PAOLO GIGLIONI
I SACRAMENTI DI CRISTO
E DELLA CHIESA
Una sinfonia tra Dio e l’uomo
LIBRERIA EDITRICE VATICANA
00120 Città del Vaticano
SACRAMENTO,
SACRAMENTI
Avviando la nostra riflessione sui sacramenti della Chiesa, sui segni della
nuova alleanza, riteniamo utile chiarire in primo luogo il significato dei
termini qui maggiormente usati, come sacramento,
sacramenti.
Sacramento.
<Sacramento> (al singolare), etimologicamente significa: l'azione
che si compie, mediante un mezzo-strumento, per rendere sacro qualcosa o
qualcuno; infatti sacra-mentum è
composto dal verbo sacrare [=
l'azione per rendere sacro] e dalla parola mentum
[= il mezzo per ottenere un certo scopo].
Nella Bibbia il termine latino sacramentum
traduce la parola greca mysterion che
sta ad indicare il piano divino salvifico di Dio, il suo proposito di salvare
l'uomo. San Paolo, in Efesini 3,3-12,
definisce se stesso come ministro del mistero del Cristo: far conoscere il mistero che era nascosto alle precedenti
generazioni, ma che ora è stato rivelato per mezzo dello Spirito [cf anche 1 Corinzi 2,7-10; per l'AT cf Daniele 2,18-19].
Praticamente Cristo stesso, nato-morto-risorto, e la sua missione, sono
il primo e grande <sacramentum>
di salvezza: <davvero grande è il mistero-sacramento
della pietà: Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito,
apparve agli angeli, fu predicato in mezzo alle genti, fu creduto nel mondo, fu
assunto nella gloria> (1 Timoteo
3,16).
Il dono della salvezza, nell'attuale economia voluta e stabilita da Dio,
viene all'uomo per mezzo di Cristo e in Cristo (sacramento di Dio), attraverso
la Chiesa (sacramento di Cristo), mediante i segni sacramenti (i sacramenti di
Cristo e della Chiesa).
Cristo, sacramento di Dio.
Se <sacramento> significa rivelazione-dono della salvezza di Dio in
e attraverso una forma esterna-visibile, Cristo con la sua incarnazione (cf Gv
1,14) è il primo grande sacramento: <il
sacramento di Dio non è altro che Cristo> (S. Agostino); <Cristo è per noi, nella sua umanità, il
sacramento di Dio> (H. de Lubac).
L'Umanità di Cristo è l'unico, singolare e straordinario
mistero-sacramento dell'incontro salvifico del Padre con gli uomini nello
Spirito Santo. E' piaciuto a Dio infatti salvare l'uomo mediante la carne di
Cristo assunta dalla divinità (caro
salutis cardo: la carne è cardine della salvezza). Questa carne santissima
e ripiena di Spirito Santo è manifestazione della potenza e della sapienza del
Padre. Parlando del Verbo di Dio fatto uomo e venuto ad abitare in mezzo a noi,
san Giovanni dice: <Noi abbiamo
contemplato la sua gloria (doxa), gloria come di unigenito dal Padre, pieno di
grazia e di verità> (Gv 1,14); le sue opere ed i suoi miracoli, cioè i
<segni> da lui compiuti, sono espressione della vita che era in lui,
bagliori della <luce che venendo al
mondo illumina ogni uomo> (Gv 1,4.9; 3,19s; 8,12) che vuole credere, che
vuole scoprire il senso di questa luce.
Cristo realizza in senso assoluto la presenza di Dio fra noi, presenza
personale e piena, della quale l'abitazione di Dio nella tenda o nel tempio
dell'antica alleanza non erano che figure (cf Esodo 25,9; Geremia
7,4-10.12-15; 26,1-9). A questo proposito così si esprime la costituzione Dei verbum su la divina rivelazione:
<Gesù Cristo, Verbo fatto carne, mandato
come uomo agli uomini, parla le parole di Dio, e porta a compimento l'opera di
salvezza affidatagli dal Padre (cf Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il
quale si vede anche il Padre (Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e
con la manifestazione di sé, con le parole e con le opere, con segni e con
miracoli, e specialmente con la sua morte e con la sua risurrezione di tra i
morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la
rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi
per liberarci dal peccato e dalla morte e risuscitarci per la vita eterna>
(DV 4).
Nella sua umanità Cristo è dunque il sacramento primordiale del Padre, il
sacramento dell'incontro con Dio[1].
La Chiesa sacramento di Gesù Cristo.
Dopo Cristo e inscindibilmente legata a lui, anche la Chiesa è
mistero-sacramento di salvezza per tutte le genti, cioè lo strumento eletto,
intelligente e sensibile con il quale Dio fa giungere la sua Parola, la sua
Sapienza e il suo Spirito fino ai confini della terra. Questo permette ad
Agostino di scrivere: <La Chiesa dei
battezzati è il mistero-sacramento dell'arca di salvezza>; e S.
Cipriano: <La Chiesa è
l'indistruttibile sacramento dell'unità>. La Chiesa porta in questo
mondo la Parola ed i sacramenti della salvezza. In essa si fa presente <tutti i giorni fino alla fine del mondo>
(Mt 28,20) il Cristo glorioso. Animata e sorretta dallo Spirito Santo essa
estende e comunica a tutte le generazioni e a tutti i popoli la salvezza
compiuta dal suo Sposo e Signore. Essa è qui in terra il sacramento di Gesù
Cristo, come Gesù Cristo è per noi, nella sua umanità divinizzata, il
sacramento di Dio[2]. E come nessuno ha accesso a una conoscenza del
Padre senza passare per Colui che resta sempre e per tutti la <via> e
<l'immagine del Dio invisibile> (Gv 14,6; Col 1,15), così la Chiesa tutta
intera, visibile e invisibile, terrestre ed eterna, ha per fine quello di
mostrare il Cristo, di condurre a lui, di comunicare la sua grazia. Essa non
esiste che per metterci in rapporto con lui.
Solo essa può farlo e mai ha finito di farlo. Mai viene un momento, nella
vita degli individui e nella storia dei popoli, nel quale il suo ruolo dovrò o
anche solo potrà cessare. Giustamente è stato scritto che se il mondo perdesse
la Chiesa perderebbe la Redenzione. Infatti <la Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano> (LG 1)[3].
Perciò la Chiesa non è solo segno visibile di salvezza, ma anche
<sacramento> del Cristo glorioso. Come sacramento del Cristo risorto essa
ha la missione di rendere presente la salvezza operata da Cristo, mediante
l'annuncio della Parola, i sacramenti, la testimonianza. Essa deve annunciarlo,
donarlo, mostrarlo a tutti: essa è sempre, e in tutta verità, la Chiesa di
Cristo. Ma ciò che è in se stessa, deve divenirlo in noi. Ciò che essa è per
noi, deve esserlo anche per mezzo di noi. Occorre che Cristo, anche per mezzo
nostro, continui ad essere annunciato, celebrato, testimoniato.
Scaturita quale mirabile sacramento dal costato del Cristo dormiente
sulla croce (s. Agostino citato in SC 5), in virtù di quel <sangue ed
acqua> (Gv 19,34)[4] essa rende presente ed attuale il mistero
pasquale di Cristo ed offre agli uomini la possibilità di inserirsi
nell'organismo vivo del suo corpo.
I sacramenti di Cristo e della
Chiesa.
Come Cristo è il sacramento di Dio e la Chiesa sacramento di Cristo, così
i sacramenti della nuova alleanza sono <sacramenti di Cristo e della
Chiesa>.
Prima di tornare al Padre Cristo ha esclamato: <Tutto è compiuto> (Gv 19,30). Così <ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei sacramenti>
(s. Leone Magno). Nel suo mistero pasquale la salvezza è acquistata una volta
per sempre (cf Ebrei 9,26;
10,10.12.14). Resta ora da comunicare agli uomini, che sono il suo corpo,
quello che si è compiuto nel Cristo capo. Occorre che tutti i misteri della sua
vita si riperquotano nel tempo e nello spazio perché ogni uomo che si affaccia
alla vita possa sentirli come presenti ed esservi inserito. Quest'opera di
santificazione la compie lo Spirito Santo nella Chiesa, come ben si esprime san
Bernardo: <Abbiamo un doppio pegno
della salvezza, la doppia effusione del sangue e dello Spirito: a nulla vale
l'una senza l'altra...Non mi gioverebbe il fatto che Cristo è morto per me, se
non mi vivificasse col suo Spirito>. Nei sacramenti della Chiesa è
dunque lo Spirito che realizza in noi ciò che si è compiuto in Cristo:
interiorizza il suo mistero e ce ne applica i frutti; fa sì che diventi il
<nostro mistero> (Ad gentes 4).
I sacramenti infatti contengono realmente una virtù che emana dall'incarnazione
e dalla Pasqua di Cristo. I sacramenti non sono altro che il prolungamento dei
misteri del Verbo incarnato. Con una espressione di Y. Congar si può anche dire
che <tra i due avenimenti di Cristo,
dalla Pasqua che ha fatto per noi a quella che faremo con lui, lo Spirito Santo
agisce per far crescere e fruttificare l'alfa fino all'omega>.
Dalla Pentecoste in poi lo Spirito Santo è all'opera a tutti i livelli
della vita ecclesiale e della vita di ogni singolo credente. In una maniera
tutta particolare, però, è presente ed efficace là dove la Chiesa raggiunge il
<culmine e la fonte> di tutta la sua vita: l'azione liturgica (SC 10).
Qui infatti <la virtù dello Spirito
Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali> (LG 50); è qui che
massimamente <lo Spirito Santo, per
mezzo dei sacramenti e dei ministri, santifica il popolo di Dio e lo guida e lo
adorna di virtù> (LG 12).
Se <nella liturgia...per mezzo
di segni sensibli viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la
santificazione dell'uomo> (SC 7), ciò è dovuto proprio a questa azione
santificante dello Spirito in quanto attuatore di tutte le meraviglie operate
da Cristo per la nostra salvezza. Scrive in proposito san Basilio nel suo
Trattato sullo Spirito Santo: <E' lo
Spirito che opera la reintegrazione nel Paradiso, l'ingresso nel regno dei
cieli, il ritorno all'adozione filiale. E' lui che dona il santo ardire di
chiamare Dio Padre, di partecipare alla grazia di Cristo, di essere chiamati
figli della luce, di avere parte alla gloria eterna: in una parola, di essere
in questo secolo e nel futuro...>.
Emerge perciò chiaramente che l'azione dello Spirito Santo nell'economia
sacramentale della Chiesa rende possibile all'uomo quella comunicazione vitale
con Cristo che avrà come realizzazione ultima l'accesso alla gloria del Padre.
Con Sant'Ambrogio si può ben dire <Io
trovo Te nei tuoi misteri>.
Rispetto a Cristo (sacramento fondamentale) e alla Chiesa, i sacramenti: sono ordinati alla santificazione dell'uomo
(trasmettono l'efficacia della salvezza, comunicano la grazia); rendono culto a Dio; mettono
in contatto col piano salvifico incorporando a Cristo; edificano
la Chiesa strutturandola come Corpo di Cristo; in quanto segni, hanno poi
anche la funzione di istruire (Cf SC
59; CIC 840).
Se è vero che senza la Chiesa non ci sono i sacramenti, è altrettanto
vero che senza sacramenti non ci sarebbe la Chiesa. Attraverso i sacramenti la
Chiesa è generata, è santificata, cresce, si diffonde, si rinvigorisce, si
perfeziona, si purifica, compie la sua missione.
Che cosa sono i sacramenti.
a. sono <segni della fede>.
Secondo SC 59: * esprimono la fede della Chiesa. La
Chiesa crede nell'efficacia dei segni sacramentali che essa compie nel nome e
con l'autorità di Cristo; ecco perché, per la validità di un sacramento, si
richiede sempre di fare ciò che intende fare la Chiesa; * esprimono
la fede del soggetto che li riceve: la presuppongono (senza la fede in
Cristo e nella sua opera di salvezza non esiste neppure l'azione sacramentale
salvifica: cf Mc 16,15; At 8,37s; è dunque lecito e doveroso dare l'unzione dei
malati anche a chi è in coma, presupponendo che, se fosse stato in coscienza,
l'avrebbe lui stesso liberamente richiesta; nel battesimo dei bambini si
presuppone la fede dei genitori e della Chiesa stessa); la esprimono (tutti i
sacramenti sono una professione-confessione di fede in Cristo Signore); la
nutrono e la irrobustiscono (<credo, ma aumenta la mia fede> Mc 9,24).
Senza la fede i santi segni non riusciranno ad essere letti al di là della loro
sfera <mondana>, non potranno indicare il distacco verso Colui che è il
<totalmente Altro>, sempre inaccessibile in se stesso e mai pienamente
comunicabile; senza la fede, invece che <santo> il segno diventa
<magico>, quasi un pretendere di carpire la potenza divina e dominarla
per i propri fini (cf l'episodio di Simone il mago in At 8,19-25; anche
l'episodio di cafarnao in Gv 6,26-28).
b. sono <segni della grazia>. Nei sacramenti Dio si dona totalmente
all'uomo per elevarlo, trasformarlo, divinizzarlo, introdurlo nella comunione
della sua natura divina. Questa grazia-dono è dunque <unica> [= grazia
santificante], anche se conferita in modo <suo> proprio da ciascun
sacramento [= grazia sacramentale].
In quanto <segni> i sacramenti hanno una profondità
<tridimensionale>:
* sono anamnesi-memoriale della Pasqua di Cristo (recolitur memoria);
* sono epiclesi-attuazione perché colmano l'anima di grazia (mens inpletur gratia);
* sono anticipazione-pegno della gloria futura (pignus gloriae futurae nobis datur).
c. sono <segni> composti di cose e di parole. Come il Dio
invisibile si fa visibile nella incarnazione di Cristo in quanto egli è il Verbum-Caro
(Gv 1,14.18), così nei sacramenti si continua questo mistero dell'incarnazione
salvifica. Già s. Agostino diceva: <Togli
la parola e cos'è l'acqua se non semplice acqua? Accede la Parola all'elemento
e diventa sacramento>. Secondo il linguaggio degli scolastici si parla
anche di <materia> (la cosa) e <forma> (la parola).
I sacramentali.
<La santa Madre Chiesa ha
inoltre istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali,
ad imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della
Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli
uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti, e
vengono santificate le varie circostanze della vita> (SC 60). In altre
parole: sono istituiti dalla Chiesa e non da Cristo; sono conferiti mediante
una preghiera e dei gesti, ma non esigono una epiclesi; non richiedono
necessariamente l'esercizio del ministero ordinato, ma possono essere svolti
anche dai laici. I principali sacramentali sono: le benedizioni, gli esorcismi,
le processioni, la via crucis, il rosario e tante altre forme di pietà popolare
(cf SC 13; EN 48; CT 54).
L'EFFICACIA
DEI SACRAMENTI
<La Chiesa adempie la funzione
di santificare in modo peculiare mediante la sacra liturgia> (CIC 834);
<in essa, per mezzo di segni
sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la
santificazione dell'uomo> (SC 7). I sacramenti sono segni efficaci della
grazia perché sono atti salvifici di Cristo che egli esercita nella Chiesa e
per la Chiesa.
Chi agisce nei sacramenti.
L'opera di salvezza compiuta da Cristo una volta per sempre nel suo
mistero pasquale (Ebrei 9,26), continua oggi ad essere offerta ad ogni credente
attraverso i sacramenti. Con i Padri si può dire: <Pietro battezza? Ma è Cristo che battezza...Coloro che ha battezzato
Giovanni Battista, li ha veramente battezzati Giovanni. Coloro invece che ha
battezzato Giuda, li ha battezzati Cristo> (s. Agostino)[5]. E il Vaticano II dice: <Cristo è presente nella comunità dei suoi pontefici e per mezzo dell'eccelso loro ministero
predica la parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai
credenti i sacramenti della fede (LG 21; cf PO 2).
I sacramenti sono dunque atti salvifici di Cristo con i quali egli rende
presente, nella Chiesa e per mezzo della Chiesa, i misteri della sua Pasqua.
Essendo egli <il Vivente>,
Colui che sempre intercede per noi alla destra del Padre (Ebrei 7,25), di fatto è anche <il Presente> alla sua Chiesa e in essa e per essa (in quanto suo
sacramento) continua ad offrire i misteri salvifici della sua Pasqua. Infatti
<ogni volta che mangiamo questo pane e
beviamo questo calice, annunziamo la sua morte , proclamiamo la sua
risurrezione, nell'attesa della sua venuta> ( 1 Cor 11,26).
Chi ha istituito i sacramenti.
La Tradizione ininterrotta della Chiesa d'Oriente e d'Occidente afferma,
con i Padri, che: <Chi è l'autore dei
sacramenti se non il Signore Gesù? Infatti questi sacramenti vengono dal cielo>
(s. Ambrogio). Dal canto suo s.
Agostino commenta: <L'Evangelista non
disse "egli trafisse il suo costato", bensì "aprì",
affinché in certo modo venisse aperta la porta della vita là donde scaturirono
i sacramenti della Chiesa, senza i quali non si entra nella vita, che è la vera
vita>.
La riforma protestante aveva negato la realtà sacramentale della Chiesa;
dei sette sacramenti aveva conservato, come semplici segni, solo il Battesimo e
la Cena, ritenendo gli altri di semplice istituzione ecclesiastica. Il Concilio
di Trento condannò questa tesi: <Chi
afferma che i sacramenti del nuovo patto non sono tutti istituiti da Cristo
Gesù Signore Nostro, oppure che sono di più o di meno di sette...sia
scomunicato>.
Gesù nostro Redentore è dunque l'unico autore della Chiesa e dei
sacramenti della Chiesa. Egli è il <sacramento> che si prolunga nei
<sacramenti> per poter ragiungere tutti gli uomini di tutti i tempi e
salvarli e ricondurli al Padre.
La Bibbia è esplicita sull'istituzione da parte di Gesù di alcuni
sacramenti: il Battesimo (Mt 28,19;
Mc 16,15; Gv 3,4); l'Eucaristia (Lc
22,19; 1 Cor 11,26); la Penitenza (Gv
20,23). Di fatto però anche gli altri sacramenti vanno ricondotti a Cristo, dal
momento che gli Apostoli si sono considerati solo <ministri> di Cristo e
<amministratori> dei misteri di Dio (1 Cor 4,1); in quanto fedeli
amministratori nulla inventano, ma fin dall'inizio applicano ben precisi gesti
sacramentali che fanno risalire alla volontà di Cristo Salvatore, quali la Confermazione (At 8,7; 19,6); l'Unzione (Giacomo 5,14); il matrimonio (Ef 5,25; Mt 19,3-9); l'Ordine (2 Tim 1,6; 2,2; ma già in Lc
22,19: fate questo...).
Viene tuttavia da chiedersi: qual è la potestà della Chiesa sui
sacramenti? Per analogia con la liturgia, anche dei sacramenti si può dire che
essi constano di una parte immutabile (di istituzione divina) e di parti
suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono
variare (SC 21). E' in questo ambito rituale e mutabile che la Chiesa, con quel
processo chiamato <inculturazione>, di fatto è sempre intervenuta per
regolare la disciplina sacramentale (CIC 841).
Sono necessari i sacramenti?
E' fuori dubbio che Dio può elargire la sua grazia agli uomini anche per
vie extra-sacramentali. Tuttavia i sacramenti rimangono i mezzi ordinari,
principali, e quindi necessari per ricevere la grazia divina. <Senza i sacramenti della Chiesa non si entra
nella vita che è la vera vita> (s. Agostino). E il decreto Ad gentes n.7 afferma: poiché <non esiste in nessun altro
salvezza (At 4,12), è necessario che tutti a lui si convertano, dopo averlo
conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a Lui e alla Chiesa, sua
corpo, siano incorporati attraverso il Battesimo> (AG 7).
Essi sono gli strumenti ordinari della grazia che santifica, trasforma,
deifica l'uomo. Essi sono anche i mezzi per i quali ogni vera giustificazione
<se non c'è, inizia; se c'è, è
aumentata; se è perduta, viene recuperata> (Concilio di Trento). Con il
Battesimo la grazia inizia; con la Penitenza è recuperata; con tutti gli altri
è aumentata. Al seguito di s. Tommaso, il Concilio di Trento dividerà in tre
classi i sacramenti: sacramenti di iniziazione (Battesimo, Confermazione,
Eucaristia); sacramenti medicinali (Penitenza, Unzione); sacramenti sociali
(Ordine, Matrimonio).
Perché e come sono efficaci i
sacramenti.
I sacramenti cristiani hanno la forza di santificare perché non sono
segni vuoti o sterili, ma sono carichi della realtà significata: contengono e
comunicano, con la forza dello Spirito Santo, la grazia trasformante e
deificante a coloro che li ricevono con le dovute disposizioni.
Dicono i Padri: <Il corpo viene
lavato affinché l'anima sia purificata; il corpo riceve l'unzione affinché
l'anima venga consacrata> (Tertulliano). Pertanto: i sacramenti
contengono e coferiscono la grazia; non solo nutrono e irrobustiscono la fede,
ma contengono e comunicano la grazia di Dio all'uomo che li riceve con le
debite disposizioni.
Con il linguaggio della teologia scolastica si dice che i sacramenti
agiscono <ex opere operato>:
hanno una efficacia oggettiva in quanto è Cristo stesso che agisce in essi.
L'efficacia del sacramento dipende dalla volontà salvifica di Dio il quale dona
la sua grazia non legandosi a disposizioni interiori del ministro che li
celebra o alla virtù del ricevente, ma unicamente alla sua misericordiosa bontà
salvifica: <Non per merito del
sacerdote agisce il sacramento, ma per la parola del Creatore. Pertanto non
l'iniquità del sacerdote impedisce l'effetto del sacramento, come l'infermità
del medico non corrompe la medicina> (Innocenzo III).
Agiscono in questo modo, purché non si pongano ostacoli; richiedono
quindi anche l'<ex opere operantis>
cioè la cooperazione di chi li riceve. Per la loro efficacia si richiede che
colui che riceve i sacramenti non ponga alcun ostacolo alla grazia. Non sono
quindi azioni magiche, ma azioni di Dio che, per mezzo di Cristo e dello
Spirito, dona attraverso i segni sacramentali la sua grazia sacramentale in
maniera immediata e diretta a coloro che li ricevono con le dovute
disposizioni.
Chi è il ministro dei sacramenti.
Il ministro o agente principale dei sacramenti è lo stesso Cristo,
essendo i sacramenti primordialmente azioni salvatrici di Cristo. Essendo poi
il Figlio inseparabile dal Padre e dallo Spirito, si deve dire che in realtà è
tutta la Santa Trinità che agisce nei sacramenti: il Padre dà la sua potente volontà salvifica al Figlio incarnato; il Figlio Mediatore-Redentore-Pontefice
attua quest'opera con il mistero della sua Pasqua; lo Spirito Santo è il santificatore e il continuatore dell'opera di
Cristo nella Chiesa; è la mano invisibile, ma efficace, con cui Cristo, nei
sacramenti, afferra l'uomo e lo inserisce nella sua opera di salvezza.
Tuttavia il Cristo Risorto agisce per mezzo della Chiesa, corpo terrestre
del Signore glorificato. La Chiesa, in quanto comunità salvifica, è costituita
principio subordinato, strumento visibile di Cristo, suo <universale sacramento di salvezza>
(LG 48).
Esiste poi un <soggetto
ministeriale> dei sacramenti dal momento che Cristo e la Chiesa agiscono
per mezzo dei ministri; essi sono chiamati ad agire <in persona Christi> e a nome della Chiesa. Essi non agiscono né
a nome, né con potere proprio, ma in nome e con l' autorità di Cristo e della
Chiesa: <ognuno ci consideri come
ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio> (1 Cor 4,1; cf
3,9).
Le qualità per dare e per ricevere
i sacramenti.
Le qualità richieste al ministro sono: l'idoneità (essere in possesso della necessaria potestà, in genere
l'ordinazione e la missione canonica da parte del Vescovo); l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa
(egli non è un robot, ma una persona chiamata ad inserirsi nella volontà
salvifica di Cristo e della Chiesa). Per la validità
dell'amministrazione dei sacramenti non è necessaria, di per sé, la fede e la
santità del ministro: <i sacramenti
per se stessi sono cose sante, indipendentemente dagli uomini> (Ottato
di Milevi). Già si è detto che il ministro principale dei sacramenti è Cristo.
Per la liceità, invece, è richiesta
al ministro la fede, la santità, la comunione con la Chiesa: su di essi deve
riflettersi la santità della Chiesa, come sul volto della Chiesa si riflette la
santità di Cristo. Si dà tuttavia il caso di sacramenti amministrati
validamente, ma non lecitamente (è il caso dei sacramenti conferiti dagli
scismatici). I ministri non possono negare i sacramenti a coloro che li
chiedano opportunamente, e siano ben disposti (CIC 843).
Le qualità richieste al soggetto che riceve i sacramenti sono: per
riceverli validamente si richiede la fede e l'intenzione (esplicita o almeno
implicita): <chi ha creato te senza di
te, non può salvare te senza di te> (s. Agostino); per riceverli
degnamente si richiede la fede, l'intenzione, la conversione, lo stato di
grazia; san Paolo ricorda, a proposito dell'Eucaristia, che prima di riceverla
<ognuno esamini se stesso> per
non dover mangiare e bere la propria condanna (1 Cor 11,27-29). I pastori hanno
il dovere di preparare adguatamente, con la dovuta evangelizzazione e
formazione catechetica, coloro che chiedono i sacramenti (CIC 843).
Pertanto: i sacramenti sono come una <sinfonia> tra Dio e l'uomo,
un <dialogo> di salvezza che ha luogo nello spazio della grazia che è la
Chiesa. Il valore oggettivo dei sacramenti (l'ex opere operato) richiede sempre
anche le disposizioni soggettive del ricevente (l'ex opere operantis).
Gli effetti dei sacramenti.
Essi donano anzitutto la <grazia
santificante> o abituale, comune a tutti i sacramenti. E' l'intima
comunione di vita con Cristo, la partecipazione alla sua natura divina (cf 2 Pietro
1,4). Il Concilio di Trento ha detto che nei sacramenti ogni grazia se non c'è viene data (è detta grazia
prima, nel Battesimo), se c'è viene
aumentata, se è stata perduta viene restituita (è detta grazia seconda,
negli altri sacramenti).
Donano poi la <grazia
sacramentale> che è propria e specifica ad ogni sacramento[6]. <La
grazia sacramentale aggiunge alla grazia abituale un determinato divino aiuto,
atto a far conseguire il fine proprio di ogni sacramento> (s. Tommaso).
Di fatto ogni sacramento conferisce una particolare configurazione a Cristo e
dona frutti specifici: come piante diverse che, inserite nella stessa terra,
producono ciascuna frutti diversi e propri.
