); i catechisti in terra di missione meritano in modo del tutto speciale il titolo di «catechista» (CT 66).
c. In dialogo con la persona : Tutte le forme di comunicazione della Parola si devono avvalere della trasmissione sempre efficace da persona a persona. Il Signore stesso l'ha praticata come attestano, ad esempio, le conversazioni con Nicodemo (cf. Gv 3,1ss), con la samaritana (cf. Gv 4,1ss), con Simone il fariseo (cf. Lc 7,1ss) e con altri. Sono da incoraggiare il contatto personale di chi trasmette la Parola con chi l'accoglie.[99]
Il ministero della Parola tende alla fede conversione (At 2,37-38; Rm 10,14-17) e si esercita, nella pastorale di prima evangelizzazione, soprattutto nel catecumenato.
1.1.2.1. Evangelizzazione e conversione (AG 13; RMi 46).
«Laddove Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo[100], a tutti gli uomini allora con franchezza e con fermezza[101] deve essere annunziato il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo. Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo[102], credendo al Signore liberamente si convertiranno, e sinceramente aderiranno a Colui che, essendo “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi infinitamente le supera» (AG 13).
I credenti, convertiti e battezzati, formano la Chiesa, nuovo popolo di Dio e mistico corpo di Cristo: Chiesa, che è “mistero”, ma che è anche “istituzione” visibile e storica. E' nella Chiesa, mistero ed istituzione, in quanto sacramento di Cristo, che i credenti trovano la salvezza.[103]
Così, lo scopo dell'evangelizzazione è triplice: lo scopo immediato è la conversione degli uomini; lo scopo mediato è l'edificazione della Chiesa, come istituzione sacramentale di salvezza; lo scopo ultimo è la salvezza degli uomini in Cristo. Non si tratta, però, di tre scopi distinti, bensì di tre aspetti di una realtà unica, ma complessa (cf Tt 3,4-7).
Questo annuncio fatto ai «non cristiani» in vista della loro conversione è generalmente chiamato kerygma. Nella tradizione neotestamentaria troviamo questo tipo di annuncio soprattutto nei discorsi degli Atti. Chi accoglieva il kerygma, vi rispondeva con la conversione radicale (metanoia: At 2,38; 5,31; 11,18...), con la fede esplicita, cioè con una confessione pubblica di fede cristologica (Cristo, Signore e Figlio di Dio: Fil 2,11; 1 Cor 12,3; 1 Tm 2,3-7), con l'impegno alla sequela e alla imitatio Jesu (Fil 2,1-11).[104] Infatti «Dall'evangelizzazione compiuta con l'aiuto di Dio hanno origine la fede e la conversione iniziale dalle quali ciascuno si sente chiamato ad abbandonare il peccato e a introdursi nel mistero dell'amore di Dio».[105]
Da questa prassi neotestamentaria possiamo trarre il seguente insegnamento per l'odierna attività missionaria: * l'annuncio evangelico deve essere rivolto a tutti indistintamente: ai credenti di altre religioni, come ai pagani [atei] del nostro tempo; * il messaggio ha un suo nucleo di fede uguale per tutti, ma deve essere adattato nella forma di comunicazione; * suo scopo non è l'indottrinamento, ma la conversione-fede; * non ci si preoccupa di una Chiesa del «numero», ma di una Chiesa di credenti che vive ciò che crede; * non ci si limita ad una predicazione liturgica, ma si va fuori per la predicazione kerygmatica ai lontani.
L'esperienza dell'evangelizzazione nella Chiesa primitiva[106] sta a ricordare che il sacramento è il punto di arrivo di un cammino di conversione e di fede e che il rapporto «evangelizzazione e sacramenti» va preso nella sua dinamica consequenzialità.[107]
La predicazione kerygmatica, dicevamo, sfocia nella conversione-fede di coloro che hanno accolto il messaggio della salvezza. A proposito di questa conversione, il decreto Ad gentes fa alcune precisazioni che devono essere tenute in alta considerazione. L'apertura del cuore e la fede nel Signore morto e risorto è opera dello Spirito Santo (At 16,14)[108]; la risposta dell'uomo deve essere libera e sincera; pertanto «la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abracciare la fede, allo stesso modo che rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni dalla fede stessa sia distolto» (AG 13)[109].
Questo tema è presente anche in Redemptoris missio: «D'altra parte, la Chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza» (RMi 39)
In questo processo di conversione deve dunque prevalere la legge suprema della coscienza perché «nessuno deve essere obbligato ad agire contro la sua coscienza» (DH 3).
Se, nella dinamica della predicazione-conversione, è da ripudiare ogni forma di costrizione, con Redemptoris missio occorre tener conto di un'altra, opposta, anomalia: «Oggi l’appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, è messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di “proselitismo”...» (RMi 46).[110] La conversione a Cristo non può essere scissa dal Battesimo (RMi 47). Non basta dunque limitarsi ad opere di giustizia, di pace o contentarsi che gli uomini vivano fedeli alla propria religione: ogni persona ha il diritto di udire la buona novella e, quando lo Spirito aprirà le porte del cuore, quegli uomini potranno credere al Signore e confessarlo (cf 1 Cor 12,3) e ricevere poi la pienezza della vita mediante la rinascita battesimale (cf Mt 28,19; Gv 3,5; RMi 46-47).
L'opera di evangelizzazione tende dunque alla conversione e alla fede; per completare la sua corsa, deve tendere verso il suo culmine, cioè ad essere sigillata mediante l'azione liturgico-sacramentale dei sacramenti di iniziazione dei quali il Battesimo è la porta e l'Eucaristia il culmine (cf SC 10): sulla parola del Signore che ha inviato i suoi missionari a fare discepole tutte le genti mediante l'annunzio, il battesimo, l'osservanza delle sue parole (Cf Mt 28,19; Mc 1,4; At 2,37-38; At 3,19; AG 5; RMi 47)[111].
1.1.2.2. Catechesi e catecumenato.
Secondo Ad gentes, coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo (LG 17) a seguito del primo annuncio kerygmatico, «siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato» (AG 14)[112].
Con il Vaticano II, sia il catecumenato che l'iniziazione cristiana degli adulti sono stati ripristinati dopo un intervallo di tempo di circa quindici secoli.[113] Data la loro importanza nell'attività missionaria, necessitano di una attenzione particolare.
Praticamente dal secolo V in poi il catecumenato antico era caduto in disuso[114]. Si dovrà attendere l'età moderna, quando verso il 1878 il card. Lavigerie in Africa dà vita a forme embrionali di catecumenato. La svolta decisiva, sotto l'impulso dell'esperienza missionaria, si ha con il Vaticano II. Già nel primo documento in discussione, la costituzione liturgica Sacrosanctum concilium, si chiede che venga ristabilito il catecumenato degli adulti, diviso in più gradi, destinato ad una conveniente istruzione e santificato con riti sacri da celebarsi in tempi successivi (SC 64); si chiede anche che siano rivisti i riti di iniziazione secondo le nuove esigenze (SC 65-70).
Successivamente il decreto Ad gentes, al n. 14, parla del catecumenato in maniera più diffusa; chiede che non sia «una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, ma una vera scuola preparatoria, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro Maestro».[115]
Il Sinodo dei Vescovi del 1977, dedicato alla catechesi, ha riaffermato l'importanza del catecumenato nella situazione di oggi, consacrandone in qualche modo il primato all'interno dell'attività evangelizzatrice della Chiesa[116].
La «scelta catecumenale» sia nell'ambiente ad gentes, sia nel contesto di nuova evangelizzazione,[117] sembra avere oggi una motivazione teologica, prima ancora che pastorale. Rimette in onore il principio che «cristiani non si nasce, ma si diventa»[118], in un processo graduale e impegnativo che coinvolge il catecumeno e la comunità che lo accoglie. Riequilibra a favore della vita di fede una prassi pastorale prevalentemente dottrinale, individuale, infantile.[119] Elementi, questi, che obbligano ad una sana scelta catecumenale come del resto indicato dal Direttorio Catechistico Generale: «Nei paesi di antica tradizione cristiana la catechesi si presenta spesso come forma scolastica o extrascolastica di insegnamento religioso per i fanciulli e gli adolescenti. In questi stessi paesi si hanno attività varie per la catechesi agli adulti o iniziative di catecumenato per coloro che si preparano a ricevere il battesimo o che, pur battezzati, mancano della debita iniziazione cristiana. Molto spesso la situazione reale di grandi masse di fedeli rende necessaria una evangelizzazione dei battezzati, come forma prioritaria di catechesi» (DCG 19; anche il n. 130 dedicato al catecumenato degli adulti).[120]
1.1.3. la liturgia: l'iniziazione cristiana degli adulti ed i
sacramenti di iniziazione.
Il decreto Ad gentes qundo parla del catecumenato lo fa inserendolo nel processo dinamico di «iniziazione cristiana»; e dice: «i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica delle norme evangeliche, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente, siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del Popolo di Dio» (AG 14); questa pedagogia catecumenale richiede un rinnovamento dell'iniziazione cristiana e della stessa liturgia quaresimale, e lo stesso CIC dovrà aggiornare le sue norme relative ai catecumeni (AG 14; cf SC 65; LG 14; PO 5-6; CD 14).[121]
In attuazione di queste precise richieste, nel 1972 è stato pubblicato l'Ordo Initiationis Christianae Adultorum (=OICA)[122]. Nella prefazione all'edizione italiana [1978], i vescovi di questa Conferenza scrivono: «L'itinerario, graduale e progressivo, di evangelizzazione, iniziazione, catechesi e mistagogìa è qui presentato come forma tipica per la formazione cristiana».[123]
In effetti un siffatto itinerario di formazione cristiana si ispira alla migliore tradizione patristica, al periodo in cui l'attività ecclesiale è organizzata in maniera efficace per condurre gli adulti a diventare cristiani.[124]
Questo itinerario di iniziazione cristiana è destinato agli adulti che hanno «udito l'annuncio e per la grazia dello Spirito Santo che apre loro il cuore, consapevolmente e liberamente cercano il Dio vivo e iniziano il loro cammino di fede e di conversione. Potranno così essere aiutati nella loro preparazione e, a tempo opportuno, ricevere con frutto i sacramenti».[125]
Troviamo qui espresse le tappe dell'evangelizzazione che hanno inizio con il kerygma (= udito l'annuncio), proseguono con la catechesi (= si inizia il cammino di fede e di conversione), culminano con la liturgia (= si ricevono i sacramenti di iniziazione: battesimo, confermazione, eucaristia).
A noi non interessa qui descrivere tutto il Rito di iniziazione;[126] ci limiteremo agli elementi che maggiormente ispirano l'attività missionaria di una comunità cristiana che aiuta i suoi catecumeni a diventare cristiani.
La struttura della iniziazione cristiana degli adulti prevede, secondo l'OICA, il susseguirsi di 3 gradi o passaggi; a ciascun grado corrisponde un rito liturgico e un tempo di ricerca-maturazione.
Primo grado: si ha quando uno, dando inizio alla conversione, vuol diventare cristiano ed è accolto dalla Chiesa come catecumeno. E' il tempo dell'evangelizzazione, del precatecumenato, del catecumenato. Il rito è quello dell’ammissione al catecumenato.
a) Il tempo dell' evangelizzazione e del precatecumenato: è il tempo di quell' evangelizzazione che con fiducia e costanza annunzia ai non cristiani il Dio vivo e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo. Da questa evangelizzazione hanno origine la fede e la conversione iniziale; matura la seria volontà di seguire Cristo e di chiedere il battesimo (OICA 9-13).
b) Il tempo del catecumenato: è piuttosto lungo e si offre ai catecumeni una opportuna «catechesi»[127]; porta i catecumeni non solo ad una conveniente conoscenza dei dogmi e dei precetti, ma anche all'intima esperienza del mistero della salvezza che ha il suo culmine nella pasqua di morte e risurrezione del Signore Gesù (OICA 14-20). Questo tempo si concluderà con l'ultima quaresima che prepara a ricevere i sacramenti della iniziazione.
Per il conseguimento di questa maturazione cristiana si seguono 4 vie:
* prima via, la catechesi; è disposta per gradi e presentata integralmente, adattata all'anno liturgico e fondata sulle celebrazioni della parola.
* seconda via, la diaconìa: i catecumeni si abituano a servire Dio con la preghiera e a testimoniare la fede mantenendosi nell'attesa di Cristo e a donarsi con amore al prossimo; esige un cambiamento di mentalità; non di rado si va incontro a crisi e a distacchi (cf AG 13).
* terza via, la liturgia: in appositi riti liturgici ascoltano la Parola di Dio (celebrazioni della Parola), sono purificati (esorcismi minori) e sostenuti dalla benedizione di Dio (benedizioni dei catecumeni); vengono congedati al termine della liturgia della Parola quando partecipano con la comunità riunita per l'Eucaristia.
* quarta via, la missione: imparano a collaborare nell' evangelizzazione e nell'edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede.
Secondo grado: preparazione ai sacramenti. Si svolge durante la quaresima che precede il conferimento dei sacramenti dell'iniziazione. E' il tempo della purificazione e dell'illuminazione. I catecumeni si dispongono alla celebrazione pasquale quando, nella grande Veglia, riceveranno i sacramenti dell'iniziazione. Più che l'istruzione (catechesi) prevale la riflessione spirituale atta a purificare il cuore e la mente (revisione di vita, penitenza)[128]. I riti previsti: celebrazioni della Parola di Dio, esorcismi minori, benedizioni e riti di passaggio, scrutini, traditiones e redditiones (Credo, Pater).
Terzo grado: si ricevono i sacramenti dell'iniziazione cristiana. Con quest'ultimo passaggio, gli «eletti» ottenuta la remissione dei peccati, aggregati al popolo di Dio, ricevono l'adozione a figli e sono introdotti dallo Spirito Santo nel tempo pieno delle promesse partecipando al banchetto eucaristico. I riti previsti: celebrazione dei sacramenti di iniziazione (Battesimo, Confermazione, Eucaristia).
Dopo aver portato a compimento la loro iniziazione, i «neofiti» [= nuove piante] proseguono in comunità il loro cammino nella meditazione del Vangelo, nell'assidua partecipazione all'Eucaristia, nell'esercizio della carità, nella pratica della vita cristiana.
E' il tempo della «mistagogìa»[129]: si offre una catechesi nuova (incentrata sui «segni» battesimali); si gusta, nella comunità, quanto è buono il Signore. I riti previsti: messe per i neofiti, celebrazione dell’anniversario dell’iniziazione col vescovo.
Concludendo questa riflessione sul catecumenato moderno e sull' iniziazione cristiana degli adulti, si vuol ribadire l'importanza che hanno queste istituzioni per l'attività missionaria della Chiesa: stanno a ricordare metodi di evangelizzazione che, dall'esperienza della Chiesa antica, si ripropongono anche ai giorni nostri in tutta la richezza della loro efficacia. [130]
Di grande interesse pastorale sono pure le indicazioni offerte dall’OICA 306-369 circa il «Rito di iniziazione cristiana dei fanciulli nell’età del catechismo».[131]
1. 2. LA «PLANTATIO ECCLESIAE» O FORMAZIONE DI CHIESE LOCALI.
L'impiantazione e fondazione delle nuove comunità cristiane è stata oggetto di una continua preoccupazione da parte della Chiesa nel compiere la sua missione evangelizzatrice.[132]
«La conversione e il battesimo immettono nella Chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. [...] La missione ad gentes ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare Chiese fino alla loro completa maturazione. E', questa, una mèta centrale e qualificante dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata finché non riesce ad edificare una nuova Chiesa particolare, normalmente funzionante nell'ambito locale” (RMi 48). Quest'opera missionaria è detta plantatio Ecclesiae e deve essere riconosciuta come fine specifico, o meglio forse immediato, benché non unico, dell'attività missionaria della Chiesa. Del resto questa preoccupazione è più che giustificata; la Chiesa sa di essere “sacramento universale di salvezza” (LG 48) e sa anche che Cristo stesso ha fondato la Chiesa “come necessaria” per essere incorporati a lui e partecipare della sua opera di redenzione (AG 7). Da qui il dovere per la Chiesa di essere presente e di radicarsi in quegli ambienti in cui ancora non esiste;[133] l’impiantazione, pertanto, non ha nulla a che fare con la «trapiantazione», cioè con l’esportazione di modelli occidentali di Chiesa in territori di missione.[134]
L'opera della “plantatio ecclesiae” equivale a fondare una Chiesa (diocesi) particolare che “inserita ormai profondamente nella vita sociale e in qualche modo adeguata alla civiltà locale, gode di una salda stabilità: fornita cioè di una sua schiera, anche se insufficiente, di sacerdoti indigeni, di religiosi e di laici, essa viene arricchendosi di quelle funzioni ed istituzioni, che si richiedono perché il popolo di Dio sotto la guida di un proprio vescovo, conduca e sviluppi la sua vita” (AG 19)[135].
La “plantatio ecclesiae” è dunque un processo di crescita per tappe successive - “essa conosce inizi e gradi” (AG 6) - con l'ausilio di mezzi adeguati.[136] Il decreto Ad gentes indica queste tappe e questi mezzi: oltre all'evangelizzazione, di cui si è già parlato, occorre fare ricorso ai sacramenti e ai mezzi della grazia di cui è centro e vertice la SS. Eucaristia [liturgia] (AG 6. 15)[137]; costituire una gerarchia propria unita al popolo fedele e dotata di mezzi appropriati per vivere bene la vita cristiana ed applicare una pastorale missionaria rinnovata [pastorale] (AG 16); utilizzare funzioni e istituzioni che si richiedono perché il popolo di Dio conduca e sviluppi la sua vita [strutture e ministeri](AG 15.17-21).
1.2.1. Ricorso ai
sacramenti e ai mezzi della grazia.
Già abbiamo detto che la missione affidata da Cristo ai suoi apostoli non si limita all'annuncio, ma prevede anche l'attuazione di tale annuncio mediante la realtà sacramentale della Chiesa.[138] Se con l'evangelizzazione la Chiesa conduce gli uomini alla fede-conversione, è con la sua azione liturgica, quindi sacramenti e vita di preghiera, che li incorpora a Cristo e permette loro la partecipazione al mistero pasquale. La liturgia, con al suo centro e vertice la SS. Eucaristia,[139] diventa quindi «fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione» (PO 5): le va riconosciuto un ruolo di priorità nell'opera di «plantatio ecclesiae».[140]
In quanto «culmine», la liturgia è il naturale punto di arrivo dell'opera evangelizzatrice;[141] in quanto «fonte» è il punto di partenza, con il dono delle necessarie energie dello Spirito, per ogni opera missionaria.[142] Niente contrapposizione, quindi, tra evangelizzazione e liturgia-sacramentalizzazione, ma piuttosto una intercomunicazione ininterrotta.[143] Già s. Paolo riteneva la sua opera missionaria una ininterrota liturgia e la predicazione del Vangelo era per lui un ufficio sacro (hierourgoúnta) e l’offerta dei pagani una oblazione (prosphorá) gradita e santificata dallo Spirito (cf Rm 15,16).
Senza dilungarci oltre sul rapporto «Liturgia e missione»,[144] ci occupiamo qui di altre questioni che vedono strettamente collegata la liturgia con l’ evangelizzazione in vista della «plantatio ecclesiae»: il ministero della parola, l’adattamento liturgico, la predicazione, la pastorale sacramentale, le celebrazioni domenicali in assenza-attesa del presbitero.
1.2.1.1. Il ministero della parola.
Per ministero della parola si intende l’esercizio della missione profetica di Cristo che continua nella Chiesa (cf RdC 10); può intendersi anche la manifestazione di quel colloquio che Dio stesso non cessa di intrattenere con la Sposa del suo Figlio diletto; e si può intendere anche la prosecuzione dell’azione dello Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e, per mezzo di questa, nel mondo, al fine di introdurre i credenti a tutta intera la verità e in essi far risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cf DV 8).
La Chiesa è stata costituita ministra di questo mistero di salvezza;[145] essa ne ha esperienza, ne è discepola, custode e interprete; per questo deve restarne sempre anche in religioso ascolto (DV 1; AG 22); essa esiste proprio in vista di questo ministero, per il servizio della parola (cf At 6,4; 12,25; 20,4; 21,19; Rm 11,13; 1 Tm 1,12; 2 Tm 4,11), vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia (EN 14).
Nel contesto liturgico poi, in forza della proclamazione della parola, la stessa celebrazione diventa un nuovo evento e arricchisce la parola stessa di una nuova efficace interpretazione (cf OLM 3).
Il ministero della parola può essere considerato «la prima carità» che i ministri del Vangelo debbono compiere nel servizio dell’evangelizzazione, partecipando così alla missione profetica di Cristo (cf PO 4; EN 68). Come Pietro e Giovanni e Paolo, ogni ministro della Parola deve essere messaggero infaticabile della Buona Novella (cf At 4,20; 18,9-10).
a. Il fine.
Il ministero della parola tende a suscitare una fede viva che converta la mente a Dio, spinga ad aderire alla sua azione, conduca a una viva conoscenza dei contenuti della tradizione, riveli e manifesti il vero significato del mondo e dell’esistenza umana. Essendo annuncio di un messaggio di salvezza, porta agli uomini l’Evangelo, toccando in essi quella volontà di vivere, quel profondo desiderio di pienezza, quella viva attesa della felicità futura che Dio ha inserito nel cuore di ogni uomo (cf DCG 16).
Rinati mediante la parola di Dio (cf 1 Pt 1,23) tutti gli uomini sono poi con il Battesimo aggregati alla Chiesa che, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla parola di Dio e dal pane eucaristico (cf At 2,42; OLM 10).
Un tale annuncio non è solo liberazione da tutto ciò che opprime l’uomo, ma è soprattutto liberazione dal peccato e dal Maligno, nella gioia di conoscere Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui (cf EN 9).
Grazie al ministero della parola Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice; si tende inoltre alla realizzazione del piano di Dio, cioè la costituzione di tutto il genere umano nell’unico Popolo di Dio, la sua riunione nell’unico corpo di Cristo, la sua edificazione nell’unico tempio dello Spirito Santo (cf AG 7).
La parola che viene da Dio, di Dio possiede la potenza e l’efficacia; essa è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (cf Rm 1,16; LG 35; RdC 35). Perciò ogni ministero della parola realizza la glorificazione di Dio e genera un evento di salvezza per gli uomini. Il ministero della parola non è semplice comunicazione di sapere, ma trasmissione di una parola che invita, interroga, provoca, consola, crea comunione e salva.
b. Principali espressioni.
Unica è la parola di Dio, come uno è il Signore Gesù Cristo al quale si rende testimonianza, e unico l’ufficio profetico del quale, in diverso modo, si partecipa in forza dello Spirito.
Molteplici sono invece le forme con cui si esplica il ministero della parola (cf LG 12; PO 4; DCG 17; RdC 34) dovute alla diversità degli annunciatori, degli ascoltatori, delle situazioni, dei mezzi e dei metodi.
Questa predicazione evangelizzatrice assume parecchie forme, che lo zelo ispirerà a ricreare quasi all'infinito. Sono effettivamente innumerevoli gli avvenimenti della vita e le situazioni umane che offrono l'occasione di un annuncio discreto, ma incisivo, di ciò che il Signore ha da dire in questa circostanza. Basta una vera sensibilità spirituale per saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio (EN 43).
Secondo il Direttorio Catechistico Generale il ministero della parola assume forme diverse, tra loro strettamente collegate, ciascuna delle quali obbedisce a leggi proprie.
b.1. L’evangelizzazione o predicazione missionaria, la quale si propone di suscitare quel primo atto di fede (cf CD 11, 13; AG 6, 13, 14), con cui gli uomini aderiscono alla parola di Dio (DCG 17).
Questo ministero è essenziale alla Chiesa; è il primo e principale servizio che la Chiesa deve rendere a ciascun uomo e all’intera umanità (RM 2); è un’attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa (RM 31).
b.2. La catechesi. Il ministero della parola prende il nome di «catechesi» quando tende a ravvivare tra gli uomini la fede e di renderla cosciente e operosa per mezzo di un’opportuna istruzione (cf CD 14).
La catechesi è esplicazione sempre più sistematica della prima evangelizzazione, educazione di coloro che si dispongono a ricevere il Battesimo o a ratificarne gli impegni, iniziazione alla vita della Chiesa; essa tende anche a sviluppare l’annuncio fondamentale della parola di Dio per guidare l’itinerario degli uomini alla fede e alla concreta testimonianza di carità (RdC 30).
Essa suppone un’adesione globale all’Evangelo di Cristo, proposto dalla Chiesa. Spesso però essa si rivolge a soggetti che, sebbene appartenenti alla Chiesa, di fatto non hanno ancora dato una vera adesione personale al messaggio rivelato. Ciò significa che l’evangelizzazione può precedere o accompagnare il compito della catechesi propriamente detta; dal momento poi che la conversione è una dimensione sempre presente al dinamismo della fede, ogni catechesi deve avere anche una funzione evangelizzatrice (cf DCG 18).
b.3.La forma teologica, cioè la trattazione sistematica e l’investigazione scientifica delle verità della fede.[146]
Possiamo aggiornare questo elenco con forme nuove di ministero della parola che sono ormai imposte all’attenzione evangelizzatrice della Chiesa:
b.4. La nuova evangelizzazione, intesa come annuncio che tende a ridestare la fede in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni, rinnovarla continuamente in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo.[147]
b.5. Il dialogo. Una forma di ministero della parola può essere considerato oggi anche il «dialogo», sia quello ecumenico che quello interreligioso.
La divisione dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione dell’Evangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede (AG 6). Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza. E’ perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva (RMi50).[148]
Anche il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Esso può essere metodo e mezzo per annunciare la pienezza della rivelazione e dell’amore di Dio per tutte le genti (RMi 55).[149]
b.6. La predicazione liturgica. E’ il culmine del ministero della parola; qui un tale ministero è parte integrante della stessa celebrazione; il ministero della parola diventa atto liturgico dal momento che le opere della salvezza annunciate nelle letture e nell’omelia vengono attualizzate nel sacrificio della Messa (cf SC 6 e 47); nella celebrazione, sotto l’azione dello Spirito Santo, la parola si fa sacramento (cf OLM 41). Pertanto, nella liturgia «la Chiesa si nutre del pane della vita sia alla mensa della parola di Dio che a quella del corpo di Cristo».[150].
L’omelia è la forma più completa del ministero della parola nella celebrazione liturgica. Con l’omelia il ministro competente annuncia, spiega e loda il mistero cristiano che si celebra perché i fedeli lo accolgano intimamente nella loro vita e a loro volta si dispongano a testimoniarlo nel mondo (RdC 29; OLM 24).[151]
b.6.1. Natura dell’omelia.
«Per omelia, da tenersi dal testo sacro, si intende la spiegazione di qualche aspetto delle letture della sacra Scrittura, o di altri testi dell'ordinario o del proprio della messa del giorno, tenendo in debito conto il mistero celebrato e le particolari esigenze degli ascoltatori».[152]
E’ parte della liturgia della parola; la «corsa» della Parola (cf 2 Ts 3,1) non può dirsi compiuta finché la Parola stessa non è spiegata, assimilata, fino a diventare azione di grazie e testimonianza nella vita.
L'omelia riprende l'itinerario di fede, proposto dalla catechesi, e lo porta al suo naturale compimento; parimenti, essa spinge i discepoli del Signore a riprendere ogni giorno il loro itinerario spirituale nella verità, nell'adorazione e nel rendimento di grazie (CT 48).
Con l’omelia nel corso dell'anno liturgico vengono esposti, in base al testo sacro, i misteri della fede e le norme della vita cristiana. L'omelia nella celebrazione della messa ha lo scopo di far sì che la proclamazione della parola di Dio diventi, insieme con la liturgia eucaristica, “quasi un annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo”. Infatti il mistero pasquale di Cristo, che viene annunziato nelle letture e nell'omelia, viene attualizzato per mezzo del sacrificio della messa. Sempre poi Cristo è presente e agisce nella predicazione della sua Chiesa.
Pertanto l'omelia, sia che spieghi la parola di Dio annunziata nella sacra Scrittura o un altro testo liturgico, deve guidare la comunità dei fedeli a partecipare attivamente all'eucaristia, perché “esprimano nella vita ciò che hanno ricevuto mediante la fede”. Con questa viva esposizione, la proclamazione della parola di Dio e le celebrazioni della Chiesa possono ottenere una maggiore efficacia. (OLM 24)
b.6.2. Funzioni dell’omelia.
Nel corso dell'anno liturgico, l'omelia illustra i misteri della fede e le norme della vita cristiana, riferendoli sempre alla pasqua di Cristo; essa tiene in debito conto l'azione liturgica che si sta svolgendo e assume una accentuata tonalità cherigmatica, dottrinale, morale o apologetica, secondo le particolari esigenze dei fedeli presenti (cf. IOE 54; SC 52).
La predicazione, incentrata sui testi biblici, deve permettere di familiarizzare i fedeli con l'insieme dei misteri della fede e delle norme della vita cristiana (CT 48).
All’omelia si possono attribuire le seguenti funzioni:
a. funzione esegetica: rende possibile la comprensione dei testi biblici, sull’esempio della funzione omiletica compiuta da Gesù (Lc 4,16-22; Lc 24,25-27; cf At 8,30-35); rende possibile l’«amen» dei fedeli (1 Cor 14,16); permette di gustare e vedere quanto è buono il Signore (Sal 33,9); deve guidare i fedeli a intendere e a gustare la sacra Scrittura;
b. funzione didattica-profetica: più che esporre delle verità, deve mettere in contatto diretto e vitale con il Signore Risorto; rende possibile l’atto di fede (Rm 10,14);
c. funzione mistagogica: è cerniera tra la liturgia della parola e la liturgia eucaristica; conduce alla piena-attiva-fruttuosa partecipazione ai santi misteri; permette di cogliere la celebrazione come «evento» di salvezza; apre il loro cuore al rendimento di grazie per i fatti mirabili da Dio compiuti; alimenta la fede dei presenti per ciò che riguarda quella parola che nella celebrazione, sotto l'azione dello Spirito Santo, si fa sacramento;
d. funzione missionaria: è invito ad esprimere nella vita quanto si è ricevuto nei santi misteri (SC 10); spinge alla missione e alle opere di carità; esorta ad assumere gli impegni della vita cristiana (OLM 41).
L'omelia è uno strumento valido ed adattissimo di evangelizzazione. Bisogna certo conoscere e mettere a profitto le esigenze e le possibilità dell'omelia perché essa acquisti tutta la sua efficacia pastorale. Bisogna, però, soprattutto esserne convinti e dedicarvisi con amore (EN 43).
b.6.3. Qualità dell’omelia.
Bisogna dedicare grande attenzione all'omelia: nè troppo lunga nè troppo breve, sempre accuratamente preparata, sostanziosa e appropriata, e riservata ai ministri ordinati. Tale omelia deve avere il suo posto in ogni eucaristia domenicale e festiva, ma anche nella celebrazione dei battesimi, delle liturgie penitenziali, dei matrimoni, dei funerali. E' questo uno dei vantaggi del rinnovamento liturgico (CT 48)
L'omelia sia davvero frutto di meditazione, ben preparata, non troppo lunga nè troppo breve, e che in essa ci si sappia rivolgere a tutti i presenti, compresi i fanciulli e la gente semplice (OLM 24).
b.6.4. Chi deve tenete l’omelia.
Quando è presente il Vescovo, sia che presieda, sia che assista, è bene che sia lui a presiedere la liturgia della parola (IGMR 59) e quindi a tenere l’omelia.
In assenza del Vescovo, l’omelia di norma è tenuta da colui che presiede (IGMR 42; OLM 24), sacerdote o diacono (cf IGMR 61; CIC can 767 § 1).
«I laici possono essere ammessi a predicare in una Chiesa o in un oratorio, se in determinate circostanze lo richieda la necessità o in casi particolari l’utilità lo consigli, secondo le disposizioni della Conferenza Episcopale, e salvo il can. 767 § 1» (CIC can 766; cf Sull’affidamento ai laici della funzione di predicare, 23.11.1973, EV S1/ 468-471; ChL 23).
La fede e la speranza di chi si fa ministro della parola devono trasparire nel momento dell'omelia, di modo che chi ascolta possa cogliere la perenne attualità del mistero della salvezza, voglia assumerlo come norma di vita e perseveri in una convinzione operosa.
b.6.5. Quando tenere l’omelia.
La celebrazione eucaristica non è il solo momento appropriato per l'omelia. Questa trova il suo posto e non deve essere trascurata nella celebrazione di tutti i sacramenti, o ancora nel corso di para-liturgie, nell'ambito di assemblee di fedeli. Sarà sempre una occasione privilegiata per comunicare la Parola del Signore (EN 43).
Il Codice di Diritto Canonico offre le seguenti norme:
* Can. 767 - §1. Tra le forme di predicazione è eminente l'omelia, che è parte della stessa liturgia ed è riservata al sacerdote o al diacono; in essa lungo il corso dell'anno liturgico siano esposti dal testo sacro i misteri della fede e le norme della vita cristiana.
§2. Nei giorni di domenica e nelle feste di precetto, in tutte le Messe che si celebrano con concorso di popolo, si deve tenere l'omelia nè la si può omettere se non per grave causa.
§3. Si raccomanda caldamente che, se si dà un sufficiente concorso di popolo, si tenga l'omelia anche nelle Messe che vengono celebrate durante la settimana, soprattutto quelle celebrate nel tempo di avvento e di quaresima o in occasione di qualche festa o di un evento luttuoso.
§4. Spetta al parroco o al rettore della Chiesa curare che queste disposizioni siano osservate religiosamente.
* Can. 768 - §1. I predicatori della parola divina propongano in primo luogo ai fedeli ciò che è necessario credere e fare per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini.
§2. Impartiscano ai fedeli anche la dottrina che il magistero della Chiesa propone sulla dignità e libertà della persona umana, sull'unità e stabilità della famiglia e sui suoi compiti, sugli obblighi che riguardano gli uomini uniti nella società, come pure sul modo di disporre le cose temporali secondo l'ordine stabilito da Dio.
* Can. 769 - La dottrina cristiana sia proposta in modo conforme alla condizione degli uditori e adattato alle necessità dei tempi.[153]
b.6.6. Qualità, competenza.
Ogni ministro della parola si sforzi con ogni mezzo e si valga di sussidi adatti per acquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amore e una conoscenza della Scrittura (SC 24; DV 25) per diventare un più perfetto discepolo del Signore.
Conservi un contatto continuo con le Scritture, mediante la lettura assidua e lo studio accurato, affinché non diventi «vano predicatore della parola di Dio all'esterno colui che non l'ascolta di dentro» (DV 25 che cita S. Agostino).
Accompagni la lettura della Scrittura con la preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo, poiché «quando preghiamo parliamo con lui, lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli» (DV 25 che cita S. Ambrogio).
I ministeri ed i servizi esigono consapevolezza in chi li assume; maturano e si nutrono mediante un costante sforzo ascetico, perché all'ufficio e alla grazia ricevuti deve corrispondere una coerente testimonianza di vita: «conoscere quel che si fa, imitare ciò che si tratta».[154]
I ministeri non sono solamente prestazioni rituali ma servizi all'intera vita della Chiesa; in coloro che esercitano tali ministeri si richiede non solo una buona attitudine e preparazione ai riti, bensì un'idoneità a espletare il ministero conseguente e la disponibilità radicale ad essere e fare nella Chiesa quanto il ministero comporta. E' una donazione di sé quella che si richiede a colui che assume il ministero; il quale esige poi continuità e disponibilità.
Secondo le espressioni dell'omelia per l'istituzione dei Lettori «è necessario che, mentre annunziate agli altri la parola di Dio, sappiate accoglierla in voi stessi con piena docilità allo Spirito Santo; meditatela ogni giorno per acquistarne una conoscenza sempre più viva e penetrante, ma soprattutto rendete testimonianza con la vostra vita al nostro Salvatore Gesù Cristo».
Ogni ministro della parola deve pertanto compiere questo ufficio ponendosi al servizio della parola di Dio con tutta la sua persona e con tutta la sua capacità di comunicazione. In questo modo l'assemblea dei fedeli potrà comprendere la parola di Dio e metterla in pratica; potrà partecipare in maniera più consapevole e fruttuosa ai santi misteri che si celebrano.[155]
b.6.7. Formazione.
Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave a vivo amore della sacra Scrittura (SC 24), è necessario che i ministri della parola siano veramente idonei e preparati con impegno (IGMR 66). Questa preparazione deve essere soprattutto spirituale; ma è necessaria anche quella propriamente tecnica.
a. La preparazione spirituale. Suppone almeno una duplice formazione: biblica e liturgica.
b. formazione biblica. Deve portare il ministro della parola ad apprendere «la sublime scienza di Gesù Cristo» (Fil 3,8; cf DV 25); a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell'annuncio rivelato alla luce della fede. Non si richiede tanto una conoscenza esegetica dei testi, ma piuttosto una conoscenza profonda e vitale della Scrittura alla luce della tradizione liturgica, patristica e sapienziale;
c. formazione liturgica. Deve comunicare al ministro della parola una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della parola e la liturgia eucaristica. Deve comunicare al ministro della parola anche quel senso di fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia quale esigenza della lex orandi (cf Vicesimus quintus annus 13; SC 22).
d. La preparazione tecnica. Deve rendere il ministro della parola sempre più idoneo all'arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l'aiuto dei moderni strumenti di amplificazione.
Tenendo conto di tutto questo, appare evidente che non si può improvvisare un ministro della parola. Si richiede serietà e preparazione ed esige di essere svolto soltanto da coloro che offrono tali garanzie.
Molteplici sono dunque le forme del ministero della parola (cf LG 12; PO 4), ma ciascuna deve sforzarsi di essere testimonianza piena della parola di Dio, esplicazione della fede, memoria degli eventi e delle parole della salvezza, santificazione in atto per ciascuno che ascolta, annuncio della piena comunione con Dio nella vita eterna, glorificazione di Dio e evento di salvezza per chiunque crede.
1.2.1.2. La pastorale sacramentale.
Per quanto riguarda la pastorale dei sacramenti, il primo compito dei pastori è di curarne la vera conoscenza, specialmente mediante la catechesi: il loro carattere ecclesiale, la loro intrinseca finalizzazione e unità con l'eucaristia, l'idoneità radicale dei fedeli a riceverli e viverne la grazia propria in forza del loro sacerdozio comune cristiano (LG 11). Si combatta l'equivoco che i sacramenti vengano considerati come atti a sé, quasi con effetto magico, staccati dalla vita.[156]
Avendo i fedeli ben disposti il diritto di ricevere i sacramenti (CIC 213, 843 § 1), i pastori procurino che siano preparati in debito modo (CIC 843 § 2). Va precisato che la pastorale sacramentale non si limita al tempo precedente la celebrazione, ma continua anche dopo, come accompagnamento e maturazione, con particolare riferimento ai neofiti (CIC 789). La comunità ha il dovere di creare un ambiente di fraterna accoglienza per quanti ricevono i sacramenti la prima volta.
a. L’Eucaristia. La centralità dell’Eucaristia permette ad una comunità di iniziare, vivere e crescere fino alla maturità della fede. I pastori curino la partecipazione attiva dei fedeli invitandoli a ricevere con frequenza il pane di vita ed anche a venerare con l’adorazione il Cristo vivente nel tabernacolo (CIC 898).
Quando, per mancanza di sacerdoti, non è possibile celebrare la santa messa ogni domenica per tutte le comunità, sia cura dei pastori stabilire un programma che preveda la celebrazione per turno, di modo che i fedeli possano avere una certa garanzia e ordine in questo campo essenziale per la loro vita cristiana. L’Eucaristia è fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione; è il centro della comunità dei fedeli presieduta dal presbitero (PO 5). Una comunità cristiana non può formarsi se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della santissima Eucaristia, alla quale perciò deve ispirarsi qualsiasi educazione allo spirito comunitario. La celebrazione eucaristica, a sua volta, per essere sincera e piena deve condurre sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all'azione missionaria e alle varie forme della testimonianza cristiana (PO 6).
«Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'Eucaristia» (RMi 26). «Ogni comunità, infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo, nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera incentrata sull'eucaristia, nella comunione espressa in unità di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri (cf. At 2, 42-47)» (RMi 51).
b. La penitenza. Nella situazione attuale, giova anche richiamare i sacerdoti «ad un esercizio diligente, regolare, paziente e fervoroso del sacro ministero della penitenza ». Si tratta di una pastorale che richiede disponibilità e spirito di sacrificio, ma che è l'espressione più elevata della misericordia di Dio in Cristo, attraverso il ministero della Chiesa. Si sforzino i sacerdoti di presentare questo sacramento anche come soluzione dei conflitti esistenti nel mondo attuale, in quanto il peccato individuale si ripercuote sempre nella vita sociale, con conseguenze deleterie per la dignità integrale dell'uomo.
Nelle chiese dei territori di missione, proprio perché questa pratica è ancora attuata in larga misura, grazie ad una genuina catechesi e alla generosità dei pastori, bisogna saper superare ogni difficoltà organizzativa e di personale, per conservarla e intensificarla. Una programmazione ordinata aiuterà ad unire le forze, specialmente in occasione delle grandi feste, di modo che i sacerdoti vicini possano aiutarsi vicendevolmente. Si deve tener sempre presente che la confessione individuale è l'unico modo ordinario con cui il fedele, conscio di peccato grave, è riconciliato con Dio e con la Chiesa. Per quanto riguarda, invece, l'assoluzione a più penitenti insieme, senza la previa confessione individuale, si ricordi che essa può essere impartita solo a precise condizioni di imminente pericolo di morte oppure di grave necessità; ciò si verifica quando, dato il numero dei penitenti, non si ha a disposizione abbondanza di confessori per ascoltare, come si conviene, le confessioni dei singoli entro un tempo conveniente, sicché i penitenti, senza loro colpa, sarebbero costretti a rimanere a lungo privi della grazia sacramentale o della sacra comunione. Giudicare se ricorrano le condizioni richieste dalla norma canonica spetta al vescovo diocesano, il quale, tenuto conto dei criteri concordati con gli altri membri della conferenza episcopale, può determinare i casi di tale necessità. Specialmente nei tempi liturgici forti, poi, non si trascurino le celebrazioni penitenziali comunitarie, educando i fedeli a comprenderne il senso profondamente ecclesiale di purificazione, anche se non sacramentale.
c. Il battesimo. Nei territori, soprattutto, ma non esclusivamente, dove è in atto la prima evangelizzazione dei non cristiani, anche il battesimo e la confermazione richiedono una particolare cura da parte dei sacerdoti.
Per il battesimo siano evidenziati specialmente gli effetti, cioè: la liberazione dai peccati, la figliolanza divina, la configurazione a Cristo e l'incorporazione alla Chiesa (LG 11; AG 14; CIC 849). La pastorale dovrà impegnarsi nella fase della preparazione: verso i genitori e i padrini, quando si tratta del battesimo di bambini; e verso i candidati stessi quando sono adulti (CIC 851). Sia valorizzato il naturale collegamento tra catecumenato e battesimo (AG 14). Non si trascuri poi la pastorale post-battesimale, in quanto i neofiti hanno un bisogno speciale di essere aiutati a compiere con coerenza le opere della vita cristiana e ad integrarsi nella comunità ecclesiale che li ha accolti (AG 15)
d. La confermazione. Anche per la confermazione è importante insistere sugli effetti. Essa, infatti, fa procedere sul cammino dell'iniziazione cristiana, arricchisce del dono dello Spirito santo, vincola più perfettamente alla Chiesa, corrobora e obbliga più strettamente ad impegnarsi nell'apostolato dentro e fuori della comunità ecclesiale (LG 11; AG 36; CIC 879). La pastorale dovrà curare la preparazione dei confermandi e, in seguito, accompagnarli perché la loro vita cristiana sia più matura e il loro coinvolgimento apostolico, anche verso i non cristiani, più generoso. Il conferimento della confermazione è un'occasione favorevole per stabilire un rapporto personalizzato e fattivo tra ogni candidato e il vescovo.
