PAOLO   GIGLIONI

 

 

 

 

 

 

 

I SACRAMENTI DI CRISTO

E DELLA CHIESA

 

Una sinfonia tra Dio e l’uomo

 

 

 

 

 

 

 

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

00120 Città del Vaticano


 

SACRAMENTO, SACRAMENTI

 

 

 

Avviando la nostra riflessione sui sacramenti della Chiesa, sui segni della nuova alleanza, riteniamo utile chiarire in primo luogo il significato dei termini qui maggiormente usati, come sacramento, sacramenti.

 

Sacramento.

<Sacramento> (al singolare), etimologicamente significa: l'azione che si compie, mediante un mezzo-strumento, per rendere sacro qualcosa o qualcuno; infatti sacra-mentum è composto dal verbo sacrare [= l'azione per rendere sacro] e dalla parola mentum [= il mezzo per ottenere un certo scopo].

Nella Bibbia il termine latino sacramentum traduce la parola greca mysterion che sta ad indicare il piano divino salvifico di Dio, il suo proposito di salvare l'uomo. San Paolo, in Efesini 3,3-12, definisce se stesso come ministro del mistero del Cristo: far conoscere il mistero che era nascosto alle precedenti generazioni, ma che ora è stato rivelato per mezzo dello Spirito [cf anche 1 Corinzi 2,7-10; per l'AT cf Daniele 2,18-19].

Praticamente Cristo stesso, nato-morto-risorto, e la sua missione, sono il primo e grande <sacramentum> di salvezza: <davvero grande è il mistero-sacramento della pietà: Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu predicato in mezzo alle genti, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria> (1 Timoteo 3,16).

Il dono della salvezza, nell'attuale economia voluta e stabilita da Dio, viene all'uomo per mezzo di Cristo e in Cristo (sacramento di Dio), attraverso la Chiesa (sacramento di Cristo), mediante i segni sacramenti (i sacramenti di Cristo e della Chiesa).

 

Cristo, sacramento di Dio.

Se <sacramento> significa rivelazione-dono della salvezza di Dio in e attraverso una forma esterna-visibile, Cristo con la sua incarnazione (cf Gv 1,14) è il primo grande sacramento: <il sacramento di Dio non è altro che Cristo> (S. Agostino); <Cristo è per noi, nella sua umanità, il sacramento di Dio> (H. de Lubac).

L'Umanità di Cristo è l'unico, singolare e straordinario mistero-sacramento dell'incontro salvifico del Padre con gli uomini nello Spirito Santo. E' piaciuto a Dio infatti salvare l'uomo mediante la carne di Cristo assunta dalla divinità (caro salutis cardo: la carne è cardine della salvezza). Questa carne santissima e ripiena di Spirito Santo è manifestazione della potenza e della sapienza del Padre. Parlando del Verbo di Dio fatto uomo e venuto ad abitare in mezzo a noi, san Giovanni dice: <Noi abbiamo contemplato la sua gloria (doxa), gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità> (Gv 1,14); le sue opere ed i suoi miracoli, cioè i <segni> da lui compiuti, sono espressione della vita che era in lui, bagliori della <luce che venendo al mondo illumina ogni uomo> (Gv 1,4.9; 3,19s; 8,12) che vuole credere, che vuole scoprire il senso di questa luce.

Cristo realizza in senso assoluto la presenza di Dio fra noi, presenza personale e piena, della quale l'abitazione di Dio nella tenda o nel tempio dell'antica alleanza non erano che figure (cf Esodo 25,9; Geremia 7,4-10.12-15; 26,1-9). A questo proposito così si esprime la costituzione Dei verbum su la divina rivelazione: <Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato come uomo agli uomini, parla le parole di Dio, e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cf Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con segni e con miracoli, e specialmente con la sua morte e con la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dal peccato e dalla morte e risuscitarci per la vita eterna> (DV 4).

Nella sua umanità Cristo è dunque il sacramento primordiale del Padre, il sacramento dell'incontro con Dio[1].

 

La Chiesa sacramento di Gesù Cristo.

Dopo Cristo e inscindibilmente legata a lui, anche la Chiesa è mistero-sacramento di salvezza per tutte le genti, cioè lo strumento eletto, intelligente e sensibile con il quale Dio fa giungere la sua Parola, la sua Sapienza e il suo Spirito fino ai confini della terra. Questo permette ad Agostino di scrivere: <La Chiesa dei battezzati è il mistero-sacramento dell'arca di salvezza>; e S. Cipriano: <La Chiesa è l'indistruttibile sacramento dell'unità>. La Chiesa porta in questo mondo la Parola ed i sacramenti della salvezza. In essa si fa presente <tutti i giorni fino alla fine del mondo> (Mt 28,20) il Cristo glorioso. Animata e sorretta dallo Spirito Santo essa estende e comunica a tutte le generazioni e a tutti i popoli la salvezza compiuta dal suo Sposo e Signore. Essa è qui in terra il sacramento di Gesù Cristo, come Gesù Cristo è per noi, nella sua umanità divinizzata, il sacramento di Dio[2]. E come nessuno ha accesso a una conoscenza del Padre senza passare per Colui che resta sempre e per tutti la <via> e <l'immagine del Dio invisibile> (Gv 14,6; Col 1,15), così la Chiesa tutta intera, visibile e invisibile, terrestre ed eterna, ha per fine quello di mostrare il Cristo, di condurre a lui, di comunicare la sua grazia. Essa non esiste che per metterci in rapporto con lui.

Solo essa può farlo e mai ha finito di farlo. Mai viene un momento, nella vita degli individui e nella storia dei popoli, nel quale il suo ruolo dovrò o anche solo potrà cessare. Giustamente è stato scritto che se il mondo perdesse la Chiesa perderebbe la Redenzione. Infatti <la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano> (LG 1)[3].

Perciò la Chiesa non è solo segno visibile di salvezza, ma anche <sacramento> del Cristo glorioso. Come sacramento del Cristo risorto essa ha la missione di rendere presente la salvezza operata da Cristo, mediante l'annuncio della Parola, i sacramenti, la testimonianza. Essa deve annunciarlo, donarlo, mostrarlo a tutti: essa è sempre, e in tutta verità, la Chiesa di Cristo. Ma ciò che è in se stessa, deve divenirlo in noi. Ciò che essa è per noi, deve esserlo anche per mezzo di noi. Occorre che Cristo, anche per mezzo nostro, continui ad essere annunciato, celebrato, testimoniato.

Scaturita quale mirabile sacramento dal costato del Cristo dormiente sulla croce (s. Agostino citato in SC 5), in virtù di quel <sangue ed acqua> (Gv 19,34)[4] essa rende presente ed attuale il mistero pasquale di Cristo ed offre agli uomini la possibilità di inserirsi nell'organismo vivo del suo corpo.

 

I sacramenti di Cristo e della Chiesa.

Come Cristo è il sacramento di Dio e la Chiesa sacramento di Cristo, così i sacramenti della nuova alleanza sono <sacramenti di Cristo e della Chiesa>.

Prima di tornare al Padre Cristo ha esclamato: <Tutto è compiuto> (Gv 19,30). Così <ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei sacramenti> (s. Leone Magno). Nel suo mistero pasquale la salvezza è acquistata una volta per sempre (cf Ebrei 9,26; 10,10.12.14). Resta ora da comunicare agli uomini, che sono il suo corpo, quello che si è compiuto nel Cristo capo. Occorre che tutti i misteri della sua vita si riperquotano nel tempo e nello spazio perché ogni uomo che si affaccia alla vita possa sentirli come presenti ed esservi inserito. Quest'opera di santificazione la compie lo Spirito Santo nella Chiesa, come ben si esprime san Bernardo: <Abbiamo un doppio pegno della salvezza, la doppia effusione del sangue e dello Spirito: a nulla vale l'una senza l'altra...Non mi gioverebbe il fatto che Cristo è morto per me, se non mi vivificasse col suo Spirito>. Nei sacramenti della Chiesa è dunque lo Spirito che realizza in noi ciò che si è compiuto in Cristo: interiorizza il suo mistero e ce ne applica i frutti; fa sì che diventi il <nostro mistero> (Ad gentes 4). I sacramenti infatti contengono realmente una virtù che emana dall'incarnazione e dalla Pasqua di Cristo. I sacramenti non sono altro che il prolungamento dei misteri del Verbo incarnato. Con una espressione di Y. Congar si può anche dire che <tra i due avenimenti di Cristo, dalla Pasqua che ha fatto per noi a quella che faremo con lui, lo Spirito Santo agisce per far crescere e fruttificare l'alfa fino all'omega>.

Dalla Pentecoste in poi lo Spirito Santo è all'opera a tutti i livelli della vita ecclesiale e della vita di ogni singolo credente. In una maniera tutta particolare, però, è presente ed efficace là dove la Chiesa raggiunge il <culmine e la fonte> di tutta la sua vita: l'azione liturgica (SC 10). Qui infatti <la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali> (LG 50); è qui che massimamente <lo Spirito Santo, per mezzo dei sacramenti e dei ministri, santifica il popolo di Dio e lo guida e lo adorna di virtù> (LG 12).

Se <nella liturgia...per mezzo di segni sensibli viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo> (SC 7), ciò è dovuto proprio a questa azione santificante dello Spirito in quanto attuatore di tutte le meraviglie operate da Cristo per la nostra salvezza. Scrive in proposito san Basilio nel suo Trattato sullo Spirito Santo: <E' lo Spirito che opera la reintegrazione nel Paradiso, l'ingresso nel regno dei cieli, il ritorno all'adozione filiale. E' lui che dona il santo ardire di chiamare Dio Padre, di partecipare alla grazia di Cristo, di essere chiamati figli della luce, di avere parte alla gloria eterna: in una parola, di essere in questo secolo e nel futuro...>.

Emerge perciò chiaramente che l'azione dello Spirito Santo nell'economia sacramentale della Chiesa rende possibile all'uomo quella comunicazione vitale con Cristo che avrà come realizzazione ultima l'accesso alla gloria del Padre. Con Sant'Ambrogio si può ben dire <Io trovo Te nei tuoi misteri>.

Rispetto a Cristo (sacramento fondamentale) e alla Chiesa, i sacramenti: sono ordinati alla santificazione dell'uomo (trasmettono l'efficacia della salvezza, comunicano la grazia); rendono culto a Dio;  mettono in contatto col piano salvifico incorporando a Cristo;  edificano la Chiesa strutturandola come Corpo di Cristo; in quanto segni, hanno poi anche la funzione di istruire (Cf SC 59; CIC 840).

Se è vero che senza la Chiesa non ci sono i sacramenti, è altrettanto vero che senza sacramenti non ci sarebbe la Chiesa. Attraverso i sacramenti la Chiesa è generata, è santificata, cresce, si diffonde, si rinvigorisce, si perfeziona, si purifica, compie la sua missione.

 

Che cosa sono i sacramenti.

 

a. sono <segni della fede>.

 Secondo SC 59: * esprimono la fede della Chiesa. La Chiesa crede nell'efficacia dei segni sacramentali che essa compie nel nome e con l'autorità di Cristo; ecco perché, per la validità di un sacramento, si richiede sempre di fare ciò che intende fare la Chiesa;  * esprimono la fede del soggetto che li riceve: la presuppongono (senza la fede in Cristo e nella sua opera di salvezza non esiste neppure l'azione sacramentale salvifica: cf Mc 16,15; At 8,37s; è dunque lecito e doveroso dare l'unzione dei malati anche a chi è in coma, presupponendo che, se fosse stato in coscienza, l'avrebbe lui stesso liberamente richiesta; nel battesimo dei bambini si presuppone la fede dei genitori e della Chiesa stessa); la esprimono (tutti i sacramenti sono una professione-confessione di fede in Cristo Signore); la nutrono e la irrobustiscono (<credo, ma aumenta la mia fede> Mc 9,24). Senza la fede i santi segni non riusciranno ad essere letti al di là della loro sfera <mondana>, non potranno indicare il distacco verso Colui che è il <totalmente Altro>, sempre inaccessibile in se stesso e mai pienamente comunicabile; senza la fede, invece che <santo> il segno diventa <magico>, quasi un pretendere di carpire la potenza divina e dominarla per i propri fini (cf l'episodio di Simone il mago in At 8,19-25; anche l'episodio di cafarnao in Gv 6,26-28).

 

b. sono <segni della grazia>. Nei sacramenti Dio si dona totalmente all'uomo per elevarlo, trasformarlo, divinizzarlo, introdurlo nella comunione della sua natura divina. Questa grazia-dono è dunque <unica> [= grazia santificante], anche se conferita in modo <suo> proprio da ciascun sacramento [= grazia sacramentale].

In quanto <segni> i sacramenti hanno una profondità <tridimensionale>:

* sono anamnesi-memoriale della Pasqua di Cristo (recolitur memoria);

* sono epiclesi-attuazione perché colmano l'anima di grazia (mens inpletur gratia);

* sono anticipazione-pegno della gloria futura (pignus gloriae futurae nobis datur).

 

c. sono <segni> composti di cose e di parole. Come il Dio invisibile si fa visibile nella incarnazione di Cristo in quanto egli è il Verbum-Caro (Gv 1,14.18), così nei sacramenti si continua questo mistero dell'incarnazione salvifica. Già s. Agostino diceva: <Togli la parola e cos'è l'acqua se non semplice acqua? Accede la Parola all'elemento e diventa sacramento>. Secondo il linguaggio degli scolastici si parla anche di <materia> (la cosa) e <forma> (la parola).

 

I sacramentali.

<La santa Madre Chiesa ha inoltre istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, ad imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti, e vengono santificate le varie circostanze della vita> (SC 60). In altre parole: sono istituiti dalla Chiesa e non da Cristo; sono conferiti mediante una preghiera e dei gesti, ma non esigono una epiclesi; non richiedono necessariamente l'esercizio del ministero ordinato, ma possono essere svolti anche dai laici. I principali sacramentali sono: le benedizioni, gli esorcismi, le processioni, la via crucis, il rosario e tante altre forme di pietà popolare (cf SC 13; EN 48; CT 54).


L'EFFICACIA DEI SACRAMENTI

 

<La Chiesa adempie la funzione di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia> (CIC 834); <in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo> (SC 7). I sacramenti sono segni efficaci della grazia perché sono atti salvifici di Cristo che egli esercita nella Chiesa e per la Chiesa.

 

Chi agisce nei sacramenti.

L'opera di salvezza compiuta da Cristo una volta per sempre nel suo mistero pasquale (Ebrei 9,26), continua oggi ad essere offerta ad ogni credente attraverso i sacramenti. Con i Padri si può dire: <Pietro battezza? Ma è Cristo che battezza...Coloro che ha battezzato Giovanni Battista, li ha veramente battezzati Giovanni. Coloro invece che ha battezzato Giuda, li ha battezzati Cristo> (s. Agostino)[5]. E il Vaticano II dice: <Cristo è presente nella comunità dei suoi pontefici e per mezzo dell'eccelso loro ministero predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede (LG 21; cf PO 2).

I sacramenti sono dunque atti salvifici di Cristo con i quali egli rende presente, nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, i misteri della sua Pasqua. Essendo egli <il Vivente>, Colui che sempre intercede per noi alla destra del Padre (Ebrei 7,25), di fatto è anche <il Presente> alla sua Chiesa e in essa e per essa (in quanto suo sacramento) continua ad offrire i misteri salvifici della sua Pasqua. Infatti <ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice, annunziamo la sua morte , proclamiamo la sua risurrezione, nell'attesa della sua venuta> ( 1 Cor 11,26).

 

Chi ha istituito i sacramenti.

La Tradizione ininterrotta della Chiesa d'Oriente e d'Occidente afferma, con i Padri, che: <Chi è l'autore dei sacramenti se non il Signore Gesù? Infatti questi sacramenti vengono dal cielo> (s.  Ambrogio). Dal canto suo s. Agostino commenta: <L'Evangelista non disse "egli trafisse il suo costato", bensì "aprì", affinché in certo modo venisse aperta la porta della vita là donde scaturirono i sacramenti della Chiesa, senza i quali non si entra nella vita, che è la vera vita>.

La riforma protestante aveva negato la realtà sacramentale della Chiesa; dei sette sacramenti aveva conservato, come semplici segni, solo il Battesimo e la Cena, ritenendo gli altri di semplice istituzione ecclesiastica. Il Concilio di Trento condannò questa tesi: <Chi afferma che i sacramenti del nuovo patto non sono tutti istituiti da Cristo Gesù Signore Nostro, oppure che sono di più o di meno di sette...sia scomunicato>.

Gesù nostro Redentore è dunque l'unico autore della Chiesa e dei sacramenti della Chiesa. Egli è il <sacramento> che si prolunga nei <sacramenti> per poter ragiungere tutti gli uomini di tutti i tempi e salvarli e ricondurli al Padre.

La Bibbia è esplicita sull'istituzione da parte di Gesù di alcuni sacramenti: il Battesimo (Mt 28,19; Mc 16,15; Gv 3,4); l'Eucaristia (Lc 22,19; 1 Cor 11,26); la Penitenza (Gv 20,23). Di fatto però anche gli altri sacramenti vanno ricondotti a Cristo, dal momento che gli Apostoli si sono considerati solo <ministri> di Cristo e <amministratori> dei misteri di Dio (1 Cor 4,1); in quanto fedeli amministratori nulla inventano, ma fin dall'inizio applicano ben precisi gesti sacramentali che fanno risalire alla volontà di Cristo Salvatore, quali la Confermazione (At 8,7; 19,6); l'Unzione (Giacomo 5,14); il matrimonio (Ef 5,25; Mt 19,3-9); l'Ordine (2 Tim 1,6; 2,2; ma già in Lc 22,19: fate questo...).

Viene tuttavia da chiedersi: qual è la potestà della Chiesa sui sacramenti? Per analogia con la liturgia, anche dei sacramenti si può dire che essi constano di una parte immutabile (di istituzione divina) e di parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare (SC 21). E' in questo ambito rituale e mutabile che la Chiesa, con quel processo chiamato <inculturazione>, di fatto è sempre intervenuta per regolare la disciplina sacramentale (CIC 841).

 

Sono necessari i sacramenti?

E' fuori dubbio che Dio può elargire la sua grazia agli uomini anche per vie extra-sacramentali. Tuttavia i sacramenti rimangono i mezzi ordinari, principali, e quindi necessari per ricevere la grazia divina. <Senza i sacramenti della Chiesa non si entra nella vita che è la vera vita> (s. Agostino). E il decreto Ad gentes n.7 afferma: poiché <non esiste in nessun altro salvezza (At 4,12), è necessario che tutti a lui si convertano, dopo averlo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a Lui e alla Chiesa, sua corpo, siano incorporati attraverso il Battesimo> (AG 7).

Essi sono gli strumenti ordinari della grazia che santifica, trasforma, deifica l'uomo. Essi sono anche i mezzi per i quali ogni vera giustificazione <se non c'è, inizia; se c'è, è aumentata; se è perduta, viene recuperata> (Concilio di Trento). Con il Battesimo la grazia inizia; con la Penitenza è recuperata; con tutti gli altri è aumentata. Al seguito di s. Tommaso, il Concilio di Trento dividerà in tre classi i sacramenti: sacramenti di iniziazione (Battesimo, Confermazione, Eucaristia); sacramenti medicinali (Penitenza, Unzione); sacramenti sociali (Ordine, Matrimonio).

 

Perché e come sono efficaci i sacramenti.

I sacramenti cristiani hanno la forza di santificare perché non sono segni vuoti o sterili, ma sono carichi della realtà significata: contengono e comunicano, con la forza dello Spirito Santo, la grazia trasformante e deificante a coloro che li ricevono con le dovute disposizioni.

Dicono i Padri: <Il corpo viene lavato affinché l'anima sia purificata; il corpo riceve l'unzione affinché l'anima venga consacrata> (Tertulliano). Pertanto: i sacramenti contengono e coferiscono la grazia; non solo nutrono e irrobustiscono la fede, ma contengono e comunicano la grazia di Dio all'uomo che li riceve con le debite disposizioni.

Con il linguaggio della teologia scolastica si dice che i sacramenti agiscono <ex opere operato>: hanno una efficacia oggettiva in quanto è Cristo stesso che agisce in essi. L'efficacia del sacramento dipende dalla volontà salvifica di Dio il quale dona la sua grazia non legandosi a disposizioni interiori del ministro che li celebra o alla virtù del ricevente, ma unicamente alla sua misericordiosa bontà salvifica: <Non per merito del sacerdote agisce il sacramento, ma per la parola del Creatore. Pertanto non l'iniquità del sacerdote impedisce l'effetto del sacramento, come l'infermità del medico non corrompe la medicina> (Innocenzo III).

Agiscono in questo modo, purché non si pongano ostacoli; richiedono quindi anche l'<ex opere operantis> cioè la cooperazione di chi li riceve. Per la loro efficacia si richiede che colui che riceve i sacramenti non ponga alcun ostacolo alla grazia. Non sono quindi azioni magiche, ma azioni di Dio che, per mezzo di Cristo e dello Spirito, dona attraverso i segni sacramentali la sua grazia sacramentale in maniera immediata e diretta a coloro che li ricevono con le dovute disposizioni.

 

Chi è il ministro dei sacramenti.

Il ministro o agente principale dei sacramenti è lo stesso Cristo, essendo i sacramenti primordialmente azioni salvatrici di Cristo. Essendo poi il Figlio inseparabile dal Padre e dallo Spirito, si deve dire che in realtà è tutta la Santa Trinità che agisce nei sacramenti: il Padre dà la sua potente volontà salvifica al Figlio incarnato; il Figlio Mediatore-Redentore-Pontefice attua quest'opera con il mistero della sua Pasqua; lo Spirito Santo è il santificatore e il continuatore dell'opera di Cristo nella Chiesa; è la mano invisibile, ma efficace, con cui Cristo, nei sacramenti, afferra l'uomo e lo inserisce nella sua opera di salvezza.

Tuttavia il Cristo Risorto agisce per mezzo della Chiesa, corpo terrestre del Signore glorificato. La Chiesa, in quanto comunità salvifica, è costituita principio subordinato, strumento visibile di Cristo, suo <universale sacramento di salvezza> (LG 48).

Esiste poi un <soggetto ministeriale> dei sacramenti dal momento che Cristo e la Chiesa agiscono per mezzo dei ministri; essi sono chiamati ad agire <in persona Christi> e a nome della Chiesa. Essi non agiscono né a nome, né con potere proprio, ma in nome e con l' autorità di Cristo e della Chiesa: <ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio> (1 Cor 4,1; cf 3,9).

 

Le qualità per dare e per ricevere i sacramenti.

Le qualità richieste al ministro sono: l'idoneità (essere in possesso della necessaria potestà, in genere l'ordinazione e la missione canonica da parte del Vescovo); l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa (egli non è un robot, ma una persona chiamata ad inserirsi nella volontà salvifica di Cristo e della Chiesa). Per la validità dell'amministrazione dei sacramenti non è necessaria, di per sé, la fede e la santità del ministro: <i sacramenti per se stessi sono cose sante, indipendentemente dagli uomini> (Ottato di Milevi). Già si è detto che il ministro principale dei sacramenti è Cristo. Per la liceità, invece, è richiesta al ministro la fede, la santità, la comunione con la Chiesa: su di essi deve riflettersi la santità della Chiesa, come sul volto della Chiesa si riflette la santità di Cristo. Si dà tuttavia il caso di sacramenti amministrati validamente, ma non lecitamente (è il caso dei sacramenti conferiti dagli scismatici). I ministri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, e siano ben disposti (CIC 843).

Le qualità richieste al soggetto che riceve i sacramenti sono: per riceverli validamente si richiede la fede e l'intenzione (esplicita o almeno implicita): <chi ha creato te senza di te, non può salvare te senza di te> (s. Agostino); per riceverli degnamente si richiede la fede, l'intenzione, la conversione, lo stato di grazia; san Paolo ricorda, a proposito dell'Eucaristia, che prima di riceverla <ognuno esamini se stesso> per non dover mangiare e bere la propria condanna (1 Cor 11,27-29). I pastori hanno il dovere di preparare adguatamente, con la dovuta evangelizzazione e formazione catechetica, coloro che chiedono i sacramenti (CIC 843).

Pertanto: i sacramenti sono come una <sinfonia> tra Dio e l'uomo, un <dialogo> di salvezza che ha luogo nello spazio della grazia che è la Chiesa. Il valore oggettivo dei sacramenti (l'ex opere operato) richiede sempre anche le disposizioni soggettive del ricevente (l'ex opere operantis).

 

Gli effetti dei sacramenti.

Essi donano anzitutto la <grazia santificante> o abituale, comune a tutti i sacramenti. E' l'intima comunione di vita con Cristo, la partecipazione alla sua natura divina (cf 2 Pietro 1,4). Il Concilio di Trento ha detto che nei sacramenti ogni grazia se non c'è viene data (è detta grazia prima, nel Battesimo), se c'è viene aumentata, se è stata perduta viene restituita (è detta grazia seconda, negli altri sacramenti).

Donano poi la <grazia sacramentale> che è propria e specifica ad ogni sacramento[6]. <La grazia sacramentale aggiunge alla grazia abituale un determinato divino aiuto, atto a far conseguire il fine proprio di ogni sacramento> (s. Tommaso). Di fatto ogni sacramento conferisce una particolare configurazione a Cristo e dona frutti specifici: come piante diverse che, inserite nella stessa terra, producono ciascuna frutti diversi e propri.

Tre dei sette sacramenti (battesimo, confermazione, ordine) producono, in coloro che li ricevono, un <carattere>: un indelebile rapporto con Cristo e con la Chiesa (cf 2 Cor 1,21-22; Ef 1,13; CIC 845), <il segnacolo dello Spirito Santo indelebile nei secoli> (Cirillo di Gerusalemme). Il carattere è un segno: <configurativo> (imprime gli stessi lineamenti del Verbo incarnato, la sua stessa immagine), <distintivo> (distingue chi lo riceve da tutti gli altri), <dispositivo> (dispone alla grazia). <deputativo> (deputa al culto, alla carità,  alla missione), <esigente> (esige la grazia e il dovere di assolvere gli impegni ricevuti mediante il carattere sacramentale).

 


I SANTI SEGNI

 

La vita quotidiana dei singoli e delle comunità è tutta intessuta di azioni, di segni, di parole che permettono agli uomini di comunicare tra di loro e di vivere insieme. Anche l'incontro fra Dio e il suo popolo conserva questo carattere interpersonale del dialogo. Dio non inventa un linguaggio particolare per parlare a noi, ma in virtù della grande legge dell'incarnazione, in forza di quella misteriosa condiscendenza che fa del Creatore una creatura in Cristo , Dio stesso parla all'uomo con il linguaggio dell'uomo e si comunica a lui come un padre fa con il figlio.

Anche l'opera sacerdotale di Cristo, che si prolunga e si attua nel tempo della Chiesa per mezzo della liturgia, si esplica per mezzo di segni sensibili: <per mezzo di segni sensibili viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo> (SC 7). <E' quindi di grande importanza che i fedeli comprendano facilmente i segni dei Sacramenti> (SC 59).

<Nella catechesi dei sacramenti si deve attribuire grande importanza alla spiegazione dei segni. Attraverso i segni visibili la catechesi conduca i fedeli alla conoscenza degli invisibili misteri salvifici di Dio> (DCG 57).

Così facendo, attraverso l'intima penetrazione della fede, l'umano manifesta il divino, il visibile diventa segno del mondo invisibile; e la Chiesa può così riconoscere, in questi segni della comunicazione divino-umana, l'azione efficace di Cristo Salvatore.

Nei santi segni della liturgia la Chiesa riconosce l'azione  di Cristo che continua ad incarnarsi in essa con la potenza santificante dello Spirito. E poiché attraverso queste azioni-segno il Santo santifica l'uomo, si può ben dire che tali segni non sono più unicamente dei segni <naturali> per la comunicazione interumana, ma vengono assunti per comunicare la santità di Dio: per questo li chiamiamo i <santi segni>.

Per mezzo di questi santi segni il credente viene in contatto con il mistero della salvezza: può entrarvi in comunione e farlo proprio dal momento che lui stesso è afferrato da Dio in un modo che è visibile e percettibile pur rimanendo al tempo stesso misterioso e divinamente ineffabile. Con S. Agostino si può dire: <Per i segni visibili, agli invisibili misteri>; si intende così che nei santi segni non solo ci è dato di incontrare la salvezza donataci dal Padre in Cristo e nello Spirito, ma che per mezzo di tali segni è anche possibile accedere alla realtà soprannaturale di cui sono segno e comunicazione.

 

La mistagogìa.

Quale superficialità l'aver supposto che sarebbe bastata la traduzione dei testi latini in lingua italiana per capire la liturgia! Da questa esperienza deriva l'urgenza di recuperare quella prassi tanto cara ai Padri e alle prime comunità cristiane che va sotto il nome di <mistagogia>[7]. La mistagogìa ha come funzione di condurre, attraverso i segni, alla soglia del mistero cristiano dove è possibile incontrare il Signore risorto che misticamente, e realmente, si fa presente alla sua Chiesa.

Ecco come ne parla Teodoro di Mopsuestia nelle sue Omelie catechetiche: <Ogni sacramento è l'indicazione, attraverso segni e simboli, di realtà invisibili e ineffabili. Una rivelazione e una spiegazione su tali realtà sono certamente necessarie, se qualcuno vuole conoscere la forza di questi misteri. Se ciò che accade effettivamente fosse soltanto quello che si vede fare, la spiegazione sarebbe superflua, perché basterebbe la vista a mostrarci le cose che si verificano. Ma nel sacramento si trovano i segni di ciò che avverrà (nel futuro) o di ciò che è già avvenuto (nel passato), e perciò è necessario un discorso che spieghi il senso dei segni e dei misteri>[8].

E Cirillo di Gerusalemme, rivolgendosi ai suoi neofiti che chiama <figli genuini e desideratissimi della Chiesa>, così spiega il tempo e lo stile della catechesi mistagogica. <Siccome sapevo che si crede di più a quello che si vede che a quello che si ode, ho aspettao questo momento...Ormai siete divenuti capaci dei più divini misteri, perché fatti segni anche del battesimo vivificatore. Dal momento che ormai bisogna imbandire a voi il banchetto degli insegnamenti più perfetti, incominciamo dunque a insegnarveli diligentemente, affinché comprendiate quello che avete veduto compiersi su di voi nella notte del battesimo>[9]. Senza dimenticare che questi neo-battezzati già avevano ricevuto un'istruzione catecumenale protrattasi ordinariamente per ben tre anni! Nonostante questo il loro Vescovo sentiva la necessità di imbandire loro <il banchetto degli insegnamenti più perfetti>.

Al tempo della mistagogìa, nei riti di iniziazione cristiana, era dedicata tutta la settimana che segue la Pasqua e si concludeva con la domenica in albis. Il nuovo Rito della iniziazione cristiana degli adulti (=RICA, 1972), consapevole dell'importanza che hanno i santi segni per entrare più profondamente nel mistero cristiano, ha mantenuto questa antica tradizione e ne parla in questi termini: <Dopo quest'ultimo grado (il conferimento dei 3 sacramenti di iniziazione: battesimo, confermazione, eucaristia), la comunità insieme con i neofiti[10] prosegue il suo cammino nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione all'Eucaristia e nell'esercizio della carità, cogliendo sempre meglio la profondità del mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita. Questo è l'ultimo tempo dell'inizizione cioè il tempo della "mistagogìa" dei neofiti> (RICA 37).

<In realtà una più piena e più fruttuosa intelligenza dei misteri si acquisisce con la novità della catechesi e specialmente con l'esperienza dei sacramenti ricevuti. I neofiti infatti sono stati rinnovati interiormente, più intimamente hanno gustato la buona parola di Dio, sono entrati in comunione con lo Spirito Santo e hanno scoperto quanto è buono il Signore. Da questa esperienza, propria del cristiano e consolidata dalla pratica della vita, essi traggono un nuovo senso della fede, della Chiesa e del mondo> (RICA 38).

Nelle <Premesse> all'edizione italiana del RICA i Vescovi italiani nel 1978 così scrivevano: <questo itinerario, graduale e progressivo di iniziazione e di evangelizzzione...è presentato con valore di forma tipica per la formazione cristiana>; ed invitavano a <costituire una catechesi di tipo mistagogico dei sacramenti già ricevuti, in vista di una esperienza più piena della loro divina efficacia>.

 

Deduzioni pastorali.

Dall'esperienza dei Padri e dalle recenti norme presenti nei Rituali rinnovati, si possono trarre queste indicazioni pastorali:

a. Esiste una forma particolare di catechesi, comunemente detta catechesi mistagogica, che ha un suo proprio metodo: condurre i fedeli, <per mezzo dei riti e delle preghiere> (per ritus et preces), a comprendere bene i misteri della fede e a parteciparvi consapevolmente, piamente e attivamente (SC 48). Infatti la liturgia è una ricca fonte di istruzione per il popolo fedele (SC 35). Questa catechesi non deve essere saltuaria od occasionale, ma deve essere sistematica e specifica, da offrire a tutta la comunità cristiana; il tempo migliore è quello pasquale. Questa è anche la metodologia più efficace e consigliata per la preparazione dei genitori al battesimo dei figli, dei fidanzati al matrimonio, e così via. Già si è detto che i nostri Vescovi la considerano <forma tipica> per la formazione cristiana.

b. Esiste anche un un altro tipo di <catechesi liturgica> di cui parla Sacrosanctum concilium: <negli stessi riti siano previste, quando necessario, brevi didascalie da farsi con formule prestabilite o simili, dal sacerdote o dal ministro competente, ma solo nei momenti più opportuni> (SC 35 § 3). Più che di catechesi, si tratta qui di <monizioni> da farsi con <brevissime parole>[11], sobrie e preparate con cura. Molto spesso, invece, queste monizioni diventano vere e proprie istruzioni durante la celebrazione dei sacramenti; conseguenza: da celebrate, queste azioni liturgiche diventano <chiacchierate>; l'aspetto <didascalico> finisce per soffocare l'aspetto epifanico-misterico-dossologico che è invece prioritario e costitutivo della celebrazione liturgica.

Via sia pertanto chiarezza su ciò che è mistagogìa e ciò che mistagogìa non è; di conseguenza si scelgano tempi e modi propri per una catechesi liturgica di tipo mistagogico; l'elemento <didascalico> sia sobrio nella celebrazione, facendolo eventualmente precedere la celebrazione come preparazione oppure seguire come ulteriore approfondimento della medesima in una catechesi sistematica.

c. Esiste poi tutto il vasto campo della evangelizzazione. Negli anni 1973-1978 la CEI ha pubblicato una serie di documenti chiarendo il rapporto tra <evangelizzazione e sacramenti> (1973) e dai quali risulta che: all'evangelizzazione spetta un necessario primato[12], o meglio priorità; si eviti di limitare l'azione pastorale ad una attenzione esclusiva sulla prassi sacramentale, ma vi sia equilibrio e continuità tra evangelizzazione e sacramentalizzazione; si eserciti anche un sereno discernimento circa l'ammissione dei candidati alla celebrazione sacramentale.

 

Il rinnovamento della catechesi.

E' ancora valido quanto scritto nel 1970 nel Documento di Base sul Rinnovamento della catechesi circa la catechesi dei segni liturgici:

a. La catechesi inizia i cristiani a cogliere il valore dei segni liturgici con i quali Dio si rivela e si comunica...così i fedeli crescono nell'intelligenza del mistero cristiano, nutriti dei sacramenti pasquali (RdC 32).

b. Il cristianesimo nasce ed è costituito da una serie ordinata di fatti e di parole che rivelano e attuano il disegno di Dio: interventi divini e risposte umane, culminanti nell'evento supremo che è Cristo. E' una storia presente che realizza una promessa...e enticipa e prepara, in segni variamente efficaci, una pienezza definitiva e futura (RdC 78).

c. Il catechista deve studiare e spiegare attentamente il senso, talora recondito ma inesauribile e vivo dei segni e dei riti liturgici, osservando non tanto il loro simbolismo naturale, ma considerando piuttosto il valore espressivo che essi hanno assunto nella storia dell'antica e della nuova alleanza. L'acqua, il pane, il radunarsi in assemblea, il camminare insieme, il canto, il silenzio lasceranno trasparire più chiaramente le verità di salvezza che evocano e che misticamente realizzano (RdC 115).

d. Per evitare il disagio di sistemazioni impersonali e lontane dalla vita di fede, grande risalto occorre dare alla pedagogìa dei segni, la quale trova la sua ultima ragione nella natura stessa del mistero rivelato. Il catechista sa rendere familiare ai fedeli il passaggio dai segni visibili agli invisibili misteri che in essi Dio fa conoscere e comunica. Distingue perciò la diversa natura dei segni e il diverso valore che ciascuno di essi ha in ordine al mistero...Come evita di presentare i segni senza riferimento al mistero, così evita di parlare del mistero senza il ricorso ai segni, in modo che l'incontro dei fedeli non sia con il Dio dei filosofi, ma con il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, con il Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa (RdC 175).

 

Ascolto, fede, amore.

La mistagogìa, attraverso il linguaggio dei santi segni, conduce nell'universo dello spirito alzando il velo e comunicando una nuova capacità visiva, quella cioè di fare esperienza della salvezza nell'oggi dela celebrazione liturgica. Una autentica catechesi sacramentaria, pertanto, va ben al di là di una semplice istruzione morale-intellettuale; mira piuttosto ad una conoscenza esperienziale dell'universo della fede, segnando il primato della vita sui concetti.

Si dovrà certamente parlare della natura, degli effetti dei sacramenti; ma punto di arrivo resta sempre l'intelligenza del mistero e la sua effettiva partecipazione nella celebrazione liturgica per prolungarsi poi nella vita e nella missione.

Questa del resto è la metodologia catechistica di S. Agostino il quale, nel suo De catechizandis rudibus, afferma chiaramente che il termine ultimo e la finalizzazione della catechesi è la <charitas>: <chi ti scolta, ascoltando creda, credendo speri, sperando ami> (IV, 8).

 


L'INIZIAZIONE CRISTIANA

 

Secondo la celebre affermazione di Tertulliano, <cristiani non si nasce ma si diventa>. In base a questa convinzione fin dai primi secoli del cristianesimo la Chiesa organizzò un cammino graduale e progressivo del <divenire cristiani> che chiamò <iniziazione cristiana>; iniziazione nel senso di <inserimento> vitale nel mistero pasquale di Cristo e nella vita della Chiesa.

Nel discorso di Pietro il giorno di Pentecoste troviamo già una sintesi di quella che sarà la struttura dell'iniziazione cristiana: <All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: Che cosa dobbiamo fare? E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo> (Atti 2.37-38).

Coloro che hanno udito l'annuncio del mistero di Cristo (kerygma), con la grazia dello Spirito Santo consapevolmente e liberamente cercano il Dio vivo e iniziano il loro cammino di fede e di conversione (catecumenato-catechesi). Al tempo opportuno porteranno a compimento il loro cammino di <divenire cristiani> ricevendo con frutto i sacramenti della iniziazione cristiana (Liturgia: Battesimo, Confermazione, Eucaristia).

I due momenti inseparabili del <cammino>  e della <celebrazione> formano insieme quel programma unico del divenire cristiani che si chiama appunto <iniziazione cristiana>.

Questo programma di iniziazione conobbe il suo massimo splendore nell'epoca d'oro del catecumenato (III-V secolo); poi scomparve. Recentemente il Vaticano II ha voluto che fosse <ristabilito, riveduto e adattato> l'antichissimo rito e prassi della iniziazione cristiana (SC 64-66; AG 14; CD 14); il 6 gennaio 1972 veniva pubblicato il Rito dell' Iniziazione Cristiana degli Adulti (RICA). Nelle Premesse a questo nuovo Rito la Conferenza Episcopale Italiana ha scritto: <E' importante richiamare l'attenzione sul fatto che l'itinerario, graduale e progressivo, di evangelizzazione, iniziazione, catechesi e mistagogìa è presentato dall'ordo con valore di forma tipica per la formazione cristiana>. Oggi nelle nostre comunità ecclesiali si sente con maggiore intensità l'esigenza di un'azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla consapevolezza progressiva e personale della propria fede, mediante una catechesi permanente che segua gradualmente il cristiano dall'infanzia alle successive fasi della vita.