Tre dei sette sacramenti (battesimo, confermazione, ordine) producono, in
coloro che li ricevono, un <carattere>:
un indelebile rapporto con Cristo e con la Chiesa (cf 2 Cor 1,21-22; Ef 1,13;
CIC 845), <il segnacolo dello Spirito
Santo indelebile nei secoli> (Cirillo di Gerusalemme). Il carattere è un
segno: <configurativo> (imprime
gli stessi lineamenti del Verbo incarnato, la sua stessa immagine), <distintivo> (distingue chi lo riceve
da tutti gli altri), <dispositivo>
(dispone alla grazia). <deputativo>
(deputa al culto, alla carità, alla
missione), <esigente> (esige la
grazia e il dovere di assolvere gli impegni ricevuti mediante il carattere
sacramentale).
I SANTI
SEGNI
La vita quotidiana dei singoli e delle comunità è tutta intessuta di
azioni, di segni, di parole che permettono agli uomini di comunicare tra di
loro e di vivere insieme. Anche l'incontro fra Dio e il suo popolo conserva
questo carattere interpersonale del dialogo. Dio non inventa un linguaggio
particolare per parlare a noi, ma in virtù della grande legge
dell'incarnazione, in forza di quella misteriosa condiscendenza che fa del Creatore una creatura in Cristo , Dio
stesso parla all'uomo con il linguaggio dell'uomo e si comunica a lui come un
padre fa con il figlio.
Anche l'opera sacerdotale di Cristo, che si prolunga e si attua nel tempo
della Chiesa per mezzo della liturgia, si esplica per mezzo di segni sensibili:
<per mezzo di segni sensibili viene
significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo>
(SC 7). <E' quindi di grande
importanza che i fedeli comprendano facilmente i segni dei Sacramenti>
(SC 59).
<Nella catechesi dei sacramenti
si deve attribuire grande importanza alla spiegazione dei segni. Attraverso i
segni visibili la catechesi conduca i fedeli alla conoscenza degli invisibili
misteri salvifici di Dio> (DCG 57).
Così facendo, attraverso l'intima penetrazione della fede, l'umano
manifesta il divino, il visibile diventa segno del mondo invisibile; e la
Chiesa può così riconoscere, in questi segni della comunicazione divino-umana,
l'azione efficace di Cristo Salvatore.
Nei santi segni della liturgia la Chiesa riconosce l'azione di Cristo che continua ad incarnarsi in essa
con la potenza santificante dello Spirito. E poiché attraverso queste
azioni-segno il Santo santifica l'uomo, si può ben dire che tali segni non sono
più unicamente dei segni <naturali> per la comunicazione interumana, ma
vengono assunti per comunicare la santità di Dio: per questo li chiamiamo i
<santi segni>.
Per mezzo di questi santi segni il credente viene in contatto con il
mistero della salvezza: può entrarvi in comunione e farlo proprio dal momento
che lui stesso è afferrato da Dio in un modo che è visibile e percettibile pur
rimanendo al tempo stesso misterioso e divinamente ineffabile. Con S. Agostino
si può dire: <Per i segni visibili,
agli invisibili misteri>; si intende così che nei santi segni non solo
ci è dato di incontrare la salvezza donataci dal Padre in Cristo e nello
Spirito, ma che per mezzo di tali segni è anche possibile accedere alla realtà
soprannaturale di cui sono segno e comunicazione.
La mistagogìa.
Quale superficialità l'aver supposto che sarebbe bastata la traduzione
dei testi latini in lingua italiana per capire la liturgia! Da questa
esperienza deriva l'urgenza di recuperare quella prassi tanto cara ai Padri e
alle prime comunità cristiane che va sotto il nome di <mistagogia>[7]. La mistagogìa ha come funzione di condurre,
attraverso i segni, alla soglia del mistero cristiano dove è possibile
incontrare il Signore risorto che misticamente, e realmente, si fa presente
alla sua Chiesa.
Ecco come ne parla Teodoro di Mopsuestia nelle sue Omelie catechetiche:
<Ogni sacramento è l'indicazione,
attraverso segni e simboli, di realtà invisibili e ineffabili. Una rivelazione
e una spiegazione su tali realtà sono certamente necessarie, se qualcuno vuole
conoscere la forza di questi misteri. Se ciò che accade effettivamente fosse
soltanto quello che si vede fare, la spiegazione sarebbe superflua, perché
basterebbe la vista a mostrarci le cose che si verificano. Ma nel sacramento si
trovano i segni di ciò che avverrà (nel futuro) o di ciò che è già avvenuto
(nel passato), e perciò è necessario un discorso che spieghi il senso dei segni
e dei misteri>[8].
E Cirillo di Gerusalemme, rivolgendosi ai suoi neofiti che chiama <figli genuini e desideratissimi della
Chiesa>, così spiega il tempo e lo stile della catechesi mistagogica.
<Siccome sapevo che si crede di più a
quello che si vede che a quello che si ode, ho aspettao questo momento...Ormai
siete divenuti capaci dei più divini misteri, perché fatti segni anche del
battesimo vivificatore. Dal momento che ormai bisogna imbandire a voi il
banchetto degli insegnamenti più perfetti, incominciamo dunque a insegnarveli
diligentemente, affinché comprendiate quello che avete veduto compiersi su di
voi nella notte del battesimo>[9]. Senza dimenticare che questi neo-battezzati già
avevano ricevuto un'istruzione catecumenale protrattasi ordinariamente per ben
tre anni! Nonostante questo il loro Vescovo sentiva la necessità di imbandire
loro <il banchetto degli insegnamenti
più perfetti>.
Al tempo della mistagogìa, nei riti di iniziazione cristiana, era
dedicata tutta la settimana che segue la Pasqua e si concludeva con la domenica
in albis. Il nuovo Rito della iniziazione
cristiana degli adulti (=RICA, 1972), consapevole dell'importanza che hanno
i santi segni per entrare più profondamente nel mistero cristiano, ha mantenuto
questa antica tradizione e ne parla in questi termini: <Dopo quest'ultimo grado (il conferimento dei 3 sacramenti di
iniziazione: battesimo, confermazione, eucaristia), la comunità insieme con i
neofiti[10]
prosegue il suo cammino nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione
all'Eucaristia e nell'esercizio della carità, cogliendo sempre meglio la
profondità del mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della
vita. Questo è l'ultimo tempo dell'inizizione cioè il tempo della
"mistagogìa" dei neofiti> (RICA 37).
<In realtà una più piena e più
fruttuosa intelligenza dei misteri si acquisisce con la novità della catechesi
e specialmente con l'esperienza dei sacramenti ricevuti. I neofiti infatti sono
stati rinnovati interiormente, più intimamente hanno gustato la buona parola di
Dio, sono entrati in comunione con lo Spirito Santo e hanno scoperto quanto è
buono il Signore. Da questa esperienza, propria del cristiano e consolidata
dalla pratica della vita, essi traggono un nuovo senso della fede, della Chiesa
e del mondo> (RICA 38).
Nelle <Premesse> all'edizione italiana del RICA i Vescovi italiani
nel 1978 così scrivevano: <questo
itinerario, graduale e progressivo di iniziazione e di evangelizzzione...è
presentato con valore di forma tipica per la formazione cristiana>; ed
invitavano a <costituire una
catechesi di tipo mistagogico dei sacramenti già ricevuti, in vista di una
esperienza più piena della loro divina efficacia>.
Deduzioni pastorali.
Dall'esperienza dei Padri e dalle recenti norme presenti nei Rituali
rinnovati, si possono trarre queste indicazioni pastorali:
a. Esiste una forma particolare di catechesi, comunemente detta catechesi
mistagogica, che ha un suo proprio metodo: condurre i fedeli, <per mezzo dei
riti e delle preghiere> (per ritus et
preces), a comprendere bene i misteri della fede e a parteciparvi
consapevolmente, piamente e attivamente (SC 48). Infatti la liturgia è una
ricca fonte di istruzione per il popolo fedele (SC 35). Questa catechesi non
deve essere saltuaria od occasionale, ma deve essere sistematica e specifica,
da offrire a tutta la comunità cristiana; il tempo migliore è quello pasquale.
Questa è anche la metodologia più efficace e consigliata per la preparazione
dei genitori al battesimo dei figli, dei fidanzati al matrimonio, e così via.
Già si è detto che i nostri Vescovi la considerano <forma tipica> per la
formazione cristiana.
b. Esiste anche un un altro tipo di <catechesi liturgica> di cui
parla Sacrosanctum concilium: <negli stessi riti siano previste, quando
necessario, brevi didascalie da farsi con formule prestabilite o simili, dal
sacerdote o dal ministro competente, ma solo nei momenti più opportuni>
(SC 35 § 3). Più che di catechesi, si tratta qui di <monizioni> da farsi
con <brevissime parole>[11], sobrie e preparate con cura. Molto spesso,
invece, queste monizioni diventano vere e proprie istruzioni durante la
celebrazione dei sacramenti; conseguenza: da celebrate, queste azioni
liturgiche diventano <chiacchierate>; l'aspetto <didascalico>
finisce per soffocare l'aspetto epifanico-misterico-dossologico che è invece
prioritario e costitutivo della celebrazione liturgica.
Via sia pertanto chiarezza su ciò che è mistagogìa e ciò che mistagogìa
non è; di conseguenza si scelgano tempi e modi propri per una catechesi
liturgica di tipo mistagogico; l'elemento <didascalico> sia sobrio nella
celebrazione, facendolo eventualmente precedere la celebrazione come preparazione
oppure seguire come ulteriore approfondimento della medesima in una catechesi
sistematica.
c. Esiste poi tutto il vasto campo della evangelizzazione. Negli anni
1973-1978 la CEI ha pubblicato una serie di documenti chiarendo il rapporto tra
<evangelizzazione e sacramenti> (1973) e dai quali risulta che:
all'evangelizzazione spetta un necessario primato[12], o meglio priorità; si eviti di limitare
l'azione pastorale ad una attenzione esclusiva sulla prassi sacramentale, ma vi
sia equilibrio e continuità tra evangelizzazione e sacramentalizzazione; si
eserciti anche un sereno discernimento circa l'ammissione dei candidati alla
celebrazione sacramentale.
Il rinnovamento della catechesi.
E' ancora valido quanto scritto nel 1970 nel Documento di Base sul Rinnovamento della catechesi circa la
catechesi dei segni liturgici:
a. La catechesi inizia i cristiani a cogliere il valore dei segni
liturgici con i quali Dio si rivela e si comunica...così i fedeli crescono
nell'intelligenza del mistero cristiano, nutriti dei sacramenti pasquali (RdC
32).
b. Il cristianesimo nasce ed è costituito da una serie ordinata di fatti
e di parole che rivelano e attuano il disegno di Dio: interventi divini e
risposte umane, culminanti nell'evento supremo che è Cristo. E' una storia
presente che realizza una promessa...e enticipa e prepara, in segni variamente
efficaci, una pienezza definitiva e futura (RdC 78).
c. Il catechista deve studiare e spiegare attentamente il senso, talora
recondito ma inesauribile e vivo dei segni e dei riti liturgici, osservando non
tanto il loro simbolismo naturale, ma considerando piuttosto il valore
espressivo che essi hanno assunto nella storia dell'antica e della nuova
alleanza. L'acqua, il pane, il radunarsi in assemblea, il camminare insieme, il
canto, il silenzio lasceranno trasparire più chiaramente le verità di salvezza
che evocano e che misticamente realizzano (RdC 115).
d. Per evitare il disagio di sistemazioni impersonali e lontane dalla
vita di fede, grande risalto occorre dare alla pedagogìa dei segni, la quale
trova la sua ultima ragione nella natura stessa del mistero rivelato. Il
catechista sa rendere familiare ai fedeli il passaggio dai segni visibili agli
invisibili misteri che in essi Dio fa conoscere e comunica. Distingue perciò la
diversa natura dei segni e il diverso valore che ciascuno di essi ha in ordine
al mistero...Come evita di presentare i segni senza riferimento al mistero,
così evita di parlare del mistero senza il ricorso ai segni, in modo che
l'incontro dei fedeli non sia con il Dio dei filosofi, ma con il Dio di Abramo,
di Isacco, di Giacobbe, con il Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa (RdC 175).
Ascolto, fede, amore.
La mistagogìa, attraverso il linguaggio dei santi segni, conduce
nell'universo dello spirito alzando il velo e comunicando una nuova capacità
visiva, quella cioè di fare esperienza della salvezza nell'oggi dela
celebrazione liturgica. Una autentica catechesi sacramentaria, pertanto, va ben
al di là di una semplice istruzione morale-intellettuale; mira piuttosto ad una
conoscenza esperienziale dell'universo della fede, segnando il primato della
vita sui concetti.
Si dovrà certamente parlare della natura, degli effetti dei sacramenti;
ma punto di arrivo resta sempre l'intelligenza del mistero e la sua effettiva
partecipazione nella celebrazione liturgica per prolungarsi poi nella vita e
nella missione.
Questa del resto è la metodologia catechistica di S. Agostino il quale,
nel suo De catechizandis rudibus,
afferma chiaramente che il termine ultimo e la finalizzazione della catechesi è
la <charitas>: <chi ti scolta, ascoltando creda, credendo
speri, sperando ami> (IV, 8).
L'INIZIAZIONE
CRISTIANA
Secondo la celebre affermazione di Tertulliano, <cristiani non si nasce ma si
diventa>. In base a questa convinzione fin dai primi secoli del
cristianesimo la Chiesa organizzò un cammino graduale e progressivo del <divenire cristiani> che chiamò <iniziazione cristiana>; iniziazione
nel senso di <inserimento>
vitale nel mistero pasquale di Cristo e nella vita della Chiesa.
Nel discorso di Pietro il giorno di Pentecoste troviamo già una sintesi
di quella che sarà la struttura dell'iniziazione cristiana: <All'udir
tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri
apostoli: Che cosa dobbiamo fare? E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno di voi
si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri
peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo> (Atti
2.37-38).
Coloro che hanno udito l'annuncio del mistero di Cristo (kerygma), con la grazia dello Spirito
Santo consapevolmente e liberamente cercano il Dio vivo e iniziano il loro
cammino di fede e di conversione (catecumenato-catechesi).
Al tempo opportuno porteranno a compimento il loro cammino di <divenire cristiani> ricevendo con
frutto i sacramenti della iniziazione cristiana (Liturgia: Battesimo, Confermazione, Eucaristia).
I due momenti inseparabili del <cammino> e della <celebrazione> formano insieme quel programma unico
del divenire cristiani che si chiama appunto <iniziazione cristiana>.
Questo programma di iniziazione conobbe il suo massimo splendore
nell'epoca d'oro del catecumenato (III-V secolo); poi scomparve. Recentemente
il Vaticano II ha voluto che fosse <ristabilito,
riveduto e adattato> l'antichissimo rito e prassi della iniziazione
cristiana (SC 64-66; AG 14; CD 14); il 6 gennaio 1972 veniva pubblicato il Rito dell' Iniziazione Cristiana degli
Adulti (RICA). Nelle Premesse a
questo nuovo Rito la Conferenza Episcopale Italiana ha scritto: <E'
importante richiamare l'attenzione sul fatto che l'itinerario, graduale e
progressivo, di evangelizzazione, iniziazione, catechesi e mistagogìa è
presentato dall'ordo con valore di forma tipica per la formazione cristiana>.
Oggi nelle nostre comunità ecclesiali si sente con maggiore intensità
l'esigenza di un'azione pastorale che conduca alla riscoperta o alla
consapevolezza progressiva e personale della propria fede, mediante una
catechesi permanente che segua gradualmente il cristiano dall'infanzia alle
successive fasi della vita.
Se, in senso stretto, il RICA riguarda il <divenire cristiani> per
coloro che ancora non sono battezzati, ha tuttavia un valore di forma tipica
per la formazione cristiana di coloro che, battezzati da piccoli, non hanno mai
fatto un cammino sistematico di iniziazione. Offre anche un apposito programma
di iniziazione per fanciulli/ragazzi che chiedono il battesimo in età scolare.
1. La fede dall'ascolto.
All'inizio di ogni cammino di vita cristiana sta l'annuncio della Parola
che salva: la fede dipende dalla
predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo
(Romani 10,17). Dall'evangelizzazione hanno origine la fede e la conversione.
Quando si annuncia con fiducia e costanza il Dio vivo e colui che egli ha
inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo, allora lo Spirito apre il cuore
e permette di aderire sinceramente a questa proposta di salvezza.
Al primo annuncio essenziale (kerygma)
fa seguito un approfondimento sistematico della vita spirituale e della
dottrina cristiana (catechesi). Per
un'opportuna maturazione cristiana, all'istruzione catechistica devono
necessariamente affiancarsi altri impegni: la diaconia, intesa come testimonianza della propria fede nel servizio
dei fratelli; la liturgia, come
adorazione del Dio vivo; la missione,
come annuncio ed edificazione della comunità ecclesiale.
La Chiesa accompagna questo cammino di iniziazione con apposite
celebrazioni: gli scrutini intesi
come liberazione dal peccato e dal demonio al fine di mettere in luce
(scrutare) le fragilità per guarirle e le buone qualità per rafforzarle con la
forza che viene dallo Spirito di Cristo; le consegne
del credo e del Padre nostro.
Al termine di questo cammino stanno i sacramenti di iniziazione: il
Battesimo, la Confermazione, l'Eucaristia.
Il tempo di quaresima è l'occasione più opportuna per sviluppare questo
progetto di iniziazione; se non ci sono catecumeni, anche gli adulti già
battezzati potranno fruttuosamente seguire le tappe di iniziazione
accompagnando il cammino dei fanciulli/ragazzi secondo le indicazioni dello
stesso RICA che diamo qui di seguito.
2. Iniziazione cristiana dei fanciulli.
Il RICA ha un valore di forma tipica anche per la formazione cristiana di
quei fanciulli/ragazzi che, non battezzati da piccoli, chiedono poi i
sacramenti dell'iniziazione quando vedono i loro compagni frequentare il
catechismo in vista della confermazione-eucaristia. Quale via seguire in questi
casi che diventano giorno per giorno sempre più frequenti?[13]. Il capitolo V del RICA è infatti dedicato
all'<Iniziazione cristiana dei
fanciulli nell'età del catechismo>. E' un segno dei tempi che esige
risposte nel contesto di quella che oggi si suol chiamare <nuova
evangelizzazione>.
Questo rito è per quei fanciulli che, non avendo ricevuto il Battesimo nell'infanzia e avendo raggiunto l'età della
discrezione e della catechesi, si presentano per l'iniziazione cristiana per
iniziativa dei loro genitori od anche spontaneamente. Essi sono già idonei a
concepire e ad alimentare una fede personale e a conoscere alcuni doveri
morali. Tuttavia non si possono ancora trattare da adulti perché, data la loro
formazione ancora puerile, dipendono dai genitori o dai tutori e sentono molto
l'influenza dei compagni e della società (OICA 306).
Che cosa si richiede a questi fanciulli/ragazzi? In pratica si richiede
che, accanto all'educazione umana propria della loro età, intraprendano anche
una graduale conversione e maturazione nella fede. Questo cammino si prolunga
nel tempo[14] e prevede vari gradi e vari tempi (RICA 307); la
comunità degli adulti li segue da vicino in questo cammino di iniziazione.
a. Primo grado: l'ammissione al
catecumenato.
Prevede alcune tappe:
* l'accoglienza. Alla presenza dei genitori e di un gruppo dei loro
compagni, questi fanciulli/ragazzi sono accolti alla porta di chiesa con
espressioni di gioia e di gratitudine. Si verifica la loro intenzione di
<divenire cristiani>, cioè di essere battezzati, e si richiede anche il
consenso/collaborazione dei loro genitori: questi fanciulli avranno infatti
bisogno della fede e della carità dell'intera comunità cristiana.
* il segno di croce. Il celebrante, i genitori ed i catechisti fanno
quindi il segno della croce sulla fronte[15] dei fanciulli: è il segno di Cristo e
dell'appartenenza a lui. Si invitano poi ad entrare in chiesa: questa ormai è
la casa della comunità cristiana dove si ascolta il Signore che parla e dove
tutti insieme ci si rivolge a lui con la preghiera. Ora questi fanciulli/ragazzi possono stare seduti accanto ai loro
genitori oppure insieme agli altri compagni già battezzati: d'ora in poi il
loro cammino di iniziazione procederà gradualmente all'interno di questo gruppo
catechistico e di questa comunità che li accoglie.
* celebrazione della Parola di Dio. Si porta il libro delle Scritture che
viene collocato con onore al suo posto. Il celebrante spiega brevemente la
dignità della parola di Dio; si proclama qualche lettura adatta[16]. Si tiene l'omelia.
* consegna dei Vangeli. Dopo una breve preparazione si consegna ai
fanciulli il libro dei Vangeli; segue una preghiera dove si chiede al Signore
forza e perseveranza per questi fanciulli contro lo scoraggiamento e la
sfiducia.
Ha così inizio il cammino catecumenale caratterizzato da: una opportuna catechesi[17], dalla diaconìa o esercizio del servizio-carità;
dalla liturgia o servizio della preghiera; dalla missione o
impegno di testimonianza e di annuncio. Si protrae per un tempo
sufficientemente lungo.
b. Secondo grado: scrutini o riti
penitenziali.
Coincidono con l'ultimo periodo della preparazione al Battesimo; la
Quaresima è il tempo più adatto, soprattutto se l'iniziazione verrà conferita
nella Veglia pasquale; questi riti si adattano e quindi prevedono la
partecipazione anche degli altri presenti (compagni e catechisti, genitori).
Questi riti penitenziali che costituiscono un momento importante del
catecumenato dei fanciulli, tendono a purificare la mente ed il cuore, a
fortificare contro le tentazioni, a rettificare le intenzioni e a stimolare la
volontà verso una più intima adesione a Cristo e verso un sempre più fermo
impegno nell'amore di Dio da parte dei catecumeni. Ai fanciulli è richiesto,
secondo le loro capacità, la volontà di acquistare un profondo senso del Cristo
e della Chiesa.
Poiché, come già detto, questi fanciulli catecumeni frequentano il gruppo
catechistico con gli altri compagni già battezzati, questo potrebbe essere il momento adatto nel quale i fanciulli
<catecumeni> compiono i riti di purificazione, mentre gli altri già
battezzati partecipano per la prima volta al sacramento della Penitenza.
Il rito può svolgersi in questo modo:
* accoglienza dei penitenti e preghiera di affidamento alla misericordia
di Dio;
* celebrazione della parola di Dio e omelia;
* esorcismo (soltanto sui fanciulli catecumeni): ha lo scopo di liberare
dalle conseguenze del peccato e dall'influsso diabolico, di rinvigorire nel
cammino spirituale e aprire il cuore ai doni del Salvatore. Questo rito avviene
in forma di dialogo tra celebrante e fanciulli.
* unzione con l'olio dei catecumeni (sul petto o sulle mani): è un segno
di salvezza, di fortezza;
* congedo dei fanciulli catecumeni;
* i fanciulli già battezzati celebrano il sacramento della Penitenza.
c. Terzo grado: celebrazione dei
sacramenti dell'iniziazione.
Il tempo più adatto è la Veglia pasquale o la domenica, a sottolineare il
carattere pasquale di questi sacramenti. Per la scelta del tempo più adatto si
tenga conto sia della preparazione dei fanciulli catecumeni, sia della
opportunità di far coincidere la loro iniziazione quando i loro compagni già
battezzati sono ammessi alla Confermazione e all'Eucaristia (RICA 310). I riti
previsti possono essere adattati con intelligenza secondo le facoltà previste
dal Rituale (RICA 313).
Il rito si svolge così (RICA 343-369):
* riti iniziali: si accolgono i fanciulli che devono essere iniziati, con
i genitori, i padrini ed i compagni e amici; si celebra la liturgia della
parola;
* benedizione dell'acqua;
* professione di fede da parte dei già battezzati (genitori, padrini,
presenti: recitano il Credo); segue la professione di fede da parte dei
fanciulli catecumeni (rinuncia al peccato e professione di fede);
* battesimo: si versa per tre volte l'acqua sul capo dei fanciulli
catecumeni (tutta l'assemblea può fare una breve acclamazione); si consegna la
veste bianca e il cero acceso;
* Confermazione ed Eucaristia: a questo punto tutti i fanciulli sono
battezzati; possono proseguire insieme il cammino ricevendo gli altri due
sacramenti di iniziazione; se non c'è il Vescovo, lo stesso sacerdote che ha
battezzato i fanciulli catecumeni dà a tutti il sacramento della Confermazione
e li ammette per la prima volta al banchetto eucaristico.
* tempo della mistagogìa: dura tutto il Tempo di Pasqua; nelle Messe
domenicali i fanciulli iniziati partecipano all'Eucaristia perfezionando il
loro pieno e sereno inserimento nella comunità; avranno un posto riservato e
nell'omelia e nella preghiera dei fedeli si farà un riferimento ad essi; molto
utile il ricordo-celebrazione dell'anniversario del Battesimo (cf RICA
235-239).
Tutta la forza e l'intuizione di questo capitolo V dell'RICA sta
nell'offrire un processo graduale di iniziazione per quei fanciulli/ragazzi
che, non battezzati da piccoli, chiedono il Battesimo in età scolare.
Gli elementi su cui maggiormente soffermare la nostra attenzione sono:
a. questa proposta deve essere considerata come un <modello di
iniziazione> di tipo catecumenale: è utile non solo per i fanciulli/ragazzi
non ancora battezzati, ma può essere presa come esempio di come organizzare una
scuola di catechismo per i fanciulli/ragazzi già battezzati che però di fatto
non hanno ancora fatto una scelta di vita cristiana; è un modello di
evangelizzazione che si addice al contesto secolare in cui viviamo; è una
tipica forma di <nuova evangelizzazione> che deve coinvolgere tutta la
comunità degli adulti.
b. da questa esperienza tutta la comunità impara ad essere
<evangelizzatrice> e <iniziatrice> per tutti i suoi membri, nella
varietà delle situazioni in cui si trovano; si richiede un salto di qualità
nell'offrire proposte di iniziazione adeguate alle situazioni del nostro tempo
da alcuni definito come post-cristiano;
c. è occasione di evangelizzazione anche per i genitori i quali dovranno
accompagnare i loro figli nel cammino di fede che non termini con la festa per
il sacramento, ma che dovrà proseguire in una catechesi permanente;
d. riguardo poi a questi fanciulli/ragazzi non ancora battezzati, si
dovrà assolutamente evitare ogni forma di isolamento; si dovrà piuttosto
armonizzare ed inserire la loro iniziazione cristiana nel processo catechistico
degli altri loro compagni che, già battezzati da piccoli, si preparano ora alla
Confermazione e all'Eucaristia;
e. il susseguirsi dei tempi e dei gradi, accompagnati da rispettivi riti,
vanno preferibilmente celebrati comunitariamente alla presenza dei genitori,
dei padrini, degli amici; deve essere ben chiaro che tutta la comunità è è una
comunità che <evangelizza>, <accoglie>, <inizia>;
f. si eviti tuttavia di confondere o equiparare i fanciulli catecumeni
con quelli già battezzati; pur facendo parte dello stesso gruppo catechistico,
ciascuno deve partecipare ai riti secondo lo stato che gli è proprio[18].