1.2.1.3. La pastorale liturgica.
Nel contesto della «plantatio Ecclesiae» sarà opportuno tener conto di alcune priorità nella pastorale liturgica. In chiese impegnate per una crescita verso la loro maturità, la pastorale liturgica propone alcuni punti come prioritari: anzitutto il senso comunitario delle celebrazioni, in quanto opera di Cristo e della Chiesa (SC 7), nelle quali ogni cristiano ha una sua propria idoneità a partecipare secondo la diversità degli ordini e delle funzioni (SC 28; CIC 837 § 1). Inoltre la necessità della partecipazione attiva , che suppone sia una previa preparazione sia una coscienza del valore dell'atto liturgico (SC 30). La pastorale liturgica richiede inoltre che venga curata la rispondenza tra celebrazione e vita , di modo che i fedeli siano capaci di esprimere nelle loro azioni la multiforme ricchezza del mistero di Cristo appreso mediante la fede (SC 10). «Di ben poca utilità saranno le cerimonie più belle... se non sono volte a educare le persone alla maturità cristiana» (PO 6).
L'osservanza fedele delle norme liturgiche , per ciò che riguarda gesti, parole, vesti e suppellettili, per ogni ministro sia l'occasione per dar risalto al senso del sacro, connesso con il culto, e anche una preoccupazione pedagogica. La Chiesa ha emanato precise istruzioni al riguardo, alle quali tutti i ministri si devono attenere.[157] Questa fedeltà alle norme della celebrazione, unita al dinamismo nel presiedere, diventa esemplare per la comunità. Possano i fedeli avvertire l'elevatezza dei misteri celebrati sia dal fervore interiore dei ministri e sia dalla nobiltà del loro comportamento. Sappiano i ministri che mancano al proprio ruolo di guida e che possono disorientare i fedeli, quando con leggerezza modificano lo svolgimento dell'azione sacra con aggiunte o sottrazioni indebite, o celebrano senza i paramenti, con vasi non sacri, fuori del luogo e sede prescritti. Pur riconoscendo le situazioni di necessità e ammettendo le giustificate eccezioni, i ministri sono caldamente invitati ad offrire alle giovani comunità di missione celebrazioni liturgiche le più dignitose e ordinate possibile. Si ricordino, infine, che le celebrazioni dignitose sono un sublime richiamo per quanti si stanno interessando e avvicinando al cristianesimo.[158]
Gli atteggiamenti di chi presiede le celebrazioni devono essere guidati da una comprensione appropriata (SC 18) e da un senso di decoro. La dignità delle celebrazioni si ottiene anche in condizioni di semplicità o povertà, purché compiute con devozione interiore ed esteriore, evitando ogni fretta e trasandatezza. La presidenza liturgica richiede al ministro ricchezza interiore, conoscenza dottrinale, capacità di coinvolgere gi altri, volontà di prepararsi volta per volta.
1.2.1.4. Celebrazioni domenicali in assenza di presbitero.
Si prendano in seria considerazione le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero. La Congregazione per il Culto Divino ha emanato nel 1988 un apposito Direttorio.[159] Gli elementi principali di questo direttorio sono:
La Chiesa di Cristo non ha mai cessato di riunirsi per celebrare il mistero pasquale, nel giorno che è stato chiamato «domenica», in memoria della risurrezione del Signore.[Direttorio n.1]
Tuttavia non sempre si può avere una celebrazione piena della domenica. Vi sono infatti molti fedeli, soprattutto nei territori di missione, ai quali «per la mancanza del ministro sacro o altra grave causa, riesce impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica».[2]
In diverse regioni, dopo la prima evangelizzazione, i vescovi affidarono ai catechisti il compito di riunire i fedeli nel giorno di domenica e di dirigere la preghiera nella forma dei pii esercizi. Questo perché i cristiani, cresciuti assai di numero, si trovavano dispersi in molti luoghi, talvolta anche lontani, così che il sacerdote non poteva raggiungerli ogni domenica.[3]
Per questo in alcune chiese particolari, in cui si riscontrano le predette condizioni, i vescovi hanno ritenuto necessario stabilire altre celebrazioni domenicali, in mancanza del presbitero, affinché si potesse avere un'assemblea cristiana nel miglior modo possibile, e fosse assicurata la tradizione cristiana della Domenica. [6]
E’ tuttavia opportuno ricordare alcuni elementi dottrinali sulla domenica e stabilire le condizioni che rendono legittime tali celebrazioni nelle diocesi ed inoltre fornire alcune indicazioni, per il retto svolgimento delle celebrazioni medesime.[7]
a. La domenica e la sua
santificazione
«Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che chiama giustamente “giorno del Signore” o domenica».[8]
Lo zelo pastorale sia rivolto principalmente a fare in modo che il sacrificio della messa si celebri in ciascuna domenica, perché soltanto per esso si perpetua la pasqua del Signore e la Chiesa si manifesta interamente.[13]
b. Condizioni per le
celebrazioni domenicali in assenza di presbitero.
Quando in alcuni luoghi non è possibile celebrare la messa di domenica, si consideri anzitutto se i fedeli non possano recarsi alla Chiesa di un luogo più vicino per partecipare alla celebrazione del mistero eucaristico.[18]
E' auspicabile che, anche senza la messa, nel giorno di domenica vengano offerte con larghezza ai fedeli, radunati per diverse forme di celebrazioni, le ricchezze della sacra Scrittura e della preghiera della Chiesa, perché non rimangano privi delle letture che si leggono nel corso dell'anno durante la messa, né delle orazioni dei tempi liturgici.[19]
Occorre che i fedeli percepiscano con chiarezza che tali celebrazioni hanno carattere di supplenza, né possono considerarsi come la migliore soluzione delle difficoltà nuove o una concessione fatta alla comodità.[21]
Si eviti con cura ogni confusione tra le riunioni di questo genere e la celebrazione eucaristica. Queste riunioni non devono togliere ma anzi accrescere nei fedeli il desiderio di partecipare alla celebrazione eucaristica e renderli meglio preparati a frequentarla.[22]
I fedeli comprendano che non è possibile la celebrazione del sacrificio eucaristico senza il sacerdote e che la comunione eucaristica, che possono ricevere in tali riunioni, è intimamente connessa con il sacrificio della messa. Da questo si può mostrare ai fedeli quanto sia necessario pregare «affinché (il Signore) moltiplichi i dispensatori dei suoi misteri e li renda perseveranti nel suo amore».[23]
Compete al vescovo diocesano, sentito il parere del consiglio presbiterale, stabilire se nella propria diocesi debbano aversi regolarmente riunioni domenicali senza la celebrazione dell'eucaristia e dare per esse norme generali e particolari, tenuto conto dei luoghi e delle persone. Pertanto non vengano costituite assemblee di tal genere, se non dietro convocazione del vescovo e sotto il ministero pastorale del parroco. Tuttavia si avrà sempre cura che tali fedeli possano partecipare alla celebrazione eucaristica più volte nell'anno.[24]
Per dirigere queste riunioni domenicali siano chiamati i diaconi, quali primi collaboratori dei sacerdoti.[29]
Quando sono assenti sia il presbitero che il diacono, il parroco designi dei laici, ai quali dovrà essere affidata la cura delle celebrazioni, e cioè, la guida della preghiera, il servizio della Parola e la distribuzione della santa comunione.
Costoro siano scelti con riguardo alla loro condotta di vita, in consonanza con il Vangelo; e si faccia attenzione che possano essere bene accetti ai fedeli.
Il parroco abbia cura d'impartire a questi laici un'opportuna e assidua formazione e con essi prepari dignitose celebrazioni [30]
Si tenga soprattutto presente la possibilità di celebrare qualche parte della liturgia delle ore, ad es. le lodi mattutine o i vespri, in cui si possono inserire le letture della domenica corrente.[33]
c. La celebrazione
L'ordine da seguire nella riunione in giorno di domenica quando non c'è la messa, consta di due parti: la celebrazione della parola di Dio e la distribuzione della comunione. Non venga inserito nella celebrazione ciò che è proprio della messa, soprattutto la presentazione dei doni e la prece eucaristica.[35]
Il laico che guida i presenti si comporta come uno tra uguali, come avviene nella liturgia delle ore, quando non presiede il ministro ordinato, e nelle benedizioni, quando il ministro è laico («Il Signore ci benedica...», «Benediciamo il Signore...»). Non deve usare le parole riservate al presbitero o al diacono, e deve tralasciare quei riti, che in un modo assai diretto, richiamano la messa, ad es.: i saluti, soprattutto «Il Signore sia con voi» e la forma di congedo che farebbe apparire il laico moderatore come un ministro sacro.[39]
Porti una veste che non sia disdicevole a questo ufficio, o porti la veste eventualmente stabilita dal vescovo. Non deve usare la sede presidenziale, ma venga piuttosto preparata un'altra sede fuori del presbiterio. L'altare, che è la messa del sacrificio e del convito pasquale, sia usato solamente per deporvi il pane consacrato prima della distribuzione dell'eucaristia.[40]
Le conferenze episcopali e i singoli vescovi hanno il dovere
di ordinare queste celebrazioni, in base alle norme della Chiesa, per quanto
riguarda il loro contenuto, il collegamento con l'anno liturgico, la persona
che le deve presiedere, lo svolgimento e la necessità di non confonderle con la
celebrazione eucaristica. Spetta ai sacerdoti preparare le comunità interessate
e i loro animatori di modo che queste celebrazioni, che prevedono la lettura
della parola di Dio e possibilmente anche la distribuzione dell'eucaristia,
siano una vera espressione di preghiera ecclesiale, capace di aiutare i fedeli
a santificare la domenica e ad accrescere in essi il desiderio di
partecipazione alla messa.[160]
1.2.2. Gerarchia
propria e mezzi adeguati.
Ad gentes, dopo
aver ricordato che il fine specifico dell’attività missionaria è
l’evangelizzazione e la «plantatio
Ecclesiae», dice che queste Chiese particolari devono svilupparsi
«ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite adeguatamente di
una gerarchia propria, unita al popolo fedele, e di mezzi appropriati per
vivere bene la vita cristiana» (AG 6).[161]
Ad gentes riconosce che una Chiesa particolare mette più profonde radici in un gruppo umano quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza e riescono ad organizzarsi in diocesi servite da clero proprio (AG 16).[162] Oltre ad una formazione spirituale-dottrinale-pastorale, comune ad ogni sacerdote, Ad gentes raccomanda ai sacerdoti autoctoni delle giovani Chiese un particolare impegno di “inculturazione” che consiste nel saper comprendere e valutare la propria civiltà nazionale, nel trovare rapporti evangelizzanti tra religione cristiana e religioni tradizionali, nel dialogo ecumenico e interreligioso; non si deve neppure trascurare la formazione all'esatta amministrazione ecclesiastica, compresa quella economica. Una particolare formazione riguarda “la finalità ed il metodo dell'azione missionaria”: ciò sta a significare che nel progetto di formazione del clero autoctono non dovrebbe mancare la “missiologia” intesa come scienza dell'evangelizzazione.
Oltre alla costituzione di un clero autoctono, Ad gentes 16 auspica anche il ripristino del diaconato permanente. Il Vaticano II in Lumen gentium 29 aveva previsto il ripristino del diaconato permanente aperto a uomini di matura età anche viventi nel matrimonio. Rifacendosi a questa dottrina, anche Ad gentes 16 ritiene opportuno che si restauri “l'ordine diaconale come stato permanente” al fine di poter avere persone che possano esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto e la grazia sacramentale del diaconato (AG 16; cf OE 17)[163]. Al diacono permanente spetta il servizio della parola, della liturgia, della carità e dell'assistenza (LG 29).
1.2.3. Una pastorale
missionaria rinnovata.
Secondo l'assemblea di Puebla «l'azione pastorale è la risposta specifica, cosciente e meditata, alle necessità dell'evangelizzazione»[164]. E oggi le necessità della evangelizzazione sono quelle di formare e animare le comunità cristiane, comunicare la carità di Cristo, lavorare per una «nuova evangelizzazione». Si può quindi affermare che la pastorale è l'azione con cui la Chiesa si edifica a servizio dell' evangelizzazione, attraverso l'attualizzazione della prassi di salvezza di Cristo, nella potenza dello Spirito, perché ogni uomo nelle concrete situazioni storiche e di vita possa essere liberato e salvato nella sua totalità e pienezza[165].
Nell'opera della «plantatio ecclesiae» c'è bisogno oggi di una rinnovata pastorale missionaria che sia azione «cosciente e meditata», quindi non improvvisata, che parta dalle situazioni concrete e reali dopo averle analizzate con serietà e metodo proprio.
Secondo Ad gentes l'azione pastorale missionaria ha alcuni obiettivi ben precisi: formare la comunità cristiana (AG 15), costituire un clero indigeno (AG 16), promuovere ed esercitare i vari ministeri (restaurare il diaconato permanente [AG 16], formare i catechisti [AG 17], promuovere la vita religiosa [AG 18]), promuovere l'apostolato dei laici (AG 18.21). Seguiamo queste piste.
1.2.3.1. La formazione della comunità cristiana.
L'opera missionaria, nella sua prima fase, come si è visto, prevede l'evangelizzazione in vista della fede-conversione; questo cammino ha il suo culmine nell'iniziazione cristiana e nei sacramenti pasquali; prosegue poi nell'esercizio quotidiano di quella triplice dignità sacerdotale-profetica-regale (cf 1 Pt 2,9; LG 9-11) che rende la comunità cristiana segno della presenza divina nel mondo; comunità evangelizzate ed evangelizzanti.
a. Una comunità si forma e matura quando si impegna ad esercitare compiutamente il «triplice munus» battesimale, quando cioè sarà: comunità sacerdotale che, soprattutto nel sacrificio eucaristico, si offre incessantemente al Padre in unione con Cristo (cf LG 10.11.34); comunità profetica che si alimenta della parola di Dio (cf DV 21) e l'annunzia con amore ai vicini e ai lontani (AG 36.37); comunità regale che rende testimonianza a Cristo (cf LG 12.35) e segue la via della carità ed è ricca di spirito apostolico (cf LG 23.36).
b. Una comunità cristiana cresce nella propria formazione nella misura in cui crea condizioni che le permettano di provvedere da sola alle proprie necessità (AG 15), di essere autosufficiente e autonoma (AG 6).
c. Una comunità cristiana può dire di aver raggiunto una sua maturità quando, a partire dallo stesso processo con cui è stata evangellizzata, a sua volta porta il proprio contributo evangelizzante a tutta quanta la Chiesa (AG 6); quando a poco a poco, sarà capace di portare aiuto anche alle altre Chiese sorelle (AG 19). «La fede si raffoerza donandola» (RMi 2).
d. Una comunità cristiana si sviluppa quando promuove e fa esercitare i vari tipi di ministero che lo Spirito elargisce a tutti i battezzati chiamandoli ad essere attivi e corresponsabili nell'opera di evangelizzazione e di edificazione propria della Chiesa[166]; quando accoglie e valorizza con gratitudine e consolazione questi doni ministeriali necessari per ringiovanire e rafforzare il dinamismo evangelizzatore della Chiesa (EN 73). Di questo parleremo più diffusamente tra poco.
1.2.3.2. Promozione ed esercizio dei vari ministeri.
Proprio perché missionaria, la Chiesa sente l'esigenza vivissima di essere tutta dotata e preparata, compaginata e mobilitata, con la molteplicità delle sue membra, al servizio della sua missione nel mondo.
Per l'edificazione di una comunità missionaria si dovrà dunque promuovere e incoraggiare, accanto al ministero ordinato o gerarchico, anche l'esercizio di tutti quei ministeri che sono capaci di ringiovanire e rafforzare il proprio dinamismo missionario (EN 73). Una comunità diventa adulta quando è capace di esprimere al suo interno ministeri liturgici per il culto e la santificazione[167]; ministeri profetici per l'annunzio missionario del vangelo[168]; ministeri regali per la promozione di un mondo rinnovato nell'amore[169]. All'interno dell'unica missione, ogni comunità deve suscitare la diversità e la complementarietà dei ministeri (AA 2): tra sacerdozio comune-battesimale e sacerdozio ministeriale-ordinato (cf LG 10), tra uomini e donne[170]. Chi ha il compito del discernimento sappia individuare la presenza di tali doni in mezzo ai fedeli e sappia renderli adatti e pronti ad assumersi quegli uffici che risultassero utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa (LG 12). Si deve poi rifuggire da ogni maldestro tentativo di «clericalizzare» il laicato (ChL 2), come pure l'anarchia nell'esercizio dei carismi-ministeri: chi li esercita deve avere un mandato da parte della Chiesa ed impegnarsi ad una certa stabilità commisurata ai bisogni della comunità. In tutto questo ci si ispiri alla «ecclesiologia di comunione» ispirata dal Vaticano II e che postula una Chiesa articolata e servita da vari ministeri (LG 4); non condensati in pochi suoi membri, bensì distribuiti con varietà e larghezza all'interno delle comunità, nella ricchezza e diversità dei doni dello Spirito. Con Evangelii nuntiandi si può concludere: «occorre sapersi adattare alle esigenze e ai bisogni attuali ricercando con saggezza di valorizzare i ministeri di cui la Chiesa ha bisogno...Tali ministeri sono preziosi per l'impianto, la vita e la crescita della Chiesa e per una capacità di irradiazione intorno a se stessa e verso coloro che sono lontani» (EN 73).
1.2.3.3. Ministerialità «odegetica».
L'azione pastorale tende a formare persone e comunità in un processo di configurazione a Cristo e di vita nuova nello Spirito (cf LG 40). Per costruire la comunità nell'amore c'è bisogno di un servizio di direzione, che indichi la via (= odòs) e sia la forza motrice e di coordinamento dei vari indirizzi pastorali; per questo è comunemente chiamata «pastorale odegetica»[171]. Essa suppone una struttura amministrativa e direttiva che, secondo il nuovo Codice, comprende: il sinodo diocesano (CIC 460-468) e la curia diocesana (CIC 469-474); il consiglio per gli affari economici (CIC 492-494); il consiglio presbiterale (CIC 495-502)[172] e il collegio dei consultori (CIC 495-502); il consiglio pastorale (AG 30; CD 27; PO 7; CIC 511-514).[173]
Occorre anche aver fiducia e promuovere nella parrocchia questi organismi di partecipazione previsti dalla norma canonica, come pure altre iniziative di natura comunionale, come le piccole comunità ecclesiali , le associazioni e i movimenti. Si tenga presente che in certe culture la piccola comunità sta alla base della struttura sociale e può costituire l'ambiente ideale anche per la vita cristiana. Si aiutino queste comunità di base ad essere veramente ecclesiali, cioè in fattiva comunione e cooperazione con la Chiesa e i pastori, a livello di dottrina, di organizzazione e di iniziative apostoliche.[174] La saggezza del sacerdote dovrà puntare a favorire la convergenza operativa dei vari gruppi, in spirito di unità, ma nel rispetto delle caratteristiche proprie e della giusta autonomia di ognuno.
Altri ambiti dell’azione pastorale odegetica possono essere: la giustizia sociale, quindi la promozione della giustizia, il rispetto delle persone, la difesa dei poveri, la richiesta di onestà nel campo civile e politico;[175] l'arte della comunicazione (omelia, catechesi, dialogo interpersonale) e i mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio, televisione: loro analisi e comprensione, discernimento critico, utilizzazione pastorale)[176]; la pastorale familiare e del matrimonio;[177] la pastorale ecumenica, interconfessionale e interreligiosa;[178] la pastorale della sanità (ammalati, anziani, handicapati; Aids);[179] la pastorale dei migranti (itineranti, migranti, gente del mare; rifugiati);[180] la pastorale della scuola;[181] la pastorale nel mondo del lavoro e della politica;[182] la pastorale giovanile;[183] la catechesi degli adulti;[184] il fenomeno delle sette;[185]la pastorale indigena;[186] la pastorale della cultura.[187]
a. nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi servizi.
Un tale tipo di ministerialità è affidato anzitutto ai pastori; ma essi sanno di essere a servizio di una Chiesa che è mistero, comunione e missione. In quanto servitori della Chiesa comunione i pastori devono costruire l'unità della comunità ecclesiale nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi servizi; devono aiutare i fedeli a crescere nella santità; devono mirare non ai propri interessi, ma soltanto a servire Cristo nei fratelli; dovranno armonizzare le diverse mentalità in modo che nessuno nella comunità dei fedeli possa sentirsi estraneo; dovranno difendere il bene comune (PO 9). Questa azione evangelizzatrice del pastore, poiché esige l'armonia dei ministeri, presuppone equilibrio e armonia nella vita e nel cuore dello stesso sacerdote. Una «pastorale odegetica», pertanto, richiede ai pastori di unire i loro sforzi a quelli dei laici mediante un servizio di rapporto e di complementarietà favorendo negli stessi laici l'attuazione del loro sacerdozio comune[188]; dovranno saper suscitare collaborazioni, discernere i carismi personali, aiutare i gruppi a scoprire le proprie possibilità e a metterle in pratica. Con uno stile di vita come quello di Cristo Capo e buon Pastore, dovranno essere fermento di unità e di comunione ecclesiale: anzitutto con il proprio vescovo ed il proprio presbiterio, poi con la comunità ecclesiale. Lo spirito deve essere quello apostolico e missionario, aperto cioè alle esigenze del mondo intero.
b. la cooperazione tra
clero locale e missionari.
A livello sia diocesano che parrocchiale, merita un rilievo speciale la collaborazione tra clero locale e missionari venuti da altre nazioni, tenendo presente che molti di essi sono anche religiosi. Questi operano in forza di un mandato universale della Chiesa, espresso dalla suprema autorità, e di una convenzione speciale con l'ordinario locale. La loro presenza è un dono prezioso della Chiesa missionaria e uno scambio di carità tra chiese particolari. Questi missionari sappiano integrarsi nella società e inserirsi nella Chiesa del posto, in quanto sono parte di essa a pieno diritto, sono membra del presbiterio se sacerdoti, e aderiscono in tutto al suo pastore per quanto riguarda l'attività pastorale, pur vivendo e operando conforme al carisma specifico espresso nelle loro costituzioni. I presbiteri locali, superando ogni errato senso di nazionalismo, vivano in comunione con essi e sappiano valorizzare la loro cooperazione apostolica, che soprattutto sul piano della prima evangelizzazione non è solo utile e specializzata, ma in diversi casi indispensabile. I missionari, a loro volta, assecondino la giusta crescita delle forze locali. Tra questi istituti e il clero locale si istituisca un ordinato coordinamento delle opere, sotto la guida del vescovo, avuto riguardo del senso di unità tra gli apostoli e dell'indole e finalità proprie.
c. la pastorale
d’insieme.
Per promuovere la pastorale d'insieme, che è di capitale importanza nell'attività missionaria, i sacerdoti hanno bisogno di operare in base ad una saggia pianificazione, almeno a livello di diocesi e di parrocchia. Ciò richiede l'uso di una tecnica collaudata, vale a dire: conoscere la realtà e fissare gli obiettivi generali e specifici, i criteri, le strategie e i modi di azione. Perché la pianificazione non rimanga teorica, si facciano programmi concreti, fissando mete, iniziative, responsabili, mezzi, luoghi, date, ecc. I programmi siano sottoposti a regolare revisione.[189]
1.2.3.4. Ministerialità laicale nell'evangelizzazione.
La «Plantatio ecclesiae», per considerarsi realmente costituita, deve prevedere, accanto alla gerarchia, anche la collaborazione di un laicato autentico che permetta al Vangelo di penetrare profondamente nella mentalità, nel costume, nell'attività di un popolo (AG 21. 41). Una Chiesa particolare, se vuol essere feconda e dar vita a comunità cristiane adulte, deve poter disporre, fin dal primo periodo di fondazione, di uomini e donne che abbiano chiara coscienza del dono e della responsabilità nella comunione e nella missione della Chiesa (ChL 2)[190]. Nell'opera missionaria di testimonianza e di annuncio, i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile (ChL 7; AA 10) perché, accanto ai sentimenti che li uniscono al loro popolo, posseggono anche la grazia dell'appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Sarà loro dovere eliminare ogni contrapposizione tra queste due realtà e potranno così dare nuovo vigore alla Chiesa che nasce.
Tra le varie forme di ministerialità laicale è di particolare interesse quella del catechista. Per la «plantatio ecclesiae» e lo sviluppo della comunità cristiana, il decreto Ad gentes cita espressamente i catechisti (AG 15). Lo stesso decreto li definisce «schiera tanto benemerita dell'opera missionaria tra le genti...che danno un contributo singolare e insostituibile alla propagazione della fede e della Chiesa. Nel nostro tempo poi...il compito del catechista è della massima importanza» (AG 17; CT 13.66.71; RMi 73-74). Sono veri «ministri della parola» (DV 25). Al catechista missionario è richiesta una forte identità ecclesiale; dovranno anche essere animati da una intensa vita spirituale, adulti nella fede, umanamente maturi, professionalmente adatti. E' loro richiesto di essere: maestri competenti, fedeli all'integrità del messaggio, dotati di capacità creativa; educatori dell'uomo e della vita dell'uomo nella fede, strumenti di un'opera educatrice che ha la sua prima fonte nell'azione dello Spirito Santo; testimoni dell'invisibile, segno vivente di quanto annunciano[191]. Si dovranno moltiplicare le scuole di formazione ad ogni livello dove si dà una istruzione non solo dottrinale, ma anche pedagogica e tecnica. E' anche auspicato il conferimento di una «missio canonica» oltre ad una adeguata retribuzione.
Un discorso del tutto “nuovo” va fatto circa il «volontariato» perchè oggi sta assumendo modalità di azione rinnovate rispetto al passato, e queste nuove forme «sono da valorizzare» (RMi 72), anche se esigono un attento discernimento (vedasi la cooperazione dei medici, degli obiettori di coscienza,.a volte mandati da Governi e organizzazioni non strettamente ecclesiali, che possono creare problemi per l'evangelizzazione).
La presenza oggi sempre più vasta e impegnata di laici e di volontariato nella missione della Chiesa ha fatto sì che la «plantatio ecclesiae» acquistasse sempre più una configurazione meno “clericale” e più “ministeriale”[192], oltre alla crescita di un laicato maturo e responsabile (RMi 72).
1.2.4. Chiesa universale
e Chiesa particolare.
“La Chiesa universale si incarna di fatto nelle Chiese particolari, costituite a loro volta dall'una e dall'altra concreta porzione di umanità, che parlano una data lingua, che sono tributarie di un loro retaggio culturale, di un determinato sostrato umano” (EN 62).
Formate ad immagine della Chiesa universale, nelle Chiese particolari è costituita l'una ed unica Chiesa cattolica (LG 23). Sono Chiese in senso pieno e, come tali, necessariamente missionarie. Chiamate a vivere l'impegno missionario come connaturale, dovranno avere piena coscienza di essere inviate anche a coloro che non credono in Cristo (AG 20) e di dover sviluppare al loro interno l'impegno della cooperazione missionaria tra le Chiese. Un impegno non a senso unico, ma con pienezza di reciprocità e a comune vantaggio, aperte non solo a dare ma anche a ricevere. Senza deleghe ad istituzioni o a persone, tutta la comunità ecclesiale deve sentirsi coinvolta sia nell'“andare”, sia nel dedicarsi con generosità e creatività all'evangelizzazione del proprio ambiente[193].
A motivo degli stretti legami che uniscono Chiesa universale e Chiesa particolare, ne consegue che anche la Chiesa particolare è “soggetto” di missionarietà. Deve vivere l'impegno missionario come qualcosa di connaturale; in prima persona è coinvolta nell'impegno missionario e gli stessi organismi ed individui, consacrati in modo speciale alla missione, sono e debbono sentirsi realmente espressione di quella Chiesa che li invia.
In questo modo la Chiesa particolare si responsabilizza nel suo dovere imprescindibile di impegnarsi direttamente, secondo le proprie possibilità, nell'opera di evangelizzazione. Sollecitate a superare la mentalità di delega, che aveva in gran parte caratterizzato il loro atteggiamento verso il dovere missionario, oggi si verifica per le Chiese particolari una decisa spinta a divenire sempre più “soggetti” di missionarietà, responsabili in prima persona della missione universale. E' così che la Chiesa particolare si avvia a passare da semplice “forza di appoggio” alle missioni, a “comunità di invio”, facendo dell'impegno missionario un fatto costitutivo della propria vita. E' forse il cambiamento più decisivo e significativo, perché modifica radicalmente l'atteggiamento della Chiesa particolare nei riguardi della missione facendole riscoprire e recuperare lo slancio originale delle prime comunità cristiane.
1. 3. Inculturazione
del Vangelo e promozione dei valori del Regno.
“Svolgendo l'attività missionaria tra le genti, la Chiesa incontra varie culture e viene coinvolta nel processo d'inculturazione” (RMi 52). Nella sua missione ad gentes la Chiesa trova anche una”stretta connessione tra annunzio evangelico e promozione dell'uomo” (RMi 59). Sia l'inculturazione che la promozione dell'uomo rientrano così tra le finalità della missione ad gentes e rientrano tra le espressioni del vocabolario missionario che necessita di chiara interpretazione.[194]
1.3.1. Una missione inculturata.
Per inculturazione si intende non un puro adattamento esteriore, quanto piuttosto «l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel Cristianesimo e il radicamento del Cristianesimo nelle varie culture»;[195] oppure, con Slavorum apostoli, «l’incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone ed insieme l’introduzione di esse nella vita della Chiesa».[196]
Questa esigenza, non nuova a dire il vero,[197] è oggi particolarmente acuta ed urgente. La necessità di evangelizzare, la necessità di esprimere ancor meglio il mistero di Cristo e di anunziarlo in maniera credibile e fruttuosa, porta la Chiesa ad entrare in dialogo con il mondo in cui si trova a vivere e con la cultura e le culture dei popoli;[198] infatti “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre epoche”[199]; pertanto “occorre fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture”[200].
Per Giovanni Paolo II questo dialogo è assolutamente indispensabile: “Si richiede un lungo e coraggioso processo di inculturazione affinché il Vangelo penetri l'anima delle culture viventi, rispondendo alle loro più alte attese e facendole crescere alla stessa dimensione della fede, della speranza e della carità cristiana. La Chiesa, per mezzo dei suoi missionari, ha già compiuto un'opera incomparabile in tutti i continenti, ma questo lavoro della missione non è mai compiuto, perché spesso le culture sono state toccate solo superficialmente e poiché si trasformano, continuamente richiedono un incontro rinnovato”.[201]
Per evangelizzare efficacemente in vista di una autentica “plantatio ecclesiae”, occorre adottare risolutamente un atteggiamento di scambio e di comprensione per simpatizzare con l'identità culturale dei popoli. “Evangelizzare suppone pertanto sia penetrare le identità culturali specifiche, ma anche favorire lo scambio delle culture aprendole ai valori dell'universalità e vorrei dire della cattolicità”.[202]
Ecco perché “l'inculturazione è considerata come il dinamismo dell'incarnazione della Chiesa”;[203] con GS 44 si deve dire che “Verbi revelati accomodata praedicatio lex omnis evangelizationis permanere debet” [e tale adattamento della Parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione]..
Sul rapporto tra evangelizzazione e inculturazione si tratta pertanto di aprire un colloquio costruttivo, un dialogo apostolico, un dialogo evangelizzante che trova nella “legge dell'incarnazione” il suo modello costitutivo:”La Chiesa deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti con lo stesso movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse” (AG 10). Infatti “con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (GS 22). Incarnazione significa non un puro adattamento esteriore, a modo di vernice, ma piuttosto l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture.
Solo così le comunità ecclesiali in formazione, ispirate dal Vangelo, potranno esprimere progressivamente la propria esperienza cristiana in modi e forme originali, consone alle proprie tradizioni culturali (RMi 53).[204] Per guidare l'inculturazione nel suo retto processo, Redemptoris missio indica due principi: “La compatibilità col Vangelo e la comunione con la Chiesa universale”.[205]
Se nel passato una conoscenza insufficiente delle ricchezze nascoste nelle diverse civiltà ha potuto ostacolare la diffusione del messaggio evangelico e dare alla Chiesa un certo volto straniero, è compito della missio ad gentes mettere in luce che la salvezza arrecata da Cristo è offerta a tutti senza condizioni, senza legame privilegiato per una razza-continente-civiltà, e che lungi dal voler soffocare i germi di bene seminati nel cuore e nel pensiero degli uomini, il Vangelo ha piuttosto per effetto di guarirli, elevarli, perfezionarli per la gloria di Dio (cf LG 17; AG 22).[206] Se la Chiesa è anzitutto cattolica, è legittimo un pluralismo di espressioni nell'unità della sostanza ed è anche desiderabile nella maniera di professare la fede comune nel medesimo Gesù Cristo (AG 22).
1.3.1.1. La legge dell'incarnazione.
Essendo uomo perfetto, Cristo nel mistero della sua incarnazione assume la natura umana senza per questo annientarla, anzi piuttosto innalzandola ad una dignità sublime.[207] Allo stesso modo l'opera di evangelizzazione è chiamata a portare la forza del Vangelo nel cuore della cultura e delle culture[208] senza per questo arrivare ad una diminuzione né del Vangelo, né delle culture, ma piuttosto ad un innalzamento delle culture stesse alla dignità di via e strumento del Verbo.
Sull'esempio dell'incarnazione di Cristo anche la Chiesa, nel suo programma di evangelizzazione, deve incarnarsi in un modo sempre più vitale e intimo in ogni cultura, arricchendosi dei suoi valori e portando in cambio l'unica redenzione che si può trovare soltanto in Cristo, offrendo alle culture il suo messaggio e la linfa di una vita nuova (cf AG 10). Introducendo il Regno di Cristo nel mondo, la Chiesa nulla sottrae al bene dei popoli, ma al contrario favorisce ed accoglie tutta la dovizia di capacità e consuetudini dei popoli; ed accogliendole le purifica, le consolida ed eleva (cf LG 13.17).
In forza della legge dell'incarnazione e alla luce dell'antropologia cristiana, non solo il Vangelo continuerà ad incarnarsi nelle culture dei popoli, ma farà sì che ogni uomo, dal momento che Cristo si è unito in certo modo ad ogni uomo (cf GS 22), sentirà Dio non come un essere lontano ed inaccessibile, bensì ne avvertirà la presenza accanto a sé, dentro di sé. Ecco perché lo stile della evangelizzazione deve imitare lo stile della incarnazione: uno stile che cerca di adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire dei popoli a cui questa evangelizzazione è rivolta (cf AG 16-18).
In ultima analisi il mistero dell'incarnazione è il principio teologico su cui si fonda il dialogo tra Vangelo e culture.[209] L'estensione dell'incarnazione della Chiesa nelle varie razze e culture costituisce l'espansione del mistero dell'incarnazione di Cristo, il quale, incarnato storicamente in una cultura che in qualche modo lo limitava, desidera oggi come Signore Risorto estendere misticamente la sua presenza a tutte le genti e a tutte le culture dei popoli. L'inculturazione del Vangelo quindi non è una opzione per la Chiesa; è piuttosto un imperativo teologico che deriva dall'esigenza stessa dell'incarnazione: la Chiesa deve incarnarsi in ogni cultura come Cristo si incarnò seriamente nella cultura del suo tempo.[210] Tra evangelizzazione e culture deve dunque avverarsi quell'admirabile commercium che avvenne tra Cristo e la natura umana in forza dell'incarnazione, cioè il meraviglioso scambio che ci ha redenti[211].
1.3.1.2. Un dialogo evangelizzante.
Citando le parole di Pio XI, Gaudium et spes 58 afferma: «Non va mai perduto di vista che l'obiettivo della Chiesa è evangelizzare e non civilizzare. Se essa civilizza lo fa per mezzo dell'evangelizzazione».
Si tratta dunque di ricercare i molteplici rapporti che esistono fra il messaggio della salvezza e la cultura ed evidenziare in maniera concreta alcuni criteri che possono essere di guida ad una corretta inculturazione in modo che il dialogo tra la Chiesa e le culture sia un dialogo di edificazione e non un dialogo che eventualmente e dolorosamente dovesse portare a cedimenti soprattutto riguardo ai principi della fede. Sinteticamente si possono riassumere in questo modo i criteri più adatti per un costruttivo dialogo tra evangelizzazione e culture:
a.: conoscere e promuovere le culture. Secondo Ad gentes 11 «i figli della Chiesa...devono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che in esse si nascondono»[212]. Una evangelizzazione inculturata suppone quindi una attenta e previa investigazione teologica, antropologica e culturale che aiuti a scoprire pazientemente i semina Verbi predestinati dalla Provvidenza per l'edificazione della verità.
b.: apprendere le espressioni più significative. Nelle culture dei popoli vi sono elementi di verità e di grazia (AG 9), delle cose vere e sante (NA 21), dei semina Verbi (AG 11; EN 53; GS 57). Nella sua opera di evangelizzazione la Chiesa nulla sottrae al bene temporale di queste culture, ma al contrario favorisce ed accoglie tutta la dovizia di capacità e di consuetudini, in quanto buone, e accogliendole le purifica, le consolida ed eleva (LG 13; AG 17.22). Una scarsa attenzione a questo problema costituisce certamente un ostacolo alla evangelizzazione.[213]
c.: rispettare i valori e le ricchezze peculiari. Solo una attenta conoscenza e un profondo rispetto delle altrui ricchezze possono permettere all'evangelizzazione di «proporre a tali culture la conoscenza del mistero nascosto e di aiutarle a far sorgere dalla loro propria viva tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione e di pensiero cristiano».[214]
Le culture, quindi, non solo non sono di ostacolo alla evangelizzazione, ma diventano luogo e strumento prezioso di incontro tra Cristo e gli uomini.[215]
Come ben si esprime Giovanni Paolo II nella sua enciclica programmatica Redemptor hominis, «La missione non è mai distruzione, ma una riassunzione di valori e una nuova costruzione».[216]
Se, in prossimità del terzo millennio, la Chiesa vuol attuare una vera «plantatio ecclesiae», dovrà fare ogni sforzo affinché il Vangelo sia calato in maniera vitale, in profondità fino alle radici, nelle culture dei popoli (cf EN 20).
Il soggetto primario dell'inculturazione sono le chiese particolari, intese come comunità che vivono un'esperienza quotidiana di fede e di amore. Gli specialisti servono di stimolo e guida, ma non sono gli operatori principali. Inoltre, l'inculturazione non è neppure compito di una singola comunità, ma dell'insieme delle chiese che vivono in una determinata area culturale. L'inculturazione, infine, non è un atto che si compie una volta per tutte, ma la continua integrazione dell'esperienza cristiana in una cultura, la quale non è mai stabile, né chiusa.
Gli operatori della pastorale missionaria devono inserirsi con fiducia e gioia in questo impegnativo ambito dell'apostolato, imparando a giudicare la propria cultura, cioè a distinguere in essa i valori dai disvalori o errori, e anche le conseguenze del peccato, di modo che non si scambi per un valore qualsiasi manifestazione culturale. Tengano presente che l'inculturazione non deve contraddire l'unità della Chiesa, ma partire sempre dalla base della sacra Scrittura, e muoversi in aderenza alla tradizione e alle direttive del magistero vivo. Ma perché l'inculturazione raggiunga il suo scopo e i fedeli non vengano disorientati, gli operatori pastorali agiscano in unione con il vescovo e con gli altri presbiteri, seguendo un programma comune, stabilito a livello di conferenza episcopale (RMi 52-54).[217] Per quanto attiene la liturgia, poi, non va dimenticato che ogni progetto di inculturazione richiede sempre l’approvazione della Santa Sede.[218]
1.3.2. La promozione
dell'uomo.
Redemptoris missio ritorna a più riprese su questo tema: quando parla della Chiesa che serve il Regno fondando comunità e istituendo Chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona ed alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane (RMi 20); poi quando afferma che “Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo” (RMi 39); infine quando, tra le “vie della missione”, colloca la promozione dello sviluppo educando le coscienze (RMi 58-59).
RMi 58: La Chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, la spinta verso il progresso, ed oggi i missionari più che in passato sono riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi e esperti internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli risultati con scarsi mezzi.
Nell'enciclica Sollicitudo rei socialis Giovanni Paolo II ha affermato che « la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al sottosviluppo in quanto tale», ma «dà il primo contributo alla soluzione dell'urgente problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull'uomo, applicandola ad una situazione concreta ».[219] La Conferenza dei Vescovi latinoamericani a Puebla ha affermato che « il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente ».[220] La missione della Chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma consiste essenzialmente nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un «essere di più », risvegliando le coscienze col Vangelo. «L'autentico sviluppo umano deve affondare le sue radici in un'evangelizzazione sempre più profonda ».[221]
La Chiesa e i missionari sono promotori di sviluppo anche con le loro scuole, ospedali, tipografie, università, fattorie agricole sperimentali. Ma lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi. E’ l'uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica. La Chiesa educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono, la grandezza dell'uomo creato ad immagine di Dio e da lui amato, l'uguaglianza di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta a servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.
RMi 59: Col messaggio evangelico la Chiesa offre una forza liberante e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'impegno, al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la costruzione del Regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. È la prospettiva biblica dei « cieli nuovi e terra nuova » (cf. Is 65, 17; 2 Pt 3, 13; Ap 21, 1), la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la mèta per l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da Dio, dal modello di Gesù uomo Dio, e deve portare a Dio.[222] Ecco perché tra annunzio evangelico e promozione dell'uomo c'è una stretta connessione.
L'attività missionaria apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo, mentre la nuova evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all'Assoluto.
1.3.3. Una liturgia adattata.
L'inculturazione liturgica è l'azione della Chiesa che, nell'esercizio della sua missione di radicarsi in mezzo a tutti i popoli con lo stesso metodo di incarnazione seguito da Cristo (AG 10), rinnova le forme liturgiche per comunicare con maggiore efficacia pastorale la vita di Cristo agli uomini e ottenere che il culto al Padre sia meglio partecipato (cf SC 37-40).[223]
La funzione missionaria della Chiesa è quella di evangelizzare, di catechizzare e formare nella fede. Rientra in questo processo l'opera di rinnovare le forme liturgiche già esistenti, salva la loro sostanziale struttura, anche attraverso l'aggregazione di espressioni proprie di una cultura che attualmente non si trovano nei libri liturgici.
Con tale adattamento della liturgia alle culture dei popoli il Concilio ha inteso: * incrementare la vita cristiana (SC 1); * adattare ai periodi storici le istituzioni soggette a cambiamento (SC 37); * favorire l'unità dei credenti in Cristo (SC 1); * promuovere la partecipazione attiva, piena, consapevole dei fedeli alla liturgia (SC 14); * dare trasparenza ai segni e semplicità ai riti (SC 34); * rispondere meglio all'indole e alla natura dei popoli e delle culture (SC 37-40).
Nell'opera di adattamento è opportuno seguire alcuni criteri.
Criteri di fede. Non può essere oggetto di adattamento ciò che di per sé è legato a superstizioni o a errori (cfr SC 37). Nel rispetto del contenuto della fede, si segua la dinamica dell'incarnazione: * celebrare la presenza pasquale del Signore in mezzo al suo popolo; * proiettare quest'uomo verso il Regno futuro nell'attesa del Signore che viene; * rispettare il ruolo della Parola che interpreta i segni dei tempi; * rispettare le persone e i popoli che giustamente desiderano assumersi la responsabilità della realizzazione del proprio destino; l'adattamento deve quindi avvenire nel rispetto della fede e nel rispetto dell'uomo credente.
Criterio liturgico. Secondo SC 37, tutto ciò che nei costumi dei popoli non è legato a superstizione o a errore e si armonizza con il vero e autentico spirito liturgico: * la Chiesa lo prende in considerazione; * lo conserva; * a volte lo ammette nella liturgia stessa. Si dovrà tener conto che in essa ci sono elementi immutabili ed altri che possono e debbono variare nel tempo (SC 21); inoltre non si deve dimenticare che la liturgia per sua natura è: * manifestazione del mistero; * dialogo di Dio con il suo popolo; * incontro con il Signore risorto; * manifestazione della fede di un popolo credente. Si dovrà evitare, nella liturgia, sia una riduzione di tipo “didascalico” (semplice insegnamento) sia di tipo “ludico” (una festa che diverte). Vi dovrà essere sempre integrazione fra fede e vita. Dovrà anche essere rispettata “l'unità sostanziale del rito romano” (SC 38) e procedere solo se lo richiede una utilità vera e sicura della Chiesa (SC 23).