Se, in senso stretto, il RICA riguarda il <divenire cristiani> per coloro che ancora non sono battezzati, ha tuttavia un valore di forma tipica per la formazione cristiana di coloro che, battezzati da piccoli, non hanno mai fatto un cammino sistematico di iniziazione. Offre anche un apposito programma di iniziazione per fanciulli/ragazzi che chiedono il battesimo in età scolare.

 

1. La fede dall'ascolto.

All'inizio di ogni cammino di vita cristiana sta l'annuncio della Parola che salva: la fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo (Romani 10,17). Dall'evangelizzazione hanno origine la fede e la conversione. Quando si annuncia con fiducia e costanza il Dio vivo e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo, allora lo Spirito apre il cuore e permette di aderire sinceramente a questa proposta di salvezza.

Al primo annuncio essenziale (kerygma) fa seguito un approfondimento sistematico della vita spirituale e della dottrina cristiana (catechesi). Per un'opportuna maturazione cristiana, all'istruzione catechistica devono necessariamente affiancarsi altri impegni: la diaconia, intesa come testimonianza della propria fede nel servizio dei fratelli; la liturgia, come adorazione del Dio vivo; la missione, come annuncio ed edificazione della comunità ecclesiale.

La Chiesa accompagna questo cammino di iniziazione con apposite celebrazioni: gli scrutini intesi come liberazione dal peccato e dal demonio al fine di mettere in luce (scrutare) le fragilità per guarirle e le buone qualità per rafforzarle con la forza che viene dallo Spirito di Cristo; le consegne del credo e del Padre nostro.

Al termine di questo cammino stanno i sacramenti di iniziazione: il Battesimo, la Confermazione, l'Eucaristia.

Il tempo di quaresima è l'occasione più opportuna per sviluppare questo progetto di iniziazione; se non ci sono catecumeni, anche gli adulti già battezzati potranno fruttuosamente seguire le tappe di iniziazione accompagnando il cammino dei fanciulli/ragazzi secondo le indicazioni dello stesso RICA che diamo qui di seguito.

 

2. Iniziazione cristiana dei fanciulli.

Il RICA ha un valore di forma tipica anche per la formazione cristiana di quei fanciulli/ragazzi che, non battezzati da piccoli, chiedono poi i sacramenti dell'iniziazione quando vedono i loro compagni frequentare il catechismo in vista della confermazione-eucaristia. Quale via seguire in questi casi che diventano giorno per giorno sempre più frequenti?[13]. Il capitolo V del RICA è infatti dedicato all'<Iniziazione cristiana dei fanciulli nell'età del catechismo>. E' un segno dei tempi che esige risposte nel contesto di quella che oggi si suol chiamare <nuova evangelizzazione>.

Questo rito è per quei fanciulli che, non avendo ricevuto il Battesimo  nell'infanzia e avendo raggiunto l'età della discrezione e della catechesi, si presentano per l'iniziazione cristiana per iniziativa dei loro genitori od anche spontaneamente. Essi sono già idonei a concepire e ad alimentare una fede personale e a conoscere alcuni doveri morali. Tuttavia non si possono ancora trattare da adulti perché, data la loro formazione ancora puerile, dipendono dai genitori o dai tutori e sentono molto l'influenza dei compagni e della società (OICA 306).

 

Che cosa si richiede a questi fanciulli/ragazzi? In pratica si richiede che, accanto all'educazione umana propria della loro età, intraprendano anche una graduale conversione e maturazione nella fede. Questo cammino si prolunga nel tempo[14] e prevede vari gradi e vari tempi (RICA 307); la comunità degli adulti li segue da vicino in questo cammino di iniziazione.

a. Primo grado: l'ammissione al catecumenato.

Prevede alcune tappe:

* l'accoglienza. Alla presenza dei genitori e di un gruppo dei loro compagni, questi fanciulli/ragazzi sono accolti alla porta di chiesa con espressioni di gioia e di gratitudine. Si verifica la loro intenzione di <divenire cristiani>, cioè di essere battezzati, e si richiede anche il consenso/collaborazione dei loro genitori: questi fanciulli avranno infatti bisogno della fede e della carità dell'intera comunità cristiana.

* il segno di croce. Il celebrante, i genitori ed i catechisti fanno quindi il segno della croce sulla fronte[15] dei fanciulli: è il segno di Cristo e dell'appartenenza a lui. Si invitano poi ad entrare in chiesa: questa ormai è la casa della comunità cristiana dove si ascolta il Signore che parla e dove tutti insieme ci si rivolge a lui con la preghiera.  Ora questi fanciulli/ragazzi possono stare seduti accanto ai loro genitori oppure insieme agli altri compagni già battezzati: d'ora in poi il loro cammino di iniziazione procederà gradualmente all'interno di questo gruppo catechistico e di questa comunità che li accoglie.

* celebrazione della Parola di Dio. Si porta il libro delle Scritture che viene collocato con onore al suo posto. Il celebrante spiega brevemente la dignità della parola di Dio; si proclama qualche lettura adatta[16]. Si tiene l'omelia.

* consegna dei Vangeli. Dopo una breve preparazione si consegna ai fanciulli il libro dei Vangeli; segue una preghiera dove si chiede al Signore forza e perseveranza per questi fanciulli contro lo scoraggiamento e la sfiducia.

Ha così inizio il cammino catecumenale caratterizzato da: una opportuna catechesi[17], dalla diaconìa o esercizio del servizio-carità; dalla liturgia o servizio della preghiera; dalla missione o impegno di testimonianza e di annuncio. Si protrae per un tempo sufficientemente lungo.

 

b. Secondo grado: scrutini o riti penitenziali.

Coincidono con l'ultimo periodo della preparazione al Battesimo; la Quaresima è il tempo più adatto, soprattutto se l'iniziazione verrà conferita nella Veglia pasquale; questi riti si adattano e quindi prevedono la partecipazione anche degli altri presenti (compagni e catechisti, genitori).

Questi riti penitenziali che costituiscono un momento importante del catecumenato dei fanciulli, tendono a purificare la mente ed il cuore, a fortificare contro le tentazioni, a rettificare le intenzioni e a stimolare la volontà verso una più intima adesione a Cristo e verso un sempre più fermo impegno nell'amore di Dio da parte dei catecumeni. Ai fanciulli è richiesto, secondo le loro capacità, la volontà di acquistare un profondo senso del Cristo e della Chiesa.

Poiché, come già detto, questi fanciulli catecumeni frequentano il gruppo catechistico con gli altri compagni già battezzati,  questo potrebbe essere il momento adatto nel quale i fanciulli <catecumeni> compiono i riti di purificazione, mentre gli altri già battezzati partecipano per la prima volta al sacramento della Penitenza.

Il rito può svolgersi in questo modo:

* accoglienza dei penitenti e preghiera di affidamento alla misericordia di Dio;

* celebrazione della parola di Dio e omelia;

* esorcismo (soltanto sui fanciulli catecumeni): ha lo scopo di liberare dalle conseguenze del peccato e dall'influsso diabolico, di rinvigorire nel cammino spirituale e aprire il cuore ai doni del Salvatore. Questo rito avviene in forma di dialogo tra celebrante e fanciulli.

* unzione con l'olio dei catecumeni (sul petto o sulle mani): è un segno di salvezza, di fortezza;

* congedo dei fanciulli catecumeni;

* i fanciulli già battezzati celebrano il sacramento della Penitenza.

 

c. Terzo grado: celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione.

Il tempo più adatto è la Veglia pasquale o la domenica, a sottolineare il carattere pasquale di questi sacramenti. Per la scelta del tempo più adatto si tenga conto sia della preparazione dei fanciulli catecumeni, sia della opportunità di far coincidere la loro iniziazione quando i loro compagni già battezzati sono ammessi alla Confermazione e all'Eucaristia (RICA 310). I riti previsti possono essere adattati con intelligenza secondo le facoltà previste dal Rituale (RICA 313).

Il rito si svolge così (RICA 343-369):

* riti iniziali: si accolgono i fanciulli che devono essere iniziati, con i genitori, i padrini ed i compagni e amici; si celebra la liturgia della parola;

* benedizione dell'acqua;

* professione di fede da parte dei già battezzati (genitori, padrini, presenti: recitano il Credo); segue la professione di fede da parte dei fanciulli catecumeni (rinuncia al peccato e professione di fede);

* battesimo: si versa per tre volte l'acqua sul capo dei fanciulli catecumeni (tutta l'assemblea può fare una breve acclamazione); si consegna la veste bianca e il cero acceso;

* Confermazione ed Eucaristia: a questo punto tutti i fanciulli sono battezzati; possono proseguire insieme il cammino ricevendo gli altri due sacramenti di iniziazione; se non c'è il Vescovo, lo stesso sacerdote che ha battezzato i fanciulli catecumeni dà a tutti il sacramento della Confermazione e li ammette per la prima volta al banchetto eucaristico.

* tempo della mistagogìa: dura tutto il Tempo di Pasqua; nelle Messe domenicali i fanciulli iniziati partecipano all'Eucaristia perfezionando il loro pieno e sereno inserimento nella comunità; avranno un posto riservato e nell'omelia e nella preghiera dei fedeli si farà un riferimento ad essi; molto utile il ricordo-celebrazione dell'anniversario del Battesimo (cf RICA 235-239).

 

Tutta la forza e l'intuizione di questo capitolo V dell'RICA sta nell'offrire un processo graduale di iniziazione per quei fanciulli/ragazzi che, non battezzati da piccoli, chiedono il Battesimo in età scolare.

Gli elementi su cui maggiormente soffermare la nostra attenzione sono:

 

a. questa proposta deve essere considerata come un <modello di iniziazione> di tipo catecumenale: è utile non solo per i fanciulli/ragazzi non ancora battezzati, ma può essere presa come esempio di come organizzare una scuola di catechismo per i fanciulli/ragazzi già battezzati che però di fatto non hanno ancora fatto una scelta di vita cristiana; è un modello di evangelizzazione che si addice al contesto secolare in cui viviamo; è una tipica forma di <nuova evangelizzazione> che deve coinvolgere tutta la comunità degli adulti.

 

b. da questa esperienza tutta la comunità impara ad essere <evangelizzatrice> e <iniziatrice> per tutti i suoi membri, nella varietà delle situazioni in cui si trovano; si richiede un salto di qualità nell'offrire proposte di iniziazione adeguate alle situazioni del nostro tempo da alcuni definito come post-cristiano;

 

c. è occasione di evangelizzazione anche per i genitori i quali dovranno accompagnare i loro figli nel cammino di fede che non termini con la festa per il sacramento, ma che dovrà proseguire in una catechesi permanente;

 

d. riguardo poi a questi fanciulli/ragazzi non ancora battezzati, si dovrà assolutamente evitare ogni forma di isolamento; si dovrà piuttosto armonizzare ed inserire la loro iniziazione cristiana nel processo catechistico degli altri loro compagni che, già battezzati da piccoli, si preparano ora alla Confermazione e all'Eucaristia;

 

e. il susseguirsi dei tempi e dei gradi, accompagnati da rispettivi riti, vanno preferibilmente celebrati comunitariamente alla presenza dei genitori, dei padrini, degli amici; deve essere ben chiaro che tutta la comunità è è una comunità che <evangelizza>, <accoglie>, <inizia>;

 

f. si eviti tuttavia di confondere o equiparare i fanciulli catecumeni con quelli già battezzati; pur facendo parte dello stesso gruppo catechistico, ciascuno deve partecipare ai riti secondo lo stato che gli è proprio[18].

 

E' stato scritto, con un po' di ironia, che mentre anticamente la Chiesa <battezzava i convertiti>, oggi deve <convertire i battezzati>. Il RICA offre un progetto organico di crescita nella fede che si chiama <iniziazione cristiana>; il discernimento pastorale dovrà trovare gli adattamenti utili per una sua fruttuosa applicazione valida sia per gli adulti già battezzati che per quei fanciulli che chiedono il battesimo in età scolare.

 


IL BATTESIMO

 

Il nome.

Il termine battesimo (dal greco baptô, baptizô) significa primariamente <immergere>, quindi un bagno di immersione; in senso derivato significa <lavare> come effetto dell'immersione.

 

Nell'AT il termine battesimo si trova, ad esempio, per esprimere l'immersione di Naaman nel Giordano (2 Re 5,14). Ha quasi sempre un significato di purificazione legale o rituale (Num 19,2-10; Deut 23,10s; Lev 20,26s; Is 1,16-17). I Profeti preannunciano un bagno escatologico di vera purificazione nell'acqua e nello Spirito (Ez 36,22-29).

 

Nella comunità di Qumran, come pure nelle sètte battiste giudaiche, si praticava un bagno rituale (battesimo dei proseliti), non solo come purificazione (lo stesso presso alcune religioni pagane), ma anche come iniziazione alla vita di una comunità.

 

Nel NT il termine baptô si trova solo 4 volte (Lc 16,24; Ap 19,13; due volte in Gv 13,26) esclusivamente con il significato di immergere. Più frequente l'uso di baptizô per indicare sia il battesimo di Giovanni (di preferenza), sia il battesimo cristiano. Il sostantivo baptismos si trova solo in Mc 7,4; Eb 9,10.

 

La storia del battesimo.

Secondo l'ordine del Signore (Mt 28,19), gli Apostoli amministrano il battesimo <nel Nome di Gesù> (At 2,38.41; 8,12.38) quale segno di fede nell'opera compiuta dal Cristo (Rom 6,4). Fin dalla Pentecoste Pietro dichiara la necessità del battesimo per il perdono dei peccati e il dono dello Spirito (At 2,38). E' annunciato agli Ebrei (At 2,41), ai Samaritani (At 8,12-13), ai pagani (At 16,15.33). Famiglie intere (quindi adulti e bambini) sono battezzate nel Nome del Signore (At 16,31-33).

Già al tempo di Giustino (+167) si parla di un periodo di preparazione-istruzione in vista del battesimo (= iniziazione cristiana). Con Tertulliano a Cartagine e Clemente ad Alessandria si trova un catecumenato di 3 anni. Il IV secolo è l'epoca del grande catecumenato, diviso in due fasi: gli audientes (tempo dell'istruzione catechesi) e gli eletti (coloro che si preparano alla prossima iniziazione). All'inizio del VI secolo (verso l'anno 500) il catecumenato si semplifica; i candidati al battesimo sono ormai abitualmente bambini. Si aggiunge il rito della traditio dei 4 Vangeli (al posto del Pater e del Credo). Nel secolo IX-X il battesimo non è più legato alla Pasqua o alla Pentecoste; i riti del catecumenato (unzioni, esorcismi, iscrizione del nome, elezione...) non vengono soppressi ma ridotti e concentrati nella stessa cerimonia del battesimo; si aggiunge la consegna della veste bianca; nel sec. XI quella del cero. Nel sec. XIV al battesimo per immersione subentra quello per infusione. La riforma tridentina rende normativo il Rituale del battesimo dei bambini. Il Vaticano II ristabilisce sia il battesimo degli adulti (12 aprile 1962), sia il catecumenato (SC 64; AG 14), sia il Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti (1972).

 

Natura del battesimo.

Seguendo il significato del termine battesimo e le indicazioni dell'OICA 3-6 (Dignità del battesimo), si può così riassumere la natura di questo sacramento:

 

1. Immersione nella santa Trinità.

Ippolito, nella <Tradizione apostolica>, ci dà testimonianza dell'uso di battezzare con triplice immersione nella vasca battesimale invocando, ad ogni immersione, una Persona della santa Trinità: Credi in Dio Padre onnipotente? Colui che viene battezzato risponda: Credo. Lo battezzi allora una prima volta tenendogli la mano sul capo.

La realtà sacramentale prodotta dalla triplice immersione ed invocazione trinitaria, è ben espressa da S. Ireneo: Quando siamo stati rigenerati col battesimo nel Nome di queste Tre Persone, in questa seconda nascita noi siamo arricchiti coi beni esistenti in Dio Padre mediante suo Figlio con lo Spirito Santo. I battezzati ricevono lo Spirito di Dio: questi dona essi al Verbo cioè al Figlio. Ed il Figlio li assume e li offre al Padre: ed il Padre comunica loro l'incorruttibilità. Perciò senza lo Spirito è impossibile vedere il Verbo di Dio e senza il Figlio nessuno può giungere al Padre: in realtà la conoscenza del Padre è il Figlio e la conoscenza del Figlio di Dio è operata mediante lo Spirito Santo. Ma solo il Figlio secondo l'eudochìa del Padre effonde lo Spirito su quanti il Padre vuole e come il Padre vuole.

La realtà trinitaria del battesimo fa di noi:

a. in rapporto al Padre: figli adottivi di Dio (Gal 4,5-7); nuova creatura (2 Cor 5,17); partecipi della natura divina (2 Pt 1,4);

b. in rapporto al Figlio: battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo (Gal 4,27); immersi nella sua morte (Rom 6,3-5; Col 2,12) per risorgere con lui alla vita nuova (Rom 8,11); battezzati nel suo Nome, è ormai a lui che apparteniamo (At 2,38; cf Is 2,7) come sue membra (1 Cor 6,15; 12,27);

c. in rapporto allo Spirito Santo: diventiamo tempio dello Spirito (1 Cor 6,19) e quindi rinati e rinnovati dall'acqua e dallo Spirito (Tito 3,5); apparteniamo allo Spirito di Cristo (1 Cor 12,13) dal momento che Cristo e lo Spirito non possono essere separati (Rom 8,9; 2 Cor 3,17).

Ogni battezzato è dunque una creatura nuova, generato dall'amore del Padre, immerso-purificato nella morte-risurrezione di Cristo, portatore dello Spirito di filiazione.

 

2. Purificazione dei peccati.

Effetto derivato dalla filiazione divina è la remissione di tutti i peccati: sia il peccato di origine, sia i peccati personali (nel caso degli adulti battezzati), sia le pene contratte con il peccato (At 22,16: (Saulo) alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome). Siccome la purificazione totale prodotta dal sacramento si attua per la forza dell'opera salvifica di Cristo (Ebrei 10,22), il battesimo nella fase di immersione diventa il simbolo della morte e sepoltura di Cristo (Col 2,12) mentre nella fase di emersione simboleggia l'uscita di Cristo dal sepolcro, cioè il passaggio dalla morte alla vita (Rom 8,11), un esodo dalla schiavitù (1 Cor 10,1-2). Liberato dal peccato, il battezzato è diventato un neofita (= nuova pianta), una nuova creatura (2 Cor 5,17), un uomo nuovo (Ef 2,15), animato dall'unico Spirito della vita (1 Cor 12,13; Ef 4,4s). Per il battezzato, liberato dal vecchio lievito di morte, ha inizio una vita nuova nello Spirito (Rom 6,8-11.13; 8,2s; Gal 5,16-24)[19].

Così la Chiesa, mediante il battesimo, è resa santa, purificata dal lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola (Ef 5,25). E' un richiamo alla <genesi> e alla prima creazione dall'acqua e dallo spirito (Gen 1,1-2); è un richiamo all'aspersione per il dono dello Spirito nuovo al momento della nuova alleanza (Ez 36,25-28); è il compimento del rito di purificazione avviato da Giovanni Battista (Mc 1,3).

 

3. Incorporati alla Chiesa.

Il battesimo fa di tutti i battezzati le membra del corpo di Cristo: in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo (1 Cor 12,13).

Dal fonte battesimale nasce l'unico popolo di Dio, il popolo dell'alleanza nuova che sorpassa tutti i limiti umani dovuti alla nazionalità, alla cultura, alla razza, al sesso (Gal 3,28: poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù).

I battezzati diventano le pietre viventi per l'edificazione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo (1 Pt 2,5). Per il battesimo partecipiamo al sacerdozio di Cristo e quindi siamo la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato (1 Pt 2,9 che cita Es 19,5-6). Il battesimo ci conferisce una dignità regale, profetica, sacerdotale. Commenta S. Leone Magno: Di tutti i rigenerati in Cristo il segno della croce fa dei re, l'unzione dello Spirito li consacra come sacerdoti e li mette a parte per un servizio...In effetti che cosa c'è di più regale che governare il proprio corpo nella sottomissione a Dio? Che cosa di più sacerdotale che votarsi al Signore con una coscienza pura ed offrire sull'altare del proprio cuore le vittime senza macchia della pietà? (Sermone 4,1).

Divenuti membri della Chiesa non apparteniamo più a noi stessi, ma a Colui che è morto e risorto per noi (2 Cor 5,15). La carità ed il servizio dei fratelli diventa una esigenza battesimale (Ef 5,21; Gv 13,12-15).

Con Lumen gentium 11 si può dire: Divenuti figli di Dio per la rigenerazione, i battezzati sono tenuti a professare davanti agli uomini la fede che per mezzo della Chiesa essi hanno ricevuto da Dio. Il battesimo è dunque l'ingresso in una famiglia, la Chiesa: la famiglia di Dio che è la comunità di Gesù Cristo guidata dallo Spirito, inviata per comunicare alle genti la salvezza e dove sono accolti i nuovi figli di Dio.

 

4. E' vincolo sacramentale di unità.

<Il battesimo è il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati> (Decreto Unitatis redintegratio 22; cf. n.3; OICA 4). La grazia battesimale è una grazia di fraternità perché <La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo...e noi siamo in comunione gli uni con gli altri...: 1 Gv 1.3.6-7). Ciò esige che le comunità cristiane siano comunità di accoglienza dove si possa fare una esperienza di vita cristiana sull'esempio della comunità di Atti 2,41-47.

 

5. Segno indelebile di inserimento nella pasqua.

Incorporati e configurati a Cristo (Rom 8,29), riceviamo un segno indelebile (=carattere) di appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Il sigillo battesimale nello Spirito ci abilita al culto sacerdotale (Lumen gentium 10.11) e ci segna per il giorno della redenzione (Ef 4,30; Ap 7,3-4). La Chiesa invita a pregare per <coloro che ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il sonno della pace> (canone romano). La partecipazione alla vita del Risorto e l'inserzione nella comunità pasquale sono garanzia della risurrezione e della visione beata (Rom 6,3-11; Col 2,13; Ef 2,5-6).

 

Riassumiamo la ricchezza di questi contenuti della dignità battesimale con un testo particolarmente ricco di S. GREGORIO IL TEOLOGO: <Il battesimo è il più bello e magnifico tra i doni di Dio...Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste di incorruttibilità, bagno di rigenerazione: * dono: è donato anche a chi nulla ha offerto; * carisma: in quanto è donato anche a chi è debitore; * battesimo: in quanto il peccato è sepolto nell'acqua; * unzione: in quanto è sacra e regale e profetica e sacerdotale; * illuminazione: in quanto è irraggiamento della luce di Cristo; * veste: in quanto è copertura della vergogna; * lavacro: in quanto è purificazione; * sigillo: in quanto è custodia e significato di sovranità.

In forza di questo dono gioiscono i cieli, gli angeli danno gloria per lo splendore della parentela con Dio, riceviamo l'icona della beatitudine di lassù. Esso noi vogliamo inneggiare, ma non lo possiamo quanto ne sarebbe segno> (Oratio 40,3-4)

 


I SEGNI BATTESIMALI

 

Non va dimenticato che scopo primario della Liturgia è quello di celebrare ed esprimere il Mistero di Cristo quale mistero pasquale di salvezza che si realizza oggi nella Chiesa mediante una azione sacramentale significativa ed efficace[20].

La Liturgia, essendo culmine e fonte (SC 10), ha bisogno sia di una preparazione <catechetica> che di una prosecuzione <mistagogica>. Volendo presentare la realtà sacramentale del battesimo secondo una prospettiva catechetico-mistagogica, è opportuno partire dai segni per risalire alla realtà da essi significata e attuata.

 

1. Pedagogia dei segni.

Secondo il Rinnovamento della catechesi i <segni> vanno utilizzati con questi accorgimenti:

* devono lasciar trasparire la realtà divina che in essi si esprime e si comunica all'uomo;

* devono essere traduzione-attuazione della gloria divina per l'uomo;

* ciò che conta non è tanto il loro <simbolismo naturale> quanto piuttosto la verità di salvezza che esso evoca e misticamente realizza;

* la pedagogia del segno esige che esso renda familiare il passaggio dai segni visibili agli invisibili misteri;

* si eviterà un duplice rischio: parlare dei segni senza riferimento al mistero, presentare il mistero senza il riferimento ai segni (RdC 32.78.115.175).

 

Diciamo subito che il segno sacramentale principale del battesimo (materia e forma) è l'immersione/emersione (o infusione) nell'acqua, accompagnata dalla confessione/invocazione della santa Trinità.

Accanto a questo segno principale ve ne sono altri in diverso modo significanti ed efficaci come l'acqua, il segno della croce, le unzioni, la consegna della luce e della veste. In forza dell'azione santificante dello Spirito, i santi segni producono ciò che significano (SC 7); per facilitare la loro lettura, vedremo prima il <segno>  poi la <realtà sacramentale> che esso produce.

 

2. Immersione nell'acqua.

a. il segno. Fin dall'inizio la Chiesa ha battezzato con l'acqua sia per immersione (At 8,36-38), sia per infusione[21]. Tuttavia in Oriente e in Occidente l'uso più comune di battezzare è stato quello per immersione, almeno fino al secolo XIV; lo stesso s. Tommaso lo ritiene una forma più sicura. A partire da quest'epoca, mentre in Oriente (e nella liturgia Ambrosiana) è rimasta l'unica forma per battezzare, in Occidente prevalse il battesimo per infusione. La riforma liturgica ha ridato valore a questo segno: * per il battesimo dei bambini: Si può legittimamente usare sia il rito di immersione, segno sacramentale che più chiaramente esprime la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, sia il rito di infusione (Rito battesimo bambini, 22); * per il battesimo degli adulti: Si scelga, fra rito dell'immersione o dell'infusione, quello più adatto ai singoli casi, perché, secondo le varie tradizioni e circostanze, meglio si comprenda che quell'abluzione non è un semplice rito di purificazione, ma il sacramento dell'unione con Cristo (RICA 32. 220).

 

b. la realtà. E' espressa da s. Paolo in Romani 6,3-5: O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?...Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.

La realtà del lavacro battesimale è dunque un morire per risorgere. I padri si sono fatti interpreti di questo simbolismo:

* s. Ambrogio: quando ti immergi, ricevi la somiglianza della morte e della sepoltura, ricevi il sacramento della croce (De sacramentis 2,6);

* Cirillo di Gerusalemme: Scendi nell'acqua portando con te i peccati ma la invocazione della grazia pone un sigillo sull'anima...Scendi morto per i peccati e sali vivificato nella giustizia. Se infatti sei diventato una medesima pianta con lui per la conformità della morte del Salvatore, sarai pure fatto degno della sua risurrezione...Così tu scendi nell'acqua e vi sei in qualche modo seppellito, come lui lo fu nella pietra, e poi risorgi di nuovo camminando in novità di vita (Catechesi mistagogica III,12); In quel medesimo istante sei morto e sei nato; l'acqua salutare ti è stata sepolcro e madre (Catechesi mistagogica II,4);

* s. Leone Magno: Per quello stesso Spirito per il quale Cristo nasce dal seno di una vergine madre, dal seno della Chiesa nasce il cristiano (Sermone 29,1).

Dalla catechesi dei Padri emerge che la <tipologia> battesimale esprime-attua questa realtà sacramentale: come l'immersione significa la partecipazione alla morte di Cristo, così l'emersione significa la partecipazione alla risurrezione di lui (Rom 6,4; Col 2,12; 1 Pt 3,21); come per Cristo che giace nel sepolcro è sopraggiunto lo Spirito del Padre a ridargli la vita immortale di Kyrios-Signore (Rom 8,11; Gal 1,1; At 2,22.36), così lo stesso Spirito del Padre e del Figlio dà alle acque la capacità di rigenerare la vita nuova nello Spirito: il fonte battesimale è effettivamente un sepolcro perché trattiene la morte causata dal peccato, ed è utero materno perché genera nello Spirito una vita nuova per i figli che il Padre si è acquistato nel Figlio[22].


 

3. Confessione-invocazione della santa Trinità.

Secondo il comando del Signore, i discepoli dovranno battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).

a. il segno: era costituito dalla triplice immersione (o infusione) nell'acqua invocando ogni volta le singole Persone della santa Trinità. Invocare il <nome> di qualcuno significa mettersi sotto la sua protezione, consacrarsi a lui.

b. la realtà: colui che si presenta per essere battezzato nel nome della Trinità, deve significare la Trinità con la triplice immersione, e riconoscersi debitore di colui che per lui è risorto dai morti il terzo giorno (Giovanni diacono, Lettera VI,1).

 

4. L'acqua.

Oltre i segni primari ed essenziali del battesimo, cioè il lavacro con l'acqua accompagnato dall'invocazione della santa Trinità, vi sono altri segni che aiutano a comprendere la profondità del sacramento battesimale.

Seguendo la preghiera di benedizione dell'acqua, troviamo le seguenti <tipologie> battesimali:

a. le acque primitive: elemento fecondante.

Lo Spirito fin dalle origini si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di santificare (Gen 1,2-6; 2,4-10). Il battesimo ha una portata cosmica: è una nuova creazione (Gv 3,5; 2 Cor 5,17), una restaurazione della creazione primitiva ad opera del medesimo Spirito.

b. Le acque del diluvio: elemento distruttivo e salvifico.

L'acqua segna la fine del peccato e dà inizio ad una vita nuova (Gen 7,10.17; 1 Pt 3,18-22): Cristo, primogenito di tutta la creazione, è divenuto in un senso nuovo il principio di una razza nuova, di quella che è stata rigenerata da lui per mezzo dell'acqua e del legno, che conteneva il mistero della croce, come Noè fu salvato dal legno nell'acqua (Giustino).

c. Le acque del Mar Rosso: vendicatrici e liberatrici.

Il signifi9cato tipologico dela traversata del Mar Rosso aveva un valore escatologico già nell'AT (Is 43,19; 51,10): era figura della futura vittoria del Messia sulle potenze del male (Apoc 15,3; 1 Cor 10,2-6): Il mare ha ucciso il nemico: così nel battesimo la nostra inimicizia con Dio è distrutta; il popolo uscì dal'acqua sano e salvo: non diversamente noi risaliamo dal'acqua come esseri vivi di tra i morti (S. Basilio, Sullo Spirito Santo 14).

d. Le acque del battesimo di Gesù.

Gesù santificò il battesimo quando egli pure fu battezzato...perché noi pure, per mezzo del battesimo, fossimo fatti degni di essere salvi in virtù della nostra comunione con lui  (Cirillo di Gerusalemme); Cristo si offrì al battesimo precedendoci, perché i popoli cristiani gli tengano dietro con fiducia (S. Massimo, Disc. 100).

e. Le acque del nuovo tempio.

Innalzato sulla croce, Gesù versò dal suo fianco sangue ed acqua (Gv 19,34): Lui, il secondo Adamo, si addormentò con il capo reclinato sulla croce affinché dal costato del dormiente gli venisse formata una Sposa. O morte, per la quale i morti acquistano la vita. Che c'è di più puro, di più salutare di questa ferita? (S. Agostino, citato in SC 5).

 

5. Il segno della croce.

L'imposizione del segno della croce era ripetuto più volte durante il catecumenato e durante la cerimonia di iniziazione. Dal commento che fanno i Padri emergono questi significati:

a. segno di appartenenza. Accostatevi al sigillo (sphragìs) sacramentale cosicché il padrone vi riconosca. Siate annoverati nel santo ed intelligibile gregge di Cristo, onde possiate essere disposti alla sua destra.

b. segno di protesione. Se ti sarai premunito dello sphragìs, segnando la tua anima e il tuo corpo con l'unzione e con lo Spirito, che mai potrà accaderti? Ciò ti offre in questa stessa vita la maggiore sicurezza possibile. Non è facile impadronirsi con l'astuzia della pecora marcata, mentre quella che non reca alcun marchio rappresenta per i ladri una facile preda. Questa tipologia la si può riscontrare in Genesi 4,15 (Caino è segnato da Dio perché nessuno lo uccida); Ezechiele 9,4 (Dio segna con una T-tau i membri del futuro Israele; Apocalisse 7,4 (i santi sono segnati col segno dell'agnello.

c. sigillo dello Spirito della promessa. Abramo ricevette il segno dela circoncisione come suggello della giustizia ottenuta mediante la fede (Rom 4,11), In lui voi avete creduto e foste segnati col sigillo dello Spirito Santo della promessa (Ef 1,13).

 

6. Il segno dell'unzione.

Il rito del battesimo prevede due unzioni: una pre-battesimale con l'olio dei catecumeni; l'altra post-battesimale con il santo crisma.

a. l'olio dei catecumeni. Ha una funzione risanatrice perchché concede forza e vigore per poter comprendere in profondità il vangelo di Cristo. Libera dal potere di Satana e distrugge le tracce lasciate dal peccato di origine. Fortifica il corpo come per gli atleti in vista del combattimento spirituale contro le potenze del male (Ef 6,10; 1 Pt 5,8; per l'AT: Salmo 109,8; Isaia 1,6).

Ha anche una funzione santificatrice perché aiuta a sostenere con generosità gli impegni della vita cristiana; ci fa partecipare della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.

b. l'olio del santo crisma. E' crisma di salvezza che ci fa partecipare della dignità regale, profetica e sacerdotale di Cristo e ci unisce a lui come membra del suo corpo per la vita eterna. Già nell'AT con l'lio si consacravano i re (1 Sam 9,16), i profeti (1 Re 19,16), il sommo sacerdote (Es 28,41). Cristo è l'Unto-Messia per eccellenza (Mt 16,16; At 10,38); ogni battezzato diventa un <cristo>, un consacrato dal sigillo dello Spirito (2 Cor 1,21; 1 Gv 2,20.27): Siete diventati cristi perché avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che vi ha fatto immagini di Cristo...Quando siete risaliti dalla piscina del sacro fonte vi fu conferito il Crisma, il quale è figura di quello che unse Gesù, cioè lo Spirito Santo...Così voi siete stati crismati con il balsamo, il quale vi ha resi partecipi e familiari di Cristo...Mentre il corpo viene crismato con il balsamo materiale, l'anima viene santificata dallo Spirito Santo e santificatore (Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistagogica III,1-3).

L'unzione con il santo crisma è anche segno di gioia (Prov 27,9; Sal 133,2; Is 61,3) e di onore dovuto alla dignità dei figli (1 Gv 3,1); è inoltre consacrazione ad essere tempio di Dio e dimora dello Spirito (1 Cor 6,19).

 

7. La veste bianca.

a. segno della nuova creazione. Come Dio aveva rivestito di tuniche di pelle l'uomo decaduto (Gen 3,21), così mediante la rigenerazione battesimale ci rende nuova creatura perché ci rivestiamo di Cristo (2 Cor 5,17; Gal 3,27; Rom 13,14)); rinnovati nello Spirito rivestiamo l'uomo nuovo creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera (Ef 4,24). Mediante il battesimo siamo spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e abbiamo rivestito il nuovo che si rinnova ad immagine del suo creatore (Gal 3,9-10);

b. segno della nuova dignità. Coloro che sono stati rigenerati a vita nuova e si sono rivestiti di Cristo ricevono una nuova dignità; è questa una veste incorruttibile perché tutto ciò che era mortale è stato assorbito dalla vita (2 Cor 5,3); la veste è segno del recupero della primitiva dignità (Col 3,10) e della dignità filiale perduta (Lc 15,22). E' anche segno della purezza dell'anima: Ora che hai deposto le vecchie vesti e hai indossato le vesti bianche, bisogna che spiritualmente tu rimanga sempre vestito di bianco (S. Ambrogio).

c. segno della gloria futura. Con il battesimo ci siamo spogliati dell'uomo ribelle, senza avvenire, e ci siamo rivestiti di un corpo di risurrezione (Rom 13,12; Ef 4,22); è l'abito escatologico di coloro che hanno vinto la prova ed il cui nome è scritto nel libro della vita (Apocalisse 3,4.5.18); è la veste per l'eterna liturgia che i martiri hanno lavata nel sangue dell'Agnello (Apoc 7,14).

 

8. Il cero acceso.

E' il segno del Cristo Risorto, luce vera del mondo che illumina ogni uomo (Gv 1,4); è la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre (Gv 8,12). E' il segno della vita nuova in Cristo che, strappandoci dalle tenebre, ci ha trasferiti con il santi nel regno della luce (Col 1,12); Cristo brillò su di noi  che eravamo tenebre, ma ora siamo luce nel Signore ((Ef 5,14). E'il segno che ci permette di vivere come figli della luce (Ef 5,8), di rigettare le opere delle tenebre (Rom 13,12), di restare in comunione con Dio (1 Gv 1,5), di conservare l'amore con i fratelli (1 Gv 2,8-11). E' anche segno di fedeltà a Dio e vigilanza nella preghiera e nell'attesa come vergini sagge (Mt 25,1-8), come servi fedeli (Lc 12,25)[23].

 

 

 


IL BATTESIMO DEI BAMBINI.

 

Molti genitori sono angosciati nel vedere i loro figli abbandonare la fede e la pratica sacramentale; con loro, alcuni pastori d'anime si interrogano se non converrebbe essere più esigenti prima di battezzare, oppure rimandare il battesimo ad una età nella quale sia possibile un maggiore impegno personale.

La conoscenza maggiore che si ha oggi delle altre grandi religioni non cristiane, pone in alcuni un altro problema: è proprio necessario il battesimo per la salvezza o non ci si può salvare anche senza di esso nelle altre religioni?

Questi e altri interrogativi hanno spinto nel 1980 la Congregazione per la Dottrina della Fede ad emanare una Istruzione su Il battesimo dei bambini[24]. Richiameremo qui le linee portanti di questa Istruzione ed aggiungeremo alcune considerazioni per la pastorale liturgica.

 

1. Perché si battezzano i bambini?

La Chiesa battezza i bambini perché vuol essere fedele al mandato del Signore ed anche perché sa che questa è una tradizione immemorabile.

 

a. Una prassi immemorabile.

In forza della parola del Signore: Se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5), la Chiesa ha sempre ritenuto che i bambini non debbano essere privati del battesimo (Rito del battesimo dei bambini [=OBP], 2). La Chiesa, che ha ricevuto la missione di annunciare il Vangelo e di battezzare (cf Mt 28,19; Mc 16,15-16), fin dai primi secoli, sia in Oriente che in Occidente, ha conferito il battesimo non solo agli adulti, ma anche ai bambini (OBP 2).

Nel libro degli Atti degli Apostoli si parla del battesimo di <tutta una casa> (At 16,15.33; 18,8). Ai tempi di Origene (185-284) e di Agostino (354-430) la prassi di battezzare i bambini era ritenuta una tradizione ricevuta dagli Apostoli. Per Ireneo (+202) è ovvia la presenza di infanti e di bambini che vengono battezzati insieme ad adolescenti, a giovani e ad anziani. Ippolito (+235) nella sua Tradizione apostolica già offre un rituale dove è previsto il battesimo dei bambini: Battezza in primo luogo i bambini. E s. Cipriano (200-258) a Cartagine afferma che Non si può negare la misericordia e la grazia di Dio a nessun uomo che viene all'esistenza.

Sappiamo che s. Agostino fu battezzato all'età di 32 anni (si rimandava il battesimo per paura di cadere poi in peccato con la conseguenza della riconciliazione solo in punto di morte). Egli rimpiangerà questa mancanza di fiducia nella grazia di Dio e scrive: Come sarebbe stato preferibile per me essere subito guarito, e come avremmo dovuto, io e i miei familiari, essere più zelanti nel porre la mia anima, munita della ua salvezza, sotto la tua sicura tutela, o tu che gliela avresti concessa! (Confessioni I,11.17-18).