E' stato scritto, con un po' di ironia, che mentre anticamente la Chiesa
<battezzava i convertiti>, oggi deve <convertire
i battezzati>. Il RICA offre un progetto organico di crescita nella fede
che si chiama <iniziazione cristiana>; il discernimento pastorale dovrà
trovare gli adattamenti utili per una sua fruttuosa applicazione valida sia per
gli adulti già battezzati che per quei fanciulli che chiedono il battesimo in
età scolare.
IL
BATTESIMO
Il nome.
Il termine battesimo (dal greco baptô, baptizô) significa primariamente <immergere>, quindi un bagno
di immersione; in senso derivato significa <lavare> come effetto
dell'immersione.
Nell'AT il termine battesimo si
trova, ad esempio, per esprimere l'immersione di Naaman nel Giordano (2 Re
5,14). Ha quasi sempre un significato di purificazione
legale o rituale (Num 19,2-10; Deut 23,10s; Lev 20,26s; Is 1,16-17). I
Profeti preannunciano un bagno escatologico di vera purificazione nell'acqua e
nello Spirito (Ez 36,22-29).
Nella comunità di Qumran, come pure nelle sètte battiste giudaiche, si
praticava un bagno rituale (battesimo dei proseliti), non solo come purificazione (lo stesso presso alcune
religioni pagane), ma anche come iniziazione
alla vita di una comunità.
Nel NT il termine baptô si
trova solo 4 volte (Lc 16,24; Ap 19,13; due volte in Gv 13,26) esclusivamente
con il significato di immergere. Più
frequente l'uso di baptizô per
indicare sia il battesimo di Giovanni (di preferenza), sia il battesimo
cristiano. Il sostantivo baptismos si
trova solo in Mc 7,4; Eb 9,10.
La storia del battesimo.
Secondo l'ordine del Signore (Mt 28,19), gli Apostoli amministrano il
battesimo <nel Nome di Gesù> (At 2,38.41; 8,12.38) quale segno di fede
nell'opera compiuta dal Cristo (Rom 6,4). Fin dalla Pentecoste Pietro dichiara
la necessità del battesimo per il perdono dei peccati e il dono dello Spirito
(At 2,38). E' annunciato agli Ebrei (At 2,41), ai Samaritani (At 8,12-13), ai
pagani (At 16,15.33). Famiglie intere (quindi adulti e bambini) sono battezzate
nel Nome del Signore (At 16,31-33).
Già al tempo di Giustino (+167) si parla di un periodo di
preparazione-istruzione in vista del battesimo (= iniziazione cristiana). Con
Tertulliano a Cartagine e Clemente ad Alessandria si trova un catecumenato di 3
anni. Il IV secolo è l'epoca del grande catecumenato, diviso in due fasi: gli audientes (tempo dell'istruzione
catechesi) e gli eletti (coloro che
si preparano alla prossima iniziazione). All'inizio del VI secolo (verso l'anno
500) il catecumenato si semplifica; i candidati al battesimo sono ormai
abitualmente bambini. Si aggiunge il rito della traditio dei 4 Vangeli (al posto del Pater e del Credo). Nel secolo
IX-X il battesimo non è più legato alla Pasqua o alla Pentecoste; i riti del
catecumenato (unzioni, esorcismi, iscrizione del nome, elezione...) non vengono
soppressi ma ridotti e concentrati nella stessa cerimonia del battesimo; si
aggiunge la consegna della veste bianca; nel sec. XI quella del cero. Nel sec.
XIV al battesimo per immersione subentra quello per infusione. La riforma
tridentina rende normativo il Rituale del battesimo dei bambini. Il Vaticano II
ristabilisce sia il battesimo degli adulti (12 aprile 1962), sia il
catecumenato (SC 64; AG 14), sia il Rito dell'iniziazione cristiana degli
adulti (1972).
Natura del battesimo.
Seguendo il significato del termine battesimo e le indicazioni dell'OICA
3-6 (Dignità del battesimo), si può così riassumere la natura di questo
sacramento:
1. Immersione nella santa Trinità.
Ippolito, nella <Tradizione apostolica>, ci dà testimonianza
dell'uso di battezzare con triplice immersione nella vasca battesimale
invocando, ad ogni immersione, una Persona della santa Trinità: Credi in Dio Padre onnipotente? Colui che
viene battezzato risponda: Credo. Lo battezzi allora una prima volta tenendogli
la mano sul capo.
La realtà sacramentale prodotta dalla triplice immersione ed invocazione
trinitaria, è ben espressa da S. Ireneo: Quando
siamo stati rigenerati col battesimo nel Nome di queste Tre Persone, in questa
seconda nascita noi siamo arricchiti coi beni esistenti in Dio Padre mediante
suo Figlio con lo Spirito Santo. I battezzati ricevono lo Spirito di Dio:
questi dona essi al Verbo cioè al Figlio. Ed il Figlio li assume e li offre al
Padre: ed il Padre comunica loro l'incorruttibilità. Perciò senza lo Spirito è
impossibile vedere il Verbo di Dio e senza il Figlio nessuno può giungere al
Padre: in realtà la conoscenza del Padre è il Figlio e la conoscenza del Figlio
di Dio è operata mediante lo Spirito Santo. Ma solo il Figlio secondo
l'eudochìa del Padre effonde lo Spirito su quanti il Padre vuole e come il
Padre vuole.
La realtà trinitaria del battesimo fa di noi:
a. in rapporto al Padre: figli
adottivi di Dio (Gal 4,5-7); nuova creatura (2 Cor 5,17); partecipi della
natura divina (2 Pt 1,4);
b. in rapporto al Figlio:
battezzati in Cristo e rivestiti di Cristo (Gal 4,27); immersi nella sua morte
(Rom 6,3-5; Col 2,12) per risorgere con lui alla vita nuova (Rom 8,11);
battezzati nel suo Nome, è ormai a lui che apparteniamo (At 2,38; cf Is 2,7)
come sue membra (1 Cor 6,15; 12,27);
c. in rapporto allo Spirito Santo:
diventiamo tempio dello Spirito (1 Cor 6,19) e quindi rinati e rinnovati
dall'acqua e dallo Spirito (Tito 3,5); apparteniamo allo Spirito di Cristo (1
Cor 12,13) dal momento che Cristo e lo Spirito non possono essere separati (Rom
8,9; 2 Cor 3,17).
Ogni battezzato è dunque una creatura nuova, generato dall'amore del
Padre, immerso-purificato nella morte-risurrezione di Cristo, portatore dello
Spirito di filiazione.
2. Purificazione dei peccati.
Effetto derivato dalla filiazione divina è la remissione di tutti i
peccati: sia il peccato di origine, sia i peccati personali (nel caso degli
adulti battezzati), sia le pene contratte con il peccato (At 22,16: (Saulo) alzati, ricevi il battesimo e lavati dai
tuoi peccati, invocando il suo nome). Siccome la purificazione totale
prodotta dal sacramento si attua per la forza dell'opera salvifica di Cristo
(Ebrei 10,22), il battesimo nella fase di immersione diventa il simbolo della
morte e sepoltura di Cristo (Col 2,12) mentre nella fase di emersione
simboleggia l'uscita di Cristo dal sepolcro, cioè il passaggio dalla morte alla
vita (Rom 8,11), un esodo dalla schiavitù (1 Cor 10,1-2). Liberato dal peccato,
il battezzato è diventato un neofita
(= nuova pianta), una nuova creatura
(2 Cor 5,17), un uomo nuovo (Ef
2,15), animato dall'unico Spirito della vita (1 Cor 12,13; Ef 4,4s). Per il
battezzato, liberato dal vecchio lievito di morte, ha inizio una vita nuova
nello Spirito (Rom 6,8-11.13; 8,2s; Gal 5,16-24)[19].
Così la Chiesa, mediante il battesimo, è resa santa, purificata dal
lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola (Ef 5,25). E' un richiamo alla
<genesi> e alla prima creazione dall'acqua e dallo spirito (Gen 1,1-2); è
un richiamo all'aspersione per il dono dello Spirito nuovo al momento della
nuova alleanza (Ez 36,25-28); è il compimento del rito di purificazione avviato
da Giovanni Battista (Mc 1,3).
3. Incorporati alla Chiesa.
Il battesimo fa di tutti i battezzati le membra del corpo di Cristo: in realtà noi tutti siamo stati battezzati
in un solo Spirito per formare un solo corpo (1 Cor 12,13).
Dal fonte battesimale nasce l'unico popolo di Dio, il popolo
dell'alleanza nuova che sorpassa tutti i limiti umani dovuti alla nazionalità,
alla cultura, alla razza, al sesso (Gal 3,28: poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù).
I battezzati diventano le pietre
viventi per l'edificazione di un edificio spirituale, per un sacerdozio
santo (1 Pt 2,5). Per il battesimo partecipiamo al sacerdozio di Cristo e
quindi siamo la stirpe eletta, il
sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato (1
Pt 2,9 che cita Es 19,5-6). Il battesimo ci conferisce una dignità regale,
profetica, sacerdotale. Commenta S. Leone Magno: Di tutti i rigenerati in Cristo il segno della croce fa dei re,
l'unzione dello Spirito li consacra come sacerdoti e li mette a parte per un
servizio...In effetti che cosa c'è di più regale che governare il proprio corpo
nella sottomissione a Dio? Che cosa di più sacerdotale che votarsi al Signore
con una coscienza pura ed offrire sull'altare del proprio cuore le vittime
senza macchia della pietà? (Sermone 4,1).
Divenuti membri della Chiesa non apparteniamo più a noi stessi, ma a
Colui che è morto e risorto per noi (2 Cor 5,15). La carità ed il servizio dei
fratelli diventa una esigenza battesimale (Ef 5,21; Gv 13,12-15).
Con Lumen gentium 11 si può
dire: Divenuti figli di Dio per la
rigenerazione, i battezzati sono tenuti a professare davanti agli uomini la
fede che per mezzo della Chiesa essi hanno ricevuto da Dio. Il battesimo è
dunque l'ingresso in una famiglia, la Chiesa: la famiglia di Dio che è la
comunità di Gesù Cristo guidata dallo Spirito, inviata per comunicare alle
genti la salvezza e dove sono accolti i nuovi figli di Dio.
4. E' vincolo sacramentale di unità.
<Il battesimo è il vincolo
sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono
stati rigenerati> (Decreto Unitatis
redintegratio 22; cf. n.3; OICA 4). La grazia battesimale è una grazia di
fraternità perché <La nostra comunione
è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo...e noi siamo in comunione gli uni con
gli altri...: 1 Gv 1.3.6-7). Ciò esige che le comunità cristiane siano
comunità di accoglienza dove si possa fare una esperienza di vita cristiana
sull'esempio della comunità di Atti
2,41-47.
5. Segno indelebile di inserimento nella pasqua.
Incorporati e configurati a Cristo (Rom 8,29), riceviamo un segno
indelebile (=carattere) di
appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Il sigillo battesimale nello Spirito ci
abilita al culto sacerdotale (Lumen
gentium 10.11) e ci segna per il giorno della redenzione (Ef 4,30; Ap
7,3-4). La Chiesa invita a pregare per <coloro che ci hanno preceduti con il segno della fede e dormono il
sonno della pace> (canone romano). La partecipazione alla vita del Risorto e
l'inserzione nella comunità pasquale sono garanzia della risurrezione e della
visione beata (Rom 6,3-11; Col 2,13; Ef 2,5-6).
Riassumiamo la ricchezza di questi contenuti della dignità battesimale
con un testo particolarmente ricco di S. GREGORIO IL TEOLOGO: <Il battesimo è il più bello e magnifico tra
i doni di Dio...Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste di
incorruttibilità, bagno di rigenerazione: * dono: è donato anche a chi nulla ha
offerto; * carisma: in quanto è donato anche a chi è debitore; * battesimo: in
quanto il peccato è sepolto nell'acqua; * unzione: in quanto è sacra e regale e
profetica e sacerdotale; * illuminazione: in quanto è irraggiamento della luce
di Cristo; * veste: in quanto è copertura della vergogna; * lavacro: in quanto
è purificazione; * sigillo: in quanto è custodia e significato di sovranità.
In forza di questo dono gioiscono i
cieli, gli angeli danno gloria per lo splendore della parentela con Dio,
riceviamo l'icona della beatitudine di lassù. Esso noi vogliamo inneggiare, ma
non lo possiamo quanto ne sarebbe segno> (Oratio 40,3-4)
I SEGNI
BATTESIMALI
Non va dimenticato che
scopo primario della Liturgia è quello di celebrare ed esprimere il Mistero di
Cristo quale mistero pasquale di salvezza che si realizza oggi nella Chiesa
mediante una azione sacramentale significativa ed efficace[20].
La Liturgia, essendo
culmine e fonte (SC 10), ha bisogno sia di una preparazione <catechetica>
che di una prosecuzione <mistagogica>. Volendo presentare la realtà
sacramentale del battesimo secondo una prospettiva catechetico-mistagogica, è
opportuno partire dai segni per
risalire alla realtà da essi
significata e attuata.
1. Pedagogia dei segni.
Secondo il Rinnovamento della catechesi i
<segni> vanno utilizzati con questi accorgimenti:
* devono lasciar
trasparire la realtà divina che in essi si esprime e si comunica all'uomo;
* devono essere
traduzione-attuazione della gloria divina per l'uomo;
* ciò che conta non è
tanto il loro <simbolismo naturale> quanto piuttosto la verità di
salvezza che esso evoca e misticamente realizza;
* la pedagogia del segno
esige che esso renda familiare il passaggio dai segni visibili agli invisibili
misteri;
* si eviterà un duplice
rischio: parlare dei segni senza riferimento al mistero, presentare il mistero
senza il riferimento ai segni (RdC 32.78.115.175).
Diciamo subito che il
segno sacramentale principale del battesimo (materia e forma) è l'immersione/emersione (o infusione) nell'acqua, accompagnata dalla confessione/invocazione della santa Trinità.
Accanto a questo segno
principale ve ne sono altri in diverso modo significanti ed efficaci come
l'acqua, il segno della croce, le unzioni, la consegna della luce e della
veste. In forza dell'azione santificante dello Spirito, i santi segni producono ciò che significano (SC 7);
per facilitare la loro lettura, vedremo prima il <segno> poi la <realtà sacramentale> che esso
produce.
2. Immersione nell'acqua.
a. il segno. Fin
dall'inizio la Chiesa ha battezzato con l'acqua sia per immersione (At
8,36-38), sia per infusione[21]. Tuttavia in Oriente e in Occidente l'uso più
comune di battezzare è stato quello per immersione, almeno fino al secolo XIV;
lo stesso s. Tommaso lo ritiene una forma più
sicura. A partire da quest'epoca, mentre in Oriente (e nella liturgia
Ambrosiana) è rimasta l'unica forma per battezzare, in Occidente prevalse il
battesimo per infusione. La riforma liturgica ha ridato valore a questo segno: * per il battesimo dei bambini: Si può legittimamente usare sia il rito di
immersione, segno sacramentale che più chiaramente esprime la partecipazione
alla morte e risurrezione di Cristo, sia il rito di infusione (Rito
battesimo bambini, 22); * per il battesimo degli adulti: Si scelga, fra rito dell'immersione o dell'infusione, quello più adatto
ai singoli casi, perché, secondo le varie tradizioni e circostanze, meglio si
comprenda che quell'abluzione non è un semplice rito di purificazione, ma il
sacramento dell'unione con Cristo (RICA 32. 220).
b. la realtà. E'
espressa da s. Paolo in Romani 6,3-5:
O non sapete che quanti siamo stati
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?...Se siamo
stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche
con la sua risurrezione.
La realtà del lavacro
battesimale è dunque un morire per
risorgere. I padri si sono fatti interpreti di questo simbolismo:
* s. Ambrogio: quando ti immergi, ricevi la somiglianza
della morte e della sepoltura, ricevi il sacramento della croce (De
sacramentis 2,6);
* Cirillo di
Gerusalemme: Scendi nell'acqua portando
con te i peccati ma la invocazione della grazia pone un sigillo
sull'anima...Scendi morto per i peccati e sali vivificato nella giustizia. Se
infatti sei diventato una medesima pianta con lui per la conformità della morte
del Salvatore, sarai pure fatto degno della sua risurrezione...Così tu scendi
nell'acqua e vi sei in qualche modo seppellito, come lui lo fu nella pietra, e
poi risorgi di nuovo camminando in novità di vita (Catechesi mistagogica
III,12); In quel medesimo istante sei
morto e sei nato; l'acqua salutare ti è stata sepolcro e madre (Catechesi
mistagogica II,4);
* s. Leone Magno: Per quello stesso Spirito per il quale
Cristo nasce dal seno di una vergine madre, dal seno della Chiesa nasce il
cristiano (Sermone 29,1).
Dalla catechesi dei
Padri emerge che la <tipologia> battesimale esprime-attua questa realtà
sacramentale: come l'immersione significa la partecipazione alla morte di
Cristo, così l'emersione significa la partecipazione alla risurrezione di lui
(Rom 6,4; Col 2,12; 1 Pt 3,21); come per Cristo che giace nel sepolcro è
sopraggiunto lo Spirito del Padre a ridargli la vita immortale di
Kyrios-Signore (Rom 8,11; Gal 1,1; At 2,22.36), così lo stesso Spirito del
Padre e del Figlio dà alle acque la capacità di rigenerare la vita nuova nello
Spirito: il fonte battesimale è effettivamente un sepolcro perché trattiene la morte causata dal peccato, ed è utero materno perché genera nello
Spirito una vita nuova per i figli che il Padre si è acquistato nel Figlio[22].
3. Confessione-invocazione della santa Trinità.
Secondo il comando del
Signore, i discepoli dovranno battezzare nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19).
a. il segno: era
costituito dalla triplice immersione (o infusione) nell'acqua invocando ogni
volta le singole Persone della santa Trinità. Invocare il <nome> di
qualcuno significa mettersi sotto la sua protezione, consacrarsi a lui.
b. la realtà: colui che si presenta per essere battezzato
nel nome della Trinità, deve significare la Trinità con la triplice immersione,
e riconoscersi debitore di colui che per lui è risorto dai morti il terzo
giorno (Giovanni diacono, Lettera
VI,1).
4. L'acqua.
Oltre i segni primari ed
essenziali del battesimo, cioè il lavacro con l'acqua accompagnato
dall'invocazione della santa Trinità, vi sono altri segni che aiutano a
comprendere la profondità del sacramento battesimale.
Seguendo la preghiera di
benedizione dell'acqua, troviamo le seguenti <tipologie> battesimali:
a. le acque primitive:
elemento fecondante.
Lo Spirito fin dalle
origini si librava sulle acque perché contenessero in germe la forza di
santificare (Gen 1,2-6; 2,4-10). Il battesimo ha una portata cosmica: è una
nuova creazione (Gv 3,5; 2 Cor 5,17), una restaurazione della creazione
primitiva ad opera del medesimo Spirito.
b. Le acque del diluvio:
elemento distruttivo e salvifico.
L'acqua segna la fine
del peccato e dà inizio ad una vita nuova (Gen 7,10.17; 1 Pt 3,18-22): Cristo, primogenito di tutta la creazione, è
divenuto in un senso nuovo il principio di una razza nuova, di quella che è
stata rigenerata da lui per mezzo dell'acqua e del legno, che conteneva il
mistero della croce, come Noè fu salvato dal legno nell'acqua (Giustino).
c. Le acque del Mar
Rosso: vendicatrici e liberatrici.
Il signifi9cato
tipologico dela traversata del Mar Rosso aveva un valore escatologico già
nell'AT (Is 43,19; 51,10): era figura della futura vittoria del Messia sulle
potenze del male (Apoc 15,3; 1 Cor 10,2-6): Il
mare ha ucciso il nemico: così nel battesimo la nostra inimicizia con Dio è
distrutta; il popolo uscì dal'acqua sano e salvo: non diversamente noi
risaliamo dal'acqua come esseri vivi di tra i morti (S. Basilio, Sullo Spirito Santo 14).
d. Le acque del
battesimo di Gesù.
Gesù santificò il battesimo quando egli pure fu
battezzato...perché noi pure, per mezzo del battesimo, fossimo fatti degni di
essere salvi in virtù della nostra comunione con lui (Cirillo
di Gerusalemme); Cristo si offrì al
battesimo precedendoci, perché i popoli cristiani gli tengano dietro con fiducia (S. Massimo, Disc. 100).
e. Le acque del nuovo
tempio.
Innalzato sulla croce,
Gesù versò dal suo fianco sangue ed acqua (Gv 19,34): Lui, il secondo Adamo, si addormentò con il capo reclinato sulla croce
affinché dal costato del dormiente gli venisse formata una Sposa. O morte, per
la quale i morti acquistano la vita. Che c'è di più puro, di più salutare di
questa ferita? (S. Agostino, citato in SC 5).
5. Il segno della croce.
L'imposizione del segno
della croce era ripetuto più volte durante il catecumenato e durante la cerimonia
di iniziazione. Dal commento che fanno i Padri emergono questi significati:
a. segno di
appartenenza. Accostatevi al sigillo
(sphragìs) sacramentale cosicché il padrone vi riconosca. Siate annoverati nel
santo ed intelligibile gregge di Cristo, onde possiate essere disposti alla sua
destra.
b. segno di protesione. Se ti sarai premunito dello sphragìs, segnando la tua anima e il tuo corpo con
l'unzione e con lo Spirito, che mai potrà accaderti? Ciò ti offre in questa
stessa vita la maggiore sicurezza possibile. Non è facile impadronirsi con
l'astuzia della pecora marcata, mentre quella che non reca alcun marchio
rappresenta per i ladri una facile preda. Questa tipologia la si può
riscontrare in Genesi 4,15 (Caino è
segnato da Dio perché nessuno lo uccida); Ezechiele
9,4 (Dio segna con una T-tau i membri del futuro Israele; Apocalisse 7,4 (i santi sono segnati col segno dell'agnello.
c. sigillo dello Spirito
della promessa. Abramo ricevette il segno
dela circoncisione come suggello della giustizia ottenuta mediante la fede
(Rom 4,11), In lui voi avete creduto e
foste segnati col sigillo dello Spirito Santo della promessa (Ef 1,13).
6. Il segno dell'unzione.
Il rito del battesimo
prevede due unzioni: una pre-battesimale
con l'olio dei catecumeni; l'altra post-battesimale
con il santo crisma.
a. l'olio dei
catecumeni. Ha una funzione risanatrice
perchché concede forza e vigore per poter comprendere in profondità il vangelo
di Cristo. Libera dal potere di Satana e distrugge le tracce lasciate dal
peccato di origine. Fortifica il corpo come per gli atleti in vista del
combattimento spirituale contro le potenze del male (Ef 6,10; 1 Pt 5,8; per
l'AT: Salmo 109,8; Isaia 1,6).
Ha anche una funzione santificatrice perché aiuta a sostenere
con generosità gli impegni della vita cristiana; ci fa partecipare della
vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte.
b. l'olio del santo
crisma. E' crisma di salvezza che ci fa partecipare della dignità regale, profetica e sacerdotale di Cristo e ci unisce a lui
come membra del suo corpo per la vita eterna. Già nell'AT con l'lio si
consacravano i re (1 Sam 9,16), i profeti (1 Re 19,16), il sommo sacerdote (Es
28,41). Cristo è l'Unto-Messia per eccellenza (Mt 16,16; At 10,38); ogni
battezzato diventa un <cristo>,
un consacrato dal sigillo dello Spirito (2 Cor 1,21; 1 Gv 2,20.27): Siete diventati cristi perché avete ricevuto
il sigillo dello Spirito Santo che vi ha fatto immagini di Cristo...Quando
siete risaliti dalla piscina del sacro fonte vi fu conferito il Crisma, il
quale è figura di quello che unse Gesù, cioè lo Spirito Santo...Così voi siete
stati crismati con il balsamo, il quale vi ha resi partecipi e familiari di
Cristo...Mentre il corpo viene crismato con il balsamo materiale, l'anima viene
santificata dallo Spirito Santo e santificatore (Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistagogica III,1-3).
L'unzione con il santo
crisma è anche segno di gioia (Prov
27,9; Sal 133,2; Is 61,3) e di onore
dovuto alla dignità dei figli (1 Gv 3,1); è inoltre consacrazione ad essere tempio di Dio e dimora dello Spirito (1
Cor 6,19).
7. La veste bianca.
a. segno della nuova
creazione. Come Dio aveva rivestito di tuniche di pelle l'uomo decaduto (Gen
3,21), così mediante la rigenerazione battesimale ci rende nuova creatura perché ci rivestiamo di Cristo (2 Cor 5,17; Gal
3,27; Rom 13,14)); rinnovati nello Spirito rivestiamo l'uomo nuovo creato
secondo Dio nella giustizia e nella santità vera (Ef 4,24). Mediante il
battesimo siamo spogliati dell'uomo
vecchio con le sue azioni e abbiamo rivestito il nuovo che si rinnova ad
immagine del suo creatore (Gal 3,9-10);
b. segno della nuova
dignità. Coloro che sono stati rigenerati a vita nuova e si sono rivestiti di
Cristo ricevono una nuova dignità; è questa una veste incorruttibile perché
tutto ciò che era mortale è stato assorbito dalla vita (2 Cor 5,3); la veste è
segno del recupero della primitiva dignità (Col 3,10) e della dignità filiale
perduta (Lc 15,22). E' anche segno della purezza dell'anima: Ora che hai deposto le vecchie vesti e hai
indossato le vesti bianche, bisogna che spiritualmente tu rimanga sempre
vestito di bianco (S. Ambrogio).
c. segno della gloria
futura. Con il battesimo ci siamo spogliati dell'uomo ribelle, senza avvenire,
e ci siamo rivestiti di un corpo di risurrezione (Rom 13,12; Ef 4,22); è
l'abito escatologico di coloro che hanno vinto la prova ed il cui nome è
scritto nel libro della vita (Apocalisse
3,4.5.18); è la veste per l'eterna liturgia che i martiri hanno lavata nel
sangue dell'Agnello (Apoc 7,14).
8. Il cero acceso.
E' il segno del Cristo Risorto, luce vera del mondo che illumina ogni uomo (Gv
1,4); è la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre (Gv 8,12). E' il segno della vita nuova in Cristo
che, strappandoci dalle tenebre, ci ha trasferiti con il santi nel regno della
luce (Col 1,12); Cristo brillò su di noi
che eravamo tenebre, ma ora siamo luce nel Signore ((Ef 5,14). E'il
segno che ci permette di vivere come
figli della luce (Ef 5,8), di rigettare le opere delle tenebre (Rom 13,12),
di restare in comunione con Dio (1 Gv 1,5), di conservare l'amore con i
fratelli (1 Gv 2,8-11). E' anche segno di fedeltà
a Dio e vigilanza nella preghiera e nell'attesa come vergini sagge (Mt
25,1-8), come servi fedeli (Lc 12,25)[23].
IL
BATTESIMO DEI BAMBINI.
Molti genitori sono angosciati nel vedere i loro figli abbandonare la
fede e la pratica sacramentale; con loro, alcuni pastori d'anime si interrogano
se non converrebbe essere più esigenti prima di battezzare, oppure rimandare il
battesimo ad una età nella quale sia possibile un maggiore impegno personale.
La conoscenza maggiore che si ha oggi delle altre grandi religioni non
cristiane, pone in alcuni un altro problema: è proprio necessario il battesimo
per la salvezza o non ci si può salvare anche senza di esso nelle altre
religioni?