Criterio ecclesiologico. L'adattamento: * deve avvenire nel rispetto dell'unità e della continuità tra Chiesa universale e Chiesa particolare; non si può procedere a innovazioni che possano danneggiare l'unità e il bene della Chiesa (SC 37); * deve rinnovare e rafforzare la natura missionaria del popolo di Dio nella sua azione di salvezza nel mondo; * deve lasciare aperta la partecipazione alla liturgia della Chiesa universale (la “particolarità” di una comunità non può avvenire in discapito della sua “universalità”).
Criterio antropologico. L'adattamento deve avvenire nel massimo rispetto delle culture che caratterizzano i gruppi umani, ed in particolare: * promuovere un progresso di mutua integrazione tra liturgia e religiosità popolare; * rispettare il senso della festa presente nei vari gruppi umani; * utilizzare pienamente le possibilità di linguaggio e di comunicazione (segni, simboli, immagini, ecc.); * far precedere ogni adattamento, oltre che da una indagine teologica, anche da una seria investigazione antropologica, storica, pastorale (SC 23.37).
Per una efficace opera di «plantatio ecclesiae» è dunque necessario che la Liturgia possa esprimersi più chiaramente nel linguaggio, nella mentalità e nella vita delle singole Chiese locali, rispettando la sostanziale unità della fede e nella profonda comunione di carità che deve unire le Chiese nell'unità.
In qualche modo il discorso va allargato anche alla «religiosità popolare» dal momento che anche questa ha un vasto influsso nell'opera di evangelizzazione.
In questo delicato adattamento si richiede: * non andare mai contro le indicazioni della Chiesa universale: la liturgia è patrimonio comune della Chiesa; la sua regolazione compete unicamente all’autorità della Chiesa; di conseguenza nessun altro, anche se sacerdote, può di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica (SC 22) * l'adattamento deve essere affidato a persone veramente competenti ed entrare in vigore solo dopo l'approvazione della Santa Sede (non ci si può affidare ad improvvisazioni) (SC 40); * si dovrà prestare particolare attenzione a realizzare una feconda fusione tra liturgia ed espressione popolare; a utilizzare di tutti i moderni strumenti di comunicazione; salva l'unità sostanziale del rito romano, si dovrà entrare soprattutto dentro le culture autoctone con prudenza ma anche con audacia; purificarle dal fatalismo e dalla alienazione per renderle autenticamente espressive e comunicative della fede semplice ed umile del popolo cristiano.
La liturgia del futuro giocherà il futuro della liturgia e in qualche modo anche il futuro della evangelizzazione.
2. LA CURA PASTORALE
MISSIONARIA:
ANIMARE IN SENSO
MISSIONARIO LE CHIESE LOCALI.
Nel vocabolario missionario di Redemptoris missio l'animazione in senso missionario delle Chiese locali è considerata una delle tre differenti situazioni dell'attività missionaria e viene chiamata comunemente anche “cura pastorale dei fedeli” (RMi 33-34. 49).
Quando l'azione propriamente missionaria ad gentes ha raggiunto il suo scopo (evangelizzare, stabilire una comunità cristiana che cresca fino a diventare Chiesa), si passa ad un altro stadio dell'attività missionaria: l'animazione missionaria di queste comunità cristiane ferventi di fede e di vita in modo che da evangelizzate diventino evangelizzanti, capaci cioè di irradiare la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e partecipare attivamente alla missione universale della Chiesa (RMi 49).
Questa animazione può prendere due direzioni: evangelizzare ad intra la porzione del popolo di Dio nel proprio territorio, in particolare coloro che hanno perduto la fede oppure non la praticano più; ma soprattutto deve promuovere ad extra tutta l'attività missionaria che è comune alla Chiesa universale (LG 23). Animare in senso missionario le chiese locali significa aiutarle a non chiudersi in se stesse, ma piuttosto, come parti vive della Chiesa universale, aprirsi alle necessità delle altre chiese. Per la Chiesa locale la partecipazione alla missione evangelizzatrice universale non è un optional lasciato al suo libero arbitrio, “ma deve considerarsi come una fondamentale legge di vita”.[224] In Redemptoris missio Giovanni Paolo II ha detto che “senza la missio ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare...La missionarietà ad intra è segno credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa” (RMi 34).[225]
Questa cura pastorale si esplica principalmente mediante la cooperazione e l'animazione missionaria.
Tutti i membri della Chiesa, in forza del battesimo [=dell'iniziazione cristiana], sono corresponsabili dell'attività missionaria. “La partecipazione delle comunità e dei singoli fedeli a questo diritto-dovere è chiamata cooperazione missionaria”.[226] La Redemptoris missio vi dedica tutto il capitolo VII.
Prima ancora di un agire, la cooperazione missionaria è il segno della maturità di fede e di una vita cristiana che porta frutti.[227] Essa mira a tradurre in azione, con gesti concreti e significativi, i valori e le disposizioni acquisiti mediante l'altra forma di impegno qual è l'animazione, cioè l'insieme degli sforzi atti a sensibilizzare e alimentare una disponibilità-volontà-mentalità missionaria.[228]
2.1. L'animazione
missionaria.
Comporta:
* la presa di coscienza di essere membra vive di una Chiesa che è per sua natura missionaria (cf AG 2);
* prendere in considerazione la vita missionaria come scelta vocazionale e impegno fondamentale di vita;[229]
* la consapevolezza che la fede è dono di Dio da vivere in comunità e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che con la parola: “E' infatti un dovere e un onore per i cristiani restituire a Dio parte dei beni ricevuti”;[230]
* un continuo e radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari imparando ad uscire da se stessi per condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello più prezioso che è la fede: la fede si rafforza donandola! (RMi 2);
* vivere una vita profondamente cristiana coltivando in se stessi una spiritualità veramente cattolica (AG 36);
* evitare ogni forma di particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza (RMi 85);
* concepire e incarnare una Chiesa trinitaria che è consapevole di essere più grande di se stessa poiché sa di venire oltre la storia e di andare oltre il mondo;[231]
* tener conto della legge del nascondimento trinitario che ha nell'incarnazione il luogo epifanico dell'umiltà del Padre e dello Spirito;[232]
* imitare e diffondere la spiritualità missionaria dell'Inviato del Padre, Cristo, vivendo una dimensione di proiezione al di là di ogni frontiera, accettando di andare oltre, di vivere il Vangelo in terra straniera;[233]
* disponibilità all'ascolto, alla semplicità evangelica, alla provvisorietà, alla povertà, all'obbedienza, al servizio, al sacrificio si sé fino alla morte;[234]
* imitare la spiritualità missionaria di Maria la cui vita può essere considerata per molti aspetti una vita missionaria.[235]
In sintesi: animazione missionaria è incrementare la coscienza missionaria, favorire l'azione missionaria, motivare l'esperienza dei valori missionari.
2.2. La cooperazione missionaria.
Comporta:
* prendere parte, secondo i propri mezzi e capacità, all'attività missionaria presso le genti (AG 35-36; CIC 211. 781);
* stimolare la comunità cristiana (parrocchia, diocesi) ad aprirsi missionariamente verso le altre comunità cristiane, verso gruppi e popoli di altre religioni;[236]
* allargare i confini della carità manifestando la sollecitudine per quelli che sono lontani, come per quelli che sono vicini (RMi 77);
* cooperare spiritualmente con la preghiera, la testimonianza di vita cristiana, per le missioni e per le vocazioni missionarie ;
* aiutare i missionari procurando tutte le forme concrete di aiuto di cui hanno bisogno (AA 8);
* avere a cuore tutte le necessità del Popolo di Dio sparso su tutta la terra e contribuirvi secondo le proprie possibilità;[237]
* promuovere le vocazioni missionarie;
* dedicarsi all'accoglienza, al dialogo, al servizio, alla condivisione, alla testimonianza e all'annunzio diretto verso gli appartenenti a religioni non cristiane presenti nel proprio territorio (RMi 82);
* favorire l'informazione sulle missioni ad gentes mediante la lettura e la diffusione della stampa missionaria e dei vari mezzi audiovisivi (RMi 83);
* “cooperare alla missione vuol dire non solo dare, ma anche saper ricevere” attuando un reciproco scambio e intessendo vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici ed i sussidi materiali (cf LG 13; RMi 85);
* una forma privilegiata di cooperazione sta nel valore salvifico di ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore; i malati vanno perciò istruiti circa il valore redentivo della sofferenza e della possibilità di diventare essi stessi missionari condividendo, sostenendo e associandosi al sacrificio di Cristo e della Chiesa missionaria completando questo stesso sacrificio pasquale nella propria carne (cf Col 1,24).[238]
Con Paolo VI si può ripetere: “Poiché nulla vi è di più salutare per gli uomini e di più confacente alla gloria di Dio che lo sforzo coraggioso per la diffusione della fede, coloro che si dedicano all'apostolato missionario - il più eccellente fra tutti per importanza ed efficacia - si impegnino con ogni più nobile sforzo a diffondere vero spirito di pietà, abbandono nella Provvidenza e fiducia nella misericordia di Dio. “Il tuo benefattore vuole che tu sia munifico, e chi ti colma di doni vuole che tu possieda e che tu distribuisca, dicendo: Date e vi sarà dato (Lc 3,38) [S. Leone Magno, Sermo XVII, II: PL 54, 181]”.[239]
Ecco perché ogni Chiesa locale dovrebbe inserire “l'animazione missionaria come elemento-cardine della propria pastorale ordinaria nelle parrocchie, nelle associazioni e nei gruppi, specie giovanili”[240] (RMi 83).
Una particolare raccomandazione viene fatta ai vescovi.[241] A tale formazione sono chiamati anche i sacerdoti ed i loro collaboratori,[242] gli educatori ed insegnanti, specie i docenti nei seminari e dei centri per i laici. Particolare importanza deve essere data alle scienze missiologiche chiamate ad affrontare i non facili rapporti tra missione universale della Chiesa, ecumenismo, grandi religioni non cristiane.
In un tale contesto è auspicabile un maggiore accesso dei laici proprio alle facoltà di missiologia dove è possibile acquisire quella formazione missiologica necessaria per una animazione missionaria delle comunità locali; anche laici ben preparati, infatti, possono informare e formare il Popolo di Dio alla missione universale della Chiesa, far nascere vocazioni ad gentes, suscitare cooperazione all'evangelizzazione, impegnarsi nella nuova evangelizzazione, gestire le Pontificie Opere Missionarie e livello nazionale, diocesano, parrocchiale.
Per quanto attiene la situazione dell'animazione nella realtà italiana, si fa osservare che le nostre comunità sono attente e sensibili ai problemi missionari, aperte a gesti di solidarietà e partecipazione, attente e disponibili alla missione universale. Questo è frutto di una crescente opera di animazione e di formazione missionaria, impegno assunto in maniera diretta e decisa dagli stessi Vescovi. Nonostante questi aspetti positivi, va pure detto che “L'assunzione della missionarietà nella prassi pastorale non è tuttora un fatto comune nelle singole diocesi e comunità”[243].
Anche la cooperazione missionaria ha ricevuto un forte impulso e una più chiara fisionomia, grazie al rinnovarsi delle forze tradizionali di aiuto alle missioni e al fiorire di altre numerose iniziative ed organizzazioni.
Da parte delle diocesi c'è stato un invio sempre crescente di sacerdoti in aree non ancora o insufficientemente evangelizzate[244]. Stessa cosa per Istituti, Ordini e Congregazioni, specialmente femminili, molte delle quali per la prima volta hanno assunto un'attività missionaria. E' cresciuto anche il numero dei laici che si reca nelle giovani Chiese per offrire una testimonianza di fede e un servizio professionale qualificato.
Anche per quanto riguarda la cooperazione missionaria, gli indiscutibili progressi non possono certo far dimenticare le lacune e limiti ancora esistenti. Si richiede, anche in questo settore, chiarezza di significato e di obiettivi. Permane, ad esempio, una concezione della cooperazione missionaria come di un aiuto dato da una Chiesa ricca a Chiese povere, anziché di un mutuo scambio di valori ed esperienze che arricchiscono ambedue le parti.
Per non perdere gli impulsi ed i fermenti positivi presenti nell'ambito dell'animazione e della cooperazione missionaria, e per non lasciarsi scoraggiare dalle inevitabili incertezze, superficialità e frammentarietà, cercheremo di offrire una riflessione che aiuti un'impostazione più unitaria e coraggiosa di questa azione missionaria, individuando soggetti, obiettivi, forme e mezzi per la cooperazione missionaria.
2.3. I responsabili
particolari della cooperazione missionaria.
Qui si vuol specificare il dovere “particolare” che spetta ad alcune persone e ad alcune istituzioni nell'ambito della cooperazione missionaria[245].
Ai Vescovi è richiesto di suscitare e dare con fiducia e larghezza uomini e mezzi per le Chiese giovani o in necessità; di favorire e coordinare le opportune iniziative che assicurano gli aiuti alle missioni.
Agli operatori pastorali spetta discernere e scegliere le vie e i mezzi più adatti per educare al dinamismo e all'universalismo della fede. Particolare attenzione va posta nella formazione dei candidati al sacerdozio.[246]
Ai genitori spetta il compito di trasfondere nei figli sia una mentalità aperta alle grandi realtà della Chiesa e del mondo, sia la disponibilità a donarsi agli altri seminando eventuali germi di vocazione missionaria[247].
Agli operatori scolastici è richiesto di offrire un'educazione all'universalismo, una educazione che miri a promuovere efficacemente non solo il bene della città terrena, ma anche la disponibilità al servizio per la diffusione del Regno di Dio (cf GE n.8).
Ai teologi e studiosi è richiesto di offrire un apporto più profondo alla ricerca di una rinnovata teologia della missione; solo da queste basi sicure può trarre incremento l'animazione e la cooperazione missionaria.
Ai missionari è richiesto di offrire idee ed esperienze che vivifichino lo spirito missionario ed il legame interecclesiale.
Un discorso a parte va fatto per i sacerdoti diocesani e per i laici inviati in missione nelle Chiese sorelle.
2.3.1. I sacerdoti fidei donum.
La Commissione episcopale italiana per la cooperazione tra le Chiese, ispirandosi alla grande enciclica missionaria Fidei donum di Pio XII[248], ha pubblicato su questo tema una apposita “Nota pastorale”[249]. Richiamando Presbyterorum ordinis, la Nota ricorda che “Il dono spirituale che i presbiteri hanno ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima e universale missione di salvezza fino agli estremi confini della terra” (PO 10). In quanto poi necessari collaboratori e consiglieri del Vescovo, i sacerdoti sono chiamati a partecipare alla sua sollecitudine universale[250]. Il servizio di cooperazione missionaria dei sacerdoti fidei donum nelle Chiese sorelle è finalizzato alla nascita e alla crescita d'una Chiesa veramente locale, incarnata nel suo ambiente socio culturale. Non quindi una presenza di supplenza a motivo delle scarse vocazioni autoctone, ma una presenza di servizio a guisa di pedagoghi, di educatori nella fede, di “modelli” di prete diocesano per il clero locale[251]. A motivo della incardinazione nella Chiesa che l'ha inviato, il presbitero in missione coinvolge nel suo impegno di cooperazione, il vescovo, il presbiterio e l'intera diocesi. Al loro rientro, poi, questi sacerdoti saranno lievito di animazione missionaria nella diocesi e, offrendo la ricchezza dell'esperienza vissuta presso le Chiese sorelle, saranno anche lievito di forme concrete di cooperazione sia mediante la raccolta di risorse utili, sia stimolando e preparando il ricambio di altri confratelli della diocesi che prenderanno il suo posto in missione[252].
2.3.2. I laici nella missione “ad gentes” e nella cooperazione tra i popoli.
I laici sono parte viva e consistente nell'impegno missionario della Chiesa: “Anche per mezzo loro si manifesta chiaramente che la missionarietà è connaturale alla Chiesa per il servizio al Vangelo e perciò investe tutto il popolo di Dio”.[253]. La partecipazione organica dei laici in missione si fa consistente con gli anni sessanta, dietro la spinta del fermento missionario suscitato dal Concilio. Sorsero anche i primi organismi per la promozione e la formazione dei laicato missionario. La cooperazione dei laici alla missione attraversò diverse fasi di maturazione, riassumibili in due indirizzi: il primo di carattere filantropico e umanitario, contrassegnato dal desiderio di solidarizzare con i più poveri; il secondo più strettamente collegato con l'impegno missionario della Chiesa. In questa fase, il tipo di cooperazione dei laici si configurava come aiuto all'azione svolta dai missionari, al cui servizio normalmente si ponevano per interventi di promozione umana.
In una fase successiva, dopo attente verifiche, è maturato un nuovo tipo di presenza con diverse metodologie di intervento. Da interventi di tipo assistenziale si passò a forme di corresponsabilità e coinvolgimento delle energie locali; da interventi temporanei, a “scelte di vita” più prolungate se non addirittura vitalizie; da interventi a titolo personale, a scelte di connotazione ecclesiale; non più supporto ai missionari, ma autonomia e responsabilità dirette; da scelte giovanili, a prestazioni in età più matura[254]; da forme associative locali a organizzazioni di volontariato a livello internazionale.
Quale criterio basico per l'orientamento di una vocazione laicale missionaria è possibile indicare la scelta di mettersi al servizio della missione universale della Chiesa e della cooperazione tra i popoli[255].
Quanto poi ai settori e alle modalità di cooperazione, si possono indicare i seguenti tipi di intervento:
* progetti e iniziative finalizzate alla promozione umana mediante interventi professionalmente validi, nelle diverse aree di tipo socio-culturale, sanitario, agricolo, industriale, ecc;
* interventi nel settore della solidarietà, della giustizia, dello sviluppo umano, nel vasto campo della politica, della realtà sociale, dell'economia (cf EN 70);
* attività di evangelizzazione, attraverso l'educazione religiosa in famiglia, il servizio della catechesi, l'animazione liturgica.
Seguendo le indicazioni di Redemptoris missio[256], vorremmo inserire tra i soggetti della cooperazione missionaria anche i responsabili della politica, dell'economia, della cultura, del giornalismo, oltre che gli esperti dei vari Organismi internazionali. “Nel mondo moderno è sempre più difficile tracciare linee di demarcazione geografica o culturale: c'è una crescente interdipendenza fra i popoli, il che stimola alla testimonianza cristiana e all'evangelizzazione” (RMi 82).
2. 4. La Giornata
Missionaria Mondiale.
Fu definita fin dal suo inizio “La vera festa della Apostolicità, la grande giornata della Apostolicità; perché la Chiesa è Madre di tutti, per tutti i tempi, in tutti i Paesi, fino agli estremi confini del mondo”[257].
Questa Giornata va vista come una manifestazione spontanea dello spirito di cooperazione missionaria, vissuta come dimensione normale del popolo di Dio. Non quindi un fatto isolato ed occasionale, ma una circostanza privilegiata per ravvivare la coscienza missionaria e celebrare nella lode e nel ringraziamento, con i fedeli e le Chiese di tutto il mondo, quella salvezza di Cristo che è il grande dono di Dio agli uomini[258]. Le offerte dovranno essere totalmente trasmesse alle PP.OO.MM secondo le disposizioni della Sede Apostolica.[259]
Sempre nell'ottica della cooperazione missionaria si vuol qui ricordare che con l'elezione di Paolo VI al Pontificato, dal 1963 a tutt'oggi si è instaurata la prassi di pubblicare per la Giornata Missionaria Mondiale un apposito Messaggio che viene reso noto nel giorno di Pentecoste. E' uno strumento privilegiato di cooperazione perché, di anno in anno, richiama a tutta la Chiesa le linee di riflessione e di azione per l'incremento dell'opera missionaria.
In questi ultimi anni, in molti paesi di area cattolica, tutto il mese di ottobre è diventato un “mese missionario” articolato nella successione delle settimane dedicate: alla preghiera, al sacrificio, alle vocazioni, alla carità, al ringraziamento.
Nel 1986, per ricordare il 60° Anniversario dell'istituzione della Giornata Missionaria Mondiale, Giovanni Paolo II dedicava il suo Messaggio[260] proprio a questo avvenimento. Tra l'altro ricordava sia l'intuizione avuta dalla Pontificia Opera per la Propagazione della Fede, sia la pronta accoglienza da parte del Papa Pio XI il quale, dinanzi a tale proposta, esclamò: “ Questa è un'idea che viene dal cielo”. Con questa Giornata, ricorda ancora Giovanni Paolo II, si vuol rendere cosciente il Popolo di Dio della necessità di implorare e di sostenere le vocazioni missionarie e del dovere di cooperare spiritualmente e materialmente alla causa missionaria della Chiesa. Una tale Giornata può e deve divenire, nella vita di ciascuna Chiesa particolare, occasione per attuare i programmi di catechesi permanente ad ampio respiro missionario, in modo da poter presentare ad ogni battezzato, come ad ogni comunità di fede cristiana, una proposta di vita “evangelizzata ed evangelizzante”.
Nell'Enciclica Redemptoris missio, lo stesso Giovanni Paolo II dice che “La Giornata Missionaria Mondiale, diretta alla sensibilizzazione sul problema missionario, ma anche alla raccolta di aiuti, è un appuntamento importante nella vita della Chiesa, perché insegna come donare: nella celebrazione eucaristica, cioè come offerta a Dio, e per tutte le missioni del mondo” (RMi 81).
2.5. Le Pontificie
Opere Missionarie.
Anche le PP.OO.MM vanno incluse tra i “responsabili particolari” della cooperazione missionaria; occupano anzi il primo posto essendo strumenti a diretto servizio del Papa e del Collegio episcopale.[261] Oltre ad infondere nei cattolici uno spirito veramente universale e missionario, si prodigano per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le missioni, secondo le necessità di ciascuna (cf AG 38); La loro opera di cooperazione consiste inoltre nel suscitare e sostenere vocazioni ad gentes ed a vita, sia nelle Chiese antiche come in quelle più giovani. Esse portano nel mondo cattolico quello spirito di universalità e di servizio alla missione, senza il quale non esiste autentica cooperazione.[262]
2.6. Gli Istituti
missionari.
Espressione e strumento della missionarietà tanto della Chiesa universale quanto delle Chiese particolari, sono gli Istituti con fine unicamente missionario, cioè ad gentes (cf AG 23-27; RMi 65-66): sono espressione paradigmatica della cooperazione missionaria; esprimono infatti in maniera radicale la vocazione missionaria di tutta la Chiesa, sollecitano costantemente la comunità ecclesiale a vivere l'impegno missionario[263].
Stessa considerazione, analogicamente, va fatta anche per gli Ordini, le Congregazioni, gli Istituti Secolari che, tra le altre finalità, hanno anche quella missionaria[264].
Si è sentito il bisogno di chiarire i rapporti tra Chiesa locale ed Istituti impegnati nell'attività missionaria; si è sentito anche il bisogno di inserirli nel dinamismo della stessa Chiesa locale mediante un più stretto rapporto di comunione e collaborazione.[265].
Per quanto attiene il ruolo della cooperazione missionaria, si possono individuare alcuni elementi di cooperazione:
* stando non accanto alla Chiesa, ma dentro di essa come espressione particolare della sua missionarietà, gli Istituti missionari aiutano questa stessa Chiesa a vivere veramente la dimensione cattolica, la provocano ad uscire da se stessa e a intraprendere vie nuove e coraggiose di evangelizzazione;
* interessandosi al progetto pastorale delle diocesi, le aiutano ad esplicitarne la dimensione missionaria, le provocano a diventare “Chiesa inviata” per la salvezza di tutti[266];
* diano un apporto vigoroso per una maggiore apertura, nei cristiani e nella società, al senso della mondialità, allo scopo di individuare e rimuovere cause e comportamenti che favoriscono lo stato di sottosviluppo e di guerra in tanti Paesi del Terzo Mondo;
* promuovano le vocazioni missionarie che si consacrino alla missione universale;[267]
* realizzino uno stile di presenza e di azione pastorale che privilegi la solidarietà con gli ultimi e garantisca una fraterna accoglienza ai terzomondiali;
* promuovano iniziative comuni contro la fame nel mondo, per la pace, per il rispetto dei diritti umani;
* organizzino incontri di studio per approfondire la riflessione sulla missione, in vista di una cooperazione più qualificata;
* sperimentino, dove sia possibile e opportuno, forme di cooperazione in missione, costituendo équipes comuni di missionari o di volontari laici;
* mettano a disposizione la loro competenza ed esperienza per aiutare la formazione dei sacerdoti fidei donum e dei volontari laici che si accingono a partire per la missione.
2.7. Strutture di
comunione per la cooperazione missionaria.
A titolo di esempio si riportano qui gli organismi di cooperazione esistenti in Italia. Già abbiamo ricordato l'origine e la funzione di organismi nazionali quali la Commissione Episcopale per la Cooperazione tra le Chiese, l'Ufficio per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese, il Consiglio Missionario Nazionale e il Centro Diocesano Missionario.
Occorre completare questa lista richiamando altri organismi e servizi missionari di cooperazione: il CEIAL: Centro Ecclesiale Italiano per l'America Latina; il CEIAS: Centro Ecclesiale Italiano per l'Africa e l'Asia. Sono organismi a livello nazionale che dipendono dalla CEI e sono in relazione con la Commissione Episcopale e con l'Ufficio Nazionale per la cooperazione Missionaria tra le Chiese. Il loro impegno di cooperazione consiste nello sviluppare un'opera di mediazione e comunione per l'invio di personale missionario e la condivisione interecclesiale di beni, iniziative ed esperienze. Offrono una consulenza qualificata per la scelta, la preparazione e l'assistenza del personale da inviare in missione. Promuovono iniziative opportune a sostegno degli inviati e ne valorizzano l'esperienza quando rientrano in patria.[268]
Nel 1988 la CEI, nello spirito di comunione e di partecipazione ecclesiale, ha costituito il Centro Unitario per la Cooperazione Missionaria tra le Chiese (=CUM), avente lo scopo di studiare e promuovere, anche in collaborazione con altri organismi ecclesiali, la cooperazione missionaria tra le Chiese particolari e le Chiese dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia/Oceania in modo speciale attraverso l'invio di presbiteri, religiosi, religiose e laici.[269]
2.8. Obiettivi della cooperazione missionaria.
Giovanni Paolo II in Redemptoris missio ha ricordato che “si è missionari prima di tutto per ciò che si è...prima di esserlo per ciò che si dice o si fa” (RMi 23). Da questa affermazione si deve dedurre che il primo obiettivo della cooperazione è quello di porre la comunità ecclesiale in tensione missionaria attraverso un dinamico processo di consapevolezza e di azione. Consapevolezza di essere chiamati, in quanto battezzati e membri di una Chiesa missionaria, ad irradiare la propria fede, a rendere conto agli altri, in qualsiasi situazione, della speranza che è in loro (cf 1 Pt 3,15). Azione che consiste anzitutto nel dare testimonianza con la vita, con le opere, con la parola. Il vivere da cristiani nell'esistenza quotidiana è la prima ed indispensabile forma di evangelizzazione, e quindi di cooperazione. Senza tuttavia dimenticare che è indispensabile anche l'annuncio diretto della Parola sia come prima evangelizzazione verso l'ampia fascia della non credenza, sia come nuova evangelizzazione presso i non praticanti o gli indifferenti.
Un altro obiettivo della cooperazione è quello di collocarsi con chiarezza, senza riduzioni, nel progetto di attività missionaria. Cooperare allo sviluppo dei poveri, alla liberazione degli oppressi, alla promozione dello sviluppo, alla difesa dei diritti umani. Dicevamo che tale cooperazione deve essere fatta senza riduzioni; nel senso che la Chiesa missionaria, pur impegnata su questi fronti, sa che il suo compito primario è un altro: i poveri hanno fame di Dio, e non solo di pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le Chiese locali che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi (cf RMi 83). Sarà credibile quella cooperazione che, rifuggendo da glorie ed onori, si sforzerà di imitare la semplicità di vita di Cristo usando i propri beni per il servizio dei più poveri.
Obiettivo della cooperazione missionaria è anche quello di inserire lo spirito e l'orizzonte missionario nella vita quotidiana delle comunità ecclesiali e farne il lievito dell'attività pastorale.
Una cooperazione, infine, che riesca a qualificare, adeguare, armonizzare, coordinare le energie e le iniziative perché l'azione e la presenza missionaria siano adeguate ai tempi e attuino una reale partecipazione e comunione interecclesiale.
Esistono, a questo proposito, forme e mezzi specifici di cooperazione.
2.9 Forme e mezzi di cooperazione.
Tutti i molteplici mezzi di cooperazione di cui la missione ha bisogno sono utili e necessari; va tuttavia rispettata una certa gerarchia di valori e di priorità.
2.9.1. La cooperazione
missionaria spirituale.
Ha un posto privilegiato come già indica l'esperienza della Chiesa dei primi tempi. Essa si esplica con la preghiera, il sacrificio, la testimonianza della vita.
2.9.1.1. La preghiera.
Sia l'orazione personale che quella comunitaria-liturgica, con al centro la celebrazione dell'Eucaristia, sono giustamente ritenute “culmine e fonte” dell'azione della Chiesa (SC 10) e dell'opera di evangelizzazione (PO 5). Ogni missione evangelizzatrice deve avere al suo inizio la preghiera (At 13,3: “ dopo aver digiunato e pregato, imposero loro (Barnaba e Saulo) le mani e li accomiatarono”; 1 Tim 2,1.4: “Ti raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini... Questa è una cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”). Nella “Messa per l'evangelizzazione dei popoli” si prega nella Colletta: “Effondi lo Spirito Santo che sparga il seme della verità nel cuore degli uomini e li disponga all'obbedienza della fede...”, “ ...manda i tuoi operai perché sia annunziato il Vangelo ad ogni creatura... “. La preghiera è la sorgente che alimenta la missione. Una comunità che prega contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa (SC 2).
Come ha scritto Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, “La preghiera deve accompagnare il cammino dei missionari, perché l'annuncio della Parola sia reso efficace dalla grazia divina. San Paolo nelle sue Lettere chiede spesso ai fedeli di pregare per lui, perché gli sia concesso di annunziare il Vangelo con fiducia e franchezza” (RMi 78).
2.9.1.2. Il sacrificio.
“Si metta in evidenza lo stretto legame che unisce la sofferenza alla missione, in quanto associa intimamente al mistero redentore di Cristo”[270].
Anche Redemptoris missio ha ricordato che ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore, ha un immenso valore salvifico perché scaturisce dal sacrificio di Cristo che chiama le membra del suo mistico corpo ad associarsi ai suoi patimenti, a completarli nella propria carne (cf Colossesi 1,24). Quale eminente forma di cooperazione missionaria, ha invitato tutti i sofferenti ad offrire a Dio i loro sacrifici e le loro preghiere sostenendo così il cammino e l'opera dei missionari perché l'annunzio della Parola sia reso efficace dalla grazia divina. “Con tale offerta i malati diventano anch'essi missionari” (RMi 78) ed il loro amore crocifisso porterà i suoi frutti di redenzione sino agli estremi confini della terra.
2.9.1.3. La testimonianza della vita.
Giovanni Paolo II in Redemptoris missio 42 ripropone la felice espressione di Evangelii nuntiandi 41 che dice: “l'uomo contemporaneo crede più ai testimoni che ai maestri”. Pertanto “la testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione” (RMi 42); anzi, in molti casi, è l'unico modo possibile di essere missionari[271] e di cooperare all'annuncio del Vangelo presso le genti. Questa testimonianza è fatta di stima e di amore (AG 11), di comprensione e di accoglimento, di solidarietà negli sforzi per tutto ciò che è nobile e buono (EN 21). E' attenzione per le persone, è carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre (RMi 42). Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione silenziosa, ma molto forte ed efficace, della Buona Novella (EN 21).
L'impegno della cooperazione missionaria, se vuol essere efficace secondo l'ottica della grazia, deve riscoprire nuovamente che la vocazione cristiana è vocazione alla santità[272]. Pertanto, saranno autenticamente evangelizzatori solo coloro che, come Maria, sapranno offrire alla comunità degli uomini una elevata qualità di vita cristiana[273]. Mediante una incessante conversione interiore dei singoli cristiani e il continuo rinnovamento delle nostre comunità e istituzioni, la stessa fede si farà più ferma, più pura, più intima e gli stessi evangelizzatori diventeranno più credibili testimoni di essa con una vita coerente al vangelo che annunziano.[274] Questa è la chiave del rinnovato ardore della evangelizzazione: se deriva da un rinnovato atto di fiducia in Gesù Cristo; se culmina nella pratica sacramentale; se si avrà fame di trasmettere agli altri la gioia della fede; se si saprà correggere nei propri comportamenti quanto è anti-evangelico e sfigura il volto di Cristo; se in clima di dialogo sincero e di amicizia, né si nasconderà la propria fede, né si prescinderà da essa nel modo di affrontare e risolvere i diversi problemi che la convivenza tra gli uomini comporta. L'ardore apostolico non è fanatismo ma coerenza di vita cristiana che fa chiamare bene il bene e male il male[275].
La mancanza di fervore è un grosso ostacolo all'evangelizzazione perché sta a significare che manca dentro il fervore dello spirito (cf Rom 12,11) e si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e soprattutto nella mancanza di gioia e di speranza. La vita di testimonianza e di santità è dunque l'humus naturale da cui nasce e dove si sviluppa ogni forma di cooperazione missionaria.
E' prevista anche una testimonianza di vita che supera ogni linguaggio quanto ad efficacia evangelica: è il sangue dei martiri che, con il loro martirio, sono divenuti “seme fecondo dei cristiani” (AG 5)[276]. “Come sempre nella storia cristiana, i martiri, cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo [...] Sono essi gli annunciatori ed i testimoni per eccellenza”.[277] Chi più dei martiri coopera alla evangelizzazione e alla edificazione delle Chiese?
2.9.2. La promozione delle vocazioni missionarie.
“L'annuncio del Vangelo domanda annunciatori (cf Rm 10,14-15), la messe richiede operai (cf Mt 9, 37-38), la missione vuole missionari (cf At 13,2)”[278]. Redemptoris missio richiama e raccomanda questa sollecitudine per le vocazioni missionarie affermando che “La promozione di tali vocazioni è il cuore della cooperazione” (RMi 79). La vera misura della donazione ai fratelli e la vitalità di una Chiesa che vuol essere missionaria si misurerà dunque non tanto dalla quantità di denaro raccolto, ma dall'effettivo invio di vocazioni missionarie. Questa cooperazione deve essere sentita soprattutto nelle famiglie, sensibili a creare condizioni favorevoli per la vocazione dei figli; e tra i giovani, pronti ad ascoltare la chiamata di Cristo a diventare pescatori di uomini (cf Mt 4,19) e ad annunciare la Buona Novella del Regno.
2.9.3. Gesti concreti di donazione e di servizio.
Prima ancora del dare, occorre una adeguata animazione ed educazione che miri a creare la coscienza interiore e lo spirito del gesto di donazione: un gesto che sia espressione di condivisione, risposta ad un dono ricevuto (donare è restituire), apertura alle necessità della Chiesa universale, che esprima la gratuità del dare come superamento dell'egoismo che è nell'uomo, che stimoli il superamento di dipendenza e crei condizioni per essere sufficienti a se stessi (cf AA 8). Le missioni non chiedono solo un aiuto, ma una condivisione con l'annunzio e la carità verso i poveri.
Sono gesti concreti di donazione la raccolta di mezzi finanziari destinati alle necessità materiali ed economiche delle missioni, in vista delle numerose esigenze connesse con la plantatio Ecclesiae. Occorrono seminari, cappelle, abitazioni per il clero, scuole per catechisti. Si sa anche quanto sia necessario e vasto il campo di azione che mira a creare le strutture di carità, di educazione, di promozione umana, soprattutto nei Paesi poveri. La Chiesa missionaria dà quello che riceve, distribuisce ai poveri quello che i suoi figli più dotati di beni materiali le mettono generosamente a disposizione (cf RMi 81).[279]
A questi gesti concreti di donazione oggi si aggiungono forme nuove di cooperazione, connesse soprattutto al fenomeno della mobilità e che richiedono ai cristiani un autentico spirito missionario. Ci riferiamo alla esigenza di essere testimoni della fede e della carità di Cristo verso fratelli di altre religioni che, a motivo dell'intensificarsi del turismo a carattere internazionale, visitano con sempre maggiore frequenza il nostro Paese (RMi 82)
Un'opportunità per vivere e testimoniare la fede può essere offerta anche da quei cristiani, sia turisti sia lavoratori, che si recano in Paesi dove il cristianesimo non è conosciuto a sufficienza o addirittura bandito o perseguitato: basti pensare alle aree di religione islamica nel Medio Oriente (Arabia Saudita, Turchia, Egitto); o ai fratelli Ebrei, in occasione dei pellegrinaggi ai Luoghi Santi della Palestina (RMi 82).
Sempre legate alla mobilità, sono pure in espansione e da incoraggiare le visite alle missioni, soprattutto da parte di giovani, che vanno per servire e per fare un'esperienza forte di vita cristiana (cf RMi 82).
Un discorso tutto particolare va fatto infine a proposito dei cittadini di altri Paesi (di missione o appartenenti a religioni non cristiane) che si stabiliscono in un Paese per motivi di studio o di lavoro (a volte anche per motivi politici o di forzata emigrazione). La presenza di questi fratelli è una sfida missionaria per le nostre comunità ecclesiali chiamate ad occuparsi generosamente di queste situazioni attivando forme nuove di cooperazione fatte di accoglienza, dialogo, servizio, condivisione, testimonianza e, nelle forme adatte da ricercare, lo stesso annunzio diretto.
2.9.4. La conoscenza della realtà missionaria.
La conoscenza diretta della vita missionaria e delle nuove comunità cristiane è un'altra forma molto efficace di cooperazione missionaria. Lo scopo non è limitato alla semplice informazione sulle realtà della missione; mira piuttosto “a formare le coscienze dei fedeli e delle comunità”[280] e contribuisce ad arricchire e rinvigorire la loro fede (cf RMi 82).
A questo scopo servono la predicazione, la catechesi, la testimonianza dei missionari, ma soprattutto i diversi strumenti della comunicazione sociale[281] (stampa, radio, televisione).
Al primo posto di questa cooperazione vorremmo porre proprio i teologi e gli studiosi di missiologia. Essi si trovano in primo piano nella schiera dei particolari responsabili della missione, dato l'influsso che esiste tra riflessione e prassi. Ad essi spetta il ruolo primario di trovare e di trasmettere il senso profondo di una rinnovata teologia della missione, senza riduzioni o ambiguità, ma piuttosto sulla retta via del sentire cum Ecclesia (cf RMi 35).
La testimonianza dei missionari conserva sempre il suo fascino anche presso i lontani e i non credenti e trasmette valori cristiani. Permette di conoscere la vera realtà della missione e stimola spesso ad una cooperazione mirata come quella delle micro-realizzazioni, particolarmente efficaci per lo sviluppo delle giovani comunità evangelizzate.
La stampa e i vari sussidi audiovisivi hanno un ruolo molto importante in quanto, oltre a far conoscere la vita della Chiesa universale, le voci e le esperienze dei missionari e delle Chiese locali presso cui essi lavorano, tendono a educare e a far crescere nella comunione e nella solidarietà queste stesse comunità. Sulla scia di Inter mirifica n.1, Evangelii nuntiandi elogiava l'efficacia di questi mezzi che, “posti al servizio del Vangelo, sono capaci di estendere quasi all'infinito il campo di ascolto della parola di Dio” (EN 45). Sostenendo il dialogo della Chiesa col mondo e rendendola presente in maniera più larga e incisiva, i mezzi di comunicazione sociale costituiscono una versione moderna ed efficace del pulpito (EN 45).
Presso le giovani Chiese, la cooperazione svolta dagli Istituti missionari dovrebbe consistere, tra l'altro, nel dotare queste comunità di stampa e di altri sussidi, oltre al personale capace di avviare l'uso funzionale di questi strumenti della comunicazione (cf RMi 83).
Se da un lato questa forma di cooperazione è particolarmente efficace, dall'altro va pure detto che essa può essere anche a rischio. Si assiste, non di rado, ad un uso interessato e distorto della realtà, alla ricerca del sensazionale e dell'episodico, come quando si vuol presentare il Terzo Mondo sempre lacero e affamato allo scopo di impietosire i lettori e spingerli alla generosità nelle offerte, ma non certo nel servizio della verità e della dignità. Il vero spirito di cooperazione attraverso i mass-media deve avvenire dunque nella verità e nella carità (cf EN 77-79), come un servizio alla Chiesa e alle Chiese, sempre nel massimo rispetto della dignità dell'uomo anche se in stato di povertà.
2.9.5. L'invio di
missionari.
Già abbiamo parlato del servizio di cooperazione missionaria svolto dai sacerdoti e dai laici nelle Chiese sorelle.[282] Qui vorremmo completare quella forma di cooperazione con un'altra non meno importante che consiste nell'invio di sacerdoti diocesani e di religiosi nei paesi dove lavorano i propri connazionali emigrati all'estero, offrendo aiuto e collaborazione anche a quelle Chiese locali.
Collegato a questo tipo di cooperazione sta pure l'assistenza agli immigrati esteri presenti nel Paese, molti dei quali possono appartenere a fedi e religioni diverse da quella cristiana; dei nomadi, dei marittimi, dei circensi, dei turisti. Sono ambiti diversi che richiedono una cooperazione missionaria specifica e permanente.
L'invio di missionari o la disponibilità di sacerdoti per l'assistenza alle categorie di migranti sopra citate, richiede uno stile di più accentuata comunione all'interno delle singole diocesi; comunione che può tradursi in un'equa distribuzione di forze anche attraverso opportune forme di gemellaggio interdiocesano[283].
3. LA “NUOVA EVANGELIZZAZIONE”.
Secondo Redemptoris missio esiste una terza “situazione” missionaria che necessita di metodologie proprie; una situazione intermedia tra la missio ad gentes e la cura pastorale missionaria delle comunità già formate: si tratta della “nuova evangelizzazione” (RMi 33)[284].
I destinatari di questa “nuova evangelizzazione” sono i battezzati che vivono in Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle Chiese giovani, e che, indeboliti dall'indifferentismo, dal secolarismo, dall'ateismo, dalla diffusione delle sètte, hanno perduto il senso vivo della fede conducendo un'esistenza non informata dal Vangelo e non partecipano alla vita della Chiesa (RMi 33).
La natura e lo scopo di questa attività missionaria sono: “assicurare la crescita di una fede limpida e profonda...formare comunità ecclesiali mature...rifare il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” (ChL 34); “Nuova evangelizzazione” significa anche ripensare in maniera seria l'intero problema missionario mettendo in moto una gigantesca opera di evangelizzazione nel mondo moderno arrivato ad un crocevia nuovo della storia dell'umanità; “Dobbiamo essere consapevoli che non sarà possibile rilanciare un'efficace opera di evangelizzazione senza rilanciare l'afflato missionario delle nostre comunità cristiane”[285]; la “nuova evangelizzazione” è chiamata a “proporre una nuova sintesi creativa tra il Vangelo e la vita”[286].
“Nuova evangelizzazione” significa per la Chiesa “fare oggi un grande passo in avanti nella sua evangelizzazione... entrare in una nuova tappa storica del suo dinamismo missionario” (ChL 35), “rifondare su base missionaria la nostra pastorale nella moderna società industriale”[287].
“E' giunto il momento di recuperare le fondamenta perdute della fede attraverso comuni sforzi, rinnovati e rafforzati. Questo è un dovere che si fa sempre più pressante e totalizzante. Io, in altre occasioni, e già molte volte, l'ho definito con la parola “nuova evangelizzazione” di cui necessitano non solo la società moderna ma anche vasti ambiti della Chiesa stessa. E' perciò necessario...rivolgersi alla trasmissione fedele delle verità di fede e ad un suo continuo e persistente approfondimento”[288].
Le qualità che deve avere questa “nuova evangelizzazione” sono state indicate dallo stesso Giovanni Paolo II: innestata sulle radici dell'annuncio portato dai primi missionari (“prima” evangelizzazione) e animata da un “rinnovato ardore apostolico”, si potrà parlare di nuova evangelizzazione se sarà: “nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nella sua espressione”[289].