 

b. L'insegnamento del Magistero.

Alla fine del IV secolo, per contrastare l'eresia pelagiana[25], molti Pontefici e Concili intervennero per condannare <coloro che negano che si debbano battezzare i bambini appena usciti dal seno materno>; secondo la dottrina cattolica <anche i più piccoli, che non hanno potuto commettere personalmente alcun peccato, sono veramente battezzati per la remissione dei peccati, perché mediante la rigenerazione sia purificato in essi ciò che hanno ricevuto dalla nascita> (Concilio di Cartagine, 418).

Questa dottrina fu riaffermata e difesa anche nel Medioevo. Nel Concilio di Firenze (1442), d'intesa con i Padri dell'Oriente, fu stabilito che si dovesse amministrare il battesimo quanto prima possibile anche ai neonati...mediante il quale sono sottratti al potere del demonio e ricevono l'adozione a figli di Dio.

Il Concilio di Trento (1546) ribadisce gli interventi del Magistero precedente e dichiara, contro gli Anabattisti, che nessuno può essere giustificato senza il lavacro di rigenerazione o il desiderio di riceverlo.

La regola costante della fede cattolica sul battesimo è dunque questa: il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito Santo alla vita divina in Gesù Cristo.

Il battesimo è anche per essi manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una vita nuova nello Spirito; esso fa entrare gli uomini nell'eredità di Dio e li aggrega al Corpo di Cristo, che è la Chiesa.

 

2. Risposta ad alcune difficoltà.

a. Battesimo e atto di fede. Se la giustificazione e gli effetti della grazia dipendono dalla fede più che dal sacramento, perché battezzare i bambini che questa fede non possono ancora esprimere? Il fatto che i bambini non possano ancora professare personalmente la loro fede non impedisce alla Chiesa di conferire loro questo sacramento; in effetti il battesimo non è mai amministrato senza la fede, che nel caso del battesimo dei bambini è la fede della Chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dagli altri presenti al rito: questi rappresentano sia la Chiesa locale sia la società universale dei santi e dei fedeli, la Chiesa madre, che tutta intera genera tutti e ciascuno (OBP 2).

Non mancano episodi nel Vangelo in cui Gesù compie un miracolo accogliendo l'atto di fede di altri garanti: la risurrezione del figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-17); il paralitico calato dal tetto (Mc 2,1-12); la fede del centurione per la guarigione del suo servo (Mc 7,9-10).

I Padri hanno commentato ampiamente questa fede che la Chiesa offre ai bambini:

* S. Agostino: I bambini sono presentati per ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li portano sulle braccia (benché anche da essi, se sono buoni fedeli), quanto dalla società universale dei santi e dei fedeli...E' tutta la madre Chiesa dei santi che agisce, poiché essa tutta intera genera tutti e ciascuno.

Ai piccoli la madre Chiesa presta i piedi degli altri perché possano venire, il cuore degli altri perché possano credere, la lingua degli altri perché possano affermare la loro fede. Colui che porta il bambino risponde: il bambino è guarito per la parola di un altro, perché egli è stato ferito per colpa di un altro. Crede in Gesù Cristo? Questa è la domanda. Si risponde: egli crede (Sermone 176,2).

* Giovanni Diacono: Devono essere salvati dalla professione di fede altrui coloro che sono stati condannati per l'errore altrui.

Si suppone tuttavia e si esige l'impegno dei genitori ad educare i loro figli nella fede in cui sono stati battezzati: il sacramento già ricevuto costituirà il fondamento di questo impegno; il battesimo non è soltanto un segno della fede: ne è anche la causa.

L'educazione cristiana è un diritto dei bambini; essa tende a guidarli gradualmente a conoscere il disegno di Dio in Cristo: così potranno ratificare personalmente la fede nella quale sono stati battezzati. E' dovere della Ecclesia mater soddisfare i diritti della Ecclesia credens.

b. Battesimo e appropriazione personale della grazia. Il bambino è persona già molto prima di essere in grado di manifestarlo pienamente con atti di coscienza e di libertà; in quanto persona può già diventare figlio di Dio mediante il battesimo: la sua coscienza e la sua libertà, a partire dal loro risveglio, potranno disporre delle forze infuse nell'anima dalla grazia battesimale per una piena  e personale acquisizione.

c. Battesimo e libertà. E' forse l'obiezione più frequente: non si attenta alla libertà e alla dignità del bambino imponendogli un atto che in futuro sarà portato forse a rifiutare? In effetti già sul piano naturale i genitori operano delle scelte indispensabili per la vita dei loro figli e li orientano verso i veri valori: non chiedono certo il loro parere quando decidono, in un atto di amore, di metterli al mondo. Per i genitori cristiani anche il battesimo è un atto di amore e l'accesso alla vera libertà (Gv 8,36; Rom 6,17-22), non certo una schiavitù[26].

La Chiesa non può dimenticare che se noi amiamo è perché Egli ci ha amati per primo (1 Gv 4,10.19); né si può dimenticare che Dio ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo (Tito 3,5).

 

3. Impegni pastorali.

Se la Chiesa afferma la necessità del battesimo anche per i bambini in quanto segno e strumento dell'amore preveniente di Dio che libera dal peccato e comunica la partecipazione alla vita divina, non per questo tace sulle dovute garanzie richieste prima di dare il sacramento.

Richiede anzitutto ai genitori, ai padrini e alla comunità parrocchiale di impegnarsi a guidare questi bambini nella ratifica personale di quella fede nella quale sono stati battezzati: il sacramento già ricevuto costituirà il fondamento di questo impegno (OBP 3).

Nel caso di genitori poco credenti o poco praticanti, si verifichino le condizioni richieste facendo il possibile per sollecitare un loro impegno; in caso contrario converrà rinviare il battesimo. Qualora i genitori si rifiutassero a motivo del rispetto della libertà del figlio, si prospetti loro l'opportunità di un catecumenato per ragazzi in età di catechismo[27].

Bisogna in ogni caso preparare i genitori (ed i padrini) con adeguati incontri di catechesi in vista di una loro piena e consapevole partecipazione al battesimo dei figli; salvo il caso di pericolo, la data del battesimo sia fissata in rapporto alla salute della madre e del bambino, in modo da avere tempo per la preparazione e permettere la presenza di entrambi i genitori.

Il Codice di diritto canonico [=CIC] su questo argomento dice:

CIC 867: i genitori provvedano a far battezzare i loro figli entro le prime settimane; se c'è pericolo di morte, lo si battezzi senza alcun indugio;

CIC 868: per battezzare lecitamente un bambino occorre: il consenso di almeno uno dei genitori; vi sia la fondata speranza che verrà educato nella fede cattolica (altrimenti venga differito dandone ragione ai genitori); in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori;

CIC 870: si battezzano anche i bambini trovatelli;

CIC 871: si battezzano, se vivi, anche i feti abortivi.

 

4. Che cos'è dei bambini morti senza battesimo?

Quanto ai bambini morti senza battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come fa nel rito delle esequie disposto per essi. Il Signore che ha detto Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite (Mc 10,14) avrà, nella sua misericordia, una via di salvezza anche per essi.

E la questione del limbo? Né l'Istruzione, né l'OBP ne parlano. Del limbo infatti non parlano né le Scritture, né i Padri. Compare per la prima volta in Guglielmo d'Auxerre (1230) il quale afferma che i bambini morti senza battesimo soggiornano in limbo inferni, cioè alle soglie degli inferi (lo csheol di 2 Maccabei 6,23). Poiché non esistono dichiarazioni dogmatiche in proposito, è preferibile consolare i genitori che non hanno potuto battezzare i loro bambini con questa preghiera: Affidiamo a Dio, Padre di tutti, che vede i segreti dei cuori, questa creatura alla quale Egli ha elargito il dono della vita. Il Signore consoli i genitori...e trovino così conforto nella certezza del suo amore misericordioso[28].

 

5. E' necessario il battesimo?

Gesù ha detto: se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5), ed ha ordinato ai suoi discepoli di battezzare tutte le genti (Mt 28,20; Mc 16,16).

S. Tommaso (Summa teologica, questione 68) dice: tutti sono tenuti al battesimo e senza di esso non sarebbe possibile avere salvezza. Si può dunque essere salvati senza battesimo? Risponde: sì, certamente. Come è possibile tutto questo? Egli parla di tre forme di battesimo: il battesimo di sangue (sanguinis): Gesù è battezzato nel suo sangue, nella sua morte (Mc 10,38; Lc 12,50). Stessa cosa per i martiri, assimilati alla morte di Cristo (si veda Stefano in At 8,55-60). Vi è poi un battesimo di acqua (fluminis) per la potenza dello Spirito che compie una nuova generazione; ed infine un battesimo di desiderio (flaminis) per coloro che, senza loro colpa, non sono battezzati ma adorano Dio e vivono secondo la loro coscienza (Rom 2,10-15). Dio ha legato la salvezza al sacramento del battesimo, ma non ha legato se stesso ai sacramenti.  Il Concilio in Gaudium et spes 22 dice: dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associato, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale; tuttavia in Ad gentes 7 dice anche: non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa. Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede senza la quale è impossibile piacergli (Eb 11,6), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa (cf 1 Cor 9,16), ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e necessità.

 


LA CONFERMAZIONE

 

Con la Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae  del 15 agosto 1971, Paolo VI promulgava il nuovo rito della Confermazione. L'aver premesso a questo Rituale rinnovato una Costituzione Apostolica, come in pochi altri casi,[29] sta a significare l'importanza che il Papa ha voluto dare a questo sacramento. Certamente non sono stati del tutto risolti i numerosi problemi che si dibattono attorno alla complessa realtà della Confermazione; non è nostra intenzione entrare qui in questa problematica; ci limiteremo a porre in luce gli elementi acquisiti ed espressi nella lex orandi così come ci viene proposta nel Rituale.

1. Riti diversi.

Il conferimento del dono dello Spirito Santo, fin dall'epoca antica, avveniva nella Chiesa indivisa secondo riti diversi. Tali riti in Oriente e in Occidente subirono molteplici trasformazioni, ma sempre tali da mantenere intatto il significato di comunicazione dello Spirito Santo.

In Oriente fin dall'antichità fu più frequente, nel comunicare lo Spirito Santo, il rito della crismazione, come del resto avviene ancora oggi presso la maggior parte delle Chiese Orientali. Va tuttavia ricordato che l'Oriente ha mantenuto l'unità nel conferimento dei sacramenti di iniziazione: Battesimo, Confermazione ed Eucaristia vengono dati sia ai bambini come agli adulti nello stesso rito.

In Occidente invece, a partire dal V-VI secolo, venne meno l'unità di conferimento dei tre sacramenti di iniziazione; divenne prassi ordinaria battezzare i bambini subito dopo la nascita, rimandando il conferimento della Cresima e la partecipazione all'Eucaristia ad una età più avanzata. Motivo di questa separazione fu una duplice esigenza: da una parte si doveva assicurare ai bambini appena nati la garanzia del Battesimo, soprattutto in epoche in cui la mortalità infantile era molto elevata (da qui il quam primum, cioè il più presto possibile, mantenuto fino a tempi recenti); l'altra esigenza era quella di riservare al Vescovo il conferimento della Confermazione intesa come un più perfetto collegamento con la Comunità ecclesiale, essendo il Vescovo principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare di cui è pastore.[30]

 

A motivo della separazione nel tempo tra il conferimento del Battesimo e della Cresima, sorsero discussioni e dubbi in Occidente circa gli elementi che appartengono sicuramente all'essenza del rito della Confermazione.

E' certo tuttavia che, nella varietà degli interventi dei Pontefici o dei Concili, i due elementi attorno a cui ruota la discussione sulla essenza del sacramento della Confermazione sono: la crismazione e l'imposizione delle mani.[31] Secondo la sistematizzazione della teologia scolastica, la materia del sacramento della Confermazione è il sacro crisma, ossia olio (di oliva) mescolato con balsamo e consacrato dal vescovo, e mediante il quale si fa la crismazione sulla fronte (da qui il nome di Cresima dato a questo sacramento); la forma è costituita dalle parole che pronuncia il vescovo mentre traccia un segno di croce sulla fronte del Cresimando.

 

Con la suprema autorità che compete al Sommo Pontefice, Paolo VI ha precisato e stabilito che d'ora in poi nella Chiesa latina <il sacramento della Confermazione si conferisce mediante l'unzione del crisma sulla fronte, che si fa con l'imposizione della mano, e mediante le parole: Accipe signaculum doni Spiritus Sancti [Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono]>.

Al posto della formula precedente,[32] si è preferita quella attuale per almeno tre motivi: perché più antica e veneranda, che si rifà in qualche modo alla preghiera pronunciata da Pietro e Giovanni a compimento della iniziazione dei battezzati in Samaria quando pregarono per essi affinché ricevessero lo Spirito Santo mentre imponevano le mani su di loro (cf At 8,15-17).; perché comune anche al rito bizantino (quindi per un alto motivo ecumenico e di unità con le chiese sorelle dell'Oriente); infine e soprattutto perché con questa forma si esprime chiaramente il dono dello Stesso Spirito Santo e si ricorda l'effusione dello Spirito che avvenne nel giorno di Pentecoste (cf At 2,1-4.38).

L'aver posto l'accento sulla crismazione, ovviamente, non diminuisce l'importanza dell'imposizione delle mani che, anche se non appartiene all'essenza del rito sacramentale, è da ritenersi in grande considerazione in quanto serve a integrare maggiormente il rito stesso e a favorire una migliore comprensione del sacramento.

 

2. La Confermazione, tra Battesimo ed Eucaristia.

In ossequio alle indicazioni fornite dalla Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium, che richiedeva che più chiaramente apparisse l'intima connessione del sacramento della Confermazione con l'intero ciclo dell'iniziazione cristiana (SC 71), tale unità e continuità è stata ben espressa nella <Introduzione generale> all'Iniziazione cristiana (=RICA 2): il Battesimo ci ottiene la remissione dei peccati; rinascendo dall'acqua e dallo Spirito ci fa diventare nuova creatura, ci fa diventare realmente figli di Dio; incorporandoci a Cristo, ci costituisce in popolo di Dio; la Confermazione segna con lo Spirito Santo i battezzati che ricevono una più profonda configurazione a Cristo e una maggiore abbondanza di Spirito Santo; sono resi capaci di portare al mondo la testimonianza dello stesso Spirito fino alla piena maturità del corpo di Cristo; nell' Eucaristia i fedeli mangiano la carne del Figlio dell'uomo e bevono il suo sangue, per ricevere la vita eterna e manifestare l'unità del popolo di Dio.

 

Questa unità e continuità dei tre sacramenti di iniziazione si ritrova anche nel Rito del Battesimo dei bambini. Tra i riti di conclusione, prima della recita del Padre nostro, il celebrante dice ai genitori (= OBP 123):

* <Questo bambino, rinato nel Battesimo, viene chiamato ed è realmente figlio di Dio;

* nella Confermazione riceverà la pienezza dello Spirito Santo;

* accostandosi all'altare del Signore parteciperà alla mensa del suo sacrificio>. 

Per la teologia liturgica, che affonda le sue radici nella tradizione patristica e nella secolare esperienza delle Chiese, tra i due poli dell'iniziazione costituiti dal Battesimo e dall'Eucaristia vi è dunque una tappa intermedia costituita appunto dalla Confermazione.

 

Le difficoltà sorgono a livello di catechesi sacramentaria, quando si deve spiegare la natura e la funzione di un sacramento tra il Battesimo e l'Eucaristia. Difficoltà accresciuta da una serie di fattori: in primo luogo la scelta discutibilissima di aver posticipato la Confermazione rispetto al suo culmine naturale che è l'Eucaristia, e quindi il capovolgimento dell'ordine teologico-sacramentale dell'iniziazione; inoltre la difficoltà di spiegare-capire la necessità di un altro sacramento per il dono dello Spirito Santo quando già il Battesimo conferisce tale dono e nell'Eucaristia lo si riceve <in pienezza>.[33]

Occorre dare una risposta a questi interrogativi. Seguendo le indicazioni fornite dalla Costituzione apostolica di Paolo VI Divinae consortium naturae, troviamo una risposta che si basa sul principio di <analogia>: quanto avviene nella vita naturale, quanto è avvenuto nel mistero di Cristo e nel mistero della Chiesa, si ripropone a livello sacramentale anche nel processo di nascita, di crescita e di maturazione che si ha nell'iniziazione cristiana.

 

a. Analogia tra vita naturale e vita soprannaturale.

La partecipazione alla natura divina che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia di Cristo, rivela una certa analogia con le tre tappe della vita naturale, cioè l'origine, lo sviluppo e l'accrescimento.

Anche nella vita soprannaturale del cristiano si riscontrano queste tre tappe: l'origine corrisponde alla rinascita mediante il santo Battesimo; lo sviluppo e il rafforzamento sono costituiti dal sacramento della Confermazione; l'accrescimento avviene mediante il nutrimento con il cibo della vita eterna nell' Eucaristia. In questo modo, per effetto di questi tre sacramenti dell'iniziazione, i fedeli sono in grado di gustare sempre più e sempre meglio i tesori della vita divina e progredire fino al raggiungimento della perfezione della carità.

Questa analogia tra vita naturale e vita soprannaturale è stata ampiamente sviluppata dai Padri. Dice in proposito Tertulliano: <Viene lavata la carne, perché l'anima sia liberata da ogni macchia, viene unta la carne perché l'anima sia consacrata; viene segnata la carne, perché anche l'anima sia rinvigorita; la carne è adombrata dall'imposizione delle mani, perché anche l'anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si pasce del corpo e del sangue di Cristo, perché anche l'anima si nutra abbondantemente di Dio> (De resurrectione mortuorum, VIII,3).

Anche in Oriente, un autore laico, Nicola Cabasilas, parla dell'unità-continuità tra i tre sacramenti di iniziazione sviluppando l'analogia tra vita naturale e vita soprannaturale: <Grazie ai sacramenti di iniziazione, che annunciano la morte e risurrezione di Cristo, noi siamo rigenerati alla vita soprannaturale, ci sviluppiamo e ci uniamo in modo meraviglioso al nostro Salvatore; il Battesimo ci dona di essere e di sussistere in Cristo; la Crismazione perfeziona il neofita comunicandogli le energie in rapporto a questa vita; l' Eucaristia prolunga questa vita, la fa crescere floridamente, la conserva e la mantiere nelle forze acquisite. In breve: noi viviamo per questo pane, noi siamo fortificati per questa unzione, dopo aver ricevuto l'essere in questa immersione> (La vita in Cristo, I).

 

b. Analogia cristologica.

Il Nuovo Testamento mette bene in luce la presenza dello Spirito Santo lungo tutto l'arco della vita di Cristo: dal concepimento, alla glorificazione pasquale.

b.1. E' concepito per opera dello Spirito Santo. Come lo Spirito del Signore presiede alla prima creazione (Gen 1,2) e alla creazione dell'uomo ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27; 2,7), così nella pienezza del tempo è ancora ad opera dello Spirito Santo che viene concepito e generato il Primogenito della nuova creazione nel seno della vergine Maria (Lc 1,35; Mt 1,20).[34]

b.2. Gesù, nello Spirito, riceve l'investitura regale-messianica. Al Giordano lo Spirito discende su Gesù (cf Mc 1,10; Mt 3,16), si posa su di lui per rimanervi (cf Gv 1,32.33; cf Is 11,2: lo spirito sul Messia; 42,1: lo spirito sul Servo). Come lo Spirito era stato all'inizio della vita di Gesù quale potenza generatrice del Padre, ora è ugualmente presente all'inizio del suo ministero pubblico per conferirgli l'investitura profetico-messianica da parte del Padre che accredita pubblicamente il Figlio suo come il <prediletto> (Lc 3,22), come il Servo che deve compiere l'opera di Dio (cf Mt 3,15-17).[35] D'ora in poi lo Spirito del Padre accompagna Gesù in ogni sua azione: pieno di Spirito Santo...fu condotto dal Spirito nel deserto (Lc 4,1); ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo (4,14); nella sinagoga di Nazaret fa capire che proprio a lui si riferiva l'oracolo di Isaia: <Lo Spirito del Signore è sopra di me> (Lc 4,18; cf Is 61,1-2); nello Spirito affronta il demonio (Mt 4,1) e ne libera le vittime (Mt 12,28); nello Spirito battezza tutti coloro che vorranno entrare nel regno nuovo che è venuto ad inaugurare (Gv 1,33; 3,5); nello Spirito sconfigge il male e la morte (Mt 12,28); nello Spirito sceglie e istruisce gli apostoli (At 1,2); nello Spirito esulta di gioia, ha piena familiarità col Padre (Lc 10,21; Mt 11,25-26).

b.3. Gesù, nello Spirito, porta a compimento la sua opera pasquale. Giunta la sua <ora>, quando <tutto è compiuto>, <con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio> (Ebrei 9,14) per purificare le nostre coscienze dalle opere morte e permettere anche a noi di servire al Dio vivente. Lo Spirito che aveva ricevuto fin dall'incarnazione e che lo aveva accompagnato in tutta la sua missione, ora può essere restituito al Padre (cf Gv 19,30; Lc 23,46: rese lo Spirito) in vista della effusione pentecostale sulla Chiesa (At 2) già significata e anticipata dall'effusione dell'acqua che sgorga dal costato del Cricifisso (Gv 19,34, da leggere alla luce di Gv 7,37-39 e 1 Gv 5,6-8: la promessa dello Spirito nel segno dell'acqua). Infine, nello Spirito Gesù è anche risuscitato dai morti con potenza (Rom 1,4) e costituito spirito datore di vita (1 Cor 15,45).

 

Questa lunga serie di citazioni aveva uno scopo ben preciso: far vedere che nella vita di Cristo è continuamente presente lo Spirito del Padre; che tale presenza, sottolineata da una continua effusione, non è questione di <quantità> quasi che il Padre doni lo Spirito al Figlio con porzioni incomplete; è piuttosto una effusione sempre abbondante e sempre completa che sottolinea, di volta in volta, la <qualità> dell'intervento paterno: per la generazione, per l'accreditamento pubblico all'inizio della missione, per il compimento pasquale nell'ora del sacrificio redentore.

 

c. Analogia ecclesiologica.

Non diversamente che nella vita del Cristo, anche nella vita della Chiesa vediamo ripetute effusioni dello Spirito.

c.1. La Chiesa nasce dallo Spirito. Lo sottolinea la teologia giovannea quando colloca la nascita della Chiesa, quale nuova Eva, dal costato del Cristo dormiente sulla Croce: <dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa> (Sacrosanctum Concilium 5); <Lui, il secondo Adamo, si addormentò con il capo reclinato sulla croce affinché dal costato del dormiente gli venisse formata una Sposa> (s. Agostino). Nell'acqua e nel sangue che sgorgano dal costato del Crocifisso (cf Gv 19,34), i Padri scorgono i sacramenti pasquali del Battesimo e dell'Eucaristia, i sacramenti che generano la Chiesa.

c.2. Nello Spirito della Pentecoste la Chiesa inizia la sua azione missionaria. I Sinottici, rispetto a Giovanni, fanno coincidere con il dono dello Spirito nella Pentecoste l'inizio dell'opera missionaria della Chiesa fino agli estremi confini della terra (At 1,8; 2,33). Il Padre effonde lo Spirito del Figlio nel cuore dei suoi discepoli (Gal 4,6) e ne <furono ripieni> a tal punto che, infiammati dal soffio divino, cominciarono ad annunciare le meravigllie di Dio. Nello Spirito sono mandati in missione coloro che Dio ha scelto: Flippo (At 8,26.29), Pietro (At 10,20), Paolo e Barnaba (At 13,2.4); lo Spirito li accompagna e guida la loro azione apostolica (At 16,6), dà la sua autorità alle loro decisioni (At 15,28).

c.3. Nello Spirito la Chiesa si edifica attorno alla Parola e all'Eucaristia. Lo Spirito permette alla Parola di crescere e moltiplicarsi (At 6,7; 12,24) in un intenso slancio di gioia e di fiducia (At 13,52). Lo Spirito infatti fa ripetere agli Apostoli gli atti di Gesù, fa annunziare con franchezza la Parola di Gesù (At 4,30.31; 5,42; 6,7; 9,20; 18,5; 19,10.20). E' ancora lo Spirito del Risorto che conserva tra i fratelli l'unione (At 2,42; 4,32) lavorando costantemente all'unità del corpo di Cristo (1 Cor 12,13), facendo la comunione di questo corpo (Ef 4,3, Fil 2,1) mediante il dono supremo della carità (1 Cor 13; 2 Cor 6,6; Gal 5,22; Rom 5,5).

 

Concludendo la nostra riflessione su queste tre <analogie>, addiveniamo ad una costatazione: la vita naturale, come la vita soprannaturale, conosce tappe successive che prevedono una nascita, una crescita, una maturazione; lo stesso procedimento si è potuto costatare anche nel mistero di Cristo e della Chiesa quando vediamo il medesimo Spirito operare la nascita, l'accreditamento, il compimento di un'opera di salvezza. Se vi è una effusione ripetuta dello Spirito, ciò avviene non perché le precedenti siano state incomplete o inefficaci, ma unicamente per sottolineare la continua e benefica presenza del Padre che vuol farsi presente nel Figlio e nei figli mediante il dono dello Spirito, cioè del suo Amore e della sua Comunione. Dicevamo allora che nella realtà sacramentale il dono ripetuto dello Spirito non è questione di <quantità>, ma di <qualità>: ogni intervento ha una sua funzione, irrepetibile, benché collegata alla sua fonte che è la Pasqua-Eucaristia. Se il Signore ha voluto arricchire la sua Chiesa con una economia sacramentaria <settenaria>, non lamentiamoci per tanta ricchezza, quasi che qualcuno di questi sette sacramenti sia di troppo solo perché non riusciamo a inquadrarlo nelle nostre categorie pseudocatechetiche e ci permettiamo di spostarlo di qua o di là quasi soprammobile scomodo.

Scopriamo piuttosto, alla luce degli insegnamenti della Chiesa, qual è la funzione e gli effetti del sacramento della Confermazione nella vita del cristiano.

 


IL SIGILLO DELLO SPIRITO.

 

Lo Spirito che aveva generato nel seno della Vergine Maria il Figlio di Dio fatto uomo, fu di nuovo inviato dal Padre su Gesù al Giordano e rimase su di lui (Gv 1,32) e lo spinse a dare pubblico inizio al ministero di Messia accompagnandolo con la sua presenza e il suo aiuto fino al dono supremo della vita (cf Eb 9,14; Gv 19,30.34)) e alla gloria della risurrezione (cf Rm 1,4; 8,11).

Lo stesso Gesù, che possedeva lo Spirito <senza misura> (Gv 3,34), in vista del suo ritorno al Padre aveva promesso ai suoi discepoli che lo Spirito Santo - l'altro Paraclito (Gv 14,16-17) - avrebbe aiutato anche loro, infondendo in essi il coraggio per testimoniare la fede anche di fronte ai persecutori (Lc 12,12). Alla vigilia poi della sua passione, assicurò che avrebbe inviato agli Apostoli, da parte del Padre, lo Spirito di verità (cf Gv 15,26), che sarebbe rimasto con essi in eterno (cf Gv 14,16) e li avrebbe validamente aiutati a rendere testimonianza a lui stesso (cf Gv 15,26). Infine dopo la risurrezione, Cristo promise l'imminente discesa dello Spirito Santo: Riceverete la virtù dello Spirito Santo, che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni (At 1,8; cf Lc 24,49).

E in realtà, nel giorno della festa di Pentecoste, lo Spirito Santo discese in forma del tutto straordinaria sopra gli Apostoli, riuniti con Maria, Madre di Gesù, e con il gruppo dei discepoli: essi allora a tal punto ne furono pieni (At 2,4) che, infiammati dal soffio divino, incominciarono ad annunciare le meraviglie di Dio. Pietro poi, ritenne che lo Spirito disceso in quel modo sopra gli Apostoli, fosse il dono dell'età messianica (cf 2,17-18). Allora furono battezzati coloro che avevano creduto alla predicazione apostolica, e anch'essi ricevettero il dono dello Spirito Santo (At 2,38).

 

1. Il fondamento scritturistico.

A partire dalla Pentecoste gli Apostoli, in adempimento del volere di Cristo, comunicavano ai neofiti, attraverso l'imposizione delle mani, il dono dello Spirito, destinato a sviluppare la grazia del Battesimo. Questa tradizione ininterrotta, sia in Oriente che in Occidente, trova un suo fondamento anche nelle Scritture; i testi principali su cui si basa il sacramento della Confermazione sono:

* Atti 8,15-17. Gli Apostoli che stavano a Gerusalemme vennero a sapere che anche la Samaria aveva accolto la parola di Dio; inviarono allora Pietro e Giovanni i quali <discesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo>. Il Significato di questa missione è il seguente: la Samaria era considerata dai Giudei terra scismatica; nella Chiesa del Signore non ci dovranno essere più separazioni tra Giudei, Greci, Samaritani, ecc. (cf Gal 3,28); la Chiesa madre di Gerusalemme manda due sue <colonne>, Pietro e Giovanni, perché con un gesto solenne manifestino che anche i Samaritani fanno ormai parte del nuovo popolo di Dio, la Chiesa; Luca negli Atti descrive così quella che è chiamata la <Pentecoste sui Samaritani>, come già c'era stata la <Pentecoste sui Giudei> a Gerusalemme (At 2,1-4), e vi sarà ancora una <Pentecoste sui pagani> in Atti 10,44. Anche questa Pentecoste sui Samaritani per il dono dello Spirito Santo deve essere stata così straordinaria da spingere Simone il mago ad offrire dei soldi per ottenere quel potere (At 8,18-19.[36]

 

* Atti 19,5-7. Paolo si trovava ad Efeso. Qui trovò alcuni discepoli e chiese loro se avessero ricevuto lo Spirito Santo; quelli risposero che non avevano nemmeno sentito dire che ci fosse uno Spirito Santo; allora Paolo annunciò loro il Signore Gesù ed essi, dopo aver udito questa rivelazione, <si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di essi lo Spirito Santo e parlavano in lingue e profetavano>.

 

E' dunque questa imposizione delle mani che giustamente viene considerata dalla tradizione cattolica come la prima origine del sacramento della Confermazione, il quale rende, in qualche modo, perenne nella Chiesa la grazia della Pentecoste.

Da questa trdizione biblica appare anche evidente la speciale importanza della Confermazione ai fini dell'iniziazione sacramentale, per la quale i fedeli, <come membra del Cristo vivente, a Lui sono incorporati e assimilati per il Battesimo, come anche per la Confermazione e l' Eucaristia> (Ad gentes 36). Nel Battesimo i neofiti (= nuove piante) ricevono il perdono dei peccati, l'adozione a figli di Dio nonché il carattere di Cristo, per cui vengono aggregati alla Chiesa e diventano, inizialmente, partecipi del sacerdozio del loro Salvatore (cf 1 Pt 2,5.9). Con il sacramento della Confermazione, coloro che sono rinati nel Battesimo, ricevono il dono ineffabile, lo Spirito Santo stesso, per cui sono <arricchiti di una forza speciale, sono collegati più perfettamente alla Chiesa, mentre sono più strettamente obbligati a diffondere e a difendere, con la parola e con l'opera, la loro fede, come autentici testimoni di Cristo> (Lumen gentium 11), e sono anche segnati dal carattere del medesimo sacramento.

Questo testo di Lumen gentium 11 ci serve da base per spiegare gli effetti del sacramento della Confermazione.

 

2. Gli effetti della Confermazione.

Celebrati degnamente nella fede, i sacramenti conferiscono sia la grazia detta <santificante>, comune a tutti i sacramenti e cioè l'intima unione di vita con Cristo e la partecipazione alla sua natura divina (cf 2 Pt 1,4), sia la grazia detta <sacramentale> e cioè la grazia propria di ciascun sacramento dal momento che ogni sacramento comunica ciò che significa: <La grazia sacramentale aggiunge alla grazia abituale un determinato divino aiuto, atto a far conseguire il fine proprio di ogni sacramento> (S. Tommaso).

Questo fine proprio del sacramento della Confermazione è ben espresso, come si diceva poco sopra, dal testo di Lumen gentium 11, e cioè:

 

2.1. Arricchiti di una forza speciale.

Questa forza speciale è il dono ineffabile dello Spirito Santo stesso. Parlando di questa effusione dello Spirito la Scrittura ricorre ad immagini che, come il vento, richiamano l'idea di potenza (At 2,2) e di energia vitale (Gv 6,63). Spirito (in ebraico ruah; in greco pneuma), è una energia divina che eleva l'uomo al di sopra della sua fragilità e lo introduce nel mondo di Dio. Lo Spirito di Dio è forza che conduce avanti la storia ed è luce divina che la spiega per mezzo dei profeti. Quando questo Spirito interviene nell'uomo, lo fa con forza sovrumana in vista del compimento delle grandi opere divine. Si dice allora che piomba, cade, investe una persona (cf Giudici 14,6.19; 1 Sam 10,6; Ez 11,5). Con tali interventi lo Spirito suscita e stimola coloro che incarica di guidare la storia sacra e che per questo sono chiamati dalla Bibbia come servi di Dio (Amos 3,7; Geremia 7,25; Ezechiele 38,17).

Parlando dello Spirito Santo donato nel sacramento della Confermazione quale <forza speciale> che arricchisce il battezzato, si dovrà porre l'attenzione proprio su quello <speciale> dal momento che già nel Battesimo ci è stato donato lo Spirito Santo nel quale siamo resi figli e che ci fa dire Abbà, Padre! Possiamo trovare una analogia di questo dono speciale in alcuni personaggi della Bibbia. Di essi si dice che il Signore li ha scelti <fin dal seno materno>. Ad un certo punto della loro vita, però, essi ricevono una ulteriore e speciale scelta che potremmo chiamare appello profetico e che li abilita ad esercitare con coraggio ciò che già sono in forza di quella elezione avvenuta fin dal seno materno. Si può vedere in proposito l'appello profetico di Geremia (1,5 e 1,9-10), del Servo di Jahvè (Isaia 49,1-5; 61,1), di Giovanni Battista (Lc 1,15.80), di Paolo (Gal 1,15).

Mediante questo appello profetico Dio esercita un intervento particolare nell'esistenza di una persona, chiamandola ad un servizio speciale nel piano della salvezza. Questo appello apparve, agli occhi degli stessi profeti, come il titolo indispensabile per inaugurare un'autentica missione profetica. I falsi profeti erano infatti coloro che Dio non aveva né chiamato, né inviato (cf Ger 14,14s; 23,27.32; ecc) e sui quali, di conseguenza, non aveva effuso il suo spirito profetico.

Rapportando questa analogia al sacramento della Confermazione si può più facilmente comprendere che cosa significhi l'espressione arricchiti di una forza speciale: è una rinnovata effusione del medesimo Spirito che, mentre ci ha dato l'essere dei figli di Dio fin dal seno materno, cioè fin dal Battesimo, ad un certo punto della nostra vita quel medesimo Spirito ci viene ancora donato in vista dell'agire secondo la vocazione dei figli di Dio. E' l'appello profetico che conferma il battezzato e lo autentica dinanzi alla comunità perché di fatto possa comportarsi secondo quell'essere di figlio di Dio presente in lui fin dal Battesimo. Ecco perché a suo tempo abbiamo parlato di un dono dello Spirito Santo non secondo le categorie della quantità, quasi che nella Confermazione ci sia bisogno di colmare deficienze battesimali, ma con quelle della qualità, cioè in vista di una missione specifica per l'attuazione effettiva dei carismi donati proprio dallo Spirito (cf 1 Cor 12-13). In questo senso il confermato non diventa un superbattezzato: è soltanto lo stesso battezzato che, nel dono dello Spirito, nel momento stesso in cui inizia a prendere coscienza di ciò che è deve subito agire di conseguenza e comportarsi come tale.

Pertanto: lo Spirito Santo del Battesimo che ci dà l'essere-in-Cristo e ci inserisce nel suo popolo, la Chiesa, è il medesimo Spirito che, al momento opportuno, nel sacramento della Confermazione, compie in noi quell'appello profetico che ci spinge ad agire-con-Cristo per la salvezza del mondo. Nell' Eucaristia, infine, questo cammino di iniziazione in Cristo raggiunge il suo culmine: ancora una volta, ed ogni volta, riceveremo la pienezza dello Spirito; comunicando al suo corpo eucaristico noi diventiamo un solo corpo e un solo spirito, cioè il suo corpo ecclesiale per virtù del medesimo Spirito (cf l'epiclesi di comunione della III Prece eucaristica).

Lo Spirito Santo presiede ed opera la nascita, la crescita, la maturazione di ogni vita: così è stato in Cristo, così per la Chiesa e quindi anche per ciascuno di noi.

 

2.2. Collegati più perfettamente alla Chiesa.

Già il Battesimo ci innesta in Cristo inserendoci, come nuova piantagione, nella vigna del Signore che è la Chiesa. Nella Confermazione questo collegamento con la Chiesa diventa più perfetto fino a raggiungere la sua pienezza nella partecipazione al convito eucaristico.

Anche qui dobbiamo ben comprendere che cosa significhi quel più perfetto. Già abbiamo spiegato, parlando del fondamento biblico della Confermazione, dell'episodio riferito da Atti 8,14-17 circa il gesto di imporre le mani per il dono dello Spirito Santo compiuto da Pietro e Giovanni in Samaria. Ebbene, quel gesto significava l'estensione della grazia della Pentecoste alla nuova comunità di Samaria e quindi l'eliminazione della dispersione di Babele e di ogni altra barriera al fine di formare l'unico popolo della nuova alleanza; significava anche la comunione ecclesiale con la comunità madre di Gerusalemme: lo Spirito Santo che è il principio della comunione trinitaria, è anche il principio costitutivo della comunione ecclesiale.

Il fatto che l'Occidente, ed in parte anche l'Oriente, abbia voluto mantenere al vescovo il diritto della Confermazione,[37] sta a significare che colui che nella comunità è il segno visibile del Cristo Pastore e centro visibile dell'unità del popolo di Dio, è chiamato a compiere quell'appello profetico capace di dare garanzia alla parola e alla testimonianza del battezzato riconoscendola valida ed efficace per l'edificazione della comunità ecclesiale.

Questa garanzia e questo riconoscimento sono caratterizzati proprio dalla grazia speciale prodotta da una rinnovata effusione dello Spirito Santo che, oltre a confermare nella fede battesimale, sancisce e mette in atto una ulteriore e specifica incorporazione alla Chiesa.

Tutto questo è espresso sinteticamente, ma efficacemente, nella allocuzione che introduce il Rito della Confermazione, quando il vescovo dice: <Lo Spirito Santo completerà in voi la somiglianza a Cristo e vi unirà più fortemente come membra vive al corpo mistico della Chiesa...Siate dunque membra vive della Chiesa e guidati dallo Spirito di Dio, impegnatevi a servire i vostri fratelli come ha fatto Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire>.

 

2.3. Per diffondere e difendere la fede come autentici testimoni di Cristo.

Cristo, testimone fedele del Padre, generato nel seno della Vergine Maria ad opera dello Spirito Santo, è pure confermato ad opera del medesimo Spirito in vista del suo esodo doloroso al Padre (cf Lc 3,21-22; 9,31).

L'appello profetico operato dallo Spirito della Confermazione conferisce al battezzato una missione in seno alla Chiesa: quella di testimoniare in perfetta fedeltà Cristo e di essere araldo del Vangelo. Il dinamismo dello Spirito riveste di fortezza per essere messi in grado di compiere fedelmente la propria missione. Ogni confermato può far proprie la perole di Gesù nella sinagoga di Nazaret: <Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamarte ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di gvrazia del Signore> (Lc 4,18-19).