Questi e altri interrogativi hanno spinto nel 1980 la Congregazione per
la Dottrina della Fede ad emanare una Istruzione su Il battesimo dei bambini[24]. Richiameremo qui le linee portanti di questa
Istruzione ed aggiungeremo alcune considerazioni per la pastorale liturgica.
1. Perché si battezzano i bambini?
La Chiesa battezza i bambini perché vuol essere fedele al mandato del
Signore ed anche perché sa che questa è una tradizione immemorabile.
a. Una prassi immemorabile.
In forza della parola del Signore: Se
uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di
Dio (Gv 3,5), la Chiesa ha sempre ritenuto che i bambini non debbano essere
privati del battesimo (Rito del battesimo dei bambini [=OBP], 2). La Chiesa, che
ha ricevuto la missione di annunciare il Vangelo e di battezzare (cf Mt 28,19;
Mc 16,15-16), fin dai primi secoli, sia in Oriente che in Occidente, ha
conferito il battesimo non solo agli adulti, ma anche ai bambini (OBP 2).
Nel libro degli Atti degli Apostoli
si parla del battesimo di <tutta una
casa> (At 16,15.33; 18,8). Ai tempi di Origene (185-284) e di Agostino
(354-430) la prassi di battezzare i bambini era ritenuta una tradizione ricevuta dagli Apostoli. Per
Ireneo (+202) è ovvia la presenza di infanti
e di bambini che vengono battezzati insieme ad adolescenti, a giovani e ad
anziani. Ippolito (+235) nella sua Tradizione
apostolica già offre un rituale dove è previsto il battesimo dei bambini: Battezza in primo luogo i bambini. E s.
Cipriano (200-258) a Cartagine afferma che Non
si può negare la misericordia e la grazia di Dio a nessun uomo che viene
all'esistenza.
Sappiamo che s. Agostino fu battezzato all'età di 32 anni (si rimandava
il battesimo per paura di cadere poi in peccato con la conseguenza della
riconciliazione solo in punto di morte). Egli rimpiangerà questa mancanza di
fiducia nella grazia di Dio e scrive: Come
sarebbe stato preferibile per me essere subito guarito, e come avremmo dovuto,
io e i miei familiari, essere più zelanti nel porre la mia anima, munita della
ua salvezza, sotto la tua sicura tutela, o tu che gliela avresti concessa!
(Confessioni I,11.17-18).
b. L'insegnamento del Magistero.
Alla fine del IV secolo, per contrastare l'eresia pelagiana[25], molti Pontefici e Concili intervennero per
condannare <coloro che negano che si
debbano battezzare i bambini appena usciti dal seno materno>; secondo la
dottrina cattolica <anche i più
piccoli, che non hanno potuto commettere personalmente alcun peccato, sono
veramente battezzati per la remissione dei peccati, perché mediante la
rigenerazione sia purificato in essi ciò che hanno ricevuto dalla nascita>
(Concilio di Cartagine, 418).
Questa dottrina fu riaffermata e difesa anche nel Medioevo. Nel Concilio
di Firenze (1442), d'intesa con i Padri dell'Oriente, fu stabilito che si
dovesse amministrare il battesimo quanto
prima possibile anche ai neonati...mediante il quale sono sottratti al potere
del demonio e ricevono l'adozione a figli di Dio.
Il Concilio di Trento (1546) ribadisce gli interventi del Magistero
precedente e dichiara, contro gli Anabattisti, che nessuno può essere giustificato senza il lavacro di rigenerazione o il
desiderio di riceverlo.
La regola costante della fede cattolica sul battesimo è dunque questa: il
battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto
rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della
grazia soprannaturale, rinascano dall'acqua e dallo Spirito Santo alla vita
divina in Gesù Cristo.
Il battesimo è anche per essi manifestazione del preveniente amore del
Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una vita
nuova nello Spirito; esso fa entrare gli uomini nell'eredità di Dio e li
aggrega al Corpo di Cristo, che è la Chiesa.
2. Risposta ad alcune difficoltà.
a. Battesimo e atto di fede. Se la giustificazione e gli effetti della
grazia dipendono dalla fede più che dal sacramento, perché battezzare i bambini
che questa fede non possono ancora esprimere? Il fatto che i bambini non
possano ancora professare personalmente la loro fede non impedisce alla Chiesa
di conferire loro questo sacramento; in effetti il battesimo non è mai
amministrato senza la fede, che nel caso del battesimo dei bambini è la fede
della Chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dagli altri presenti al
rito: questi rappresentano sia la Chiesa locale sia la società universale dei
santi e dei fedeli, la Chiesa madre, che tutta intera genera tutti e ciascuno
(OBP 2).
Non mancano episodi nel Vangelo in cui Gesù compie un miracolo
accogliendo l'atto di fede di altri garanti: la risurrezione del figlio della
vedova di Naim (Lc 7,11-17); il paralitico calato dal tetto (Mc 2,1-12); la
fede del centurione per la guarigione del suo servo (Mc 7,9-10).
I Padri hanno commentato ampiamente questa fede che la Chiesa offre ai
bambini:
* S. Agostino: I bambini sono
presentati per ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li
portano sulle braccia (benché anche da essi, se sono buoni fedeli), quanto
dalla società universale dei santi e dei fedeli...E' tutta la madre Chiesa dei
santi che agisce, poiché essa tutta intera genera tutti e ciascuno.
Ai piccoli la madre Chiesa presta i
piedi degli altri perché possano venire, il cuore degli altri perché possano
credere, la lingua degli altri perché possano affermare la loro fede. Colui che
porta il bambino risponde: il bambino è guarito per la parola di un altro,
perché egli è stato ferito per colpa di un altro. Crede in Gesù Cristo? Questa
è la domanda. Si risponde: egli crede (Sermone 176,2).
* Giovanni Diacono: Devono essere
salvati dalla professione di fede altrui coloro che sono stati condannati per
l'errore altrui.
Si suppone tuttavia e si esige l'impegno dei genitori ad educare i loro
figli nella fede in cui sono stati battezzati: il sacramento già ricevuto
costituirà il fondamento di questo impegno; il battesimo non è soltanto un
segno della fede: ne è anche la causa.
L'educazione cristiana è un diritto dei bambini; essa tende a guidarli
gradualmente a conoscere il disegno di Dio in Cristo: così potranno ratificare
personalmente la fede nella quale sono stati battezzati. E' dovere della Ecclesia mater soddisfare i diritti
della Ecclesia credens.
b. Battesimo e appropriazione
personale della grazia. Il
bambino è persona già molto prima di essere in grado di manifestarlo pienamente
con atti di coscienza e di libertà; in quanto persona può già diventare figlio
di Dio mediante il battesimo: la sua coscienza e la sua libertà, a partire dal
loro risveglio, potranno disporre delle forze infuse nell'anima dalla grazia
battesimale per una piena e personale
acquisizione.
c. Battesimo e libertà. E' forse l'obiezione più frequente: non si
attenta alla libertà e alla dignità del bambino imponendogli un atto che in
futuro sarà portato forse a rifiutare? In effetti già sul piano naturale i
genitori operano delle scelte indispensabili per la vita dei loro figli e li
orientano verso i veri valori: non chiedono certo il loro parere quando
decidono, in un atto di amore, di metterli al mondo. Per i genitori cristiani
anche il battesimo è un atto di amore e l'accesso alla vera libertà (Gv 8,36;
Rom 6,17-22), non certo una schiavitù[26].
La Chiesa non può dimenticare che se noi amiamo è perché Egli ci ha amati
per primo (1 Gv 4,10.19); né si può dimenticare che Dio ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute,
ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento
nello Spirito Santo (Tito 3,5).
3. Impegni pastorali.
Se la Chiesa afferma la necessità del battesimo anche per i bambini in
quanto segno e strumento dell'amore preveniente di Dio che libera dal peccato e
comunica la partecipazione alla vita divina, non per questo tace sulle dovute
garanzie richieste prima di dare il sacramento.
Richiede anzitutto ai genitori, ai padrini e alla comunità parrocchiale
di impegnarsi a guidare questi bambini nella ratifica personale di quella fede
nella quale sono stati battezzati: il sacramento già ricevuto costituirà il
fondamento di questo impegno (OBP 3).
Nel caso di genitori poco credenti o poco praticanti, si verifichino le
condizioni richieste facendo il possibile per sollecitare un loro impegno; in
caso contrario converrà rinviare il battesimo. Qualora i genitori si
rifiutassero a motivo del rispetto della libertà del figlio, si prospetti loro
l'opportunità di un catecumenato per ragazzi in età di catechismo[27].
Bisogna in ogni caso preparare i genitori (ed i padrini) con adeguati
incontri di catechesi in vista di una loro piena e consapevole partecipazione
al battesimo dei figli; salvo il caso di pericolo, la data del battesimo sia
fissata in rapporto alla salute della madre e del bambino, in modo da avere
tempo per la preparazione e permettere la presenza di entrambi i genitori.
Il Codice di diritto canonico
[=CIC] su questo argomento dice:
CIC 867: i genitori provvedano a far battezzare i loro figli entro le
prime settimane; se c'è pericolo di morte, lo si battezzi senza alcun indugio;
CIC 868: per battezzare lecitamente un bambino occorre: il consenso di
almeno uno dei genitori; vi sia la fondata speranza che verrà educato nella
fede cattolica (altrimenti venga differito dandone ragione ai genitori); in
pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei
genitori;
CIC 870: si battezzano anche i bambini trovatelli;
CIC 871: si battezzano, se vivi, anche i feti abortivi.
4. Che cos'è dei bambini morti
senza battesimo?
Quanto ai bambini morti senza battesimo, la Chiesa non può che affidarli
alla misericordia di Dio, come fa nel rito delle esequie disposto per essi. Il
Signore che ha detto Lasciate che i
bambini vengano a me e non glielo impedite (Mc 10,14) avrà, nella sua
misericordia, una via di salvezza anche per essi.
E la questione del limbo? Né
l'Istruzione, né l'OBP ne parlano. Del limbo
infatti non parlano né le Scritture, né i Padri. Compare per la prima volta in
Guglielmo d'Auxerre (1230) il quale afferma che i bambini morti senza battesimo
soggiornano in limbo inferni, cioè
alle soglie degli inferi (lo csheol di 2 Maccabei 6,23). Poiché non esistono
dichiarazioni dogmatiche in proposito, è preferibile consolare i genitori che
non hanno potuto battezzare i loro bambini con questa preghiera: Affidiamo a Dio, Padre di tutti, che vede i
segreti dei cuori, questa creatura alla quale Egli ha elargito il dono della
vita. Il Signore consoli i genitori...e trovino così conforto nella certezza
del suo amore misericordioso[28].
5. E' necessario il battesimo?
Gesù ha detto: se uno non nasce da
acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5), ed ha
ordinato ai suoi discepoli di battezzare tutte le genti (Mt 28,20; Mc 16,16).
S. Tommaso (Summa teologica, questione 68) dice: tutti sono tenuti al
battesimo e senza di esso non sarebbe possibile avere salvezza. Si può dunque
essere salvati senza battesimo? Risponde: sì, certamente. Come è possibile
tutto questo? Egli parla di tre forme di battesimo: il battesimo di sangue (sanguinis): Gesù è battezzato nel suo
sangue, nella sua morte (Mc 10,38; Lc 12,50). Stessa cosa per i martiri,
assimilati alla morte di Cristo (si veda Stefano in At 8,55-60). Vi è poi un
battesimo di acqua (fluminis) per la
potenza dello Spirito che compie una nuova generazione; ed infine un battesimo
di desiderio (flaminis) per coloro
che, senza loro colpa, non sono battezzati ma adorano Dio e vivono secondo la
loro coscienza (Rom 2,10-15). Dio ha legato la salvezza al sacramento del
battesimo, ma non ha legato se stesso ai sacramenti. Il Concilio in Gaudium et
spes 22 dice: dobbiamo ritenere che
lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associato, nel modo che
Dio conosce, al mistero pasquale; tuttavia in Ad gentes 7 dice anche: non
possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è
stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria,
tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa. Benché quindi Dio,
attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro
colpa ignorano il Vangelo a quella fede senza la quale è impossibile piacergli (Eb
11,6), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa (cf 1 Cor 9,16), ed
insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza
l'attività missionaria conserva in pieno - oggi come sempre - la sua validità e
necessità.
LA CONFERMAZIONE
Con la Costituzione
Apostolica Divinae consortium naturae del 15 agosto 1971, Paolo VI promulgava il
nuovo rito della Confermazione. L'aver premesso a questo Rituale rinnovato una
Costituzione Apostolica, come in pochi altri casi,[29] sta a significare l'importanza che il Papa ha
voluto dare a questo sacramento. Certamente non sono stati del tutto risolti i
numerosi problemi che si dibattono attorno alla complessa realtà della
Confermazione; non è nostra intenzione entrare qui in questa problematica; ci limiteremo
a porre in luce gli elementi acquisiti ed espressi nella lex orandi così come ci viene proposta nel Rituale.
1. Riti diversi.
Il conferimento del dono
dello Spirito Santo, fin dall'epoca antica, avveniva nella Chiesa indivisa
secondo riti diversi. Tali riti in Oriente e in Occidente subirono molteplici
trasformazioni, ma sempre tali da mantenere intatto il significato di
comunicazione dello Spirito Santo.
In Oriente fin
dall'antichità fu più frequente, nel comunicare lo Spirito Santo, il rito della
crismazione, come del resto avviene
ancora oggi presso la maggior parte delle Chiese Orientali. Va tuttavia
ricordato che l'Oriente ha mantenuto l'unità nel conferimento dei sacramenti di
iniziazione: Battesimo, Confermazione ed Eucaristia vengono dati sia ai bambini
come agli adulti nello stesso rito.
In Occidente invece, a
partire dal V-VI secolo, venne meno l'unità di conferimento dei tre sacramenti
di iniziazione; divenne prassi ordinaria battezzare i bambini subito dopo la
nascita, rimandando il conferimento della Cresima e la partecipazione
all'Eucaristia ad una età più avanzata. Motivo di questa separazione fu una
duplice esigenza: da una parte si doveva assicurare ai bambini appena nati la
garanzia del Battesimo, soprattutto in epoche in cui la mortalità infantile era
molto elevata (da qui il quam primum,
cioè il più presto possibile, mantenuto fino a tempi recenti); l'altra esigenza
era quella di riservare al Vescovo il conferimento della Confermazione intesa
come un più perfetto collegamento con la Comunità ecclesiale, essendo il
Vescovo principio e fondamento di unità nella Chiesa particolare di cui è
pastore.[30]
A motivo della
separazione nel tempo tra il conferimento del Battesimo e della Cresima,
sorsero discussioni e dubbi in Occidente circa gli elementi che appartengono
sicuramente all'essenza del rito della Confermazione.
E' certo tuttavia che,
nella varietà degli interventi dei Pontefici o dei Concili, i due elementi
attorno a cui ruota la discussione sulla essenza del sacramento della Confermazione
sono: la crismazione e l'imposizione
delle mani.[31] Secondo la sistematizzazione della teologia
scolastica, la materia del sacramento
della Confermazione è il sacro crisma, ossia olio (di oliva) mescolato con
balsamo e consacrato dal vescovo, e mediante il quale si fa la crismazione
sulla fronte (da qui il nome di Cresima
dato a questo sacramento); la forma è
costituita dalle parole che pronuncia il vescovo mentre traccia un segno di
croce sulla fronte del Cresimando.
Con la suprema autorità
che compete al Sommo Pontefice, Paolo VI ha precisato e stabilito che d'ora in
poi nella Chiesa latina <il sacramento
della Confermazione si conferisce mediante l'unzione del crisma sulla fronte,
che si fa con l'imposizione della mano, e mediante le parole: Accipe signaculum
doni Spiritus Sancti [Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in
dono]>.
Al posto della formula
precedente,[32] si è preferita quella attuale per almeno tre
motivi: perché più antica e veneranda, che si rifà in qualche modo alla preghiera
pronunciata da Pietro e Giovanni a compimento della iniziazione dei battezzati
in Samaria quando pregarono per essi affinché ricevessero lo Spirito Santo
mentre imponevano le mani su di loro (cf At 8,15-17).; perché comune anche al
rito bizantino (quindi per un alto motivo ecumenico e di unità con le chiese
sorelle dell'Oriente); infine e soprattutto perché con questa forma si esprime
chiaramente il dono dello Stesso Spirito Santo e si ricorda l'effusione dello
Spirito che avvenne nel giorno di Pentecoste (cf At 2,1-4.38).
L'aver posto l'accento
sulla crismazione, ovviamente, non
diminuisce l'importanza dell'imposizione delle mani che, anche se non
appartiene all'essenza del rito sacramentale, è da ritenersi in grande
considerazione in quanto serve a integrare maggiormente il rito stesso e a
favorire una migliore comprensione del sacramento.
2. La Confermazione, tra Battesimo ed Eucaristia.
In ossequio alle
indicazioni fornite dalla Costituzione liturgica Sacrosanctum concilium, che richiedeva che più chiaramente
apparisse l'intima connessione del sacramento della Confermazione con l'intero
ciclo dell'iniziazione cristiana (SC 71), tale unità e continuità è stata ben
espressa nella <Introduzione generale>
all'Iniziazione cristiana (=RICA 2): il Battesimo
ci ottiene la remissione dei peccati; rinascendo dall'acqua e dallo Spirito ci
fa diventare nuova creatura, ci fa diventare realmente figli di Dio;
incorporandoci a Cristo, ci costituisce in popolo di Dio; la Confermazione segna con lo Spirito Santo
i battezzati che ricevono una più profonda configurazione a Cristo e una
maggiore abbondanza di Spirito Santo; sono resi capaci di portare al mondo la
testimonianza dello stesso Spirito fino alla piena maturità del corpo di
Cristo; nell' Eucaristia i fedeli
mangiano la carne del Figlio dell'uomo e bevono il suo sangue, per ricevere la
vita eterna e manifestare l'unità del popolo di Dio.
Questa unità e
continuità dei tre sacramenti di iniziazione si ritrova anche nel Rito del
Battesimo dei bambini. Tra i riti di conclusione, prima della recita del Padre
nostro, il celebrante dice ai genitori (= OBP 123):
* <Questo bambino, rinato nel Battesimo, viene
chiamato ed è realmente figlio di Dio;
* nella Confermazione riceverà la pienezza dello
Spirito Santo;
* accostandosi all'altare del Signore parteciperà
alla mensa del suo sacrificio>.
Per la teologia
liturgica, che affonda le sue radici nella tradizione patristica e nella
secolare esperienza delle Chiese, tra i due poli dell'iniziazione costituiti
dal Battesimo e dall'Eucaristia vi è dunque una tappa intermedia costituita
appunto dalla Confermazione.
Le difficoltà sorgono a
livello di catechesi sacramentaria, quando si deve spiegare la natura e la
funzione di un sacramento tra il Battesimo e l'Eucaristia. Difficoltà
accresciuta da una serie di fattori: in primo luogo la scelta discutibilissima
di aver posticipato la Confermazione rispetto al suo culmine naturale che è
l'Eucaristia, e quindi il capovolgimento dell'ordine teologico-sacramentale
dell'iniziazione; inoltre la difficoltà di spiegare-capire la necessità di un
altro sacramento per il dono dello Spirito Santo quando già il Battesimo
conferisce tale dono e nell'Eucaristia lo si riceve <in pienezza>.[33]
Occorre dare una
risposta a questi interrogativi. Seguendo le indicazioni fornite dalla
Costituzione apostolica di Paolo VI Divinae
consortium naturae, troviamo una risposta che si basa sul principio di <analogia>: quanto avviene nella vita
naturale, quanto è avvenuto nel mistero di Cristo e nel mistero della Chiesa,
si ripropone a livello sacramentale anche nel processo di nascita, di crescita
e di maturazione che si ha nell'iniziazione cristiana.
a. Analogia tra vita
naturale e vita soprannaturale.
La partecipazione alla
natura divina che gli uomini ricevono in dono mediante la grazia di Cristo,
rivela una certa analogia con le tre tappe della vita naturale, cioè l'origine,
lo sviluppo e l'accrescimento.
Anche nella vita
soprannaturale del cristiano si riscontrano queste tre tappe: l'origine
corrisponde alla rinascita mediante il santo Battesimo; lo sviluppo e il
rafforzamento sono costituiti dal sacramento della Confermazione;
l'accrescimento avviene mediante il nutrimento con il cibo della vita eterna
nell' Eucaristia. In questo modo, per effetto di questi tre sacramenti
dell'iniziazione, i fedeli sono in grado di gustare sempre più e sempre meglio
i tesori della vita divina e progredire fino al raggiungimento della perfezione
della carità.
Questa analogia tra vita
naturale e vita soprannaturale è stata ampiamente sviluppata dai Padri. Dice in
proposito Tertulliano: <Viene lavata
la carne, perché l'anima sia liberata da ogni macchia, viene unta la carne
perché l'anima sia consacrata; viene segnata la carne, perché anche l'anima sia
rinvigorita; la carne è adombrata dall'imposizione delle mani, perché anche
l'anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si pasce del corpo e del sangue
di Cristo, perché anche l'anima si nutra abbondantemente di Dio> (De resurrectione mortuorum, VIII,3).
Anche in Oriente, un
autore laico, Nicola Cabasilas, parla dell'unità-continuità tra i tre
sacramenti di iniziazione sviluppando l'analogia tra vita naturale e vita
soprannaturale: <Grazie ai sacramenti
di iniziazione, che annunciano la morte e risurrezione di Cristo, noi siamo
rigenerati alla vita soprannaturale, ci sviluppiamo e ci uniamo in modo
meraviglioso al nostro Salvatore; il Battesimo ci dona di essere e di
sussistere in Cristo; la Crismazione perfeziona il neofita comunicandogli le
energie in rapporto a questa vita; l' Eucaristia prolunga questa vita, la fa
crescere floridamente, la conserva e la mantiere nelle forze acquisite. In
breve: noi viviamo per questo pane, noi siamo fortificati per questa unzione,
dopo aver ricevuto l'essere in questa immersione> (La vita in Cristo, I).
b. Analogia
cristologica.
Il Nuovo Testamento
mette bene in luce la presenza dello Spirito Santo lungo tutto l'arco della
vita di Cristo: dal concepimento, alla glorificazione pasquale.
b.1. E' concepito per opera dello Spirito Santo.
Come lo Spirito del Signore presiede alla prima creazione (Gen 1,2) e alla
creazione dell'uomo ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27; 2,7), così
nella pienezza del tempo è ancora ad opera dello Spirito Santo che viene
concepito e generato il Primogenito della nuova creazione nel seno della
vergine Maria (Lc 1,35; Mt 1,20).[34]
b.2. Gesù, nello Spirito, riceve l'investitura
regale-messianica. Al Giordano lo Spirito discende su Gesù (cf Mc 1,10; Mt
3,16), si posa su di lui per rimanervi (cf Gv 1,32.33; cf Is 11,2: lo spirito
sul Messia; 42,1: lo spirito sul Servo). Come lo Spirito era stato all'inizio
della vita di Gesù quale potenza generatrice del Padre, ora è ugualmente
presente all'inizio del suo ministero pubblico per conferirgli l'investitura
profetico-messianica da parte del Padre che accredita pubblicamente il Figlio
suo come il <prediletto> (Lc 3,22), come il Servo che deve compiere
l'opera di Dio (cf Mt 3,15-17).[35] D'ora in poi lo Spirito del Padre accompagna
Gesù in ogni sua azione: pieno di Spirito Santo...fu condotto dal Spirito nel
deserto (Lc 4,1); ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo (4,14);
nella sinagoga di Nazaret fa capire che proprio a lui si riferiva l'oracolo di
Isaia: <Lo Spirito del Signore è sopra
di me> (Lc 4,18; cf Is 61,1-2); nello Spirito affronta il demonio (Mt
4,1) e ne libera le vittime (Mt 12,28); nello Spirito battezza tutti coloro che
vorranno entrare nel regno nuovo che è venuto ad inaugurare (Gv 1,33; 3,5);
nello Spirito sconfigge il male e la morte (Mt 12,28); nello Spirito sceglie e
istruisce gli apostoli (At 1,2); nello Spirito esulta di gioia, ha piena
familiarità col Padre (Lc 10,21; Mt 11,25-26).
b.3. Gesù, nello Spirito, porta a compimento la
sua opera pasquale. Giunta la sua <ora>, quando <tutto è
compiuto>, <con uno Spirito eterno
offrì se stesso senza macchia a Dio> (Ebrei 9,14) per purificare le
nostre coscienze dalle opere morte e permettere anche a noi di servire al Dio
vivente. Lo Spirito che aveva ricevuto fin dall'incarnazione e che lo aveva
accompagnato in tutta la sua missione, ora può essere restituito al Padre (cf
Gv 19,30; Lc 23,46: rese lo Spirito) in vista della effusione pentecostale
sulla Chiesa (At 2) già significata e anticipata dall'effusione dell'acqua che
sgorga dal costato del Cricifisso (Gv 19,34, da leggere alla luce di Gv 7,37-39
e 1 Gv 5,6-8: la promessa dello Spirito nel segno dell'acqua). Infine, nello
Spirito Gesù è anche risuscitato dai morti con potenza (Rom 1,4) e costituito
spirito datore di vita (1 Cor 15,45).
Questa lunga serie di
citazioni aveva uno scopo ben preciso: far vedere che nella vita di Cristo è
continuamente presente lo Spirito del Padre; che tale presenza, sottolineata da
una continua effusione, non è questione di <quantità> quasi che il Padre doni lo Spirito al Figlio con porzioni
incomplete; è piuttosto una effusione sempre abbondante e sempre completa che
sottolinea, di volta in volta, la <qualità>
dell'intervento paterno: per la generazione, per l'accreditamento pubblico
all'inizio della missione, per il compimento pasquale nell'ora del sacrificio
redentore.
c. Analogia
ecclesiologica.
Non diversamente che
nella vita del Cristo, anche nella vita della Chiesa vediamo ripetute effusioni
dello Spirito.
c.1. La Chiesa nasce dallo Spirito. Lo
sottolinea la teologia giovannea quando colloca la nascita della Chiesa, quale
nuova Eva, dal costato del Cristo dormiente sulla Croce: <dal costato di Cristo dormiente sulla croce
è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa> (Sacrosanctum Concilium 5); <Lui, il secondo Adamo, si addormentò con il
capo reclinato sulla croce affinché dal costato del dormiente gli venisse
formata una Sposa> (s. Agostino). Nell'acqua e nel sangue che sgorgano
dal costato del Crocifisso (cf Gv 19,34), i Padri scorgono i sacramenti
pasquali del Battesimo e dell'Eucaristia, i sacramenti che generano la Chiesa.
c.2. Nello Spirito della Pentecoste la Chiesa
inizia la sua azione missionaria. I Sinottici, rispetto a Giovanni, fanno
coincidere con il dono dello Spirito nella Pentecoste l'inizio dell'opera missionaria
della Chiesa fino agli estremi confini della terra (At 1,8; 2,33). Il Padre
effonde lo Spirito del Figlio nel cuore dei suoi discepoli (Gal 4,6) e ne <furono ripieni> a tal punto che,
infiammati dal soffio divino, cominciarono ad annunciare le meravigllie di Dio.