3.1. Una evangelizzazione “nuova nel suo ardore”.
Per Giovanni Paolo II l'evangelizzazione sarà nuova nel suo ardore se, nella misura in cui si va attuando, verrà rafforzata sempre più l'unione con Cristo primo evangelizzatore. Il nuovo tempo della evangelizzazione ha inizio con la conversione del cuore. Dobbiamo quindi scoprire nuovamente che la vocazione cristiana è vocazione alla santità[290]. E' il peccato che ritarda l'evangelizzazione! Pertanto, saranno autenticamente evangelizzatori solo coloro che, come Maria, sapranno offrire alla comunità degli uomini una elevata qualità di vita cristiana[291]. Mediante una incessante conversione interiore dei singoli cristiani e il continuo rinnovamento delle nostre comunità e istituzioni, la stessa fede si farà più ferma, più pura, più intima e gli stessi evangelizzatori diventeranno più credibili testimoni di essa con una vita coerente al vangelo che annunziano.[292] Questa è la chiave del rinnovato ardore della nuova evangelizzazione: se deriva da un rinnovato atto di fiducia in Gesù Cristo; se culmina nella pratica sacramentale; se si avrà fame di trasmettere agli altri la gioia della fede; se in clima di dialogo sincero e di amicizia, né si nasconderà la propria fede, né si prescinderà da essa nel modo di affrontare e risolvere i diversi problemi che la convivenza tra gli uomini comporta. L'ardore apostolico non è fanatismo ma coerenza di vita cristiana che fa chiamare bene il bene e male il male[293].
La mancanza di fervore è un grosso ostacolo all'evangelizzazione perché sta a significare che manca dentro il fervore dello spirito (cf Rom 12,11) e si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e soprattutto nella mancanza di gioia e di speranza.
Giovanni Paolo II parla di una “graduale secolarizzazione della salvezza” (RMi 11), cioè di una salvezza ridotta alla sola dimensione orizzontale, per un uomo dimezzato ed elenca alcuni “falsi alibi” che vanificano l'ardore della missione:” E' ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana?...Non ci si può salvare in qualsiasi religione?” (RMi 4); una “mentalità indifferentista...che porta a ritenere che una religione vale l'altra” (RMi 36); ci si astiene dall'appello alla conversione per paura di essere tacciati di “proselitismo” (RMi 46).
Ecco perché Giovanni Paolo II in Redemptoris missio, mentre richiama la permanente validità del mandato missionario, ne sottolinea anche l'urgenza appellandosi al testo paolino: “guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16),”l'amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14). E' evidente che la diminuzione della spinta missionaria[294]“è segno di una crisi di fede” (RMi 2).
Una evangelizzazione che sia “nuova nel suo ardore” dovrà necessariamente ribadire questi convincimenti: va considerata il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità; vanno rimossi dubbi e ambiguità circa la sua natura e la sua necessità (RMi 2); va recuperato il sentire cum Ecclesia correggendo certe visioni teologiche non corrette e improntate ad un relativismo religioso (RMi 36).
Oggi si richiede una evangelizzazione che abbia l'ardore della Pentecoste. “La missione è un problema di fede” (RMi 11).”Il vero missionario è il santo”[295]
L'evangelizzazione sarà nuova nell'ardore se saprà fare “un soprassalto di missionarietà”[296] che impedisca alle nostre Chiese di ripiegarsi su se stesse o, peggio, sulle loro piccole contese, ed essere piuttosto missionarie là dove vivono e dove vive la gente. La Chiesa missionaria non ha scelte che tra l'arditezza e l'abdicazione. Se ascoltasse troppo le voci del buon senso, non solamente si condannerebbe all'immobilismo, ma si confesserebbe umana. Infedele alla sua missione, essa commetterebbe in più il peccato contro lo Spirito. Giovanni Paolo II ha detto che “La Chiesa o è missionaria o non è più nemmeno evangelica”[297].
3.2. Una
evangelizzazione “nuova nei suoi metodi”.
«Una evangelizzazione sarà “nuova nei metodi” se ogni membro della Chiesa diverrà protagonista della diffusione del messaggio di Cristo (cf Mc 16,15; AA 11)...L'evangelizzazione è compito di tutti i membri della Chiesa»[298]
Di questi nuovi metodi di evangelizzazione si fa interprete Giovanni Paolo II in Redemptoris missio quando descrive l'attuale situazione della Chiesa missionaria: “si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali” (RMi 2).
L'evangelizzazione deve essere oggi nuova nei suoi metodi anche a motivo dei nuovi àmbiti cui l'annuncio evangelico deve essere rivolto.
Redemptoris missio 37 parla di àmbiti territoriali, di mondi e fenomeni sociali nuovi, di aree culturali o areopaghi moderni che devono essere evangelizzati.
Quanto agli àmbiti territoriali si assiste ad un superamento dei criteri strettamente geografici di evangelizzazione: anche all'interno delle antiche cristianità o delle giovani Chiese permangono vaste zone non evangelizzate per cui si impone, anche in questi Paesi, non solo una “nuova evangelizzazione”, ma in certi casi anche una prima evangelizzazione[299].
Quanto ai mondi e fenomeni sociali nuovi assistiamo ad una rapida e profonda trasformazione delle situazioni umane: basti pensare al fenomeno così appariscente dell'urbanizzazione, oppure alla situazione dei giovani, alle forti migrazioni di popoli di differente religione, ai rifugiati, alle sacche di miseria disumana in certe regioni del globo. Tutto questo influisce fortemente sulla metodologia missionaria che è chiamata con urgenza ad adeguarsi a queste nuove situazioni e ripensare le sue strategie di azione. Luoghi privilegiati della missione diventano le grandi città dove stanno nascendo nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e di comunicazione. Anche per i giovani, che in certi Paesi costituiscono già più della metà della popolazione, i mezzi ordinari della pastorale non bastano più: si richiedono associazioni e istituzioni speciali che facciano giungere a questi giovani il messaggio di Cristo. Che dire poi della nuova metodologia missionaria che deve essere messa in atto verso i numerosi immigrati di altre religioni che giungono nei nostri Paesi di antica cristianità? Una nuova sollecitudine apostolica deve essere attivata, fatta di accoglienza, di dialogo, di fraternità, in attesa che Dio apra la porta della parola per poter annunziare con franchezza anche a questi fratelli il mistero di Cristo (cf AG 13); sull'esempio del Signore che “coepit facere et docere” (At 1,1).
Infine una evangelizzazione nuova nei metodi anche riguardo ai nuovi areopaghi moderni di cui parla Redemptoris missio 37c: il mondo della comunicazione con i suoi nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici[300]; l'impegno per la pace; la promozione della donna[301]; il mondo del lavoro; il mondo della politica[302]; la salvaguardia del creato; la cultura e la ricerca scientifica. Tutti areopaghi da evangelizzare offrendo loro il senso cristiano della vita come antidoto alla disumanizzazione e alla perdita dei valori (cf RMi 37-38.86).[303]
Siamo ad una svolta epocale nella storia dell'umanità; la Chiesa è chiamata a dare una risposta generosa e lungimirante ai problemi nuovi che la missione le pone dinanzi; le è richiesto di affrontare questa sfida ponendo in atto una evangelizzazione nuova nei metodi che le permettano di proiettarsi verso nuove frontiere con lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito (cf RMi 30).
3.3. Una evangelizzazione “nuova nelle sue espressioni”.
L'evangelizzazione sarà “nuova” anche nella sua espressione “se starete con gli occhi attenti a ciò che dice il Signore (cf Sal 84/85, 8-9)... se saprete acquisire una salda conoscenza della verità di Cristo... se annunzierete la Buona notizia con un linguaggio che tutti possano comprendere”[304].
Una tale evangelizzazione richiede anzitutto che sia rinsaldato il tessuto cristiano della comunità ecclesiale. Ciò significa far crescere e maturare negli stessi credenti quella coscienza di verità, ossia quella consapevolezza di essere portatori della verità che salva, che è, fin dalle origini della Chiesa, lo stimolo decisivo all'impegno missionario. La mentalità relativistica, così diffusa nel nostro tempo anche tra i credenti, tende a condizionarli nelle loro convinzioni e ancor più nei comportamenti. Pertanto, “condizione primaria dell'evangelizzazione è che si rinsaldi il tessuto cristiano della stessa comunità ecclesiale”[305]. Significa formare comunità ecclesiali mature nelle quali la fede sprigioni e realizzi tutto il suo originario significato di adesione a Cristo e al suo Vangelo (cf ChL 34). Significa, in una situazione nella quale è urgente por mano quasi ad una nuova “implantatio evangelica”, attivare una sistematica e capillare catechesi dei giovani e degli adulti che renda i cristiani consapevoli del ricchissimo patrimonio di verità di cui sono portatori e della necessità di dare sempre fedele testimonianza alla propria identità cristiana[306].
Quanto al linguaggio oggi si parla di “inculturazione della fede” intesa come lo sforzo della Chiesa per far penetrare il messaggio di Cristo in un determinato ambiente socioculturale, invitandolo a credere secondo tutti i suoi valori propri, dato che questi sono conciliabili con il Vangelo[307]. Questa era stata una preoccupazione già del Sinodo dei vescovi del 1974 dedicato all'evangelizzazione. Nel loro messaggio finale, i Padri invitavano le chiese particolari ad un’appropriata “traduzione” del messaggio evangelico, e secondo il principio dell'incarnazione, a escogitare sempre nuovi ma fedeli “modi di radicarsi”.[308]
Dalle Conclusioni della IV Conferenza generale dell’Episcopato latiniamericano (S. Domingo 1992) è possibile ricavare questa sintesi relativa alla natura, al fine della «nuova evangelizzazione»:
a. Che cosa è la «nuova
evangelizzazione».
* riconoscere che in Cristo sono presenti «imprescrutabili ricchezze» (Ef 3,8) che non si esauriscono in nessuna epoca o cultura.
* significa riconoscere che ne è esistita una antica o prima.
* significa riconoscere che oggi ci sono nuove sfide cui occorre rispondere con una evangelizzazione nuova
* significa partire dai ricchi e abbondanti frutti-valori della prima evangelizzazione per approfondirli, completarli correggendo le precedenti carenze.
* è una risposta ai problemi che presenta l’ attuale realtà socio-religiosa.
* è un impegno operativo e dinamico che tende a infondere energie nuove al cristianesimo.
* è una chiamata alla conversione e alla speranza, fondate sulle promesse di Dio e sulla potenza della risurrezione di Cristo.
* è il complesso di mezzi, azioni e atteggiamenti utili a porre il Vangelo in dialogo attivo con la modernità e il postmoderno, sia per interpellerli, sia per lasciarsi interpellare da questi.
* è lo sforzo di inculturare il Vangelo nelle culture.
b. Che cosa non è
«nuova evangelizzazione»:
* non è giudizio sulla precedente evangelizzazione, come se fosse stata nulla o infruttuosa o non duratura.
* non significa proporre un nuovo Vangelo, diverso dal primo.
* non vuol dire rievangelizzare, quasi a prescindere dalla prima evangelizzazione.
c. Il fine della «nuova
evangelizzazione».
* formare uomini e comunità mature nella fede e dare risposta alla nuova situazione che stiamo vivendo, provocata dai cambiamenti sociali e culturali della modernità (urbanizzazione, povertà, emarginazione, materialismo, sette, cultura della morte) [SD 26].
* é suscitare un’adesione personale a Cristo e alla Chiesa da parte di coloro che vivono un cristianesimo senza energia.
CAPITOLO III
I SOGGETTI DELLA PASTORALE MISSIONARIA.
Scaturendo dalle missioni divine, la Chiesa è per sua natura missionaria: essa è il luogo in cui, nella forza dello Spirito, è reso presente il Cristo per compiere la sua missione salvifica; essa riceve sempre nuovamente lo Spirito, per sempre nuovamente donarlo e far lievitare la storia verso il tempo della gloria in cui Dio sarà tutto in tutti. La pura grazia, che costituisce la Chiesa nella sua comunione, non è privilegio, è compito, non è possesso, è missione: la comunione ecclesiale si salda così strettamente all'invio. Questo significa che, in forza dell'iniziazione cristiana, non c'è nessuno nella comunità ecclesiale che possa sentirsi esentato dal compito missionario[309].
Ogni cristiano, mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana (battesimo, confermazione, eucaristia), è configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. Nel mistero della Chiesa-vigna, i laici non sono semplicemente gli operai che lavorano in questa vigna, ma sono parte della vigna stessa (cf. Gv 15,5). Facendoci rinascere dall'acqua e dallo Spirito (cf. Gv 3,5), Cristo ci unisce a sé come tralci della vera vite. Il battesimo, infatti, ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci templi spirituali e fortificati dal medesimo Spirito per mezzo della cresima, siamo deputati dal Signore stesso all'apostolato. Veniamo consacrati per formare un sacerdozio regale e una nazione santa (cf 1 Pt 2,4-10) onde offrire sacrifici spirituali mediante ogni attività e testimoniare dappertutto il Cristo. Inoltre con i sacramenti, soprattutto con quello dell'Eucaristia, viene comunicata e alimentata quella carità che è come l'anima di tutto l'apostolato.[310]
Siamo così ammessi alla “comunione” con Dio, resi partecipi della natura divina (cf. 2 Pt 1,4). Ma, in quanto membri di Cristo, siamo anche membri del suo corpo, la Chiesa; templi vivi e santi dello Spirito per la costruzione di un edificio spirituale (cf. 1 Pt 2,5s).
In virtù di questa iniziazione il battezzato non solo partecipa della “comunione” con Dio, ma è abilitato anche alla “missione”, cioè alla manifestazione e alla comunicazione di tale comunione che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito (cf. Gv 17,21).[311]
Nell'ottica dei capitoli VI e VII della Redemptoris missio intendiamo qui indicare per sommi capi chi sono i responsabili e gli operatori dell'opera missionaria [RMi 61-76]; da questa visione d'insieme sarà più facile individuare la specificità del servizio di cooperazione missionaria nell'evangelizzazione.
1.. “l'attività missionaria è il dovere più
alto e più sacro della Chiesa” (AG 29).
Essendo la Chiesa tutta missionaria, l'opera evangelizzatrice è dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio[312].
Tenendo sempre presente la missionarietà di tutto il popolo di Dio, parleremo qui dei protagonisti particolari della missione, in ordine alla grazia propria da essi ricevuta.
1.1. Tutta la Chiesa e
ciascuna Chiesa è inviata alle genti (RMi 62).
Non solo le Chiese di antica cristianità che hanno sufficienti vocazioni, ma anche le chiese giovani o le Chiese che soffrono di scarsezza di clero devono partecipare alla missione universale della Chiesa (AG 20). Oggi si richiede ad ogni comunità ecclesiale di rimanere unita con le altre, in uno scambio fecondo di energie e mezzi, nell'impegno comune e nell'unica missione di annunciare e vivere il Vangelo. Nessuna Chiesa è così povera da non aver nulla da dare alle altre.[313]
1.2. I protagonisti particolari della missione[314].
La Chiesa vuole che l'impegno missionario sia assunto da ogni battezzato, nel rispetto della sua specifica vocazione all'interno di quella comunione organica che è propria della Chiesa. L'evangelizzazione è dovere fondamentale di tutto il popolo di Dio (AG 35.36.37; CIC 781); all'interno di questo popolo tutti sono insieme “soggetti” e “destinatari” della missione-evangelizzazione, anche se ciò avviene non allo stesso titolo o nello stesso modo, ma secondo la peculiarità del ministero-vocazione-carisma che ognuno ha ricevuto da Dio (AG 23)[315]. All'interno di questa Chiesa tutta “missionaria per sua propria natura” (AG 2), ciascun battezzato è soggetto e partecipe di questa missione[316]:
* Al collegio dei Vescovi con a capo il successore di Pietro (AG 38; LG 23; CIC 782; EN 67) è affidata la cura di annunziare il Vangelo in ogni parte della terra (RMi 63); “ogni vescovo è consacrato non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza e l'evangelizzazione di tutto il mondo” (LG 23.24; AG 38; CD 6; EN 68; CIC 782,1.2.; RMi 63)[317];
* I Presbiteri: l'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì a una vastissima e universale missione di salvezza (PO 10; AG 39; EN 68-69; RMi 67 ); va ricordata la forma nuova di cooperazione missionaria dei sacerdoti “fidei donum” istituita da Pio XII nel 1957[318].
* I Religiosi: sono da considerare operatori privilegiati della missione in forza della professione pubblica dei consigli evangelici (cf AG 40; EN 69; LG 44; PC 20; CIC 783; RMi 69-70)[319].
* I laici: sono chiamati a dare un contributo specifico all'attività missionaria in forza di un diritto-dovere fondato sulla dignità battesimale (AG 35-36.41; AA 6.13; ChL 14; RMi 71-73); sono i primi evangelizzatori dei propri figli (CIC 226 § 2);[320]
* I missionari a vita: hanno un compito di fondamentale importanza, un dovere specifico di evangelizzare che nasce da una “vocazione speciale” costituita da queste caratteristiche: la totalità di impegno per il servizio dell'evangelizzazione, il mandato da parte della legittima autorità, una missione ad vitam e ad gentes. Secondo Redemptoris missio solo coloro che hanno questi requisiti possono essere chiamati in senso stretto “missionari”[321]. Questa precisazione si è resa necessaria, dice Redemptoris missio, perché a seguito di una giusta rivalutazione dell'impegno missionario di tutto il popolo di Dio, ne è scaturita una ingiusta riduzione di questa vocazione missionaria specifica che deve restare invece “il paradigma missionario della Chiesa” (RMi 66). I “missionari” risveglino dunque la grazia del loro carisma specifico e riprendano con coraggio il loro cammino visto che la loro vocazione speciale ad vitam e ad gentes conserva tutta la sua validità[322].
* Le Chiese particolari: devono aprirsi generosamente alle necessità delle altre Chiese sorelle, collaborando con un reciproco dare e ricevere; la loro missionarietà non deve limitarsi al solo impegno di rievangelizzazione, ma devono essere aperte alla missione vera e propria, cioè ad gentes.[323] Ogni Chiesa particolare deve essere coinvolta in un compito missionario globale, dentro e fuori dei suoi confini.[324]
* Gli Istituti missionari: con il proprio carisma speciale devono arricchire la missione della Chiesa fornendo energie nuove, creatività, esperienza; tuttora essi sono assolutamente necessari.[325]
* Gli Istituti di vita consacrata (sia di vita contemplativa che di vita attiva): in forza della loro stessa consacrazione sono tenuti all'obbligo di prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria, con lo stile proprio dell'Istituto.[326]
* Una menzione tutta particolare va data alla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli e alle Pontificie Opere Missionarie; vanno pure ricordate le Conferenze dei Superiori Maggiori (RMi 75-76).
2. NUOVI SOGGETTI DI COOPERAZIONE.
Oltre ai soggetti classici impegnati nella missione della Chiesa, sorgono oggi altre forme nuove molto utili per l'opera di cooperazione missionaria.
* Movimenti, Volontariato, Gruppi, Sodalizi: quando si inseriscono con umiltà nella vita delle chiese locali e sono accolti dai vescovi, possono essere un vero dono di Dio sia per la nuova evangelizzazione che per l'attività missionaria propriamente detta; Giovanni Paolo II raccomanda di diffondere e di avvalersi di questi organismi capaci di ridare vigore alla vita cristiana e all'evangelizzazione; ciò favorirà anche la crescita di un laicato maturo e responsabile.[327]
“I Vescovi italiani, riconoscendo nel volontariato una forma originale di missionarietà dei laici, raccomandano che la fedeltà ai valori evangelici qualifichi sempre lo stile di vita e di attività dei volontari”[328].
Questa grande fioritura di aggregazioni, ricche di fermenti di grazia e di doni, va tuttavia armonizzata per farla meglio convergere al bene della vita e della missione della Chiesa[329].
* Le comunità ecclesiali di base: sono viste come strumento di evangelizzazione e di primo annunzio e fonte di impegno di cooperazione missionaria (RMi 51).[330]
Cristo stesso costituisce la varietà di queste sue membra come suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola (cf. At 2,17-18; Ap 19,10) perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana familiare e sociale. E' una evangelizzazione fatta con la testimonianza della vita e con la parola.
3. VOCAZIONE MISSIONARIA DEI LAICI.
Tutta la moltitudine dei christifideles laici, uomini e donne[331], devono personalmente sentirsi chiamati e mandati perché abbiano a lavorare in questo mondo che deve essere trasformato secondo il disegno di Dio. Il mandato di evangelizzare tutte le genti, infatti, costituisce la missione essenziale della Chiesa.
“L'amore di Cristo e il mandato di lui sollecitano tutti i fedeli a dispensare agli altri i doni gratuitamente ricevuti. Perciò il compito di proclamare il Vangelo spetta a tutto il popolo di Dio, raccolto dallo Spirito Santo nella Chiesa mediante la parola di Dio e l'eucaristia, di modo che nessun vero cristiano sia esente da questo dovere”.[332] Oggi ai figli della Chiesa viene offerta una nuova opportunità di rinnovare l'intima ed efficace persuasione della propria partecipazione al compito di evangelizzare.
Di questa partecipazione dei laici alla missione essenziale della Chiesa, qual è appunto l'evangelizzazione, si è fatto interprete Giovanni Paolo II con la sua esortazione post-sinodale Christifideles laici scritta proprio alla scopo di “suscitare e alimentare una più precisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa”.[333]
Dice il Pontefice: la missione è un dono da accogliere e far fruttificare con profondo senso di responsabilità. E' un appello di Cristo stesso che invia a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio.
Poiché anche i laici sono Chiesa, essi pure sono personalmente chiamati dal Signore dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo: “Andate anche voi nella mia vigna” (Mt 20,3-4).
Nell'opera missionaria di annuncio e di testimonianza, i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e di amore.[334]
Questa loro missione e responsabilità nella Chiesa e nel mondo è attuata dai fedeli laici mediante la condivisione di quei ministeri e carismi che anch'essi hanno ricevuto in dono dallo Spirito per la comune edificazione.
I fedeli laici, proprio perché membri della Chiesa, hanno la vocazione e la missione di essere annunciatori del Vangelo.[335] Di fatto, proprio nell'evangelizzazione si concentra e si dispiega l'intera missione della Chiesa (cf. Mc 16,15). “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda”.[336] L'imperativo di Gesù “andate e predicate il Vangelo” (Mc 16,15) non può essere disatteso; esige un'obbedienza più pronta e generosa, in prima persona: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1 Cor 9,16); esige un atteggiamento di continua conversione missionaria e apostolica.[337]
L'annuncio del Vangelo da parte dei laici prevede due direzioni:
I vicini: coloro che tra noi ancora non credono o non vivono più la fede ricevuta con il battesimo. Solo una nuova evangelizzazione può assicurare, in questo nostro ambiente secolarizzato e indifferente, la ripresa e la crescita di una fede limpida e profonda, il ripristino di un tessuto che dia vita alle nostre comunità ecclesiali. Proprio i laici sono coinvolti in questo processo di nuova evangelizzazione. Ad essi tocca testimoniare come la fede cristiana costituisca l'unica risposta pienamente valida ai problemi e alle speranze che la vita pone a ogni uomo e a ogni società. Ad essi compete quell'impegno di una sistematica opera di catechesi destinata alla formazione di comunità ecclesiali mature (CT 66).
I lontani: coloro che ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. Ancora oggi sono molti i laici che, accogliendo l'invito di Cristo “andate in tutto il mondo a predicare il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15), lasciano il loro ambiente di vita, la loro patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione.
E' questo il compito più specificamente missionario della Chiesa. E proprio in questo dinamismo missionario di evangelizzazione la Chiesa di oggi deve dare una risposta più efficace, deve entrare in una nuova tappa storica. Si tratta dunque di pensare ai necessari evangelizzatori suscitando vocazioni specificamente missionarie, sia sacerdotali e religiose, sia laicali.
Alle soglie del terzo millennio, la Chiesa tutta deve rinnovare il proprio slancio missionario. Le è affidata una grande, impegnativa e magnifica impresa: quella di una nuova evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno.
I fedeli laici devono sentirsi parte viva e responsabile di quest'impresa, chiamati come sono ad annunciare e a vivere il Vangelo nel servizio ai valori e alle esigenze della persona e della società.[338]
Oltre a queste indicazioni offerte in Christifideles laici, Giovanni Paolo II ha recentemente indicato in Redemptoris missio altri spazi di servizio per i laici impegnati nella missione: “Accanto ai catechisti bisogna ricordare le altre forme di servizio alla vita della Chiesa e alla missione, e gli altri operatori: animatori della preghiera, del canto e della liturgia; capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle opere caritative; amministratori dei beni della Chiesa; dirigenti dei vari sodalizi apostolici; insegnanti di religione nelle scuole. Tutti i fedeli laici debbono dedicare alla Chiesa parte del loro tempo, vivendo con coerenza la propria fede” (RMi 74).
Andrebbero qui ricordati anche gli ausiliari laici, collaboratori provvidenziali in missione.[339]
Altro spazio per l'impegno missionario laicale è il servizio di cooperazione e di animazione missionaria all'interno della comunità ecclesiale. Di questo argomento già abbiamo parlato.
CAPITOLO IV
SUPERAMENTO DI DUBBI E
AMBIGUITA’
L'enciclica Redemptoris missio intende dare risposta ad almeno a due esigenze: una propositiva, e consiste nel ribadire la permanente validità del mandato missionario[340], la sua urgenza, con l'invito a tutta la Chiesa ad intraprendere un rinnovato impegno missionario in vista di un rinnovamento della fede e della vita cristiana (RMi 1.2); ed una che potremmo chiamare correttiva, intesa a “dissipare dubbi e ambiguità circa la missione ad gentes...rilanciare la missione in senso specifico...confermare nel loro impegno i benemeriti fratelli e sorelle dediti all'attività missionaria e tutti coloro che li aiutano” (RMi 2).
Questi dubbi e ambiguità, secondo il Pontefice, sarebbero stati originati da “alcuni cambiamenti moderni e dal diffondersi di nuove idee teologiche”[341] (RMi 4), quali: “è ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?” (RMi 4).
Esiste poi un altro rischio, ugualmente insidioso anche se nasce proprio all'interno delle nostre antiche Chiese: “impegnate per la nuova evangelizzazione, pensano che ormai la missione debbono svolgerla in casa e rischiano di frenare lo slancio verso il mondo non cristiano, concedendo a malincuore le vocazioni agli Istituti missionari...Ma è dando generosamente del nostro che riceveremo” (RMi 85).
Riflettiamo brevemente su queste problematiche offrendo le risposte positive che la stessa enciclica Redemptoris missio propone.
1. E' ancora attuale la missione tra i non
cristiani?
La missione tra i non cristiani, detta anche missione ad gentes, è l'attività missionaria in senso specifico della Chiesa (RMi 2.34); è il primo e principale servizio che la Chiesa deve rendere a ciascun uomo e all'intera umanità (RMi 2); è un'attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa (RMi 31); è questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida alla sua Chiesa[342]; e tale mandato non è qualcosa di contingente ed esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa tanto che essa “è missionaria per propria natura” (AG 2);”la Chiesa o è missionaria o non è più nemmeno evangelica”[343].”Ne deriva che tutta la Chiesa e ciascuna Chiesa è inviata alle genti” (RMi 62); lungi dall'essere pienamente attuata, la missione ad gentes è anzi “ancora agli inizi” (RMi 40);”senza la missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare” (RMi 34).
2. PUÒ IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO SOSTITUIRE LA MISSIONE?
Nel capitolo V dedicato a “Le vie della missione”, dopo aver evidenziato le vie maestre di tale missione[344], Redemptoris missio indica anche altre vie ausiliarie, quindi non dello stesso livello né tantomeno sostitutive, ma che tuttavia devono essere ugualmente percorse perché la missione possa più facilmente raggiungere il suo scopo. Esse sono: il dialogo ecumenico (RMi 50) e il dialogo inter-religioso (RMi 55).
2.1. Il dialogo
ecumenico.
La diffusione della fede e l'espansione della Chiesa negli ambienti e gruppi non cristiani trova grave pregiudizio nella divisione tra i cristiani (AG 6).”Il fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più incisiva” (RMi 50). La ricerca dell'unità è oggi urgente non solo per andare uniti ad annunciare il Vangelo ai non cristiani, ma anche per dare una risposta ecumenica alla confusione portata dall'avanzata delle sètte cristiane e paracristiane.[345]
2.2. Il dialogo con i
credenti di altre religioni.
“Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” (RMi 55); ha speciali legami con essa e ne è un'espressione se inteso come “metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco”. Dialogo e missione “mantengono il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili”; il dialogo infatti non dispensa dall'evangelizzazione.[346]
2.3. Forme di dialogo.
Esistono forme diverse di dialogo interreligioso.
2.3.1. Il dialogo della vita. Consiste nel vivere in pace e fraternità con chi ci sta accanto. I credenti delle diverse religioni testimoniano gli uni agli altri nell'esistenza quotidiana i propri valori umani e spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società più giusta e fraterna (RMi 57).
2.3.2. Il dialogo delle opere. Consiste nella collaborazione per obiettivi di carattere umanitario che tendono alla liberazione e alla promozione dell'uomo (cf NÆ 3; AG 11.12.15.21).
2.3.3. Il dialogo degli scambi teologici. Può essere quello dell'approfondimento, del confronto, dell'apprezzamento tra i rispettivi patrimoni religiosi (NÆ 1; EN 18-20.63).
2.3.4. Il dialogo dell'esperienza religiosa. Sta nella condivisione delle proprie esperienze religiose (preghiera, contemplazione, fede, impegno, ricerca dell'assoluto). In questo modo è offerta agli altri la possibilità di sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo.
Esistono dunque forme differenti di dialogo legate le une alle altre. Ben oltre il dialogo religioso, e quale preparazione ad esso, vanno pertanto praticate forme di dialogo nel campo della giustizia sociale, della promozione umana e della pace; oltre ovviamente al vasto ambito della cultura nel quale è possibile non solo superare tensioni e conflitti dovuti a incomprensioni inveterate, ma anche a salvaguardare e promuovere i rispettivi valori culturali spesso minacciati dalla modernità e dalla secolarizzazione.
2.4. Disposizioni per
il dialogo.
Oltre che ricercare i modi possibili per il dialogo, occorre possederne lo spirito che deve animarlo: attenzione, rispetto, accoglienza, spirito evangelico, disinteresse, imparzialità; volontà di impegnarsi insieme nella ricerca della verità e prontezza a lasciarsi trasformare dall'incontro. Va perseguito con pazienza, con equilibrio. Non si deve essere né troppo ingenui né ipercritici, bensì aperti e accoglienti. Si può dunque parlare di una “spiritualità del dialogo” che richiede discernimento interiore e riflessione teologica sul significato delle varie tradizioni religiose nel disegno di Dio e sull'esperienza di coloro che trovano in esse il loro alimento spirituale.[347]
Una tale spiritualità porterà i cristiani ad approfondire la loro fede, purificare i loro atteggiamenti, chiarire il loro linguaggio, rendere il loro culto sempre più autentico.
E' pertanto evidente che un tale dialogo “non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell’uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole”.[348]
Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti nello Spirito. E' lo Spirito che incoraggia tutte le istituzioni ed i movimenti religiosi ad incontrarsi, a collaborare, a purificarsi, al fine di promuovere la verità e la vita, la santità e la giustizia, l'amore e la pace, dimensioni di quel regno che Cristo, alla fine dei tempi, consegnerà al Padre suo (cf 1 Cor 15,24).
Il dialogo interreligioso è veramente parte del dialogo di salvezza iniziato da Dio; esso è una via verso il Regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e momenti sono riservati al Padre (cf At 1,7). Occorre perseverare in esso con fede e carità, anche là dove gli sforzi non trovano accoglienza e risposta (RMi 57).
Ciò non significa mettere in dubbio o rinunciare alle proprie convinzioni religiose; al contrario, esige che vi si entri con l'integrità della propria fede. I cristiani, rimanendo saldi nella loro fede che contiene la pienezza della rivelazione, professano Gesù Cristo quale unico mediatore fra Dio e l'uomo (1 Tm 2,4-6); non per questo possono dimenticare che Dio si è manifestato anche ai seguaci delle altre tradizioni religiose; devono perciò essere disposti a confrontarsi ed eventualmente a recepire i valori ivi presenti.[349]
“L'interlocutore deve essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose ed aperto a comprendere quelle dell’altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà, lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi” (RMi 56).
2.5. I frutti del dialogo.
Al di là di una semplice amicizia e comprensione, il dialogo interreligioso tende a questo:
* Permette alla Chiesa di condividere con gli altri i valori evangelici;
* Offrire una testimonianza mutua del proprio credo e una scoperta comune delle rispettive credenze religiose;
* Approfondire l'impegno religioso rispondendo all'appello personale di Dio;
* Produrre un profondo impegno di conversione a Dio; in questo processo può nascere la decisione di lasciare la propria religione per dirigersi verso un'altra.[350] Tutti infatti sono tenuti a ricercare la verità e ad abbracciarla e custodirla una volta conosciuta (DH 1).
* Ai cristiani permette di assimilare sempre più profondamente la verità che è Cristo; li spinge ad approfondire la propria identità e a testimoniare l'integrità della Rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti (RMi 56).
* Dispone ad imparare e a ricevere i valori positivi presenti nelle altre tradizioni religiose;
* Agli uni e agli altri permette di condividere con sincerità la propria fede, in uno spirito di reciprocità che mira ad eliminare la paura e l'aggressività;
* Agli uni e agli altri permette il superamento di pregiudizi inveterati, di idee preconcette;
* Permette di informare ed essere informati, di dare e ricevere spiegazioni, di porsi reciprocamente quesiti;
* Rende possibile a volte una purificazione della comprensione della propria fede, del proprio culto, del proprio linguaggio;
* Stimola a scoprire e a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell'azione dello Spirito;
* Permette di scoprire quanto Dio ha realizzato e realizza nel mondo e nell'umanità intera, anche al di là dei confini visibili della Chiesa e del gregge cristiano.
* Facilita l'unione tra gli uomini e l'unione degli uomini con Dio, che è fonte e rivelazione di tutta la verità.
* Frutto del dialogo può essere anche l'unione tra i seguaci delle varie religioni per la promozione e la difesa dei grandi progetti ed ideali comuni nei campi della libertà religiosa, della fraternità, della educazione, della cultura, della pace.
* Permette di scoprire i “germi del Verbo” (AG 11.18) che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità, i raggi della verità che illumina tutti gli uomini (NA 2).
* Permette la testimonianza reciproca per un comune progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi” (RMi 56).
* Tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguita con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa (RMi 56).
* Mediante il dialogo può essere conosciuta la verità da altre persone che sinceramente sono alla sua ricerca più profonda, sono alla ricerca dell'Assoluto, alla ricerca di Dio.
* Esso opera quindi perché i non cristiani vengano rettamente conosciuti e giustamente stimati dai cristiani e perché a loro volta i non cristiani possano adeguatamente conoscere e stimare la dottrina e la vita cristiana.
2.6. Ostacoli al
dialogo.
Gli ostacoli maggiori sono quelli derivanti dalla mancanza dello spirito del dialogo: autosufficienza, sospetto, intolleranza, polemica, integralismo.
Ostacola il dialogo una insufficiente o errata conoscenza del credo e delle pratiche delle altre religioni.
L'ostacolo maggiore resta tuttavia la mancata comprensione della vera natura del dialogo e del suo obiettivo.[351]
Malgrado le difficoltà, la Chiesa è convinta del valore positivo del dialogo; tale impegno resta fermo e irreversibile.
Occorre dunque studiare e prepararsi adeguatamente per il dialogo e per l'annuncio, due compiti assolutamente necessari per la missione della Chiesa.
2.7. Legame e
distinzione tra missione e dialogo.
In che cosa consiste tale legame e tale distinzione?
2.7.1. Legami tra dialogo e missione. Alla scuola del Concilio e del successivo Magistero si può dire che il dialogo ha proprie motivazioni, esigenze e dignità e non va certo confuso o ridotto a tattica o ad interesse. Il dialogo ha legami con la missione dal momento che esso può essere: “metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco” (RMi 55); permette di scoprire i “germi del Verbo” (AG 11.18; EN 53; RMi 28) che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose dell'umanità. “Esso opera quindi perché i non cristiani vengano rettamente conosciuti e giustamente stimati dai cristiani e perché a loro volta i non cristiani possano adeguatamente conoscere e stimare la dottrina e la vita cristiana”[352].
Prima ancora di ricercare i modi possibili per il dialogo, occorre possederne lo spirito che deve animarlo: attenzione, rispetto, accoglienza, spirito evangelico.
Un primo livello di dialogo sta nella collaborazione per obiettivi di carattere umanitario che tendono alla liberazione e alla promozione dell'uomo (cf NÆ 3; AG 11.12.15.21). Un secondo livello può essere quello dell'approfondimento, del confronto, dell'apprezzamento tra i rispettivi patrimoni religiosi (NÆ 1; EN 18-20.63). Un terzo e più profondo livello sta nella condivisione delle proprie esperienze religiose (preghiera, contemplazione, fede, impegno, ricerca dell'assoluto). In questo modo è offerta agli altri la possibilità di sperimentare in maniera esistenziale i valori del Vangelo.
Alla Chiesa dei nostri giorni è richiesto di fare tutto il possibile per promuovere questo dialogo, per essere aperta al mondo intero, per ascoltare ed offrire amicizia e servizio. Le è richiesto di praticare un dialogo di cortese rispetto, mansuetudine, fiducia, dal quale devono essere escluse tutte le rivalità e le polemiche, ma che scaturisca piuttosto dalla “spinta interiore della carità”[353]. Questo rispetto è duplice: rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della sua vita[354], e rispetto per l'azione dello Spirito nell'uomo. Un dialogo che scaturisce dalla fede e dalla carità, e viene condotto con amore umile nel rispetto della libertà religiosa dei singoli[355]. Frutto del dialogo è l'unione tra gli uomini e l'unione degli uomini con Dio, che è fonte e rivelazione di tutta la verità. Frutto del dialogo può essere anche l'unione tra i seguaci delle varie religioni per la promozione e la difesa dei grandi progetti ed ideali comuni nei campi della libertà religiosa, della fraternità, della educazione, della cultura. La Chiesa si fa “dialogo”.
2.7.2. Distinzione tra dialogo e missione. Facendosi “dialogo”, la Chiesa non deve cessare di essere “parola” dal momento che per sua propria natura è missionaria (AG 2), cioè inviata per la missione di annunciare a tutte le genti la buona notizia di Cristo e su Cristo (cf Mt 28,19; Mc 16,15-16; Lc 24,47; At 1,8).
“Il dialogo non dispensa dall'evangelizzazione” (RMi 55). Il riconoscimento dei valori presenti nelle tradizioni religiose non cristiane non diminuisce il dovere e la determinazione della Chiesa a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo che è “la via, la verità e la vita”. “Il dialogo deve essere condotto ed attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza” (RMi 55; UR 3; AG 7). Tutto questo fa eco e ribadisce il genuino pensiero del Vaticano II che, pur affermando il rapporto di stima tra Chiesa e non cristiani, aveva però concluso: “la Chiesa promuove con ogni cura le missioni” (LG 16);”l'attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità” (AG 7).
3. LA PROMOZIONE UMANA
PUÒ ESSERE UN OBIETTIVO SUFFICIENTE DELLA MISSIONE?
Redemptoris missio ritorna a più riprese su questo tema: quando parla della Chiesa che serve il Regno fondando comunità e istituendo Chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona ed alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane (RMi 20); poi quando afferma che “Tutte le forme dell'attività missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo” (RMi 39); infine quando, tra le “vie della missione”, colloca la promozione dello sviluppo educando le coscienze (RMi 58-59).
Anche sul rapporto evangelizzazione e promozione umana Redemptoris missio porta la sua chiarificazione: la stretta connessione non deve far perdere di vista “la priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza escatologica” (RMi 20). Citando Puebla[356], Giovanni Paolo II ribadisce che “il miglior servizio al fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente” (RMi 58). Solo un'evangelizzazione più profonda garantirà un autentico sviluppo umano.
Se da un lato “la Chiesa rifiuta di sostituire l'annuncio del Regno con la proclamazione delle liberazioni umane” (EN 34) e, pur collegandole, “non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo” (EN 35), afferma però che il vangelo è un autentico messaggio di liberazione, e che l' evangelizzazione è legata in maniera profonda e molteplice all'opera di promozione umana: “Tra evangelizzazione e promozione umana ci sono infatti dei legami profondi” (EN 31).
Questa è stata anche la sollecitudine del Vaticano II. Secondo Gaudium et spes 39 “si deve distinguere accuratamente il processo terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo”. E citando le parole di Pio XI, la stessa Costituzione afferma: “non va mai perduto di vista che l'obiettivo della Chiesa è evangelizzare e non civilizzare. Se essa civilizza lo fa per mezzo dell'evangelizzazione” (GS 58, nota 7). Deve essere dunque chiaro il rapporto di distinzione, non di contrapposizione, e di integrazione ma anche di subordinazione della promozione umana rispetto all'evangelizzazione del mistero di Cristo[357]. Il servizio e la promozione dell'uomo restano “vie” o metodi di evangelizzazione nella convinzione che il Vangelo è un autentico messaggio di liberazione[358]. La verità che la Chiesa deve annunziare all'uomo del nostro tempo è anzitutto una verità sull'uomo stesso: una verità che non si riduce a semplici principi filosofici o a una pura attività politica[359].
La Chiesa considera questa sua sollecitudine per l'uomo come un elemento essenziale della sua missione, indissolubilmente congiunto con essa[360]. Col Sinodo 1985 si può dire: “Questa dualità non è un dualisno. Bisogna quindi mettere da parte e superare le false ed inutili opposizioni...tra la missione spirituale e la diaconìa per il mondo”[361].
Occorre pertanto superare una falsa concezione che vorrebbe dissociare annuncio del Vangelo e promozione umana; ma occorre liberarsi anche da un'altra falsa concezione che vorrebbe quasi ridurre od esaurire l' evangelizzazione alla sola promozione umana. Se ciò accadesse, si falserebbe il significato profondo dell' evangelizzazione che è anzitutto annuncio della buona novella di Gesù Cristo Salvatore e si chiuderebbero per l'uomo gli spazi infiniti che Dio gli ha aperto. La Chiesa missionaria non può accontentarsi di instaurare un mondo più umano; deve piuttosto renderlo più divino, più secondo Dio, dove il criterio evangelico ispira il progresso morale, religioso e sociale dell'uomo. Se si vuol instaurare un proficuo contesto di evangelizzazione ci si dovrà guardare da ingerenze fuorvianti che possono derivare da interessi ideologici o politici, da visioni dettate da una rigida antropologia, da criteri estranei al Vangelo, che finirebbero per disturbare la chiarezza del mandato missionario e quindi la stessa priorità dell'annuncio del Vangelo.
4. IL RISPETTO DELLA
COSCIENZA E DELLA LIBERTÀ NON ESCLUDE OGNI PROPOSTA DI CONVERSIONE?
Anche su questa questione Redemptoris missio denuncia dubbi e ambiguità di coloro che vorrebbero scindere l'annuncio dalla conversione e dal battesimo (per paura di fare atto di proselitismo), o l'atteggiamento di coloro che non giudicano necessario il battesimo ritenendo che possano salvarsi ugualmente nella loro religione (RMi 46-47).
Secondo la tradizione missionaria della Chiesa, l'annunzio dell'Evangelo mira alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante una fede totale e radicale. A sua volta la conversione e la fede, per completare la loro corsa, devono essere sigillate mediante l'azione liturgico-sacramentale dei sacramenti di iniziazione dei quali il Battesimo è la porta e l'Eucaristia il culmine: sulla parola del Signore che ha inviato i suoi missionari a fare discepole tutte le genti mediante l'annunzio, il battesimo, l'osservanza delle sue parole (Cf Mt 28,19; Mc 1,4; At 2,37-38; At 3,19; AG 5). Ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo, Cristo stesso non ha fatto che confermare simultaneamente la necessità della Chiesa (AG 7).
Tra evangelizzazione, conversione, fede, esiste pertanto un legame profondo tessuto dall'azione dello Spirito Santo. E' lo Spirito infatti che apre la porta dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e confessarlo (cf 1 Cor 12,3; At 16,14; RMi 46; AG 13). Va quindi evitata ogni forma di “proselitismo” e di costrizione: “la Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo che rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni dalla fede stessa sia distolto” (AG 13)[362].