Questo aspetto della Confermazione è fortemente sottolenato nel Rito: <Lo Spirito Santo discese visibilmente su di un gruppo di battezzati, quando san Paolo impose loro le mani, ed essi cominciarono a parlare lingue diverse e a profetare>. <Voi che siete già stati consacrati a Dio nel Battesimo, ricevete ora la potenza dello Spirito Santo e sarete segnati in fronte con il sigillo della croce...Porterete così nel mondo la buona testimonianza del Signore crocifisso e risorto, che perpetua sull'altare la sua Pasqua; la vostra vita, come dice san Paolo, diffonderà il profumo di Cristo, per la crescita spirituale della Chiesa, popolo di Dio...Siate dunque membra vive della Chiesa, e guidati dallo Spirito di Dio, impegnatevi a servire i vostri fratelli come ha fatto Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire> (Allocuzione).

Inoltre, nella Preghiera dei fedeli, si dice: <Preghiamo per questi nostri fratelli: confermati dal dono dello Spirito Santo...con la loro vita diano buona testimonianza a Cristo Signore>. Nella benedizione finale e nella Orazione sul popolo si ritorna su questo concetto: <Gesù Cristo...con la presenza indefettibile dello Spirito di verità, vi confermi nella professione della vera fede>, <perché possiate dare con la vostra fede aperta testimonianza al Cristo crocifisso e risorto e adempiere con amore i suoi comandamenti>. Lo Spirito che diffonde nei cuori la carità di Cristo e dona la varietà dei carismi, santifica e unifica la Chiesa in un solo corpo, spinge i suoi membri a diffondere sulla terra il fuoco di questo amore.

 

2.4. Il <carattere> della Confermazione.

Come il Battesimo, di cui è perfezionamento, anche la Confermazione è donata una sola volta. Essa imprime in effetti nell'anima un sigillo spirituale e indelebile, il <carattere>, che è il segno con cui Cristo ha segnato un cristiano col sigillo del suo Spirito rivestendolo della forza dall'alto perché sia suo fedele testimone (cf Lc 24,48-49). Come sigillo spirituale, lo Spirito Santo completa nei battezzati la somiglianza a Cristo e li unisce come membra viventi al corpo mistico della Chiesa. E' segno garante di protezione divina, è abilitazione al culto e al servizio della Chiesa.

Questo carattere perfeziona infatti il sacerdozio comune dei fedeli, ricevuto nel Battesimo; <il confermato riceve la potenza di confessare la fede di Cristo pubblicamente, e come in virtù di un incarico> (S. Tommaso)  Segnati in fronte col sigillo dello Spirito, potranno offrire se stessi con Cristo sommo sacerdote e pregare il Padre che effonda più largamente il suo Spirito perché tutto il genere umano formi l'unica famiglia di Dio.

Il carattere è anche il segno indelebile che sta a significare la partecipazione specifica del battezzato-confermato alla vita della Chiesa secondo i propri carismi; lo Spirito infatti santifica il popolo di Dio e lo adorna di virtù distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Lui (1 Cor 12,11) e dispensando tra i fedeli grazie speciali con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, per il comune vantaggio (1 Cor 12,7; cf Lumen gentium 12). Lo Spirito dunque fa crescere ed edifica la Chiesa, la istruisce e dirige con diversi doni, la abbellisce dei suoi frutti (cf Ef 4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22; Lumen gentium 4).nell'unità e nell'amore, secondo il volere del Padre. Il carattere del sacramento dona appunto questa diversità di carismi-funzioni secondo la specifica vocazione di ciascuno; spetta ai Pastori il giudizio sulla genuinità di tali carismi senza tuttavia estinguere lo Spirito, ma esaminando tutto e ritenendo ciò che è buono (1 Tessalonicesi 5,12 e 19-21).

 

3. Qualche conclusione.

Abbiamo cercato di fare una lettura del sacramento della Confermazione secondo la lex credendi e la lex orandi. Si tratta ora di fornire qualche indicazione per la lex vivendi, ciò un adeguato comportamento pastorale e catechetico.

Nel mattino di Pentecoste il nuovo popolo escatologico, già nato al momento della morte-glorificazione del Signore quando dal suo costato trafitto nasce il mirabile sacramento della sua Chiesa-Sposa, viene investito dalla potenza dello Spirito Santo promesso per annunciare sino ai confini della terra la salvezza ormai inaugurata e tesa al suo finale compimento.

Nella Chiesa il mistero della Pentecoste si rinnova ogniqualvolta coloro che già sono stati consacrati a Dio nel Battesimo ricevono la potenza dello Spirito Santo nella Confermazione in vista di un esercizio effettivo dei doni battesimali quali la profezia o annuncio missionario dell'Evangelo, il sacerdozio o esercizio del culto nella comunità dei credenti, la regalità o servizio dei fratelli.

L'unità e la continuità tra Pasqua e Pentecoste può inoltre significare sia la necessità, sia la collocazione di uno specifico sacramento come la Confermazione tra il Battesimo e l' Eucaristia. A questo punto si può suggerire che in vista del conferimento di questo sacramento vengano recuperate considerazioni o valutazioni che siano più di ordine misterico o mistagogico (cioè di iniziazione o cammino di fede in una comunità), che non di carattere psicologico o pedagogico (discorsi sterili sull'età o maturità biologica, avulsa o perlomeno non sufficientemente collegata con la maturità spirituale della fede); infine che si abbia il coraggio di ripensare l'anomala collocazione della Confermazione dopo l'Eucaristia, riportandola alla sua naturale funzione di ponte fra Battesimo ed Eucaristia.

 


SEGNI E RITI DELLA CONFERMAZIONE

 

Nei primi secoli la Confermazione era conferita nel corso della medesima liturgia di iniziazione, quindi unita al Battesimo e all' Eucaristia; secondo un'espressione di s. Cipriano essa forma, col Battesimo, un sacramento duplice. In seguito, in Occidente, per una varietà di motivi (decadenza del catecumenato degli adulti, moltiplicarsi del Battesimo dei bambini, nascita delle parrocchie rurali, possibilità di battezzare in ogni tempo dell'anno e non più nella sola veglia pasquale), al fine di permettere ai vescovi il conferimento di questo sacramento, considerato completamento della grazia battesimale, ebbe inizio la separazione temporale tra Battesimo e Confermazione.

In Oriente fu mantenuta l'unità dei tre sacramenti di iniziazione anche nel caso dei bambini; ancora oggi, il sacerdote che battezza  dà subito anche la Confermazione (però con il myron consacrato dal vescovo), e l'Eucaristia.[38]

Queste due tradizioni portano ciascuna un proprio valore: l'Oriente sottolinea l'unità dei tre sacramenti di iniziazione; l'Occidente sottolinea più nettamente la comunione di ogni battezzato con il suo vescovo, garante e servitore dell'unità della Chiesa diocesana, della sua cattolicità e della sua apostolicità: quindi il legame con le origini apostoliche della Chiesa di Cristo.

Gli elementi essenziali per il conferimento della Confermazione sono: l'unzione del crisma sulla fronte, che si fa con l'imposizione della mano, e mediante le parole <Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono>.

 

1. Il segno dell'unzione.

L'unzione, secondo la simbologia biblica e patristica, è ricca di numerosi significati: l'olio è segno di abbondanza (Dt 11,14), di gioia (Sal 23,5; 104,15), di purificazione (unzione prima e dopo il bagno), di forza e di agilità (il massaggio degli atleti e dei lottatori); è pure segno medicinale per la guarigione e lenimento per le ferite (Is 1,6; Lc 10,34); è infine segno di bellezza, di salute, di forza.

Tutti questi significati presenti nell'ordine naturale della vita, si ritrovano anche nell'ordine soprannaturale della grazia sacramentale. L'unzione pre-battesimale con l'olio dei catecumeni significa purificazione e fortezza; l'unzione dei malati significa guarigione e conforto. L'unzione col santo crisma dopo il Battesimo, nella Confermazione e nell'Ordine, è il segno di una consacrazione. Già nell'antico Israele le tre grandi funzioni del popolo erano consacrate con l'unzione: i re (1 Sam 10,1), i sacerdoti (Esodo 28,41) e talvolta anche i profeti (1 Re 19,16). Nella pienezza del tempo, Cristo è l'Unto per eccellenza nel senso che riunisce in sé queste tre funzioni e le porta a compimento. Nel Battesimo, il Christòs-Unto estende questa sua dignità regale-profetica-sacerdotale a coloro che Egli rende cristi(ani), cioè unti-consacrati; nella Confermazione, questa unzione-consacrazione è ripetuta a significare il completamento e la messa in azioni di questa triplice dignità in modo che ogni battezzato possa diffondere con tutta la sua vita il buon profumo di Cristo (2 Cor 2,15; LG 11.12.33.34.35-36).

Si ricorderà infatti che il santo crisma è un olio, in genere di oliva, mescolato con balsamo (una essenza profumata). Coloro che sono consacrati con questo olio diventano dunque dei cristi-unti, e ricevono l'abilitazione ad agire da figli di Dio in unione al Figlio Primogenito, nell'esercizio della sua regalità-profezia-sacerdozio.

La preghiera di consacrazione pronunziata dal Vescovo durante la Messa crismale del giovedì santo, così si esprime verso coloro che verranno unti con questo santo Crisma: consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa; si compia in essi il disegno del tuo amore e la loro vita integra e pura sia in tutto conforme alla grande dignità che li riveste come re, sacerdoti e profeti; quest'olio sia crisma di salvezza per tutti i rinati dall'acqua e dallo Spirito Santo; li renda partecipi della vita eterna e commensali al banchetto della tua gloria.

 

2. Il sigillo.

Mediante l'unzione crismale, il confermato riceve un marchio, il sigillo dello Spirito Santo. Questo sigillo, nella tradizione biblica, rappresenta la persona stessa che lo possiede (Gen 38,18; Cantico 8,6); è segno della sua autorità (Gen 41,42), della sua proprietà su un oggetto (Deut 32,34): ecco perché si marcavano i soldati col sigillo del loro capo o gli schiavi o il bestiame col sigillo del loro padrone. Il sigillo autentica anche un atto giuridico (1 Re 21,8) o un documento (Ger 32,10) e lo rende eventualmente segreto (Is 29,11).

Cristo stesso dichiara di aver ricevuto un sigillo dal Padre suo (Gv 6,27). Anche il cristiano è segnato con un sigillo: <Dio stesso ci ha conferito l'unzione e ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori> (2 Cor 1,22; Ef 1,13; 4,30). Questo sigillo di Dio mediante lo Spirito segna l'appartenenza totale a Cristo, la sottomissione al suo servizio, la promessa della protezione divina nella grande prova escatologica (Apocalisse 7,2-4; 9,4).

 

3. L'imposizione della mano.

Già nel'AT troviamo l'imposizione della mano per indicare la consacrazione per un incarico e l'invocazione dei doni divini su una persona: così Mosè su Giosuè (Deut 34,9). Nel Nuovo Testamento vediamo Gesù che impone le mani sui bambini e li benedice (Mt 19,13-16); altre volte impone le mani per guarire (Mc 16,18; Lc 4,40), come sulla figlia di Giairo (Mc 5,23) o sul cieco di Betsaida (Mc 8,22-25).

Anche gli Apostoli impongono le mani per il dono dello Spirito quale completamento dell'iniziazione cristiana (Atti 8,17 su alcuni battezzati in Samaria; 19,6 su alcuni discepoli di Efeso). L'imposizione delle mani è legata in genere al dono dello Spirito Santo in vista di una missione (At 6,6: per la diaconìa dei Sette; 13,3: per la missione di Paolo e Barnaba; 1 Tim 4,14; 2 Tim 1,6: per l'ordinazione di Timoteo).

Mediante l'imposizione delle mani, segno di benedizione e di consacrazione, si esprime la presa di possesso, da parte di Dio, di una persona che rimane ripiena dello Spirito Santo. In tutti i riti sacramentali rinnovati dal Vaticano II esiste l'imposizione della mano in segno di epiclesi. La mano potente di Dio è rapprentata, nella realtà sacramentale, dalla mano di un ministro della Chiesa, stesa con umiltà e fiducia sulle persone o sugli elementi materiali che Dio vuole santificare.

 

4. La celebrazione della Confermazione.

Prima di parlare del Rito della Confermazione in sè stesso, occorre far riferimento alla Messa crismale del giovedì santo quando il vescovo consacra il santo crisma. Questo uso sottolinea l'unità apostolica della Chiesa (cf Atti 8,14-17.25) i cui legami sono rafforzati proprio mediante il sacramento della Confermazione.

 

Il Rito della Confermazione è celebrato possibilmente durante la Messa per sottolineare il legame che tale sacramento ha con l' Eucaristia nell'insieme del processo di iniziazione cristiana.

La celebrazione si articola nel modo seguente:

 

a. Liturgia della Parola. Le letture possono essere quelle del giorno o quelle della Confermazione; si prenda in seria considerazione, in base ai testi e ai tempi liturgici, l'opportunità di fare un mixage pastoralmente valido tra letture del giorno e del Rito; si preparino gli stessi cresimandi ad un esemplare servizio delle letture, del canto del salmo e delle acclamazioni al Vangelo.

 

b. Presentazione dei cresimandi. Il parroco o anche un catechista chiama per nome i cresimandi che si presentano al vescovo accompagnati dai rispettivi padrini.

 

c. Omelia o allocuzione. Molto opportunamente la rubrica al n. 25 dice: <Il vescovo tiene una breve omelia: riferendosi alle letture e spiegandone il significato, egli conduce quasi per mano i cresimandi, i loro padrini e i genitori a tutti i presenti, a una comprensione più profonda del mistero della Confermazione>. Si tratta di una omelia di tipo <mistagogico>; il vescovo può utilizzare anche l'allocuzione proposta dal Rito o parafrasarne i passi principali.

 

d. Liturgia del sacramento.

* Rinnovazione delle promesse battesimali a sottolineare come la Confermazione perfeziona e sviluppa l'opera del divenire cristiani iniziata col Battesimo.[39]

* Imposizione delle mani. Una orazione chiede al Padre di effondere lo Spirito Santo: lo Spirito che confermi la grazia battesimale con la ricchezza dei suoi doni e renda questi rigenerati alla vita nuova sempre più conformi a Cristo. All'orazione fa seguito l'imposizione delle mani, fatta dal vescovo e dai sacerdoti presenti; è un segno di epiclesi, cioè invocazione al Padre perché mandi lo Spirito Paraclito con i suoi sette doni: sapienza, intelletto, consiglio fortezza, scienza, pietà, santo timore.[40]

* Crismazione. Tracciando un segno di croce sulla fronte con il santo crisma, tenendo contemporaneamente la mano stesa sulla testa, il vescovo pronuncia questa formula: N. RICEVI IL SIGILLO DELLO SPIRITO SANTO CHE TI è DATO IN DONO. Già abbiamo detto che questa è da considerare la forma essenziale del Rito della Confermazione. Tale unzione e le parole che l'accompagnano, comuni anche alla tradizione liturgica dell'Oriente bizantino, esprimono molto bene gli effetti del dono dello Spirito Santo: il battezzato sul quale il vescovo stende la mano per tracciargli in fronte il segno della croce con l'olio profumato, riceve un carattere indelebile, sigillo del Signore, e, insieme, il dono dello Spirito che lo configura più perfettamente a Cristo e gli dà la grazia di spandere tra le genti il <buon profumo>, senza mai dover arrossire della croce di Cristo; comunica anche la grazia di rendergli testimonianza, con la parola e con l'azione, per l'edificazione del suo corpo nella fede e nella carità; in questo modo il legame con la Chiesa è reso più perfetto (LG 11).

Commentando il gesto della crismazione e sottolineandone la dimensione trinitaria, s. Ambrogio dice: <Ricordati dunque che hai ricevuto il sigillo dello Spirito...Dio Padre ti ha marcato del suo sigillo, il Cristo Signore ti ha confermato e ha messo nel tuo cuore la caparra dello Spirito> (Da Mysteriis 42).

Il segno di pace che chiude la parte sacramentale significa e manifesta la comunione ecclesiale col vescovo e con tutti i fedeli.

* Preghiera universale. Le intenzioni sono di tale natura che è preferibile farle proclamare non dai cresimati, ma dai catechisti, dai padrini e dai genitori. Si chiede al Signore che, avendo confermato questi battezzati con il dono dello Spirito Santo, li renda capaci di dare buona testimonianza, di partecipare assiduamente alla mensa eucaristica. Si prega anche per i genitori e per i padrini: loro che si sono fatti garanti della fede di questi cresimati, coerentemente li aiutino con la parola e con l'esempio a seguire la via di Cristo. Si prega poi per la Chiesa universale e per la Chiesa diocesana rappresentata dal vescovo. Un'ultima intenzione è per il mondo intero, perché possa vivere nella pace e nella solidarietà tra tutte le razze e nazionalità. L'orazione che conclude la preghiera dei fedeli sottolinea la successione apostolica dei vescovi i quali sono oggi chiamati a trasmettere gli stessi prodigi operati dall'amore di Dio agli inizi della predicazione del Vangelo.

 

e. Liturgia eucaristica.

La Messa prosegue come al solito, con alcune possibilità: possono essere gli stessi cresimati a portere le offerte; è preferibile utilizzare il nuovo Prefazio per la Confermazione riportato dalla nuova edizione del Messale a p. 346 (eventualmente il Prefazio dello Spirito Santo I o II); nella Preghiera eucaristica si faccia menzione dei neo-cresimati; se questi poi partecipano anche all' Eucaristia si veda l'opportunità di conferirla sotto le due specie.

 

f. Riti di conclusione.

Il Rito propone due possibilità: o la formula di benedizione  oppure l'Orazione sul popolo.

La benedizione, secondo la forma tripartita trinitaria, sottolinea l'opera del Padre che ci fa rinascere come figli suoi, l'opera del Figlio che ha promesso lo Spirito e ci conferma nella professione della vera fede, l'opera dello Spirito che dona il fuoco della carità, raccoglie nell'unità e conduce alla gioia del regno.

L'orazione sul popolo, invece, chiede che i doni dello Spirito siano custoditi nel cuore dei fedeli affinché possano dare testimonianza del Cristo morto e risorto ed osservare con amore i comandamenti.

 

5. Il ministro della Confermazione.

Il ministro ordinario è il vescovo (LG 26); i vescovi sono infatti i successori degli Apostoli ed hanno ricevuto la pienezza del sacramento dell'ordine. Furono infatti gli Apostoli stessi che, dopo essere stati ripieni di Spirito Santo nella Pentecoste, lo trasmisero ai fedeli per mezzo dell'imposizione delle mani. Il sacramento conferito dallo stesso vescovo ne sottolinea meglio gli effetti che sono quelli di unire più strettamente alla Chiesa, alle sue origini apostoliche e alla sua missione di testimoniare Cristo. Si rocorderà che furono proprio questi motivi a far separare nel tempo la Confermazione dal Battesimo.

Per motivi particolari il vescovo può concedere tale facoltà al parroco o ad un altro sacerdote; tale facoltà è ordinaria per il sacerdote che battezza un adulto: subito di seguito gli conferisce la Confermazione e lo ammette alla mensa eucaristica.

Una particolarità. Il parroco o un altro sacerdote deve dare la Confermazione ad un battezzato che non l'ha ricevuta e che si trovi in pericolo di morte, anche se è un bambino piccolo (Codice can. 891; 883,3): la Chiesa vuole che nessuno parta da questo mondo senza aver ricevuto il dono perfetto dello Spirito che conferisce la pienezza di Cristo.

 

6. Chi può ricevere la Confermazione.

Chi? Possono e devono riceverlo tutti coloro che, già battezzati, hanno il dovere di completare il loro cammino di iniziazione cristiana. Va dunque in qualche modo evitata l'anomalia che indulge a rimandare la Confermazione fino a che uno non ne è costretto in vista del matrimonio.

Quando? Un problema spinoso è quello dell'età. Nella tradizione latina si prende come punto di riferimento per ricevere la Confermazione l'età della discrezione. Negli ultimi venti anni si è incominciato a parlare della Confermazione come di un sacramento della maturità cristiana e in molti Paesi, compreso il nostro, lo si è trasferito dall'infanzia all'adolescenza con la (triste) conseguenza di posticiparlo rispetto all' Eucaristia. Senza entrare in un giudizio di merito su questa prassi, vogliamo qui piuttosto riflettere su dati certi:

* non si deve confondere l'età adulta della fede con l'età adulta della vita naturale;

* non va dimenticato che la grazia battesimale è una grazia di elezione gratuita e immeritata e che non ha bosogno di alcuna <ratifica> per diventare effettiva. Con chiarezza spiega s. Tommaso: L'età del corpo non costituisce un pregiudizio per l'anima. Così, anche nell'infanzia, l'uomo puà ricevere la perfezione dell'età spirituale di cui parla il libro della Sapienza (4,8): "Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni". E' per questo che numerosi ragazzi, grazie alla forza dello Spirito Santo che avevano ricevuto, hanno lottato coraggiosamente fino al sangue per Cristo.

Quale preparazione? Una preparazione possibilmente di tipo catecumenale di cui deve farsi carico tutta la comunità locale: genitori in primo luogo, poi la parrocchia con i catechisti. Una formazione non semplicemente nozionistico-dottrinale sul modello della scuola, ma piuttosto esperienziale capace di coinvolgere il ragazzo, con un cammino di conversione-fede, nella globalità delle sue esperienze umane e di fede nell'ambito della comunità. Certe esperienze fallimentari del dopo-cresima potrebbero essere evitate o ridotte se i cresimati trovassero una comunità viva, dove inserirsi organicamente per l'esercizio dei carismi e dei ministeri; una parrocchia organizzata nella comunione di piccole comunità apostoliche.

 

 


L' E U C A R I S T I A

 

Il cammino dell'iniziazione cristiana si completa con il sacramento dell'Eucaristia:

* il Battesimo, ottenuta la remissione dei peccati, ci fa figli di Dio, nuove creature rinate dall'acqua e dallo Spirito, membri della Chiesa, partecipi della dignità sacerdotale-regale-profetica;

* la Confermazione, che ci segna con lo Spirito Santo, ci dona una più profonda configurazione a Cristo e una nuova effusione di Spirito Santo, per essere capaci di portare al mondo la testimonianza dello Stesso Spirito fino alla piena maturità del corpo di Cristo;

* l'Eucaristia ci fa partecipare in pienezza al sacrificio del Signore nella comunione alla carne e al sangue del Figlio dell'Uomo, per ricevere la vita eterna e manifestare l'unità del popolo di Dio. (RICA 1).

 

«Augustissimo sacramento è l’Eucaristia, nella quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto ed è assunto, e mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Il sacrificio eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale si perpetua nei secoli il Sacrificio della croce, è culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta l'unità del popolo di Dio e si compie l'edificazione del Corpo di Cristo. Gli altri sacramenti infatti e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono strettamente uniti alla santissima Eucaristia e ad essa sono ordinati» (CIC 897).

 

I nomi di questo sacramento.

 

Eucaristia: perché è l'azione di grazie a Dio per la creazione, la redenzione, la santificazione (Lc 22,19; 1 Cor 11,24: <eucharistein>; Mt 26,26; Mc 14,22: <eulogein>);

Cena del Signore: perché nel segno della cena Gesù, la vigilia della sua passione, ha istituito il memoriale della sua Pasqua (1 Cor 11,20); è anche l'anticipazione del banchetto delle nozze dell'Agnello (Ap 19,9) nella Gerusalemme celeste.

Frazione del pane: è il nome più antico; questo rito, già tipico della cena pasquale giudaica, fu usato da Gesù nell'ultima Cena (Mt 26,26; 1 Cor 11,24; cf Mt 14,19; 15,36; Mc 8,6.19); da questo gesto i discepoli riconobbero il Signore (Lc 24,30.35); [cf Gv 6,12: pani spezzati <klasmata>, non semplicemente avanzati]; con questo nome i primi cristiani designarono le loro assemblee eucaristiche (cf At 2,42.46; 20,7.11); chi partecipa allo stesso pane spezzato, forma un unico corpo in Cristo (1 Cor 10,16-17).

Santa Messa: (dal IV sec.) dall'uso di "rimandare" [lat. mittere] i catecumeni dopo la liturgia della Parola; poi tutti i fedeli al termine della Messa per la "missione"[41].

L'istituzione dell'eucaristia.

Avendo amato i suoi sino alla fine, alla vigilia della sua morte Gesù lascia ai suoi discepoli un pegno di questo amore, un segno efficace della sua presenza e del suo sacrificio, il "memoriale" della sua Pasqua.

I Sinottici (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20), con il racconto dell'ultima Cena, si ricollegano a tradizioni più recenti della Pasqua ebraica, celebrata da Israele (agricoltore) con gli "azimi", cioè col segno del pane [redazione P]; Giovanni (Gv 13-17) conserva i ricordi della pasqua antica (nomade-pastorale) celebrata con l'immolazione dell'agnello [redazione J; non parla infatti della Cena, ma solo della lavanda dei piedi e del comandamento nuovo; la dottrina eucaristica di Giovanni si trova in Gv 6].

Nel contesto della cena pasquale ebraica i Sinottici collocano l'ultima cena di Gesù e l'istituzione dell'Eucaristia. Il rito era scandito da 4 calici; le parole sul pane (al secondo calice) e le parole sul vino (dopo il terzo calice) fanno riferimento al sangue dell'alleanza (Es 24,6.8) nuova ed eterna (Ger 31,31; Ez 36), per la remissione dei peccati (Lev 16;  Is 53,7.12; Gv 1,29: il sangue del Kippur, l'agnello e il servo).

Come Mosè aveva istituito il "memoriale" della pasqua-alleanza (Es 12,14), nella pienezza dei tempi Gesù istituisce il nuovo "memoriale" che i suoi discepoli dovranno celebrare per annunciare la sua morte e proclamare la sua risurrezione, nell'attesa della sua venuta (1 Cor 11,24.25).

La Costituzione liturgica ci offre una sintesi di questo mirabile sacramento: "Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua Morte e della sua Risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità [S. Agostino], convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura" (SC 47).

Noi seguiamo qui queste indicazioni e parleremo dell'Eucaristica quale sacrificio sacramentale, banchetto pasquale, pegno della gloria futura.

 

Il sacrificio sacramentale.

1. Sacrificio di Cristo. La Chiesa è obbediente al comando del suo Signore: "fate questo come memoriale di me" (1 Cor 11,24.25). Così, "ogni volta", noi «annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione..»; «si perpetua il memoriale della Pasqua, l’anima nostra è ricolma di grazia..».

1.1. Il "memoriale" (cf Es 13,3) ha un valore sacrificale: ogni volta (1 Cor 11,26) rende presente-efficace-attuale oggi per noi il sacrificio compiuto e offerto da Cristo una volta per sempre sulla croce (Eb 7,27; 10,10.12.14), e ne anticipa il compimento futuro (cf LG 3; SC 47). Questo memoriale non è pura rievocazione o semplice ricordo. Per l'azione potente dello Spirito, in esso il dono della salvezza si fa evento presente e attuale. L'unico sacrificio della croce, posto "una volta per sempre" al vertice della storia umana, si fa presente "ogni volta" (1 Cor 11,26) quale evento della nostra salvezza in mezzo ad un popolo di salvati, negli umili segni del pane e del vino. Il "memoriale" ha dunque questa forza: attua oggi il passato e anticipa la pienezza futura. «Ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato”, viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione» (LG 3).

 

1.2. Le parole hanno un significato sacrificale: corpo dato, sangue versato (Lc 22,19-20; Mt 26,28; Gv 3,16). Il sacrificio della croce e il sacrificio eucaristico sono dunque un unico sacrificio: una sola e identica vittima che, offertasi allora sulla croce, è ora offerta dal sacerdote sull'altare; cambia solo il modo: cruento (=sangue) sulla croce, incruento (=nel sacramento) sull'altare [Trento, DS 1743].

L'Eucaristia è dunque un vero sacrificio perché rende presente il sacrificio della Croce, ne è il memoriale efficace, ne applica i frutti a tutti coloro che nella fede si uniscono alla sua offerta.

Le virtù-effetti salutari di questo sacrificio sono applicati: per la gloria di Dio, per il bene della Chiesa, per la salute dei vivi e dei defunti [cf Canone romano; DS 1743; Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistag V,9.10; LG 49-51).

 

2 Sacrificio della Chiesa. L'Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa; qui essa si costruisce e si rinnova incessantemente (IGMR 24), offre ed è offerta:

 

2.1. offre: per-con-in Cristo offre se stessa come ostia santa-vivente-gradita (Rom 12,1; LG 49); di questa offerta spirituale ognuno è il sacerdote insostituibile (LG 10): "(I fedeli) offrendo l'ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti" (SC 48); poiché si offre solo chi ama, il culto spirituale è essenzialmente la vita di carità, plasmata dal mistero eucaristico (cf Ef 5,2); offre la vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro; li unisce all'offerta totale di Cristo e all'offerta delle membra gloriose di Cristo che si trovano già nella gloria del cielo; offre tutte le cose create e tutta l'umanità, intercedendo per tutti gli uomini ("fatti voce di ogni creatura": IV Prece eucaristica); completa in sé ciò che manca alle sofferenze di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24; cf Fil 3,10-11; 1 Pt 1,6; 4,13);

 

2.2. è offerta: la Chiesa-Corpo partecipa all'offerta del sacrificio del Cristo-Capo: "Come il divin Redentore, morendo sulla croce, offrì all'eterno Padre se stesso quale capo di tutto il genere umano, così in questa oblazione (Malachia 1,11), quale capo della Chiesa non offre soltanto se stesso, ma in se stesso offre anche le sue mistiche membra, poiché egli nel cuore amatissimo tutte le racchiude, anche se deboli e inferme"[42]. Come Maria ai piedi della croce, la Chiesa è unita all'offerta e all'intercessione di Cristo. «In ciò che essa offre, essa stessa è offerta nella cosa che offre» (S.Agostino).

 

3 La presenza eucaristica. "L'Eucaristia è sacrificio perché rende presente la passione di Cristo; è ostia perché contiene Cristo stesso, la vittima salutare" (S. Tommaso). "E' lui il medesimo che si trova nel sacramento del pane e del vino anche se sono molte le assemblee nelle quali si riunisce la Chiesa. E' il medesimo che immolato ricrea, creduto vivifica, consacrato santifica i consacranti..."[43].

Cristo è presente in molti modi alla sua Chiesa: LG 48; SC 7. In un modo tutto speciale è presente sotto le specie eucaristiche: una vera presenza reale (non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per eccellenza: praesertim [Paolo VI, Mysterium fidei 39]), dovuta al modo speciale di questa presenza: sacramentale (non fisica), sostanziale (tutta la sostanza del pane diviene corpo di Cristo), reale (non apparente), permanente (rimane anche dopo la celebrazione), tutto e intero (corpo, sangue, anima, divinità; non separato o spezzato). Tale presenza reale avviene: per la conversione di tutta la sostanza del pane-vino in corpo-sangue del Signore Gesù Cristo (transustanziazione: DS 1642), mediante le parole della consacrazione e l'epiclesi-invocazione dello Spirito: "Sempre tutto ciò che lo Spirito tocca è trasformato"[44]. Cristo è tutto nel tutto e nelle parti; la frazione non lo divide; la comunione non lo consuma [cf Lauda Sion][45]. "La parola di Cristo che ha potuto fare dal nulla ciò che non esisteva, non potrebbe ora cambiare le cose esistenti in altre che non erano ancora? E' forse più facile dare alle cose la loro natura prima che cambiarla?" (s. Ambrogio, De myst.9,50-52)[46].

 

4 Il culto eucaristico. Se Cristo ha istituito questo sacramento come cibo, non per questo ne è sminuito il dovere di adorarlo: un culto di "latria" che è dovuto al vero Dio, al vero Emmanuele Dio-con-noi pieno di grazia e di verità [Euc. myst 3 f.]. Scopo primario e originario della conservazione dell'Eucaristia è l'amministrazione del Viatico [CIC 921.922]; scopi secondari sono: la distribuzione della comunione fuori della Messa [per giusta causa: CIC 918] e l'adorazione del SS. Sacramento [Euc. myst. 49]. Il culto ha origine dalla celebrazione e conduce alla celebrazione eucaristica [non può prescindere da essa]. Vedere CIC 934-944. "La visita al Santissimo Sacramento è una prova di gratitudine, un segno d'amore e un dovere d'adorazione verso Cristo, nostro Signore" (Paolo VI, Mysterium fidei).

 

5 Sacrificio della lode. Questo mirabile sacramento della nostra salvezza compiuta da Cristo sulla Croce, è anche un sacrificio di lode e una azione di grazie che la Chiesa, fatta voce di ogni creatura, canta al Padre, per Cristo, nello Spirito. Nell'azione di grazie per l'opera pasquale della redenzione, si unisce anche la lode e la benedizione in riconoscenza per la creazione e la santificazione che Dio ha compiuto, compie, compirà per il suo popolo.

 

 

Banchetto pasquale.

 

«O sacro convito in cui Cristo è nostro cibo.. l’anima nostra è ricolma di grazia»; «Ogni volta che mangiamo questo pane e beviamo questo calice…».

La comunione con la Carne di Cristo morto e risorto, "vivificata dallo Spirito Santo e vivificante" (PO 5), conserva, accresce e rinnova la vita di grazia ricevuta nel Battesimo.

La celebrazione del sacrificio è orientata alla comunione: accresce la nostra unione con Cristo, ci separa dal peccato, fa l'unità del corpo mistico di Cristo, ci spinge in missione. In rapporto alla Chiesa-comunione, l'Eucaristia:

 

a. Accresce la nostra unione a Cristo.

* rende partecipi della comunione con Cristo e in lui alla comunione trinitaria (LG 7)[47];

* ci fa partecipare ai frutti del sacrificio pasquale;

* anticipa il banchetto escatologico (Eucar. myst 3a).

* ci fa partecipare al banchetto dell'alleanza nuova nel suo sangue (Lc 22,19);

 

b. Fa l'unità del corpo mistico di Cristo.

* rinnova, fortifica, approfondisce l'incorporazione alla Chiesa già realizzata dal Battesimo;

* costruisce la Chiesa e la costruisce come autentica comunità del popolo di Dio, come assemblea dei fedeli, contrassegnata dallo stesso carattere di unità, di cui furono partecipi gli Apostoli e i primi discepoli del Signore;

* esprime e produce l'unità del popolo di Dio (1 Cor 10,16-17; LG 11)[48]; ogni Eucaristia deve essere aperta alla Chiesa universale, è celebrata per tutta la Chiesa ed ha presente misticamente tutta la Chiesa; non tollera preferenze di persone, individualismi, chiusure di gruppo (SC 26-27.32)[49];

* esprime e realizza la fraternità e la riconciliazione; il pane non deve essere solo mangiato, deve essere anche condiviso; è il sacramento della carità e della pace (cf 1 Cor 11,17-34)[50].

* esprime la gioia pasquale della vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte, su ogni schiavitù (il riposo dal lavoro come segno di liberazione);

* è icona e pegno del Regno futuro (Gv 6,51), viatico per l'ultimo viaggio, pregustazione del convito celeste, comunione con la santa Trinità.

 

Sull'altare Cristo rende presente il suo sacrificio perché sia nutrimento spirituale per i fedeli (Myst. fidei: 34). Il segno dell'altare diventa così: luogo del sacrificio e dell'offerta della vittima, luogo del banchetto e mensa del Signore. Rappresenta il suo corpo e sorregge il suo Corpo (s. Ambrogio: De Sacr. IV./7).

Da qui la necessità della Comunione: se non mangiate-bevete...non avrete in voi la vita (Gv 6,53).

Tuttavia a certe condizioni: riceverla degnamente (1 Cor 11,27-29), in grazia di Dio (prima la Riconciliazione per i peccati gravi: CIC 916), in comunione con la Chiesa; con umiltà (Mt 8,8); il digiuno (CIC 919); almeno una volta l'anno (CIC 920), meglio ad ogni Messa (SC 55; OE 15); sotto le due specie: per maggiore verità del segno (IGMR 240).

Quando la partecipazione al banchetto sacrificale è fatta come risposta all'amore grande con cui il Signore ci ha amati, allora produce questi frutti:

* accresce la nostra comunione con Cristo (Gv 6,56.57; Gal 2,20; PO 5);

* ci separa dal peccato: è il corpo dato e il sangue versato che purifica [i peccati veniali] e preserva dai peccati ["io che pecco ogni giorno, devo avere ogni giorno un rimedio": s. Ambrogio; l'Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali: questo spetta alla Penitenza][51];

* fa l'unità del Corpo mistico: unendoci a sé, Cristo ci unisce con tutte le sue membra, la Chiesa; l'Eucaristia fa la Chiesa;

* rinnova, fortifica, approfondisce l'unione battesimale con Cristo e con la Chiesa (1 Cor 12,13 e 1 Cor 10,16-17); "noi siamo ciò che riceviamo" (s. Agostino);

* spinge verso la missione (PO 5);

* è vincolo di carità (cf Mt 25,40;), sacramento di pietà, segno di unità (SC 47).[52]

 

 

Pegno Della Gloria Futura

L'Eucaristia, in quanto memoriale della Pasqua del Signore, ha un effetto anche "futuro": è pegno-anticipazione della risurrezione (Gv 6,51-58), della gloria celeste. Lo ha detto lo stesso Gesù nell'Ultima Cena (Mt 26,29; Lc 22,18; Mc 14,25); è preghiera costante della Chiesa «nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo» (cf Ap 1,4; 22,20; 1 Cor 16,22); è insita nell'economia sacramentale, destinata ad essere superata con l'avvento del nostro Salvatore Gesù Cristo (cf Tt 2,13); ora incontriamo Cristo "nei suoi misteri"; allora lo vedremo faccia a faccia, così come egli è (1 Cor 13,12; 1 Gv 3,2); è il cibo della Chiesa pellegrina (LG 8) verso cieli nuovi e terra nuova (2 Pt 3,13); è il pegno-antidoto d'immortalità e di risurrezione (Gv 6,40.44.50-51) nel dono dello Spirito effuso nei nostri cuori (Ef 1,13-14; 2 Cor 1,22; 5,5, Rom 5,5; 8,11); ci associa alla liturgia celeste (LG 50; SC 8); è inizio della restaurazione cosmica (LG 48; GS 38); è il "già" confidato dal Signore ed insieme è caparra del "non ancora" della sua promessa.

Nell'ottica della gloria futura si può vedere l'Eucaristia anche nella sua dimensione trinitaria. L'istituzione di questo sacramento da parte di Cristo e il dono dello Spirito, hanno come scopo di farci partecipi dell'amore-comunione della santa Trinità. Il mistero trinitario è presente nella celebrazione eucaristica: al Padre è rivolto il rendimento di grazie; il Figlio attua il suo sacrificio di redenzione; lo Spirito santifica i doni e fa la comunione tra le membra che si nutrono di questo sacramento di unità.

 

La celebrazione dell'eucaristia.

La celebrazione dell'Eucaristia, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa universale, per quella locale e per i singoli fedeli. Qui si ha il culmine sia dell'azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio (IGMR 1).

La celebrazione eucaristica è costituita da due parti, la liturgia della Parola  e la Liturgia eucaristica; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa infatti viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono inoltre alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.

 

1. Riti di introduzione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia.

Sotto la presidenza del vescovo o del presbitero, che agiscono nella persona del Cristo Capo, tutta l'assemblea confessa i propri peccati, invoca la misericordia di Dio, glorifica e supplica Dio Padre e l'Agnello, santificata dallo Spirito Santo.

 

2. Liturgia della Parola. Nelle letture Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli. L'omelia spiega questa parola ed esorta ad accoglierla e a metterla in pratica. Segue la Preghiera universale o dei fedeli quale intercessione per tutta la Chiesa e per il mondo intero (cf 1 Tm 2.1-2).