Nello Spirito sono mandati in missione coloro che Dio ha scelto: Flippo (At
8,26.29), Pietro (At 10,20), Paolo e Barnaba (At 13,2.4); lo Spirito li
accompagna e guida la loro azione apostolica (At 16,6), dà la sua autorità alle
loro decisioni (At 15,28).
c.3. Nello Spirito la Chiesa si edifica attorno
alla Parola e all'Eucaristia. Lo Spirito permette alla Parola di crescere e
moltiplicarsi (At 6,7; 12,24) in un intenso slancio di gioia e di fiducia (At
13,52). Lo Spirito infatti fa ripetere agli Apostoli gli atti di Gesù, fa
annunziare con franchezza la Parola di Gesù (At 4,30.31; 5,42; 6,7; 9,20; 18,5;
19,10.20). E' ancora lo Spirito del Risorto che conserva tra i fratelli
l'unione (At 2,42; 4,32) lavorando costantemente all'unità del corpo di Cristo
(1 Cor 12,13), facendo la comunione di questo corpo (Ef 4,3, Fil 2,1) mediante
il dono supremo della carità (1 Cor 13; 2 Cor 6,6; Gal 5,22; Rom 5,5).
Concludendo la nostra riflessione su queste tre <analogie>, addiveniamo ad una
costatazione: la vita naturale, come la vita soprannaturale, conosce tappe
successive che prevedono una nascita, una crescita, una maturazione; lo stesso
procedimento si è potuto costatare anche nel mistero di Cristo e della Chiesa
quando vediamo il medesimo Spirito operare la nascita, l'accreditamento, il
compimento di un'opera di salvezza. Se vi è una effusione ripetuta dello
Spirito, ciò avviene non perché le precedenti siano state incomplete o
inefficaci, ma unicamente per sottolineare la continua e benefica presenza del
Padre che vuol farsi presente nel Figlio e nei figli mediante il dono dello
Spirito, cioè del suo Amore e della sua Comunione. Dicevamo allora che nella
realtà sacramentale il dono ripetuto dello Spirito non è questione di <quantità>, ma di <qualità>: ogni intervento ha una sua
funzione, irrepetibile, benché collegata alla sua fonte che è la
Pasqua-Eucaristia. Se il Signore ha voluto arricchire la sua Chiesa con una
economia sacramentaria <settenaria>,
non lamentiamoci per tanta ricchezza, quasi che qualcuno di questi sette
sacramenti sia di troppo solo perché non riusciamo a inquadrarlo nelle nostre
categorie pseudocatechetiche e ci permettiamo di spostarlo di qua o di là quasi
soprammobile scomodo.
Scopriamo piuttosto,
alla luce degli insegnamenti della Chiesa, qual è la funzione e gli effetti del
sacramento della Confermazione nella vita del cristiano.
IL SIGILLO DELLO SPIRITO.
Lo Spirito che aveva
generato nel seno della Vergine Maria il Figlio di Dio fatto uomo, fu di nuovo
inviato dal Padre su Gesù al Giordano e rimase su di lui (Gv 1,32) e lo spinse
a dare pubblico inizio al ministero di Messia accompagnandolo con la sua
presenza e il suo aiuto fino al dono supremo della vita (cf Eb 9,14; Gv
19,30.34)) e alla gloria della risurrezione (cf Rm 1,4; 8,11).
Lo stesso Gesù, che
possedeva lo Spirito <senza misura> (Gv 3,34), in vista del suo ritorno
al Padre aveva promesso ai suoi discepoli che lo Spirito Santo - l'altro
Paraclito (Gv 14,16-17) - avrebbe aiutato anche loro, infondendo in essi il
coraggio per testimoniare la fede anche di fronte ai persecutori (Lc 12,12).
Alla vigilia poi della sua passione, assicurò che avrebbe inviato agli
Apostoli, da parte del Padre, lo Spirito di verità (cf Gv 15,26), che sarebbe
rimasto con essi in eterno (cf Gv 14,16)
e li avrebbe validamente aiutati a rendere testimonianza a lui stesso (cf Gv
15,26). Infine dopo la risurrezione, Cristo promise l'imminente discesa dello
Spirito Santo: Riceverete la virtù dello
Spirito Santo, che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni (At 1,8; cf
Lc 24,49).
E in realtà, nel giorno
della festa di Pentecoste, lo Spirito Santo discese in forma del tutto
straordinaria sopra gli Apostoli, riuniti con Maria, Madre di Gesù, e con il
gruppo dei discepoli: essi allora a tal punto ne furono pieni (At 2,4) che, infiammati dal soffio divino,
incominciarono ad annunciare le meraviglie
di Dio. Pietro poi, ritenne che lo Spirito disceso in quel modo sopra gli
Apostoli, fosse il dono dell'età messianica (cf 2,17-18). Allora furono
battezzati coloro che avevano creduto alla predicazione apostolica, e anch'essi
ricevettero il dono dello Spirito Santo
(At 2,38).
1. Il fondamento scritturistico.
A partire dalla
Pentecoste gli Apostoli, in adempimento del volere di Cristo, comunicavano ai
neofiti, attraverso l'imposizione delle mani, il dono dello Spirito, destinato
a sviluppare la grazia del Battesimo. Questa tradizione ininterrotta, sia in
Oriente che in Occidente, trova un suo fondamento anche nelle Scritture; i
testi principali su cui si basa il sacramento della Confermazione sono:
* Atti 8,15-17. Gli Apostoli che stavano a Gerusalemme vennero a
sapere che anche la Samaria aveva accolto la parola di Dio; inviarono allora
Pietro e Giovanni i quali <discesero e
pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora
sceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del
Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito
Santo>. Il Significato di questa missione è il seguente: la Samaria era
considerata dai Giudei terra scismatica; nella Chiesa del Signore non ci
dovranno essere più separazioni tra Giudei, Greci, Samaritani, ecc. (cf Gal
3,28); la Chiesa madre di Gerusalemme manda due sue <colonne>, Pietro e
Giovanni, perché con un gesto solenne manifestino che anche i Samaritani fanno
ormai parte del nuovo popolo di Dio, la Chiesa; Luca negli Atti descrive così
quella che è chiamata la <Pentecoste sui Samaritani>, come già c'era
stata la <Pentecoste sui Giudei> a Gerusalemme (At 2,1-4), e vi sarà
ancora una <Pentecoste sui pagani> in Atti 10,44. Anche questa Pentecoste
sui Samaritani per il dono dello Spirito Santo deve essere stata così
straordinaria da spingere Simone il mago ad offrire dei soldi per ottenere quel
potere (At 8,18-19.[36]
* Atti 19,5-7. Paolo si trovava ad Efeso. Qui trovò alcuni discepoli
e chiese loro se avessero ricevuto lo Spirito Santo; quelli risposero che non
avevano nemmeno sentito dire che ci fosse uno Spirito Santo; allora Paolo
annunciò loro il Signore Gesù ed essi, dopo aver udito questa rivelazione, <si fecero battezzare nel nome del Signore
Gesù e non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, scese su di essi lo Spirito
Santo e parlavano in lingue e profetavano>.
E' dunque questa
imposizione delle mani che giustamente viene considerata dalla tradizione
cattolica come la prima origine del sacramento della Confermazione, il quale
rende, in qualche modo, perenne nella Chiesa la grazia della Pentecoste.
Da questa trdizione
biblica appare anche evidente la speciale importanza
della Confermazione ai fini dell'iniziazione sacramentale, per la quale i
fedeli, <come membra del Cristo
vivente, a Lui sono incorporati e assimilati per il Battesimo, come anche per
la Confermazione e l' Eucaristia> (Ad
gentes 36). Nel Battesimo i neofiti (= nuove piante) ricevono il perdono
dei peccati, l'adozione a figli di Dio nonché il carattere di Cristo, per cui
vengono aggregati alla Chiesa e diventano, inizialmente, partecipi del
sacerdozio del loro Salvatore (cf 1 Pt 2,5.9). Con il sacramento della
Confermazione, coloro che sono rinati nel Battesimo, ricevono il dono
ineffabile, lo Spirito Santo stesso, per cui sono <arricchiti di una forza speciale, sono collegati più perfettamente alla Chiesa, mentre sono più
strettamente obbligati a diffondere e a difendere, con la parola e con l'opera,
la loro fede, come autentici testimoni di Cristo> (Lumen gentium 11), e sono anche segnati dal carattere del medesimo
sacramento.
Questo testo di Lumen gentium 11 ci serve da base per spiegare gli effetti del sacramento della Confermazione.
2. Gli effetti della Confermazione.
Celebrati degnamente
nella fede, i sacramenti conferiscono sia la grazia detta <santificante>,
comune a tutti i sacramenti e cioè l'intima unione di vita con Cristo e la
partecipazione alla sua natura divina (cf 2 Pt 1,4), sia la grazia detta
<sacramentale> e cioè la grazia propria di ciascun sacramento dal momento
che ogni sacramento comunica ciò che significa: <La grazia sacramentale aggiunge alla grazia abituale un determinato
divino aiuto, atto a far conseguire il fine proprio di ogni sacramento>
(S. Tommaso).
Questo fine proprio del
sacramento della Confermazione è ben espresso, come si diceva poco sopra, dal
testo di Lumen gentium 11, e cioè:
2.1. Arricchiti di una forza speciale.
Questa forza speciale è
il dono ineffabile dello Spirito Santo stesso. Parlando di questa effusione
dello Spirito la Scrittura ricorre ad immagini che, come il vento, richiamano
l'idea di potenza (At 2,2) e di energia vitale (Gv 6,63). Spirito (in ebraico ruah;
in greco pneuma), è una energia
divina che eleva l'uomo al di sopra della sua fragilità e lo introduce nel
mondo di Dio. Lo Spirito di Dio è forza che conduce avanti la storia ed è luce
divina che la spiega per mezzo dei profeti. Quando questo Spirito interviene
nell'uomo, lo fa con forza sovrumana in vista del compimento delle grandi opere
divine. Si dice allora che piomba, cade, investe una persona (cf Giudici
14,6.19; 1 Sam 10,6; Ez 11,5). Con tali interventi lo Spirito
suscita e stimola coloro che incarica di guidare la storia sacra e che per
questo sono chiamati dalla Bibbia come servi
di Dio (Amos 3,7; Geremia 7,25; Ezechiele 38,17).
Parlando dello Spirito
Santo donato nel sacramento della Confermazione quale <forza speciale> che arricchisce il battezzato, si dovrà porre
l'attenzione proprio su quello <speciale>
dal momento che già nel Battesimo ci è stato donato lo Spirito Santo nel quale
siamo resi figli e che ci fa dire Abbà,
Padre! Possiamo trovare una analogia di questo dono speciale in alcuni
personaggi della Bibbia. Di essi si dice che il Signore li ha scelti <fin dal seno materno>. Ad un certo
punto della loro vita, però, essi ricevono una ulteriore e speciale scelta che
potremmo chiamare appello profetico e
che li abilita ad esercitare con coraggio ciò che già sono in forza di quella
elezione avvenuta fin dal seno materno. Si può vedere in proposito l'appello
profetico di Geremia (1,5 e 1,9-10),
del Servo di Jahvè (Isaia 49,1-5;
61,1), di Giovanni Battista (Lc
1,15.80), di Paolo (Gal 1,15).
Mediante questo appello profetico Dio esercita un
intervento particolare nell'esistenza di una persona, chiamandola ad un
servizio speciale nel piano della salvezza. Questo appello apparve, agli occhi
degli stessi profeti, come il titolo indispensabile per inaugurare un'autentica
missione profetica. I falsi profeti
erano infatti coloro che Dio non aveva né chiamato, né inviato (cf Ger 14,14s;
23,27.32; ecc) e sui quali, di conseguenza, non aveva effuso il suo spirito profetico.
Rapportando questa
analogia al sacramento della Confermazione si può più facilmente comprendere
che cosa significhi l'espressione arricchiti
di una forza speciale: è una rinnovata effusione del medesimo Spirito che,
mentre ci ha dato l'essere dei figli
di Dio fin dal seno materno, cioè fin dal Battesimo, ad un certo punto della
nostra vita quel medesimo Spirito ci viene ancora donato in vista dell'agire secondo la vocazione dei figli di
Dio. E' l'appello profetico che conferma
il battezzato e lo autentica dinanzi alla comunità perché di fatto possa
comportarsi secondo quell'essere di figlio di Dio presente in lui fin dal
Battesimo. Ecco perché a suo tempo abbiamo parlato di un dono dello Spirito
Santo non secondo le categorie della quantità,
quasi che nella Confermazione ci sia bisogno di colmare deficienze battesimali,
ma con quelle della qualità, cioè in
vista di una missione specifica per l'attuazione effettiva dei carismi donati
proprio dallo Spirito (cf 1 Cor 12-13). In questo senso il confermato non
diventa un superbattezzato: è soltanto lo stesso battezzato che, nel dono dello
Spirito, nel momento stesso in cui inizia a prendere coscienza di ciò che è
deve subito agire di conseguenza e comportarsi come tale.
Pertanto: lo Spirito
Santo del Battesimo che ci dà l'essere-in-Cristo
e ci inserisce nel suo popolo, la Chiesa, è il medesimo Spirito che, al momento
opportuno, nel sacramento della Confermazione, compie in noi quell'appello
profetico che ci spinge ad agire-con-Cristo
per la salvezza del mondo. Nell' Eucaristia, infine, questo cammino di
iniziazione in Cristo raggiunge il suo culmine: ancora una volta, ed ogni
volta, riceveremo la pienezza dello Spirito; comunicando al suo corpo eucaristico noi diventiamo un solo
corpo e un solo spirito, cioè il suo corpo
ecclesiale per virtù del medesimo Spirito (cf l'epiclesi di comunione della
III Prece eucaristica).
Lo Spirito Santo
presiede ed opera la nascita, la crescita, la maturazione di ogni vita: così è
stato in Cristo, così per la Chiesa e quindi anche per ciascuno di noi.
2.2. Collegati più perfettamente alla Chiesa.
Già il Battesimo ci
innesta in Cristo inserendoci, come nuova piantagione, nella vigna del Signore
che è la Chiesa. Nella Confermazione questo collegamento con la Chiesa diventa più perfetto fino a raggiungere la sua
pienezza nella partecipazione al convito eucaristico.
Anche qui dobbiamo ben
comprendere che cosa significhi quel più
perfetto. Già abbiamo spiegato, parlando del fondamento biblico della
Confermazione, dell'episodio riferito da Atti
8,14-17 circa il gesto di imporre le mani per il dono dello Spirito Santo
compiuto da Pietro e Giovanni in Samaria. Ebbene, quel gesto significava
l'estensione della grazia della Pentecoste alla nuova comunità di Samaria e
quindi l'eliminazione della dispersione di Babele e di ogni altra barriera al
fine di formare l'unico popolo della nuova alleanza; significava anche la comunione ecclesiale con la comunità
madre di Gerusalemme: lo Spirito Santo che è il principio della comunione
trinitaria, è anche il principio costitutivo della comunione ecclesiale.
Il fatto che
l'Occidente, ed in parte anche l'Oriente, abbia voluto mantenere al vescovo il
diritto della Confermazione,[37] sta a significare che colui che nella comunità è
il segno visibile del Cristo Pastore e centro visibile dell'unità del popolo di
Dio, è chiamato a compiere quell'appello
profetico capace di dare garanzia alla parola e alla testimonianza del
battezzato riconoscendola valida ed efficace per l'edificazione della comunità
ecclesiale.
Questa garanzia e questo
riconoscimento sono caratterizzati proprio dalla grazia speciale prodotta da una rinnovata effusione dello Spirito Santo
che, oltre a confermare nella fede battesimale, sancisce e mette in atto una
ulteriore e specifica incorporazione alla Chiesa.
Tutto questo è espresso
sinteticamente, ma efficacemente, nella allocuzione che introduce il Rito della
Confermazione, quando il vescovo dice: <Lo
Spirito Santo completerà in voi la somiglianza a Cristo e vi unirà più
fortemente come membra vive al corpo mistico della Chiesa...Siate dunque membra
vive della Chiesa e guidati dallo Spirito di Dio, impegnatevi a servire i
vostri fratelli come ha fatto Cristo, che non è venuto per essere servito, ma
per servire>.
2.3. Per diffondere e difendere la fede come
autentici testimoni di Cristo.
Cristo, testimone fedele
del Padre, generato nel seno della Vergine Maria ad opera dello Spirito Santo,
è pure confermato ad opera del
medesimo Spirito in vista del suo esodo doloroso al Padre (cf Lc 3,21-22;
9,31).
L'appello profetico operato dallo Spirito della Confermazione
conferisce al battezzato una missione in seno alla Chiesa: quella di
testimoniare in perfetta fedeltà Cristo e di essere araldo del Vangelo. Il
dinamismo dello Spirito riveste di fortezza per essere messi in grado di
compiere fedelmente la propria missione. Ogni confermato può far proprie la perole di Gesù nella sinagoga di
Nazaret: <Lo Spirito del Signore è
sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per
annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamarte ai prigionieri la
liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e
predicare un anno di gvrazia del Signore> (Lc 4,18-19).
Questo aspetto della
Confermazione è fortemente sottolenato nel Rito: <Lo Spirito Santo discese visibilmente su di un gruppo di battezzati,
quando san Paolo impose loro le mani, ed essi cominciarono a parlare lingue
diverse e a profetare>. <Voi che siete già stati consacrati a Dio nel
Battesimo, ricevete ora la potenza dello Spirito Santo e sarete segnati in
fronte con il sigillo della croce...Porterete così nel mondo la buona
testimonianza del Signore crocifisso e risorto, che perpetua sull'altare la sua
Pasqua; la vostra vita, come dice san Paolo, diffonderà il profumo di Cristo,
per la crescita spirituale della Chiesa, popolo di Dio...Siate dunque membra
vive della Chiesa, e guidati dallo Spirito di Dio, impegnatevi a servire i
vostri fratelli come ha fatto Cristo, che non è venuto per essere servito, ma
per servire> (Allocuzione).
Inoltre, nella Preghiera
dei fedeli, si dice: <Preghiamo per
questi nostri fratelli: confermati dal dono dello Spirito Santo...con la loro
vita diano buona testimonianza a Cristo Signore>. Nella benedizione
finale e nella Orazione sul popolo si ritorna su questo concetto: <Gesù Cristo...con la presenza indefettibile
dello Spirito di verità, vi confermi nella professione della vera fede>,
<perché possiate dare con la vostra
fede aperta testimonianza al Cristo crocifisso e risorto e adempiere con amore
i suoi comandamenti>. Lo Spirito che diffonde nei cuori la carità di
Cristo e dona la varietà dei carismi, santifica e unifica la Chiesa in un solo
corpo, spinge i suoi membri a diffondere sulla terra il fuoco di questo amore.
2.4. Il <carattere> della Confermazione.
Come il Battesimo, di
cui è perfezionamento, anche la Confermazione è donata una sola volta. Essa
imprime in effetti nell'anima un sigillo
spirituale e indelebile, il <carattere>, che è il segno con cui
Cristo ha segnato un cristiano col sigillo del suo Spirito rivestendolo della
forza dall'alto perché sia suo fedele testimone (cf Lc 24,48-49). Come sigillo
spirituale, lo Spirito Santo completa nei battezzati la somiglianza a Cristo e
li unisce come membra viventi al corpo mistico della Chiesa. E' segno garante
di protezione divina, è abilitazione al culto e al servizio della Chiesa.
Questo carattere
perfeziona infatti il sacerdozio comune dei fedeli, ricevuto nel Battesimo;
<il confermato riceve la potenza di
confessare la fede di Cristo pubblicamente, e come in virtù di un incarico>
(S. Tommaso) Segnati in fronte col
sigillo dello Spirito, potranno offrire se stessi con Cristo sommo sacerdote e
pregare il Padre che effonda più largamente il suo Spirito perché tutto il
genere umano formi l'unica famiglia di Dio.
Il carattere è anche il
segno indelebile che sta a significare la partecipazione specifica del
battezzato-confermato alla vita della Chiesa secondo i propri carismi; lo
Spirito infatti santifica il popolo di Dio e lo adorna di virtù distribuendo a
ciascuno i propri doni come piace a Lui (1 Cor 12,11) e dispensando tra i
fedeli grazie speciali con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie
opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa,
per il comune vantaggio (1 Cor 12,7; cf Lumen
gentium 12). Lo Spirito dunque fa crescere ed edifica la Chiesa, la
istruisce e dirige con diversi doni, la abbellisce dei suoi frutti (cf Ef
4,11-12; 1 Cor 12,4; Gal 5,22; Lumen
gentium 4).nell'unità e nell'amore, secondo il volere del Padre. Il carattere del sacramento dona appunto
questa diversità di carismi-funzioni secondo la specifica vocazione di
ciascuno; spetta ai Pastori il giudizio sulla genuinità di tali carismi senza
tuttavia estinguere lo Spirito, ma esaminando tutto e ritenendo ciò che è buono
(1 Tessalonicesi 5,12 e 19-21).
3. Qualche conclusione.
Abbiamo cercato di fare
una lettura del sacramento della Confermazione secondo la lex credendi e la lex orandi.
Si tratta ora di fornire qualche indicazione per la lex vivendi, ciò un adeguato comportamento pastorale e catechetico.
Nel mattino di
Pentecoste il nuovo popolo escatologico, già nato al momento della
morte-glorificazione del Signore quando dal suo costato trafitto nasce il
mirabile sacramento della sua Chiesa-Sposa, viene investito dalla potenza dello
Spirito Santo promesso per annunciare sino ai confini della terra la salvezza
ormai inaugurata e tesa al suo finale compimento.
Nella Chiesa il mistero
della Pentecoste si rinnova ogniqualvolta coloro che già sono stati consacrati
a Dio nel Battesimo ricevono la potenza dello Spirito Santo nella Confermazione
in vista di un esercizio effettivo dei doni battesimali quali la profezia o annuncio missionario
dell'Evangelo, il sacerdozio o
esercizio del culto nella comunità dei credenti, la regalità o servizio dei fratelli.
L'unità e la continuità
tra Pasqua e Pentecoste può inoltre significare sia la necessità, sia la collocazione
di uno specifico sacramento come la Confermazione tra il Battesimo e l'
Eucaristia. A questo punto si può suggerire che in vista del conferimento di
questo sacramento vengano recuperate considerazioni o valutazioni che siano più
di ordine misterico o mistagogico (cioè di iniziazione o cammino di fede in una
comunità), che non di carattere psicologico o pedagogico (discorsi sterili
sull'età o maturità biologica, avulsa o perlomeno non sufficientemente
collegata con la maturità spirituale della fede); infine che si abbia il
coraggio di ripensare l'anomala collocazione della Confermazione dopo l'Eucaristia,
riportandola alla sua naturale funzione di ponte fra Battesimo ed Eucaristia.
SEGNI E RITI DELLA CONFERMAZIONE
Nei primi secoli la
Confermazione era conferita nel corso della medesima liturgia di iniziazione,
quindi unita al Battesimo e all' Eucaristia; secondo un'espressione di s.
Cipriano essa forma, col Battesimo, un sacramento
duplice. In seguito, in Occidente, per una varietà di motivi (decadenza del
catecumenato degli adulti, moltiplicarsi del Battesimo dei bambini, nascita
delle parrocchie rurali, possibilità di battezzare in ogni tempo dell'anno e
non più nella sola veglia pasquale), al fine di permettere ai vescovi il
conferimento di questo sacramento, considerato completamento della grazia battesimale, ebbe inizio la separazione
temporale tra Battesimo e Confermazione.
In Oriente fu mantenuta
l'unità dei tre sacramenti di iniziazione anche nel caso dei bambini; ancora
oggi, il sacerdote che battezza dà
subito anche la Confermazione (però con il myron
consacrato dal vescovo), e l'Eucaristia.[38]
Queste due tradizioni
portano ciascuna un proprio valore: l'Oriente sottolinea l'unità dei tre
sacramenti di iniziazione; l'Occidente sottolinea più nettamente la comunione
di ogni battezzato con il suo vescovo, garante e servitore dell'unità della
Chiesa diocesana, della sua cattolicità e della sua apostolicità: quindi il
legame con le origini apostoliche della Chiesa di Cristo.
Gli elementi essenziali
per il conferimento della Confermazione sono: l'unzione del crisma sulla fronte, che si fa con l'imposizione della
mano, e mediante le parole <Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è
dato in dono>.
1. Il segno dell'unzione.
L'unzione, secondo la
simbologia biblica e patristica, è ricca di numerosi significati: l'olio è
segno di abbondanza (Dt 11,14), di gioia (Sal 23,5; 104,15), di purificazione
(unzione prima e dopo il bagno), di forza e di agilità (il massaggio degli
atleti e dei lottatori); è pure segno medicinale per la guarigione e lenimento
per le ferite (Is 1,6; Lc 10,34); è infine segno di bellezza, di salute, di
forza.
Tutti questi significati
presenti nell'ordine naturale della vita, si ritrovano anche nell'ordine
soprannaturale della grazia sacramentale. L'unzione pre-battesimale con l'olio
dei catecumeni significa purificazione e fortezza; l'unzione dei malati
significa guarigione e conforto. L'unzione col santo crisma dopo il Battesimo,
nella Confermazione e nell'Ordine, è il segno di una consacrazione. Già
nell'antico Israele le tre grandi funzioni del popolo erano consacrate con
l'unzione: i re (1 Sam 10,1), i sacerdoti (Esodo 28,41) e talvolta anche i
profeti (1 Re 19,16). Nella pienezza del tempo, Cristo è l'Unto per eccellenza nel senso che riunisce in sé queste tre
funzioni e le porta a compimento. Nel Battesimo, il Christòs-Unto estende questa sua dignità
regale-profetica-sacerdotale a coloro che Egli rende cristi(ani), cioè unti-consacrati;
nella Confermazione, questa unzione-consacrazione è ripetuta a significare il
completamento e la messa in azioni di questa triplice dignità in modo che ogni
battezzato possa diffondere con tutta la sua vita il buon profumo di Cristo (2 Cor 2,15; LG 11.12.33.34.35-36).
Si ricorderà infatti che
il santo crisma è un olio, in genere
di oliva, mescolato con balsamo (una essenza profumata). Coloro che sono
consacrati con questo olio diventano dunque dei cristi-unti, e ricevono
l'abilitazione ad agire da figli di Dio in unione al Figlio Primogenito,
nell'esercizio della sua regalità-profezia-sacerdozio.
La preghiera di
consacrazione pronunziata dal Vescovo durante la Messa crismale del giovedì
santo, così si esprime verso coloro che verranno unti con questo santo Crisma:
consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa; si
compia in essi il disegno del tuo amore e la loro vita integra e pura sia in
tutto conforme alla grande dignità che li riveste come re, sacerdoti e profeti;
quest'olio sia crisma di salvezza per tutti i rinati dall'acqua e dallo Spirito
Santo; li renda partecipi della vita eterna e commensali al banchetto della tua
gloria.