Dal canto suo Redemptoris missio afferma: “D'altra parte, la Chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della sua libertà: la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la favorisce. La Chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza” (RMi 39).
Non corrisponde dunque al sentire cum Ecclesia l'atteggiamento di coloro che si limitano all'annuncio senza invitare anche alla fede-conversione e quindi all'inserimento pieno nella comunità ecclesiale mediante la porta del Battesimo (AG 7).
5. NON CI SI PUÒ
SALVARE IN QUALSIASI RELIGIONE?
Questa espressione, come pure “una religione vale l'altra” (RMi 35) sono dovute, secondo Giovanni Paolo II, a visioni teologiche non corrette e improntate ad un relativismo religioso. Anche su questo argomento Redemptoris missio richiama la dottrina sicura del Vaticano II (soprattutto Lumen gentium 16, Gaudium et spes 22; Ad gentes 7) e afferma: “Il fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto l'appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli” (RMi 55).
I mezzi ordinari sono la Chiesa ed i sacramenti della Chiesa che solo essa possiede in pienezza (UR 3; AG 7). La volontà di Dio è “che tutti siano salvati” (1 Tim 2,4-6); ma questa salvezza “non esiste in nessun altro” se non in Gesù Cristo (At 4,12). Per ottenere questa salvezza Cristo ha espressamente ribadito la necessità della fede e del battesimo (Mc 16,16; Gv 3,5) ed ha costituito la sua Chiesa quale “universale sacramento di salvezza” (LG 48. 1.9.; AG 1).
5.1. Il Vaticano II e
le religioni non cristiane.
Nei progetti preparatori del Concilio non era previsto il tema delle religioni non cristiane; questo finì per emergere, a partire dalla terza sessione, a seguito della trattazione di temi analoghi [ecumenismo, missioni, ecc]:
* Pentecoste del 1964: Paolo VI istituisce il Segretariato per i non cristiani;
* 28 ottobre 1965: viene promulgata la Dichiarazione “Nostra aetate” sul “rapporto della Chiesa cattolica verso le religioni non cristiane”;
* anche LG, AG, DH, parlano esplicitamente di questo argomento [DV, SC, GS, OT, CD, AA: solo implicitamente];
* Paolo VI ripetutamente in questo periodo affronta il tema del “dialogo” con le religioni non cristiane [viaggio in India, canonizzazione dei martiri ugandesi, Ecclesiam suam].
5.2. Un cambiamento di
prospettiva.
Gli studi antropologici e la scienza delle religioni intensificatisi già nella metà del XIX secolo, hanno portato progressivamente ad una visione serena e ottimistica delle religioni non cristiane, tanto che in esse il Vaticano II ha potuto vedere elementi positivi, valori spirituali e religiosi, un'azione universale e soprannaturale di Dio; in esse sono presenti: “elementi di verità e di grazia” (AG 9), “cose vere e sante” (NA 2), i “semina Verbi” (AG 11).
E' cambiato il modo:
a. di vederli davanti a Dio (per cui si va non contra gentes, ma ad gentes);
b. di amarli nello spirito del Vangelo (in quanto anch'essi, almeno in potenza, sono membra di Cristo).
Colui che li ha creati, può raggiungerli attraverso l'evangelizzazione; ma, quando questa ancora non fosse possibile non per loro colpa, anche a loro insaputa Cristo può raggiungerli nel segreto del loro cuore proprio mediante i valori presenti nella loro religione.
E' cambiato anche il modo di studiare tali religioni; è sorta quella che si suol chiamare “teologia delle religioni”[363]. Il “metodo” di questa teologia è un metodo che possiamo chiamare “a priori”: partendo dalla prospettiva cristiana si dà un giudizio sul valore delle religioni. Serve a capire e a farsi capire: è il presupposto per un autentico dialogo.
5.3. Dal Vaticano I al
Vaticano II.
Già il Vaticano I aveva affermato che l'uomo ha la capacità di “conoscere Dio principio e fine di tutte le cose con certezza, grazie al lume naturale della ragione umana, partendo dalle cose create” [DS 3005].
Il Vaticano II ha fatto un passo avanti e si è posto in una prospettiva “personalistica”: prima ancora che i sistemi religiosi, dinanzi alla Chiesa stanno le persone, e queste sono figli di Dio, seguiti personalmente dalla Provvidenza del Padre celeste[364].
5.4. La salvezza dei
non cristiani.
a. Lumen gentium 16:
Il disegno salvifico di Dio non si esaurisce nell'economia ebraico-cristiana, ma abbraccia tutti quelli che riconoscono Dio creatore: in primo luogo gli Ebrei, poi i Musulmani, infine “coloro che cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini” [si tiene conto del pensiero paolino espresso in Rom 2,14.15.26: anche l'incirconciso che per natura segue la Legge, è salvato dalla legge perché diventa legge a se stesso].
“Quanti senza loro colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e coll'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna”[365]. La Provvidenza divina non nega gli aiuti necessari a coloro che si sforzano di raggiungere la vita retta.
b. Gaudium et spes 22:
In ogni uomo di buona volontà lavora invisibilmente la grazia; Cristo è morto per tutti; “lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale”[366].
c. Ad gentes 7:
Richiama i testi di LG 16 e GS 22, ma ribadisce in maniera forte le ragioni e le necessità dell’attività missionaria quale suo compito imprescindibile che - oggi come sempre - conserva la sua validità e necessità. AG 8 sottolinea questo dovere missionario anche per il fatto che l’uomo con le sole sue forze non è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza.
5.5. Le vie della
salvezza.
Se la grazia divina, dunque, opera anche al di là dei confini della Chiesa visibile, quali vie e quali mezzi segue l'azione salvatrice di Cristo per raggiungere coloro che sono privi della fede cristiana o non ne hanno ancora conoscenza?
5.5.1. Restano certe queste vie:
* Cristo: ogni dono di salvezza viene da Dio, mediante Cristo, nello Spirito;
* la Chiesa: è “universale sacramento di salvezza” (LG 48 [1.9]; GS 42.45; AG 1);
* la fede: è necessaria la fede soprannaturale ed il battesimo (AG 7).
5.5.2. Come può nascere e sussistere una tale fede in persone che ignorano Cristo o non aderiscono alla Chiesa visibile?
* la via esterna [le cose create]: Dio offre una “perenne testimonianza di sé” attraverso le cose create (Rom 1,19-20 citato in DV 3; GS 9);
* la via interna [la coscienza]: GS 36; (l'uomo è tenuto a seguire fedelmente la propria coscienza: DH 3).
* la “perseveranza nella pratica del bene” (Rom 2,6-7 citato in DV 3): è una valida preparazione al Vangelo [AG 3] e procura da Dio la vita eterna (DV 3);
* l'azione universale dello Spirito di Dio nel mondo [AG 4; GS 11;26] e l'azione del Verbo che “illumina ogni uomo” [Gv 1,9; DV 4; NA 2; AG 11][367].
5.5.3. Qual è la natura della grazia accordata ai non cristiani?
* non è la stessa accordata ai credenti in Cristo[368];
* non va confusa la storia “universale” della salvezza con la storia “particolare” o speciale accordata da Dio in Cristo nella pienezza del tempo (AG 17).
5.6. Valore soteriologico
delle religioni non cristiane.
Il Concilio, come già detto, riconosce anche in mezzo alle genti che seguono altre religioni non cristiane elementi di verità e di grazia (AG 9), i semi del Verbo (AG 11.18; EN 53). Ha pure elencato i valori specifici delle grandi religioni monoteiste [NA 2-4].
Tuttavia:
* ha ricordato che non tutto in esse è positivo [LG 16; 17; AG 9; GS 11], quasi a voler fugare l'equivoco che esse siano considerate “vie ordinarie” della salvezza;
* ha ribadito la validità e necessità delle missioni [LG 16; AG 7] e dell'evangelizzazione [NA 2]
* ha ricordato che l'unica e vera religione sussiste soltanto nella Chiesa cattolica [LG 8; DH 1];
* ha ben distinto tra “elementi-semi-germi” [quindi incompletezza] presenti nelle religioni non cristiane, e la “pienezza della verità e della grazia” offerti da Cristo nella sua Chiesa [NA 2; OT 16];
* non si è pronunciato sulla presenza di “rivelazione” nelle religioni non cristiane, né se rimarranno fino alla fine del mondo, né sui loro fondatori.
* dal canto suo Redemptoris missio ribadisce che “la salvezza viene da Cristo” e che “la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza” (RMi 55); da qui il dovere e la determinazione per la Chiesa a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo che la via, la verità e la vita (RM 55)..
5.7. Cristianesimo e religioni non cristiane.
5.7.1. la distanza:
* Ciò che nelle religioni non cristiane si trova in modo latente, germinale, oscuro, iniziale, imperfetto, non evoluto...nella Chiesa cattolica invece sussiste in forma piena, sviluppata e completa: “solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza” (RMi 55);
* ancora una volta non vanno confusi i “non cristiani” [le persone] presso cui esistono “elementi di vero e di bene” [LG 16; AG 9] ed i cui atti religiosi “talvolta (aliquando) possono essere considerati quale pedagogia verso Dio o preparazione evangelica” [AG 3], con le “religioni non cristiane”.
5.7.2. la vicinanza:
* un giorno tutte le genti saranno riunite presso il Padre nella Chiesa universale [GS 2; cf NA 2] e tutti i popoli adoreranno l'unico Dio [NA 4 che cita Sofonia 3,9].
* per il momento la Chiesa deve agnoscere, servare, promovère i valori spirituali e morali presenti nelle religioni non cristiane, senza per questo pregiudicare la necessità dell'evangelizzazione;
5.8. Religioni,
missione e dialogo.
“Alla luce dell'economia di salvezza, la Chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del Cristo e il dialogo inter-religioso; sente però la necessità di comporli nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati equivalenti come se fossero intercambiabili” (RMi 55).
Il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, in quanto metodo e mezzo per una conoscenza e un arricchimento reciproco.
Pertanto, tra missione e dialogo occorre individuare sia i rapporti di intimo legame, come pure quelli di distinzione.
Il dialogo è visto come:
* reciproca conoscenza, rispetto e comprensione;
* collaborazione per i grandi ideali di giustizia, di pace, di libertà [OT 12;41; GS 92; AA 27];
* stimolo all'unità dei cristiani [GS 92; UR 12; AG 29]
* aiuto a riconoscere, conservare e far progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano nei non cristiani (NA 2); permette di illuminare alla luce del Vangelo le ricchezze che nella sua munificenza Dio ha dato ai popoli (AG 11);
* permette di esporre agli altri la verità che si è scoperta (DH 3).
L'impegno nel dialogo con le religioni non cristiane non può tuttavia distogliere la Chiesa dalla propria coscienza missionaria [LG 16; AG 7; NA 2]: “il dialogo non dispensa dall'evangelizzazione” (RMi 55).
5.9. Cenni storici.
a. L'AT segue una linea prevalente di ostilità e un giudizio negativo verso le religioni dei non ebrei.
b. Il NT pone al centro la fede in Cristo e la sua azione-missione universale; la sua apertura verso i pagani e la loro “fede”; l'universalismo della storia della salvezza [in specie i cc 9-11 della Lettera ai Romani].
c. I padri della Chiesa. A parte certe polemiche sia verso i pagani che verso i giudei, sono presenti alcune teorie sui “semi del Verbo” (spèrmata tu Logu) come in Giustino[369] e Clemente alessandrino. Anche Agostino ha ammirazione per alcuni valori presenti nel paganesimo: “Non c'è dubbio che anche i pagani hanno i loro profeti”.
In epoca moderna il problema è stato posto dall'illuminismo [esiste una religione naturale universale frutto della ragione], dall'idealismo romantico [il cristianesimo come pienezza dello spirito razionale], dal positivismo (=Scuola delle Religioni, tedesca) [tende ad una religione universale-naturale, frutto del prodotto sincretistico di varie religioni positive esistenti sulla terra], dalla teologia protestante liberale [il cristianesimo come religione universale sincretistica: tutte le religioni sono buone e si equivalgono].
A queste posizioni reagisce la teologia dialettica di Barth [contrappone la “superbia” demoniaca presente nelle religioni, alla “grazia” della rivelazione cristiana; il cristianesimo è una fede dove è presente l'atto sovrano della grazia di Dio che salva, non una religione (intesa in senso sociologico come tentativo umano di autosalvazione; la mente umana non può conoscere Dio con le proprie forze, ma lo conosce solo quando Lui si rivela); questa posizione è chiamata fideismo].
5.10. Le tendenze
nella teologia cattolica.
L'atteggiamento dei primi missionari verso le religioni fu di tipo apologetico [solo nel Cristianesimo c'è una religione soprannaturale e salvifica, tutte le altre sono naturali e sotto il dominio del demonio].
Già nei primi decenni di questo secolo c'erano stati dei tentativi di soluzione circa il valore delle religioni non cristiane [Monsabré e Hugon: distinguevano tra appartenenza all' “anima” e al “corpo” della Chiesa; negli anni 30-40 si fa strada l'interpretazione di Ebrei 11,6, già seguita da s. Tommaso: senza la fede è impossibile essergli graditi...egli ricompensa coloro che lo cercano].
Recentemente sono emerse altre due linee:
a. la “linea Danielou”: suo scopo non sono le religioni, ma un ripensamento della missione della Chiesa. Dinanzi alle religioni la missione della Chiesa ha lo scopo di portare completezza e compimento in ciò che ancora è incompleto e iniziale; le pierres d'attente vanno edificate sulla pietra angolare che è Cristo; la missione deve portare alle religioni la coscienza che solo in Cristo sta la pienezza della verità e della salvezza. Il giudizio sulle religioni non cristiane: si parla di un sacramentalismo universale, di una presenza anche personale di Dio in esse; il loro valore salvifico: sono nella debolezza del peccato originale che le chiude nella loro autosufficienza; si parla dei valori nelle religioni non cristiane piuttosto che dei valori delle religioni non cristiane; non si può parlare di vie ordinarie di salvezza; sono una semplice “praeparatio evangelica”: si ha qui una visione “ecclesiocentrica”.
b. la “linea Rahner”: affronta direttamente il problema delle religioni [problema antropologico: le religioni, espressioni sociali della volontà salvifica universale di Dio] e indirettamente quello “missionario”.
Riassumendo le sue posizioni si può dire:
* salvezza e grazia investono tutta la storia e tutto l'uomo: la storia della salvezza è unica e si attua dentro la storia dell'uomo; esiste una storia universale di salvezza [espressione della volontà universale salvifica di Dio: 1 Tm 2,4; Eb 11,6] e una storia particolare di salvezza [momento cosciente che decifra tale volontà salvifica: At 4,12].
* il cristianesimo è la tappa esplicita finale di un cammino religioso; le religioni hanno anch'esse elementi positivi e sono una graduale approssimazione alla perfezione in pienezza e assolutezza che si trova nel cristianesimo;
* e le missioni? Più che alla conversione-salvezza personale mirerebbero all'incarnazione della Chiesa come strumento storico-visibile della grazia;
* nel 1964 a Bombay, H. Kung radicalizza questa teoria di Rahner e dice: le religioni sono vie “ordinarie” di salvezza [in senso sociologico, cioè comune e in maggioranza], mentre il cristianesimo sarebbe una via “straordinaria”: linguaggio assolutamente equivoco.
Il Vaticano II sembra aver dato maggiore spazio alla linea Danielou (soprattutto in LG e AG: riconoscere i valori, ma anche le ambiguità delle religioni; anche la linea Rahner sembra essere presente in GS e NA).[370]
5.11. Extra Ecclesiam nulla salus.
Questo assioma si trova per la prima volta in Origene[371] e in s. Cipriano[372] ed è stato interpretato in modi diversi; s. Agostino, ad esempio, lo amplierà includendovi anche i sacramenti: questi non danno salvezza agli eretici perché sono efficaci solo dentro la unitas ecclesiale; in un discepolo di Agostino, s. Fulgenzio di Ruspe [+533], si interpreterà come segno di comunione con Roma e con il papa [il corpo istituzionalizzato dei cristiani]; il Concilio di Firenze [1439-1445] dirà che muoiono nella dannazione eterna tutti coloro che non muoiono in seno alla Chiesa cattolica.
Vi sono state però anche interpretazioni più aperte che si rifanno a s. Ambrogio e al votum baptismi; anche il concilio di Trento, Bellarmino, e da Pio IX in poi dottrina comune nella Chiesa, si dirà che: coloro che senza colpa ignorano l'Evangelo e conforme alla propria coscienza adempiono la volontà di Dio con l'aiuto della sua grazia, possono ottenere la vita eterna [DS 2866]; questa dottrina è ripresa da LG 14-16. Questa riflessione si rifà alla scrittura: 1 Tm 2,4 “Dio vuole che tutti siano salvati” e quindi che in qualche modo entrino nell'azione salvifica compiuta da Cristo. La Chiesa quale segno-strumento di salvezza rientra in questa volontà. Vanno evitati due estremi: il rigorismo e l'indifferentismo.
L'assioma, dunque, non vuol dire tanto “chi è nella salvezza” [stato soggettivo del singolo], ma “chi ha il mandato di esercitare la salvezza” [mezzo oggettivo della salvezza]; non è un messaggio di paura per chi è fuori, ma un annuncio di gioia per chi è dentro l'arca di salvezza. La Chiesa, senza nulla sottrarre alla sua missione, sa di essere così il germe e l'inizio del Regno, il sacramento universale della salvezza [res et sacramentum, significa e attua].
Il Concilio ha affrontato il problema della salvezza dei non cristiani ricorrendo alla dottrina patristica della praeparatio evangelica (LG 16; AG 2.6.11); non è necessario ricorrere ad una ipertensione del concetto di Chiesa o di una Chiesa esistente tra i pagani i quali apparterrebbero alla sua anima [più che al suo corpo]; il Concilio ha invece agito sul concetto di “mondo”: non è una entità neutrale, ma è ordinato oggettivamente a Cristo: Non si dice “come”. Ad gentes avvia una soluzione: lo Spirito era all'opera già prima di Cristo, precedeva l'opera apostolica (AG 4); la missione consiste nello scoprire con gioia questa nascosta presenza di Dio (AG 9).
La Chiesa missionaria deve fare un duplice movimento: uscire da se stessa per andare alle genti e recare loro nello Spirito il lieto messaggio di Cristo; accogliere in se stessa il movimento degli spermata pneumatika che desiderano confluire nella pienezza del popolo di Dio [le ricchezze dei popoli di AG 11.15].
Tutto quanto c'è di buono fuori della Chiesa, non deve essere perduto, ma elevato, accolto, integrato [AG 9].
Senza illusioni: resta lo scandalo della croce, la stoltezza della predicazione, la profezia del martirio; il “tutto in tutti” è speranza escatologica, non utopia storica: non si ottiene né con un'azione integralista di ecclesializzione del mondo, né con un'azione secolarista di mondanizzazione della Chiesa. Alla Chiesa si richiede di essere e di restare ciò che è: sacramento-segno universale di salvezza che dice apertura ad una più grande speranza e realtà.[373]
CONCLUSIONE.
Ci siamo occupati dell'attività missionaria della Chiesa in senso specifico, cioè la missio ad gentes; abbiamo visto che tale attività si esplica essenzialmente in due direttrici: l'evangelizzazione e la «plantatio ecclesiae». Per ciascuna di queste due fasi, peraltro strettamente collegate e inseparabili, corrispodono determinati momenti e attività specifiche quali il primo annuncio o kerygma, il catecumenato e l'attività catechistica che culminano con la celebrazione liturgica dei sacramenti di iniziazione.
L'opera della «plantatio ecclesiae», a sua volta, richiede una rinnovata azione missionaria che comporta una pastorale e una liturgia inculturate, la costituzione di un clero indigeno, la promozione dei vari ministeri necessari per l' evangelizzazione, la formazione di un laicato impegnato nell' evangelizzazione.
Queste comunità cristiane potranno dirsi completamente mature quando riusciranno ad essere normalmente funzionanti nell'ambiente locale e diventeranno a loro volta missionarie partecipando alla missione universale della Chiesa (RMi 48-49).
A questo punto emerge una questione di non poco conto: sono ancora necessarie le missioni e l'attività missionaria?
Sia durante il Concilio, sia immediatamente dopo, non sono mancate voci critiche circa la necessità dell'attività missionaria[374]. Il decreto Ad gentes dice in proposito: «è compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme suo sacrosanto diritto diffondere il Vangelo, sicché l'attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità» (AG 7); e Giovanni Paolo II ha dovuto ribadire questa necessità con un'apposita enciclica, la Redemptoris missio.
Si tratta dunque di riproporre senza esitazioni l'importanza e l'urgenza di una missione condotta «col fervore dei santi» (EN 80). Infatti la mancanza di fervore è un grosso ostacolo all'evangelizzazione perché sta a significare che manca dentro il fervore dello spirito (cf Rom 12,11) e si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e soprattutto nella mancanza di gioia e di speranza.
Con Paolo VI occorre ripetere che vanno rimossi certi alibi falsi ed insidiosi che pretendono addirittura di ispirarsi al Concilio[375]. Eccone alcuni:
- imporre una verità, sia pure quella del Vangelo, è una violenza alla libertà religiosa;
- perché annunciare il Vangelo dal momento che tutti sono salvati dalla rettitudine del cuore?
- se il mondo e la storia sono pieni dei «germi del Verbo», non è una illusione pretendere di portare il Vangelo là dove esso già si trova nei semi, che il Signore stesso vi ha sparsi?[376]
Un rinnovato ardore e fervore nell'evangelizzazione - dice Paolo VI - ci porta ad approfondire questo pensiero: “gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremmo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna - ciò che s. Paolo chiamava ««arrossire del Vangelo»» (Rom 1,16) - o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del Vangelo, vuol far germinare la semente; dipenderà da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto. Conserviamo dunque il fervore dello spirito” (EN 80).
Nessuna considerazione può far affievolire nella Chiesa l'impulso missionario o far diminuire la necessità o l'urgenza dell'annuncio evangelico: “La Chiesa mantiene vivo il suo slancio missionario e vuole altresì intensificarlo nel nostro momento storico” contro “quelli che pensano e anche dicono che l'ardore e lo slancio apostolico si sono esauriti e che l'epoca delle missioni è tramontata” (EN 53, AG 7).
Si può dunque ben dire che la validità e necessità dell'evangelizzazione dipendono dalla coscienza che la Chiesa ha di se stessa, cioè di una Chiesa che sa di essere “per sua propria natura missionaria” (AG 2) e se si avranno evangelizzatori che siano animati da un profondo slancio interiore, la cui vita irradi fervore e accettino di metterla in gioco affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo. Oggi si richiede una evangelizzazione che abbia l'ardore della Pentecoste.
La pace che il Vivente ci dona non è un privilegio, è un compito: la Chiesa non esiste in questo mondo per se stessa; esiste per gli altri, per la gloria di Dio e la salvezza del mondo. Apertura universale e compito missionario sono per essa non qualcosa di aggiunto o di secondario, ma di originario e costitutivo. La missione e l'evangelizzazione sono infatti una vocazione connaturale per la Chiesa che «per sua natura è missionaria» (AG 2). Ecco allora che più la Chiesa riflette su se stessa e più si scopre missionaria; una missionarietà che supera riduzioni ed efficientismi e si fonda sulla potenza della Parola e il dinamismo dello Spirito; una missionarietà che spinge ad andare là dove è l'uomo per salvarlo con i mezzi della grazia e dell'amore. Missione è avere coraggio di amare senza riserve. La Chiesa e i cristiani devono vivere di continuo questa dimensione missionaria che li spinge a non essere lontani da nessuno e ad essere particolarmente debitori di verità, di carità e di solidarietà a chiunque ha bisogno di verità e di amore. In una parola: occorre oggi «un soprassalto di missionarietà»[377] che impedisca alle nostre Chiese di ripiegarsi su se stesse o, peggio, sulle loro piccole contese, ed essere piuttosto missionarie là dove vivono e dove vive la gente. La Chiesa missionaria non ha scelte che tra l'arditezza e l'abdicazione. Se ascoltasse troppo le voci del buon senso, non solamente si condannerebbe all'immobilismo, ma si confesserebbe umana. Infedele alla sua missione, essa commetterebbe in più il peccato contro lo Spirito.[378]
Con Giovanni Paolo II si può ripetere: «La Chiesa o è missionaria o non è più nemmeno evangelica»[379].
Abbiamo parlato di «attività missionaria», di progetti, di finalità, di mezzi, di soggetti...Tutte queste realtà pur necessarie non devono però far dimenticare che la missione è di Dio[380] ed è frutto dell'amore trinitario che ha il suo apice di realizzazione e di manifestazione nel mistero pasquale di Cristo e nel dono pentecostale dello Spirito. Pertanto non è principalmente la quantità del lavoro che fa crescere la Chiesa, ma la qualità: una Chiesa non la si organizza, ma si genera con la fecondità dei carismi. E, fra tutti i carismi, quello della santità è il più fecondo. Al vigore del linguaggio, alla forza degli argomenti, alle efficienze delle strutture, la sensibilità dell'uomo contemporaneo può anche opporre resistenza: ma si arrende facilmente davanti ai segni della santità.[381]
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[1] Cf Optatam totius, Proemio; si veda anche SACRA CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE
CATTOLICA, Documento Tra i molteplici
segni, su La formazione teologica dei futuri sacerdoti, n.102-106,
22.02.1976: Tipografia Poliglotta Vaticana 1976, pp.52; «Con particolare
impegno si dovrà impartire l'insegnamento della teologia pastorale, sia come
dimensione di tutte le discipline teologiche, sia come scienza che interpreta e
stimola le genuine istanze del ministero pastorale e ne orienta l'adempimento
nelle circostanze attuali secondo le esigenze della fede, alla luce della
rivelazione.
Sua posizione
nell'ambito della teologia: a) interpella e stimola la teologia (specialmente
la teologia morale), ponendole dei problemi che non può e non pretende di
risolvere in modo autonomo e semplicemente empirico, perché su di essi bisogna
proiettare la luce della fede; b) studia le applicazioni pratiche delle
soluzioni teologiche tenendo conto delle situazioni concrete e rispettando la
pluralità delle scelte possibili, quando si tratta di materie opinabili.
Suo valore pratico:
l'insegnamento teologico-pastorale risulta veramente formativo e pone le basi
per un'azione bene impostata, che evita le timidezze e le frustrazioni, da una
parte, e, dall'altra, certe iniziative imprudenti e temerarie, di cui una sana
teologia fa vedere i difetti.»; [cf SC 14 per la formazione liturgica: non si
può sperare un incremento e una riforma della liturgia “se gli stessi pastori
d’anime non siano penetrati, loro per primi, dello spirito e della forza della
Liturgia, e ne diventino maestri...”].
[2] SACRA CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Lettera
circolare agli Ordinari dei luoghi di missione e ai Superiori degli Istituti
missionari Nello studio di rinnovamento
sul significato e valore della vocazione missionaria e sulla speciale
formazione dei futuri missionari, 17 maggio 1970:BiM 34 (1970) 190-196;
per la formazione dei missionari laici cf. SACRÉE CONGREGATION
POUR L'EVANGELISATION, Lettre circulaire aux Ordinaires des lieux Notre temps sur l'action missionnaire
des laïcs, 17 maii 1970:BiM 34 (1970) 197-212; Per la formazione dei seminaristi si veda: SACRÉE CONGREGATION POUR
L'ÉVANGELIZATION, Lettre circulaire aux Présidentes des Conférences Episcopales
Puisque la Ratio sur la Formation
missiologique des futures prêtres, 17 mai 1970:BiM 34 (1970) 217-219;
[3] Sulla formazione del missionario si può vedere: AA.VV., La formazione del missionario oggi,
Urbaniana University Press - Paideia, Roma-Brescia 1978; NUNNENMACHER E., Figura e formazione del missionario in
prospettiva postconciliare, in AA.VV., Chiesa
e missione, Urbaniana University Press, Roma 1990, 269-303; PAVESE F., Cooperazione, animazione e formazione
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Missione. Commento alla “Redemptoris missio”, Urbaniana University Press,
Roma 1992, 365-380; SARAIVA MARTINS J., Ruolo
missionario e formazione apostolica dei laici, Euntes Docete 40 (1987) 643-663; CHIOCCHETTA P., La formazione allo spirito missionario,
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e missione, Urbaniana University Press, Roma 1990, 199-225.
[4] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, circa la formazione dei sacerdoti nelle
circostanze attuali [25.03.1992]: AAS 84 (1992) 657-804.
[5] «La carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico
capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali [...] è
strumento indispensabile per portare gli uomini alla vita della grazia»
[CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio
per il ministero e la vita presbiteri [31.01.1994], n.43,
Libreria Editrice Vaticana 1994.
[6] Sulla «coscienza
missionaria» e sulla disponibilità dei pastori ad andare oltre i confini della
propria diocesi, si veda anche PO 10; AG 20; CIC 784; RMi 67-68. Si raccomanda
una lettura attenta di Pastores dabo
vobis nn.57-58-59.
[7] Per fare chiarezza: in questo studio «pastorale missionaria» sta a
significare quell’impegno apostolico che la Chiesa svolge nelle tre situazioni
indicate da RMi 33 [missione Ad gentes, cura pastorale delle comunità, nuova
evangelizzazione]; si distingue pertanto dalla «missionarietà della pastorale»
intesa come lo spirito missionario che deve animare ogni agire ecclesiale in
forza dell’essere missione della Chiesa (AG 2); questa distinzione si ritiene
necessaria, in analogia con quanto dice Redemptoris
missio 32 circa il concetto di missione: «Dire che tutta la Chiesa è
missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes, come dire
che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che
ci siano i missionari ad gentes ed a vita per vocazione specifica». Pertanto,
dire che tutta la pastorale deve avere una impronta missionaria, non esclude
che vi debba essere una specifica «pastorale missionaria»; questa, anzi,
dovrebbe costituire il modello paradigmatico per ogni azione pastorale.
[8] CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto Ad gentes sull'attività missionaria della Chiesa, 7.12.1965: AAS 58
(1966) 947-990;
[9] PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi sull'evangelizzazione nel mondo contemporaneo, 8.12.1975: AAS
68 (1976) 5-76;
[10] GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Redemptoris missio circa la permanente validità del mandato
missionario, 7 dicembre 1990, AAS 83 (1991) 249-340;
[11] In questa parte seguiamo, con alcune integrazioni missiologiche, il
testo di S. PINTOR, L'uomo via della
Chiesa. Elementi di teologia pastorale, EDB, Bologna 1992; altri
riferimenti utili: AA.VV., La teologia
pastorale. Natura e compiti, EDB, Bologna 1990; PACOMIO L., Teologia
pastorale e azione pastorale, ed. Piemme, Casale Monferrato 1992; MARINELLI
F., Il ministero pastorale, EDB,
Bologna 1993; S. LANZA, Profilo di
teologia pastorale, Roma 1994; ID., Problemi
e prospettive di teologia pastorale, Roma 1993.
[12] Lo stesso Concilio ha dato di se stesso una impronta «pastorale»:
GIOVANNI XXIII, Discorso di apertura del Concilio, in EV 1/55*: “e si dovrà
ricorrere ad un modo di presentare le cose, che più corrisponda al magistero,
il cui carattere è preminentemente pastorale”.
[13] Si veda Catechesi
tradendae 11 [all’interno del cap. II: la catechesi, un’esperienza antica
quanto la Chiesa; per un commento cf GIGLIONI P., La catechesi degli apostoli e dei primi
cristiani, in AA.VV., Andate e
insegnate. Commento alla Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II,
Urbaniana University Press, Roma 1980, pp.105-121].
[14] GREGORIO MAGNO, Regulae
pastoralis liber (scritto nel 591). [Edizione italiana: La regola pastorale, ed. Città nuova, Roma
1990.]
[15] Il Vaticano II, oltre che in Gaudium
et spes, si occupa di «pastorale» anche in altri documenti: * SC 16: parla
di «teologia pastorale»; * OT 19: parla della formazione pastorale dei
seminaristi; * si parla di «altri uffici pastorali» in: LG 28; PO 3.4-10.22; CD
11-18. 28; GS 4-10.19-21.43.46.62.76.91; AG 16.26.34; * si raccomanda l'uso
delle scienze umane per una più efficace azione pastorale: OT 2,O2; GE 1; CD
14.16; AG 34; GS 52.62; IM 15; * la formazione non sia solo teorica, ma anche
pratica (con esercitazioni): OT 12.19.21.
[16] Cf CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, «Ratio studiorum» dei seminari
maggiori d’Italia,[10.06.1984], in ECEI 3,1802ss.
[17] Per il raggiungimento di questi obiettivi è necessario
affrontare le seguenti questioni: - richiamare gli
elementi fondamentali, i criteri evangelici, le linee ispiratrici, le
prospettive autenticamente ecclesiali dell'agire pastorale; - formare una
coscienza pastorale negli stessi responsabili e operatori di pastorale; -
ricercare ciò che è essenziale, primario e profondo nell'agire pastorale, per
evitare il rischio della dispersione, della superficialità, della parzialità,
della frammentarietà, delle divisioni, delle contrapposizioni; - offrire una
sintesi organica e teologicamente motivata dell'agire pastorale nella missione
della Chiesa; - non una ricerca erudita, riservata a pochi esperti, ma una
ricerca vitale che abbia riferimento alla viva prassi pastorale e ad un suo
rinnovamento.
[18] Circa la natura e il fine della catechesi, si terrà conto: -
Catechetica fondamentale: Teologia pastorale e catechesi; natura e fine della
catechesi; cenni storici circa la catechesi nella vita della Chiesa; Evangelii
nuntiandi; Catechesi tradendae; Direttorio cetechistico generale; il documento
base: Il rinnovamento della catechesi e il nuovo Catechismo della Chiesa
Cattolica. - Catechetica generale: il
ministero del catechista e i catechisti della Chiesa; i destinatari della
catechesi; i contenuti della catechesi; il metodo della catechesi; le diverse
forme e occasioni della catechesi; catechesi e cultura; catechesi e linguaggio.
[19] Circa la natura e il fine dell’omelia, si terrà conto: - Contenuto
generale dell'annunzio omiletico e suo rapporto con il mistero liturgico, con
l'evangelizzazione e la catechesi; -
Regole “umane” della predicazione: leggi psicologiche, pedagogiche, sociologiche,
fonetiche; - Requisiti spirituali di chi si applica al ministero dell'annunzio,
in particolare dell'omelia, e dinamismi richiesti nell'uditore per un ascolto
che prepari, solleciti e maturi la fede.
[20] Nel contesto della pastorale «liturgica» missionaria grande spazio
deve essere dato all’Ordo Initiationis
Christianae Adultorum [catecumenato, sacramenti del
battesimo-confermazione-eucaristia], al
problema della inculturazione liturgica, all’esercizio dei vari ministeri
[rapporto organico tra ministeri ordinati e ministeri laicali].
[21] Ministero pastorale in rapporto alle persone: le età diverse; le
condizioni religiose differenti [dialogo ecumenico e dialogo interreligioso];
gli “stati di vita” e il compito di discernimento e di promozione delle differenti
vocazioni; le molteplici situazioni sociali e civili [handicap, droga, aids,
scuola lavoro, mass-media]; in rapporto alle comunità ecclesiali: la diocesi,
la parrocchia; le associazioni; il consiglio pastorale e i vari consigli; la
famiglia soggetto e oggetto di pastorale; in rapporto ai vari ministeri: unità
e molteplicità di compiti relativamente alla Parola, ai sacramenti, alla
carità.
[22] Cf PINTOR S., Per una teologia
pastorale in prospettiva missionaria, in Euntes Docete XLII (1989) 3, 423-440.
[23] FLORISTAN C. - USEROS M., Teologia
de la acción pastoral, BAC, Madrid 1968 (ed. it.: Teologia dell'azione pastorale, Paoline, Roma 1970); cf anche
FLORISTAN C. - J.J. TAMAYO, Conceptos
fundamentales de Pastoral, Cristianidad, Madrid 1983.
[24] Esponenti di questa teologia sono: G. GUTIERREZ e L. BOFF; per
conoscere la visione della Chiesa su questo argomento si veda:
SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis nuntius su alcuni aspetti della «teologia della
liberazione», 6.08.1984: AAS 76 (1984) 876-909; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis conscientia sulla libertà
cristiana e la liberazione [22 marzo 1986]: AAS 79 (1987)
554-599;
[25] in Enchiridion Documenti della Chiesa Latinoamericana, EMI, Bologna 1995.
[26] Cf V. MULAGO, Un visage
africain du christianisme. L'union vitale bantu face à l'unité ecclésiale,
Paris 1965.
[27] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Africa circa la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno 2000, 14.09.1995.
[28] Si veda, ad esempio, FABC (V Assemblea: Bandung 17-27.07.1990), Camminare insieme verso il terzo millennio,
in Regno-Doc 5 (1991) 171-177 [sfide e speranze; rinnovato senso della
missione; laici; risposte e imperativi pastorali]; cf anche DINH DUC DAO, Asia, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, EDB, Bologna 1993, 39-44.
[29] Per le qualità che deve avere oggi una catechesi rinnovata, cf la
«Lettera dei vescovi italiani per la riconsegna del Documento di base»: ECEI
4/1014-1027. Per alcune indicazioni riguardanti la
«catechesi missionaria» e gli «itinerari catecumenali di catechesi», cf
GIGLIONI P. (a cura), Catechisti per una
chiesa missionaria, Urbaniana University Press, Roma 1982; CAVALLOTTO
G., Catechesi missionaria, in AA.VV.,
Dizionario di Missiologia, op. cit., 81-88; CONSIGLIO INT.
CATECHESI (COINCAT), La catechesi degli
adulti nella comunità cristiana,
alcune linee e orientamenti, Lib. Edit. Vaticana 1990.
[30] L'espressione «segni dei tempi» è di derivazione biblica (cf Mt
16,2-3; Lc 12,54-55).
[31] GIOVANNI XXIII, Costituzione apostolica Humanae salutis con la quale viene indetto il Concilio Ecumenico
Vaticano II [25.12.1961]: AAS 54 (1962) 5-13; viene
poi ripresa nella Pacem in terris: 11
aprile 1963: AAS 55 (1963) 257-304
[33] Vengono poi descritte le mutazioni scientifiche (GS 5) quelle
sociali (GS 6), quelle psicologiche, morali e religiose (GS 7), e gli squilibri
del mondo contemporaneo (GS 8); vengono infine indicate le aspirazioni e gli
interrogativi più profondi dell'uomo (GS 9-10).
[34] Per fare una buona analisi si richiede: * determinare ciò che si
vuol conoscere; * come acquisire le informazioni necessarie [interviste,
questionari, testimonianze: determinare come scegliere il campione
rappresentativo]; * come organizzare, elaborare, analizzare le informazioni
raccolte; una relazione finale sull'analisi della realtà.
[35] Un possibile modello di analisi-interpretazione che merita di essere
preso in esame può essere la Sollicitudo rei socialis o la Centesimus annus. Lo
schema può essere il seguente: analisi dei fattori che influenzano, in senso
positivo e negativo, la realtà; individuare le diverse possibili piste di
risposta; stabilire un ordine di importanza-priorità.
[36] Fare un inventario delle seguenti risorse: umane (quante persone,
quale preparazione-disponibilità); materiali (edifici, materiale didattico,
mezzi di trasposto); economiche (entrate fisse e contributi aleatori);
istituzionali (gruppi, associazioni, movimenti).
[37] Si può seguire il seguente schema:
* precisare il programma; * stabilire l'obiettivo; * definire le mete da
conseguire; * definire gli elementi necessari per la realizzazione (luoghi,
tempi, responsabili, modalità, mezzi, limiti).; * prevedere le possibili
interazioni al programma stabilito (progetti parrocchiali, progetti diocesani,
progetti nazionali, progetti della Chiesa universale...).
[38] Ricordare che, prima ancora delle strutture, stanno sempre le
persone.
[39] CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 849. Si faccia attenzione al
luogo dove il nuovo CCC colloca la trattazione del «mandato missionario» e
delle questioni inerenti la missione; lo fa nella Parte I, Sezione II, Capitolo
III, Articolo 9: «Credo la santa Chiesa cattolica» [nn 830-856].
[40] Ibìdem n. 850.
[41] Cf CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE,
Nota pastorale I laici nella missione
“Ad gentes” e nella cooperazione tra i
popoli, [25.01.1990] n.19, ECEI
4/2130.
[42] CEI, Documento pastorale Comunione
e comunità missionaria, [29.06.1986] n.5, ECEI 4/241.
[43] La Trinità come mèta della missione trova il suo fondamento nella
teologia giovannea, in quella che è stata chiamata la “teologia missionaria
della preghiera sacerdotale” (Gv 17); l'unità ermeneutica di questa preghiera
si può vedere nella missione: che ha origine dal Padre per Gesù, e da Gesù per
la comunità dei discepoli; e che deve espandere la sua azione fino ad
abbracciare il mondo; la missione di Gesù si apre ed è continuata, anche come
modello operativo, nella missione della Chiesa; la responsabilità della
salvezza del mondo passa ormai attraverso la missione della comunità dei
discepoli fedeli; questa comunità è santificata e unificata dal Padre, è
radunata dal Figlio mediante la parola e la memoria della morte-risurrezione, è
assistita dallo Spirito nella testimonianza dinanzi al mondo e
nell'interpretazione della parola di Gesù; in questo modo la vita eterna viene
continuamente offerta agli uomini [cf SEGALLA G., La preghiera di Gesù al Padre (Gv 17), Paideia, Brescia 1983]. Redemptoris missio dedica un ampio brano
al significato missionario della preghiera sacerdotale e dice: “Scopo ultimo
della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e
il Figlio [nello Spirito]: i discepoli devono vivere l'unità tra di loro,
rimanendo nel Padre e nel Figlio [in forza della comunione dello Spirito],
perché il mondo conosca e creda (cf Gv 17,21-23). E', questo, un significativo
testo missionario, il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per
ciò che si è, come la Chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima
di esserlo per ciò che si dice o si fa” (RMi 23).
[44] Si sono avute nella Chiesa
cattolica numerose controversie circa il «fine della missione». Per la scuola di Münster (J. Schmidlin) il
fine è soteriologico: ammaestrare e convertire gli individui e i popoli. Per la scuola di Lovanio (P. Charles, s.j.) l’oggetto
formale della missione è la plantatio
Ecclesiae: erigere una Chiesa visibile nei paesi dove non è ancora
presente. Il Vaticano II non si è legato a queste discussioni, ma le ha tutte
recepite e ampliate (AG 6). Per un approfondimento della questione si può
vedere K. MÜLLER, Teologia della missione,
EMI, Bologna 1991, pp.100-125.
[45] Cf SEGRETARIATO PER I NON
CRISTIANI, L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre
religioni. Riflessioni e orientamenti su Dialogo
e missione (4.9.84): AAS 76 (1984) 816-828. Questo documento è
stato poi aggiornato dal documento congiunto del PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e
orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù
Cristo, [19.5.1991], L'Osservatore Romano
21.6.1991.
[46] Già nell’AT si può trovare un fondamento biblico della missione. Ci sono testi che richiamano l’universalismo della salvezza, come le alleanze con Adamo (Gen 1,28), Noè (Gen 9,1ss), Abramo (Gen 12,2-3). Si parla di una missione alle nazioni, alle isole lontane, anche nei 4 carmi del Servo di Jahvé (Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Originale è amche la missione di Giona alla città pagana di Ninive, per un invito alla conversione.
RMI 12 cita, tra i testi che richiamano la volontà salvifica universale di Dio, Is 2,2-5; 25,6-8; 60,1-6; Gen 3,17; 16,19). Si dovrà tuttavia tener conto la tradizione giudaica non ha conosciuto la missione nel senso tecnico della parola, così come la intendiamo oggi. In ambiente semitico la religione si diffondeva tramite il commercio, le conquiste militari, i matrimoni misti, alleanze. Israele non ha mai avuto un interesse «missionario» verso gli altri popoli (cf TESTA E., La missione e la catechesi nella Bibbia, "Studia Urbaniana/14", Ed. Paideia [Brescia], UUP [Roma] 1981); GHIBERTI G.(a cura di), La missione nel mondo antico e nella Bibbia, XXX Settimana Biblica Nazionale, in Ricerche storico bibliche 1 (1990)..