 

3. Liturgia eucaristica. Il celebrante compie ciò che il Signore stesso fece quando nell'ultima cena istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce. Questo convito sacrificale Gesù lo affidò ai suoi discepoli perché lo facessero in memoria di lui sino alla sua venuta.

Tutta la celebrazione della liturgia eucaristica è disposta secondo le parole e i gesti indicati da Gesù:

* si preparano le offerte, pane e vino, che diventeranno il Corpo e il sangue di Cristo;

* si rivolge al Padre, per Cristo, nello Spirito, la preghiera di azione di grazie e di santificazione mediante la quale si magnificano le grandi opere di Dio e si offre il sacrificio; gli elementi principali di cui si compone la Preghiera eucaristica sono: l'azione di grazie con cui si glorifica Dio Padre e lo si ringrazia per tutta l'opera della salvezza; l'acclamazione al tre volte Santo, in unione alle creature celesti; l'epiclesi per invocare la potenza dello Spirito Santo affinché i doni diventino il Corpo e il Sangue di Cristo e coloro che mangiano di questi doni diventino a loro volta un solo corpo e un solo spirito; il racconto dell'istituzione, cioè le parole e i gesti compiuti da Cristo nell'ultima Cena e che permettono ora di rendere attuale-efficace il suo stesso sacrificio pasquale; l'anamnesi o memoriale della passione, morte, risurrezione, glorificazione di Cristo; l'offerta al Padre, nello Spirito, della vittima immacolata e, per mezzo di Cristo, anche l'offerta di tutti noi perché finalmente Dio sia tutto in tutti; le intercessioni: in esse si esprime che l'Eucaristia viene celebrata in comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l'offerta è fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti; la dossologia finale esprime la glorificazione del Padre, per-con-in Cristo, nello Spirito Santo.

 

4. Riti di comunione. Dispongono i fedeli a partecipare al convito pasquale. Con il Padre nostro si chiede non solo il pane quotidiano, ma anche la purificazione dei peccati, così che realmente «i santi doni vengano dati ai santi». Il rito della pace è implorazione di pace e unità per la Chiesa e per l'intera famiglia umana ed espressione di quell'amore vicendevole che deve unire coloro che partecipano all'unico pane. Il gesto della frazione del pane significa che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane di vita, che è Cristo (1 Cor 10,17). Nella comunione si riceve il pane del cielo, il calice della salvezza, il Corpo e il Sangue di Cristo che si è dato per la vita del mondo (Gv 6,51).

 

5. Riti di conclusione. Con l'orazione finale e la benedizione sul popolo si conclude la celebrazione eucaristica; ognuno ritorna alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore, con l'impegno a tradurre nella vita quanto si è ricevuto nel Mistero (SC 10).

 

Dal momento che ogni celebrazione liturgica è opera di Cristo sacerdote e del suo corpo (SC 7), anche l'assemblea eucaristica deve essere ordinata in modo tale che i ministri e i fedeli vi partecipino ciascuno secondo il proprio ordine e grado. Ciascuno dovrà fare tutto e soltanto ciò che gli compete (SC 28).

 

Il ministro è colui che agisce nella persona di Cristo Capo, unico liturgo della nuova alleanza; è il dispensatore dei Misteri di Dio; rende presente e applica il sacrificio di Cristo, guida la preghiera dei fedeli, annunzia il messaggio della salvezza. Deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo (IGMR 60).

 

Vi sono poi altri ministeri come quello del diacono, del lettore, dell'accolito, del salmista, del commentatore.

 

I fedeli formano la gente santa e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, offrire la vittima immacolata impegnandosi ad offrire se stessi. Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal sangue di Cristo, riunito dal Signore, nutrito con la sua parola; popolo la cui vocazione è di far salire verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; un popolo che, in Cristo, rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio; popolo infine che per mezzo della comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza la sua unità. Questo popolo è già santo per la origine; ma in forza della sua partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico, progredisce continuamente in santità.

 

Per avere un'assemblea celebrante si dovranno istruire i singoli fedeli circa i loro ruoli specifici nella celebrazione:

* dovranno evitare ogni forma di individualismo e di divisione per formare un solo corpo, sia nell'ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune partecipazione alla mensa del Signore;

* non rifiutino di servire con gioia l'assemblea del popolo di Dio, ogni volta che sono pregati di prestare qualche servizio particolare nella celebrazione;

* manifestino il loro «essere Chiesa» con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli;

* evitino ogni ritardo alla celebrazione sapendo che liturgia della Parola e liturgia eucaristica formano un unico atto di culto (SC 56).

Così, attraverso una perfetta partecipazione alle sacre celebrazioni, anche i fedeli attingeranno abbondantemente la vita divina, e, divenuti lievito di Cristo e sale della terra, la proclameranno e trasfonderanno anche negli altri.

 

Per una partecipazione piena, attiva, consapevole, fruttuosa, si richiede che tutti i partecipanti alla celebrazione eucaristica si comportino con armonia quanto ai gesti e agli atteggiamenti del corpo: è il segno dell'unità della comunità celebrante oltre ad esprimere e favorire  l'intenzione e i sentimenti dell'animo dei partecipanti.

 

Particolare attenzione va data al canto in quanto è segno della gioia ed è proprio di chi ama; già dall'antichità si formò il detto: «Chi canta bene, prega due volte». A suo tempo si deve osservare anche il silenzio, come parte della celebrazione; permette di inserirsi più intimamente nel Mistero che si celebra, aiuta il raccoglimento, permette di meditare ciò che si è ascoltato, favorisce la preghiera di lode e di ringraziamento.

 

I Segni Del Pane E Del Vino

Il "corpo dato" e il "sangue versato" sono consegnati da Cristo alla Chiesa negli umili segni del pane e del vino. Infatti "è nello stile di Dio la sproporzione tra i mezzi umilissimi che usa e le cose grandiose che fa" (Tertulliano; cf 1 Cor 1,21.25).

Le parole di Cristo e l'invocazione dello Spirito Santo (= epiclesi) fanno del pane-vino il Corpo-Sangue di Cristo. Già significano la bontà della creazione (Sal 103, 13-15) e il dono del Creatore (=dalla tua bontà abbiamo ricevuto...; Sal 78,24); sono i segni dell'offerta (Gn 14,18: Melchisedech); sono segni di riconoscenza al Creatore (Dt 26); sono segno del pane-Parola di Dio (Dt 8,3; Mt 4,4); segni della fedeltà-benedizione a Dio e alle sue promesse (1 Cor 10,16).

 

a. il pane è segno del corpo-spezzato per il dono della vita (i "pani del sacrificio": Lev 24,7-9; 1 Cor 10,16-17; 11,24; Gv 6,51), il segno dell'unità dalla dispersione (cf Didaché 9; SC 47; Gv 17,21; 1 Cor 10,16-17), il segno dell'edificazione della Chiesa (Redemptor Hominis 20; Dominicae Cenae 4)); il segno della comunione (Gv 6,56.57; 1 Cor 10,16.17); il segno della novità-liberazione (Es 12,8.11.34.39; 1 Cor 5,7; 2 Cor 5,17); il cibo del pellegrino (Es 16,4-8; 1 Re 19,1-8; Apoc 2,17; Gv 6,33.54.57.58; [Lauda Sion: "factus cibus viatorum"]; CIC 924-927); simbolo della fame e della sete di giustizia (Gv 6,35); della volontà del Padre che sta nei cieli (Gv 4,42-34); disgraziatamente è stato anche segno di tradimento (Mc 14,18-20):

 

b. Il vino è segno del sangue-versato in sacrificio per il perdono dei peccati (Mt 26,28; Gv 1,29; 1 Pt 1,19); segno del "vino nuovo" (Mc 2,22; Gv 2,10) che prepara il banchetto escatologico dei tempi messianici (Mt 26,29; Is 25,6-10; 55,1-3); segno di amicizia (Sir 9,10; Cant 1,4; 4,10); segno della gioia messianica (Sir 10,19; Prov 9,2; Gv 2,10; 4,23; 5,25); è soprattutto il segno che richiama il sacrificio di Cristo, fonte di salvezza e di gioia eterna (1 Cor 11,25).

Pur utilizzando i segni di un pasto, l'Eucaristia non è un semplice pasto; fin dalle origini si è distinta dal pasto fraterno [agape: 1 Cor 11,17-34]. Il suo profondo significato gli viene da Cristo stesso che ha fatto di questo banchetto il sacramento della sua offerta-sacrificio per donarci la vita.

L'Eucaristia in quanto banchetto di comunione fraterna (GS 38) esige accoglienza (Rm 15,7), ospitalità (Rm 12,13).

 

I luoghi e le cose.

Una degna e conveniente disposizione dei luoghi e delle cose necessarie per la celebrazione non solo sarà espressione di fede nella presenza del Signore in mezzo al suo popolo, ma favorirà la stessa partecipazione dei fedeli perché sia attiva, piena e consapevole.

Il luogo deve essere disposto in modo da permettere la retta esecuzione dell'ufficio di ciascuno e la possibilità di comunicazione tra i vari membri dell'assemblea.

Le cose necessarie alla celebrazione devono permettere un'azione veramente degna, partecipata, funzionale; siano di una bellezza autentica e segno di realtà spirituali. In quanto «segni» dovranno essere di nobile semplicità, veri, rispettosi delle esigenze dell'arte, capaci di dare decoro all'azione sacra. Si dovrà pertanto evitare ogni forma di finzione, di sciatteria, di simulazione.

 

Eucaristia e missione.

Dopo  averlo riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,31) ed essere entrati pienamente in comunione con Lui nell'ascolto della sua parola e nella partecipazione al suo pane-corpo, i discepoli di Emmaus vanno per l'annunzio e la testimonianza. Chi ha incontrato e riconosciuto il Risorto nell'Eucaristia dovrà diventare anche lui, come il Signore Gesù, compagno di viaggio di altri fratelli per incoraggiarli nel cammino della vita con la luce del Risorto. D'ora in poi l'annunzio della Pasqua passa attraverso il gesto eucaristico. Nell'Eucaristia la Chiesa affonda le sue radici apostoliche; la Messa diventa Missio verso l'impegno dell'annuncio-attuazione della salvezza universale avendo Cristo effuso il suo sangue «per tutti» in remissione dei peccati (Mt 26,28). Dall'eucaristia pasquale si traggono energie per esser pronti a dare ragione della propria speranza (1 Pt 3,15) e la Chiesa va alle genti quale sacramento universale di salvezza (cf LG 48). L'Eucaristia immette nella carità di Cristo che ha dato se stesso per noi fino al sacrificio di sé; dall'Eucaristia si impara ad essere missionari nel segno della carità, della giustizia, della pace perché non è possibile spezzare l'unico pane senza vivere poi la comune carità. L'Eucaristia ha una profonda carica missionaria anche perché spinge a desiderare e affrettare il giorno nel quale i discepoli di Cristo già uniti nel vincolo dell'unica fede possano godere la gioiosa condivisione di un banchetto eucaristico nel quale ogni contrasto sarà eliminato (cf NA 5); quando saranno occupati quei posti che ora sono vuoti. La tensione missionaria dell'Eucaristia spinge anche ad essere sale e luce per i non credenti, gli indifferenti e i lontani, per annunciare loro che Dio non è assente dal mondo e per essi continua a donare il Figlio suo. Una Eucaristia missionaria nel senso indicato da Romani 12,11-13.

L'Eucaristia è dunque fonte della missione (Atti 20,7-12) ed è il luogo dove lo Spirito sceglie i missionari del Vangelo (Atti 13,2); per questo essa si presenta come "fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione" (PO 5) e spinge all'azione missionaria (PO 6).

 

Le Assemblee Con I Fanciulli

Una preoccupazione costante per genitori ed educatori è quella di tener buoni e attenti i fanciulli durante la Messa. Questo problema è stato affrontato e trattato anche in un documento della Congregazione per il Culto divino: Direttorio per le Messe con la partecipazione dei fanciulli (1.11.1973).

 

Gli orientamenti di base di questo Direttorio sono:

1. La Chiesa che battezza i bambini nutre poi verso di loro un interessamento tutto particolare. In questa azione educativa però essa incontra particolari difficoltà: le attuali condizioni di vita in cui i fanciulli crescono; i genitori poco fedeli all'impegno di educare cristianamente i figli; la difficoltà che i fanciulli incontrano nel comprendere parole e gesti delle azioni liturgiche.

 

2. Alle difficoltà ambientali si aggiungono problemi di carattere psicologico: rimane il pericolo di un danno spirituale per quei fanciulli che per anni sono costretti a fare ripetute esperienze di azioni che ben difficilmente riescono a capire a ad amare; potrebbe derivarne un rigetto al momento di passare all'età superiore.

 

3. D'altra parte esiste anche una necessità irrinunciabile: è impensabile una vita davvero e autenticamente cristiana senza la partecipazione del battezzato, anche se ancora fanciullo, al mistero pasquale.

 

4. Pertanto ecco una prima conclusione: partendo dalla essenziale necessità di far partecipare anche i fanciulli al mistero pasquale e alla comunione di vita con Cristo e con i fratelli, la via più sicura da seguire sembra essere duplice; da una parte si farà una impegnata opera di educazione verso i fanciulli, dall'altra si dovrà adattare, là dove è possibile, la celebrazione liturgica alle capacità recettive della loro età.

 

5. Con i fanciulli verso l'Eucaristia.

In questo cammino non si può separare l'educazione liturgica dei fanciulli dall'insieme della loro educazione generale. Educazione cristiana ed educazione umana, vanno di pari passo. Pertanto, secondo l' età, si faccia fare ai fanciulli l'esperienza concreta di quei valori umani che si ritrovano poi anche nella celebrazione eucaristica: ascoltare, ringraziare, perdonare, essere amici, fare festa...

Il luogo primario di questa educazione resta sempre la famiglia cristiana. Spetta ai genitori, in primo luogo, insegnare gradualmente ai figli a pregare, pregando essi stessi ogni giorno con loro.

Quest'opera educativa, che vede impegnate tutte le componenti della comunità ecclesiale, ha delle tracce ben precise da seguire: la celebrazione nella sua completezza sarà una tappa finale cui tendere per gradi successivi, dopo aver introdotto i fanciulli alla comprensione-partecipazione di unità più piccole (l'atto penitenziale, la liturgia della parola, l'azione di grazie, l'offerta...); solo dopo la percezione di queste unità particolari è possibile ricostruire e vivere l'insieme della celebrazione.

 

a. Adulti e fanciulli insieme.

In linea di principio non dovrebbero esistere delle Messe «per i fanciulli» dal momento che esiste un'unica celebrazione eucaristica domenicale e festiva a cui partecipa tutta la comunità parrocchiale composta di adulti e fanciulli insieme.

La Messa domenicale cui partecipa tutta la comunità resta il punto di arrivo di ogni educazione cristiana dei fanciulli. Queste celebrazioni devono però tener conto di alcune condizioni:

* per quanto è possibile si dovrebbero evitare concentrazioni di fanciulli, ma invitare i genitori a partecipare alla Messa prendendosi cura dei propri figli;

* per i più piccoli si consiglia che siano eventualmente custoditi da ausiliarie della parrocchia in un luogo adatto e separato, riconducendoli ai loro genitori per la benedizione finale;

* per gli altri fanciulli che rimangono alla Messa insieme agli adulti si porrà ogni attenzione affinché non si sentano trascurati; si terrà conto della loro presenza nella monizione iniziale, nell'omelia, nel riservare a loro quei servizi che possono svolgere; è anche previsto che si possa svolgere la liturgia della Parola per i soli fanciulli in un luogo a parte e condurli poi presso gli adulti al momento dei riti di offerta.

 

b. Fanciulli e adulti insieme.

In questo caso le parti si invertono: la prevalenza dell'assemblea è costituita da fanciulli con la presenza di alcuni adulti. E' opportuno ripetere: queste celebrazioni «per soli fanciulli» hanno carattere transitorio dovendo esse tendere necessariamente alla Messa dell'intera comunità parrocchiale con adulti e fanciulli insieme.

Queste celebrazioni eucaristiche, costituite in prevalenza da fanciulli, necessitano di alcune attenzioni:

* non si devono introdurre riti completamente nuovi, che troppo differiscono dal rito della Messa comune;

* scegliere un giorno infrasettimanale per permettere ai sacerdoti di assistere i fanciulli con tutta libertà;

* si potranno valorizzare uffici e servizi particolari che permettano ai fanciulli una partecipazione attiva e consapevole (non quindi solo per farli stare buoni o occupati): disporre l'ambiente, suonare alcuni strumenti musicali, cantare, proclamare le letture, pronunciare le intenzioni della preghiera dei fedeli, portare i doni all'altare...

* prima di affidare loro dei compiti, è necessario spiegargliene il significato (i segni del pane, del vino, del libro, dell'altare...);

* il sacerdote deve dare alla celebrazione un tono festivo, fraterno, raccolto; deve badare non solo alla semplicità dei gesti e dei segni, ma anche alla loro dignità: essere semplici senza diventare banali e puerili;

* gli adulti presenti non sono dei sorveglianti, ma compagni di preghiera che partecipano con i fanciulli alla Messa e prestano ad essi il loro esempio e il loro aiuto.

 

c. Dove, quando, come.

Anche il luogo, il tempo, il modo di queste celebrazioni hanno una loro importanza.

* dove?: il luogo primario è la chiesa; tuttavia si può scegliere anche un altro ambiente purché degno della celebrazione di un così grande mistero;

* quando?: è preferibile un giorno infrasettimanale e non a ritmo quotidiano; tutto deve richiamare il polo di attrazione che resta la Messa domenicale di tutta la comunità;

* come?: con grande dignità, come si conviene all'azione che è il culmine e la fonte di tutta la vita della Chiesa

 

d. La celebrazione.

Accurata e tempestiva deve essere la preparazione di ogni celebrazione: prima di tutto le persone, poi le azioni da compiere.

Tra le azioni si deve ricordare:

* preparare i fanciulli ad uno svolgimento ordinato dei movimenti, come la processione di ingresso, la processione con il libro della Parola, i riti di offerta; dovranno percepirne il significato fondamentale, oltre al segno della festa;

* curare gli atteggiamenti del corpo: stare seduti, stare in piedi, battere le mani...

* valorizzare gli elementi visivi: i segni offerti dalla liturgia (i colori delle vesti liturgiche), cartelloni preparati dai ragazzi con scritte o immagine riferite al Vangelo o al tempo liturgico; deve essere invece evitato l'uso di videoregistrazioni o proiezioni di diapositive durante la celebrazione (a motivo della «verità» del segno, oltre alla difficoltà per i fanciulli di percepire la differenza tra la finzione televisiva e la realtà della celebrazione);

* utilizzare tutti gli strumenti musicali che possono essere suonati dai fanciulli; scegliere canti adeguati;

* si prenda in considerazione la possibilità di introdurre anche momenti di danza: per l'ingresso, per la processione delle offerte, per richiamare un'idea centrale dopo l'omelia o al termine della celebrazione;

* non si trascuri il silenzio: anche i fanciulli vanno guidati a momenti di riflessione e di interiorizzazione, altrimenti tutto rischia di diventare un gioco con la perdita del senso del mistero e del trascendente.

 

e. Gli adattamenti

All'interno delle varie parti della celebrazione si possono fare alcuni adattamenti, senza tuttavia dare l'impressione che questa sia una Messa del tutto «diversa» da quella della comunità parrocchiale.

 

* L'inizio della celebrazione: non è necessario utilizzare sempre tutti gli elementi previsti; sarà utile dare maggiore ampiezza ora all'uno, ora all'altro (riti di ingresso, accoglienza, atto penitenziale) e concludere poi con la colletta;

* Ascolto della Parola: si preferisca il criterio della  «qualità» su quello della quantità; letture brevi, eventualmente, ma mai parafrasate; se il testo lo richiede si può fare una lettura a più voci (come nella lettura della Passione);

* Le orazioni presidenziali: va rispettata la Preghiera eucaristica, utilizzando le 3 appositamente composte per la Messa con i fanciulli; le altre orazioni possono subire qualche adattamento rispettandone però la sostanza e il fine; non vanno invece mutati i dialoghi e le parti corali per non creare poi disagio quando i fanciulli partecipano alle Messe con gli adulti.

 

Tutte queste riflessioni vanno lette e utilizzate con uno scopo ben preciso: non la ricerca della novità, ma unicamente il desiderio che i fanciulli, mediante una attiva e consapevole celebrazione dell'Eucaristia, possano con gioia andare incontro a Cristo, e con lui stare alla presenza del Padre.

 

Per un approfondimento:

 

PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei sulla dottrina e sul culto della ss. Eucaristia [3.09.1965]: AAS 57 (1965) 753-774; EV 2, 406-443.

SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium sul culto del mistero eucaristico [25.03.1967]: AAS 59 (1967) 539-573; Notitiae 3 (1967) 225-260; EV 2. 1293-1361 [si citerà EM].

SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istituzione Generale del Messale Romano (=IGMR) [26.03.1970]: EV 3. 2017-2414.

SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, La sacra comunione e il culto del mistero eucaristico fuori della Messa [21.06.1973]: AAS 65 (1973) 610; EV 4. 2509-2510.

GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicae cenae [24.02.1980]: AAS 72 (1980) 113-148; Notitiae 16 (1980) 125-154; EV 7. 151-231;

CEI, Eucaristia, comunione e comunità. Documento pastorale dell'Episcopato italiano [22.5.1983].

 


IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA RICONCILIAZIONE

 

La riconciliazione fra Dio e gli uomini fu compiuta dal Signore Gesù con il mistero della sua morte e risurrezione (cf Rm 5,10). Egli stesso affidò poi il ministero della riconciliazione alla Chiesa nella persona degli Apostoli (cf 2 Cor 5,18); e la Chiesa lo esercita recando agli uomini il lieto annunzio della salvezza, e battezzandoli nell'acqua e nello Spirito Santo (cf Mt 28,19).

Può avvenire infatti che per l'umana debolezza i cristiani abbandonino la carità iniziale (cf Ap 2,4) e infrangano con il peccato l'amicizia che li unisce a Dio.

Ecco perché nella economia sacramentale, oltre ai tre sacramenti della iniziazione cristiana (Battesimo, Confermazione, Eucaristia), il Signore, "medico di carne e di spirito",[53] ha previsto anche due sacramenti medicinali: uno per la salute dell'anima (la Penitenza), l'altro per la salute del corpo (unzione dei malati).

Colui che aveva rimesso i peccati al paralitico donandogli anche la salute del corpo (cf Mc 2,1-12), facendosi medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ha voluto continuare, mediante la Chiesa, la sua opera di guarigione e di salvezza nel dono pasquale dello Spirito Santo.

Proprio per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo, il Signore ha istituito un sacramento particolare, quello della Penitenza (cf Gv 20,21-23), che la Chiesa nel corso dei secoli ha fedelmente annunciato e celebrato. Il mistero della riconciliazione fa dunque parte sia della storia della salvezza, sia della storia della Chiesa.

 

La riconciliazione nella storia della salvezza.

Dio chiama gli uomini ad entrare in comunione con lui. La risposta alla chiamata di Dio esige conversione e penitenza.

Il disegno del Padre. Il Padre ha manifestato la sua misericordia riconciliando a sé il mondo per mezzo di Cristo, ristabilendo le pace, con il sangue della sua croce, tra le cose della terra e quelle del cielo (cf 2 Cor 5,18). Questo Dio che si è rivelato a noi fino a mandarci nella pienezza dei tempi il suo Figlio, è un Dio immensamente esigente e immensamente misericordioso.

E' un Dio esigente,perché avendoci assegnata una mèta sopra ogni umana previsione e immaginazione, non si contenta mai dello stato di santità dei suoi figli, chiede sempre di più, incalza e inquieta le loro pigrizie, invitandoli ad elevare la vita in orbite nuove e sempre più alte.

Ma insieme è un Dio la cui misericordia "è più grande del nostro cuore" (! Gv 3,20): ci prende come siamo, sopporta pazientemente le nostre riottosità, debolezze e lentezze, e dove trova colpa, anche la più grave e ingrata, riesce sempre a sovrastarla con l'amore e a trascenderla con il perdono. Perciò anche le sconfitte e gli avvilimenti di chi è già "rinato dall'acqua e dallo Spirito" (Gv 3,5) e dovrebbe ormai vivere definitivamente la vita nuova, non colgono di sorpresa la clemenza del Padre, che proprio col sacramento della penitenza consente sempre di ricominciare da capo e di recuperare ogni volta la fresca innocenza del Battesimo.

 

Il messaggio dei profeti.

L'invito alla penitenza è anche insistente richiamo presso i profeti. Con il termine ebraico sûb essi indicano l'esigenza di cambiare strada, di ritornare, di invertire il cammino; volgere le spalle a ciò che è male, ri-orientarsi verso Dio. La bibbia greca, per esprimere la globalità della penitenza-conversione quale atto di tutto l'uomo (pensiero e azione), fece uso di più parole: con metànoia espresse il pentimento interiore, con epistrèphein espresse il mutamento della condotta pratica.

Se nelle epoche antiche il perdono divino è impetrato mediante digiuni, elemosine, suppliche e riti espiatori (cf Num 16,6-15), con l'annuncio dei profeti si insiste piuttosto sulla conversione del cuore. Osea, ad esempio, stigmatizzerà le conversioni superficiali, invitando alla conversione interiore ispirata dall'amore (hesed) e dalla conoscenza di Dio (Osea 6,1-6). Il culto da solo non conta nulla, dice Isaia (Is 1,11-15), senza una sottomissione a Dio nella pratica della giustizia. della pietà, della sincerità (cf Sofonia 3,12s).

Nonostante l'efficacia del sacrificio di un cuore contrito (Sal 51,18: il Miserere di Davide), la conversione del cuore ed il perdono saranno soprattutto una grazia liberamente offerta da Dio al popolo della nuova alleanza, quando egli "scriverà la sua legge nei cuori" (Ger 31,33).

 

Gesù, il volto misericordioso del Padre.

L'opera misericordiosa del Padre si concretizza nel mistero pasquale del Figlio. Il Signore Gesù, il Figlio di Dio, fatto uomo, è vissuto tra gli uomini per liberarli dalla schiavitù del peccato (Gv 8,34-36), e chiamarli dalle tenebre alla sua luce ammirabile (1 Pr 2,9). Per questo, ha cominciato la sua missione in terra predicando la penitenza e dicendo: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15).

Gesù non solo esortò gli uomini alla penitenza, perché abbandonassero il peccato, e di tutto cuore si convertissero a Dio (Lc 15), ma accolse anche i peccatori e li riconciliò con il Padre (Lc 5,20.27-32; 7,48). Guarì pure gli infermi, per dare un segno del suo potere di rimettere i peccati (Mt 9,2.8). E infine morì egli stesso per i nostri peccati, e risuscitò per la nostra giustificazione (Rm 4,25). Per questo, nella notte in cui fu tradito, egli diede inizio alla passione salvatrice, istituì il sacrificio della nuova alleanza nel suo sangue, per la remissione dei peccati (Mt 26,28), e dopo la sua risurrezione mandò sugli Apostoli lo Spirito Santo, perché avessero il potere di rimettere i peccati o di ritenerli (Gv 20,19-23), e ricevessero la missione di predicare nel suo nome, a tutte le nazioni, la penitenza e la remissione dei peccati (Lc 24,47).

 

Lo Spirito per la remissione dei peccati.

Nella formula di assoluzione si dice che il Signore Gesù "Ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati". Lo Spirito porta la novità dell'alleanza (2 Cor 3,6); alla legge del peccato e della carne fa succedere la legge dello Spirito e della giustizia (Rm 7,18.25; 8,2.4); egli ci trasforma da esseri carnali in "uomini spirituali" (1 Cor 3,1).

 

La Chiesa ministra di riconciliazione.

Fin dal giorno di Pentecoste la Chiesa, per bocca di Pietro, predicò il perdono dei peccati per mezzo del Battesimo: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" (At 2,38; cf At 3,19.26; 17,30). Allo stesso Pietro il Signore aveva detto: "Ti darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli" (Mt 16,19).

Fin dalla sua origine pasquale, pertanto, la Chiesa mai ha tralasciato di chiamare gli uomini dal peccato alla conversione, e di manifestare, con la celebrazione della penitenza, la vittoria di Cristo sul peccato [cf Rito della Penitenza n.1 = RdP].

 

La Chiesa è santa, ma bisognosa di purificazione. Cristo "ha amato la Chiesa, e ha dato se stesso per lei, per renderla santa" (Ef 5,25-26), e l'ha unita a sé come sua sposa (cf Ap 19,7); e poiché essa è il suo corpo e la sua pienezza, Cristo la riempie dei suoi doni divini (Ef 1,22-23) affinché essa sia protesa e pervenga a tutta la pienezza di Dio (Cf Ef 3,19; LG 7).

Le membra della Chiesa però sono esposte alla tentazione, e spesso cadono miseramente in peccato. E pertanto, mentre Cristo "santo, innocente, senza macchia" (Eb 7,26) non conobbe peccato (2 Cor 5,21) e venne a espiare i soli peccati del popolo (cf Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, che è santa, ma bisognosa sempre di purificazione, mai tralascia di far penitenza e di rinnovarsi (RdP 3).

E' vero che con il Battesimo siamo stati lavati, siamo stati santificati e siamo stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1 Cor 6,11); ma, come dice l'Apostolo Giovanni, "se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" (1 Gv 1,8). La vita divina è da noi portata in vasi di creta (2 Cor 4,7): significa che la rigenerazione battesimale non ha soppresso in noi la fragilità e la debolezza della natura umana, né l'inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza. Aiutati dalla grazia di Cristo dobbiamo fare il buon combattimento contro le forze del male e vivere in uno stato di conversione in vista della santità e della vita eterna alla quale il Signore ci chiama.


 

I luoghi del perdono.

La vittoria di Cristo sul peccato e il ministero di riconciliazione esercitato dalla Chiesa risplendono soprattutto in tre momenti sacramentali:

* nel Battesimo, quando il vecchio uomo viene crocifisso con Cristo perché sia distrutto il corpo del peccato e perché noi non siamo più schiavi del peccato ma, risorgendo con Cristo, viviamo ormai per Iddio (Cf Rm 6,4-10). Per questo la Chiesa professa la sua fede "in un solo Battesimo, per il perdono dei peccati";

* nella Eucaristia, in quanto sacrificio che rende presente la passione di Cristo, vengono nuovamente offerti dalla Chiesa a Dio, per la salvezza del mondo intero, il suo corpo dato per noi  e il suo sangue per noi sparso in remissione dei peccati (Mt 26,28). Nell'Eucaristia infatti Cristo è presente e viene offerto come "sacrificio di riconciliazione",[54] e perché il suo Santo Spirito "ci riunisca in un solo corpo".[55] Tuttavia, pur riconoscendo all'Eucaristia, per la sua natura pasquale e sacrificale, la grazia rinnovatrice del perdono, la tradizione costante della Chiesa ha indicato la Penitenza sacramentale quale via ordinaria per la remissione dei peccati; prima di presentare la propria offerta, infatti, occorre prima riconciliarsi con il fratello (Mt 5,23-24); "ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice" (1 Cor 11,28) per non essere reo del corpo e del sangue del Signore (v. 27);

* nella Penitenza, dal momento che il Signore ha istituito nella sua Chiesa questo sacramento, quando conferì ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere di rimettere i peccati (Gv 20,22-23), il potere delle chiavi per legare e sciogliere (Mt 16,19).[56] S. Ambrogio può commentare: "Acqua e lacrime non mancano alla Chiesa: l'acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza". Dopo la prima e fondamentale conversione ratificata nel Battesimo, il Signore ci fa partecipare ancora della sua Pasqua vittoriosa sul peccato ammettendoci alla penitenza sacramentale; per questo la Tradizione ha chiamato la Penitenza con il nome di "Baptismus laboriosus", in quanto si fa ritorno alla vita nuova e integra dei figli di Dio non senza lacrime e fatiche. Come il Battesimo è necessario per coloro che ancora non sono stati rigenerati alla vita divina, così lo è la Penitenza per coloro che questa vita indeboliscono o perdono a causa dei propri peccati personali.

 

Come chiamare questo sacramento?

* sacramento della conversione perché realizza sacramentalmente l'appello di Gesù alla conversione (Mc 1,15);

*  sacramento della Penitenza perché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione;

* sacramento della confessione perché l'accusa dei peccati dinanzi al ministro della Chiesa è un elemento essenziale di questo sacramento;

* sacramento del perdono perché mediante l'assoluzione Dio concede al penitente il perdono e la pace;

* sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore la piena riconciliazione con Dio (2 Cor 5,20: lasciatevi riconciliare con Dio), e con i fratelli (Mt 5,24: va a riconciliarti con il tuo fratello).

Tra questi nomi va privilegiato, come fa lo stesso Nuovo Catechismo, quello di Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione; la penitenza integra in sé gli elementi della conversione e della confessione, mentre la riconciliazione richiama il perdono e la piena restituzione alla vita della grazia.

 


 RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI

Sguardo storico

 

La Chiesa, costituita da Cristo quale sacramento universale di salvezza (LG 48), ha ricevuto dallo stesso Signore il dono di uno specifico sacramento che suggella e porta a compimento l'itinerario penitenziale del cristiano. Cristo infatti ha istituito il sacramento della Penitenza come mezzo ordinario per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo. Egli stesso, dopo la sua risurrezione, effondendo sugli Apostoli lo Spirito Santo, ha conferito ad essi e ai loro legittimi successori tale missione e facoltà (Gv 20,19-23), ossia il dono di far rivivere nello Spirito quanti a causa del peccato sono stati privati della vera vita.

Da allora mai la Chiesa ha tralasciato di chiamare gli uomini dal peccato alla conversione e di manifestare, con la celebrazione della penitenza, la vittoria di Cristo sul peccato.

L'esercizio di questa missione ha avuto, nella vita della Chiesa, varietà di forme pur obbedendo al preciso comando del Signore di rimettere i peccati o di ritenerli (Gv 20,19-23).

 

Nella Chiesa antica.

L'esistenza di un rito di Penitenza nella Chiesa è attestata fin dai primissimi scritti. La Didaché (verso gli anni 90-100), parlando dell'Eucaristia dice: "Ogno domenica radunatevi per celebrare l'Eucaristia, dopo aver confessato i vostri peccati". Nello stesso periodo, Clemente Romano (papa nel 92-101), scrivendo ai Corinti, ribellatisi contro l'autorità, dice espressamente: "Piegate le ginocchia del vostro cuore davanti ai presbiteri e accettate la correzione nella penitenza". Testimonianze analoghe in Ireneo, Tertulliano, Cipriano, Origene.

In questo periodo la Penitenza è sempre pubblica (anche se la confessione dei peccati al Vescovo si fa in privato); si entra nella categoria dei penitenti; si resta privi della comunione (la "scomunica" impedisce l'accesso alla comunione eucaristica e quindi priva della piena comunione con la stessa Comunità); si fa digiuno ed altre opere penitenziali; la penitenza si protrae generalmente per l'intera quaresima e si è riconciliati in una solenne liturgia penitenziale al mattino del giovedì santo.

 

Un periodo di severità.

Con il Pastore di Erma (140-155) prende forma questa disciplina: ogni peccato commesso dopo il Battesimo può essere perdonato ma, per evitare la facilità della ricaduta, di fatto, si può essere riconciliati una sola volta nella vita. Anche Tertulliano si colloca su questa linea. Ovviamente una tale rigidità è riservata solo per i peccati capitali (delitto degno di pena capitale, secondo la terminologia giuridica romana: adulterio, apostasia, omicidio). Generalmente si dava una possibilità di appello con una seconda penitenza in punto di morte.

Altri vescovi, come Cipriano, dopo un periodo di rigidità sentirono il bisogno di maggiore clemenza in un tempo di forte persecuzione: "Come posso pretendere che versino il loro sangue senza aver gustato il Sangue di Cristo?...Siccome l'Eucaristia si fa perché sia difesa a chi la riceve, è necessario che armiamo con il rifornimento del cibo del Signore coloro che vogliamo siano forti contro il nemico".

La prassi di una sola penitenza nella vita durò fino al VII secolo, ma fu di difficile applicazione; comportava infatti conseguenze gravose, come l'esclusione dai pubblici uffici, l'interdizione dei rapporti coniugali.

 

La confessione privata.

Tra le Chiese d'Oriente e quelle d'Occidente c'era stata, a partire dal III secolo, una differente concezione circa l'attuazione della disciplina sacramentale. La corrente occidentale, piuttosto giuridica, insiste sulla riconciliazione della Chiesa; quella orientale invece insiste sull'impegno penitenziale del peccatore e sulla formazione della coscienza: la penitenza ha come scopo la formazione della coscienza aiutando così il peccatore ad uscire dal male. Il monachesimo orientale praticava correntemente la disciplina dell'affidamento ad un padre spirituale che, con il suo consiglio e la sua guida, conduce il penitente alla confessione. Anche il monachesimo occidentale, con san Benedetto, recepisce la prassi dell'accusa dei peccati fatta ad un padre spirituale, a volte lo stesso Abate. Con l'invio dei monaci missionari nelle varie regioni d'Europa (basti pensare all'opera di san Patrizio in Irlanda), la formazione della coscienza attraverso la confessione ad un Padre spirituale diventa prassi ordinaria. Si passa così da una riconciliazione pubblica dove prevale l'aspetto giuridico-ecclesiale, fatto unico nella vita, ad una penitenza dove prevale l'aspetto misericordioso della lenta conversione quotidiana del cristiano; in questo caso, la reiterabilità e la privatezza dell'atto penitenziale portano il peccatore alla conversione e alla riconciliazione con la Chiesa senza dover attendere tutta una vita col rischio di allontanarsi definitivamente dalla fede. Non si creda tuttavia che questa penitenza privata sia stata poi tanto facile! La penitenza imposta era dura e gravosa; nel penitenziale di san Colombano si legge: "Se uno avrà rubato faccia penitenza per un anno; se uno avrà spergiurato, faccia penitenza per sette anni". Nascono anche dei "tariffari" per poter assegnare ad ogni peccato la relativa penitenza; da qui l'uso di una accusa dei peccati minuziosa e dettagliata. Nonostante il passaggio dalla penitenza pubblica a quella privata, resta invariato l'ordine dell'antica penitenza canonica: accusa dei peccati, penitenza, riconciliazione.

Anche la penitenza privata manifestò ben presto il suo lato debole. Verso i secoli XII-XIII l'espiazione della colpa perde sempre più il suo rigore (ridotta ad alcune preghiere) e l'attenzione si sposta sempre più a favore dell'accusa dei peccati (numero e specie). Oltre all'accusa-penitenza segreta si aggiunse anche una riconciliazione- assoluzione segreta ed immediata da parte del sacerdote: il penitente riceve subito l'assoluzione dopo la confessione dei peccati, senza attendere il compimento della penitenza. La confessione e l'assoluzione diventano atti preminenti a discapito della soddisfazione che diventa sempre più un atto formale limitato alla recita di alcune preghiere. Si perde anche il raporto penitente-comunità perché tutto si limita al dialogo penitente-confessore.

Il Concilio di Trento non apportò sostanziali mutamenti a questa disciplina penitenziale. Il Rituale del 1614 insiste molto sul ruolo del confessore quale medico e giudice: deve informarsi sullo stato del penitente, da quanto tempo non si è confessato, e deve anche rivolgergli una breve catechesi annunciandogli la Parola che suscita conversione e pentimento profondo; prescrive l'uso del confessionale e della grata, cioè la separazione tra penitente e confessore; la formula di assoluzione rimane all'indicativo: Io ti assolvo..., mentre leva la mano destra verso il penitente. Mentre scioglie i peccati in nome di Dio, il sacerdote è ministro di Cristo che intercede presso il Padre.

 

Il Vaticano II.