2. Il sigillo.
Mediante l'unzione
crismale, il confermato riceve un marchio, il sigillo dello Spirito Santo.
Questo sigillo, nella tradizione biblica, rappresenta la persona stessa che lo
possiede (Gen 38,18; Cantico 8,6); è segno della sua autorità (Gen 41,42),
della sua proprietà su un oggetto (Deut 32,34): ecco perché si marcavano i
soldati col sigillo del loro capo o gli schiavi o il bestiame col sigillo del
loro padrone. Il sigillo autentica anche un atto giuridico (1 Re 21,8) o un
documento (Ger 32,10) e lo rende eventualmente segreto (Is 29,11).
Cristo stesso dichiara
di aver ricevuto un sigillo dal Padre suo (Gv 6,27). Anche il cristiano è
segnato con un sigillo: <Dio stesso ci
ha conferito l'unzione e ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra
dello Spirito nei nostri cuori> (2 Cor 1,22; Ef 1,13; 4,30). Questo
sigillo di Dio mediante lo Spirito segna l'appartenenza totale a Cristo, la
sottomissione al suo servizio, la promessa della protezione divina nella grande
prova escatologica (Apocalisse 7,2-4; 9,4).
3. L'imposizione della mano.
Già nel'AT troviamo
l'imposizione della mano per indicare la consacrazione per un incarico e
l'invocazione dei doni divini su una persona: così Mosè su Giosuè (Deut 34,9).
Nel Nuovo Testamento vediamo Gesù che impone le mani sui bambini e li benedice
(Mt 19,13-16); altre volte impone le mani per guarire (Mc 16,18; Lc 4,40), come
sulla figlia di Giairo (Mc 5,23) o sul cieco di Betsaida (Mc 8,22-25).
Anche gli Apostoli
impongono le mani per il dono dello Spirito quale completamento
dell'iniziazione cristiana (Atti 8,17 su alcuni battezzati in Samaria; 19,6 su
alcuni discepoli di Efeso). L'imposizione delle mani è legata in genere al dono
dello Spirito Santo in vista di una missione (At 6,6: per la diaconìa dei
Sette; 13,3: per la missione di Paolo e Barnaba; 1 Tim 4,14; 2 Tim 1,6: per
l'ordinazione di Timoteo).
Mediante l'imposizione
delle mani, segno di benedizione e di consacrazione, si esprime la presa di
possesso, da parte di Dio, di una persona che rimane ripiena dello Spirito
Santo. In tutti i riti sacramentali rinnovati dal Vaticano II esiste
l'imposizione della mano in segno di epiclesi.
La mano potente di Dio è rapprentata, nella realtà sacramentale, dalla mano di
un ministro della Chiesa, stesa con umiltà e fiducia sulle persone o sugli
elementi materiali che Dio vuole santificare.
4. La celebrazione della
Confermazione.
Prima di parlare del
Rito della Confermazione in sè stesso, occorre far riferimento alla Messa
crismale del giovedì santo quando il vescovo consacra il santo crisma. Questo
uso sottolinea l'unità apostolica della Chiesa (cf Atti 8,14-17.25) i cui
legami sono rafforzati proprio mediante il sacramento della Confermazione.
Il Rito della
Confermazione è celebrato possibilmente durante la Messa per sottolineare il
legame che tale sacramento ha con l' Eucaristia nell'insieme del processo di
iniziazione cristiana.
La celebrazione si
articola nel modo seguente:
a. Liturgia della Parola. Le letture possono essere quelle del giorno
o quelle della Confermazione; si prenda in seria considerazione, in base ai
testi e ai tempi liturgici, l'opportunità di fare un mixage pastoralmente
valido tra letture del giorno e del Rito; si preparino gli stessi cresimandi ad
un esemplare servizio delle letture, del canto del salmo e delle acclamazioni
al Vangelo.
b. Presentazione dei cresimandi. Il parroco o anche un catechista
chiama per nome i cresimandi che si presentano al vescovo accompagnati dai
rispettivi padrini.
c. Omelia o allocuzione. Molto opportunamente la rubrica al n. 25
dice: <Il vescovo tiene una breve
omelia: riferendosi alle letture e spiegandone il significato, egli conduce
quasi per mano i cresimandi, i loro padrini e i genitori a tutti i presenti, a
una comprensione più profonda del mistero della Confermazione>. Si
tratta di una omelia di tipo <mistagogico>; il vescovo può utilizzare
anche l'allocuzione proposta dal Rito o parafrasarne i passi principali.
d. Liturgia del sacramento.
* Rinnovazione delle promesse battesimali a sottolineare come la
Confermazione perfeziona e sviluppa l'opera del divenire cristiani iniziata col
Battesimo.[39]
* Imposizione delle mani. Una orazione chiede al Padre di effondere
lo Spirito Santo: lo Spirito che confermi la grazia battesimale con la
ricchezza dei suoi doni e renda questi rigenerati alla vita nuova sempre più
conformi a Cristo. All'orazione fa seguito l'imposizione delle mani, fatta dal
vescovo e dai sacerdoti presenti; è un segno di epiclesi, cioè invocazione al Padre perché mandi lo Spirito Paraclito
con i suoi sette doni: sapienza, intelletto, consiglio fortezza, scienza,
pietà, santo timore.[40]
* Crismazione. Tracciando un segno di croce sulla fronte con il santo
crisma, tenendo contemporaneamente la mano stesa sulla testa, il vescovo
pronuncia questa formula: N. RICEVI IL
SIGILLO DELLO SPIRITO SANTO CHE TI è DATO IN DONO. Già abbiamo detto che
questa è da considerare la forma essenziale del Rito della Confermazione. Tale
unzione e le parole che l'accompagnano, comuni anche alla tradizione liturgica dell'Oriente
bizantino, esprimono molto bene gli effetti del dono dello Spirito Santo: il
battezzato sul quale il vescovo stende la mano per tracciargli in fronte il
segno della croce con l'olio profumato, riceve un carattere indelebile, sigillo
del Signore, e, insieme, il dono dello Spirito che lo configura più
perfettamente a Cristo e gli dà la grazia di spandere tra le genti il <buon
profumo>, senza mai dover arrossire della croce di Cristo; comunica anche la
grazia di rendergli testimonianza, con la parola e con l'azione, per
l'edificazione del suo corpo nella fede e nella carità; in questo modo il
legame con la Chiesa è reso più perfetto (LG 11).
Commentando il gesto
della crismazione e sottolineandone la dimensione trinitaria, s. Ambrogio dice:
<Ricordati dunque che hai ricevuto il
sigillo dello Spirito...Dio Padre ti ha marcato del suo sigillo, il Cristo
Signore ti ha confermato e ha messo nel tuo cuore la caparra dello Spirito>
(Da Mysteriis 42).
Il segno di pace che
chiude la parte sacramentale significa e manifesta la comunione ecclesiale col
vescovo e con tutti i fedeli.
* Preghiera universale. Le intenzioni sono di tale natura che è
preferibile farle proclamare non dai cresimati, ma dai catechisti, dai padrini
e dai genitori. Si chiede al Signore che, avendo confermato questi battezzati
con il dono dello Spirito Santo, li renda capaci di dare buona testimonianza,
di partecipare assiduamente alla mensa eucaristica. Si prega anche per i
genitori e per i padrini: loro che si sono fatti garanti della fede di questi
cresimati, coerentemente li aiutino con la parola e con l'esempio a seguire la
via di Cristo. Si prega poi per la Chiesa universale e per la Chiesa diocesana
rappresentata dal vescovo. Un'ultima intenzione è per il mondo intero, perché
possa vivere nella pace e nella solidarietà tra tutte le razze e nazionalità.
L'orazione che conclude la preghiera dei fedeli sottolinea la successione
apostolica dei vescovi i quali sono oggi chiamati a trasmettere gli stessi
prodigi operati dall'amore di Dio agli inizi della predicazione del Vangelo.
e. Liturgia eucaristica.
La Messa prosegue come
al solito, con alcune possibilità: possono essere gli stessi cresimati a
portere le offerte; è preferibile utilizzare il nuovo Prefazio per la
Confermazione riportato dalla nuova edizione del Messale a p. 346
(eventualmente il Prefazio dello Spirito Santo I o II); nella Preghiera
eucaristica si faccia menzione dei neo-cresimati; se questi poi partecipano
anche all' Eucaristia si veda l'opportunità di conferirla sotto le due specie.
f. Riti di conclusione.
Il Rito propone due
possibilità: o la formula di benedizione
oppure l'Orazione sul popolo.
La benedizione, secondo
la forma tripartita trinitaria, sottolinea l'opera del Padre che ci fa rinascere come figli suoi, l'opera del Figlio che ha promesso lo Spirito e ci
conferma nella professione della vera fede, l'opera dello Spirito che dona il
fuoco della carità, raccoglie nell'unità e conduce alla gioia del regno.
L'orazione sul popolo,
invece, chiede che i doni dello Spirito siano custoditi nel cuore dei fedeli
affinché possano dare testimonianza del Cristo morto e risorto ed osservare con
amore i comandamenti.
5. Il ministro della Confermazione.
Il ministro ordinario è
il vescovo (LG 26); i vescovi sono infatti i successori degli Apostoli ed hanno
ricevuto la pienezza del sacramento dell'ordine. Furono infatti gli Apostoli
stessi che, dopo essere stati ripieni di Spirito Santo nella Pentecoste, lo
trasmisero ai fedeli per mezzo dell'imposizione delle mani. Il sacramento
conferito dallo stesso vescovo ne sottolinea meglio gli effetti che sono quelli
di unire più strettamente alla Chiesa, alle sue origini apostoliche e alla sua
missione di testimoniare Cristo. Si rocorderà che furono proprio questi motivi
a far separare nel tempo la Confermazione dal Battesimo.
Per motivi particolari
il vescovo può concedere tale facoltà al parroco o ad un altro sacerdote; tale
facoltà è ordinaria per il sacerdote che battezza un adulto: subito di seguito
gli conferisce la Confermazione e lo ammette alla mensa eucaristica.
Una particolarità. Il
parroco o un altro sacerdote deve
dare la Confermazione ad un battezzato che non l'ha ricevuta e che si trovi in
pericolo di morte, anche se è un bambino piccolo (Codice can. 891; 883,3): la
Chiesa vuole che nessuno parta da questo mondo senza aver ricevuto il dono
perfetto dello Spirito che conferisce la pienezza di Cristo.
6. Chi può ricevere la
Confermazione.
Chi? Possono e devono riceverlo tutti coloro che, già battezzati, hanno il
dovere di completare il loro cammino di iniziazione cristiana. Va dunque in
qualche modo evitata l'anomalia che indulge a rimandare la Confermazione fino a
che uno non ne è costretto in vista del matrimonio.
Quando? Un problema spinoso è quello dell'età. Nella tradizione latina si prende
come punto di riferimento per ricevere la Confermazione l'età della discrezione. Negli ultimi venti anni si è incominciato
a parlare della Confermazione come di un sacramento della maturità cristiana e in molti Paesi, compreso il nostro, lo si è
trasferito dall'infanzia all'adolescenza con la (triste) conseguenza di
posticiparlo rispetto all' Eucaristia. Senza entrare in un giudizio di merito
su questa prassi, vogliamo qui piuttosto riflettere su dati certi:
* non si deve confondere
l'età adulta della fede con l'età adulta della vita naturale;
* non va dimenticato che
la grazia battesimale è una grazia di elezione gratuita e immeritata e che non
ha bosogno di alcuna <ratifica> per diventare effettiva. Con chiarezza
spiega s. Tommaso: L'età del corpo non
costituisce un pregiudizio per l'anima. Così, anche nell'infanzia, l'uomo puà
ricevere la perfezione dell'età spirituale di cui parla il libro della Sapienza
(4,8): "Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero
degli anni". E' per questo che numerosi ragazzi, grazie alla forza dello
Spirito Santo che avevano ricevuto, hanno lottato coraggiosamente fino al
sangue per Cristo.
Quale preparazione? Una preparazione possibilmente di tipo
catecumenale di cui deve farsi carico tutta la comunità locale: genitori in
primo luogo, poi la parrocchia con i catechisti. Una formazione non
semplicemente nozionistico-dottrinale sul modello della scuola, ma piuttosto
esperienziale capace di coinvolgere il ragazzo, con un cammino di conversione-fede,
nella globalità delle sue esperienze umane e di fede nell'ambito della
comunità. Certe esperienze fallimentari del dopo-cresima potrebbero essere
evitate o ridotte se i cresimati trovassero una comunità viva, dove inserirsi
organicamente per l'esercizio dei carismi e dei ministeri; una parrocchia
organizzata nella comunione di piccole comunità apostoliche.
L' E U C
A R I S T I A
Il cammino
dell'iniziazione cristiana si completa con il sacramento dell'Eucaristia:
* il Battesimo, ottenuta la remissione dei
peccati, ci fa figli di Dio, nuove creature rinate dall'acqua e dallo Spirito,
membri della Chiesa, partecipi della dignità sacerdotale-regale-profetica;
* la Confermazione, che ci segna con lo
Spirito Santo, ci dona una più profonda configurazione a Cristo e una nuova
effusione di Spirito Santo, per essere capaci di portare al mondo la
testimonianza dello Stesso Spirito fino alla piena maturità del corpo di
Cristo;
* l'Eucaristia ci fa partecipare in pienezza al sacrificio del Signore
nella comunione alla carne e al sangue del Figlio dell'Uomo, per ricevere la
vita eterna e manifestare l'unità del popolo di Dio. (RICA 1).
«Augustissimo sacramento è l’Eucaristia, nella
quale lo stesso Cristo Signore è presente, viene offerto ed è assunto, e
mediante la quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Il sacrificio
eucaristico, memoriale della morte e della risurrezione del Signore, nel quale
si perpetua nei secoli il Sacrificio della croce, è culmine e fonte di tutto il
culto e della vita cristiana, mediante il quale è significata e prodotta
l'unità del popolo di Dio e si compie l'edificazione del Corpo di Cristo. Gli
altri sacramenti infatti e tutte le opere ecclesiastiche di apostolato sono
strettamente uniti alla santissima Eucaristia e ad essa sono ordinati» (CIC 897).
I nomi di questo sacramento.
Eucaristia: perché è l'azione di grazie a Dio per la
creazione, la redenzione, la santificazione (Lc 22,19; 1 Cor 11,24: <eucharistein>; Mt 26,26; Mc
14,22: <eulogein>);
Cena del
Signore: perché nel segno della
cena Gesù, la vigilia della sua passione, ha istituito il memoriale della sua
Pasqua (1 Cor 11,20); è anche l'anticipazione del banchetto delle nozze
dell'Agnello (Ap 19,9) nella Gerusalemme celeste.
Frazione
del pane: è il nome più antico;
questo rito, già tipico della cena pasquale giudaica, fu usato da Gesù
nell'ultima Cena (Mt 26,26; 1 Cor 11,24; cf Mt 14,19; 15,36; Mc 8,6.19); da
questo gesto i discepoli riconobbero il Signore (Lc 24,30.35); [cf Gv 6,12:
pani spezzati <klasmata>, non
semplicemente avanzati]; con questo nome i primi cristiani designarono le loro
assemblee eucaristiche (cf At 2,42.46; 20,7.11); chi partecipa allo stesso pane
spezzato, forma un unico corpo in Cristo (1 Cor 10,16-17).
Santa
Messa: (dal IV sec.) dall'uso di
"rimandare" [lat. mittere]
i catecumeni dopo la liturgia della Parola; poi tutti i fedeli al termine della
Messa per la "missione"[41].
L'istituzione
dell'eucaristia.
Avendo amato i suoi sino
alla fine, alla vigilia della sua morte Gesù lascia ai suoi discepoli un pegno
di questo amore, un segno efficace della sua presenza e del suo sacrificio, il
"memoriale" della sua Pasqua.
I Sinottici (Mt
26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,19-20), con il racconto dell'ultima Cena, si
ricollegano a tradizioni più recenti della Pasqua ebraica, celebrata da Israele
(agricoltore) con gli "azimi", cioè col segno del pane [redazione P]; Giovanni (Gv 13-17)
conserva i ricordi della pasqua antica (nomade-pastorale) celebrata con
l'immolazione dell'agnello [redazione J;
non parla infatti della Cena, ma solo della lavanda dei piedi e del
comandamento nuovo; la dottrina eucaristica di Giovanni si trova in Gv 6].
Nel contesto della cena
pasquale ebraica i Sinottici collocano l'ultima cena di Gesù e l'istituzione
dell'Eucaristia. Il rito era scandito da 4 calici; le parole sul pane (al
secondo calice) e le parole sul vino (dopo il terzo calice) fanno riferimento
al sangue dell'alleanza (Es 24,6.8) nuova ed eterna (Ger 31,31; Ez 36), per la
remissione dei peccati (Lev 16; Is
53,7.12; Gv 1,29: il sangue del Kippur, l'agnello e il servo).
Come Mosè aveva
istituito il "memoriale" della pasqua-alleanza (Es 12,14), nella
pienezza dei tempi Gesù istituisce il nuovo "memoriale" che i suoi
discepoli dovranno celebrare per annunciare la sua morte e proclamare la sua
risurrezione, nell'attesa della sua venuta (1 Cor 11,24.25).
La Costituzione liturgica ci offre una sintesi di questo mirabile
sacramento: "Il nostro Salvatore
nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico
del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo
ritorno, il Sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa,
la Chiesa, il memoriale della sua Morte e della sua Risurrezione: sacramento di
pietà, segno di unità, vincolo di carità [S. Agostino], convito pasquale, nel
quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno
della gloria futura" (SC 47).
Noi seguiamo qui queste
indicazioni e parleremo dell'Eucaristica quale sacrificio sacramentale,
banchetto pasquale, pegno della gloria futura.
Il sacrificio sacramentale.
1. Sacrificio di Cristo. La Chiesa è obbediente al comando del suo
Signore: "fate questo come memoriale di me" (1 Cor 11,24.25). Così,
"ogni volta", noi «annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua
risurrezione..»; «si perpetua il memoriale della Pasqua, l’anima nostra è
ricolma di grazia..».
1.1. Il
"memoriale" (cf Es 13,3) ha un valore sacrificale: ogni volta (1 Cor
11,26) rende presente-efficace-attuale
oggi per noi il sacrificio compiuto e offerto da Cristo una volta per sempre
sulla croce (Eb 7,27; 10,10.12.14), e ne anticipa il compimento futuro (cf LG
3; SC 47). Questo memoriale non è pura rievocazione o semplice ricordo. Per
l'azione potente dello Spirito, in esso il dono della salvezza si fa evento
presente e attuale. L'unico sacrificio della croce, posto "una volta per
sempre" al vertice della storia umana, si fa presente "ogni
volta" (1 Cor 11,26) quale evento della nostra salvezza in mezzo ad un
popolo di salvati, negli umili segni del pane e del vino. Il
"memoriale" ha dunque questa forza: attua oggi il passato e
anticipa la pienezza futura. «Ogni
volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello
pasquale, è stato immolato”, viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera
della nostra redenzione» (LG 3).
1.2. Le parole hanno un
significato sacrificale: corpo dato, sangue versato (Lc 22,19-20; Mt 26,28; Gv
3,16). Il sacrificio della croce e il sacrificio eucaristico sono dunque un
unico sacrificio: una sola e identica vittima che, offertasi allora sulla
croce, è ora offerta dal sacerdote sull'altare; cambia solo il modo: cruento (=sangue) sulla croce,
incruento (=nel sacramento) sull'altare [Trento, DS 1743].
L'Eucaristia è dunque un
vero sacrificio perché rende presente
il sacrificio della Croce, ne è il memoriale
efficace, ne applica i frutti a tutti
coloro che nella fede si uniscono alla sua offerta.
Le virtù-effetti
salutari di questo sacrificio sono applicati: per la gloria di Dio, per il bene
della Chiesa, per la salute dei vivi e dei defunti [cf Canone romano; DS 1743;
Cirillo di Gerusalemme, Cat. mistag
V,9.10; LG 49-51).
2 Sacrificio della Chiesa. L'Eucaristia è anche il sacrificio della
Chiesa; qui essa si costruisce e si rinnova incessantemente (IGMR 24), offre ed
è offerta:
2.1. offre: per-con-in Cristo offre se stessa
come ostia santa-vivente-gradita (Rom 12,1; LG 49); di questa offerta
spirituale ognuno è il sacerdote insostituibile (LG 10): "(I fedeli) offrendo l'ostia immacolata, non soltanto
per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e
di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati
nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti"
(SC 48); poiché si offre solo chi ama, il culto spirituale è essenzialmente la
vita di carità, plasmata dal mistero eucaristico (cf Ef 5,2); offre la vita dei
fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro; li
unisce all'offerta totale di Cristo e all'offerta delle membra gloriose di
Cristo che si trovano già nella gloria del cielo; offre tutte le cose create e
tutta l'umanità, intercedendo per tutti gli uomini ("fatti voce di ogni creatura": IV Prece eucaristica); completa
in sé ciò che manca alle sofferenze di Cristo, in favore del suo corpo che è la
Chiesa (Col 1,24; cf Fil 3,10-11; 1 Pt 1,6; 4,13);
2.2. è offerta: la Chiesa-Corpo partecipa
all'offerta del sacrificio del Cristo-Capo: "Come il divin Redentore, morendo sulla croce, offrì all'eterno Padre se
stesso quale capo di tutto il genere umano, così in questa oblazione (Malachia
1,11), quale capo della Chiesa non offre soltanto se stesso, ma in se stesso
offre anche le sue mistiche membra, poiché egli nel cuore amatissimo tutte le
racchiude, anche se deboli e inferme"[42]. Come Maria ai piedi della croce, la Chiesa è
unita all'offerta e all'intercessione di Cristo. «In ciò che essa offre, essa
stessa è offerta nella cosa che offre» (S.Agostino).
3 La presenza eucaristica. "L'Eucaristia
è sacrificio perché rende presente la passione di Cristo; è ostia perché
contiene Cristo stesso, la vittima salutare" (S. Tommaso). "E' lui il medesimo che si trova nel
sacramento del pane e del vino anche se sono molte le assemblee nelle quali si
riunisce la Chiesa. E' il medesimo che immolato ricrea, creduto vivifica,
consacrato santifica i consacranti..."[43].
Cristo è presente in
molti modi alla sua Chiesa: LG 48; SC 7. In un modo tutto speciale è presente sotto le specie eucaristiche: una vera presenza reale (non per esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma
per eccellenza: praesertim [Paolo VI,
Mysterium fidei 39]), dovuta al modo
speciale di questa presenza: sacramentale
(non fisica), sostanziale (tutta la
sostanza del pane diviene corpo di Cristo), reale
(non apparente), permanente (rimane
anche dopo la celebrazione), tutto e
intero (corpo, sangue, anima, divinità; non separato o spezzato). Tale
presenza reale avviene: per la conversione di tutta la sostanza del pane-vino
in corpo-sangue del Signore Gesù Cristo (transustanziazione:
DS 1642), mediante le parole della
consacrazione e l'epiclesi-invocazione
dello Spirito: "Sempre tutto ciò che
lo Spirito tocca è trasformato"[44]. Cristo è tutto nel tutto e nelle parti; la
frazione non lo divide; la comunione non lo consuma [cf Lauda Sion][45]. "La
parola di Cristo che ha potuto fare dal nulla ciò che non esisteva, non
potrebbe ora cambiare le cose esistenti in altre che non erano ancora? E' forse
più facile dare alle cose la loro natura prima che cambiarla?" (s.
Ambrogio, De myst.9,50-52)[46].
4 Il culto eucaristico. Se Cristo ha istituito questo sacramento come
cibo, non per questo ne è sminuito il dovere di adorarlo: un culto di
"latria" che è dovuto al vero Dio, al vero Emmanuele Dio-con-noi
pieno di grazia e di verità [Euc. myst
3 f.]. Scopo primario e originario della conservazione dell'Eucaristia è
l'amministrazione del Viatico [CIC 921.922]; scopi secondari sono: la
distribuzione della comunione fuori della Messa [per giusta causa: CIC 918] e
l'adorazione del SS. Sacramento [Euc.
myst. 49]. Il culto ha origine dalla celebrazione e conduce alla
celebrazione eucaristica [non può prescindere da essa]. Vedere CIC 934-944.
"La visita al Santissimo Sacramento è una prova di gratitudine, un segno
d'amore e un dovere d'adorazione verso Cristo, nostro Signore" (Paolo VI, Mysterium fidei).
5 Sacrificio della lode. Questo mirabile sacramento della nostra
salvezza compiuta da Cristo sulla Croce, è anche un sacrificio di lode e una
azione di grazie che la Chiesa, fatta voce di ogni creatura, canta al Padre,
per Cristo, nello Spirito. Nell'azione di grazie per l'opera pasquale della redenzione, si unisce anche la lode e
la benedizione in riconoscenza per la creazione
e la santificazione che Dio ha
compiuto, compie, compirà per il suo popolo.
Banchetto pasquale.
«O sacro convito in cui
Cristo è nostro cibo.. l’anima nostra è ricolma di grazia»; «Ogni volta che
mangiamo questo pane e beviamo questo calice…».
La comunione con la
Carne di Cristo morto e risorto, "vivificata dallo Spirito Santo e
vivificante" (PO 5), conserva, accresce e rinnova la vita di grazia
ricevuta nel Battesimo.
La celebrazione del
sacrificio è orientata alla comunione: accresce la nostra unione con Cristo, ci
separa dal peccato, fa l'unità del corpo mistico di Cristo, ci spinge in
missione. In rapporto alla Chiesa-comunione, l'Eucaristia:
a. Accresce la nostra unione a Cristo.
* rende partecipi della
comunione con Cristo e in lui alla comunione trinitaria (LG 7)[47];
* ci fa partecipare ai
frutti del sacrificio pasquale;
* anticipa il banchetto
escatologico (Eucar. myst 3a).
* ci fa partecipare al banchetto dell'alleanza
nuova nel suo sangue (Lc 22,19);
b. Fa l'unità del corpo mistico di Cristo.
* rinnova, fortifica,
approfondisce l'incorporazione alla Chiesa già realizzata dal Battesimo;
* costruisce la Chiesa e la costruisce come
autentica comunità del popolo di Dio, come assemblea dei fedeli, contrassegnata
dallo stesso carattere di unità, di cui furono partecipi gli Apostoli e i primi
discepoli del Signore;
* esprime e produce l'unità del popolo di Dio (1
Cor 10,16-17; LG 11)[48]; ogni Eucaristia deve essere aperta alla Chiesa
universale, è celebrata per tutta la Chiesa ed ha presente misticamente tutta
la Chiesa; non tollera preferenze di persone, individualismi, chiusure di
gruppo (SC 26-27.32)[49];
* esprime e realizza la
fraternità e la riconciliazione; il pane non deve essere solo mangiato, deve
essere anche condiviso; è il sacramento della carità e della pace (cf 1 Cor
11,17-34)[50].
* esprime la gioia
pasquale della vittoria di Cristo sul peccato, sulla morte, su ogni schiavitù
(il riposo dal lavoro come segno di liberazione);
* è icona e pegno del
Regno futuro (Gv 6,51), viatico per l'ultimo viaggio, pregustazione del convito
celeste, comunione con la santa Trinità.