[47] Si faccia attenzione ad AG 4 con la nota 19. In questo testo di Ad gentes l'azione dello Spirito Santo è descritta con questi verbi: dà unità alla Chiesa, la fornisce dei diversi doni gerarchici e carismatici, infonde nel cuore dei fedeli lo stesso spirito missionario di Cristo, previene-accompagna-regola l'azione apostolica; i riferimenti biblici di questa attività dello Spirito sono indicati alla nota 27 che cita At 4,8; 5,32; 8,26.29.39; 9,31; 11,24-28; 13,2.4.9; 16,6-7; 20,22-23; 21,11 ecc. Redemptoris missio sviluppa il tema de”Lo Spirito Santo protagonista della missione” nell'intero capitolo III (RMi 21-30). Anche Evangelii nuntiandi dedica il cap. VII a “Lo Spirito dell’evangelizzazione” (cf EN 75).
[48] Lo Spirito Santo è su Maria: gli inizi del Verbo fatto carne (Lc 1,35); nella Pentecoste lo Spirito Santo dà la missione al Corpo ecclesiale del Risorto (AT 2). Lo Spirito degli inizi: del corpo di Cristo e del suo Corpo mistico.
[49] Lo Spirito aveva condotto Gesù nel deserto (Lc 4,1.14); lo Spirito spinge la Chiesa perché sia testimone del Risorto fino agli estremi confini della terra (At 1,8; 2,17.33).
[50] Giovanni 20,22 osserva che Gesù Risorto, nel donare lo Spirito, «alitò [enephysêsen] su di loro». Usando il verbo emphysaô (riferimento al soffio vitale della prima creazione [Gen 1,2; 2,7], al soffio che dà vita alle ossa aride [Ez 37,9]) Giovanni sembra voler richiamare lo Spirito della nuova creazione (Gv 1,33; 14,26; 19,30; cf Mt 3,16) effuso dal Risorto, «l’ultimo Adamo divenuto spirito datore di vita» (1 Cor 15,45).
[51] Il Vaticano II ha formulato ripetutamente il mistero della Chiesa
designandola “segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano” (LG 1; GS 42; Cf LG 9; SC 26). In quanto “sacramento”,
la Chiesa è per sua natura uno strumento che contiene, comunica e rende
presente la grazia e la salvezza di Dio e in maniera efficace le comunica agli
uomini. Di essa si serve Dio per continuare a rendere presente la sua salvezza
e comunicarla agli uomini, prolungando così - nella e mediante la Chiesa - il
suo universale piano di salvezza inaugurato in e mediante Cristo [cf SEBUGAL
S., Io credo. La fede della Chiesa,
Edizioni Dehoniane, Roma 1989, p.1045.].
Ciò significa che, come
è universale l'azione redentrice di Cristo, così deve essere universale anche
l'azione della Chiesa che di Cristo è segno-strumento efficace nel mondo. Ad
gentes sembra spostare la missione da una visione “ecclesiocentrica” ad una visione “teocentrica”: tutto ricapitolare in Cristo per ricondurlo al Padre.
L'orizzonte della missione, secondo questa visione, non è solo la Chiesa ma il
Regno. Di questo Regno universale la Chiesa è “piccolo gregge” e
“germe validissimo di unità-verità-carità..assunto ad
essere strumento della redenzione di tutti...e quindi inviato a tutto il mondo”
(LG 9b). Su questo tema vedere l'intero capitolo II di Redemptoris missio (RMi 12-20) dedicato a “Il Regno di Dio” in rapporto a
Cristo e alla Chiesa.
[52] Cf Redemptoris missio 22.23.
[53] Secondo la teologia di Luca,
la missione si estende all'universo; egli sembra far riferimento alle profezie
sull'universalismo prospettato da Isaia 45,14-19 (ma già in Is 2,2-4 e in Ger
12,15-16; 16,19-21; Sof 3,9-10; Sal 87 e il libro di Giona): tutte le nazioni
si raduneranno intorno a Gerusalemme per servire il Dio d'Israele: cf TESTA E.,
La missione e la catechesi nella Bibbia,
“Studia Urbaniana/14”, Ed. Paideia, UUP, Paideia-Roma 1981.
[54] In Gv 20,21 si fa uso di due verbi diversi: «Proprio come mi ha
mandato (apestalken) il Padre, io
mando (pempo) voi». Nel primo caso, apostello
è usato al perfetto per indicare un’azione completa nel passato, ma che dura
nei suoi effetti fino al presente e tende al futuro: la missione da parte del
Padre continua a sussistere, poiché tutta la vita terrena di Gesù è stata una
missione; nel secondo caso, pempo è
usato al presente per indicare una norma di carattere generale: ciascun
apostolo, in quanto tale, è mandato da Gesù. Tra apostello e pempo, tuttavia, non c’è sostanziale differenza.
[55] Alcuni Autori (cf TESTA E., La missione e la catechesi nella Bibbia, op. cit.) parlano di una missione pre-pasquale ad Hebraeos da parte del Gesù storico (Mc 3,13) e di una missione
post-pasquale Ad gentes da parte del Risorto (Mc 16,15;
Mt 28,19).
[56] Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Dives
in misericordia [30.XI.1980], 7: AAS 72 (1980),1202 (citato in RMi 7).
[57] S. TOMMASO, Summa Theologica,
I, q.5, a.4, ad 2.
[58] GIOVANNI PAOLO II, Lettera
alle famiglie, [1994], n.10
[59] Catechismo della Chiesa cattolica (=CCC), 830-856.
[60] Cf K. MÜLLER, Teologia della
missione, op. cit., p. 129.
[61] S. IRENEO, Trattato contro le
eresie IV,20,7: SCh 100, 648.
[62] La missione come “gloria” è tipica della
teologia ortodossa: la oikonomìa o
piano di Dio, è il punto di partenza della missione; la theosis o divinizzazione è il fine della missione; la apokatastasis ((o anche anakefalaiosis- ricapitolazione: Ef
1,10; Col 1,19-20) è il fine escatologico della missione; la koinonìa e la martyrìa sono il valore testimoniale massimo della missione; la doxa è la manifestazione luminosa del
potere salvifico di Dio attraverso
l'opera missionaria (cf Gv 17,4: ti ho glorificato sulla terra, compiendo
l'opera che mi hai dato da fare); per la bibliografia: YANNOULATOS A., The Purpose and Motive of Mission, in International Review of Missions 54
(1965) 281-297; LOPEZ GAY J., El concepto
biblico de doxa (Gloria)-Mision, in Misiones Extranjeras
2 1971, 1-16.
[63] La costituzione
dogmatica Lumen gentium
17 descrive “il carattere missionario della Chiesa”. Queste tematiche, come si può
vedere, vengono poi ampliate nel decreto Ad gentes sull'attività missionaria della
Chiesa.
[64] Cf CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunione e comunità missionaria, Documento pastorale, op. cit., n.9; CEI, COMMISSIONE
EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana. Documento pastorale, op. cit..., n 16.
[65]
Questa distinzione si trova anche nel nuovo Codice di Diritto Canonico; la
Chiesa svolge una attività ordinaria e “pastorale” (can 511) verso i Christifideles
che sono in piena comunione con la Chiesa cattolica (can 383.1 e 771.1)
mediante la predicazione, la catechesi, l'amministrazione dei sacramenti;
svolge poi una attività “ecumenica” verso quei
cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica (can 755);
svolge infine una attività particolare che si chiama “missionaria” verso coloro che non sono battezzati e quindi non sono
incorporati alla Chiesa (can 206.2) e che consiste nella testimonianza della
carità di Cristo (can 383.4), nell'aprire loro le vie del Vangelo con diversi
mezzi (can 787) e istruire nelle verità della fede e nel tirocinio della vita
cristiana (can 788). Ad gentes 6 tiene conto di queste
distinzioni quando dice: “L'attività missionaria
tra le genti differisce sia dall'attività pastorale, che viene svolta in mezzo
ai fedeli, sia dalle iniziative da prendere per la ricomposizione dell'unità
dei cristiani” (AG 6). Come si vede, Redemptoris
missio si colloca su queste posizioni precisandone però le convergenze e le
distinzioni.
[66] Redemptoris missio 31 che
cita ChL 35.
[67] Si esercita quindi in territori e presso gruppi umani ben delimitati
(RMi 37).
[68] Il nuovo Codice di Diritto Canonico [1983] così descrive l'attività
missionaria:”L'azione propriamente missionaria, per mezzo della quale la Chiesa
è impiantata nei popoli o nei gruppi dove ancora non è stata radicata, viene assolta
dalla Chiesa soprattutto mandando gli annunziatori del Vangelo fino a quando le
nuove chiese non siano pienamente costituite, vale a dire quando siano dotate
di forze proprie e di mezzi sufficienti, per cui esse stesse siano capaci da sé
di compiere l'opera di evangelizzazione” (CIC can.786).
[69] Cf LG 17; AG 5; EN 13-15; 18; 26-27.
[70] Lc 4,18-21.43; Mc 1,38.
[71] At 6,4; cf 12,25; 20,4; 21,19; Rom 11,13; 1 Tim 1,12; 2 Tim 4,11.
[72] PAOLO VI, Litterae encyclicae Ecclesiam
suam de quibus viis catholicam Ecclesiam in praesenti munus suum exsequi
oporteat, 6 augusti 1964: AAS 2, 163-210 [qui 191].
[73] L'annuncio della salvezza sta al centro della missione-predicazione
di Cristo (Mc 16,15-16; Lc 19,10; Gv 3,17) e degli Apostoli (At 4,12; 11,14.17;
16,30-31; 1 Ts 2,16; 1 Tm 1,16; 2 Tm 2,16). Anche in Ad gentes è molto chiara
questa finalità missionaria: la Chiesa avverte in maniera più urgente la
propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura (AG 1) realizzando
compiutamente nel corso dei secoli quanto una volta è stato operato per la
comune salvezza (AG 3); per divino mandato deriva alla Chiesa l'impegno di
diffondere la fede e la salvezza di Cristo (AG 5; cf EN 5.27.57.80.81; RH
7; RMi
22-23).
[74] Cf WOLANIN A., Teologia della
missione, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1989, 103.
[75] La bibliografia su questo argomento: HENRY A.M. (ed), L'annonce de l'Evangile aujourd'hui, Les
Editions du Cerf, Paris 1962; GRASSO D., Il
kerigma e la predicazione, in «Gregorianum» 41 (1960) 424-460; Id., La
prédication missionnaire, in SCHÜTTE J. (ed), «L'activité missionnaire de l'Eglise», Les Editions du Cerf, Paris
1967, 255-269;
[76] Lo schema di Ad gentes è seguito anche da Evangelii nuntiandi e da Redemptoris missio: la testimonianza
della vita (EN 21; RMi 42-43) precede l'annuncio esplicito del Vangelo (EN 22;
RMi 44-45).
[77] E il Codice di Diritto Canonico riprende questo concetto e dice: «I
missionari, con la testimonianza della vita e della parola, istituiscano un
dialogo sincero con i non credenti in Cristo, perché, con procedimento adatto
al loro ingegno e cultura, si aprano loro le vie per le quali possano essere
efficacemente condotti a conoscere l'annuncio evangelico» (CIC 787.1).
[78] Nel testo di Ad gentes, come in seguito Evangelii nuntiandi, non si usa il termine
pre-evangelizzazione ma si parla piuttosto di «preparare le vie del Signore»
(AG 6) o di «aprire gradualmente una via sempre più larga al Signore» (AG 12):
in entrambe le citazioni si fa riferimento alla testimonianza della carità,
dove risplende in maniera inequivocabile il mistero di Cristo ed in cui si
rivela la carità stessa di Dio. Già questa fase di preparazione è da
considerare «un gesto iniziale di evangelizzazione» (EN 21). Nell'attuale
contesto di secolarizzazione, gesti iniziali di evangelizzazione possono
essere: fare opera di «bonifica intellettuale» [combattere le filosofie
marxiste e atee, mostrare la falsità dei pregiudizi antireligiosi, aprire ai
valori trascendenti], «bonifica morale» [combattere l'edonismo, la pornografia,
il culto del denaro, il permissivismo morale], «bonifica sociale» [combattere
le condizioni disumanizzanti, aiutare la famiglia, schierarsi con i più poveri
e più deboli]. Rientra pure nell'opera di preparazione evangelica ogni sforzo compiuto
dalla Chiesa per diventare credibile: distaccata dal denaro e dagli interessi
economici, purificata nelle sue espressioni di fede e di culto, “icona” delle
realtà future, luogo di vera comunione [cf CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA,
Documento per la III assemblea generale del Sinodo dei vescovi,
[28.02.1974], in ECEI 2, 975-1140.
[79] Questa citazione di EN 41 è ripresa da RMi 42 che aggiunge: «La
testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della
missione».
[80] AG 5, alla nota 33, cita TERTULLIANO, Apologeticum, 50,13: PL I, 534, CChr I, 171: «Etiam plures efficimur, quoties metimur a vobis: semen est sanguis
Christianorum!» (cf anche GS 44 alla nota 23); per un commento si può
vedere GIGLIONI P., La croce e la
missione Ad gentes, in «Euntes Docete» 2 (1985) 153-178;
BALTHASAR H.U.Von, Martirio
e missione, in Nuovi punti fermi,
Jaka Book, Milano 1980, 255-278; GHERARDINI B.R., Il martirio nella moderna prospettiva teologica,
"Divinitas" 36 (1982) 19-35.
[81] SINODO DEI VESCOVI 1971, Documento Convenientes ex universo su «La giustizia nel mondo» [30.11.1971]:
AAS 63 (1971) 898-942;. Cf EN 29: «L'evangelizzazione non sarebbe completa se
non tenesse conto del reciproco appello che si fanno continuamente il vangelo e
la vita concreta»;
[82] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptor
hominis 15; cfr SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI, Documento L'atteggiamento
della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e
orientamenti su dialogo e missione, 4
settembre 1984, nn.15-16: AAS 76 (1984) 816-828; PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e
orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù
Cristo, [19.5.1991]: AAS 84 (1992) 414-446.
[83] SINODO DEI VESCOVI 1985, Relazione
finale II.B.D.6. Su questo punto si deve fare riferimento anche a
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis conscientia sulla libertà cristiana e la liberazione [22
marzo 1986]: AAS 79 (1987) 554-599;; ulteriori indicazioni in ESQUERDA-BIFET
J., Evangelizar hoy. Animadores de las
comunidades, Atenas, Madrid 1987, 173-180.
[84] Documenti della III Conferenza Generale dell'Episcopato
latino-americano a Puebla (1979): 3760 (1145).
[85] RMi 58. Questa precisazione ritorna più volte in Redemptoris missio, come quando mette in
guardia verso quella che chiama «graduale secolarizzazione della salvezza» che
vorrebbe ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale (RMi 11), o quando si
dà un'immagine riduttiva dell'attività missionaria come se fosse principalmente
liberazione, promozione, sviluppo (RMi 83).
[86] Cf CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio
per il ministero e la vita presbiteri [31.01.1994], n.45 [predicazione
della Parola].
[87] La Chiesa, secondo l'antica prassi apostolica e patristica, ha elaborato metodologie proprie di evangelizzazione che si svolgono con varietà di tempi e di modi:
a) l'annunzio kerigmatico: è il primo
annunzio fatto a chi ancora ignora il messaggio di salvezza, allo scopo di
portarlo alla”conversione”, cioè al pentimento ed alla fede (AG 13). Il termine greco kêrygma ha
la sua radice nel sostantivo kêryx
[dall'ebraico qarah = gridare,
glorificare], indica colui che proclama ad alta voce, e quindi rende nota con
voce chiara e comprensibile, una notizia che gli è stata affidata. In seguito
da questo sostantivo si è formato il verbo keryssein
che indica l'attività del'araldo. Aggiungendo alla radice keryk- il suffisso ma, si
ebbe il sostantivo kêrygma che indica
sia il risuonare della voce, sia il contenuto di ciò che è fatto risuonare.
L'uso di kêrygma nel NT non è molto
frequente; in Paolo (1 Cor 1,21: 2,4; 15,14; 2 Tm 4,17; Tt 1,3), in Mt 12,41;
Lc 11,32 (il messaggio di Giona a favore di Ninive); cf G. FRIEDRICH, Kêrygma in GLNT V, 472-479; COENEN L. Predicazione, in “Dizionario
dei concetti biblici del NT”, EDB, Bologna 1976,1375-1383];
b) la catechesi: è l'approfondimento del kerigma fatto a coloro che, con la conversione, sono entrati nel catecumenato e si accingono a compiere il cammino dell'iniziazione cristiana (AG 14).; c) la predicazione omiletica: si fa nel contesto liturgico-sacramentale ai già battezzati (SC 52);
d) la predicazione mistagogica: intesa come catechesi liturgica per l'approfondimento della fede a
partire dai”ritus et preces” (Cf SC
48).
[88] Su questo argomento si veda Christifideles
laici n.32, dal titolo «Comunione missionaria»: «La comunione e la missione
sono profondamente congiunte tra loro, al punto che la comunione rappresenta la
sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la
missione è per la comunione» [ChL 32; cf anche RMi 26 (e 75): «Vivere la
“comunione fraterna (koinonìa)
significa aver “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32)].
[89] I riferimenti biblici di parresìa
sono riportati in RMi 24, nota 33.
[90] «Il mondo...reclama evangelizzatori che gli parlino di un Dio, che
essi conoscano e che sia a loro familiare, come se vedessero l’invisibile (cf
Eb 11,27)» (EN 76).
[91] Secondo Evangelii nuntiandi la mancanza di fervore genera stanchezza,
delusione, accomodamento, disinteresse, mancanza di gioia e di speranza (EN
80).
[92] cf TESTA E., La
missione e la catechesi nella Bibbia, "Studia Urbaniana/14", Ed.
Paideia [Brescia], UUP [Roma] 1981; LATOURELLE R., Kêrygma, catechesi, parenesi, in LATOURELLE
R. - FISICHELLA R., Dizionario di
teologia fondamentale, Cittadella Editrice, Assisi 1990, pp. 627-629.
[93] «L’annuncio fatto dalla Chiesa deve essere sia progressivo che paziente, tenere il passo di coloro che ascoltano il messaggio, rispettando la loro libertà e anche la loro lentezza nel credere (cf EN 79). L’annuncio deve essere fatto con le qualità proprie del Vangelo: fiducia, fedeltà, umiltà, rispetto, dialogo, inculturazione; in stretta unione con Cristo (cf PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul Dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, op. cit., nn. 69-71. L’annunciuo incontra anche delle difficoltà: difficoltà interne da parte dei cristiani (mancanza di testimonianza; negligenza, paura, vergogna, arrossire del Vangelo; mal preparati all’annuncio; atteggiamento di superiorità); difficoltà esterne, fuori della comunità: il peso della storia e di metodologie missionarie non corrette; una missione intesa come distruzione; intolleranza; mancanza di libertà religiosa; indifferentismo, relativismo, sincretismo (cf Ibìdem nn.72-74).
[94] Nella tradizione neotestamnentaria troviamo questo
tipo di annuncio soprattutto nei discorsi degli Atti: At 2,14-39; 3,13-26; 4,10-12; 5,30-32; 10,36-43; 13,17-41. Un esempio lo troviamo nel discorso di
Pietro il giorno di Pentecoste [At
2,14-39: kêrygma agli Ebrei]: voi ora
siete testimoni, per l'azione dello Spirito Santo promesso, che Gesù di
Nazaret, ucciso dai capi-giudei, Dio lo ha risuscitato e lo ha costituito
Signore e Messia, in conformità alle Scritture e alla fede dei padri, per la
salvezza dai nostri peccati; chi si converte, crede in Gesù e riceve il
battesimo, ottiene da Dio la remissione dei peccati. Abbiamo traccia anche di
un kêrygma ai pagani: si annuncia la
fede in un unico Dio, la creazione e la provvidenza (At 14,15-17; 17,22-23). Cf
CIC can 787 e 788. Tutto deve essere fatto senza alcuna costrizione (can
748.2). Cf GEVAERT G., Prima
evangelizzazione, LDC, Torino 1990.
[95] Per sè la catechesi suppone un'adesione globale al vangelo di
Cristo, proposto dalla chiesa. Spesso però essa si rivolge a soggetti che,
sebbene appartenenti alla chiesa, di fatto non hanno ancora dato una vera
adesione personale al messaggio rivelato.
Ciò significa che l'evangelizzazione può
precedere o accompagnare, secondo le circostanze, il compito della catechesi
propriamente detta. In ogni caso si deve ricordare che la conversione è una
dimensione sempre presente al dinamismo della fede, e che perciò ogni catechesi
deve avere anche una funzione evangelizzatrice (DCG 18). Sempre dal Direttorio
Catechistico Generale è possibile trarre queste altre indicazioni circa la
natura e il fine della catechesi: fa «risuonare» la parola del Vangelo e
suscita una fede-conversione personale, profonda, matura; dispone ad accogliere
l’azione dello Spirito Santo, per il dono della fede; aiuta a scoprire nella
propria vita il disegno di Dio; aiuta
ad entrare in comunione con Dio, stimolando la carità; insegna a
giudicare-interpretare i «segni dei tempi»; spinge alla missione e alla
edificazione di un mondo migliore, nella speranza dei beni futuri; spinge a
vivere concretamente alla dignità che la salvezza arreca e che la fede rivela
(DCG 37); poiché si fonda sulla Parola, aiuta a tradurre questa Parola nel
linguaggio degli uomini a cui si rivolge (cf DV 13; OT 16; DCG 32)
[96] Cf CONGREGATION POUR L'EVANGELISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour les pretres diocesains
des Eglises qui dependent de la Congregation pour l'Evangelisation del Peuples,
op. cit.. n.7 p. 23;. CT 35-45; DCG
77-97. Tuttavia: «..la catechesi degli adulti, in quanto è diretta a persone
capaci di un’adesione e di un impegno veramente responsabile, è da considerarsi
come la forma principale della catechesi, alla quale tutte le altre, non perciò
meno necessarie, sono ordinate» (DCG 20); per la catechesi degli adulti si
offre la seguente essenziale bibliografia: COINCAT, La catechesi degli adulti nella comunità cristiana. Alcune linee e
orientamenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1990;
Regno\Doc 17 (1990) 525-534; DELLA TORRE L., Iniziazione cristiana degli adulti (Rito della), in “Dizionario di
Catechetica”, cit., 347-349; CENTRO NAZIONALE DEL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO IN
FRANCIA, La formazione cristiana degli
adulti. Una guida teorico pratica per la catechesi, EDB, Bologna 1988
[titolo originale: Formation chrétienne
des adultes. Une guide théorique et pratique pou la catéchèse, ed. Desclée
de Brouwer, Paris 1986]; CEI, Ufficio Catechistico Nazionale, Adulti nella fede, testimoni di carità,
LDC, Leumann (TO), 1990.
[97] Cf SEUMOIS A., Missionaria
(Catechesi), in: AA.VV., Dizionario
di Catechetica, Torino, LDC 1986, 434-440; GIGLIONI P., Catechisti e catechesi per la missione oggi,
in: Portare Cristo all'uomo, vol. II,
Roma, Urbaniana University Press 1985, 545-558; CAVALLOTTO G., Catechesi missionaria, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, op. cit., 81-88; COCCHINI F., Catechesi, in AA.VV., Dizionario patristico e di antichità
cristiane, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, 622-627; ALBERICH E., Catechesi, in GEVAERT J. (a cura di), Dizionario di catechetica, LDC, Leumann
(TO) 1986, 104-108.
[98] Cf CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida per i catechisti, 3.12.1993, Città
del Vaticano 1993; CEI, La
formazione dei catechisti nella comunità cristiana, EDB, Bologna 1982;
GIGLIONI P. (a cura di)., Catechisti per
una Chiesa missionaria, Pont. Univ. Urbaniana, Roma 1982.
[99] «Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e
irradiazione» (RMi 26 che fa riferimento a EN 41-42).
[100] Cf Col 4,3.
[101] Cf At 4,13.29.31; 9,27-28; 13,46; 14,3; 19,8; 26,26; 28,31; 1 Ts
2,2; 2 Cor 3,12; 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; 6,19-20. Cf la parresìa di cui parla
RMi 24 (nota 33).
[102] Cf At 16,14
[103] Cf ESQUERDA BIFET J., Pastorale per una chiesa missionaria, Urbaniana University Press,
Roma 1991, 72-76; ID., Conversione,
in AA.VV., Dizionario di Missiologia,
op. cit., 147-149.
[104] Cf SEGALLA G., Panorama teologico del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1987, 48-54. Cf TESTA E., La missione e la catechesi nella Bibbia, op.cit., 395-454.
[105] RITUALE ROMANUM ex decreto sacrosancti oecumenici concilii vaticani
II instauratum, auctoritate Pauli Pp VI promulgatum, Ordo initiationis christianae adultorum, n.10, Editio typica, Typis
poliglottis vaticanis 1972 (ristampa 1974 con l'aggiunta dei “Praenotanda generalia de initiatione
christiana”). Si veda anche DCG 18; CT 20.
[106] GIGLIONI P., La catechesi degli
apostoli e dei primi cristiani, in AA.VV., Andate e insegnate. Commento alla Catechesi tradendae di Giovanni Paolo
II, Urbaniana University Press, Roma 1980, pp.105-121.
[107] Cf CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Documento pastorale Evangelizzazione e sacramenti
[12.7.1973]: ECEI 2,385-506. Senza dimenticare quanto affermato da Catechesi tradendae n. 23 sul rapporto catechesi e sacramenti:
«... la catechesi conserva sempre un riferimento ai sacramenti. Da una parte,
una forma eminente di catechesi è quella che prepara ai sacramenti, ed ogni
catechesi conduce necessariamente ai sacramenti della fede. D'altra parte,
un'autentica pratica dei sacramenti ha necessariamente un aspetto catechetico.
In altri termini, la vita sacramentale si impoverisce e diviene ben presto un
ritualismo vuoto, se non è fondata su una seria conoscenza del significato dei
sacramenti. E la catechesi diventa intellettualistica, se non prende vita nella
pratica sacramentale».
[108] Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptor
hominis n.12: «Ogni conversione è opera della grazia, nella quale l'uomo
deve pienamente ritrovare se stesso». Anche Evangelii
nuntiandi afferma che, nell'ottica cristiana, l'agente principale della
conversione non è l'uomo, ma lo Spirito Santo. «E' lui che spinge ad annunziare
il Vangelo e che nell'intimo della coscienza fa accogliere e comprendere la
parola della salvezza» (EN 75). E' lui che guida il movimento dei cuori e fa
nascere l'atto di fede in Gesù il Signore (cf 1 Cor 2,4).
[109] Qui il decreto Ad gentes cita in nota altri documenti del
Vaticano II: Dignitatis humanae
nn.2.4.10; Gaudium et spes 21. A
questi si deve aggiungere il Codice di Diritto Canonico can. 748 e 787.2: testi
da tenere in grande considerazione per comprendere lo spirito della «libertà di
coscienza» nell'opera di evangelizzazione. Si tenga conto anche del documento
del SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI, L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai
seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione [4 settembre 1984], n. 37: AAS 76 (1984) 816-828; PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e
orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù
Cristo, [19.5.1991], n. 41: AAS 84 (1992)
414-446.
[110] Etimologicamente il termine proselito deriva dal greco prosérchomai
(= procedere verso) e sta ad indicare coloro che dal paganesimo passavano al
giudaismo; ricorre nel solo Mt 23,15 (e in altri tre testi di Atti). Circa il
comportamento ecumenico riguardo al «proselitismo» si veda: SEGRETARIATO PER
L’UNITA’ DEI CRISTIANI, Direttorio
ecumenico (14.5.1967), nn. 28.46.75: AAS 62 (1970) 705-724; il documento è stato poi aggiornato dal PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA
PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Direttorio
per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo,
[25.03.1993]: AAS 85 (1993) 1039-1119.
[111] A questo punto Redemptoris
missio 46-47 fa una duplice importante chiarificazione: non corrisponde al
sentire cum Ecclesia l'atteggiamento di coloro che scindono l'annuncio dalla
conversione e dal battesimo (per paura di fare atto di proselitismo), o
l'atteggiamento di coloro che non giudicano necessario il battesimo ritenendo
che possano salvarsi ugualmente nella loro religione. Nel vocabolario
missionario questi termini vanno dunque presi nella loro esatta valenza.
Sempre secondo Redemptoris missio la
conversione è opera della grazia dello Spirito Santo (RMi 12; AG 13; EN 75; cf
At 16,14; 1 Cor 2,4); deve avere queste qualità: deve essere libera e sincera,
nel rispetto della libertà di coscienza. I difetti nell’opera di conversione
sono: la costrizione, il raggiro o la persuasione disonesta, il proselitismo.
[112] Il termine “catecumenato”
deriva, mediante l'aggiunta del suffisso -atus,
dal latino ecclesiastico catechumenus,
a sua volta prestito dal greco ecclesiastico katechoumenos, aggettivo verbale di katechein “istruire a viva voce”. Il verbo semplice êkein “risuonare” si pone in
contrapposizione semantica con kerysso
“annuncio, proclamo”. Questo significa “annuncio il messaggio per la prima
volta”, quello “faccio riecheggiare il messaggio già proclamato”: cf GROPPO G.,
Catecumenato antico, in AA.VV., “Dizionario di catechetica”, ed. LDC,
Leumann (TO) 1986, 133-136; HAMMAN A., Catecumeno
(catecumenato), in AA.VV., “Dizionario
patristico e di antichità cristiane”, Marietti, Casale Monferrato (AL)
1983, 627-629; WEGENAST K., katechoumenos
in AA.VV., “Dizionario dei concetti
biblici del NT”, EDB, Bologna 1976, 533-534: da questo studio risulta che
il termine katechoumenos si trova in
Gal 6,6 (cf At 18,25; Lc 1,4). TERTULLIANO definisce il catecumenato come
“noviziato della vita cristiana” [De
paenitentia VI,1]. Per il Vaticano II si
veda: SC 64-66; 109; AG 14; PO 5-6].
[113] «[I vescovi] Abbiano anche cura di ripristinare o di meglio adattare
ai nostri tempi l’istituto dei catecumeni adulti» (CD 14; cf AG 14).
[114] Cf ALBERICH E., Catecumenato
moderno, in «Dizionario di catechetica», op.cit., 136-139 (con ampia
bibliografia).
[115] Altri interventi del Concilio sul catecumenato si trovano in SC 109;
LG 14; CD 14; PO 5-6. Per quanto riguarda la riforma da apportare al Codice di
Diritto Canonico (cf AG 14) si veda CIC
206; 788; 1183.
[116] SINODO DEI VESCOVI 1977 [Messaggio al popolo di Dio, n. 8]: «Modello
di ogni catechesi è il catecumenato battesimale, che è formazione specifica
mediante la quale l'adulto, convertito alla fede, è portato fino alla
confessione della fede battesimale durante la veglia pasquale».
[117] FLORISTAN SAMANES C., Il catecumenato.
Una Chiesa in stato di missione, Paoline, Alba 1974; COSTA E., E' possibile oggi l'esperienza catecumenale
dei battezzati?, in Rivista di Pastorale Liturgica 60 (1973) 33-37;
CAVALLOTTO G., Itinerari catecumenali per
una Chiesa missionaria, in AA.VV., Chiesa
e missione, Urbaniana University Press, Roma 1990, 339-380.
[118] TERTULLIANO, Apologeticum
XVIII,4.
[119] La bibliografia è immensa e si rimanda pertanto a LOPEZ SAEZ J., Catequesis de adultos, catecumenado,
comunidad. Bibliografia, in «Actualidad Catequetica», 19 (1979) 92-93,
191-196. Diamo qui solo alcuni titoli per aree culturali: AMALORPAVADASS D.S., Adult Catechumenate and Church Renewal,
NBCLC, Bangalore 1970 [tr. it. Iniziazione
cristiana EMI, Bologna 1972]; MURPHY CENTER FOR LITURGICAL RESEARCH, Made, not Born. New Perspectives on Christian Initiation and the Catecumenate,
Univ. of Notre Dame Press, London 19803; SECRETARIADO NACIONAL DE CATEQUESIS -
DEPARTAMENTO DE CATEQUESIS DE ADULTOS, Iniciaciòn
al Catecumenado de Adultos, Madrid 1979; J. VAN DER MEERSCH, Etudes sur le renouveau du catéchuménat
surtout au Rwanda, Butare, Centre Catéchétique, 1977; FLORISTAN SAMANES C.,
Il catecumenato. Una Chiesa in stato di
missione, ed. Paoline, Alba 1974; CAVALLOTTO G., Itinerari catecumenali per una Chiesa missionaria, in AA.VV.,
«Chiesa e missione», UUP, Roma 1990, 339-380.
[120] Catechesi tradendae chiama
queste persone «quasi catecumeni» per i quali è necessaria una particolare
catechesi: «Tra questi adulti, che hanno bisogno di catechesi, la nostra preoccupazione
pastorale e missionaria va a coloro i quali, nati ed educati in regioni non
ancora cristianizzate, non hanno mai potuto approfondire la dottrina cristiana,
che le circostanze della vita un giorno hanno fatto loro incontrare; va a
coloro che hanno ricevuto nella loro infanzia una catechesi corrispondente a
quell'età, ma si sono poi allontanati da ogni pratica religiosa e si ritrovano,
in età matura, con cognizioni religiose piuttosto infantili; va a coloro che
risentono di una catechesi precoce, mal condotta o male assimilata; va a coloro
che, pur essendo nati in un paese cristiano, anzi in un contesto
sociologicamente cristiano, non sono mai stati educati nella loro fede e, come
adulti, sono dei veri catecumeni» (CT 44).
[121] Queste prescrizioni compaiono poi, con ulteriori specificazioni,
nella lettera apostolica di PAOLO VI, Ecclesiae
sanctae, con la quale vengono stabilite le norme per l'applicazione di
alcuni Decreti del Concilio Vaticano II, parte III. art 12, [6.8.1966]: AAS 58
(1966) 757-787. Simili raccomandazioni e insistenze sono presenti in diversi
documenti romani successivi: DCG 20. 130; EN 44. Il Codice di Diritto Canonico
ha adeguato le norme riguardanti il catecumenato ai cann. 206,1.2; 788,1.2.3.;
1183, 1.
[122] RITUALE ROMANUM, Ordo Initiationis
Christianae Adultorum [6.1.1972], Typis Polyglottis Vaticanis 1972, 19742.
Si tenga conto che già il 16.IV.1962, a Concilio convocato, venne promulgato
dalla SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Ordo
baptismi adultorum per gradus catechumenatus dispositus: AAS 54 (1962)
310-338.
[123] CEI, Premesse al «Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti»,
p.12, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1978.
[124] La documentazione più antica di un itinerario strutturato per
l'iniziazione cristiana si ha nella Tradizione apostolica di Ippolito agli
inizi del sec. III. Il periodo d'oro della iniziazione cristiana è il III
secolo fino agli inizi del IV; poi essa venne travolta e snaturata dal
presentarsi di masse imponenti che chiedono di essere battezzate senza che vi
fossero strutture adeguate per una loro conveniente iniziazione; altro motivo
di crisi, il prevalere del battesimo dei bambini a partire dal V secolo: cf
DELLA TORRE L., Iniziazione cristiana
degli adulti (Rito della), in «Dizionario di Catechetica», cit., 347-349;
ROCCHETTA C., Cristiani come catecumeni.
Rito della iniziazione cristiana degli adulti, Paoline, Roma 1984.
[125] OICA, Praenotanda n.1
[126] Per un approfondimento si rimanda a: NOCENT A., L'initiation chrétienne, leçons de lhistoire et perspective d'avenir,
in AA.VV., Liturgie en mission
(Papports et comptrendu de la XXXIIIa semaine de Missiologie), Louvain 1963;
ID., L'Ordo Initiationis Christianae
Adultorum: lignes Théologico-liturgiques du catécumenat, in Ephemerides Liturgicae 88(1974) 163-173;
ID., Iniziazione cristiana, in
SARTORE D. - TRIACCA A.M., “Nuovo dizionario di liturgia”, ed. Paoline, Roma
1984, pp.678-695; AMALORPAVADASS D.S., Adult Catechumenate and Church Renewal,
NBCLC, Bangalore 1970 [tr. it. Iniziazione cristiana EMI, Bologna 1972]; DELLA
TORRE L., Iniziazione cristiana degli
adulti (Rito della), in “Dizionario di Catechetica”, cit., 347-349; ROCCHETTA C., Cristiani come catecumeni. Rito della iniziazione cristiana degli
adulti, Paoline, Roma 1984; SARTORE D.,
Liturgia e catechesi: l'esperienza della Chiesa dei Padri, in FALSINI R. (a
cura di), Liturgia e catechesi
nell'Iniziazione cristiana, Ed. OR, Milano 1985, 27-44; BOROBIO D., Proyecto de Iniciación cristiana. Como se
hace un cristiano? Como se renueva una comunidad, Desclée de Brouwer,
Bolbao 1980; DUJARIER M., L’Initiation
chrétienne des adultes. Commentaire historique et pastorale du nouveau rituel
(= Traveaux et recherches de l’Institut Catholique d’Afrique de l’Ouest, 2),
Abidjan 1983; BOURGEOIS H., L’iniziazione
cristiana e i suoi sacramenti, LDC, Leumann (TO) 1987.
[127] Il sostantivo «catechesi» non si trova nel NT, dove invece appare il
verbo katechein [letteral.:
risuonare, far risuonare] col significato di: istruire, insegnare oralmente,
raccontare (Lc 1,4; At 18,25; 21,21; Rom 2,18; 1 Cor 14,19; Gal 6,6); è un
insegnamento di esplicitazione e approfondimento (che fa seguito al primo
annuncio o kêrygma); in epoca
apostolica il termine «catechesi» assume un significato tecnico di insegnamento
fondamentale della fede cristiana all'interno dell'istituzione catecumenale. Si
hanno catechesi battesimali (prima del battesimo) e catechesi mistagogiche (ai
neofiti dopo il battesimo): cf ALBERICH E., Catechesi,
in «Dizionario di catechetica», cit., 104-108; COCCHINI F., Catechesi, in AA.VV., «Dizionario
patristico e di antichità cristiane», Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983,
622-627.
[128] I riti principali di questo tempo sono: gli scrutini, le traditiones
o consegne del Credo e del Pater, e le redditiones o riconsegne; l'effatà o
apertura delle orecchie; la scelta del nome cristiano; l'unzione catecumenale.
[129] Nella letteratura patristica il termine «mistagogìa» ha rapporti con
l'evoluzione semantica del termine mysterion e significa «iniziazione ai
misteri», condurre (= ago) il «mystês» nella luce di Dio. Ulteriori indicazioni
in GIGLIONI P., Nuova evangelizzazione e
catechesi mistagogica, in Euntes
Docete, 2 (1993) 257-275.
[130] Su questa linea si è mossa la Conferenza Episcopale Italiana con il
progetto «Evangelizzazione e sacramenti» [12.7.1973]. «Nella nostra situazione
italiana la maggior parte di adulti hanno già ricevuto il battesimo e sono
avviati, in qualche modo, alla vita cristiana.
Molte volte, però, tutto questo avviene più per un fatto di tradizione
che per una scelta e una convinzione di fede. Si impone pertanto un'azione
pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e
personale della propria fede. Tutto questo è possibile mediante una catechesi
permanente o catecumenato, che segua gradualmente il cristiano dall'infanzia
alle successive fasi della vita e in particolare dai sacramenti
dell'iniziazione cristiana fino ai sacramenti dell'ordine e del matrimonio.
Questa catechesi permanente o catecumenato, in una accezione molto ampia ed analogica,
si presenta come il cammino di fede e di conversione con cui l'uomo, mosso
dall'annuncio della Buona Novella, viene gradualmente introdotto nel mistero di
Cristo e nella vita della Chiesa. L'anno liturgico ha mantenuto, nel suo ritmo
sacramentale, la struttura dell'antica istituzione del catecumenato: la
quaresima ne costituisce il tempo forte e la pasqua il culmine. E' questo
l'itinerario catecumenale proprio dell'intera comunità, e adatto a tutte le età
della vita umana. Iniziazione cristiana e itinerari catecumenali. L'Ordo initiationis christianae adultorum,
prevede l'introduzione nella pastorale di vari itinerari catecumenali. Non si tratta evidentemente di rievocare
metodi di altri tempi, nè proporre ricette, o introdurre rigide strutture:
bensì di suscitare uno spirito, una mentalità, che possa tradursi in forme
diverse di applicazione, ma che animi tutto l'impegno della catechesi, cui è
particolarmente chiamata la Chiesa oggi in Italia. Tali itinerari catecumenali
potranno applicarsi: agli adulti non ancora battezzati; agli adulti battezzati
che chiedono di ricevere la cresima o di celebrare il matrimonio; ai ragazzi e
agli adolescenti che non hanno ricevuto il battesimo o che si preparano
all'eucaristia e alla confermazione. E'
evidente che in tutti questi casi la preparazione non può essere improvvisata o
affrettata. Si tratta, in ogni modo, di una progressiva esperienza di vita di
fede, intimamente connessa e sostenuta dai sacramenti dell'iniziazione
cristiana. Essa si compie mediante:
- la conoscenza della storia della salvezza,
che ha il suo centro in Cristo morto e risorto e la sua perenne attualizzazione
nella vita e nella missione della Chiesa;
- un progressivo cambiamento di mentalità e
di costume, ispirato all'insegnamento di Cristo;
- l'accettazione delle prove e dei sacrifici,
che si accompagnano sempre alla vita umana, con la coscienza di partecipare, in
modo più diretto, alla passione di Cristo;
- l'iniziazione alla preghiera e alla
celebrazione liturgica, che attualizza la salvezza di Cristo e abilita
all'impegno e alla testimonianza.
Tutto questo cammino deve realizzarsi
all'interno della comunità cristiana ed implica un inserimento progressivo nel
mistero di Cristo.
E' necessario pertanto
che questo itinerario catecumenale coinvolga la famiglia e l'intera comunità
dei fedeli. “Non va dimenticato che la Chiesa locale fa catechesi
principalmente per quello che essa è, in progressiva, anche se imperfetta,
coerenza con quello che dice” (RdC 145).
Quanto mai urgente
appare un catecumenato post-crismale, che segua cioè i nuovi cresimati e li
aiuti ad inserirsi con responsabilità nella Chiesa, assumendo l'impegno
cristiano nel loro ambiente di vita. In
tal modo si eviteranno quei “vuoti” tanto deleteri e purtroppo presenti nella
nostra attuale prassi pastorale. Molto opportunamente le tappe di questo
itinerario post-battesimale, che arriva fino alla giovinezza e oltre, saranno
contrassegnate dalla preparazione del cristiano a una professione di fede,
sempre più cosciente e più matura, da rinnovarsi con una certa frequenza, in
situazioni di particolare impegno e significato. Soprattutto attraverso questa
permanente catechesi si aiuteranno i ragazzi e i giovani alla ricerca e alla
scoperta della propria vocazione personale e saranno accompagnati nelle scelte
fondamentali della vita.
In modo particolare sarà impegno della
comunità e, all'interno di essa, precipua cura dei sacerdoti, degli educatori e
dei genitori, cercare, incoraggiare, sostenere le vocazioni sacerdotali e
religiose» (ECEI 2/473-482-483).
Sull’importanza
dell’OICA per una pastorale missionaria gli
stessi vescovi italiani hanno detto: «Auspichiamo che questo testo
diventi una feconda sorgente ispiratrice di iniziative di evangelizzazione, di
catechesi e di esperienze comunitarie» [CEI, Premesse al «Rito dell'iniziazione
cristiana degli adulti», p.14, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano
1978]
[131] Per un commento di veda GIGLIONI P., I sacramenti di Cristo e della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1994, pp. 33-38.
[132] Negli Atti degli Apostoli è ben evidenziato il rapporto di
continuità tra predicazione evangelica e crescita della comunità; già nel
primo”grande sommario” di At 2 si dice:”Intanto il Signore ogni giorno
aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At 2,48);”Intanto la parola
di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli” (At
6,7; cf At 10,44-48; 11,20-21; 13,48; 14,21, ecc.). Si veda anche il metodo
apostolico di san Paolo in Rom 15,20-23.