Il Concilio stabilì che "Si rivedano il rito e le formule della Penitenza, in modo che esprimano più chiaramente la natura e gli effetti del sacramento" (SC 72). In ossequio a questo mandato, e per facilitare nei fedeli la comprensione piena della natura e dell'efficacia di questo sacramento, la Sacra Congregazione per il Culto divino ha preparato il nuovo Rito della Penitenza, pubblicato nel 1973 da Paolo VI (in italiano nel 1974). Le principali novità del rito sono di ordine teologico e di ordine celebrativo (triplice maniera di celebrare questo sacramento).

La teologia che soggiace al nuovo Rito della penitenza si caratterizza per queste dimensioni:

* trinitaria. Il Padre accoglie il figlio pentito che fa ritorno a lui, Cristo si pone sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all'ovile, lo Spirito Santo santifica nuovamente il suo tempio o intensifica in esso la sua presenza (RdP 6d); Dio misericordioso, che per primo ci ha amati, riaccende in noi il suo amore e ci riporta pienamente a sé; il Figlio per noi dona se stesso; lo Spirito Santo viene effuso in abbondanza su di noi (RdP 5).

* pasquale. E' nella morte e risurrezione del Figlio e nell'effusione dello Spirito Santo che il Padre riconcilia a sé il mondo e concede il pedono e la pace (RdP 46); è per il mistero della morte e risurrezione del Signore Gesù che il peccatore viene liberato dai peccati, riceve la pace, può portare frutti di carità di giustizia e di verità (RdP 45).

 

 

 


IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E LE SUE PARTI

 

Lo Spirito Santo che convince il mondo quanto al peccato (Gv 16,8-9), essendo il Paraclito-Consolatore (Gv 15,26), svelando il peccato nell'uomo gli dona la grazia del pentimento e della conversione. E lo Spirito spinge a conversione non solo le singole persone, ma anche tutta la Chiesa che, pur essendo santa, sente anch'essa il bisogno di purificazione per cui mai tralascia di far penitenza e di rinnovarsi (Lumen gentium 8).

Molti e diversi sono i modi con cui il popolo di Dio fa continua penitenza. Queste varie forme penitenziali, espressione della conversione del cuore e della penitenza interiore, sono significate da gesti e opere di penitenza esteriore fino a culminare ovviamente nel sacramento della Penitenza.

La Scrittura e i Padri insistono soprattutto su alcune forme penitenziali che esprimono la conversione in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo ed anche in rapporto alla creazione:

 

a. La preghiera. E' come la grande anima di ogni realtà e a colui che prega nulla può essere rifiutato (Mt 21,22; Mc 11,24; Giac 5,16). Purtroppo chi fa scisma dal Signore smette anche di pregare; e mancando la tensione orante viene meno anche la fede. Ecco perché la preghiera nella Bibbia precede, accompagna, segue il movimento di conversione (Lamentazioni 5,19-22).

 

b. Il digiuno. E' un segno che dimostra all'uomo la ferita e il dolore interno procurato dal peccato. Solo il cibo, che è benedizione di Dio, può calmare questo dolore. Astenersi dal cibo significa il dolore procurato dalla mancanza della benedizione divina rappresentata dal nutrimento, dono dell'amore provvidenziale del Signore (Gioele 2,12-17). L'astensione dal cibo diventa anche digiuno di carità quando è offerto ai poveri il ricavato dalla nostra astinenza.

 

c. L'elemosina. Il peccato è rottura non solo con Dio, ma anche col prossimo. Ogni conversione deve essere espressione di riconciliazione anche con coloro che Dio ama, cioè con i poveri e i bisognosi; si sa che donare al povero è donare a Dio, è manifestargli la propria fede, il proprio amore, amandolo in coloro che Egli ama; l'elemosina è la tassa dovuta a Dio per i doni ricevuti, ma che Egli vuole sia pagata ai suoi poveri quale segno della sua benevolenza (Atti 10,4.31; 1 Gv 3,17); "chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione (Prov 19,17); l'elemosina, quale gesto di grande carità, salva dalla morte e "copre una moltitudine di peccati" (cf Tobia 12,8-9; Giac 5,20; 1 Pt 4,8); "sconta i tuoi peccati con l'elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, e Dio perdonerà le tue colpe" (Daniele 4,24b).

 

d. I sacrifici della vita. Colui che scruta nel segreto della coscienza conosce anche tutte le rinunce che si fanno sia nell'astenersi dal male, sia nel compiere il bene: e di tutte il Signore tiene conto (Rom 12,1; Fil 4,18; Ef 5,25-26). La Chiesa invita dunque a fare penitenza prendendo parte, con la sopportazione delle prove, alle sofferenze di Cristo (1 Pt 4,13), compiendo opere di misericordia e di carità (Mt 25,31-46).

San Giovanni Crisostomo ha indicato 5 vie di riconciliazione con Dio: la condanna dei propri peccati; non ricordare le colpe dei nemici, dominare l'ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso; preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del cuore; comportarsi con temperanza e umiltà, riconoscere le proprie colpe; fare l'elemosina (Ufficio divino, martedì XXI per annum).

 

e. Il sacramento della Penitenza. E' soprattutto in questo sacramento che i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui, e insieme la riconciliazione con la Chiesa, che è stata ferita dal loro peccato (LG 11). Essendo il peccato una offesa fatta a Dio e una rottura dell'amicizia con lui, scopo della penitenza è essenzialmente quello di riaccendere in noi l'amore di Dio, di riportarci pienamente a lui, di riconciliarci con i nostri fratelli nella Chiesa, di ritrovare la pace interiore. Dopo il Battesimo, questa è "la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta" (Tertulliano, Sulla penitenza 4,2); per questo è stata anche chiamata <battesimo delle lacrime>

Se l'uomo è portato continuamente a fare scisma da Dio, dovrà altrettanto intensamente vivere un continuo stato di conversione che gli permetta di ricomporre, attraverso la fede il perdono dei peccati e il dono dello Spirito, l'unione col Signore. In questa unione è possibile trovare la propria unità interiore e quella con gli altri uomini concreti che il peccato aveva ferito e straziato.

 

Il sacramento della Penitenza e le sue parti.

Mosso dalla grazia dello Spirito Santo, il penitente che fa ritorno a Dio deve esprimere l'intima conversione del cuore mediante il proposito di una vita nuova, la confessione dei propri peccati, la debita soddisfazione; solo a queste condizioni Dio accorda la remissione dei peccati mediante il ministero della Chiesa. Gli atti del penitente devono coinvolgere tutta la persona: nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione.

Per fare una buona e valida confessione il penitente deve compiere questi passaggi:

 

a. La contrizione. E' il dolore dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire. La Bibbia esprime questi atti con il temine "metànoia" che significa il cambiamento intimo e radicale della persona per cui si torna a pensare, a giudicare, a riordinare la propria vita secondo lo spirito del Vangelo, mossi dalla santità e dalla bontà di Dio.

Si parla di <contrizione perfetta> quando proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni cosa; può rimettere i peccati veniali e anche quelli mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1452).

Si parla di <contrizione imperfetta> quando deriva dalla considerazione della bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna o dalla paura delle pene; da sola non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo nel sacramento della Penitenza.

 

b. La confessione dei peccati. Dalla contrizione dei peccati commessi scaturisce il desiderio di confessarli, cioè di aprirsi nuovamente a Dio e alla comunione con la Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.

Alla luce della misericordia di Dio e orientati dalla Parola del Signore si deve fare un esame accurato della propria coscienza guardando in faccia i peccati commessi, assumendone la responsabilità, disponendosi a farne l'accusa esterna al ministro di Dio e della Chiesa.

Dio solo perdona i peccati (Mc 2,7). Anche il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati e in virtù della sua autorità divina ha donato tale potere agli uomini (Gv 20,21-23) affinché lo esercitassero nel suo Nome. In forza del potere delle chiavi di rimettere o di ritenere i peccati (Mt 16,19), costituito ministro della riconciliazione (2 Cor 5,18), il sacerdote formula un giudizio spirituale e pronunzia in persona Christi una sentenza. E' Cristo stesso infatti che agisce nel ministro rivelando allo stesso tempo la sua figura di Padre, perché accoglie con benevolenza il figlio che fa ritorno alla casa paterna; la figura di medico perché cura le malattie dell'anima e indica la medicina spirituale; la figura di giudice perché formula un giudizio spirituale ed emette una sentenza di assoluzione dopo aver prescritto la debita riparazione; la figura di maestro perché annuncia il Vangelo della verità e istruisce sui doveri della vita cristiana.

E' dunque importante un accurato esame di coscienza sui singoli peccati, mortali e veniali; ma più importante ancora è manifestare al confessore lo <stato> della propria vita: se il medico spirituale non conosce bene la malattia, non può curare quello che non conosce.

 

c. La soddisfazione. E' l'emendamento della vita e la riparazione dei danni arrecati; si tratta di soddisfare con degni frutti di penitenza le colpe commesse o le omissioni; si deve reintegrare il patrimonio dei beni diminuiti o distrutti col peccato; si deve recuperare la piena salute spirituale. In altre parole: si tratta di fare <opere degne della conversione> (Lc 3,8).

Pertanto è necessario che il genere e la portata della soddisfazione o espiazione sia commisurata ad ogni singolo penitente, alla gravità e alla natura dei peccati commessi, in modo che egli possa riparare nel settore in cui ha mancato e curare il suo male con una medicina appropriata ed efficace. La penitenza da fare sia davvero un rimedio del peccato e trasformi in qualche modo la vita; può essere una preghiera, un'elemosina, un'opera di misericordia. Così il penitente, <dimentico del passato> (Fil 3,13), s'inserisce con nuovo impegno nel mistero della salvezza e si predispone al futuro che lo attende.

 

d. L'assoluzione. Con il segno dell'assoluzione Dio concede il suo perdono al peccatore che nella confessione sacramentale ha manifestato la sua conversione. Dio vuole infatti servirsi di segni sensibili per conferirci la salvezza e rinnovare l'alleanza infranta.

Dalla formula di assoluzione traspare l'opera trinitaria del ministero della riconciliazione: il Padre accoglie il figlio che fa ritorno a lui; il Figlio si pone sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all'ovile; lo Spirito Santo santifica nuovamente il suo tempio o intensifica in esso la sua presenza. Il sacramento della Penitenza attinge così le sue energie nella Pasqua di morte e risurrezione del Cristo e dispone la persona convertita e riconciliata ad accedere nuovamente alla mensa eucaristica che il Signore imbandisce per festeggiare il ritorno del figlio lontano (Lc 15, 7.10.32).

 

Gli effetti di questo sacramento.

Essendo il peccato interruzione della comunione d'amore con Dio, il sacramento della Penitenza ci riconcilia anzitutto con Dio restituendoci alla sua grazia e stringendoci a lui in intima e grande amicizia.

Ci riconcilia anche con noi stessi ridonandoci la pace e la serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito; si recupera la propria verità interiore. Il sacramento della riconciliazione con Dio opera infatti una autentica risurrezione spirituale, restituisce la dignità e i beni della vita dei figli di Dio, ridà forza e vigore per proseguire il cammino verso la piena libertà dei figli di Dio.

Ci riconcilia con la Chiesa, riparando le fratture della comunione fraterna procurate dal peccato di uno dei suoi membri (1 Cor 12,26: "se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme"). Ristabilisce e consolida la comunione dei Santi (LG 48-50); fortifica nello scambio dei beni spirituali tra tutte le membra vive del Corpo di Cristo; spinge ad essere sempre più generosi nel servizio di Dio e dei fratelli; anticipa il giudizio finale al quale saremo sottoposti al termine di questa vita terrena (Gv 5,24; cf 1 Cor 5,11; Gal 5,19-21; Ap 22,15).

In qualche modo il sacramento della Penitenza ci riconcilia anche con la creazione dal momento che il peccato, interrompendo la comunione con Dio, rende vano anche il valore sacramentale del mondo (Rm 8,20); il mangiare e il bere, l'uso del sesso, l'esercizio dei sensi, tutto dovrà recuperare l'armonia inscritta da Dio in queste funzioni che devono permettere all'uomo di risalire verso la loro causa ultima.

 

 

Alcune questioni sulla Penitenza.

 

Si è parlato e si continua a parlare di <crisi> del sacramento della Penitenza. Crisi dovuta ad una sua concezione individualista, alla perdita del senso di Dio, alla perdita del senso del peccato e della moralità, alla carenza di evangelizzazione.

Una certa crisi può dipendere anche da alcuni fraintendimenti che oscurano il vero significato di questo sacramento. Ne elenchiamo alcuni, offrendo anche alcune tracce di risposta.

 

a. Perché confessarsi ad un prete?

Spesso si sente dire: mi confesso direttamente a Dio e non ai preti, visto che anche loro hanno i propri peccati. Questa visione, prevalentemente individualista e privatista, non tiene conto della dimensione <ecclesiale> del sacramento. Tutta la Chiesa è cointeressata ed agisce nell'opera di riconciliazione affidatale dal Signore. Predicando la parola di riconciliazione essa chiama i peccatori a conversione; con la preghiera ottiene da Dio, che solo può rimetterli, la misericordia e il perdono dei peccati; con il ministero affidato da Cristo agli Apostoli e ai loro successori (Mt 18,18; Gv 20,23), essa diventa strumento di conversione e di assoluzione. Esercitando il ministero della Penitenza la Chiesa proclama la sua fede, rende grazie a Dio per la libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal 4,31), offre la sua vita come sacrificio spirituale a lode della gloria di Dio e intanto affretta il passo incontro a Cristo Signore (2 Pr 3,12).

Mai come in questo caso è opportuna l'espressione dei Padri: non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre.

Il sacerdote confessore non è dunque un padrone, ma un servitore del perdono di Dio, un ministro della Chiesa; poiché è soprattutto nella sue membra ecclesiali che Dio viene offeso dai nostri peccati, è doveroso che proprio ad un rappresentante qualificato di questo corpo ecclesiale sia chiesto perdono per riceverne un gesto di riconciliazione. Nel sacerdote occorre scorgere, con gli occhi della fede, la stessa persona di Cristo buon Pastore che ricerca la pecora perduta e la riconduce all'ovile; è anche il buon Samaritano che medica le ferite; è il segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore.

Per essere all'altezza di questo compito, il sacerdote confessore deve essere in grado di saper distinguere le malattie dell'anima per apportarvi i rimedi adatti, ed esercitare con saggezza il suo compito di medico e di giudice spirituale; con lo studio e la preghiera deve procurarsi la scienza e la prudenza necessarie per discernere l'opera di Dio nel cuore degli uomini. Sia sempre pronto e disponibile ad ascoltare le confessioni. Non si dimentichi poi che il sacerdote è tenuto all'assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale, circa i penitenti e quanto essi hanno confessato.

 

b. Confessione solo per i peccati mortali?

Diversa e molteplice è la ferita causata dal peccato (1 Gv 5,16-17). Si chiama mortale il peccato che distrugge la carità nel cuore dell'uomo distogliendolo da Dio che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore; si chiama veniale, cioè scusabile, quando la carità, pur offesa e ferita, sussiste ancora.

Cristo ha istituito nella sua Chiesa il sacramento della Penitenza perché i fedeli caduti in peccato dopo il Battesimo riavessero la grazia e si riconciliassero con Dio. Per S. Ambrogio "Acqua e lacrime non mancano alla Chiesa: l'acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza".

Se dunque si può parlare di necessità di questo sacramento per la remissione dei peccati gravi, si deve anche parlare della sua utilità per la remissione dei peccati veniali dal momento che la quotidiana debolezza è vinta dalla grazia sacramentale nel dono dello Spirito, è ridata forza e vigore per camminare nella novità di vita come si addice ai figli di Dio. La confessione regolare dei peccati veniali aiuta inoltre a formare la coscienza, a lottare contro le cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, ad essere misericordiosi come lui, a progredire nella vita dello Spirito.

 

c. Ogni quanto ci si deve confessare?

"Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" (1 Gv 1,9). Secondo il precetto della Chiesa, ci si deve confessare almeno una volta nell'anno (CIC 890). Dal momento però che il peccato grave è interruzione della comunione d'amore con Dio, si faccia subito un atto di contrizione perfetta per ristabilire la comunione perduta e, al più presto, si ricorra al sacramento della Penitenza per ricevere in maniera sicura e piena il perdono e la pace. Chi è consapevole di aver commesso un peccato mortale non può ricevere la santa Comunione senza prima essersi confessato.

Anche per i peccati veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento. Non si tratta infatti di una semplice ripetizione rituale né di una sorta di esercizio psicologico: è invece un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del Battesimo, perché, mentre portiamo nel nostro corpo la mortificazione di Cristo Gesù, sempre più si manifesti in noi la sua vita (2 Cor 4,10). L'accusa dei peccati veniali sarà occasione e stimolo a conformarsi più intimamente a Cristo, e a rendersi più docili alla voce dello Spirito.

 

 


CELEBRARE LA PENITENZA

 

La celebrazione sacramentale della Penitenza è il punto massimo di espressione della risposta che la Chiesa ed i singoli battezzati devono dare al comando del Signore <Convertitevi e credete al Vangelo> (Mc 1,15). Infatti, pur essendo <santi> per elezione, tuttavia siamo anche <peccatori> e quindi sempre bisognosi di purificazione mediante la penitenza e il rinnovamento.

E' opportuno riflettere su questo processo che coinvolge l'uomo in un misterioso conflitto tra il mysterium iniquitatis (2 Ts 2,7) e il mysterium pietatis (1 Tm 3,15).

Celebrando il sacramento della Penitenza, la Chiesa intende professare la sua fede nella misericordia di Dio che perdona le offese fatte a lui ed insieme vuol rendere grazie a Dio per la riconciliazione che avviene in seno alla comunità ecclesiale quando un suo membro peccatore fa ritorno alla casa paterna. Con la celebrazione del sacramento della Penitenza la Chiesa intende anche manifestare la vittoria di Cristo sul peccato.

Il nuovo rito della Penitenza prevede 3 forme di celebrazione di questo sacramento: la prima è la riconciliazione dei singoli penitenti; la seconda è la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione individuale; la terza è la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione generale.

Ciascuna di queste tre forme ha una sua caratteristica e peculiarità:

a. La terza forma, che prevede l'assoluzione collettiva a più penitenti, senza la previa confessione individuale, è riservata solo a casi di grave necessità (numero dei penitenti, scarsità di confessori, rischio di rimanere a lungo privi della grazia sacramentale).

b. La seconda forma, ha il vantaggio di <manifestare più chiaramente la natura ecclesiale della penitenza. I fedeli infatti ascoltano tutti insieme la parola di Dio, che proclama la sua misericordia e li invita a conversione, confrontano la loro vita con la parola stessa, e si aiutano a vicenda con la preghiera. Dopo che ognuno ha confessato i suoi peccati e ha ricevuto l'assoluzione, tutti insieme lodano Dio per le meraviglie da lui compiute a favore del popolo, che egli si è acquistato con il sangue del suo Figlio> (RdP 22).

c. La prima forma, con la confessione individuale e completa, con la relativa assoluzione, <resta l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa> (RdP 31).

Ci occuperemo dunque di questo primo modo di celebrare la Penitenza; seguiremo lo stile indicato dalla Costituzione liturgica (SC 48), seguendo cioè i ritus et preces: gli aspetti rubricali-rituali con i loro contenuti espressi dalle orazioni.

 

1. Preparazione.

Non si deve mai accedere ad un sacramento senza una previa preparazione, sia remota che prossima. E si deve preparare non solo il penitente, ma anche il sacerdote: il penitente, raccomandandosi a Dio perché perdoni i suoi peccati e confrontandosi con l'esempio e la parola di Cristo; il sacerdote, invocando lo Spirito Santo per averne luce e carità. Significativa, a tale proposito, è una antica preghiera che il vescovo recitava prima di riammettere i penitenti pubblici nella comunione della Chiesa: "Sii attento, o Signore, alle nostre suppliche; esaudiscimi, sebbene io per primo abbia bisogno della tua indulgenza! Esaudisci colui che tu hai stabilito ministro di quest'opera di rinnovazione, non a causa dei suoi meriti, ma per un dono della tua grazia" (Sacramentario Gelasiano n. 377, sec. VII).

 

2. Accoglienza.

Il sacerdote accoglie il penitente con fraterna carità e lo saluta con parole affabili e cordiali (RdP 16. 41). Entrambi fanno il segno della croce; poi il sacerdote invita il penitente alla fiducia in Dio: accostati con fiducia a Dio Padre; ti accolga con bontà il Signore Gesù; lo Spirito Santo illumini il tuo cuore; non perderti d'animo, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il giusto. E' opportuno che il penitente indichi il tempo trascorso dall'ultima confessione e le eventuali difficoltà della sua vita cristiana.

 

3. Lettura della Parola di Dio.

E' la Parola di Dio che illumina il fedele a conoscere i suoi peccati, lo chiama alla conversione e gl'infonde fiducia nella misericordia di Dio. Anche nella celebrazione del sacramento della Penitenza non dovrebbe mai mancare la proclamazione della Parola di Dio: o durante la celebrazione stessa, o almeno nella fase di preparazione al sacramento. Sarebbe opportuno che in prossimità del confessionale i penitenti potessero trovare qualche sussidio che li aiuti alla confessione e comprendente anche brani appropriati della Parola di Dio.

 

4. Confessione dei peccati e accettazione della soddisfazione.

Prima di iniziare la confessione si può recitare il Confesso a Dio onnipotente o una formula simile. Quindi il penitente confessa i suoi peccati, aiutato, se necessario, dallo stesso sacerdote. Questi rivolge al penitente i consigli necessari per indurlo ad iniziare una vita nuova; gli ricorda che per mezzo del sacramento della Penitenza il cristiano muore e risorge con Cristo, e viene così rinnovato nel mistero pasquale; lo istruisce sui doveri e sugli impegni della vita cristiana.

In rapporto ai peccati confessati e alla loro gravità, il confessore impone al penitente la soddisfazione, ciò l'impegno di una congrua riparazione e l'espiazione delle colpe commesse. Non è quindi una punizione, ma piuttosto un aiuto per iniziare una vita nuova e un rimedio ai danni procurati dal peccato. Oltre alla preghiera in genere, la soddisfazione dovrebbe concretizzarsi in opere di penitenza e di misericordia che siano una vera riparazione nel settore in cui uno ha mancato e una medicina efficace che curi la malattia spirituale che induce al peccato. La soddisfazione intesa come rinnegamento di sé, come servizio al prossimo attraverso le opere di misericordia, serve tra l'altro a porre meglio in luce il carattere sociale ed ecclesiale sia del peccato che della sua remissione.

 

5. Preghiera del penitente e assoluzione del sacerdote.

Con la preghiera il penitente chiede a Dio Padre il perdono dei suoi peccati e manifesta la sua contrizione e il proposito di una vita nuova. Questa preghiera corrisponde in genere all'Atto di dolore, ma sarebbe opportuno variarla anche con altre espressioni simili, di forte contenuto biblico, che manifestino la grande misericordia del Padre che accoglie il figlio prodigo, la bontà di Gesù che riprende sulle spalle la pecora smarrita, la pace e l'amore dello Spirito Santo che ci permette di camminare come figli della luce.

Dopo la preghiera del penitente, il sacerdote pronunzia la formula di assoluzione. Durante questa preghiera il sacerdote stende le mani sul capo del penitente: è un significativo gesto di epiclesi, cioè di invocazione dello Spirito Santo. Non va infatti dimenticato che non esiste realtà sacramentale senza che vi sia una anamnesi-memoriale del mistero della salvezza, e una epiclesi che ottiene, nella potenza santificante dello Spirito, l'attuazione qui e ora di questa inesauribile opera di redenzione.

Se si fa ben attenzione, la stessa preghiera di assoluzione, con forti richiami biblici e con un movimento tipicamente trinitario, esprime questi due momenti:

* la anamnesi-memoriale, costituita dall'amore misericordioso del Padre e dalla sua volontà di riconciliare a sé il mondo nella morte e risurrezione del Figlio (cf Col 1,14.20; 2 Cor 1,3; Ef 2,4; Tit 3,5; 1 Pt 1,3);

* l'epiclesi, costituita dall' effusione dello Spirito Santo per la remissione dei peccati (Cf 2 Ts 2,13; Zac 12,10; Ez 36,26).

Iddio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, concede il perdono e la pace mediante il il ministero della Chiesa (cf 2 Cor 5,18.20; Gv 20,19-23); la Chiesa infatti è stata costituita da Cristo quale suo <universale sacramento di salvezza> (LG 48): segno e strumento dell'intima comunione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (LG 1.9.48; AG 1; GS 45). Costituita da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunta perché sia sacramento visibile dell'unità salvifica per tutti e per i singoli; san Cipriano parla della Chiesa come di un <inseparabile unitatis sacramentum> (cf LG 9d).

 

6. Rendimento di grazie e congedo del penitente.

Ricevuta l'assoluzione, cioè lo <scioglimento> dei peccati, il penitente riconosce e proclama la misericordia di Dio e a lui rende grazie con una breve invocazione. In realtà nel Rito della Penitenza (RdP 47) non è riportato alcun formulario spettante al penitente, ma semplicemente l'invocazione del sacerdote <Lodiamo il Signore perché è buono>, cui il penitente risponde <Eterna è la sua misericordia>. Sarebbe opportuno utilizzare, anche per la riconciliazione dei singoli penitenti, quanto previsto per il Rito della riconciliazione di più penitenti (RdP 56.57) dove sono riportati 10 formule di ringraziamento tratte per lo più dai Salmi; è indicato anche il Magnificat (Lc 1,46-55), l'inno di Efesini 1,3-10 e di Apocalisse 15,3-4.

Quindi il sacerdote congeda in pace il penitente con l'esortazione a camminare nella vita nuova e piacere in tutto al Signore.

 

Osservazioni conclusive.

Si vuol qui attirare l'attenzione su alcuni elementi della celebrazione del sacramento della Penitenza che non vanno certo sottovalutati.

 

a. Sia una vera celebrazione. Come ogni azione liturgica, anche questa liturgia sacramentale della Penitenza non è affatto una azione privata, ma celebrazione della Chiesa, azione che appartiene all'intero corpo della Chiesa, lo manifesta e lo implica (cf SC 26). E' partecipazione della liturgia celeste verso la quale siamo incamminati come pellegrini nell'attesa della piena comunione con tutti i Santi (SC 8; LG 49-50). E' una epifania del mistero d'amore di Dio per i suoi figli, una azione che vive di fede e nutre la fede, canta la speranza e suscita la speranza, celebra la carità e fa crescere nella carità.

Per recuperare credibilità a questo sacramento così in crisi, occorrerà decidersi a celebrarlo con maggiore serietà. Celebrare suppone un clima di <festa>: celebriamo infatti non le nostre piccole o grandi miserie, ma il Signore Risorto nostra Pasqua. Celebrare significa utilizzare nella maniera ottimale tutti i segni, i gesti, le parole previsti, senza fretta e senza scorciatoie. Celebrare significa anzitutto dare gloria a Dio (Gv 17,1-4), ma anche edificare-deificare il Corpo di Cristo in tempio santo di Dio nello Spirito (Ef 2,21-22; 2 Pt 1,4; 1 Gv 5,11), esprimere e manifestare con spirito missionario l'amore a Cristo e alla Chiesa.

 

b. Anche il penitente celebra il sacramento.

Accostandosi a questo salutare rimedio istituito da Cristo, nel confessare i suoi peccati il penitente si inserisce con i suoi atti e con le sue parole nella celebrazione di una realtà sacramentale. In tal modo il fedele, mentre fa nella sua vita l'esperienza della misericordia di Dio e la proclama, celebra con il sacerdote la liturgia della Chiesa in uno spirito di continua conversione e rinnovamento (RdP 11).

Andrebbe pertanto superato ogni atteggiamento o sentimento di ripetitività, di assuefazione, di inevitabile noia, quasi una fastidiosa tassa da pagare al tribunale della Chiesa. Recuperare invece il senso della gioia pasquale, della esigenza interiore di una bagno purificatore nella misericordia di Dio, del ritorno alla piena comunione ecclesiale nella recuperata pace e armonia con le membra del Corpo di Cristo.

 

c. Tempo, luogo, vesti.

Già si è detto dell'utilità del ricorso assiduo e frequente a questo sacramento. Il Rito della Penitenza non indica scadenze precise; sta dunque ai singoli penitenti, d'accordo col confessore, stabilire i ritmi del ricorso alla confessione.

Da parte dei sacerdoti in cura d'anime c'è l'obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente lo chiedano. "Questo è senza dubbio il più difficile, delicato, il più faticoso ed esigente, ma anche uno dei più belli e consolanti ministeri del sacerdote" (Reconciliatio et paenitentia n.29).[57] Sia data ad essi l'opportunità di accostarsi alla confessione individuale, stabiliti, per loro comodità, giorni e ore (CIC 986; RdP 10b). Non dovrebbe mancare, alla porta di chiesa, insieme agli orari delle Messe, anche l'orario delle confessioni.

S'inculchi comunque nei fedeli l'abitudine di accostarsi al sacramento della Penitenza fuori dalla celebrazione della Messa, e preferibilmente in ore stabilite (RdP 13), cosicché l'amministrazione di questo sacramento si svolga con tranquillità e con vera loro utilità.

Nel tempo quaresimale si organizzino a più riprese vere celebrazioni penitenziali in modo che tutti i fedeli abbiano modo di riconciliarsi con Dio e con i fratelli e di celebrare, rinnovati nello spirito, il triduo pasquale del Signore morto e risorto (RdP 13).

 

Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa e nella chiesa il confessionale. A questo proposito il Codice di Diritto Canonico dice: il confessionale sia provvisto di una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo desiderano possano liberamente servirsene (CIC 964); è un segno di rispetto per il penitente che vuol mantenere una certa riservatezza e pertanto non dovrebbe mai essere obbligato a confessarsi faccia a faccia, se non per sua libera scelta.

 

La veste opportuna, trattandosi di un rito sacramentale, è l'abito talare o il camice, con la stola. Anche per l'esercizio del ministero della Penitenza valgono per il sacerdote le espressioni previsate per la celebrazione eucaristica: "Deve servire Dio e il popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo" (IGMR 61).

 

 


LA PENITENZA DEI FANCIULLI

 

Circa il rapporto esistente tra fanciulli e Penitenza, abbiamo assistito in questi ultimi anni a sperimentazioni quantomai varie e discordanti. In alcune diocesi, soprattutto all'estero, si ammettevano i fanciulli prima alla Comunione e in un secondo momento alla Penitenza. Una tale prassi era così giustificata: nel corso della maturazione spirituale della persona la capacità di ricevere l'Eucaristia si presenta fortunatamente nel fanciullo prima della capacità di compiere il peccato mortale. Questa successione interiore, si diceva, deve manifestarsi esteriormente nel fatto che deve esserci in primo luogo la partecipazione positiva alla mensa eucaristica e soltanto in un secondo momento l'obbligo della Confessione.

Come si noterà, una tale prassi più che su motivi teologici era basata su una preoccupazione di tipo psicologico e pedagogico; sembra anche insinuare che la Penitenza sia per i soli peccati mortali e non anche per quelli veniali.

Nel 1977 la Sacra Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino è intervenuta con una Dichiarazione nella quale si dice che "devono cessare tutti gli esperimenti di ricevere la prima Comunione senza essersi prima accostati al sacramento della Penitenza".[58]

 

Penitenza ed Eucaristia.

Le motivazioni per cui alla prima Comunione deve essere premessa la Confessione, anche nei fanciulli, possono essere così espresse:

 

1. La preparazione alla Confessione è un momento integrante della preparazione all'Eucaristia; senza di essa l'Eucaristia perderebbe una dimensione essenziale. L'Eucaristia infatti non è pensabile senza la componente della conversione, della confessione e del perdono (cf 1 Cor 11,28-29; Mt 5,23; 8,8; Didaché 14,1; 10,6).

Tutto questo non significa ovviamente che ogni Comunione deve essere preceduta dalla Confessione. Si vuol anzi ricordare che la celebrazione della Penitenza, essendo un incontro fiducioso tra noi peccatori e il Padre misericordioso, favorirà anche nei fanciulli sentimenti di amore e di rispetto per il loro incontro con Gesù nella Comunione eucaristica.

L'esperienza maturata in questi ultimi anni ha dimostrato invece che proprio diradando le Confessioni, con la scusa di farle più sentite e meno formali, ha avuto come conseguenza di banalizzare l'accesso alla Comunione e la perdita della necessità della Confessione tanto che oggi molti giovani, e non solo loro, raramente si confessano pur accedendo alla Comunione quando vanno a Messa.

 

2. Tutta la vita cristiana è vita di conversione e tende verso la perfetta comunione con Cristo e con i fratelli nell'Eucaristia, fonte e culmine dell'esperienza di fede. Per questo la Chiesa raccomanda che, mentre si compie l'itinerario di preparazione dei fanciulli alla Messa di prima Comunione, essi vengano anche accuratamente preparati e ammessi alla celebrazione del sacramento della Penitenza. In questo modo essi sperimenteranno la bontà del Signore non solo partecipando alla sua Mensa, ma anche usufruendo della sua abbondante misericordia nel sacramento della Penitenza. Inoltre, la conversione dal peccato e la domanda del perdono devono essere atteggiamenti costanti anche nella vita cristiana dei fanciulli.

Pertanto, con il raggiungimento dell'età della discrezione in cui il fanciullo incomincia a ragionare (più o meno intorno ai 7 anni), inizia anche l'obbligo di soddisfare al duplice precetto della Confessione e della Comunione (cf CIC 914). I fanciulli infatti che sono capaci di ricevere l'Eucaristia con proporzionata consapevolezza rispetto all'età, sono anche in grado di avere coscienza del peccato e di chiederne perdono a Dio nella Confessione.

Una volta raggiunta questa capacità di recezione, il fanciullo ha nella Chiesa il diritto di ricevere entrambi i sacramenti; si commetterebbe un'ingiustizia e si violerebbe anche la sua coscienza se lo si preparasse soltanto alla santa Comunione escludendolo dalla Confessione. Non ha forse bisogno anche lui di affinare la grazia del Battesimo, di essere sempre più intimamente unito a Cristo, di rendersi sempre più docile alla voce dello Spirito?

Il problema, dunque, non sta tanto sul se ammettere i fanciulli alla Confessione, quanto piuttosto sul come condurli su questo itinerario di conversione verso la piena comunione con Cristo ed i fratelli che si raggiunge nella partecipazione all'Eucaristia.

 

La penitenza tra Battesimo ed Eucaristia.

Si tratta di trovare una precisa collocazione al sacramento della Penitenza nel cammino di iniziazione cristiana.

Il Battesimo è l'inizio di un cammino che i fanciulli percorreranno confortati dall'amore di Dio. Essi devono sapere però che la strada dei battezzati è stretta: per arrivare alla gioia e alla pienezza della vita e prima di essere ammessi alla Cena del Signore, essi dovranno avere il coraggio necessario di lottare contro il male per costruire l'amore.

Nel momento in cui anch'essi cominciano ad avvertire la difficoltà di percorrere ogni giorno la strada dell'amore secondo il comandamento del Signore ed hanno più precisa la consapevolezza di non essere sempre fedeli agli impegni assunti nel Battesimo, allora è il momento di fare concretamente l'esperienza della misericordia di Dio mediante il perdono dei peccati e la riconciliazione con lui e con i fratelli nella Chiesa.

Il dono dello Spirito battesimale che in noi vive e prega, ci fa anche sentire che siamo figli del Padre e ci guida ogni giorno sulla via della carità. E' lui che difende la vita nuova ricevuta in dono nel Battesimo sottraendola al rischio del peccato. Ed è ancora lo Spirito che, dopo averci fatto dire <Padre nostro>, ci ricorda che la preghiera del Signore continua dicendo <rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male>. Tra il Battesimo e l'Eucaristia deve esserci dunque l'esperienza della misericordia di Dio, della conversione, del perdono dato e ricevuto, della riconciliazione con Dio e con i fratelli nella Chiesa.

 

La Penitenza punto di arrivo.

Non si dimentichi però che il sacramento della Penitenza è un punto di arrivo nel più vasto cammino della riconciliazione: è il segno più alto e efficace del perdono che viene dal Signore attraverso la sua Chiesa.

_ Sarà opportuno iniziare i fanciulli alla Penitenza sacramentale partendo dal contesto più ampio della vita di riconciliazione e di perdono che esiste nella comunità ecclesiale. Si tratta di formare nei fanciulli una coscienza capace di dare e di ricevere il perdono, di impegnarsi onestamente nel proprio dovere e nella fatica del lavoro, nella carità e nella preghiera, nella sopportazione paziente delle difficoltà e delle sofferenze. Già in queste azioni si può sperimentare l'impegno di riconciliazione e di conversione oltre al desiderio di orientare la propria vita alla luce del Vangelo.

- Poiché la riconciliazione è dono pasquale del Signore ed è risposta al suo invito di conversione, tutta la vita dei fanciulli deve essere caratterizzata da un cammino costante e fiducioso incontro al Signore Risorto. Un tale cammino suppone la fiducia in Dio, un ambiente di comprensione e di perdono. Anche per loro è doloroso e umiliante riconoscere di non saper fare tutto il bene che vorrebbero; ma già nell'atteggiamento comprensivo e nel perdono dei genitori, i fanciulli trovano i primi segni della misericordia di Dio, sempre pronto ad accogliere e perdonare.

- Vanno poi valorizzati nel corso dell'anno quei tempi che hanno per la Chiesa un richiamo più vivo a far penitenza: il venerdì, le vigilie delle grandi feste, la Quaresima, la settimana santa. Sono tempi nei quali i fanciulli devono essere iniziati ad una viva comunione con Gesù che si fa solidale con la miseria umana per ridare ad ogni uomo la pienezza della dignità battesimale.

- Ai fanciulli va anche fatto capire che la conversione dal peccato e la domanda di perdono non sono momenti saltuari nella vita cristiana, ma piuttosto un atteggiamento permanente. Vanno perciò valorizzati nella giornata i momenti più adatti per esprimere il sentimento di non amare abbastanza il Signore e di ricevere il dono della sua pace: un impegno portato a termine con sacrificio, l'aiuto generoso e disinteressato dato a chi ha bisogno, un più abbondante impegno nella preghiera, la capacità di esprimere il perdono, la comprensione verso gli altri senza giudicare o condannare (cf Lc 6,36), saper donare una parola, un sorriso, un abbraccio, una promessa fatta con sincerità, saper ristabilire l'amicizia e la pace in famiglia e con gli amici.

- Valorizzare gli elementi penitenziali della Messa: l'acqua benedetta entrando in chiesa, quale segno del ritorno alla purezza battesimale; l'atto penitenziale per essere ammessi a celebrare degnamente i santi misteri; il Padre nostro con la richiesta di essere perdonati e l'impegno a perdonare; lo scambio della pace che ci impegna a riconoscere Cristo presente non solo nel segno umile del pane consacrato, ma anche nel segno altrettanto umile del prossimo che ci sta accanto.

- Sono inoltre <utilissime per la conversione e la purificazione del cuore>, le celebrazioni penitenziali <per educare i fanciulli a formarsi a poco a poco la coscienza del peccato e della sua liberazione per mezzo di Cristo> (Rito della Penitenza n.37). Lo stesso Rito della Penitenza propone una celebrazione penitenziale adatta per i fanciulli (RdP pp.141-143).

Al termine di questa graduale e globale maturazione penitenziale, fatta di gesti, di tempi, di celebrazioni, i fanciulli sapranno più facilmente riconoscere, nel sacramento della Penitenza, la presenza del Signore risorto che porta gioia e riconciliazione, come un giorno nella casa di Zaccheo, oppure come il buon Samaritano che va incontro agli uomini per curare in essi le ferite del peccato e per arricchirli del suo Spirito di verità.

 

Riconosciamo i nostri peccati.