Sull'altare Cristo rende
presente il suo sacrificio perché sia nutrimento spirituale per i fedeli (Myst. fidei: 34). Il segno dell'altare diventa così: luogo del
sacrificio e dell'offerta della vittima, luogo del banchetto e mensa del
Signore. Rappresenta il suo corpo e sorregge il suo Corpo (s. Ambrogio: De Sacr. IV./7).
Da qui la necessità della Comunione: se non
mangiate-bevete...non avrete in voi la vita (Gv 6,53).
Tuttavia a certe condizioni: riceverla degnamente (1 Cor
11,27-29), in grazia di Dio (prima la Riconciliazione per i peccati gravi: CIC
916), in comunione con la Chiesa; con umiltà (Mt 8,8); il digiuno (CIC 919);
almeno una volta l'anno (CIC 920), meglio ad ogni Messa (SC 55; OE 15); sotto
le due specie: per maggiore verità del segno (IGMR 240).
Quando la partecipazione
al banchetto sacrificale è fatta come risposta all'amore grande con cui il
Signore ci ha amati, allora produce questi frutti:
* accresce la nostra
comunione con Cristo (Gv 6,56.57; Gal 2,20; PO 5);
* ci separa dal peccato:
è il corpo dato e il sangue versato che purifica [i peccati veniali] e preserva
dai peccati ["io che pecco ogni
giorno, devo avere ogni giorno un rimedio": s. Ambrogio; l'Eucaristia
non è ordinata al perdono dei peccati mortali: questo spetta alla Penitenza][51];
* fa l'unità del Corpo
mistico: unendoci a sé, Cristo ci unisce con tutte le sue membra, la Chiesa;
l'Eucaristia fa la Chiesa;
* rinnova, fortifica,
approfondisce l'unione battesimale con Cristo e con la Chiesa (1 Cor 12,13 e 1
Cor 10,16-17); "noi siamo ciò che
riceviamo" (s. Agostino);
* spinge verso la
missione (PO 5);
* è vincolo di carità
(cf Mt 25,40;), sacramento di pietà, segno di unità (SC 47).[52]
Pegno Della Gloria Futura
L'Eucaristia, in quanto
memoriale della Pasqua del Signore, ha un effetto anche "futuro": è
pegno-anticipazione della risurrezione (Gv 6,51-58), della gloria celeste. Lo
ha detto lo stesso Gesù nell'Ultima Cena (Mt 26,29; Lc 22,18; Mc 14,25); è
preghiera costante della Chiesa «nell’attesa che si compia la beata speranza e venga
il nostro Salvatore Gesù Cristo» (cf Ap 1,4; 22,20; 1 Cor 16,22); è insita
nell'economia sacramentale, destinata ad essere superata con l'avvento del
nostro Salvatore Gesù Cristo (cf Tt 2,13); ora incontriamo Cristo "nei
suoi misteri"; allora lo vedremo faccia a faccia, così come egli è (1 Cor
13,12; 1 Gv 3,2); è il cibo della Chiesa pellegrina (LG 8) verso cieli nuovi e
terra nuova (2 Pt 3,13); è il pegno-antidoto d'immortalità e di risurrezione
(Gv 6,40.44.50-51) nel dono dello Spirito effuso nei nostri cuori (Ef 1,13-14;
2 Cor 1,22; 5,5, Rom 5,5; 8,11); ci associa alla liturgia celeste (LG 50; SC
8); è inizio della restaurazione cosmica (LG 48; GS 38); è il "già"
confidato dal Signore ed insieme è caparra del "non ancora" della sua
promessa.
Nell'ottica della gloria
futura si può vedere l'Eucaristia anche nella sua dimensione trinitaria. L'istituzione di questo sacramento da parte
di Cristo e il dono dello Spirito, hanno come scopo di farci partecipi
dell'amore-comunione della santa Trinità. Il mistero trinitario è presente
nella celebrazione eucaristica: al Padre è rivolto il rendimento di grazie; il
Figlio attua il suo sacrificio di redenzione; lo Spirito santifica i doni e fa
la comunione tra le membra che si nutrono di questo sacramento di unità.
La celebrazione dell'eucaristia.
La celebrazione
dell'Eucaristia, in quanto azione di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente
ordinato, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa
universale, per quella locale e per i singoli fedeli. Qui si ha il culmine sia
dell'azione con cui Dio santifica il mondo in Cristo, sia del culto che gli
uomini rendono al Padre, adorandolo per mezzo di Cristo Figlio di Dio (IGMR 1).
La celebrazione
eucaristica è costituita da due parti, la liturgia
della Parola e la Liturgia eucaristica; esse sono così
strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa
infatti viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio quanto la mensa del
Corpo di Cristo, e i fedeli ne ricevono istruzione e ristoro. Ci sono inoltre
alcuni riti che iniziano e altri che concludono la celebrazione.
1. Riti di introduzione. Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti
insieme, formino una comunità, e si dispongano ad ascoltare con fede la parola
di Dio e a celebrare degnamente l'Eucaristia.
Sotto la presidenza del
vescovo o del presbitero, che agiscono nella persona del Cristo Capo, tutta
l'assemblea confessa i propri peccati, invoca la misericordia di Dio, glorifica
e supplica Dio Padre e l'Agnello, santificata dallo Spirito Santo.
2. Liturgia della Parola. Nelle letture Dio parla al suo popolo, gli
manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento
spirituale; Cristo stesso è presente per mezzo della sua parola, tra i fedeli.
L'omelia spiega questa parola ed
esorta ad accoglierla e a metterla in pratica. Segue la Preghiera universale o dei fedeli quale intercessione per tutta la
Chiesa e per il mondo intero (cf 1 Tm 2.1-2).
3. Liturgia eucaristica. Il celebrante compie ciò che il Signore stesso
fece quando nell'ultima cena istituì il sacrificio e convito pasquale per mezzo
del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce.
Questo convito sacrificale Gesù lo affidò ai suoi discepoli perché lo facessero
in memoria di lui sino alla sua venuta.
Tutta la celebrazione
della liturgia eucaristica è disposta secondo le parole e i gesti indicati da
Gesù:
* si preparano le
offerte, pane e vino, che diventeranno il Corpo e il sangue di Cristo;
* si rivolge al Padre,
per Cristo, nello Spirito, la preghiera di azione di grazie e di santificazione
mediante la quale si magnificano le grandi opere di Dio e si offre il
sacrificio; gli elementi principali di cui si compone la Preghiera eucaristica
sono: l'azione di grazie con cui si
glorifica Dio Padre e lo si ringrazia per tutta l'opera della salvezza; l'acclamazione al tre volte Santo, in
unione alle creature celesti; l'epiclesi
per invocare la potenza dello Spirito Santo affinché i doni diventino il Corpo
e il Sangue di Cristo e coloro che mangiano di questi doni diventino a loro
volta un solo corpo e un solo spirito; il
racconto dell'istituzione, cioè le parole e i gesti compiuti da Cristo
nell'ultima Cena e che permettono ora di rendere attuale-efficace il suo stesso
sacrificio pasquale; l'anamnesi o
memoriale della passione, morte, risurrezione, glorificazione di Cristo; l'offerta al Padre, nello Spirito, della
vittima immacolata e, per mezzo di Cristo, anche l'offerta di tutti noi perché
finalmente Dio sia tutto in tutti; le
intercessioni: in esse si esprime che l'Eucaristia viene celebrata in
comunione con tutta la Chiesa, sia celeste che terrestre, e che l'offerta è
fatta per essa e per tutti i suoi membri, vivi e defunti; la dossologia finale esprime la glorificazione del Padre, per-con-in
Cristo, nello Spirito Santo.
4. Riti di comunione. Dispongono i fedeli a partecipare al convito
pasquale. Con il Padre nostro si
chiede non solo il pane quotidiano, ma anche la purificazione dei peccati, così
che realmente «i santi doni vengano dati ai santi». Il rito della pace è implorazione di pace e unità per la Chiesa e per
l'intera famiglia umana ed espressione di quell'amore vicendevole che deve
unire coloro che partecipano all'unico pane. Il gesto della frazione del pane significa che noi, pur
essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione a un solo pane di vita,
che è Cristo (1 Cor 10,17). Nella comunione
si riceve il pane del cielo, il calice della salvezza, il Corpo e il Sangue di
Cristo che si è dato per la vita del mondo (Gv 6,51).
5. Riti di conclusione. Con l'orazione finale e la benedizione sul
popolo si conclude la celebrazione eucaristica; ognuno ritorna alle sue
occupazioni lodando e benedicendo il Signore, con l'impegno a tradurre nella
vita quanto si è ricevuto nel Mistero (SC 10).
Dal momento che ogni
celebrazione liturgica è opera di Cristo sacerdote e del suo corpo (SC 7),
anche l'assemblea eucaristica deve essere ordinata in modo tale che i ministri
e i fedeli vi partecipino ciascuno secondo il proprio ordine e grado. Ciascuno
dovrà fare tutto e soltanto ciò che gli compete (SC 28).
Il ministro è colui che agisce nella persona di Cristo Capo, unico
liturgo della nuova alleanza; è il dispensatore dei Misteri di Dio; rende
presente e applica il sacrificio di Cristo, guida la preghiera dei fedeli,
annunzia il messaggio della salvezza. Deve servire Dio e il popolo con dignità
e umiltà e nel modo di comportarsi e di pronunziare le parole deve far sentire
ai fedeli la presenza viva di Cristo (IGMR 60).
Vi sono poi altri ministeri come quello del diacono, del
lettore, dell'accolito, del salmista, del commentatore.
I fedeli formano la gente santa e il sacerdozio regale, per rendere
grazie a Dio, offrire la vittima immacolata impegnandosi ad offrire se stessi.
Questo popolo è il popolo di Dio, acquistato dal sangue di Cristo, riunito dal
Signore, nutrito con la sua parola; popolo la cui vocazione è di far salire
verso Dio le preghiere di tutta la famiglia umana; un popolo che, in Cristo,
rende grazie per il mistero della salvezza, offrendo il suo sacrificio; popolo
infine che per mezzo della comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, rafforza
la sua unità. Questo popolo è già santo per la origine; ma in forza della sua
partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa al mistero eucaristico,
progredisce continuamente in santità.
Per avere un'assemblea
celebrante si dovranno istruire i singoli fedeli circa i loro ruoli specifici
nella celebrazione:
* dovranno evitare ogni
forma di individualismo e di divisione per formare un solo corpo, sia
nell'ascoltare la parola di Dio, sia nel prendere parte alle preghiere e al
canto, sia specialmente nella comune offerta del sacrificio e nella comune
partecipazione alla mensa del Signore;
* non rifiutino di
servire con gioia l'assemblea del popolo di Dio, ogni volta che sono pregati di
prestare qualche servizio particolare nella celebrazione;
* manifestino il loro
«essere Chiesa» con un profondo senso religioso e con la carità verso i
fratelli;
* evitino ogni ritardo
alla celebrazione sapendo che liturgia della Parola e liturgia eucaristica
formano un unico atto di culto (SC 56).
Così, attraverso una
perfetta partecipazione alle sacre celebrazioni, anche i fedeli attingeranno
abbondantemente la vita divina, e, divenuti lievito di Cristo e sale della
terra, la proclameranno e trasfonderanno anche negli altri.
Per una partecipazione
piena, attiva, consapevole, fruttuosa, si richiede che tutti i partecipanti
alla celebrazione eucaristica si comportino con armonia quanto ai gesti e agli
atteggiamenti del corpo: è il segno dell'unità della comunità celebrante oltre
ad esprimere e favorire l'intenzione e
i sentimenti dell'animo dei partecipanti.
Particolare attenzione
va data al canto in quanto è segno
della gioia ed è proprio di chi ama; già dall'antichità si formò il detto: «Chi
canta bene, prega due volte». A suo tempo si deve osservare anche il silenzio, come parte della celebrazione;
permette di inserirsi più intimamente nel Mistero che si celebra, aiuta il
raccoglimento, permette di meditare ciò che si è ascoltato, favorisce la
preghiera di lode e di ringraziamento.
I Segni Del Pane E Del Vino
Il "corpo
dato" e il "sangue versato" sono consegnati da Cristo alla
Chiesa negli umili segni del pane e del vino. Infatti "è nello stile di Dio la sproporzione tra i
mezzi umilissimi che usa e le cose grandiose che fa" (Tertulliano; cf
1 Cor 1,21.25).
Le parole di Cristo e
l'invocazione dello Spirito Santo (= epiclesi) fanno del pane-vino il
Corpo-Sangue di Cristo. Già significano la bontà della creazione (Sal 103,
13-15) e il dono del Creatore (=dalla tua bontà abbiamo ricevuto...; Sal
78,24); sono i segni dell'offerta (Gn 14,18: Melchisedech); sono segni di
riconoscenza al Creatore (Dt 26); sono segno del pane-Parola di Dio (Dt 8,3; Mt
4,4); segni della fedeltà-benedizione a Dio e alle sue promesse (1 Cor 10,16).
a. il pane è segno del corpo-spezzato per il dono della vita (i
"pani del sacrificio": Lev 24,7-9; 1 Cor 10,16-17; 11,24; Gv 6,51),
il segno dell'unità dalla dispersione (cf Didaché 9; SC 47; Gv 17,21; 1 Cor
10,16-17), il segno dell'edificazione della Chiesa (Redemptor Hominis 20;
Dominicae Cenae 4)); il segno della comunione (Gv 6,56.57; 1 Cor 10,16.17); il
segno della novità-liberazione (Es 12,8.11.34.39; 1 Cor 5,7; 2 Cor 5,17); il
cibo del pellegrino (Es 16,4-8; 1 Re 19,1-8; Apoc 2,17; Gv 6,33.54.57.58;
[Lauda Sion: "factus cibus viatorum"]; CIC 924-927); simbolo della
fame e della sete di giustizia (Gv 6,35); della volontà del Padre che sta nei
cieli (Gv 4,42-34); disgraziatamente è stato anche segno di tradimento (Mc
14,18-20):
b. Il vino è segno del sangue-versato in sacrificio per il perdono dei
peccati (Mt 26,28; Gv 1,29; 1 Pt 1,19); segno del "vino nuovo" (Mc
2,22; Gv 2,10) che prepara il banchetto escatologico dei tempi messianici (Mt
26,29; Is 25,6-10; 55,1-3); segno di amicizia (Sir 9,10; Cant 1,4; 4,10); segno
della gioia messianica (Sir 10,19; Prov 9,2; Gv 2,10; 4,23; 5,25); è
soprattutto il segno che richiama il sacrificio di Cristo, fonte di salvezza e
di gioia eterna (1 Cor 11,25).
Pur utilizzando i segni
di un pasto, l'Eucaristia non è un semplice pasto; fin dalle origini si è
distinta dal pasto fraterno [agape: 1 Cor 11,17-34]. Il suo profondo
significato gli viene da Cristo stesso che ha fatto di questo banchetto il
sacramento della sua offerta-sacrificio per donarci la vita.
L'Eucaristia in quanto
banchetto di comunione fraterna (GS 38) esige accoglienza (Rm 15,7), ospitalità
(Rm 12,13).
I luoghi e le cose.
Una degna e conveniente
disposizione dei luoghi e delle cose necessarie per la celebrazione non solo
sarà espressione di fede nella presenza del Signore in mezzo al suo popolo, ma
favorirà la stessa partecipazione dei fedeli perché sia attiva, piena e
consapevole.
Il luogo deve essere disposto in modo da permettere la retta esecuzione
dell'ufficio di ciascuno e la possibilità di comunicazione tra i vari membri
dell'assemblea.
Le cose necessarie alla celebrazione devono permettere un'azione
veramente degna, partecipata, funzionale; siano di una bellezza autentica e
segno di realtà spirituali. In quanto «segni» dovranno essere di nobile
semplicità, veri, rispettosi delle esigenze dell'arte, capaci di dare decoro
all'azione sacra. Si dovrà pertanto evitare ogni forma di finzione, di
sciatteria, di simulazione.
Eucaristia e missione.
Dopo averlo riconosciuto nello spezzare il pane
(Lc 24,31) ed essere entrati pienamente in comunione con Lui nell'ascolto della
sua parola e nella partecipazione al suo pane-corpo, i discepoli di Emmaus
vanno per l'annunzio e la testimonianza. Chi ha incontrato e riconosciuto il
Risorto nell'Eucaristia dovrà diventare anche lui, come il Signore Gesù,
compagno di viaggio di altri fratelli per incoraggiarli nel cammino della vita
con la luce del Risorto. D'ora in poi l'annunzio della Pasqua passa attraverso
il gesto eucaristico. Nell'Eucaristia la Chiesa affonda le sue radici
apostoliche; la Messa diventa Missio
verso l'impegno dell'annuncio-attuazione della salvezza universale avendo
Cristo effuso il suo sangue «per tutti» in remissione dei peccati (Mt 26,28).
Dall'eucaristia pasquale si traggono energie per esser pronti a dare ragione
della propria speranza (1 Pt 3,15) e la Chiesa va alle genti quale sacramento
universale di salvezza (cf LG 48). L'Eucaristia immette nella carità di Cristo
che ha dato se stesso per noi fino al sacrificio di sé; dall'Eucaristia si
impara ad essere missionari nel segno della carità, della giustizia, della pace
perché non è possibile spezzare l'unico pane senza vivere poi la comune carità.
L'Eucaristia ha una profonda carica missionaria anche perché spinge a
desiderare e affrettare il giorno nel quale i discepoli di Cristo già uniti nel
vincolo dell'unica fede possano godere la gioiosa condivisione di un banchetto
eucaristico nel quale ogni contrasto sarà eliminato (cf NA 5); quando saranno
occupati quei posti che ora sono vuoti. La tensione missionaria dell'Eucaristia
spinge anche ad essere sale e luce per i non credenti, gli indifferenti e i
lontani, per annunciare loro che Dio non è assente dal mondo e per essi
continua a donare il Figlio suo. Una Eucaristia missionaria nel senso indicato
da Romani 12,11-13.
L'Eucaristia è dunque
fonte della missione (Atti 20,7-12) ed è il luogo dove lo Spirito sceglie i
missionari del Vangelo (Atti 13,2); per questo essa si presenta come
"fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione" (PO 5) e spinge
all'azione missionaria (PO 6).
Le Assemblee Con I Fanciulli
Una preoccupazione
costante per genitori ed educatori è quella di tener buoni e attenti i
fanciulli durante la Messa. Questo problema è stato affrontato e trattato anche
in un documento della Congregazione per il Culto divino: Direttorio per le
Messe con la partecipazione dei fanciulli (1.11.1973).
Gli orientamenti di base
di questo Direttorio sono:
1. La Chiesa che
battezza i bambini nutre poi verso di loro un interessamento tutto particolare.
In questa azione educativa però essa incontra particolari difficoltà: le
attuali condizioni di vita in cui i fanciulli crescono; i genitori poco fedeli
all'impegno di educare cristianamente i figli; la difficoltà che i fanciulli
incontrano nel comprendere parole e gesti delle azioni liturgiche.
2. Alle difficoltà
ambientali si aggiungono problemi di carattere psicologico: rimane il pericolo
di un danno spirituale per quei fanciulli che per anni sono costretti a fare
ripetute esperienze di azioni che ben difficilmente riescono a capire a ad
amare; potrebbe derivarne un rigetto al momento di passare all'età superiore.
3. D'altra parte esiste
anche una necessità irrinunciabile: è impensabile una vita davvero e
autenticamente cristiana senza la partecipazione del battezzato, anche se
ancora fanciullo, al mistero pasquale.
4. Pertanto ecco una
prima conclusione: partendo dalla essenziale necessità di far partecipare anche
i fanciulli al mistero pasquale e alla comunione di vita con Cristo e con i
fratelli, la via più sicura da seguire sembra essere duplice; da una parte si
farà una impegnata opera di educazione verso i fanciulli, dall'altra si dovrà
adattare, là dove è possibile, la celebrazione liturgica alle capacità
recettive della loro età.
5. Con i fanciulli verso
l'Eucaristia.
In questo cammino non si
può separare l'educazione liturgica dei fanciulli dall'insieme della loro
educazione generale. Educazione cristiana ed educazione umana, vanno di pari passo.
Pertanto, secondo l' età, si faccia fare ai fanciulli l'esperienza concreta di
quei valori umani che si ritrovano poi anche nella celebrazione eucaristica:
ascoltare, ringraziare, perdonare, essere amici, fare festa...
Il luogo primario di
questa educazione resta sempre la famiglia cristiana. Spetta ai genitori, in
primo luogo, insegnare gradualmente ai figli a pregare, pregando essi stessi
ogni giorno con loro.
Quest'opera educativa,
che vede impegnate tutte le componenti della comunità ecclesiale, ha delle
tracce ben precise da seguire: la celebrazione nella sua completezza sarà una
tappa finale cui tendere per gradi successivi, dopo aver introdotto i fanciulli
alla comprensione-partecipazione di unità più piccole (l'atto penitenziale, la
liturgia della parola, l'azione di grazie, l'offerta...); solo dopo la
percezione di queste unità particolari è possibile ricostruire e vivere
l'insieme della celebrazione.
a. Adulti e fanciulli insieme.
In linea di principio
non dovrebbero esistere delle Messe «per i fanciulli» dal momento che esiste
un'unica celebrazione eucaristica domenicale e festiva a cui partecipa tutta la
comunità parrocchiale composta di adulti e fanciulli insieme.
La Messa domenicale cui
partecipa tutta la comunità resta il punto di arrivo di ogni educazione
cristiana dei fanciulli. Queste celebrazioni devono però tener conto di alcune
condizioni:
* per quanto è possibile
si dovrebbero evitare concentrazioni di fanciulli, ma invitare i genitori a
partecipare alla Messa prendendosi cura dei propri figli;
* per i più piccoli si
consiglia che siano eventualmente custoditi da ausiliarie della parrocchia in
un luogo adatto e separato, riconducendoli ai loro genitori per la benedizione
finale;
* per gli altri
fanciulli che rimangono alla Messa insieme agli adulti si porrà ogni attenzione
affinché non si sentano trascurati; si terrà conto della loro presenza nella
monizione iniziale, nell'omelia, nel riservare a loro quei servizi che possono
svolgere; è anche previsto che si possa svolgere la liturgia della Parola per i
soli fanciulli in un luogo a parte e condurli poi presso gli adulti al momento
dei riti di offerta.
b. Fanciulli e adulti insieme.
In questo caso le parti
si invertono: la prevalenza dell'assemblea è costituita da fanciulli con la
presenza di alcuni adulti. E' opportuno ripetere: queste celebrazioni «per soli
fanciulli» hanno carattere transitorio dovendo esse tendere necessariamente
alla Messa dell'intera comunità parrocchiale con adulti e fanciulli insieme.
Queste celebrazioni
eucaristiche, costituite in prevalenza da fanciulli, necessitano di alcune attenzioni:
* non si devono
introdurre riti completamente nuovi, che troppo differiscono dal rito della
Messa comune;
* scegliere un giorno
infrasettimanale per permettere ai sacerdoti di assistere i fanciulli con tutta
libertà;
* si potranno
valorizzare uffici e servizi particolari che permettano ai fanciulli una
partecipazione attiva e consapevole (non quindi solo per farli stare buoni o
occupati): disporre l'ambiente, suonare alcuni strumenti musicali, cantare,
proclamare le letture, pronunciare le intenzioni della preghiera dei fedeli,
portare i doni all'altare...
* prima di affidare loro
dei compiti, è necessario spiegargliene il significato (i segni del pane, del
vino, del libro, dell'altare...);
* il sacerdote deve dare alla celebrazione un
tono festivo, fraterno, raccolto; deve badare non solo alla semplicità dei
gesti e dei segni, ma anche alla loro dignità: essere semplici senza diventare
banali e puerili;
* gli adulti presenti non sono dei
sorveglianti, ma compagni di preghiera che partecipano con i fanciulli alla
Messa e prestano ad essi il loro esempio e il loro aiuto.
c. Dove, quando, come.
Anche il luogo, il
tempo, il modo di queste celebrazioni hanno una loro importanza.
* dove?: il luogo primario è la chiesa; tuttavia si può scegliere
anche un altro ambiente purché degno della celebrazione di un così grande
mistero;
* quando?: è preferibile un giorno infrasettimanale e non a ritmo
quotidiano; tutto deve richiamare il polo di attrazione che resta la Messa
domenicale di tutta la comunità;
* come?: con grande dignità, come si conviene all'azione che è il
culmine e la fonte di tutta la vita della Chiesa
d. La celebrazione.
Accurata e tempestiva
deve essere la preparazione di ogni celebrazione: prima di tutto le persone,
poi le azioni da compiere.
Tra le azioni si deve
ricordare:
* preparare i fanciulli
ad uno svolgimento ordinato dei movimenti, come la processione di ingresso, la
processione con il libro della Parola, i riti di offerta; dovranno percepirne
il significato fondamentale, oltre al segno della festa;
* curare gli
atteggiamenti del corpo: stare seduti, stare in piedi, battere le mani...
* valorizzare gli
elementi visivi: i segni offerti dalla liturgia (i colori delle vesti
liturgiche), cartelloni preparati dai ragazzi con scritte o immagine riferite
al Vangelo o al tempo liturgico; deve essere invece evitato l'uso di
videoregistrazioni o proiezioni di diapositive durante la celebrazione (a
motivo della «verità» del segno, oltre alla difficoltà per i fanciulli di
percepire la differenza tra la finzione televisiva e la realtà della
celebrazione);
* utilizzare tutti gli
strumenti musicali che possono essere suonati dai fanciulli; scegliere canti
adeguati;
* si prenda in considerazione
la possibilità di introdurre anche momenti di danza: per l'ingresso, per la
processione delle offerte, per richiamare un'idea centrale dopo l'omelia o al
termine della celebrazione;
* non si trascuri il
silenzio: anche i fanciulli vanno guidati a momenti di riflessione e di
interiorizzazione, altrimenti tutto rischia di diventare un gioco con la
perdita del senso del mistero e del trascendente.
e. Gli adattamenti
All'interno delle varie
parti della celebrazione si possono fare alcuni adattamenti, senza tuttavia
dare l'impressione che questa sia una Messa del tutto «diversa» da quella della
comunità parrocchiale.
* L'inizio della
celebrazione: non è necessario utilizzare sempre tutti gli elementi previsti;
sarà utile dare maggiore ampiezza ora all'uno, ora all'altro (riti di ingresso,
accoglienza, atto penitenziale) e concludere poi con la colletta;
* Ascolto della Parola:
si preferisca il criterio della
«qualità» su quello della quantità; letture brevi, eventualmente, ma mai
parafrasate; se il testo lo richiede si può fare una lettura a più voci (come
nella lettura della Passione);
* Le orazioni
presidenziali: va rispettata la Preghiera eucaristica, utilizzando le 3
appositamente composte per la Messa con i fanciulli; le altre orazioni possono
subire qualche adattamento rispettandone però la sostanza e il fine; non vanno
invece mutati i dialoghi e le parti corali per non creare poi disagio quando i
fanciulli partecipano alle Messe con gli adulti.