Anche i Padri della
Chiesa hanno affermato che gli Apostoli, seguendo l'esempio di Cristo,
“predicarono la parola della verità e generarono le
chiese”: AG 1 che cita S. Agostino, Enarr.
in Ps. 44, 23: PL 36, 508; CChr 38, 510.
[133] Il decreto Ad gentes ritorna più volte su questo che
considera “fine specifico dell'attività missionaria” (AG 6). Il Concilio si è
limitato a dire che l'evangelizzazione e la “plantatio ecclesiae” sono il “fine
specifico dell'attività missionaria” (AG 6); e Redemptoris missio 48 la considera”una mèta centrale e qualificante
dell'attività missionaria”; non quindi il fine unico e ultimo della Chiesa
missionaria, come invece intendeva la cosiddetta “scuola di Lovanio” [P.
Charles; A. Seumois]; quando si sarà consolidata la “plantatio ecclesiae”, non
per questo cesserà l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese
particolari già organizzate continuarla, portando il proprio contributo a
vantaggio di tutta quanta la Chiesa predicando il vangelo ai singoli che sono
ancora fuori di esse; una Chiesa si potrà dire “matura” quando, una volta
evangelizzata, diventerà essa pure evangelizzatrice mandando “dalla sua
povertà” missionari Ad gentes (AG 20;
RMi 64 (che cita Puebla 2941); la base
è biblica: 2 Cor 8,13).
[134] NUNNENMACHER E., Impiantazione
della Chiesa, in AA.VV., Dizionario
di Missiologia, op. cit.,
277-280.
[135] Questo concetto ritorna anche in AG 32 e sta alla base del CIC 786
dove si parla dell'“azione propriamente missionaria”.
[136] Per un commento al significato di “mezzi appropriati” (AG 6; CIC can
787-790), cf GARCIA MARTIN J., Medios
adecuados del misionero en la implantacion de la Iglesia, in ”Commentarium pro Religiosis et Missionariis” LXIX (1988) 385-410.
[137] In AG 6 si specifica: “con il battesimo si è aggregati alla Chiesa che...riceve nutrimento e
vita dalla parola di Dio e dal pane eucaristico”. Più oltre AG 9 dice
che la missione “con la parola e la predicazione, con
la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la SS. Eucaristia,
rende presente quel Cristo, che della salvezza è l'autore”. Già LG 64 aveva
detto “[la Chiesa] per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà, diventa
essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita
nuova e immortale i figlioli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da
Dio”.
[138] Cf Sacrosanctum Concilium
6 e Ad
gentes 9. Per un commento si veda GIGLIONI P., Salvezza liturgia e inculturazione, in AA.VV., «La salvezza oggi»,
Atti del Congresso Internazionale di Missiologia, UUP, Roma 1989, 383-396 [anche
in Euntes Docete 3 (1989) 461-472].
[139] La SS. Eucaristia è centro e
vertice non solo della Liturgia, ma di tutta la vita cristiana (cf AG 9; Eucharisticum Mysterium 7.13; DCG 58,
134.3; RH 20; CIC 608; PdV 48).
[140] Cf GIGLIONI P., Liturgia,
in AA.VV., Dizionario di Missiologia,
op. cit., pp.323-327.
[141] SC 10a: «Il lavoro apostolico è ordinato a che tutti, diventati
figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea,
lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del
Signore». L'evangelizzazione non è fine a se stessa; essa tende al sacramento,
non solo nel senso che lo precede, ma anche perché entra nella vera e propria
celebrazione sacramentale, e nel sacramento raggiunge tutta la sua pienezza:
dai sacramenti infatti nasce la Chiesa.
[142] SC 10b: «A sua volta la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei
sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione e domanda che esprimano nella
vita quanto hanno ricevuto mediante la fede»; si veda anche PO 6: «La
celebrazione eucaristica, per essere piena e sincera deve spingere sia alle
diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all'azione missionaria e alle
varie forme di testimonianza cristiana»; anche LG 11 indica l'impegno
apostolico derivante dai sacramenti: il battesimo ci spinge a professare
pubblicamente la fede ricevuta da Dio mediante la Chiesa; la confermazione ci
obbliga a diffondere e a difendere la fede come veri testimoni di Cristo;
l'unzione degli infermi permette di contribuire al bene del popolo di Dio; il matrimonio
abilita i coniugi ad essere i primi annunciatori della fede per i loro figli.
Si veda anche AG 36.
[143] Evangelii nuntiandi 47. Di
grande utilità il documento pastorale della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Evangelizzazione e sacramenti [12.7.1973]:
ECEI 2/385-506.
[144] LOPEZ GAY J., Missione e
liturgia, in AA.VV., Chiesa e
missione, Studia Urbaniana 37, Urbaniana University Press, Roma 1990, pp.
381-505; dello stesso autore anche la voce Missioni
e liturgia in AA.VV., Nuovo
dizionario di liturgia, ed. Paoline, Roma 1984, pp. 855-863 (con ampia
bibliografia); NOCENT A., L'annuncio del
Vangelo nella liturgia, in AA.VV., L'annuncio
del Vangelo oggi, Urbaniana University Press, Roma 1977, 223-236; GIGLIONI
P., Liturgia, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, op. cit., pp.323-327.
[145] Fin dall’inizio il Signore Gesù chiamò a sé quelli che egli volle;
ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare (cf Mc
3,13; Mt 28,19s; AG 5). Da qui deriva alla Chiesa l’impegno di diffondere la
fede e la salvezza di Cristo, sia in forza dell’esplicito mandato (Mt 28,18-20;
Mc 16,15-18; Lc 24,46-49; Gv 20,21-23), sia in forza di quella vita che Cristo
comunica alle sue membra (cf Ef 4,16).
[146] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, L'interpretazione dei dogmi, «La Civiltà cattolica 141 (1990)
3356/II [21.4.1990] 144-173; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,
Istruzione Donum veritatis
sulla vocazione ecclesiale del teologo [24.05.1990]:
AAS 82 (1990) 1550-1570; [versione italiana: Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1990].
[147] Cf RdC 25; GIGLIONI P., La
nozione di “nuova evangelizzazione” nel Magistero, in Seminarium XXXI/1 [1991]35-56); ID., Perché una “nuova” evangelizzazione, in Euntes Docete 1 (1990) 5-36.
[148] Cf SEGRETARIATO PER LA PROMOZIONE
DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Direttorio ecumenico. I. Ad totam ecclesiam [1967] e II: Spiritus
Domini [1970]: AAS 59 (1967) 574-592; AAS 62 (1970) 705-724; EV
2/1194-1292; ID., Direttorio per
l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, [25.03.1993]: AAS 85 (1993) 1039-1119.
[149] Cf SEGRETARIATO PER I NON
CRISTIANI, L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre
religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo
e missione (4.9.84): AAS 76 (1984) 816-828; PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO - CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e
orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù
Cristo, [19.5.1991]:
AAS 84 (1992) 414-446; cf ACHARUPARAMBIL D., Dialogo interreligioso, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, op.
cit., 177-182.
[150] Cf Eucharisticum mysterium 10; SC 51; PO 18; DV 21; AG 6; IGMR 8; OLM
10.
[151] Cf GIGLIONI P., La omelia
nella prassi liturgica. Natura, funzioni, qualità, tempo e luogo, in Rivista Liturgica 1 (1984) 33-51.
[152] SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter oecumenici per l’esatta applicazione della
Costituzione liturgica, n. 54 [26 settembre 1964], AAS 56 (1964) 877-900.
[153] Tenere nella massima considerazione la norma offerta da Gaudium et spes n. 44: «L’adattamento della predicazione della Parola rivelata deve rimanere legge di ogni evangelizzazione» [vedere però tutto il paragrafo].
[154] Rito dell’Istituzione degli
accoliti, in CEI, Istituzione dei
ministeri, Consacrazione delle vergini, Benedizione abbaziale, in Pontificale Romano, ed. CEI, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1980: ECEI 3/493-497.
[155] CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per l ministero e la vita dei presbiteri [31.01.1994], nn. 45-47, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994.
[156] Seguiamo qui le indicazioni offerte dalla CONGREGAZIONE PER
L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida pastorale Le giovani Chiese per i sacerdoti diocesani delle Chiese dipendenti
dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, 1.10.1989, [edd. ingl. fr. spagn].
[157] Cf SACRA CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E
IL CULTO DIVINO, Istruzione Inaestimabile donum su
alcune norme circa il culto del mistero eucaristico, 3 aprile 1980: AAS 72 (1980)
331-343; GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Vicesimus quintus annus nel XXV anniversario della Costituzione
conciliare «Sacrosanctum Concilium»
sulla sacra liturgia [4.12.1988]: AAS 81 (1989) 898-918.
[158] Sul ruolo evangelizzante della Liturgia, così si esprime la Costituzione liturgica: «La Liturgia...contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa» (SC 2); inoltre «irrobustisce in modo mirabile le forze per poter predicare il Cristo» (SC 2); cf GIGLIONI P., Liturgia, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, op. cit., 323-327.
[159] Cf CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio Christi ecclesia per le celebrazioni
domenicali in assenza di presbitero, 2.6.1988: Notitiae 263/24 (1988) 379-392 [379-392 la versione italiana].
[160] Ulteriori indicazioni in GIGLIONI P., Directoire pour les célébrations dominicales en l’absence de prêtre,
in Omnis Terra, Union Pontificale
Missionnaire, Roma 251 (1989) 169-172.
[161] Questo testo di AG fa riferimento all’enciclilca missionaria Maximum Illud (1919) di Benedetto XV; il
Pontefice raccomanda una adeguata istruzione e formazione. Anche Pio XI con
l’enciclica Rerum Ecclesiae (1926)
ribadisce la straordinaria importanza del clero autoctono, stigmatizza il pregiudizio
che stima gli indigeni come razza inferiore e di ingegno ottuso. Nel 1913 i sacerdoti africani erano 25; nel
1933 erano 366. Nel 1950 c’erano in Africa 89 seminari maggiori con 4291
studenti di filosofia e di teologia ed il numero dei sacerdoti era salito a
1096 [in Asia erano invece 6751]. La rapida crescita del numero dei sacerdoti
autoctoni si desume dai seguenti dati: tra il 1958 e il q986 furono ordinati
6196 sacerdoti africani, 7939 sacerdoti asiatici e 388 sacerdoti autoctoni
dell’Oceania con un totale di 15.088 sacerdoti.
[162] Già nel 1518 si ebbero i primi sacerdoti nell’Africa nera.
Propaganda Fide fin dal 1659 dava istruzioni perché i giovani indigeni
arrivassero al sacerdozio e anche alla dignità vescovile: cf HENKEL W., Clero autoctono, in Dizionario di Missiologia, EDB, Bologna 1993, 111-115.
[163] PAOLO VI, Lettera apostolica motu proprio data Sacrum Diaconatus Ordinem con la quale
si danno le norme generali per il ripristino nella Chiesa latina del Diaconato
permanente, 18 giugno1967: AAS 59 (1967) 697-704; PAOLO VI, Littera apostolica
motu proprio data Ad pascendum con la
quale si stabiliscono alcune norme riguardanti il sacro Diaconato, 15 agosto
1972: AAS 64 (1972) 534-540;
[164] Puebla 1307.
[165] Cf PINTOR S., Per una teologia
pastorale in prospettiva missionaria, in «Euntes Docete» XLII (1989) 3, 423-440; CANOBBIO G., Fondamenti teologici della pastorale
missionaria, in «Via Verità e Vita» 124 (1989) 28-35.
[166] Cf GIGLIONI P., Ministeri e
servizi per la missione. La vocazione di ciascuno per il bene di tutti,
EDB, Bologna 1990; Id., Ministerialità
missionaria laicale, in AA.VV., «Chiesa e missione», UUP, Roma 1990,
227-268.
[167] Secondo il CIC can. 230,1.2.3 i laici possono assolvere i seguenti
incarichi liturgici: lettore e accolito; presiedere le preghiere liturgiche,
amministrare il battesimo; distribuire la sacra comunione; presiedere al
matrimonio. Dai vari rituali poi emergono altre forme ministeriali liturgiche
laicali: ministero del conforto e del sollievo (OUI 32-36), ministero del suffragio
(OE 16), ministeri nell'iniziazione cristiana (OICA 7; OBP 16), ministero delle
benedizioni, liturgia delle ore (IGLH 20.27.258), ministeri verso i fanciulli
(DMP 24); ministeri e servizi nella Messa: accoglienza, parola, canto,
preghiera, offerta (IGMR 58-72): per un approfondimento cf GIGLIONI P., Ministeri e servizi nella liturgia, in
«Liturgia» 329-330 (1981) 12-22.
[168] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post sinodale Christifideles laici su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo [30.12.1988] n.23.28.29.64: AAS 81 (1989) 393-521
[169] Anzitutto la carità verso il prossimo «anima di ogni apostolato» (AA
3); promuovere la dignità della persona, venerare l'inviolabile diritto alla
vita, difendere i diritti delle coppie e della famiglia, impegno per il bene
comune, impegno nella vita economica e sociale, evangelizzazione della cultura
e delle culture dell'uomo,
[170] Sul ruolo della donna nella comunità missionaria si veda GIGLIONI
P., Donna: ministero e missione, in Euntes Docete 3 (1989) 441-469.
[171] Cf SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum
laboris per l'VIII assemblea generale ordinaria del Sinodo del vescovi [13.07.1990],
n. 17: L’Osservatore Romano 14.07.1990.
[172] Cf SACRA CONGREGATIO PRO CLERICIS, Lettera circolare Presbyteri sacra sui Consigli
presbiterali [11.04.1970]: AAS 62 (1970) 459-465.
[173] Cf SACRA CONGREGATIO PRO CLERICIS, Lettera circolare Omnes christifideles sui Consigli
pastorali [15.01.1973]: EV 4/1902-1923. Si veda
anche PAOLO VI, Littera apostolica motu proprio data Ecclesiae Sanctae, con la quale si stabiliscono le
norme per l’applicazione di alcuni Decreti del Vaticano II, 6 agosto 1966 [nn. 15.16.17]:
AAS 58 (1966) 757-787.
[174] Christifideles laici 30 offre alcuni «criteri di ecclesialiltà» per le aggregazioni laicali: il primato della santità; la responsabilità di confessare la fede cattolica, la testimonianza di una comunione salda e convinta con il Papa e con il Vescovo, la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, l’impegno di una presenza nella società umana.
[175] Cf CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Documento
In questi ultimi decenni, Orientamenti per lo studio dell'insegnamento della dottrina sociale
della Chiesa nella formazione sacerdotale, OR 28.6.1989; CEI - COMMISSIONE
ECCLESIALE «GIUSTIZIA E PACE», Educare
alla legalità, Regno-Doc 21
(1991) 681-688.
[176] CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti per la
formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale
(Dio sommo bene) [19.3.1986]; cf anche PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI
SOCIALI, Istruzione pastorale Aetatis
novae sulle Comunicazioni sociali nel ventesimo anniversario della
promulgazione dell’Istruzione pastorale «Communio et progressio», 22.02.1992:
AAS 84 (1992) 447-468; Card. C.M. MARTINI, Il lembo del mantello. Per un incontro tra Chiesa e mass-media, in Regno-Doc 3 (1992) 98-118; CARD. R. MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles, Lettera pastorale In dialogo con Hollywood [15.09.1992], in Regno-Doc 9 (1993) 302-309;
COMITATO CENTRALE DEI CATTOLICI TEDESCHI, Chiesa e opinione pubblica, in Regno-Doc 3 (1992) 119-128.
[177] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap Familiaris
consortio sui compiti della famiglia cristiana nei tempi odierni
[22.11.1981]: AAS 73 (1981) 81-191 [specialmente la Parte IV: La pastorale
familiare: tempi, strutture, operatori e situazioni: pastorale
pre-matrimoniale; pastorale post-matrimoniale; i casi difficili: matrimoni
misti, divorziati...]; CENFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Pastorale familiare e contesto politico [18.05.1993], Regno-Doc 11 (1993) 333-339; VESCOVI
DELL’OBERRHEIN (GERMANIA), Per
l’accompagnamento pastorale di persone con matrimoni falliti, divorziati e
divorziati risposati [10.07.1993], in Regno-Doc
19 (1993) 613-622 [vedere però la rettifica di questa posizione
nella Lettera dei vescovi dell’Oberrhein,
in Regno-Doc 19 (1994) 581-583] ; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Direttorio
di pastorale familiare per la Chiesa in Italia, ed. Fondazione “Santi
Francesco d’Assisi e caterina da Siena”, Roma 1993 [tra l’altro: la pastorale
delle famiglie in situazione difficile o irregolare; le strutture e gli
operatori della pastorale familiare]; Card. G. SALDARINI, Riempite d’acqua le anfore,
Regno-Doc 19 (1991) 600-612
[matrimonio, fidanzamento, incontri di preparazione, pastorale per le giovani
coppie, sacerdote e famiglia].
[178] PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA
PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Direttorio
per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo, [25.03.1993]: AAS 85 (1993) 1039-1119, [comunione, sette, dialogo, collaborazione pastorale e
nell’attività missionaria]; SEGRETARIATO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI
CRISTIANI, Direttorio ecumenico. I. Ad
totam ecclesiam [1967] e II: Spiritus
Domini [1970]: AAS 59 (1967) 574-592; AAS 62 (1970) 705-724; CONFERENZA
EPISCOPALE ITALIANA, Nota pastorale La
formazione ecumenica nella Chiesa particolare, a cura del Segretariato per
l'Ecumenismo e il Dialogo [2.2.1990]: ECEI 4/2187-2231.
[179] PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Il fenomeno della tossicodipendenza, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 1992 [Regno/doc 13 (1992) 407-413]; CELAM, Seminario su Traffico di droga e pastorale,
[Bogotà 12-14.02.1993], in Boletin CELAM 253, aprile 1993, supplemento; Regno-Doc 21 (1993) 694-698; VESCOVI E PASTORI DELLE ANTILLE E
DELL’AMERICA LATINA, Debito estero e
traffico di droga [Kingston 4-9 giugno 1990], in Regno-Doc 5 (1991) 183-188; CEI, Consulta per la sanità e
l’assistenza, Droga e handicap, in Regno-Doc 11 (1991) 375-378 [aspetti
pastorali del problema della tossicodipendenza; riflessi pastorali delle
condizioni di vita dei portatori di
handicap]; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER GLI OPERATORI
SANITARI: Chiesa e AIDS: prevenzione e
assistenza solidale (La Santa Sede alla Conferenza internazionale sull'AIDS):
Regno/Doc 3 (1990) 123ss; AIDS IN AFRICA
[ WALIGGO J.M., Uganda: la Chiesa
in situazione di AIDS; KANYAMACHUMBI P., Zaire: AIDS e contesto socio-culturale], in Regno-Doc 13 (1993)
423-428; CONFERENZA DEI VESCOVI D’INGHILTERRA E GALLES, Preghiera eucaristica per i sordi, in Regno-Doc 1 (1993) 49-51; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,
Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica
sulla cura pastorale delle persone omosessuali, in EV 10/902ss; Regno-Doc 21 (1986) 650ss; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Diritti sociali delle persone omosessuali,
in Regno-Doc 15 (1992) 466-468; CEI, Consulta per la
sanità e l’assistenza, Droga e handicap,
in Regno-Doc 11 (1991) 375-378
[aspetti pastorali del problema della tossicodipendenza; riflessi pastorali
delle condizioni di vita dei portatori di handicap].
[180]CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Lettera circolare Il fenomeno della mobilità [La pastorale
della mobilità umana nella formazione dei futuri sacerdoti], [25.1.1986]: EV
10/5-24; PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E DEL
TURISMO, Lettera circolare Nella sua
sollecitudine alle conferenze episcopali sul tema «Chiesa e mobilità umana»
[26.5.1978]: AAS 70 (1978) 357-378 [A. Pastorale degli emigranti; B. Apostolato
del mare; C. Pastorale dell'aviazione; D: Pastorale dei nomadi; E: Pastorale
del turismo; F: Apostolato della strada]; PAOLO VI, Lett. ap. in forma di Motu
proprio, Pastoralis migratorum cura
con la quale si stabiliscono nuove norme sulla cura pastorale dei migranti [15.8.1969]:
AAS 61 (1969) 601-603; SACRA CONGREGAZIONE DEI VESCOVI, Istruzione Nemo est sulla cura pastorale dei
migranti [22.8.1969]: AAS 61 (1969) 614-643; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Pastori
senza frontiere. Incontro di Lusaka sui rifugiati [5-9. 01.1993], Regno-Doc 9 (1993)316-318 [in inglese:
Origins 22 (1993) 35, 11.2.1993, 589-593]; PONTIFICIO CONSIGLIO COR UNUM -
PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, I rifugiati, una sfida alla solidarietà,
in Regno-Doc 19 (1992) 590 - 595; CEI
- Commissione ecclesiale per le migrazioni, Ero
forestiero e mi avete ospitato [4.10.1993] [III: la pastorale della Chiesa
per e con gli immigrati; IV: Evangelizzazione, promozione umana..degli
immigrati; VI: l’orizzonte missionario: una fede che si diffonde].
[181] Cf SACRÉE CONGRÉGATION POUR L'ÉDUCATION CATHOLIQUE, I: Lettre Malgré les déclarations aux présidents
des conférences épiscopales pour présenter le document sur l'école catholique,
24 juin 1977; - II. Document L'école catholique, 19 mars 1977: Typographie
Polyglotte Vaticane, 1977; SACRÉE CONGRÉGATION POUR L'ÉDUCATION CATHOLIQUE ET
CONSEIL DES LAICS, La pastorale
universitaria [15.7.1976], in EV 5/2067-2096; CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Insegnare la religione
cattolica oggi, Regno-Doc 15 (1991) 478-485.
[182] CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Documento In questi ultimi decenni. Orientamenti
per lo studio e l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella
formazione sacerdotale, 30.12.1988: OR 28.6.1989; CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA, Evangelizzare il sociale,
in Regno/Doc 1 (1993) 11-30. [La nuova evangelizzazione del sociale; la
dottrina sociale della Chiesa; evangelizzare il lavoro, l’economia e la
politica; il metodo della pastorale sociale; lo spirito missionario;
organizzazione della pastorale sociale]; CONFERENZA EPISCOPALE DI AUSTRALIA,
Lettera pastorale Ricchezza comune per il
bene comune, in Regno-Doc 13
(1993) 398-410 [originale inglese:
Common Wealth for the Common Good, in Catholic International 3 (1992) 20, 15-30.11.19923, 971ss]; EPISCOPATO CANADESE, Messaggio pastorale Una disoccupazione diffusa: appello a
mobilitare le forze sociali della nazione, IN Regno-Doc 13 (1993) 411-416; EPISCOPATO FRANCESE, Commissione sociale,
Politica, compito di tutti
[25.09.1991], in Regno-Doc 5 (1992)
159-166 [testo francese: Politique: affaire de tous: La Documentation
Catholique 73 (1991) 2039, 1.12.1991, 1040-1050; EPISCOPATO FRANCESE. CONSIGLIO
PERMANENTE, Dichiarazione Rispettare l’uomo
vicino alla morte, in Regno-Doc 5
(1992) 167-171 [ed. francese: La
Documentation Catholique, 73 (1991) 2036, 20.10.1991]; CONFERENZA EPISCOPALE
DELLO ZAMBIA, Un secolo di
evangelizzazione, in Regno-Doc 5
(1992) 172-177 [storia, sfide,annuncio, ministeri, inculturazione, giustizia e
pace,famiglia, donna, giovani, aids]; CONFERENZA EPISCOPALE VESCOVI BRASILIANI,
Chiesa e questione ecologica, in Regno-Doc 15 (1992) 485-494; DICHIARAZIONE DI RIO, Carta dei diritti della terra, in Regno-Doc 19 (1992) 635-637; Card. A. CASAROLI, Discorso al vertice CSCE di Parigi [19.11.1990], I diritti dell’uomo e dei popoli, in Regno-Doc 1 (1991) 5-7; GIOVANNI PAOLO II IN BRASILE, Evangelizzazione e giustizia, Regno-Doc 21 (1991)653-657; CEI -
COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, La pastorale per i politici, Regno-Doc 21 (1991) 677-680; CEI - COMMISSIONE ECCLESIALE «GIUSTIZIA E PACE», Educare alla legalità, Regno-Doc 21 (1991) 681-688; CEI -
La pastorale nel mondo del lavoro
[19.01.1972], in Enchiridion Cei Volume 1 - Documenti
pastorali per la Chiesa Italiana (1954-1972), 4037-4060; ONU - Conferenza
mondiale sui diritti umani dell’uomo, Dichiarazione di Vienna [14-25.06.1993], Regno-Doc 1 (1994) 53-64; CEI, Commissione episcopale per i problemi
sociali e il lavoro, Democrazia
economica, sviluppo e bene comune [16.06.1994], Regno-Doc 15 (1994)
493-505.
[183] GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti della Chiesa Cattolica I giovani nel lavoro pastorale dei sacerdoti
[31.3.1985]: AAS 77 (1985) 728-740; ID., Lett. ap. Parati semper, ai giovani nell'anno internazionale della gioventù
[31.3.1985]: AAS 77 (1985) 579-628; [vedere anche GIOVANNI PAOLO II, Lettera Iuvenum patris su s. Giovanni Bosco
padre e maestro dei giovani [31.01.1988]: AAS 80 (1988) 969-987.
[184] CONSIGLIO INTERNAZIONALE PER LA CATECHESI (COINCAT), La catechesi degli adulti nella comunità
cristiana. Alcune linee e orientamenti, Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano 1990; CENTRO NAZIONALE DEL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO IN
FRANCIA, La formazione cristiana degli
adulti. Una guida teorico pratica per la catechesi, EDB, Bologna 1988
[titolo originale: Formation chrétienne
des adultes. Une guide théorique et pratique pou la catéchèse, ed. Desclée de Brouwer, Paris
1986]; ALBERICH E. - A. BINZ, Forme e
modelli di catechesi con gli adulti, LDC, Leumann (TO) 1995.
[185] SEGRETARIATO PER L'UNIONE
DEI CRISTIANI - SEGRETARIATO PER I NON CRISTIANI - SEGRETARIATO PER I NON
CREDENTI - PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA CULTURA, Rapporto provvisorio Il fenomeno delle sètte o nuovi movimenti
religiosi basato sulle risposte a un apposito questionario e sulla
documentazione pervenute al 30 ottobre 1985 dalle conferenze episcopali
regionali e nazionali, 7 maggio 1986: L'Osservatore
Romano 7.5.1986; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Segretariato per
l’ecumenismo e il dialogo, L’impegno
pastorale della Chiesa di fronte ai nuovi movimenti religiosi e alle sètte
[30.05.1993], in Regno-Doc 15 (1993)
466 - 477; ESPISCOPATO DEL SUDAN,
Lettera pastorale sul dialogo Prestatemi
ascolto [02.05.1993], in Regno-Doc
13 (1993) 417-422; Card. C.M. MARTINI, Noi e l’Islam, in Regno-Doc 3 (1991) 88-92 [quale dialogo; non rinunciare
all’evangelizzazione]; Card. J.
TOMKO, La sfida
delle sette e l’annuncio di Cristo unico Salvatore [Concistoro
straordinario: 4-6.04.1991], in Regno-Doc
11 (1991) 356-357; Card. F: ARINZE, La sfida delle sette: un approccio pastorale,
[Concistoro straordinario: 4-6.04.1991], in Regno-Doc
11 (1991) 357-362; CONFERENZA
EPISCOPALE TOSCANA, Nota pastorale A
proposito di magia e demonologia, in Bollettino diocesano 2 (1994) 186-214;
Card. G. DANNEELS, Lettera pastorale Cristo
o l’Acquario, Regno-Doc 13 (1991)
415-424 [New Age; nuovi movimenti
religiosi].
[186] VESCOVI DEL GUATEMALA, Quinientos
años sembrando el Evangelio, Lettera pastorale [15.08.1992], in Regno-Doc 3 (1993) 99-115 [in specie la
parte III]. VESCOVI DEL PERU’, Pace in
terra [Lima 1991: Paz en la tierra,
SIAL n.3, 29.2.1992, 14ss]. VESCOVI DEL NICARAGUA, Lettera pastorale Realizzare lo stato di diritto
[24.11.1991], in Regno-Doc 11 (1992)
366-370 [SIAL n.2, 15.2.1992, 24ss]. VESCOVI DE MALAWI, Lettera pastorale Vivere la nostra fede [quaresima 1992],
in Regno-Doc 11 (1992) 374-377.
GIOVANNI PAOLO II, Messaggio agli
indigeni e agli Afroamericani [s. DOMINGO 1992], IN Regno-Doc 21 (1992) 658-660. CONFERENZA DI SANTO DOMINGO, Messaggio ai popoli dell’America Latina e
dei Caraibi [Linee pastorali verso le culture], in Regno-Doc 21 (1992) 661ss.
[187] VESCOVI DEL GUATEMALA, Quinientos
años sembrando el Evangelio, Lettera pastorale [15.08.1992], in Regno-Doc 3 (1993) 99-115 [in specie la
parte II: L’evangelizzazione e le culture]; DOCUMENTO DI SANTO DOMINGO,
Conclusioni nn. 228-285; GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica
post-sinodale Ecclesia in Africa [14.09.1995],
in L’Osservatore Romano 16.09.1995
[Cap. III: evangelizzazione e inculturazione: nn.55-71].
[188] Cf Christifideles laici
22.
[189] Cf CONGREGATION POUR L'EVANGELISATION DES PEUPLES, Guide de vie pastorale pour les pretres
diocesains des Eglises qui dependent de la Congregation pour l'Evangelisation
del Peuples [1.10.1989]: n. 10, EV 11/2551-2553; su questo argomento
già abbiamo parlato nell’Introduzione al presente volume.
[190] SACRÉE CONGREGATION POUR
L'EVANGELISATION, Lettre circulaire aux Ordinaires des lieux Notre temps sur l'action missionnaire
des laïcs, 17 maii 1970: BiM 34 (1970) 197-212; EV 3, 2508-2542; CEI, Commissione Episcopale
per la Cooperazione tra le Chiese, Nota pastorale I laici nella missione "ad gentes" e nella cooperazione tra i
popoli, Roma, 25 gennaio 1990: ECEI 4/2106-2170.
[191] Per l'approfondimento: CONGREGAZIONE PER
L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Guida per
i catechisti, 3.12.1993, Città del Vaticano 1993; SEUMOIS A., «Catechista
missionario», in J.GEVAERT (a cura), Dizionario di catechetica, LDC,
Leumann (TO) 1986, 130-132; GIGLIONI P., «Catechista
missionario (formazione), in ibìdem
132-133; Id. (a cura), Catechisti per una
Chiesa missionaria, Urbaniana University Press, Roma 1982; CEI, La formazione dei catechisti nella comunità
cristiana EDB, Bologna 1982; COMISION EPISCOPAL DE ENSENANZA Y CATEQUESIS, El catequista y su formacion.Orientaciones
pastorales, Madrid 1985.
[192] Cf.GIGLIONI P., Ministeri e
missione, in AA.VV., Missiologia oggi,
Urbaniana University Press, Roma 1985, pp.293-322; Id., Ministeri e servizi per la missione, EDB, Bologna 1990.
[193] Cf CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE,
Documento pastorale L'impegno missionario
della Chiesa italiana, op. cit..,n.22.
[194] GIGLIONI P., Il vocabolario missionario, in Euntes Docete XLIV/2 (1991) 265-285.
[195] RMi 52 che cita SINODO DEI VESCOVI, Assemblea straordinaria 1985,
Relazione finale, II, D, 4.
[196] GIOVANNI PAOLO II, Epistola enciclica Slavorum apostoli nell’XI
secolo dell’azione evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio, 2 giugno 1985, n.21: AAS 77
(1985) 779-813.
[197] Redemptoris missio n. 25
citando gli Atti, ricorda che già il discorso di Listra (At 14,15-17) e quello
di Atene (At 17,22-31) “offrono un
esempio di inculturazione del Vangelo”.
[198] Cf AA.VV., Inculturazione,
concetti, problemi, orientamenti, Roma, Centrum Ignatianum Spiritualitatis
1979; COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Fede
e inculturazione,in La Civiltà
cattolica 134 (1989) I/3326, pp.158-177; Regno\Doc 5, 1989, 275-282; Doc.
Cath. 1980 (1989); GIGLIONI P., Inculturazione
e missione, in AA.VV. Chiesa locale e
inculturazione nella missione, EMI Bologna 1987, 76-130; ID., Cultura, culture, inculturazione,
Pontificia Università Urbaniana, Roma 1994; ROEST CROLLIUS A., Missione e inculturazione. Incarnare
l'Evangelo nelle culture dei popoli, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione. Commento alla “Redemptoris missio”,
Urbaniana University Press, Roma 1992, 293-305; ID., Inculturazione, in AA.VV., Dizionario
di Missiologia, op. cit., 281-286; CARRARO
F.R., Le culture dei popoli: ricchezza e
rischio, in Regno\Doc 7, 1988, 205-215; POUPARD P., Teologia della evangelizzazione delle culture, in Regno\Doc 5,
1986, 150-162; CARRIER H., Inculturazione
del vangelo, in LATOURELLE R. - FISICHELLA R., Dizionario della teologia fondamentale, ed. Cittadella, Assisi
1990, 587-593; Id., Vangelo e culture, Città Nuova, Roma 1990; LUZBETAK L.J.,
Chiesa e culture, EMI, Bologna 1991.
[199] PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii
nuntiandi 20.
[200] Ibìdem
[201] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del Pontificio Consiglio per
la Cultura [18.01.1983], in L'Osservatore Romano 19.01.1983.
[202] Ibìdem.
[203] CONSEIL PONTIFICAL POUR LES LAICS, Document La formation des laïcs, [3.X.1978], in Service de documentation, n.5, févr. 1979, pp.1-24; EV 6, 1002-1102
[qui n.1049].
[204] L'importanza e l'urgenza dell'inculturazione nel contesto più ampio
della missio Ad gentes, è sottolineata dai Lineamenta preparati dal Consiglio del Segretariato Generale del
Sinodo dei Vescovi in vista dell'Assemblea speciale per l'Africa [Città del
Vaticano 1990]. Il capitolo II di questi Lineamenta
[nn.44-53], dedicato appunto all'inculturazione, insiste su questa idea chiave:
occorre imitare l'avvenimento fondante della Pentecoste (cf At 2,1-11) dove in
maniera esemplare lo Spirito ha creato armonia e salvaguardato l'unità nella
diversità, la particolarità nell'universalità; si veda anche COMMISSIONE
TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Fede e
inculturazione [1988], in La
Civiltà cattolica 134 (1989) I/3326, pp.158-177.
[205] Qui Redemptoris missio 54
cita l'Esortazione apostolica Familiaris consortio 10.
[206] AG 11 usa l'espressione”germi del Verbo” ripresa poi da EN 53 (cf LG
17); per le fonti patristiche di questa espressione si veda EN 53
(nota 74), che rimanda a s. Giustino e a Clemente Alessandrino.
[207] Cf GS 22. Secondo AG 8: «A nessuno e in nessun luogo egli (Cristo)
può apparire estraneo». Cristo è presente nell’unità, nella molteplicità, nella diversità, nella complementarietà
di ogni cultura e di ogni uomo (cf Gal 3,28; Col 1,16-17: Egli è presente in
tutte le cose e tutte sussistono in lui)
[208] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi
tradendae 53.
[209] Stando alle indicazioni della Commissione Teologica Internazionale [«Temi scelti di ecclesiologia», (07.10.1985), n. 4,2: in La Civiltà Cattolica, 136 (1985) 446-482] il fondamento dottrinale della inculturazione si può trovare: a. Nel mistero della creazione: la moltitudine diversificata illustra l'innumerevole bontà di Dio creatore; b. Nel mistero dell'incarnazione: il Verbo di Dio ha assunto nella propria persona una umanità concreta, in un luogo-tempo-spazio; così cerca di fare anche la Chiesa che nasce dalla Pasqua-Pentecoste (At 2,5-11); è il «mistero dell'ammirabile condiscedenza dell'eterna sapienza» (DV 13); c. Nel mistero dell' evangelizzazione: Gesù e la Chiesa annunciano il messaggio eterno della salvezza utilizzando le culture del popolo; d. Nel mistero della redenzione: la Croce chiama a conversione e purifica il male presente negli uomini e nelle loro culture; anche le culture devono essere sottoposte alla legge purificatrice della morte e della risurrezione in Gesù Cristo; e. Nel mistero della risurrezione: Cristo rende l'uomo nuovo, come il Vangelo libera, purifica, eleva le culture; f. Nel mistero dell'admirabile commercium: lo scambio che ci ha redenti [il divino assume l'umano; niente è redento se non viene assunto: AG 3; GS 22]; g. Nel mistero della ricapitolazione (Ef 1,10): In tutte le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi Egli prende i cittadini del suo Regno, non terreno, ma celeste (LG 13); h. Nel mistero della Chiesa cattolica: «In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, e così il tutto e le singole parti sono rafforzate comunicando ognuna con le altre e concordemente operando per la pienezza nell'unità (LG 13).
[210] Cf AG 10; si veda anche GS 22: «In Lui la natura umana è stata
assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche
per conto di noi innalzata a dignità sublime». Questo paragrafo di GS 22, alla
nota 22 cita il Concilio di Calcedonia sull’unità delle due nature in Cristo: inconfuse, immutabili, indivise,
inseparabili[DS 148]; lo stesso rapporto
dovrebbe anche intercorrere tra Vangelo e culture: non sono due realtà
destinate ad ignorarsi o a vivere
separatamente, come neppure possono identificarsi tanto da confondersi nella
loro identità più profonda.
[211] Con questi stessi termini prega anche la Chiesa nel prefazio III di
Natale: «La nostra debolezza è assunta dal Verbo; l'uomo mortale è innalzato a
dignità perenne e noi uniti a te in comunione mirabile condividiamo la tua vita
immortale». Stesso concetto troviamo anche nei Padri, come ad esempio s.
Gregorio Nazianzeno (Dai Discorsi di s. Gregorio Nazianzeno, vescovo: Disc.
45,9.22.28, in PG 36, 634-635.662).
[212] Anche Giovanni Paolo II nel messaggio per la Giornata missionaria
mondiale del 1979 scriveva: «L'azione evangelizzatrice deve mirare a dare
rilievo e sviluppare quel che di valido e sano è presente nell'uomo
evangelizzato. Con un metodo attento e discreto di educazione, essa farà
emergere e maturare dopo averli purificati dalle incrostazioni e dai sedimenti
accumulatisi nel tempo, gli autentici valori di spiritualità, di religiosità,
di carità che, quali semi del Verbo e segni della presenza di Dio, aprono la
via all'accettazione del Vangelo», in Insegnamenti
II, 1979, 1549-1555.
E nel suo terzo viaggio
in terra d'Africa, lo stesso Pontefice incontrando gli Intellettuali e gli
Universitari nel palazzo dei congressi a Yoaunde (Cameroun) diceva: «...è
importante andare sino in fondo nella riflessione sulla volontà d'essere allo
stesso tempo appieno cristiani e appieno africani. E' una ricerca difficile, ed
io auspico che continuiate ad andare avanti in questa strada con obiettività,
saggezza e profondità, in unione con i Vescovi del vostro Paese..».(in L'Osservatore Romano 15.08.1985).
[213] Nel suo messaggio ai Popoli dell'Asia (29.11.1970), Paolo VI si fece
interprete di una certa autocritica quando disse: «Se nel passato una
conoscenza insufficiente delle ricchezze nascoste in diverse civiltà ha potuto
ostacolare la diffusione del messaggio evangelico e dare alla Chiesa un volto
straniero, è vostro compito mettere in luce che, lungi dal voler soffocare i
germi di bene seminati nel cuore e nel pensiero degli uomini, o nei loro riti o
nella loro cultura, il Vangelo ha per effetto di guarirli, elevarli,
perfezionarli nella gloria di Dio» ( in Insegnamenti
VIII, 1970, 1254).
[214] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap.
Catechesi tradendae 53.
[215] Fin dal suo primo messaggio per la Giornata missionaria mondiale
Giovanni Paolo II definiva l'opera di evangelizzazione come una seminagione e
non come uno sradicamento di valori: «L'atteggiamento di fondo in coloro che
portano il lieto annuncio del Vangelo alle genti è di proporre e non già di
imporre la verità cristiana; infatti la missione non è distruzione di valori,
ma piuttosto elevazione, purificazione, fecondazione di tutto quanto di
positivo Dio stesso ha posto nelle culture umane come semi del Verbo. Il
rispetto per l'uomo e per la sua cultura, deve essere dunque un principio
basilare per ogni retta attività missionaria intesa come prudente, tempestiva,
operosa seminagione evangelica, non già come sradicamento di ciò che, essendo
autenticamente umano, ha un intrinseco e positivo valore» (in Insegnamenti II, 1979, 1549).
[216] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Redemptor
hominis 12: . Si veda anche quanto detto dallo stesso Pontefice nella sua
Epistola enciclica Slavorum apostoli
[2.6.1985] circa l'inculturazione (n.21) e come i santi Cirillo e Metodio
proprio in questo siano da considerare modelli di ogni missione e degli stessi
missionari (n.11).
[217] Redemptoris missio 52-54 indica alcuni criteri per una corretta inculturazione: è una esigenza acuta e urgente, un processo che richiede tempi lunghi e gradualità, un processo profondo e globale, difficile, che esige spirito di comunione, discernimento e profondo equilibrio; è un arricchimento della Chiesa universale, una via che permette di conoscere ed esprimere ancora meglio il mistero di Cristo, uno stimolo per un continuo rinnovamento della Chiesa.
[218] Cf CONGREGAZIONE PER IL CULTO
DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Liturgia
e inculturazione, [25.01.1994]: AAS 87 (1995) 288-314
[219] Lett. Enc. Sollicitudo rei
socialis (30 dicembre 1987), n.41: AAS 80 (1988), 570s
[220] Documenti della III Conferenza Generale dell'Episcopato
latinoamericano a Puebla (1979): 3760 (1145), citato in RMi 58.
[221] Discorso ai Vescovi, ai sacerdoti, alle religiose ed ai religiosi a
Jakarta, 10 ottobre 1989, 5: L'Osservatore
Romano, 11 ottobre 1989.
[222] Cf. PAOLO Vl, Lett. enc. Populorum
progressio, 14-21; GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 27-41.
[223] Su questo argomento occorre far riferimento a CONGREGAZIONE PER IL
CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Liturgia e inculturazione, [25.01.1994]: AAS 87 (1995) 288-314.
Cf. CHUPUNGCO A., L'adattamento della liturgia tra cultura e
teologia, ed. Piemme, Casale Monferrato 1985 [ed. inglese: Cultural adaptation of the Liturgy,
Paulist Press, NY 1982]; Id., “Adattamento”
in Nuovo Dizionario di Liturgia, ed.
Paoline, Roma 1984 pp. 1-15; Id., The
Magna Charta of Liturgical Adaptation, in Notitiae 14(1978)75-89; Id., Adaptation
of the Liturgy to the culture and traditions of the peoples, in Notitiae 20(1984)82-826; TRIACCA A.M., Adattamento liturgico: utopia, velleità o
strumento della pastorale liturgica, in Notitiae
15(1979)26-45; BRAGA C., Un problema
fondamentale di pastorale liturgica: adattamento e incarnazione nelle varie
culture, in Ephemerides Liturgicae
89(1975)119-157; COMMISSIONE TEOLOGICA
INTERNAZIONALE, Temi scelti di
ecclesiologia, in La
Civiltà cattolica 136 (1985) 446-482 (n.4: “Popolo di Dio e inculturazione”); Id., Fede e inculturazione, in La Civiltà cattolica 134 (1989) I/3326, pp.158-177; DEPARTAMENTO EPISCOPAL POR LA LITURGIA [DELC/CELAM], Adaptaciones en la Liturgia, in Medellin 9/36 (1983) 554-570 [tr.it. in
«RivLit» 2-3 (1985) 384-364]; VINCK H., La
liturgie renovée en Afrique, in Questions
liturgiques 58 (1977) 51-60; ALDAZABAL J., Las 'otras' liturgias se renuevan, in Phase 122 (1981) 109-136; TRAN-VAN-KHA F., L'adaptation Liturgique telle qu'elle a été réalisée par les
commissions nationales liturgiques jusqu'à maintenant, in Notitiae 281 (1989) 864-881.