Alla riflessione sulla misericordia di Dio e sul perdono è doveroso far seguire quella sul peccato. Alcuni educatori sorvolano questo argomento scusandosi col dire che i fanciulli non sono ancora in grado di commettere peccati e che parlare di peccato a questa età può creare traumi ingiustificati nella mente del fanciullo. E' chiaro che l'argomento è delicato e va affrontato con molta accortezza: l'angoscia non è una dimensione del Vangelo. Non si può però del tutto escludere che anche nella coscienza del fanciullo il Padre apre un dialogo misterioso che, secondo tempi e misure che lui solo conosce, può essere accolto o rifiutato. La questione, anche in questo caso, non è tanto se parlare del peccato, quanto piuttosto sul come parlarne. Importante è educare i fanciulli all'amore e al timore di Dio, al rinnovato proposito di fedeltà, alla delicatezza della coscienza, ad atteggiamenti di fiducia. La legge del Signore deve essere accolta come un giogo soave (Mt 11,30), in modo da evitare due eccessi: da una parte la paura con sentimenti di scoraggiamento o di ansietà, dall'altra un lassismo morale per cui tutto è permesso. Che la Confessione diventi più tardi o uno spauracchio o un luogo di speranza, dipende in massima parte da come essa è stata sperimentata da fanciulli.

La realtà del peccato, sia pure a diversi livelli rapportati alla loro crescita, rientra nell'esperienza concreta dei fanciulli. Man mano che acquistano coscienza concreta del Battesimo possono essere anche in grado di cogliere tutti quegli elementi che sono in contradizione con questo impegno di fedeltà. Se il Battesimo è liberazione dal peccato, se è vocazione ad essere figli di Dio nella Chiesa, se è abitazione in noi di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, si chiamerà peccato ogni rifiuto o mancanza d'amore, ogni azione o pensiero o omissione che offende questo rapporto d'amore con Dio e col prossimo.

Pertanto il fanciullo deve essere educato ad affinare i propri sentimenti di amore e di fedeltà a Dio e al prossimo, mediante la ricerca sincera del perdono e della riconciliazione. Il perdono dei peccati per lui potrà significare: essere meno pigro nel pregare o nell'andare a Messa la domenica; recuperare la fiducia dei genitori o dei maestri; ritornare in piena amicizia con gli amici; essere sincero e mantenere le promesse; rispettare le persone, specialmente i più deboli e bisognosi.

La possibilità di accedere al perdono di Dio prima ancora dell'insorgere di gravi pericoli o turbamenti della coscienza, libera dall'angoscia del peccato o da eventuali forme di superficialità, e fa sperimentare tutta la gioia di essere cristiani e di fare la Confessione in una atmosfera di fiducia e di bontà senza timore.

Se un catechista e un educatore saprà compiere con umiltà e semplicità questa formazione alla Penitenza come parte integrante del cammino verso la santa Comunione, non solo non sarà compromessa la gioia dell'unione col Signore ma sarà piuttosto approfondita perché susciterà anche nell'animo dei fanciulli quella necessaria vigilanza che li porta ad accedere alla mensa del Signore consapevoli di esservi invitati a patto di portare la veste nuziale richiesta (Mt 22,12).

 

Qualche suggerimento.

Non mancano certo problemi legati alla prassi penitenziale dei fanciulli. Vediamone alcuni:

- La frequenza alla confessione. Anche per i fanciulli può valere l'indicazione fornita dal Rito della Penitenza che dice: è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento; non si tratta infatti si una semplice ripetizione rituale né di una sorta di esercizio psicologico; è invece un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del Battesimo e a rendersi sempre più docili alla voce dello Spirito (RdP 7b);

- Preferire la celebrazione comunitaria. Dovrebbe essere la forma preferita, almeno inizialmente, con l'intento di aiutare i fanciulli a celebrare poi il sacramento anche nella forma individuale. L'opportunità e i vantaggi di questa forma di celebrazione stanno nel fatto che i fanciulli sono facilitati nella comprensione della Confessione come un incontro di pace con Gesù e una riconciliazione con i fratelli e quindi possono recepire più chiaramente la natura ecclesiale della Penitenza; è anche reso più esplicito l'aiuto vicendevole che essi si danno con la preghiera; tutti insieme possono lodare Dio per le meraviglie da lui compiute a favore del popolo che egli si è acquistato con il sangue del Figlio suo; è più facile infine creare quel clima di gioia e di festa attorno al sacramento del perdono evitando possibili forme di angoscia che sarebbero dannose per la crescita spirituale del fanciullo.

Le celebrazioni comunitarie della Penitenza con i fanciulli possono essere così articolate: un canto iniziale per lodare la bontà del Signore e la grandezza della sua misericordia; il saluto affabile e cordiale del sacerdote; l'invocazione dello Spirito Santo che apra alla conoscenza dell'amore di Dio e dei nostri peccati; lettura della Parola di Dio seguita da una appropriata omelia che avvii anche all'esame di coscienza; recita o canto del Padre nostro; segue la confessione individuale, avendo accortezza di invitare un numero sufficiente di confessori; l'impegno di preghiera e di carità quale segno di riconoscenza e di riparazione; il rendimento di grazie al Signore per l'amore grande con cui ci ha amati, per il perdono che ci ha concesso; il congedo con l'augurio di camminare nella vita nuova restaurata e rafforzata dal sacramento della Penitenza; un canto finale che esprima la gioia di tornare sereni alle proprie occupazioni con la certezza che le nostre giornate saranno ancor più gradite al Signore.

- Mandare i fanciulli a confessarsi? Certamente i genitori devono ricordare ai loro figli questa esigenza della vita cristiana; tuttavia, quanto sarebbe più opportuno che i genitori stessi ed i catechisti accompagnassero i fanciulli per celebrare con loro il sacramento del perdono e della riconciliazione! Al di là di tante parole conta, per i fanciulli in particolare, l'esempio degli adulti e dei familiari.

 

Se, crescendo, questi fanciulli porteranno con sé un ricordo sereno e grato del sacramento della Penitenza, continueranno certamente a celebrare questo incontro privilegiato con la misericordia di Dio anche da adulti; altrimenti entreranno tra il numero, purtroppo numeroso, di coloro che cessano di confessarsi perché non hanno mai sperimentato che cosa significhi far ritorno al Padre che per primo ci ha amati, a Cristo che per noi a dato se stesso, e allo Spirito Santo che in abbondanza è stato effuso su di noi.


L'UNZIONE DEGLI INFERMI

 

Se è vero che con i sacramenti dell'iniziazione cristiana noi riceviamo la vita nuova in Cristo, è altrettanto vero che questo tesoro noi lo portiamo in vasi d'argilla (2 Cor 4,7); e pur destinati alla lode della sua gloria (Ef 1,12.14) in una dimora eterna nei cieli (2 Cor 5,1; Col 3,1-4), noi siamo ancora pellegrini e come stranieri su questa terra (1 Pt 1,17), soggetti alla sofferenza, alla malattia e alla morte. Colui però che si è fatto per noi "medico della carne e dello spirito"[59], ha voluto che nella sua Chiesa fosse continuata l'opera da lui iniziata quando rimise i peccati al paralitico e gli rese la salute del corpo. Tutto questo la Chiesa lo compie con i due sacramenti medicinali: la Penitenza e l'Unzione dei malati.

Prendendosi dunque cura degli infermi, la Chiesa intende prestare servizio a Cristo stesso nelle membra sofferenti del suo Corpo mistico, e seguendo l'esempio del Signore Gesù, che "passò beneficando e sanando tutti" (At 10,38), obbedisce al suo comando di aver cura dei malati (Mc 16,18).

La Chiesa dimostra questa sollecitudine non solo visitando i malati, ma anche confortandoli con il sacramento dell' unzione, sostenendoli sia dirante la malattia che in pericolo di morte con il sacramento dell'Eucaristia, e raccomandandoli con le sue preghiere a Dio specialmente negli ultimi istanti della loro vita.

La riforma liturgica voluta dal Vaticano II, parlando della revisione dei riti sacramentali, aveva detto che "Nel corso dei secoli si sono introdotti alcuni elementi che oggi ne rendono meno chiari la natura e il fine; è perciò necessario compiere in essi alcuni adattamenti alle esigenze del nostro tempo" (SC 62).

Allo scopo di rendere più evidente e più chiaro il significato del sacramento dell' unzione degli infermi, la Costituzione sulla liturgia offriva tre indicazioni:

* quella che fino ad ora era chiamata estrema unzione, doveva essere meglio specificata col nome di unzione degli infermi: non è infatti il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita, ma è opportuno riceverlo già quando il fedele è indebolito fisicamente o per vecchiaia (SC 73);

* oltre i riti distinti dell'unzione degli infermi e del viatico, si componga anche un rito continuato nel quale l'unzione sia conferita al malato dopo la confessione e prima del viatico (SC 74);

* il numero delle unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni, e le orazioni che accompagnano il rito dell'unzione degli infermi siano adattate in modo da rispondere alle diverse condizioni dei malati che ricevono il sacramento (SC 75).

Paolo VI, il 30 novembre 1972, con la Costituzione apostolica Sacram unctionem infirmorum stabiliva la nuova formula sacramentale dell'unzione e approvava il nuovo Rito.

 

Testimonianza della Scrittura.

La sacra unzione degli infermi, come professa e insegna la Chiesa cattolica, è uno dei sette sacramenti del Nuovo Testamento, istituito da Cristo nostro Signore. Secondo le indicazioni del Concilio di Trento, il sacramento dell'unzione:

* è adombrato nel Vangelo di Marco 6,13: "(I Dodici) scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano"; lo stesso Signore Risorto, nel mandato apostolico conferito ai discepoli, dice: "...nel mio nome scacceranno i demoni...imporrano le mani ai malati e questi guariranno" (Mc 16,18); Marco vede nell'unzione e nell'imposizione delle mani un segno messianico: Dio stesso, in Gesù, libera l'uomo da tutti i mali, sia quelli dell'anima (peccati) che quelli del corpo (malattie). E' dunque lo stesso Cristo che dice ai suoi discepoli "Guarite i malati!" (Mt 10,8)

* è raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore: "Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel nome del Signore; e la preghiera fatta con fede salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati" (Gc 5,14-15); Giacomo intende qui una situazione seria di malattia per la quale non è sufficiente la preghiera personale (cf 5,13a), ma occorre una intercessione speciale affidata ai presbiteri della comunità; già la tradizione veterotestamentaria aveva visto nell'unzione con l'olio un segno di vita e di letizia (cf Is 1,6; 61;1-3; Lev 14,10-32); ungere un malato "nel nome del Signore" significa affidarlo alla potenza del Signore-Kyrios presente e salvante nella sua Chiesa, renderlo partecipe della sua vittoria sul peccato e sulla morte; tale unzione "salverà (sósei) il malato" perché il Signore gli concederà la forza necessaria per dominare spiritualmente la situazione di malattia; "il Signore lo rialzerà (egherei)" indicando così non solo il sollievo nel fisico ma anche il conforto nello spirito dal momento che Cristo si rivolge al malato nell'integrità del suo essere umano.

 

Testimonianza della tradizione.

Testimonianze relative all' unzione degli infermi si trovano fin dai tempi antichi nella tradizione della Chiesa, segnatamente in quella liturgica, sia in Oriente che in Occidente. Sono da ricordare in proposito la lettera scritta dal pontefice Innocenzo I (402-417) a Decenzio, vescovo di Gubbio, e il testo della veneranda preghiera usata per benedire l'olio degli infermi: "Effondi, o Signore, il tuo Spirito Santo Paraclito", la quale fu inserita nella Prece eucaristica ed è tuttora conservata nel Pontificale Romano.[60]

Negli antichi rituali si trova una formula unica per le unzioni, il cui numero e la posizione non sono chiaramente determinati; si ungeva in particolare la parte malata del corpo perché scomparissero tutti i dolori e le infermità e, recuperata la forza e la salute, il malato potesse ritrovare florida la precedente salute. In questa epoca (VIII-X secolo) non compariva alcuna imposizione delle mani; in compenso erano ben equilibrati gli effetti sia corporali che spirituali del sacramento: con la grazia dello Spirito Santo guarisci le infermità di questo malato, risana le sue ferite, perdona i suoi peccati, allontana da lui tutte le sofferenze dell'anima e del corpo e restituiscigli misericordiosamente la salute spirituale e corporale, perché risanato ritorni al consueto lavoro.

Con il passare dei secoli, nella tradizione liturgica furono più esattamente precisate, anche se in vario modo, le parti del corpo dell'infermo che dovevano essere unte con l'olio santo, e furono aggiunte più formule per accompagnare con la preghiera le unzioni: queste formule sono appunto contenute nei libri rituali delle varie Chiese.

Durante il Medioevo, nella Chiesa Romana invalse la consuetudine di ungere gli infermi nelle sedi degli organi di senso, con l'uso di questa formula: "Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia, ti perdoni il Signore ogni peccato commesso con..", formula che veniva adattata a ciascuno dei sensi.

In seguito prese sempre più consistenza l'effetto spirituale dell'unzione, concepita come un "esorcismo": lo spirito impuro non si nasconda in te, né nelle tue membra (Pontificale del secolo XII). Il suo conferimento è spostato sempre più in extremis, divenendo così l'estrema unzione da dare a coloro che stanno per lasciare questo mondo; è il perdono finale dato dalla Chiesa ai moribondi e quindi non reiterabile.[61]

Nel Concilio di Firenze (1439-1445) vengono precisati gli elementi essenziali dell'unzione: si deve dare a coloro che sono in pericolo di morte; si ungono i cinque sensi; ministro è il solo sacerdote; gli effetti sono prevalentemente spirituali (anche corporali, se ciò serve al bene spirituale).

Nel Concilio di Trento (1545-1563) fu proclamata la divina istituzione del sacramento dell'unzione; per quanto riguarda soprattutto la realtà e l'effetto del sacramento si parlò di malattia grave e fu considerato come il sacramento exeuntium, di coloro cioè che sono in fin di vita e stanno per partire per la vita eterna; dona la grazia dello Spirito Santo in vista della purificazione delle colpe che devono ancora essere espiate; solleva l'anima del malato e lo conferma nella fiducia in Dio per meglio sopportare le sofferenze e le tentazioni del demonio;[62] talvolta ottiene ottiene la salute corporale quando ciò convenga alla salute dell'anima.

 

Con il Concilio Vaticano II, come si è visto, si opera un sostanziale recupero della visione neotestamentaria e patristica del sacramento:

* non si dovrà più chiamare "estrema unzione", ma "unzione dei malati";

* non è il sacramento soltanto di coloro che si trovano in estremo pericolo di vita, ma si può dare già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia ad essere in difficoltà (SC 73);

* si recupera anche la dimensione pasquale, come ben afferma la Costituzione dogmatica Lumen gentium: "Con la sacra unzione degli infermi e con la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché rechi loro sollievo e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo (Cf Rm 8,17; Col 1,24; 2 Tm 2,11.12; 1 Pt 4,13), per contribuire così al bene del popolo di Dio" (LG 11);

* si mira alla salute di tutta la persona con le sue esigenze sia spirituali che materiali, chiedendo al Signore il conforto nello spirito e il sollievo nel fisico;

* è affermato il valore santificante della malattia, dal momento che dobbiamo essere sempre pronti a completare nella nostra carne quello che ancora manca ai patimenti di Cristo per la salvezza del mondo (Col 1,24);

* è messa in risalto la dimensione ecclesiale del sacramento perché anche i malati hanno nella Chiesa una missione da compiere e una testimonianza da offrire: quella di rammentare a chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi da tener presenti, e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e salvare questa nostra vita mortale.

Il nuovo rito dell'unzione può essere visto come una consacrazione che, nel dono dello Spirito, configura il malato alla Pasqua del Signore morto e risorto e alla sua testimonianza (martyrìa) di amore al Padre nel momento della sofferenza e della morte.

 

Al fine di meglio esprimere la natura e gli effetti del sacramento, Paolo VI ha ritenuto opportuno modificare la stessa formula sacramentale tenendo presenti le parole dell'Apostolo Giacomo; non si fa menzione dei cinque sensi né si dà valore di esorcismo all'unzione. Ungendo piuttosto la fronte, sede del pensiero, e le mani, sede dell'azione, cioè tutta la persona, si chiede che "Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi".

In questo modo, nei sacramenti medicinali della Chiesa, Dio continua a visitare il suo popolo (Lc 7,16), a prendere su di sé le nostre infermità e ad addossarsi le nostre malattie (Mt 8,17; cf Is 53,4); ricorda infine a ciascuno di noi che è Cristo stesso che noi curiamo quando "Io ero malato e voi mi avete visitato" (Mt 25,36).

 


LA CURA PASTORALE DEGLI INFERMI

 

Situazione pastorale.

La pastorale del sacramento dell'unzione sembra essere ancora oggi quella più precaria, più stanca e più rassegnata, rispetto agli altri sacramenti. In genere tutta la pastorale della sofferenza risulta discontinua, frammentaria, provvisoria. Tutto questo per una varietà di cause:

Cause socio culturali. Il fenomeno della secolarizzazione spinge l'uomo contemporaneo, incapace di integrare nella propria vita la realtà della sofferenza e della malattia, le respinge come tabù. In una società basata sulla produzione e sull'efficientismo, il malato e l'anziano sono emarginati perché considerati non produttivi. Sentendosi artefice del suo destino, l'uomo secolarizzato ritiene sconveniente e superstizioso ricorrere ad una potenza superiore e trascendente. Il malato stesso, sentendosi rifiutato, si richiude in se stesso e ben volentieri i familiari accettano questo stato di cose serrando una cortina di privatezza dietro la malattia di un familiare. In questo contesto i sacerdoti e gli operatori pastorali sono costretti ad un'azione privata, quasi furtiva, in fretta: è chiamato all'ultimo momento perché faccia il suo dovere alla svelta e se ne vada.

Cause religiose e pastorali. Permane ancora una errata concezione del sacramento: è ritenuto come segno precursore della morte. Da parte dei famigliari si tende a chiamare il sacerdote quando il malato è già in coma e quindi incapace di impressionarsi. Da parte degli operatori pastorali c'è ancora molto disimpegno verso i malati e si dedica loro poco tempo; si ritiene l'unzione un sacramento difficile e quindi ci si limita alla sola confessione e comunione.

 

Orientamenti pastorali.

Per un corretto orientamento pastorale del sacramento dell'unzione occorre collocarlo in un contesto più ampio di evangelizzazione: chiarire il problema della malattia e il suo significato nel mistero della salvezza; chiarire il rapporto tra malattia e peccato; chiarire il significato cristiano della sofferenza.

 

Il problema del dolore.

 San paolo ha osato scrivere ai Corinzi: "Io provo diletto...nelle necessità, nelle angustie" (2 Cor 12,10) e l'autore della lettera agli Ebrei scrive di Cristo "Invece della gioia che gli era proposta, tollerò una croce". Nonostante queste affermazioni, una cosa è certa: "Il problema del dolore e della malattia è sempre stato uno dei più angosciosi per la coscienza umana"[63].

Di questa realtà che cosa conosciamo?

* che esiste: gli uomini gridano a Dio che li liberi dal dolore (Esodo 3,7: Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido...conosco infatti le sue sofferenze); lo stesso Gesù ha emesso "forte gemito e lacrime" dinanzi alla morte ed imparò l'obbedienza dalla cose che patì (Ebrei 5,7-8);

* che non dovrebbe esistere: pur riconoscendo che la vita è breve, ma i tormenti sono tanti (Giobbe 4,1), tuttavia l'uomo non vi si può rassegnare e prega Dio che lo liberi da tale stato (Salmo 107,19); al tempo del Messia non vi sarà più malattia e dolore (Is 53,4s).

* perché esiste? Per i pagani è causata dalle liti tra gli dèi; la loro risposta è questa: Non c'è Dio (Salmo 14,1); oppure, come la moglie di Giobbe: "Maledici Dio!" (Gb 2,9). Per Israele, nonostante la triste esperienza dell'esilio, la sofferenza non dipende dalla sconfitta del Signore da parte delle potenze del male, dal momento che Dio è padrone anche di esse e gestisce ogni disgrazia (Amos 3,6); Dio è buono, opera per la salvezza e per la vita; egli è il Creatore di tutte le cose e tutte sussistono in lui (Ger 10,10; 23,26; Dt 5,26.36).

* un primo tentativo di risposta. La presenza del male, dell'ingiustizia, della morte, sembrano smentire il disegno buono di Dio sull'uomo; l'esperienza del Dio vivente non risolve l'oscurità di questa contradizione. Dinanzi a questo scontro, l'uomo della Bibbia dice: sofferenza, fatica, morte...non fanno parte del disegno originale di Dio; Egli opera per un disegno di vita, è il Dio dell'alleanza; la malattia e la morte sono il segno visibile di un disagio che, come un corpo estraneo, si è introdotto nel progetto sapiente di Dio: "Sì, Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono" (Sapienza 2,23-24).

Che i malvagi facciano esperienza della malattia è dunque ben giusto, ma perché allora anche gli onesti soffrono? Anzi, secondo il Salmo 73 (72), sono proprio i giusti a soffrire di più mentre i malvagi ammassano ricchezze. Che fare allora? "Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli occhi miei" (Sal 73,16). Una risposta c'è, ed il salmista la indica: "Quando si agitava il mio cuore e nell'intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia...Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre...Nel Signore Dio è il mio rifugio" (Sal 73,21-22. 26.28).

Il libro di Giobbe indica anche una soluzione alla sofferenza del giusto, dando una risposta di fede: "Se accettiamo il bene da Dio, perché non dovremo accettare anche il male?" (Gb 2,10); "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore" (Gb 1,21); la sofferenza è vista come una "prova", un saggiare e un purificare la fede dell'uomo; rivela se l'uomo cerca Dio oppure se stesso; non è un gesto di ostilità da parte di Dio, ma un segno della sua libertà imperscrutabile; non smentisce l'amore di Dio, ma ne rivela il mistero e la scoperta di questo mistero, come la sua accettazione, sono parte essenziale dell'atteggiamento di fede; dice Giobbe :"Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono" (Gb 42,5). La sofferenza, da "prova" diventa "rivelazione": è un segno da leggere per purificare la nostra conoscenza di Dio. Il male è, Dio è; la loro coesistenza è un mistero, ma chi vuol evitare questo mistero corre verso l'assurdo: gli resterà la scelta o della negazione del male o della negazione di Dio.

 

Malattia e peccato.

Della malattia e della sofferenza "Anche i cristiani ne conoscono la portata e ne avvertono la complessità, ma illuminati e sorretti dalla fede, hanno modo di penetrare più a fondo il mistero del dolore e sopportarlo con più virile fortezza. Sanno infatti dalle parole di Cristo quale sia il significato e quale il valore della sofferenza per la salvezza propria e del mondo, e come nella malattia Cristo stesso sia loro accanto e li ami, lui che nella sua vita mortale tante volte si recò a visitare i malati e li guarì" (OUI 1).

Già i Profeti avevano annunciato che nel tempo del Messia Dio avrebbe fatto scomparire la malattia e la morte (Is 35,5-6; Mal 4,1-3). Gesù si pone dinanzi alla malattia come un male da togliere; gran parte della sua attività la dedica alle guarigioni per significare che il Regno di Dio è già qui, che la vittoria dell'amore di Dio sul peccato e sulle sue conseguenze è già iniziata. Si rifiuta di accettare la teologia rabbinica secondo cui la malattia è l'effetto diretto del peccato; in occasione della guarigione del cieco nato dirà che "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio" (Gv 9,3; cf 11,5). Gesù ha guarito i malati, ma non tutti i malati; di fatto la malattia resta; ciò significa che essa non contraddice ai valori del Regno, anzi ha un valore salvifico e redentivo. Ne parla esplicitamente in occasione della risurrezione dell'amico Lazzaro. Gesù amava questo suo amico, eppure lo lascia morire. Segno della impotenza di Gesù o della sua punizione? No. "E' per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato" (Gv 11,4). A questo proposito Gesù richiede a Marta e a Maria un atto di fede: confessare la propria incapacità a salvarsi e proclamare che la salvezza viene da Dio per mezzo di Colui che il Padre ha costituito Risurrezione e Vita (Gv 11,25). Una salvezza promessa soprattutto agli emarginati e agli esclusi. Assume egli stesso la condizione del Servo che toglie via il peccato del mondo (Gv 1,29) e si assume le nostre infermità e si addossa le nostre malattie (Mt 8,16-17).

Soffrendo egli stesso nella sua passione pene e tormenti di ogni genere, fece suoi i dolori di tutti gli uomini: portava così a compimento quanto aveva scritto di lui il profeta Isaia (Is 53,4-5); anzi è ancora lui, il Cristo, che soffre in noi, sue membra, allorché siamo colpiti e oppressi da dolori e da prove: prove e dolori di breve durata e di lieve entità, se si confrontano con la quantità eterna di gloria che ci procurano (2 Cor 4,17). Indica ai suoi discepoli che ogni volta che ameranno, serviranno i poveri e gli ammalati, sarà a lui stesso che presteranno un tale servizio (Mt 25,36-38).

Nessun rapporto dunque tra malattia e peccato? "Non si può negare che ci sia uno stretto rapporto tra la malattia e la condizione di peccato in cui si trova l'uomo; ma sarebbe un errore il considerare la malattia stessa, almeno in linea generale, come un castigo di peccati personali (cf Gv 9,3)" (OUI 2).

Nella cura pastorale dei malati si dovrà tenere nella massima considerazione che:

* il malato non è un segnato, un punito da Dio;

* il malato non è solo e abbandonato: Cristo è con lui, avendo fatto suoi i dolori di tutti gli uomini;

* il malato non è un fallito: Cristo ha integrato la sofferenza nell'ordine della redenzione e l'ha trasformata in strumento di salvezza;

* il malato non è inutile: inserito nella Pasqua di Cristo, completa nella sua carne quello che manca alla passione di Cristo (Col 1,24).

 

Rientra dunque nel piano stesso di Dio e della sua provvidenza che l'uomo lotti con tutte le sue forse contro la malattia in tutte le sue forme, e si adoperi in ogni modo per conservarsi in salute: la salute infatti, questo grande bene, consente a chi la possiede di svolgere il suo compito nella società e nella Chiesa. Ma si deve anche essere pronti a completare nella nostra carne quello che ancora manca ai patimenti di Cristo per la salvezza del mondo, nell'attesa che tutta la creazione, finalmente liberata, partecipi alla gloria dei figli di Dio (cf Col 1,24; Rm 8,19-21).

Non solo, ma i malati hanno nella Chiesa una missione da compiere e una testimonianza da offrire: quella di rammentare a chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi da tener presenti, e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e salvare questa nostra vita mortale (OUI 3).

 

Lotta contro la malattia.

Il malato deve lottare contro la malattia: ma non lui soltanto. Anche i medici, anche tutti coloro che sono addetti al servizio degli infermi, non devono tralasciare nulla di quanto può essere fatto, tentato, sperimentato per recar sollievo al corpo e allo spirito di chi soffre; così facendo mettono in pratica quelle parole del vangelo in cui Cristo raccomanda di visitare i malati; ma riferendosi al malato, Cristo intende l'uomo nell'integralità del suo essere umano: chi quindi visita il malato, deve recargli sollievo nel fisico e conforto nello spirito (OUI 4).

 


IL MATRIMONIO:

SEGNO DELL'AMORE TRA CRISTO E LA CHIESA.

 

Tra i sette sacramenti della Chiesa ve ne sono due destinati al servizio e alla comunione: conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio; sono il sacramento dell'Ordine, destinato alla santificazione del popolo di Dio, e il sacramento del Matrimonio, destinato alla santificazione dell'unione sponsale tra l'uomo e la donna.

 

Il disegno di Dio creatore.

Il matrimonio non è un'istituzione puramente umana; si può ben  dire che Dio stesso è l'autore del matrimonio (Gaudium et spes 48) dal momento che fin dalla creazione l'intima comunione di vita e di amore coniugale tra l'uomo e la donna sono strutturate con leggi proprie mediante un vincolo indefettibile ben superiore perfino ai più sacri legami del sangue (Gen 2,24). La loro relazione d'amore fa di essi "una sola carne" (Gen 2,24); perciò questo vincolo sacro non dipende dall'arbitrio umano, ma dall'autore del matrimonio, che lo volle dotato di molteplici beni e fini. Gesù stesso ricorderà che "fin da principio" (Mt 19,6) l'amore dell'uomo e della donna è benedetto da Dio come una realtà "molto buona" (Gen 1,31) destinata alla missione di crescere, di moltiplicarsi e di dominare la terra. Dopo averli creati a sua immagine e somiglianza (Gen 1,27), il Dio Amore li associa a sé come "pro-creatori" di ogni nuovo essere umano.

L'Antico Testamento farà ricorso più volte all'immagine sponsale tra l'uomo e la donna per rappresentare il vincolo di Alleanza che unisce Dio al suo popolo (cf Osea 2,18; Geremia 2,32). Questo vincolo, purtroppo, non sempre è fedele all'ideale stabilito dal Creatore; esso è minacciato dallo spirito di dominio, dalla gelosia, dall'infedeltà, dalla divisione. Lo scisma da Dio procura inevitabilmente la rottura con se stessi, col prossimo, col mondo. Il peccato introduce un disordine nella capacità di amare e nel modo di esprimere l'amore.

Ebbene, anche questa esperienza del limite serve ai Profeti per far percepire l'aspetto più misterioso dell'amore di Dio: Egli è fedele nonostante tutto e il suo amore è senza pentimento (Os 2,21-22; Deut 28,15-18). Le vere nozze saranno quelle del tempo messianico (Ger 31,21-22.31-34).

 

Un mistero grande.

Le promesse dei Profeti si avverano quando l'amore di Dio diventa visibile in Cristo; d'ora in poi non sarà più l'esperienza matrimoniale ad illustrare l'amore di Dio per il suo popolo, ma sarà l'amore di Cristo per la sua Sposa-Chiesa che diventerà il modello-prototipo non solo dell'amore che lega Dio agli uomini, ma della stessa società coniugale.

In questa nuova realtà Gesù si presenta come lo Sposo (Lc 5,34-35; Gv 3,29), mentre la Chiesa è la Sposa amata, purificata (Ap 22,17; Ef 5,26-27). In occasione della Pasqua definitiva il sangue dell'Agnello diviene il testamento d'amore con cui lo Sposo si unisce alla Sposa. I doni nuziali sono l'acqua, il sangue, lo Spirito (1 Gv 5,5-8). Come ben hanno visto i Padri, dal costato aperto di Cristo "nasce" la Chiesa, la Sposa del nuovo Adamo, la Sposa che il sangue dello Sposo ha purificato per sempre (Ap 5,9; 19,7). E' questo "un mistero grande", come afferma san Paolo (Ef 5,22-23): il matrimonio cristiano diventa il segno-sacramento dell'alleanza tra Cristo e la Chiesa, ne significa e ne comunica la grazia. Chi vivrà un matrimonio santo potrà in questo stesso amore vivere il Mistero grande nuziale che lega Cristo alla Chiesa Sposa.

Già grande sul piano della realtà creata, il patto matrimoniale tra due battezzati viene elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento; viene assunto nella carità sponsale di Cristo, sostenuto e arricchito dalla sua forza redentrice. La grazia sacramentale del matrimonio cristiano, derivante dalla croce di Cristo, permette agli sposi di vivere il rapporto coniugale nella nuova dimensione del Regno di Dio. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Il matrimonio dei battezzati diventa così il simbolo reale dell'alleanza nuova ed eterna, sigillata nel sangue di Cristo. Lo Spirito, effuso dal Signore, dona loro un cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce (Familiaris consortio 13).

Mediante questo sacramento lo Spirito Santo fa sì che, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, così anche i coniugi cristiani potranno mantenere e alimentare la loro unione coniugale nell'uguale dignità, nella mutua dedizione e con quell'amore indiviso che ha la sua sorgente nell'amore stesso di Dio. Unendo così valori umani e divini, potranno, sia nelle gioie sia nelle prove della vita, conservarsi vicendevolmente fedeli nel corpo e nello spirito.

 

Matrimonio e verginità.

Creando l'uomo per amore e chiamandolo all'amore come vocazione fondamentale e innata, Dio resta il primo referente nell'espressione di questo amore; il legame con lui deve occupare il primo posto rispetto a tutti gli altri (Lc 14,26). Nella Chiesa sono sempre coesistite due forme di partecipazione a questo amore di alleanza nuziale tra Dio e l'uomo.

Matrimonio e verginità sono pertanto due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero dell'alleanza di Dio con il suo popolo. Entrambi provengono dal Signore stesso; è Lui che dà loro senso e concede la grazia indispensabile per viverli conformemente alla sua volontà (Mt 19,11-12). Se non vi fosse la stima per il matrimonio non avrebbe senso rinunciarvi per il regno dei cieli. La stima della verginità per il Regno e il senso cristiano del matrimonio sono inseparabili e si favoriscono reciprocamente.

Fin dall'inizio della Chiesa vi sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per imitare più da vicino Cristo in questo genere di vita (Mt 19,12), per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4), per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di piacergli (1 Cor 7,32), per andare incontro allo Sposo che viene (Mt 25,6).

Il carisma della verginità permette alla persona di donarsi integralmente a Cristo e alla Chiesa in attesa delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa. La persona vergine anticipa così nella sua carne il mondo nuovo della risurrezione futura quando non si prenderà moglie né marito, ma si sarà come gli angeli nel cielo (Mt 22,30). La verginità è anche un segno che ricorda come il matrimonio è una realtà del mondo presente che passa (Mc 12,25; 1 Cor 7,31).

 

I riti nuziali

Nel bacino del mediterraneo gli usi civili matrimoniali sono stati pressoché identici: un rito di fidanzamento basato sullo scambio delle promesse (Spondeo, cioè "prometto", da cui la parola "sposi") e dal dono dell'anelo alla ragazza; un rito matrimoniale in tre tempi: l'imposizione del velo (nubere, velare, da cui la parola "nozze"), lo scambio dei consensi e la lettura del contratto alla presenza di testimoni, il congiungimento della mano destra. La parte costitutiva del rito nuziale era lo scambio dei consensi, come afferma il Digesto di Giustiniano (a. 528): "Le nozze sono fatte non dallo stare a letto, ma dal consenso".

La tradizione cristiana accettò questi usi tradizionali, purificandoli degli elementi idolatrici. Con il IV secolo ha inizio un nucleo essenziale di rito liturgico. Di preferenza ci si sposava dinanzi al vescovo "perché il matrimonio sia secondo il Signore e non secondo la passione" (s. Ignazio di Antiochia); secondo il Signore stava a significare che i battezzati si uniscono nel Cristo e la loro unione diventa partecipazione di quella di Cristo con la Chiesa. Le mani si congiungono sui Vangeli ed è interdetta ogni forma di divorzio. Si impone il velo alla sposa, entrambi ricevono una corona di fiori, si firma l'atto di matrimonio. Più tardi l'imposizione del velo fu accompagnata da una preghiera di benedizione: creati per amore, l'uomo e la donna, della medesima natura, esprimono nel matrimonio una misteriosa complementarietà fondata sull'unità indissolubile; la benedizione chiede, come dono speciale di Dio, la fecondità.

E' utile ricordare che nello stesso periodo anche la consacrazione delle vergini avveniva con l'imposizione del velo: entrambe le benedizioni sottolineano la partecipazione al legame che unisce Cristo alla Chiesa. La distinzione sta in questo: mentre il matrimonio rimane nell'ordine del segno, la verginità consacrata è partecipazione alla realtà stessa di cui il matrimonio è segno.

Verso il secolo X, in epoca di grande crisi anche per la famiglia, la Chiesa volle proteggere la libertà di consenso della sposa e reprimere gli abusi di ripudio, dando forma solenne alla scambio dei consensi "davanti alla porta della Chiesa" (e non più nella casa della fidanzata). Gli sposi partecipavano poi alla liturgia eucaristica facendo la comunione sotto le due specie.

Il Vaticano II ha voluto che il rito del matrimonio fosse riveduto e arricchito in modo che più chiaramente venga significata la grazia del Sacramento e vengano inculcati i doveri dei coniugi (SC 77). Il nuovo rituale del matrimonio, il primo della riforma liturgica, è stato pubblicato nel 1969 (la seconda edizione nel 1990).

La liturgia nuziale sta a significare che quanti si sposano in Cristo hanno la forza di partecipare, nella fede della Parola di Dio, al mistero dell'unione di Cristo e della Chiesa, di viverlo religiosamente e di renderne pubblica testimonianza davanti a tutti. Il matrimonio, alla luce della fede desiderato, preparato, celebrato e vissuto nella vita quotidiana è quello "che la Chiesa unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica.. Quale giogo quello di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un'unica osservanza, in un'unica servitù! Sono tutt'e due fratelli e tutt'e due servono insieme; ma non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito" (Tertulliano).

 


SPOSARSI NEL SIGNORE

 

Essendo lo Sposo che ama e salva la Chiesa Sposa, Cristo partecipa questo suo amore agli sposi cristiani. L'amore di Cristo per la Chiesa diventa il modello della comunione tra gli sposi, ed è fonte di grazia per il suo esistere ed operare. Attraverso il sacramento del matrimonio gli sposi cristiani sono resi partecipi della stessa comunione trinitaria, sono sostenuti dall'amore redentivo di Cristo, sono arricchiti dall'azione salvifica della Chiesa.

Il matrimonio sacramento si caratterizza per alcune qualità specifiche; sottostà ad alcune esigenze particolari; produce effetti propri.

 

Le qualità.

L'alleanza matrimoniale, mediante la quale un uomo e una donna costituiscono tra loro una comunione di vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore e Cristo stesso l'ha arricchita e dotata di grazie particolari mediante il suo sacrificio pasquale, fino ad elevarla alla dignità di sacramento.

Le qualità o caratteristiche essenziali per un matrimonio cristiano possono essere così indicate: unità e indissolubilità, fedeltà, fecondità.

 

a. L'unità e l'indissolubilità.

L'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, si abbia anche un cuore solo e un'anima sola "così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19,6; Gen 2,24).

L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore (Gaudium et spes 49).

L'opposto di queste due qualità sono: la poligamia in quanto contraddice al disegno originale di Dio ed offende la pari dignità personale dell'uomo e della donna che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo;  il divorzio in quanto separa ciò che Dio ha unito (Mt 19,6) e contraddice a quella definitività che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza.

 

b. La fedeltà.

L'amore coniugale è anche un amore fedele ed esclusivo fino alla morte; così è concepito dagli sposi nel giorno del loro matrimonio quando, liberamente ed in piana consapevolezza, ciascuno afferma: "prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita". La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele: L'opposto della fedeltà è l'adulterio. I Profeti l'hanno concepito come una forma di idolatria (Os 2,7) e il Nuovo Testamento lo condanna in modo assoluto (Mt 5,32; 19,6; Mc 10,11; 1 Cor 6,9-10). L'adulterio è un'ingiustizia, una ferita del vincolo matrimoniale che compromette l'unione stabile dei genitori ed il bene dei figli.

 

c. La fecondità.

La fecondità è il segno e il frutto dell'amore coniugale, la testimonianza viva della piena donazione reciproca degli sposi, l'espressione concreta dell'essere dalla parte della vita. L'amore coniugale tende per sua propria natura ad essere fecondo dal momento che il significato unitivo ed il significato procreativo formano l'unità dell'atto coniugale voluto da Dio. Gli sposi sono chiamati per speciale vocazione ad essere cooperatori dell'amore di Dio creatore e di Cristo Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia. Essendo un atto di amore pienamente umano, non quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, gli sposi devono compiere il loro dovere coniugale con umana e cristiana responsabilità. Per paternità responsabile si intende la coscienza di essere ministri del disegno di Dio e di usufruire della sessualità secondo l'originario dinamismo della donazione totale, senza manipolazioni e alterazioni; esige anche di salvaguardare l'amore dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività, promuovendolo piuttosto verso una sua piena realizzazione.

Ciò comporta la scelta dei ritmi naturali della fecondità, il distanziare per validi motivi le nascite dei figli, l'accoglienza del numero stesso dei figli.

La fecondità dell'amore coniugale non si restringe però alla sola procreazione dei figli, ma si allarga e si arricchisce di tutti quei frutti di vita morale, spirituale e soprannaturale che il padre e la madre sono chiamati a donare ai figli e, mediante i figli, alla Chiesa e al mondo. Generando nell'amore e per amore una nuova persona, i genitori si impegnano ad educarla a vivere una vita pienamente umana e cristiana.

 

Le esigenze.

Il matrimonio è costituito dal patto coniugale, ossia dal consenso irrevocabile con il quale i due sposi liberamente e scambievolmente si donano e si ricevono tanto da diventare "una sola carne" (Gen 2,24; Mt 19,6). Per raggiungere il proprio fine specifico, cioè il bene dei coniugi e la procreazione e l'educazione dei figli, l'unione coniugale esige la piena fedeltà dei coniugi, l'unità indissolubile, la libertà di consenso. Essere liberi vuol dire poter esprimere la propria adesione senza costrizioni e senza impedimenti. Se tale libertà manca, il matrimonio è invalido. La "dichiarazione di nullità" emessa da un tribunale ecclesiastico non ha nulla a che fare con l'impropria espressione "sciogliere il matrimonio". Neppure la Chiesa può sciogliere un matrimonio valido, mentre può dichiarare che esso non è mai avvenuto quando siano mancate le condizioni essenziali.

 

Gli effetti.

Il libero consenso, suggellato da Dio stesso (Mc 10,9), produce il vincolo matrimoniale perpetuo ed esclusivo. Questo vincolo sacro non dipende dall'arbitrio umano, ma dall'autore del matrimonio, che lo volle dotato di molteplici beni e fini. L'alleanza umana è così confermata, purificata, perfezionata e integrata nell'alleanza divina.

Il matrimonio cristiano corrobora e consacra gli sposi con uno speciale sacramento. Attraverso la grazia propria del sacramento del matrimonio Gesù Cristo dona agli sposi un nuovo modo di essere per il quale sono come:

* configurati a lui Sposo della Chiesa e posti in un particolare stato di vita entro il popolo di Dio; diventano una "chiesa domestica" (LG 11; AA 11; FC 21) dove agisce l'amore di Cristo che salva e dove si annuncia e si comunica tale amore agli altri; in questo santuario domestico della Chiesa Gesù Cristo rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è donato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione;

* consacrati in tutta la loro esistenza coniugale; a questo scopo sono arricchiti di doni e ministeri particolari per poter compiere una missione non solo verso la loro famiglia, ma anche per la Chiesa e per il mondo intero;

* purificati dall'intervento redentore di Cristo; di fronte all'esperienza del peccato vengono resi capaci di partecipare alla vittoria di Cristo superando la tentazione dell'egoismo e dedicare la loro esistenza al servizio del Regno di Dio;

* rafforzati dalla straordinaria potenza dello Spirito santificatore per vivere un amore fedele, fecondo, duraturo, anche in vista di quelle difficoltà concrete della vita che possono rendere ardua la piena fedeltà alla vocazione e alla missione ricevuta.

 

La preparazione.

Perché non siano ridotti a gesti magici o puramente decorativi o folclorici, i sacramenti devono essere "evangelizzati", cioè annunziati come segni della fede dal momento che solo con la fede il sacramento raggiunge la sua piena efficacia di grazia.

Il matrimonio non arriva a caso nella vita di due persone:

 * non si fa all'ultimo momento, ma deve diventare il punto di arrivo di un'opera educativa che, oltre a curare lo sviluppo di una maturità umana, si preoccupa di formare anche una mentalità di fede;

* non si fa da soli, ma deve coinvolgere l'intera comunità ecclesiale, gli operatori della pastorale dei fidanzati, le coppie di coniugi, gli stessi sacerdoti;

* si procede per gradi, partendo dall'ascolto della Parola di Dio che permette di conoscere e di accogliere la novità cristiana dell'esistenza coniugale e la vera natura del matrimonio; si parteciperà al sacramento della Penitenza che aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi al'accoglienza e al dono vicendevole; si pregherà individualmente ed insieme, soprattutto con la Liturgia delle Ore, per edificare una famiglia che sia un santuario domestico; sono previste anche delle benedizioni specifiche per i fidanzati (Benedizionale 195-214);

* aperti alla carità e al servizio che liberano i fidanzati ora e gli sposi poi da un intimismo egoistico e li spingono ad una apertura generosa verso gli altri; occorre diventare segno credibile di quell'amore di donazione con il quale il Signore chiama gli sposi nell'incontro sacramentale.

 

La celebrazione.

Il matrimonio tra due fedeli cattolici è celebrato normalmente durante la Messa, a motivo del legame di tutti i sacramenti con il Mistero pasquale di Cristo. Dal momento poi che nel sacrificio eucaristico Cristo stesso continua ad offrirsi alla sua diletta Sposa, la Chiesa, è conveniente che gli sposi suggellino proprio in questo memoriale della nuova alleanza il loro consenso e la loro reciproca volontà di donazione unendola all'offerta di Cristo per la sua Chiesa; comunicando al medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi saranno sacramentalmente aiutati a formare "un solo corpo" in Cristo (1 Cor 10,17).

Tuttavia, quando si dovesse costatare che i due fidanzati non sono pronti ad entrare veramente nell'Eucaristia e a fare convintamente la Comunione, "è consigliabile omettere la celebrazione dell'Eucaristia" (Rito del Matr. n.8) limitandosi alla sola celebrazione della Parola.

La celebrazione del matrimonio dovrebbe essere:

* evangelizzante: deve svolgersi in maniera tale da essere, anche nell'aspetto esteriore, proclamazione della Parola di Dio e professione di fede su ciò che la Chiesa crede;

* ecclesiale: il matrimonio non è un avvenimento che riguarda i soli sposi o i loro parenti, ma, in quanto sacramento della Chiesa, deve coinvolgere e interessare anche tutta la comunità cristiana; pertanto: il luogo normale delle nozze è la comunità della parrocchia nella quale i fidanzati sono inseriti o andranno a vivere; si dovrebbe scoraggiare con fermezza la prassi di sposarsi in altre chiese dove prevale lo spettacolo e l'ostentazione; dal momento poi che Cristo fa partecipare tutti gratuitamente della sua salvezza, il rito esige che sia svolto in maniera dignitosa ma senza quella sfarzosità e quel lusso che possono contraddire alla povertà di tanti fratelli.

Nella celebrazione del matrimonio gli sposi sono:

* i ministri della grazia di Cristo che, esprimendo davanti alla Chiesa il loro consenso, si conferiscono mutualmente il sacramento del matrimonio; in forza del suo agire onnipotente e gratuito, Dio comunica ad essi un nuovo modo di essere e li fa segno dell'unione nuziale di Cristo con la Chiesa;

* i protagonisti di un avvenimento di salvezza dal momento che, esprimendo col consenso un impegno umano di vero amore coniugale, fanno spazio alla forza di santificazione che Cristo introduce nel matrimonio sacramento.

 

Il rito nuziale.

Prendendo a modello il rito nuziale durante la Messa, i passaggi principali sono:

* l'accoglienza degli sposi alla porta di Chiesa da parte del celebrante; un saluto semplice e cordiale, non burocratico né formale, che assicuri agli sposi la partecipazione dell'intera comunità alla loro gioia.

* liturgia della Parola. Il Lezionario permette di scegliere tra le 8 letture dall'AT con il rispettivo salmo responsoriale; 10 letture dall'Apostolo; 10 letture dal Vangelo; l'omelia, che dovrebbe sempre partire dal testo sacro, ha la funzione di esporre il mistero del matrimonio cristiano, la dignità dell'amore coniugale, la grazia del sacramento, i doveri degli sposi.

* il rito sacramentale. Il celebrante ricorda agli sposi che Dio approva, benedice e suggella il loro amore; li interroga quanto alla libertà, alla fedeltà, alla fecondità. Lo scambio dei consensi, a cui la Chiesa annette valore sacramentale, avviene mentre gli sposi si stringono la mano destra e pronunziano la formula che dice: "Io N. prendo te N: come mia sposa (sposo) e prometto di esserti fedele in ogni circostanza, felice o avversa,nella buona o nella cattiva salute, e di amarti e rispettarti per tutta la vita".

Il celebrante ratifica il consenso manifestato davanti alla Chiesa invocando la conferma e la benedizione di Dio per cui "l'uomo non osi separare ciò che Dio unisce".

Vengono poi benedetti gli anelli, segno di amore e di fedeltà; gli sposi nello scambiarsi il dono dell'anello e nel richiamare ciò di cui esso è segno, invocano l'aiuto della Trinità santissima.

La preghiera dei fedeli conclude il rito sacramentale.

* la liturgia eucaristica. Sarebbe auspicabile che gli stessi sposi portassero i doni all'altare. Si dovrebbe prevedere la comunione sotto le due specie e un'ostia sufficientemente grande da dividere in due parti quale segno di partecipazione all'unico Pane per formare un unico corpo in Cristo Signore.

Il Messale prevede un formulario di Messa per gli sposi con la possibilità di scelta tra 4 Collette, 3 orazioni sulle offerte, 3 Prefazi, 3 orazioni dopo la Comunione.

* riti di comunione. Dopo il Padre nostro, il celebrante rivolto verso gli sposi recita su di loro la "Solenne benedizione della sposa e dello sposo". Mentre nello scambio dei consensi erano stati in primo piano gli stessi sposi per esprimere il loro impegno d'amore, ora in primo piano è Dio stesso che benedice quell'amore e ne feconda i frutti. Tenendo stese le mani sugli sposi in gesto di "epiclesi" il celebrante invoca lo Spirito Santo come Comunione di amore di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32); si chiede la ricchezza delle benedizioni divine sulla sposa e sullo sposo perché possano adempiere in pienezza quei doveri e cui sono chiamati col matrimonio. Lo Spirito è il sigillo dell'alleanza nuziale, la sorgente del loro amore, la forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà.

Gli sposi si scambiano il segno (bacio) della pace e dell'amore.

La partecipazione all'Eucaristia, più significativa se fatta sotto le due specie, è fonte di concordia nel vincolo dell'amore, è edificazione nella fedeltà e nella testimonianza di amore presso i fratelli.

La Messa termina con una benedizione (3 formulari), propiziatrice dei seguenti doni: la pace di Cristo, la benedizione nei figli, il conforto degli amici, la vera pace con tutti, l'assistenza nei momenti di serenità e di prova, l'effusione dello Spirito di amore, la gioiosa speranza di vivere una felicità senza fine.

Il Messale prevede formulari anche per l'anniversario di Matrimonio, per il venticinquesimo e per il cinquantesimo.

 

Comunità missionaria.

Benedetto da Dio, il matrimonio cristiano fà degli sposi una comunità di grazia e di preghiera, una scuola di virtù umane e di carità cristiana, soprattutto diventa comunità credente ed evangelizzante, luogo privilegiato dove i figli ricevono il primo annuncio della fede. Il sacramento del matrimonio, che riprende e ripropone il compito, radicato nel battesimo e nella cresima, di difendere e diffondere la fede, costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo, veri e propri missionari dell'amore e della vita.

 

 

Per un approfondimento:

GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio (22.11.1981): Enchiridion Vaticanum 7/1522-1810;

EPISCOPATO ITALIANO, Documento pastorale Evangelizzazione e sacramento del matrimonio (20.6.1975): Enchiridion CEI 2/2091-2218.

EPISCOPATO ITALIANO, Documento pastorale Comunione e comunità: II. Comunione e comunità nella Chiesa domestica, (1.10.1981): Enchiridion CEI 3/707-742.

UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA FAMIGLIA, La preparazione dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia (24.6.1989): in Enchiridion CEI 4/1684-1803;

 


I SACRAMENTALI

 

Secondo le indicazione della Costituzione liturgica (SC 60) e del Codice di Diritto Canonico (CIC 1166), oltre alla celebrazione dei sette sacramenti esistono altre celebrazioni liturgiche, e tra queste vi sono i sacramentali.

 

Che cosa è un sacramentale.

Sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita (SC 60).

I sette sacramenti sono istituiti da Cristo, sono efficaci per il solo fatto che avviene la celebrazione (ex opere operato), in quanto Cristo è il soggetto agente, e, ai ben disposti, donano la grazia dello Spirito Santo.

I sacramentali invece sono istituiti dalla Chiesa, la loro efficacia dipende dalla impetrazione della Chiesa (ex opere operantis Ecclesiae), non donano la grazia dello Spirito Santo; però, mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa.

Mentre i sacramenti, istituiti da Cristo, santificano i momenti fondamentali della vita cristiana con il dono dello Spirito Santo, i sacramentali sono istituiti dalla Chiesa per santificare tanti altri momenti della vita delle persone ed anche per la santificazione delle cose utili all'uomo.

La celebrazione dei sacramentali comporta sempre la proclamazione della Parola di Dio, una preghiera di invocazione o intercessione, spesso accompagnata da un segno (es. imposizione della mano, segno della croce, aspersione con l'acqua benedetta che richiama il Battesimo).

In questo modo ai fedeli ben disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita cristiana per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale di Cristo, mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali.

 

Quali sono i sacramentali.

Per praticità distinguiamo i sacramentali che sono per la santificazione delle persone da quelli che sono per la santificazione delle cose.

Per le persone.

Oltre ai momenti fondanti della santificazione delle persone che avviene con i sacramenti (si pensi all'Ordine per i ministri sacri e al Matrimonio per gli sposi), vi sono altre situazioni nella vita delle persone che necessitano di una particolare grazia divina impetrata dalla Chiesa per l'esercizio della loro missione.

I sacramentali istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri ecclesiastici e per alcuni stati di vita sono:

* Rito della consacrazione delle vergini (una donna si consacra in perpetuo a Dio con il proposito di verginità per il regno dei cieli);

* Rito della professione religiosa (è la promessa pubblica di vivere in povertà, castità, obbedienza, sotto la regola di una famiglia religiosa);

* Rito della benedizione dell'Abate e dell'Abbadessa (costituisce il superiore di una comunità monastica nel ruolo di padre e di maestro);

* Istituzione dei ministri straordinari della Comunione (si affida ai laici il mandato di aiutare i ministri ordinati nella distribuzione della Comunione);

* Istituzione dei lettori, degli accoliti, dei catechisti, ecc.;

* Gli esorcismi. Sono invocazioni della Chiesa con le quali si domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del Maligno e sottratto al suo dominio. Gesù stesso ha praticato questo ministero (Mc 1,25s) e lo ha affidato alla Chiesa (cf Mc 3,15; 6,7.13; 16,17). Vi sono gli esorcismi praticati durante la celebrazione del Battesimo; e vi sono altre forme di esorcismo solenne, praticate dal solo sacerdote col permesso del vescovo, allo scopo di scacciare i demoni o liberare dall'influenza demoniaca mediante l'autorità spirituale che Cristo ha affidato alla sua Chiesa.

 

 

Per le cose.

* Rito della Dedicazione della chiesa e dell'altare (significa <destinare> un luogo unicamente al culto di Dio e alla riunione dell'assemblea ecclesiale; come il cristiano è iniziato alla vita divina mediante l'aspersione battesimale e l'unzione, così anche il luogo dove si riuniscono i cristiani viene asperso con acqua e unto con il crisma);

* Le benedizioni. Origine e fonte di ogni benedizione è Dio; lui solo è buono e ha fatto bene ogni cosa, per colmare di benedizioni tutte le sue creature. Nel Figlio, la massima benedizione del Padre, tutti gli uomini sono benedetti con ogni benedizione spirituale (cf Gal 4,4; Ef 1,3). Nello Spirito possiamo lodare e magnificare in tutte le cose Dio Padre e nello stesso Spirito possiamo risanare il mondo con la divina benedizione.

Come si vede, la benedizione ha un movimento discendente quando è Dio stesso che benedice assicurando il suo aiuto, annunziando la sua grazia, proclamando la sua fedeltà. Ha invece un movimento ascendente quando è l'uomo che benedice Dio proclamando le sue lodi, rendendo a lui grazie, tributandogli il culto e l'ossequio della propria venerazione. Si possono benedire anche le persone invocando su di loro l'aiuto di Dio per comunicare i benefici divini e la protezione della sua provvidenza. E si possono benedire anche le cose quale attestazione di volersi servire di esse in modo che il loro uso porti a cercare Dio, ad amare Dio, a servire fedelmente Lui solo.

La Chiesa, sacramento di salvezza, mediante il rito delle benedizioni compie il suo ministero di glorificazione di Dio e di santificazione degli uomini sotto l'azione dello Spirito Santo.[64]

Il Benedizionale prevede benedizioni per le seguenti persone: missionari, catechisti, malati, anziani, famiglie, figli, fidanzati, ecc.

Lo stesso Benedizionale distribuisce poi la benedizione delle cose aggregandole attorno a queste realtà: le case e gli ambienti di lavoro, gli impianti e gli strumenti tecnici, la terra e i suoi frutti, i luoghi e gli oggetti di culto.

 

I ministri delle benedizioni sono generalmente i sacerdoti e i diaconi, ma in molti casi possono essere anche i laici (catechisti, genitori, capo-famiglia).

 

 

Le esequie cristiane.

Professione di fede pasquale. Nelle esequie cristiane la Chiesa professa questa fede: <Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà>. Essa crede che coloro che muoiono nel Signore, compiendo l'ultima Pasqua del cristiano, passano da questo mondo al Padre. Nelle esequie essa dà anche una risposta alle ansietà dell'uomo circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di comunicare in Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, col dare la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio (GS 18). Le esequie cristiane sono una professione di fede nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.

 

Professione di fede nella comunione dei Santi. Nelle esequie la Chiesa prega che i suoi figli, incorporati per il Battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla morte alla vita e, debitamente purificati nell'anima, vengano accolti con i santi e gli eletti nel cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della venuta di Cristo e la risurrezione dei morti.

E' per questo che la Chiesa, madre pietosa, offre per i defunti il Sacrificio eucaristico, memoriale della Pasqua di Cristo, e innalza preghiere e compie suffragi; e poiché tutti i fedeli sono uniti in Cristo, tutti ne risentono vantaggio: aiuto spirituale i defunti, consolazione e speranza quanti ne piangono la scomparsa.

 

Suffragio e memoria. La madre Chiesa che ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna al termine del suo cammino per rimetterlo "nelle mani del Padre". Lo porta nella chiesa materiale dove lo riceve l'assemblea dei fedeli a significare l'ingresso nella Gerusalemme celeste dove lo accoglie la schiera dei Santi di Dio e gli Angeli del Signore. Asperge il suo corpo a ricordo del Battesimo che ha iscritto il suo nome nel libro della vita. Lo incensa in segno di venerazione come tempio dello Spirito Santo. Lo illumina col cero pasquale perché Cristo luce senza tramonto lo irradi del suo splendore e lo accolga nel suo Regno quale servo fedele o come vergine saggia.

Le esequie sono anche memoria di coloro che hanno lasciato questo mondo, ma con i quali siamo legati in Cristo con vincolo di carità fraterna. Il ricordo di persone care è incitamento a una vita cristiana più fervorosa e il pensiero di una loro maggiore vicinanza a Dio è motivo di conforto e gratitudine.

La partecipazione sacramentale al banchetto eucaristico, figura e pegno del banchetto escatologico nel Regno dei cieli, è per i fedeli il mezzo più efficace per una comunione di vita e di carità con i propri cari defunti, nella celebrazione della loro memoria.

 

La pietà popolare.

La vita di fede della Chiesa non si esaurisce nella celebrazione liturgica dei sacramenti e dei sacramentali, ma si estende ad altre espressioni di pietà quali la venerazione delle reliquie, i pellegrinaggi, le processioni, il rosario, la via crucis, ecc.[65]

Queste espressioni di fede sono chiamate pii esercizi; vanno tenute nella massima considerazione riconoscendone i valori, ma anche i limiti. Tra liturgia e pii esercizi vi deve essere questo chiaro rapporto: armonia, reciproco interscambio di valori, non concorrenza, non sovrapposizione. La liturgia, infatti, resta sempre di gran lunga superiore ai pii esercizi (Sacrosanctum concilium 13).

 


 

CONCLUSIONE

 

 

Tutto dalla Pasqua.

Durante la sua esistenza terrena Gesù ha manifestato il Regno di Dio con le sue opere e le sue parole, comunicando la salvezza a coloro che lo incontravano e in lui credevano. Dopo la sua morte, risurrezione e glorificazione alla destra del Padre, Egli continua la sua presenza operante nel mondo attraverso la Chiesa, suo Corpo visibile e organicamente strutturato, da lui costituita ad essere come un sacramento, o segno e strumento, dell'intima comunione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (LG 1).

 

Nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.

Per mandato del suo Sposo e Signore, in intima comunione con Lui, la Chiesa annuncia la Parola di salvezza e per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti attua l'opera stessa della nostra Redenzione. Nelle celebrazioni sacramentali il Signore Risorto continua ad essere presente al suo popolo e svolge la sua opera di santificazione in favore degli uomini, edificando così il suo Corpo in abitazione di Dio nello Spirito Santo (cf Ef 2,21-22).

Così, in forza di questa economia sacramentale, nella Chiesa è continuata e attuata la stessa opera di salvezza che Dio ha rivelato e attuato nel Mistero della Pasqua del Figlio suo, unico sacramento dell'incontro degli uomini con Dio.

 

Sorgenti di vita.

I Sacramenti sono le sorgenti originarie della vita nuova che, per la santificazione dello Spirito inviato da Cristo, il Padre comunica ai credenti.

Questa novità di vita prende avvio dall'acqua e dallo Spirito (cf Gv 3,5), si alimenta col pane di vita (cf Gv 6,35ss) ed ha, nei momenti decisivi del suo sviluppo, efficaci segni di salvezza che orientano e conducono progressivamente i fedeli di ogni stato e condizione, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste (cf Mt 5,48).

Ogni celebrazione sacramentale diventa così un incontro personale del Signore Gesù con coloro che, con fede illuminata e attiva, ricevono un Sacramento e si impegnano ad attuarne la grazia significata con una corrispondenza adeguata e fedele.

 

Pegno della gloria futura.

I Sacramenti, tuttavia, non solo edificano la Chiesa pellegrina in Corpo del Signore, ma annunciano e prefigurano anche cieli nuovi e terra nuova (cf 2 Pt 3,13), la piena manifestazione dei figli di Dio. Sono la garanzia che l'uomo tutto, nella sua componente di anima-corpo e nei suoi rapporti interpersonali, vedrà e godrà la gloria del Dio vivente, e con lui anche l'universo sarà trasformato.

 

La catechesi liturgica.

Appartenendo alle strutture ecclesiali dell'età presente, i Sacramenti rischiano di rimanere opachi e infruttuosi per chi non li guarda e non vi partecipa con fede. Le celebrazioni sacramentali suppongono la fede, la quale nasce e si alimenta con la Parola (cf Rm 10,17). La catechesi liturgica non è semplice spiegazione di riti, ma iniziazione all'intelligenza del mistero (mistagogìa), traduzione nella vita di quanto si è ricevuto nella fede (SC 10), cooperazione con la grazia divina per non riceverla invano (cf 2 Cor 6,1).

 



[1]) Questo è anche il titolo di un'opera di E. SCHILLEEBECHX, Cristo sacramento dell'incontro con Dio, Paoline, Roma 1962.

 

[2]) O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza, D'Auria, Napoli 1965.

 

[3]) Altre citazioni del Vaticano II sulla Chiesa quale <sacramento> si trovano in LG 9.48; AG 1; GS 42.45.

 

[4]) Si veda il Prefazio VIII nella solennità del Sacro Cuore:<dalla ferita del suo fianco effuse sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della Chiesa>; anche il prefazio per le domeniche per annum: con il sangue e la potenza dello Spirito formi la Chiesa.

 

[5]) Questo testo di S. Agostino è citato in Sacrosanctum Concilium n.7 là dove si parla della presenza di Cristo nella liturgia: <E' presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza>

 

[6]) La grazia sacramentale, propria di ciascun sacramento, è ben espressa in Lumen gentium n. 11.

 

bibliografia: MARTIMORT A.G., La Chiesa in preghiera. Vol III: I sacramenti, Queriniana, Brescia 1987; ROCCHETTA C., I sacramenti della fede. Saggio di teologia biblica sui sacramenti quali <meraviglie della salvezza> nel tempo della Chiesa, EDB, Bologna 1982; numero monografico di Rivista liturgica 2 (1980): <Perché dai sacramenti non nasce la Chiesa?>.

[7]) Il termine mistagogìa affonda le radici nella parola greca mystérion che a sua volta deriva dal verbo myéô che significa: insegnare una dottrina, iniziare ai misteri; infatti erano chiamati mystés coloro che venivano introdotti (=ago) nei santi misteri della fede, al termine del catecumenato: cf FEDERICI T., La mistagogìa della Chiesa. Ricerca spirituale, in ANCILLI E., <Mistagogìa e direzione spirituale>, Milano 1985, pp.165s. MAZZA E., La Mistagogìa. Una teologia della liturgia in epoca patristica, CLV - Edizioni Liturgiche, Roma 1988.

 

[8]) TEODORO DI MOPSUESTIA, Omelie catechetiche 12,2-3.

 

[9]) CIRILLO DI GERUSALEMME, Prima catechesi mistagogica I.

 

[10]) Il termine neofita significa, letteralmente <nuova pianta> e sta ad indicare coloro che, inseriti in Cristo e nella Chiesa con i sacramenti di iniziazione, sono ora capaci di portare frutto in abbondanza.

 

[11]) La Istituzione Generale del Messale Romano (=IGMR) ne parla ai nn.11.29.47.61.68a.86.

 

[12]) L'espressione, che si trova nelle succitate <Premesse> al RICA, n.1., non sembra molto chiara e in qualche modo in contradizione con SC 10 che parla della liturgia come <culmen et fons>; in effetti si vuol dire questo: va evitata una sacramentalizzazione ad ogni costo e si dia piuttosto all'evangelizzazione una <priorità> che sfoci poi nell'azione liturgica-sacramentale.

 

[13]) Nella città di Monaco di Baviera (Germania) già nel 1974 il 42% dei bambini non veniva battezzato nel corso del primo anno di vita.

 

[14]) Purtroppo molti sacerdoti, impreparati dinanzi a queste esigenze, battezzano subito questi fanciulli/ragazzi e li aggregano poi agli altri già battezzati da piccoli che stanno frequentando il catechismo per la prima comunione. Non è certo questo il desiderio del RICA.

 

[15]) Eventualmente si può fare il segno di croce anche sugli orecchi( per essere capaci di ascoltare la voce di Cristo), sugli occhi (per poter vedere le opere di Cristo), sulle labbra (per essere capaci di annunziare la verità come ha fatto Cristo), sul petto (perché con fede accolgano Cristo nel loro cuore), sulle spalle (per avere la forza di Cristo).

 

[16]) Per l'AT si suggerisce: Ez 36,25-28: Vi darò un cuore nuovo. Per il NT: Ef 4,1-6: Comportatevi in maniera degna della vocazione ricevuta; Lc 8,4-15: Il seminatore; oppure Lc 19,1-10: Zaccheo; oppure Gv 15,9-11: Rimanete nel io amore.

 

[17]) Dovrà essere adattata all'anno liturgico e fondata sulle celebrazioni della parola; sarà accompagnata dalla preghiera e dalla carità verso il prossimo (RICA 19); questo cammino catecumenale deve avere tutto il tempo necessario.

 

[18]) Si potrebbe creare nei fanciulli già battezzati quasi un senso di invidia, o far apparire il Battesimo posticipato come una soluzione migliore.

 

[19]) Altri testi sul battesimo come purificazione (Ef 5,26; Eb 10,22; 1 Cor 6,11; Tito 3,5), come nuova nascita (Gv 3,5; 1 Pt 1,3;2,2), come illuminazione (Eb 6,4; 10,32; Ef 5,14), come esodo dalla schiavitù (1 Cor 10,1-2).

 

[20]) Si legga Sacrosanctum concilium 2.7; Il rinnovamento della catechesi (RdC) 114.

 

[21]) Secondo Didaché 7,3 il battesimo per infusione è previsto nei casi di necessità.

 

[22]) Alcuni Padri hanno visto nel battesimo il prolungamento della maternità verginale di Maria (Didimo, Trinità II,13).

 

[23]) Per un approfondimento biblico-patristico dei segni battesimali rimandiamo a P. GIGLIONI, Temi biblici e teologici per la catechesi, Urbaniana University Press, Roma 1985.

 

[24]) SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Pstoralis actio sul battesimo dei bambini [20.10.1980]: in Enchiridion Vaticanum 7, 587-612.

 

[25]) Pelagio negava la trasmissione automatica del peccato originale, per cui riteneva inutile il battesimo dei bambini, mentre quello degli adulti doveva servire a cancellare i peccati commessi dalla singola persona.

 

[26]) Questo diritto-dovere è riconosciuto sul piano internazionale dalla Dichiarazione universale dei diritto dell'uomo, art. 26, n.3.

 

[27]) Abbiamo parlato di questo catecumenato per ragazzi nel nostro precedente articolo dedicato alla Iniziazione cristiana.

 

[28]) Dal Rito delle esequie per un bambino non battezzato

 

[29]) Sono stati accompagnati da una Costituzione Apostolica: il Messale, La Liturgia delle Ore, il Rito dell'Unzione dei malati, il Rito dell'Ordinazione.

 

[30]) Anche l'Oriente è rimasto sensibile a questa prerogativa del Vescovo: ancora oggi il myron, il nostro crisma, è benedetto dal vescovo e non dal sacerdote che pure resta il ministro ordinario dei tre sacramenti di iniziazione.

 

[31]) Qualche esempio. Innocenzo III (1198-1216) afferma:<Con la crismazione sulla fronte viene designata l'imposizione della mano che con altro vocabolo si dice Confermazione, poiché per mezzo di essa viene dato lo Spirito Santo per la crescita e l'irrobustimento>; nel II Concilio di Lione (1274) si dice che la Confermazione viene conferita dai vescovi <mediante l'imposizione delle mani, ungendo con il crisma i battezzati>.

 

[32]) <Io ti segno col segno della croce e ti confermo con il Crisma della salvezza. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo>. Questa formula compare per la prima volta nel Pontificale Romano del secolo XII.

 

[33]) Si tenga presente la epiclesi di comunione nella III Prece eucaristica: <A noi che ci nutriamo del corpo e sangue di Cristo dona la pienezza dello Spirito Santo>. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la pienezza del dono dello Spirito si ha solo a partire dalla Pasqua-Pentecoste, mistero celebrato e attuato nel sacramento pasquale per eccellenza, cioè l' Eucaristia.

 

[34]) Anche Sansone (Giudici 13,5), Samuele (1 Sam 1,11), Geremia ( Ger 1,5), il Servo (Is 49,1), Giovanni Battista (Lc 1,15), Paolo (Gal 1,15), sono stati consacrati da Dio <fin dal seno materno>.

 

[35]) Si faccia attenzione, soprattutto nel Vangelo di Luca, all'insistenza con cui viene espressa la presenza dello Spirito Santo in Gesù in vista del suo ministero profetico-messianico: la presenza dello Spirito si può intravedere anche nella <gloria> che avvolge Gesù nella trasfigurazione (cf Lc 9,29-30) quale ulteriore conferma della predilezione del Padre sul suo <eletto> già manifestata al Giordano.

 

[36]) Da questo episodio ebbe origine la parola simonìa per indicare il commercio di cose sacre.

 

[37]) Anche a costo di dover sacrificare l'unità temporale dei tre sacramenti di iniziazione; abbiamo detto infatti che la Confermazione venne distanziata dal Battesimo proprio per lasciare al Vescovo la prerogativa di conferire il sacramento della Confermazione.

 

[38]) In Occidente questa prassi si mantiene solo in occasione del Battesimo degli adulti; in questo caso il sacerdote battezza, unge con il crisma consacrato dal vescovo dando così la Confermazione, ed infine ammette alla comunione eucaristica.

 

[39]) Non è corretto dire che la Confermazione è il completamento del Battesimo, quasi che il Battesimo sia una realtà sacramentale incompleta in sè stessa; si vuol piuttosto dire che l'opera della grazia dello Spirito iniziata con il Battesimo è ora portata a ulteriore perfezionamento nei battezzati mediante una rinnovata e specifica effusione dello Spirito Santo.

 

[40]) Fondamento biblico di questi sette doni è il testo di Isaia 11,2: sono elencati i tratti essenziali del Messia futuro, riempito dello spirito profetico.

 

[41]) Altri nomi: Sinassi, essere insieme per l'assemblea eucaristica (cf 1 Cor 11,17-23); Sacrificio della lode (Eb 13,15); Sacrificio spirituale (cf 1 Pt 2,5); si parla anche di Santissimo Sacramento, in quanto è il Sacramento dei sacramenti (con questo nome si indica non tanto la celebrazione, ma le specie eucaristiche conservate nel tabernacolo).

 

[42]) PIO XII, Enc. Mystici Corporis [29.6.1943], II parte.

 

[43]) GAUDENZIO DI BRESCIA, Trattati, 2.

 

[44]) CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mistagogiche, V,16. Lo Spirito Santo ha adombrato la Vergine Maria perché concepisse nel suo grembo il corpo storico di Cristo. Invocato dalla Chiesa-assemblea celebrante, interviene come energia divina sui doni del pane e del vino per trasformarli nel corpo e nel sangue di Cristo. Agisce come fuoco d'amore su tutti noi, per trasformarci in membra di Cristo ed immetterci vitalmente nel suo corpo ecclesiale. Lo stesso Spirito che ha concepito il Corpo storico di Cristo, preside anche alla presenza del suo corpo eucaristico e del suo corpo ecclesiale. A questo scopo nella Preghiera eucaristica vi sono due epiclesi: una epiclesi di "consacrazione" (il pane-vino diventano Corpo-Sangue di Cristo) e una epiclesi di "comunione" (noi, pur essendo molti, mangiando lo stesso Corpo di Cristo riceviamo la pienezza dello Spirito Santo che fa di noi un solo corpo e un solo spirito; cf 1 Cor 10,17).

 

[45]) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, "Si spezza e si spartisce l'Agnello di Dio: Egli è spezzato e non si divide, è sempre mangiato e mai si consuma, ma santifica coloro che ne partecipano" (Liturgia, preghiera dell'Inno cherubico).

 

[46]) PAOLO VI, Enc. Mysterium Fidei NN.17-18: "Dopo la consacrazione sotto le specie del pane e del vino non c'è più quel che c'era prima, ma un'altra cosa del tutto diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della Chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché, convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo".

 

[47]) S. LEONE MAGNO: "La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non fa altro che trasformarci in ciò che mangiamo" (Sermo 7; PL 54,375).

 

[48]) S.AGOSTINO: "Per non disgregare il vincolo che vi tiene uniti, mangiate nell'eucaristia il vincolo che vi tiene uniti" (Sermo 3,3; PL 46,828); ID.:"La virtù propria di questo cibo è l'unità, in quanto, riuniti nel suo corpo e divenuti sue membra, noi siamo ciò che riceviamo...Perciò bisogna vedere in questo cibo e in questa bevanda la società del suo corpo e delle sue membra, cioè la santa Chiesa" (Sermo 57; PL 38,389);

 S. GIOVANNI CRISOSTOMO, "Egli si mescola a noi, perché diventiamo una sola cosa, come un corpo congiunto alla testa" (Hom. in Jo.: PG 59,260).

 

[49]) Si faccia attenzione all'eccessivo numero di Messe: rischio di frammentare troppo la comunità; la domenica non è il giorno adatto per la celebrazione di Messe per gruppi particolari.

 

[50]) "Dio è amore" (1 Gv 4,8); in Dio uno e trino "Il Padre è l'eterno Amante, il Figlio l'eterno Amato, lo Spirito Santo l'eterno Amore" (S. AGOSTINO, De Trinitate 15,6,10).

 

[51]) Sul rapporto Penitenza ed Eucaristia si ricordi che. l'Eucaristia non costituisce un'alternativa al sacramento della Penitenza; è un antidoto mediante il quale siamo liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati gravi (DS 1638; cf 1740); quale "battesimo secondo" il sacramento della Penitenza è presupposto per ricevere l'Eucaristia (anche i ragazzi, prima di essere ammessi alla prima comunione, devono fare la confessione).

Chi ha sulla coscienza un peccato grave: se desidera essere riconciliato e fare la comunione, ma non è possibile in qual momento confessarsi (es non ci sono sacerdoti disponibili), deve fare un atto perfetto di contrizione e deve impegnarsi alla confessione appena possibile.

 

[52]) Per alcune questioni ecumeniche legate alla comunione eucaristica si può vedere: il rapporto con gli Ortodossi circa l'Eucaristia (UR 15.22; le condizioni per l'intercomunione: CIC 844 § 3.4); con i Protestanti (UR 22: non hanno conservato la sostanza propria e integrale del mistero eucaristico; non è pertanto permessa l'intercomunione).

 

[53]) S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli Efesini 7,2; citato in SC 5.

 

[54]) Preghiera eucaristica III.

 

[55]Preghiera eucaristica II

 

[56]) Legare e sciogliere sono due termini tecnici del linguaggio rabbinico che si applicano anzitutto al campo disciplinare della scomunica con cui si condanna o si assolve qualcuno, e ulteriormente alle decisioni dottrinali o giuridiche con il senso di proibire o permettere. Pietro, quale economo della casa di Dio (di cui le chiavi sono l'insegna (cf Is 22,22), eserciterà il potere disciplinare di ammettere o di escludere come egli crederà meglio, e amministrerà la comunità con tutte le decisioni opportune in materia di dottrina e di morale. Sentenze e decisioni saranno ratificate da Dio nell'alto dei cieli.

 

[57]) "Quale tesoro di grazia, di vita vera e di spirituale irradiazione non verrebbe alla Chiesa, se ciascun sacerdote si mostrasse premuroso di non mancare mai, per negligenza e pretesti vari, all'appuntamento con i fedeli al confessionale, e fosse ancor più premuroso di non andarvi mai impreparato, o privo delle indispensabili qualità umane e delle condizioni spirituali e pastorali" (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia [1984], n.29; EV 9/1175).

 

[58]) SACRA CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Dichiarazione sulla Confessione e prima Comunione dei fanciulli, in Enchiridion Vaticanum 6/166-175.

 

[59]) S. Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 7,2 (citato in SC 5).

 

[60]) Questa orazione veniva pronunciata dal Pontefice nella Messa crismale del giovedì santo; l'invocazione dello Spirito Santo Paraclito sull'olio aveva questo effetto: "a tutti coloro che saranno unti, che ne gusteranno e che se lo applicheranno (concedi) la protezione del corpo, dell'anima e dello spirito, per eliminare ogni dolore, ogni infermità, ogni affezione della mente e del corpo".

 

[61]) Questa prassi è influenzata anche dalla disciplina penitenziale e dall'uso di riconciliare i penitenti una sola volta nella vita; un'ultima occasione per il perdono dei peccati era offerta proprio dal sacramento dell'unzione.

 

[62]) Si cita 1 Pt 5,8: il diavolo, come un leone ruggente, va in giro cercando chi divorare; egli insidia al calcagno (Gen 3,15).

 

[63]) OUI 1 (= Ordo Unctionis Infirmorum, Praenotanda).

 

[64]) Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura delle Premesse generali del nuovo Benedizionale (Edizione italiana 1992).

 

[65]) Si può distinguere tra religiosità popolare (che ha radici in ogni uomo religioso, a qualsiasi religione appartenga) e pietà popolare (espressione del senso religioso dell'uomo cristiano).