[224]
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note direttive Postquam Apostoli sulla promozione della mutua cooperazione tra le
Chiese particolari e soprattutto per una migliore distribuzione del clero,
25.03.1980: AAS 72 (1980) 343-363;
[225] Cf ESQUERDA BIFET J., Cooperazione
e spiritualità missionaria, in Euntes
Docete XLIV/2 (1991) 287-299.
[226] Redemptoris missio 77. Il
grande tema della cooperazione missionaria è regolato da specifici documenti
della SACRA CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI,
Istruzione Quo aptius per la
definizione dei rapporti tra i Vescovi e le Pontificie Opere Missionarie e le
iniziative delle diocesi in favore delle missioni, 24.02.1969:AAS 61 (1969)
276-281; EV 3, 801-819; Id., Rapporti
tra la chiesa universale e le chiese particolari, tra la Sacra Congregazione
per l'evangelizzazione e le conferenze episcopali dal punto di vista
missionario. Direttive approvate dalla assemblea plenaria della S.C. per
l'evangelizzazione (30 marzo - 2 aprile 1971), Prot. n. 1955/71, 24 aprile
1971:BiM 35 (1971) 192-197.
[227] Cf AG 35-36; CIC 211. 781; RMi 77-82).
[228] Cf RMi 83. E' dunque evidente che prima ancora di ogni discorso
sulla cooperazione si debba, almeno per linee essenziali, parlare della
animazione missionaria. Per un approfondimento del tema si rimanda a ESQUERDA
BIFET J., Teologia pastorale
dell'animazione missionaria, in: Missiologia
oggi, Roma, Pont. Univ. Urbananiana 1985, 67-95.
[229] Cf ESQUERDA-BIFET J., Teologia
della Evangelizzazione, Paideia - Urbaniana University Press,
Brescia-Roma, 1980.
[230] AA 10.
[231] Cf DIANICH S., Nuovi spazi per
la missione, in AA.VV., Azione
cattolica, quale missione?, Bari 1986, pp.49-51.
[232] Cf SPEYR VON A., Il volto del
Padre. Meditazioni teologiche, Queriniana, Brescia 1975, p.32ss; BALTHASAR
VON H.U., Mysterium Paschae, in Mysterium
salutis, Queriniana, Brescia 1971, pp.171.175.; SOMMAVILLA G., L'umiltà di Dio in Romano Guardini , in Communio 73 (1984) 60.
[233] Cf GONZALES M., Alle frontiere
della chiesa, in Mondo e missione,
febbraio 1978. 73-77; GALILEA S., Vivir
el evangelio en terra extrana, Indo America Press Service, Bogotà 1976;
CASTRO L.A., Didattica missionaria,
elementi teologici per una crescita missionaria, Torino, Leumann, LDC 1986,
p.205s.
[234] Secondo AG 5 questa è la via che lo Spirito indica alla Chiesa sulle
orme tracciate da Cristo.
[235] Cf GIGLIONI P., La nuova
evangelizzazione di fronte a Maria, in AA.VV., Il posto di Maria nella nuova evangelizzazione, Ed. Centro di
Cultura Mariana, Roma 1992, pp.7-31;
ESQUERDA BIFET J., Spiritualità
missionaria, in Missiologia oggi,
UUP, Roma 1985, 209-232. Si veda anche il Messaggio per la Giornata Missionaria
Mondiale 1988 dedicato al tema di Maria e le missioni e dove si parla della
presenza e dell'influenza di Maria nella missione universale della Chiesa (il
testo in GIGLIONI P., La missione sulle
vie del Concilio, Urbaniana University Press, Roma 1988, 127-133; nello
stesso volume vedere le pp.169-171 dove si parla di cooperazione missionaria).
[236] La collaborazione fra Chiesa universale e chiese particolari è
trattata in appositi documenti SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note direttive Postquam apostoli,
op. cit.; SACRA CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE, Rapporti tra la chiesa universale e le
chiese particolari, tra la Sacra Congregazione per l'evangelizzazione e le
conferenze episcopali dal punto di vista missionario, op. cit.; Cf VODOPIVEC J., Chiesa
locale, viva matrice dell'evangelizzazione, in L'annuncio del Vangelo oggi, UUP, Roma 1977, 169-194. ID., La Chiesa locale e la missione, in: Chiesa e missione, Roma, Urbaniana
University Press 1990, 97-139; ESQUERDA
BIFET J., Dimensión misionera de la
Iglesia local, Madrid, Com. Episcopal Misiones 1975.
[237] AA 10.
[238] RMi 78; questo numero parla anche della possibilità di celebrare la
Pentecoste come “giornata della sofferenza per le missioni”.
[239] PAOLO VI, Discorso per le missioni nella 116a Congregazione generale
del Concilio Ecumenico Vaticano II [6.XI.1964]: EV 1/274*
[240] Il compito primario di promuovere lo spirito missionario universale
in seno al Popolo di Dio spetta alle Pontificie Opere Missionarie. Esse portano
nel mondo cattolico quello spirito di universalità e di servizio alla missione,
senza il quale non esiste autentica cooperazione (AG 38; CIC 791; RMi 84).
[241] Cf CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Direttorio Ecclesiae imago sul ministero pastorale
dei Vescovi, 22.02.1973: EV 4/1945-2328; CIC 383 §
4.
[242] Circa l'identità e la missione dei sacerdoti nelle associazioni, si
veda il documento del PONTIFICAL COUNCIL FOR THE LAITY, Document Piests within associations of the faithful.
Identity and mission, August 4, 1981: Tipografia poliglotta vaticana,
Vatican City 1981.
[243] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op. cit.., n.12.
[244] Su questo argomento si veda CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA
COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno
missionario dei sacerdoti italiani, EMI, Bologna 1984; ID., Nota pastorale Sacerdoti diocesani in missione nelle Chiese
sorelle, Roma, 2 giugno 1984: ECEI 3/1719-1737.
[245] Seguiamo qui lo stesso procedimento del documento della CEI,
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana. Documento pastorale, op. cit..: ai nn. 23-28 parla dei
“Protagonisti particolari della missione”; più oltre, al n. 31, parla dei
“Responsabili particolari” della animazione e cooperazione missionaria,
intendendo qui descrivere gli uffici-vocazione-carismi particolari di coloro
che, oltre all'impegno missionario in generale, si dedicano in modo particolare
alla cooperazione missionaria.
[246] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, circa la formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali [25.03.1992], n. 59: AAS 84 (1992) 657-804;
[247] Cf GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap., Familiaris consortio, n.54; RMi 80.
[248] PIO XII, Enciclica Fidei Donum:
AAS 49 (1957) 225-248.
[249] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, Nota
pastorale Sacerdoti diocesani in missione
nelle Chiese sorelle, Roma, 2 giugno 1984: ECEI 3/1719-1737.
[250] cf CEI, Documento normativo La
formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana - Orientamenti e norme,
15.5.1980, n.3: ECEI 3/212.
[251] Cf SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note direttive Postquam apostoli, op. cit., n.16: AAS 72 (1980) 343-364.
[252] Ulteriori indicazioni circa i sacerdoti fidei donum si possono
trovare in CIC 271 e RMi 68.
[253] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, Nota
pastorale I laici nella missione “Ad gentes” e nella cooperazione tra i popoli,
op. cit., n. 1 (ECEI 4/2109)]. Vedere anche CEI,
COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana. Documento pastorale, op. cit.., n.50.
[254] Attualmente l'età media dei volontari laici è 32/33 anni.
[255] Cf SACREE CONGREGATION POUR L'EVANGELISATION, Lettre circulaire aux
Ordinaires des lieux Notre temps sur
l'action missionnaire des laïcs, 17 maii 1970:BiM 34 (1970) 197-212;; ID., Il ruolo missionario del laicato:
Agenzia Fides, 7 aprile 1979.
[256] Redemptoris missio 82. Non
abbiamo trovato indicazioni simili nei documenti CEI; si fa osservare l'utilità
di una tale integrazione nel progetto italiano di cooperazione missionaria.
[257] Con queste parole, il 18 giugno 1927 il Card. Van Rossum, Prefetto
di Propaganda Fide, scriveva a Mons. Drago, Presidente Nazionale d'Italia della
Pontificia Opera della Propagazione della Fede, invitandolo ad organizzare la
Giornata Missionaria Mondiale nella penultima domenica di ottobre. Cf GIGLIONI
P., Giornata missionaria mondiale, in
AA.VV., Dizionario di Missiologia, op. cit., 269-270.
[258] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op. cit.. n.36.
[259] Cf CIC 791, 40.
[260] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale
1986, in Insegnamenti IX,1,1986,
pp.1624-1630.
[261] Le Pontificie Opere Missionarie sono: L’Opera della Propagazione della Fede (iniziata da Maria Paolina Jaricot e approvata da Pio XI nel 1922); l’Opera di S. Pietro Apostolo (iniziata dalle signore Stefania e Giovanna Bigard e approvata da Pio XI nel 1922); l’Opera dell’Infanzia Missionaria (iniziata dal vescovo francese Carlo Augusto Forbin de Janson e approvata da Pio XI nel 1929); la Pontificia Unione Missionaria (fondata dal venerabile Paolo Manna e approvata da Pio XII nel 1956); cf BIANCHI M., Pontificie opere missionarie, in AA.VV., Dizionario di Missiologia, op. cit., 403-408.
[262] Cf RMi 84; CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE
CHIESE, L'impegno missionario della
Chiesa italiana. Documento pastorale, op.cit, n.44.
[263] A livello nazionale sono sorti vari organismi di collaborazione e di
coordinamento tra i vari Istituti.
[264] In Italia esiste la Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori
(CISM) e l'Unione delle Superiore Maggiori Italiane (USMI), aventi ciascuna
organismi di animazione e cooperazione missionaria.
[265] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, Nota
pastorale Gli istituti missionari nel
dinamismo della Chiesa italiana, Roma, 10 febbraio 1987: ECEI 4/612-645.
[266] Cf CONVEGNO ECCLESIALE DI LORETO: Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini, [9-13\4\1985] n.30: ECEI 3/2674.
[267] Cf CEI, Documento pastorale Comunione
e comunità missionaria, op. cit..
n.51: ECEI 4/294.
[268] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op. cit.., n.48:
ECEI 3/1030.
[269] CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI, Statuto
del Centro unitario per la cooperazione missionaria tra le Chiese, Roma, 22
settembre 1988: ECEI 4/1165-1182.
[270] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op.cit, n.34, che cita AA 16: ECEI 3/1008-1012.
[271] Questa costatazione di RMi 42 è presente sia in AG 6 sia nel CIC 787 § 1.
[272] Cf 1 Ts 4,3; Ef 1,4; LG 39-42. Redemptoris
missio traduce questi contenuti con l'espressione: “si è missionari prima di tutto per ciò che si è...prima di esserlo per
ciò che si dice o si fa” (RMi 23).
[273] “Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita
veramente chi parla molto più che l'elevatezza del discorso”: S. GREGORIO
MAGNO, Commento al libro di Giobbe,
23,23-24; PL 76, 265-266
[274] Cf SYNODUS EPISCOPORUM (1974), Dichiarazione In Spiritu sancto approvata
al termine del Sinodo 1974, 25.10 1974: L'Osservatore Romano
27 ott. 1974, p.6.
[275] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa celebrata nel “Parque
Mattos Neto” di Salto (Uruguay), 09.05.1988: Insegnamenti XI,2, 1988, 1233-1242.
[276] AG 5, alla nota 33, cita TERTULLIANO, Apologeticum, 50,13: PL I, 534, CChr I, 171; (cf anche GS 44 alla nota 23); per
un commento si può vedere GIGLIONI P., La
croce e la missione Ad gentes, in Euntes Docete 2 (1985) 153-178;
BALTHASAR H.U. von., Martirio e missione,
in Nuovi punti fermi, Jaka Book,
Milano 1980, 255-278;
[277] RMi 45; dal canto suo già LG 42 aveva detto che il martirio “è
stimato dalla Chiesa dono insigne e suprema prova di carità”; cf STRATHMANN H.,
martys, in GLNT VI, 1269-1392;
SOLIGNAC A., Martyre, in Dictionnaire de Spiritualité [Paris
1980] 718-737.
[278] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op. cit.., n.34.
[279] Secondo i dati forniti dalla Direzione Nazionale delle PP.OO.MM (al
31 marzo 1995), il contributo della Diocesi italiane al fondo centrale
pontificio di solidarietà per le missioni è stato complessivamente di lire 34.877.844.351. Le offerte
maggiori arrivano all'Opera Pontificia per la Propagazione della Fede con un
totale di lire 23.751.359.818; all'Opera di S. Pietro Apostolo per il Clero Indigeno: 6.201.524.845; all'Infanzia Missionaria: 4.924.961.191.
Considerata la
popolazione nazionale in 58.450.278 abitanti, le offerte pro capite vanno dalle
1247 lire delle Marche, alle 224 della Calabria.
[280] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, op. cit.., n.34.
[281] Ibìdem.
[282] Secondo l'Annuario USMI 1988 sono 6.964 le suore italiane presenti
in 103 Paesi del Terzo Mondo. I missionari invece, secondo l'Annuario CISM
1987, sono 5.998. I sacerdoti diocesani sono 770 e 708 i volontari (dati
FOCSIV). Le missionarie e i missionari italiani che prestano la loro opera nei
Paesi del Terzo Mondo sono circa 14.300. Il continente con la più alta
concentrazione di personale apostolico italiano è l'America Latina, dove in 22
Paesi operano 2.865 religiosi appartenenti a 97 congregazioni, 3.258 suore che
rappresentano 320 congregazioni, 620 preti appartenenti a 114 diocesi, e 228
volontari membri di 13 organismi di volontariato. Segue l'Africa con 2.010
religiosi (49 congregazioni), 2.577 suore (171 congregazioni), 148 sacerdoti
(55 diocesi) e 478 volontari (33 organismi), presenti in 48 Paesi. L'Asia
conta, in 25 Paesi, 1.040 religiosi (50 congregazioni), 999 suore (111
congregazioni), 2 preti da 2 diocesi, 2 volontari di un unico organismo.
L'Oceania vede presenti, in 8 Paesi, 83 religiosi (12 congregazioni) e 130
suore (17 congregazioni). Qualche altro dato: la più alta concentrazione di
suore in Africa si ha in Kenia (347), Egitto (327), Zaire (322). Quanto ai
religiosi sono 267 nello Zaire, 224 in Kenia e 117 in Tanzania. In America
Latina, è il Brasile che ha il più alto numero di personale apostolico
italiano: 1.304 suore e 1.100 religiosi, oltre a 358 preti diocesani e 103
volontari. Segue l'Argentina con 673 suore, 438 religiosi, 64 preti e 24
volontari. In Asia, il Paese con più alto numero di missionari italiani è il
Giappone (154 religiosi, 76 suore), seguito dall'India (118 religiosi e 207
suore) e dalle Filippine (117 religiosi e 124 suore). In Israele sono presenti
50 religiosi e 171 suore. In Oceania, 69 preti e 104 suore operano in
Australia; 14 religiosi e 7 suore in Papua Nuova Guinea. Da questa statistica
sono esclusi i religiosi, suore, preti che lavorano in Europa, USA, Canada.
[283] Cf CEI, Documento pastorale Comunione
e comunità missionaria, op. cit..,
n.51: ECEI 4/293-296.
[284] A Giovanni Paolo II si deve riconoscere l'iniziativa di aver
attivato e avvalorato l'espressione”nuova evangelizzazione”. In effetti un tale
neologismo si trova già nel Mensaje a los Pueblos de America Latina da parte
dei Vescovi del CELAM in occasione della seconda Conferenza generale
dell'Episcopato Latino Americano riunito a Medellin nel 1968:”Alentar una nueva
evangelizacion y catequesis intensiva que lleguen a las élites y a las masas
para lograr una fe lucida y comprometida” [in CELAM, Medellin. Conclusiones.
La Iglesia en la actual transformation de America Latina a la luz del Concilio.
Secunda Conferencia General del Episcopado Latino Americano, XIV ed., Bogotà 1987, p.20].
Un tale concetto,
tuttavia, è espresso con parole simili già in Ad gentes 6:
“Inoltre i gruppi, in mezzo ai quali si trova la
Chiesa, spesso per varie ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire
situazioni del tutto nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare, se esse
sono tali da richiedere di nuovo la sua azione missionaria” (AG 6). Lo stesso
concetto si trova poi in Evangelii
nuntiandi 52 (annuncio al mondo scristianizzato) 56 (annuncio ai non praticanti).
Giovanni Paolo II diede
inizio sistematico all'uso di questa espressione nel Discorso alla XIX
Assemblea ordinaria del CELAM, [Port-au-Prince (Haiti), 9.3.1983: AAS 75 (1983)
771-779; in Insegnamenti VI,1 (1983)
696-699]. Rivolto ai Vescovi, il Pontefice ebbe a dire: “La commemoracion del medio milenio de evangelizacion tendrà su
significacion plena si es un compromiso vuestro como obispos, junto con vuestro
presbiterio y fieles; compromiso, no de re-evangelizacion, però sì de una
evangelizacion nueva. Nueva en su ardor, en sus métodos, en su expresion” [ibid.
p. 698]. Il Papa riprese questo concetto a Santo Domingo il 12 ottobre 1984
nell'inaugurare la Novena per la preparazione e celebrazione del V Centenario
dell'evangelizzazione del Continente Latinoamericano.
Da allora, questo riferimento illuminante si è fatto sempre più
frequente nel Magistero di Giovanni Paolo II, così come negli ultimi Sinodi
episcopali ed in molti interventi degli episcopati.
La IV Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano a Santo Domingo
(ottobre 1992) ha posto la «nuova evangelizzazione» come primo dei tre temi
(«nuova evangelizzazione», promozione umana, cultura cristiana) ritenuti
prioritari per l’evangelizzazione del Continente latinoamericano. Ulteriori
indicazioni in GIGLIONI
P., Perché una "nuova”
evangelizzazione, in Euntes Docete
1 (1990) 5-36; Id., La nozione di
"nuova evangelizzazione" nel Magistero, in Seminarium XXXI/1 (1991) 35-56.
[285] GIOVANNI PAOLO II, Discorso al VI Simposio dei vescovi d'Europa
(Roma,7-11 ottobre 1985) in Insegnamenti
VIII, 2, 1985, 910-923.
[286] Ibìdem.
[287]) GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla Conferenza episcopale della
Scandinavia [1.6.1989], in L'Osservatore
Romano 3.6.1989, p.6.
[288] Ibìdem
[289] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa celebrata nel”Parque
Mattos Neto” di Salto (Uruguay), 9 maggio 1988: Insegnamenti XI,2, 1988, 1233-1242; O.R. 11.5.1988 p. 4.
[290] Cf 1 Ts 4,3; Ef 1,4; LG 39-42. Redemptoris
missio traduce questi contenuti con l'espressione: “si è missionari prima di tutto per ciò che si è...prima di esserlo
per ciò che si dice o si fa” (RMi 23).
[291] “Perciò è assai raccomandabile la santità della vita che accredita
veramente chi parla molto più che l'elevatezza del discorso”: S. GREGORIO
MAGNO, Commento al libro di Giobbe,
23,23-24; PL 76, 265-266 [cf Ufficio delle Letture, giovedì IX per annum].
[292] Cf SINODO DEI
VESCOVI (1974), Dichiarazione In Spiritu sancto approvata
al termine del Sinodo 1974, 25.10 1974: L'Osservatore Romano 27 ott. 1974, p.6.
[293] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa celebrata nel”Parque
Mattos Neto” di Salto (Uruguay), cit.
[294] Un segno di questo indebolimento può essere trovato anche in alcune
statistiche (relative al 1987): mentre la popolazione mondiale è aumentata di
68.727.000 abitanti, nel medesimo periodo i cattolici sono aumentati di
11.847.000; il che significa che la percentuale dei cattolici per cento
abitanti è passata dal 17,69% al 17,68%; è calata perciò dello 0,01 rispetto
all'anno precedente: segno che l'aumento dei cattolici nel mondo non tiene il
passo a quello dell'aumento della popolazione; lo stesso dicasi per il numero
dei cristiani in genere: nel 1980 i cristiani nel mondo erano 1.433 milioni
(38,8%), ma si calcola che nel 2000 saranno 2.020 (32,3%), con un calo del
6,5%.
[295] Redemptoris missio 90 che
cita ChL 17; LG 1.
[296] CEI, La Chiesa italiana dopo
Loreto, op.cit, nn.30. 51-52., in ECEI 3, nn. 2674.2695-2696.
[297] GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle PP.OO.MM. [13.5.1986], Insegnamenti IX,1, 1986, 1398-1403 [qui
p.1399].
[298] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa celebrata nel”Parque
Mattos Neto” di Salto (Uruguay), op.cit.
[299] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai membri del al VI Simposio del
Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (Roma,7-11 ottobre 1985) in AAS
78 (1986) 178-179; Insegnamenti
VIII/2, 1985, 910-923.
[300] Si veda Evangelii nuntiandi 45 e Christifideles laici 44; secondo ChL 44
evangelizzare i mass-media significa salvaguardare la loro funzione educativa,
critica, a difesa della libertà e della verità, della dignità della persona,
dell'elevazione della cultura dei popoli; significa anche mantenerli liberi da
ogni forma di monopolizzazione e di manipolazione (cf ChL 44).
[301] Si colloca in questa ottica la Lettera apostolica di Giovanni Paolo
II Mulieris dignitatem sulla dignità
e vocazione della donna in occasione dell'anno mariano [15.8.1988]: AAS 80
(1988) 1653-1729; si veda anche ChL 51 e RMi 86 [per un commento, cf P.
GIGLIONI, Donna: ministero e missione,
in Euntes Docete 3 (1989) 441-469;
ROSANNA E. - CHIAIA M., Le donne per una
cultura della vita. Rilettura della “Mulieris dignitatem” a cinque anni dalla
sua pubblicazione, LAS, Roma 1994]. Resta ancora valido
il documento della SACRÉE CONGREGATION POUR L'EVANGELIZATION DES PEUPLES
(Comission pastorale) Document La
fonction evangélisatrice. Fonction de la femme dans l'evangelisation, 19
nov. 1975: Documents “Omnis terra”,
avril 1976; Vie consacrée 15 mars 1976; EV 5, 1546-1587. CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA (RFT), La condizione femminile nella Chiesa e nella
società, Regno\Doc 1, 1982,
37-44; EPISCOPATO USA, Rapporto Uno in Cristo.
Verso una risposta pastorale ai problemi delle donne nella Chiesa e nella
società, in Regno-doc 11 (1993)
357-377.
[302] Evangelizzare il mondo della politica con tutte le sue strutture e
istituzioni e soprattutto gli operatori di politica, significa richiamare loro
che sono e restano strumenti di servizio per la promozione del bene comune di
tutti gli uomini e di tutto l'uomo; significa: rifuggire da ogni tentazione di
arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione; difendere e
promuovere la giustizia; rendere trasparente e pulita l'attività degli uomini
politici; non ricorrere alla slealtà e alla menzogna; evitare lo sperpero del
pubblico denaro e l'uso di mezzi equivoci per acquisire tornaconto e aumento di
potere. Una evangelizzazione nuova di questo mondo, a torto ritenuto
irrecuperabile, proprio perché possa esprimere persone capaci di dedicarsi alla
cosa pubblica con spirito di servizio, di solidarietà, con impegno fedele e
disinteressato, con stile semplice di vita, con amore preferenziale per i
poveri (cf ChL 42).
[303] Cf ZAGO M., Gli ambiti della
missione Ad gentes, in AA.VV., Cristo Chiesa Missione. Commento alla
“Redemptoris missio”, Urbaniana University Press, Roma 1992, 167-185.
[304] GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la Messa celebrata nel”Parque
Mattos Neto” di Salto (Uruguay), cit.
[305] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi italiani per la XXXI
assemblea generale [Roma 18 maggio 1989], in L'Osservatore Romano 20.5.1989.
[306] GIOVANNI PAOLO II, La coscienza della verità congiunta all'amore.
Allocuzione al Convegno ecclesiale di Loreto [9-13.4.1985] su “Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini”, in Insegnamenti VIII, 1, 1985, p. 996; CONSIGLIO
INT. CATECHESI (COINCAT), La catechesi
degli adulti nella comunità
cristiana, alcune linee e orientamenti, Lib. Edit. Vaticana 1990; CENTRO
NAZIONALE DEL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO IN FRANCIA, La formazione cristiana degli adulti. Una guida teorico pratica per la
catechesi, EDB, Bologna 1988 [titolo originale: Formation chrétienne des adultes. Une guide théorique et
pratique pou la catéchèse, ed. Desclée de Brouwer, Paris 1986].
[307] Cf COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Fede e inculturazione [1988], I.11: La civiltà cattolica 140 (1989) I/3326, 158-177;
GIGLIONI P., Inculturazione
e missione, in AA.VV. Chiesa locale e
inculturazione nella missione,
EMI, Bologna 1987, 76-130. CARRIER H., Inculturazione
del vangelo, in LATOURELLE R. - FISICHELLA R., Dizionario della teologia fondamentale, ed. Cittadella, Assisi
1990, 587-593
[308] SINODO DEI
VESCOVI (1974), Dichiarazione In Spiritu sancto approvata
al termine del Sinodo 1974, 25.10 1974: L'Osservatore Romano
27 ott. 1974, p.6.
[309] FORTE B., Associazioni,
movimenti e missione nella Chiesa locale, in Il Regno doc 3 (1983) 31.
[310] AA 3 che rimanda a LG 10 e 39; così pure ChL 3: “La voce del Signore
risuona certamente nell'animo stesso d'ogni cristiano, che mediante la fede e i
sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Cristo, è inserito come
membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza”.
[311] A proposito di Gv 17 e della cosiddetta “preghiera sacerdotale”,
citato e commentato in RMi 23, segnaliamo l'interessante studio di SEGALLA G., La preghiera di Gesù al Padre (Gv 17),
Paideia, Brescia 1983.
[312] AG 35; cf AA 6; CIC 781.
[313] Cf Puebla 2941 (368) citato
da RMi 64: «A questo riguardo, resta esemplare la dichiarazione dei Vescovi a
Puebla: “Finalmente è giunta l'ora per l'America Latina...di proiettarsi oltre
le sue frontiere, Ad gentes. E' certo
che noi stessi abbiamo ancora bisogno di missionari, ma dobbiamo dare della
nostra povertà”».
[314] Seguiamo qui le indicazioni offerte dalla CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana,
n.23 -28.
[315] Ibìdem n.23.
[316] A “La missione nella pluralità dei ministeri” il documento CEI,
Documento pastorale Comunione e comunità missionaria, dedica i nn.16-24.
[317] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana,
n.24.
[318] Cf PIO XII, Enc. Fidei donum:
(21 aprile 1957): AAS 49 (1957) 225-248. Dal canto suo il nuovo
Codice recepisce questa prassi e nel can 271, § 1, § 2, § 3 dice: il vescovo non neghi la licenza ai chierici che chiedono di
trasferirsi in regioni dove scarseggia il clero; si danno norme per questa
presenza temporanea. Cf Redemptoris
missio 68. Il Documento CEI, Documento pastorale Comunione e comunità missionaria, n.17 fa giustamnente riferimento
anche alla missione ecclesiale dei Diaconi.
[319] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, n.26; CEI, Documento pastorale Comunione e comunità missionaria, n.18.
[320] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, n.27; CEI, Documento pastorale Comunione e comunità missionaria, n.20 [il n. 22 fa menzione del
ruolo missionario della donna, del suo apporto decisivo, insostituibile,
originale].
[321] Cf RMi 32.65.66; si veda il Cap. IV di Ad gentes: nn.23-37.
[322] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana,
n.28; CEI, Documento pastorale Comunione
e comunità missionaria, n.23.
[323] Cf RMi 64. Per la promozione della cooperazione mutua delle chiese
particolari e per una distribuzione più adatta del clero, sono state emanate
delle note direttive: SACRA CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Note
direttive Postquam Apostoli sulla
promozione della mutua cooperazione tra le Chiese particolari e soprattutto per
una migliore distribuzione del clero, 25.03.1980: AAS 72 (1980) 343-363.
[324] Cf CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE, L'impegno missionario della Chiesa italiana.
Documento pastorale, n.8; CEI, Documento
pastorale Comunione e comunità missionaria, n.24.
[325] RMi 66 che cita Ad gentes
27.
[326] RMi 69 richiama le norme del CIC, can 783 e cita anche AG 40, EN 69.
[327] RMi 72.
[328] CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA COOPERAZIONE TRA LE CHIESE,
Documento pastorale L'impegno missionario
della Chiesa italiana, op. cit..,
n.51.
[329] Cf CEI, Criteri di
ecclesialità dei gruppi, movimenti, associazioni (22.5.1981), n.2: ECEI
3/589.
[330] Redemptoris missio auspica e suppone che queste comunità ecclesiali
di base vivano nello spirito indicato da Evangelii nuntiandi 58: aperte alla
comunione, libere da strumentalizzazioni ideologiche, in unità con la Chiesa.
[331] Sull'apertura e gli spazi di impegno missionario della donna, si fa
riferimento e si rimanda a GIGLIONI P., Donna:
ministero e missione, in Euntes
Docete 3 (1989) 441-469.
[332] SINODO DEI
VESCOVI (1974), Dichiarazione In Spiritu sancto approvata
al termine del Sinodo 1974, 25.10 1974: L'Osservatore Romano
27 ott. 1974, n.5.
[333] ChL 2.
[334] Cf ChL 7.
[335] Cf AA 10. Dal canto suo il CIC can. 759 specifica: “I fedeli laici,
in forza del battesimo e della confermazione, con la parola e con l'esempio
della vita cristiana sono testimoni dell'annuncio evangelico; possono essere
anche chiamati a cooperare con il Vescovo e con i presbiteri nell'esercizio del
ministero della parola” (cf CIC can 230 § 3); la loro ammissione alla
predicazione (in una Chiesa o in un oratorio) è regolata da CIC can 766; sono
esclusi invece dalla predicazione omiletica: CIC can 767 § 1.
[336] EN 14.
[337] Cf PONTIFICIA COMMISSIONE PER LA PASTORALE DELLE MIGRAZIONI E DEL
TURISMO, I. Lettera circolare Nella sua
sollecitudine alle conferenze episcopali sul tema “Chiesa e mobilità
umana”, 26 maggio 1978, n.36: AAS 70 (1978) 357-378.
[338] ChL 64.
[339] Cf PAOLO VI, Messaggio Africae terrarum alla gerarchia della Chiesa cattolica in Africa e
a tutti i popoli della stessa terra sul compito della Chiesa nell’attuale
evoluzione delle popolazioni africane, 29 ottobre 1967: AAS 59 (1967) 1073-1097
[340] Questo è anche il sottotitolo che Giovanni Paolo II dà all'enciclica
missionaria.
[341] Anche in altro contesto il Pontefice lamenta”visioni teologiche non
corrette” che generano una mentalità indifferentista e procurano un relativismo
religioso che porta a ritenere che”una religione vale l'altra” (RMi 35). Di
questi pericolosi “alibi” che possono
sviare dall'evangelizzazione già si era fatto interprete Paolo VI in Evangelii
nuntiandi 80.
[342] Redemptoris missio 31 che
cita ChL 35. La stessa RMi 22 riporta i testi
evangelici circa il mandato missionario: Mt 28,18-20; Mc 16,15-18; Lc 24,46-49;
Gv 20,21-23. Da questi testi emergono due elementi comuni e caratteristici: la
dimensione universale della missione [a tutte le nazioni: Mt 28,19; in tutto il
mondo, ad ogni creatura: Mc 16,15; a tutte le genti: Lc 24,47; fino agli
estremi confini della terra: At 1,8]; l'assicurazione che in essi agirà la
potenza dello Spirito e l'assistenza dello stesso Gesù (Mc 16,20; Mt 28,20)
[343] GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle PP.OO.MM. [13.5.1986], Insegnamenti IX,1, 1986, 1398-1403 [qui
p.1399].
[344] Tali vie sono: l'evangelizzazione
[si sviluppa in varie tappe: la diakonìa, o testimonianza della vita e della
carità (RM 42-43); la didaskalìa, o annunzio di Cristo Salvatore (RMi 44-45); la
liturgìa, o ratifica della conversione-fede mediante il battesimo (RMi 46-47)];
la plantatio ecclesiae [consiste
nella formazione delle Chiese locali autosufficienti e pronte a loro volta ad
inviare evangelizzatori (RMi 48-50)]; l'inculturazione
[l'incarnazione del Vangelo nelle culture dei popoli (RMi 52-54)].
[345]
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITA’ DEI CRISTIANI, Direttorio per l’applicazione dei principi e
delle norme sull’ecumenismo, [25.03.1993]: AAS 85 (1993) 1039-1119;
SECRETARIAT POUR L'UNITE DES CHRETIENNES, Réflexions
et suggestions concernant le dialogue oecuménique. Document de travail à la disposition des autorités
ecclésiastiques pour l'application concrète du Décret sur l'oecuménisme, 15
août 1970:L'Osservatore Romano 21-22-
sett. 1970.
[346] I documenti principali
che orientano il dialogo inter-religioso sono così indicati daRMi 55 alla nota
99: PAOLO VI, Lettera enciclica Ecclesiam
suam, 6 agosto 1964: AAS 56 (1964) 609-659; SEGRETARIATO PER I NON
CRISTIANI, Documento L'atteggiamento
della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e
orientamenti su dialogo e missione (4 settembre 1984): AAS 76 (1984)
816-828; GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Vescovi dell'Asia in occasione della V
Assemblea Plenaria della Federazione delle loro Conferenze Episcopali (23
giugno 1990): L'Osservatore Romano,
18 luglio 1990; PONTIFICIO CONSIGLIO PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO -
CONGREGAZIONE PER L'EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo
interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, [19.5.1991]: AAS 84
(1992) 414-446; cf ACHARUPARAMBIL D., Dialogo
interreligioso, in AA.VV., Dizionario
di Missiologia, op. cit.,
177-182.
[347] Dialogo e annuncio 78.
[348] Redemptor hominis 12.
[349] Dialogo e annuncio 48.
[350] Dialogo e missione 37.
[351] Dialogo e annuncio 53.
[352] PAOLO VI, Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae universae sulla Curia romana [15 agosto 1967]:
AAS 59 (1967) 885-928 [qui: 919-920].
[353] PAOLO VI, Lett. enc. Ecclesiam
suam: AAS 56 (1964) 609-659.
[354] Il dialogo tra membri di religioni diverse accentua ed approfondisce
il rispetto reciproco, dà un senso di solidarietà e coraggio a superare le
barriere del pregiudizio, della diffidenza, della incomprensione e spinge
ciascuna parte ad effettuare un onesto tentativo nel ricercare la verità e
condividerla con gli altri, nel perseguire il bene e nel superare le
difficoltà: cf GIOVANNI PAOLO II, I
frutti del dialogo. Discorso agli esponenti delle religioni non cristiane
[Madras, 4.2.1986], in L'Osservatore
Romano 6.2.1986.
[355] Tale libertà implica che tutti gli uomini devono essere immuni da
qualsivoglia forma di coercizione in materia religiosa, così che nessuno sia
forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito ad agire in conformità
con essa (cf DH 2; GIOVANNI PAOLO II, Messaggio L’église catholique alle Autorità dei
Paesi firmatari dell’Atto finale di Helsinki del 1.08.1975, sulla libertà di
coscienza e di religione [01.09.1980]: AAS 72 (1980) 1252-1260; EV 7/556-571.).
[356] Documenti della III Conferenza Generale dell'Episcopato
latino-americano a Puebla (1979): 3760 (1145).
[357] Si veda su questo punto il discorso di Paolo VI per la chiusura del
Sinodo dei Vescovi del 1974, in Insegnamenti
XII (1974) 1012-1018.
[358] Si rimanda per questa questione all'Istruzione della SACRA
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Libertatis nuntius su alcuni aspetti della «teologia della
liberazione» [6.08.1984]: AAS 76 (1984) 876-909; Id., Istruzione Libertatis conscientia sulla libertà
cristiana e la liberazione [22 marzo 1986]: AAS 79 (1987) 554-599 dove si dice al n. 64: “La Chiesa ha grande cura di mantenere chiaramente e fermamente
l'unità e insieme la distinzione tra evangelizzazione e promozione umana:
l'unità, perché essa cerca il bene di tutto l'uomo; la distinzione, perché
questi due compiti rientrano a titoli doversi nella sua missione”.
[359] E' quanto ricordava Giovanni Paolo II nel suo discorso al CELAM a
Puebla nel suo primo viaggio in America Latina (in Insegnamenti II, 1979, 219-220.
[360] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptor
hominis 15.
[361] SINODO DEI VESCOVI 1985, Relazione
finale II.B.D.6.
[362] Ad gentes 13 cita in nota altri documenti del Vaticano II: Dignitatis humanae nn.2.4.10; Gaudium et spes 21; EN 80. A questi si deve
aggiungere il Codice di Diritto Canonico can. 748 e 787 § 2: testi da tenere in grande considerazione per comprendere lo
spirito della “ libertà di coscienza”
nell'opera di evangelizzazione; si veda anche GIOVANNI PAOLO II, Messaggio L’église catholique alle Autorità dei
Paesi firmatari dell’Atto finale di Helsinki del 1.08.1975, sulla libertà di
coscienza e di religione [01.09.1980]: AAS 72 (1980) 1252-1260.
[363] Oggi sono numerose le cosiddette “teologie del genitivo” intese come
tanti capitoli della teologia sistematica. Qui si intende secondo l'accezione
di “genitivo oggettivo”: è quella teologia che ha per oggetto, come materia e
campo di riflessione, le religioni non cristiane [poiché non è una semplice
fenomenologia, ma una “teologia”, l'interpretazione delle religioni esistenti
dovrà avvenire alla luce della fede].
[364] Intenzionalmente il Concilio evita con cura di chiamare i membri
delle religioni non cristiane con il titolo di “pagani” o “infedeli”.
[365] Si cita in nota la Lettera del S. Offizio all'Arcivescovo di Boston
[1949; DS 3866; cf anche Pio IX nell'enciclica Quanto conficiamus moerore del 1863].
[366] Alla luce di questi testi non si può più sostenere la tesi secondo
cui extra Ecclesiam nulla salus; a questa espressione di tipo “esclusivo” il
Vaticano II ha preferito una espressione “inclusiva” qual è quella di
“universale sacramento di salvezza” [LG 48; 1.9; AG 1]. Attenzione però a
quanto dice AG 7: la “necessità della Chiesa” per acquisire la fede e il
battesimo; la validità e la necessità delle missioni [pur avendo Dio vie che lui
solo conosce per mettere in contatto col mistero pasquale tutti gli uomini di
buona volontà].
[367] Nonostante questa visione positiva, LG 16 non nasconde la presenza
di forme di errore e di peccato nelle religioni non cristiane: per questo
richiama la necessità dell'attività missionaria [LG 16; AG 9; GS 18].
[368] AG 4, nota 19, cita s. Leone Magno: l’effusione dello
Spirito a Pentecoste non fu l’inizio di un dono, ma un aumento di generosità;
anche i Padri ricevettero lo Spirito...«anche se non fu allora la stessa la
misura del dono» (Sermone
76: PL 54, 405-406).
[369] Giustino dice: tutti gli esseri razionali partecipano alla sapienza
del Verbo
[370] Su questo argomento si può vedere ROSSANO P., Religioni non cristiane, in “Dizionario del Concilio ecumenico
Vaticano II”, UNEDI, Roma 1979, 1694-1703; SARTORI L., Teologia delle religioni non cristiane, in “Dizionario teologico
interdisciplinare”, Marietti, Torino 1977, vol 3, 400-415.
[371] ORIGENE, In Jesu Nave, III, 5: ha lo scopo di
dissuadere coloro che sono dentro la Chiesa ad uscire da essa. In seguito [s.
Fulgenzio] fu esteso anche a quello che sono “fuori” della Chiesa.
[372] S. CIPRIANO, De catholicae
Ecclesiae unitate, 6: PL 4, col 502.
[373] Ulteriori approfondimenti in KASPER W., La Chiesa e la salvezza del mondo [il ruolo soteriologico della
Chiesa e i sacramenti di salvezza], relazione al Congresso internazionale di
missiologia, PUU, Roma 5-8 ottobre 1988, in Regno/Doc 3 (1989) 99-106
[originale tedesco nel volume degli atti: “La salvezza oggi”, UUP, Roma 1988, 33-60];
CONGAR Y.M.J., Extra Ecclesiam nulla
salus, in “Santa Chiesa”, Morcelliana, Brescia 1967, 385-399.
[374] Cf DELCUVE G., Faut-il encore
annoncer l'Evangile? in «Lumen vitae» 20 (1965) 504-516. La riflessione si
è sviluppata attorno al tema della «salvezza» e al ruolo della Chiesa: si
rimanda a La salvezza oggi, Atti del V Congresso internazionale di missiologia
[Roma, 5-8- ottobre 1988], Urbaniana University Press 1988. Per quanto riguarda
il Concilio, vi è stato certamente un fraintendimento ed una lettura
unilaterale e mutilata di testi conciliari. Ad esempio si è citato LG 16 che
dice: possono conseguire la salvezza eterna coloro che senza colpa ignorano il
vangelo e la Chiesa e tuttavia cercano sinceramente Dio (cf GS 22)...e si
tralascia di citare la finale di questo numero che, consapevole degli inganni
del Maligno, dice: perciò per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti
gli uomini, la Chiesa memore del comando del Signore (Mc 16,15), «promuove con
ogni cura le missioni» (LG 16; cf poi tutto il n.17 sulla natura missionaria
della Chiesa); scarsamente citato è anche AG 8 che dice: nessuno di per se
stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in
alto...tutti hanno bisogno di Cristo; AG 9: pertanto, tra il già e il non ancora,
il vangelo deve essere annunziato a tutte le genti mediante l'attività
missionaria che diventa così epifanìa e realizzazione del piano divino della
salvezza.
[375] Cf KOENIG Card. F., Difficoltà
e possibilità della missione, in AA.VV., Portare Cristo all'uomo,
I. Dialogo, Urbaniana University
Press, Roma 1985, 59-69. In questo intervento al Congresso internazionale
tenutosi alla Pontificia Università Urbaniana [febbraio 1985] sul tema «Portare
Cristo all’uomo», il Card. Koenig parla di difficoltà e incertezze che sono
sorte nei nostri tempi, forse anche in seguito al Vaticano II, e che hanno
provocato incertezze riguardo al lavoro missionario cattolico. Sulle varie
teorie circa la «missiologia contemporanea» si veda LOPEZ-GAY J., Missiologia contemporanea, in AA.VV., Missiologia oggi, Urbaniana University
Press, Roma 1985, pp.97-121.
[376] Secondo R. PANIKKAR, The
Unknown Christ of Hinduism, Maryknoll, NY 1981, il Logos potrebbe comparire
in modi diversi, ma reali, in altre religioni e figure storiche all'infuori del
Gesù di Nazareth. Per queste problematiche si veda J. LOPEZ-GAY, Missiologia contemporanea, op. cit..
[377] CEI, La Chiesa italiana dopo
Loreto, op.cit, nn.30.51-52., in «ECEI» 3, 2674.2695-2696.
[378] H. de Lubac, citato in P.GIGLIONI, La missione sulle vie del Concilio, Urbaniana University Press,
Roma 1988, p.203.
[379] GIOVANNI PAOLO II, Discorso alle PP.OO.MM., in Insegnamenti IX,1, 1986, 1398-1403 [qui p.1399].
[380] Cf ZAGO M., Fondamenti
teologici della missione, in AA.VV., «Spiritualità della missione», ed.
Teresianum, Roma 1986, 13-34 [ma si raccomanda tutto il volume].
[381] CEI, Lettera dei Vescovi per la riconsegna del testo «Il
rinnovamento della catechesi» n.14 [3.4.1988], in Il rinnovamento della
catechesi, ed. Fondazione di religione santi Francesco di Assisi e Caterina da
Siena, Roma 1988, pp.15-16.