Tutte queste riflessioni
vanno lette e utilizzate con uno scopo ben preciso: non la ricerca della
novità, ma unicamente il desiderio che i fanciulli, mediante una attiva e
consapevole celebrazione dell'Eucaristia, possano con gioia andare incontro a
Cristo, e con lui stare alla presenza del Padre.
Per un approfondimento:
PAOLO VI, Enciclica Mysterium fidei sulla dottrina e sul culto della ss. Eucaristia
[3.09.1965]: AAS 57 (1965) 753-774; EV 2, 406-443.
SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Eucharisticum mysterium sul culto del
mistero eucaristico [25.03.1967]: AAS 59 (1967) 539-573; Notitiae 3 (1967) 225-260; EV 2. 1293-1361 [si citerà EM].
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istituzione Generale del Messale Romano
(=IGMR) [26.03.1970]: EV 3.
2017-2414.
SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, La sacra comunione e il culto del mistero
eucaristico fuori della Messa [21.06.1973]: AAS 65 (1973) 610; EV 4.
2509-2510.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicae cenae [24.02.1980]: AAS 72 (1980) 113-148; Notitiae 16 (1980) 125-154; EV 7.
151-231;
CEI, Eucaristia,
comunione e comunità. Documento pastorale dell'Episcopato italiano
[22.5.1983].
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E DELLA
RICONCILIAZIONE
La riconciliazione fra
Dio e gli uomini fu compiuta dal Signore Gesù con il mistero della sua morte e
risurrezione (cf Rm 5,10). Egli stesso affidò poi il ministero della
riconciliazione alla Chiesa nella persona degli Apostoli (cf 2 Cor 5,18); e la
Chiesa lo esercita recando agli uomini il lieto annunzio della salvezza, e
battezzandoli nell'acqua e nello Spirito Santo (cf Mt 28,19).
Può avvenire infatti che
per l'umana debolezza i cristiani abbandonino la carità iniziale (cf Ap 2,4) e
infrangano con il peccato l'amicizia che li unisce a Dio.
Ecco perché nella
economia sacramentale, oltre ai tre sacramenti della iniziazione cristiana
(Battesimo, Confermazione, Eucaristia), il Signore, "medico di carne e di
spirito",[53] ha previsto anche due sacramenti medicinali: uno per la salute dell'anima (la
Penitenza), l'altro per la salute del corpo (unzione dei malati).
Colui che aveva rimesso
i peccati al paralitico donandogli anche la salute del corpo (cf Mc 2,1-12),
facendosi medico delle nostre anime e dei nostri corpi, ha voluto continuare,
mediante la Chiesa, la sua opera di guarigione e di salvezza nel dono pasquale
dello Spirito Santo.
Proprio per rimettere i
peccati commessi dopo il Battesimo, il Signore ha istituito un sacramento
particolare, quello della Penitenza (cf Gv 20,21-23), che la Chiesa nel corso
dei secoli ha fedelmente annunciato e celebrato. Il mistero della riconciliazione
fa dunque parte sia della storia della salvezza, sia della storia della Chiesa.
La riconciliazione nella storia della salvezza.
Dio chiama gli uomini ad
entrare in comunione con lui. La risposta alla chiamata di Dio esige
conversione e penitenza.
Il disegno del Padre. Il Padre ha manifestato la sua misericordia
riconciliando a sé il mondo per mezzo di Cristo, ristabilendo le pace, con il
sangue della sua croce, tra le cose della terra e quelle del cielo (cf 2 Cor
5,18). Questo Dio che si è rivelato a noi fino a mandarci nella pienezza dei
tempi il suo Figlio, è un Dio immensamente esigente e immensamente
misericordioso.
E' un Dio
esigente,perché avendoci assegnata una mèta sopra ogni umana previsione e
immaginazione, non si contenta mai dello stato di santità dei suoi figli,
chiede sempre di più, incalza e inquieta le loro pigrizie, invitandoli ad
elevare la vita in orbite nuove e sempre più alte.
Ma insieme è un Dio la
cui misericordia "è più grande del nostro cuore" (! Gv 3,20): ci
prende come siamo, sopporta pazientemente le nostre riottosità, debolezze e
lentezze, e dove trova colpa, anche la più grave e ingrata, riesce sempre a
sovrastarla con l'amore e a trascenderla con il perdono. Perciò anche le
sconfitte e gli avvilimenti di chi è già "rinato dall'acqua e dallo
Spirito" (Gv 3,5) e dovrebbe ormai vivere definitivamente la vita nuova,
non colgono di sorpresa la clemenza del Padre, che proprio col sacramento della
penitenza consente sempre di ricominciare da capo e di recuperare ogni volta la
fresca innocenza del Battesimo.
Il messaggio dei profeti.
L'invito alla penitenza
è anche insistente richiamo presso i profeti. Con il termine ebraico sûb essi indicano l'esigenza di cambiare
strada, di ritornare, di invertire il cammino; volgere le spalle a ciò che è
male, ri-orientarsi verso Dio. La bibbia greca, per esprimere la globalità
della penitenza-conversione quale atto di tutto l'uomo (pensiero e azione),
fece uso di più parole: con metànoia
espresse il pentimento interiore, con epistrèphein
espresse il mutamento della condotta pratica.
Se nelle epoche antiche
il perdono divino è impetrato mediante digiuni, elemosine, suppliche e riti
espiatori (cf Num 16,6-15), con l'annuncio dei profeti si insiste piuttosto
sulla conversione del cuore. Osea, ad esempio, stigmatizzerà le conversioni
superficiali, invitando alla conversione interiore ispirata dall'amore (hesed) e dalla conoscenza di Dio (Osea 6,1-6). Il culto da solo non conta
nulla, dice Isaia (Is 1,11-15), senza una sottomissione a Dio nella pratica
della giustizia. della pietà, della sincerità (cf Sofonia 3,12s).
Nonostante l'efficacia
del sacrificio di un cuore contrito (Sal 51,18: il Miserere di Davide), la conversione del cuore ed il perdono saranno
soprattutto una grazia liberamente offerta da Dio al popolo della nuova
alleanza, quando egli "scriverà la
sua legge nei cuori" (Ger 31,33).
Gesù, il volto misericordioso del Padre.
L'opera misericordiosa
del Padre si concretizza nel mistero pasquale del Figlio. Il Signore Gesù, il
Figlio di Dio, fatto uomo, è vissuto tra gli uomini per liberarli dalla
schiavitù del peccato (Gv 8,34-36), e chiamarli dalle tenebre alla sua luce
ammirabile (1 Pr 2,9). Per questo, ha cominciato la sua missione in terra
predicando la penitenza e dicendo: "Convertitevi e credete al
Vangelo" (Mc 1,15).
Gesù non solo esortò gli
uomini alla penitenza, perché abbandonassero il peccato, e di tutto cuore si
convertissero a Dio (Lc 15), ma accolse anche i peccatori e li riconciliò con
il Padre (Lc 5,20.27-32; 7,48). Guarì pure gli infermi, per dare un segno del
suo potere di rimettere i peccati (Mt 9,2.8). E infine morì egli stesso per i
nostri peccati, e risuscitò per la nostra giustificazione (Rm 4,25). Per
questo, nella notte in cui fu tradito, egli diede inizio alla passione
salvatrice, istituì il sacrificio della nuova alleanza nel suo sangue, per la
remissione dei peccati (Mt 26,28), e dopo la sua risurrezione mandò sugli
Apostoli lo Spirito Santo, perché avessero il potere di rimettere i peccati o
di ritenerli (Gv 20,19-23), e ricevessero la missione di predicare nel suo
nome, a tutte le nazioni, la penitenza e la remissione dei peccati (Lc 24,47).
Lo Spirito per la remissione dei peccati.
Nella formula di
assoluzione si dice che il Signore Gesù "Ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati". Lo
Spirito porta la novità dell'alleanza (2 Cor 3,6); alla legge del peccato e
della carne fa succedere la legge dello Spirito e della giustizia (Rm 7,18.25;
8,2.4); egli ci trasforma da esseri carnali in "uomini spirituali" (1
Cor 3,1).
La Chiesa ministra di riconciliazione.
Fin dal giorno di
Pentecoste la Chiesa, per bocca di Pietro, predicò il perdono dei peccati per
mezzo del Battesimo: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel
nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" (At 2,38; cf At
3,19.26; 17,30). Allo stesso Pietro il Signore aveva detto: "Ti darò le
chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato
nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei
cieli" (Mt 16,19).
Fin dalla sua origine
pasquale, pertanto, la Chiesa mai ha tralasciato di chiamare gli uomini dal
peccato alla conversione, e di manifestare, con la celebrazione della
penitenza, la vittoria di Cristo sul peccato [cf Rito della Penitenza n.1 = RdP].
La Chiesa è santa, ma bisognosa di purificazione. Cristo "ha amato la Chiesa, e ha dato se
stesso per lei, per renderla santa" (Ef 5,25-26), e l'ha unita a sé come
sua sposa (cf Ap 19,7); e poiché essa è il suo corpo e la sua pienezza, Cristo
la riempie dei suoi doni divini (Ef 1,22-23) affinché essa sia protesa e
pervenga a tutta la pienezza di Dio (Cf Ef 3,19; LG 7).
Le membra della Chiesa
però sono esposte alla tentazione, e spesso cadono miseramente in peccato. E
pertanto, mentre Cristo "santo, innocente, senza macchia" (Eb 7,26)
non conobbe peccato (2 Cor 5,21) e venne a espiare i soli peccati del popolo
(cf Eb 2,17), la Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, che è santa,
ma bisognosa sempre di purificazione, mai tralascia di far penitenza e di
rinnovarsi (RdP 3).
E' vero che con il
Battesimo siamo stati lavati, siamo stati santificati e siamo stati
giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (1
Cor 6,11); ma, come dice l'Apostolo Giovanni, "se diciamo di essere senza
peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" (1 Gv 1,8). La
vita divina è da noi portata in vasi di creta (2 Cor 4,7): significa che la
rigenerazione battesimale non ha soppresso in noi la fragilità e la debolezza
della natura umana, né l'inclinazione al peccato che la tradizione chiama concupiscenza. Aiutati dalla grazia di
Cristo dobbiamo fare il buon combattimento contro le forze del male e vivere in
uno stato di conversione in vista
della santità e della vita eterna alla quale il Signore ci chiama.
I luoghi del perdono.
La vittoria di Cristo
sul peccato e il ministero di riconciliazione esercitato dalla Chiesa
risplendono soprattutto in tre momenti sacramentali:
* nel Battesimo, quando il vecchio uomo viene crocifisso con Cristo
perché sia distrutto il corpo del peccato e perché noi non siamo più schiavi
del peccato ma, risorgendo con Cristo, viviamo ormai per Iddio (Cf Rm 6,4-10).
Per questo la Chiesa professa la sua fede "in un solo Battesimo, per il perdono
dei peccati";
* nella Eucaristia, in quanto sacrificio che rende presente la
passione di Cristo, vengono nuovamente offerti dalla Chiesa a Dio, per la
salvezza del mondo intero, il suo corpo dato per noi e il suo sangue per noi sparso in remissione dei peccati (Mt
26,28). Nell'Eucaristia infatti Cristo è presente e viene offerto come
"sacrificio di riconciliazione",[54] e perché il suo Santo Spirito "ci riunisca
in un solo corpo".[55] Tuttavia, pur riconoscendo all'Eucaristia, per
la sua natura pasquale e sacrificale, la grazia rinnovatrice del perdono, la
tradizione costante della Chiesa ha indicato la Penitenza sacramentale quale
via ordinaria per la remissione dei peccati; prima di presentare la propria
offerta, infatti, occorre prima riconciliarsi con il fratello (Mt 5,23-24);
"ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva
di questo calice" (1 Cor 11,28) per non essere reo del corpo e del sangue
del Signore (v. 27);
* nella Penitenza, dal momento che il Signore ha istituito nella sua Chiesa
questo sacramento, quando conferì ai suoi Apostoli e ai loro successori il
potere di rimettere i peccati (Gv 20,22-23), il potere delle chiavi per legare
e sciogliere (Mt 16,19).[56] S. Ambrogio può commentare: "Acqua e lacrime non mancano alla Chiesa:
l'acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza". Dopo la prima e
fondamentale conversione ratificata nel Battesimo, il Signore ci fa partecipare
ancora della sua Pasqua vittoriosa sul peccato ammettendoci alla penitenza
sacramentale; per questo la Tradizione ha chiamato la Penitenza con il nome di
"Baptismus laboriosus", in
quanto si fa ritorno alla vita nuova e integra dei figli di Dio non senza
lacrime e fatiche. Come il Battesimo è necessario per coloro che ancora non
sono stati rigenerati alla vita divina, così lo è la Penitenza per coloro che
questa vita indeboliscono o perdono a causa dei propri peccati personali.
Come chiamare questo sacramento?
* sacramento della conversione perché realizza sacramentalmente
l'appello di Gesù alla conversione (Mc 1,15);
* sacramento della Penitenza
perché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione;
* sacramento della confessione perché l'accusa dei peccati dinanzi al
ministro della Chiesa è un elemento essenziale di questo sacramento;
* sacramento del perdono perché mediante l'assoluzione Dio concede al
penitente il perdono e la pace;
* sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore la piena
riconciliazione con Dio (2 Cor 5,20: lasciatevi riconciliare con Dio), e con i
fratelli (Mt 5,24: va a riconciliarti con il tuo fratello).
Tra questi nomi va
privilegiato, come fa lo stesso Nuovo Catechismo, quello di Sacramento della Penitenza e della
Riconciliazione; la penitenza integra in sé gli elementi della conversione
e della confessione, mentre la riconciliazione richiama il perdono e la piena
restituzione alla vita della grazia.
RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI
Sguardo storico
La Chiesa, costituita da
Cristo quale sacramento universale di salvezza (LG 48), ha ricevuto dallo
stesso Signore il dono di uno specifico sacramento che suggella e porta a
compimento l'itinerario penitenziale del cristiano. Cristo infatti ha istituito
il sacramento della Penitenza come mezzo ordinario per rimettere i peccati
commessi dopo il Battesimo. Egli stesso, dopo la sua risurrezione, effondendo
sugli Apostoli lo Spirito Santo, ha conferito ad essi e ai loro legittimi
successori tale missione e facoltà (Gv 20,19-23), ossia il dono di far rivivere
nello Spirito quanti a causa del peccato sono stati privati della vera vita.
Da allora mai la Chiesa
ha tralasciato di chiamare gli uomini dal peccato alla conversione e di
manifestare, con la celebrazione della penitenza, la vittoria di Cristo sul
peccato.
L'esercizio di questa
missione ha avuto, nella vita della Chiesa, varietà di forme pur obbedendo al
preciso comando del Signore di rimettere i peccati o di ritenerli (Gv
20,19-23).
Nella Chiesa antica.
L'esistenza di un rito
di Penitenza nella Chiesa è attestata fin dai primissimi scritti. La Didaché (verso gli anni 90-100),
parlando dell'Eucaristia dice: "Ogno domenica radunatevi per celebrare
l'Eucaristia, dopo aver confessato i
vostri peccati". Nello stesso periodo, Clemente Romano (papa nel
92-101), scrivendo ai Corinti, ribellatisi contro l'autorità, dice espressamente:
"Piegate le ginocchia del vostro
cuore davanti ai presbiteri e accettate la correzione nella penitenza".
Testimonianze analoghe in Ireneo, Tertulliano, Cipriano, Origene.
In questo periodo la
Penitenza è sempre pubblica (anche se
la confessione dei peccati al Vescovo si fa in privato); si entra nella
categoria dei penitenti; si resta privi della comunione (la
"scomunica" impedisce l'accesso alla comunione eucaristica e quindi
priva della piena comunione con la stessa Comunità); si fa digiuno ed altre opere
penitenziali; la penitenza si protrae generalmente per l'intera quaresima e si
è riconciliati in una solenne liturgia penitenziale al mattino del giovedì
santo.
Un periodo di severità.
Con il Pastore di Erma
(140-155) prende forma questa disciplina: ogni peccato commesso dopo il
Battesimo può essere perdonato ma, per evitare la facilità della ricaduta, di
fatto, si può essere riconciliati una sola volta nella vita. Anche Tertulliano
si colloca su questa linea. Ovviamente una tale rigidità è riservata solo per i
peccati capitali (delitto degno di
pena capitale, secondo la terminologia giuridica romana: adulterio, apostasia,
omicidio). Generalmente si dava una possibilità di appello con una seconda
penitenza in punto di morte.
Altri vescovi, come
Cipriano, dopo un periodo di rigidità sentirono il bisogno di maggiore clemenza
in un tempo di forte persecuzione: "Come
posso pretendere che versino il loro sangue senza aver gustato il Sangue di
Cristo?...Siccome l'Eucaristia si fa perché sia difesa a chi la riceve, è
necessario che armiamo con il rifornimento del cibo del Signore coloro che
vogliamo siano forti contro il nemico".
La prassi di una sola
penitenza nella vita durò fino al VII secolo, ma fu di difficile applicazione;
comportava infatti conseguenze gravose, come l'esclusione dai pubblici uffici,
l'interdizione dei rapporti coniugali.
La confessione privata.
Tra le Chiese d'Oriente
e quelle d'Occidente c'era stata, a partire dal III secolo, una differente
concezione circa l'attuazione della disciplina sacramentale. La corrente
occidentale, piuttosto giuridica, insiste sulla riconciliazione della Chiesa;
quella orientale invece insiste sull'impegno penitenziale del peccatore e sulla
formazione della coscienza: la penitenza ha come scopo la formazione della
coscienza aiutando così il peccatore ad uscire dal male. Il monachesimo
orientale praticava correntemente la disciplina dell'affidamento ad un padre
spirituale che, con il suo consiglio e la sua guida, conduce il penitente alla
confessione. Anche il monachesimo occidentale, con san Benedetto, recepisce la
prassi dell'accusa dei peccati fatta ad un padre spirituale, a volte lo stesso
Abate. Con l'invio dei monaci missionari nelle varie regioni d'Europa (basti
pensare all'opera di san Patrizio in Irlanda), la formazione della coscienza
attraverso la confessione ad un Padre spirituale diventa prassi ordinaria. Si
passa così da una riconciliazione pubblica dove prevale l'aspetto
giuridico-ecclesiale, fatto unico nella vita, ad una penitenza dove prevale l'aspetto
misericordioso della lenta conversione quotidiana del cristiano; in questo
caso, la reiterabilità e la privatezza dell'atto penitenziale portano il
peccatore alla conversione e alla riconciliazione con la Chiesa senza dover
attendere tutta una vita col rischio di allontanarsi definitivamente dalla
fede. Non si creda tuttavia che questa penitenza privata sia stata poi tanto
facile! La penitenza imposta era dura e gravosa; nel penitenziale di san
Colombano si legge: "Se uno avrà rubato faccia penitenza per un anno; se
uno avrà spergiurato, faccia penitenza per sette anni". Nascono anche dei
"tariffari" per poter assegnare ad ogni peccato la relativa
penitenza; da qui l'uso di una accusa dei peccati minuziosa e dettagliata.
Nonostante il passaggio dalla penitenza pubblica a quella privata, resta
invariato l'ordine dell'antica penitenza canonica: accusa dei peccati,
penitenza, riconciliazione.
Anche la penitenza
privata manifestò ben presto il suo lato debole. Verso i secoli XII-XIII
l'espiazione della colpa perde sempre più il suo rigore (ridotta ad alcune
preghiere) e l'attenzione si sposta sempre più a favore dell'accusa dei peccati
(numero e specie). Oltre all'accusa-penitenza segreta si aggiunse anche una
riconciliazione- assoluzione segreta ed immediata da parte del sacerdote: il
penitente riceve subito l'assoluzione dopo la confessione dei peccati, senza
attendere il compimento della penitenza. La confessione e l'assoluzione
diventano atti preminenti a discapito della soddisfazione che diventa sempre più
un atto formale limitato alla recita di alcune preghiere. Si perde anche il
raporto penitente-comunità perché tutto si limita al dialogo
penitente-confessore.
Il Concilio di Trento
non apportò sostanziali mutamenti a questa disciplina penitenziale. Il Rituale
del 1614 insiste molto sul ruolo del confessore quale medico e giudice: deve
informarsi sullo stato del penitente, da quanto tempo non si è confessato, e
deve anche rivolgergli una breve catechesi annunciandogli la Parola che suscita
conversione e pentimento profondo; prescrive l'uso del confessionale e della
grata, cioè la separazione tra penitente e confessore; la formula di
assoluzione rimane all'indicativo: Io ti
assolvo..., mentre leva la mano destra verso il penitente. Mentre scioglie
i peccati in nome di Dio, il sacerdote è ministro di Cristo che intercede
presso il Padre.
Il Vaticano II.
Il Concilio stabilì che "Si rivedano il rito e le formule della
Penitenza, in modo che esprimano più chiaramente la natura e gli effetti del
sacramento" (SC 72). In ossequio a questo mandato, e per facilitare
nei fedeli la comprensione piena della natura e dell'efficacia di questo
sacramento, la Sacra Congregazione per il Culto divino ha preparato il nuovo Rito della Penitenza, pubblicato nel
1973 da Paolo VI (in italiano nel 1974). Le principali novità del rito sono di
ordine teologico e di ordine celebrativo (triplice maniera di celebrare questo
sacramento).
La teologia che soggiace
al nuovo Rito della penitenza si
caratterizza per queste dimensioni:
* trinitaria. Il Padre accoglie il figlio pentito che fa ritorno a
lui, Cristo si pone sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all'ovile,
lo Spirito Santo santifica nuovamente il suo tempio o intensifica in esso la
sua presenza (RdP 6d); Dio
misericordioso, che per primo ci ha amati, riaccende in noi il suo amore e ci
riporta pienamente a sé; il Figlio per noi dona se stesso; lo Spirito Santo
viene effuso in abbondanza su di noi (RdP
5).
* pasquale. E' nella morte e risurrezione del Figlio e nell'effusione
dello Spirito Santo che il Padre riconcilia a sé il mondo e concede il pedono e
la pace (RdP 46); è per il mistero
della morte e risurrezione del Signore Gesù che il peccatore viene liberato dai
peccati, riceve la pace, può portare frutti di carità di giustizia e di verità
(RdP 45).
IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA E LE SUE PARTI
Lo Spirito Santo che
convince il mondo quanto al peccato (Gv 16,8-9), essendo il
Paraclito-Consolatore (Gv 15,26), svelando il peccato nell'uomo gli dona la
grazia del pentimento e della conversione. E lo Spirito spinge a conversione
non solo le singole persone, ma anche tutta la Chiesa che, pur essendo santa,
sente anch'essa il bisogno di purificazione per cui mai tralascia di far
penitenza e di rinnovarsi (Lumen gentium
8).
Molti e diversi sono i
modi con cui il popolo di Dio fa continua penitenza. Queste varie forme
penitenziali, espressione della conversione del cuore e della penitenza interiore, sono significate da gesti e
opere di penitenza esteriore fino a
culminare ovviamente nel sacramento della Penitenza.
La Scrittura e i Padri
insistono soprattutto su alcune forme penitenziali che esprimono la conversione
in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo ed anche in rapporto alla
creazione:
a. La preghiera. E' come la grande anima di ogni realtà e a colui che
prega nulla può essere rifiutato (Mt 21,22; Mc 11,24; Giac 5,16). Purtroppo chi
fa scisma dal Signore smette anche di pregare; e mancando la tensione orante
viene meno anche la fede. Ecco perché la preghiera nella Bibbia precede,
accompagna, segue il movimento di conversione (Lamentazioni 5,19-22).
b. Il digiuno. E' un segno che dimostra all'uomo la ferita e il dolore
interno procurato dal peccato. Solo il cibo, che è benedizione di Dio, può
calmare questo dolore. Astenersi dal cibo significa il dolore procurato dalla
mancanza della benedizione divina rappresentata dal nutrimento, dono dell'amore
provvidenziale del Signore (Gioele
2,12-17). L'astensione dal cibo diventa anche digiuno di carità quando è offerto ai poveri il ricavato dalla
nostra astinenza.
c. L'elemosina. Il peccato è rottura non solo con Dio, ma anche col
prossimo. Ogni conversione deve essere espressione di riconciliazione anche con
coloro che Dio ama, cioè con i poveri e i bisognosi; si sa che donare al povero
è donare a Dio, è manifestargli la propria fede, il proprio amore, amandolo in
coloro che Egli ama; l'elemosina è la tassa dovuta a Dio per i doni ricevuti,
ma che Egli vuole sia pagata ai suoi poveri quale segno della sua benevolenza (Atti 10,4.31; 1 Gv 3,17); "chi fa la carità al povero fa un prestito al
Signore che gli ripagherà la buona azione (Prov 19,17); l'elemosina, quale gesto di grande carità, salva dalla
morte e "copre una moltitudine di
peccati" (cf Tobia 12,8-9; Giac 5,20; 1 Pt 4,8); "sconta i tuoi peccati con l'elemosina e le
tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti, e Dio perdonerà le
tue colpe" (Daniele 4,24b).
d. I sacrifici della vita. Colui che scruta nel segreto della
coscienza conosce anche tutte le rinunce che si fanno sia nell'astenersi dal
male, sia nel compiere il bene: e di tutte il Signore tiene conto (Rom 12,1;
Fil 4,18; Ef 5,25-26). La Chiesa invita dunque a fare penitenza prendendo
parte, con la sopportazione delle prove, alle sofferenze di Cristo (1 Pt 4,13),
compiendo opere di misericordia e di carità (Mt 25,31-46).
San Giovanni Crisostomo
ha indicato 5 vie di riconciliazione con Dio: la condanna dei propri peccati;
non ricordare le colpe dei nemici, dominare l'ira, perdonare i fratelli che ci
hanno offeso; preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall'intimo del
cuore; comportarsi con temperanza e umiltà, riconoscere le proprie colpe; fare
l'elemosina (Ufficio divino, martedì XXI
per annum).
e. Il sacramento della Penitenza. E' soprattutto in questo sacramento
che i fedeli ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a
lui, e insieme la riconciliazione con la Chiesa, che è stata ferita dal loro
peccato (LG 11). Essendo il peccato una offesa fatta a Dio e una rottura
dell'amicizia con lui, scopo della penitenza è essenzialmente quello di
riaccendere in noi l'amore di Dio, di riportarci pienamente a lui, di
riconciliarci con i nostri fratelli nella Chiesa, di ritrovare la pace
interiore. Dopo il Battesimo, questa è "la seconda tavola di salvezza dopo il naufragio della grazia perduta"
(Tertulliano, Sulla penitenza 4,2);
per questo è stata anche chiamata <battesimo
delle lacrime>
Se l'uomo è portato
continuamente a fare scisma da Dio, dovrà altrettanto intensamente vivere un
continuo stato di conversione che gli permetta di ricomporre, attraverso la
fede il perdono dei peccati e il dono dello Spirito, l'unione col Signore. In
questa unione è possibile trovare la propria unità interiore e quella con gli
altri uomini concreti che il peccato aveva ferito e straziato.
Il sacramento della Penitenza e le sue parti.
Mosso dalla grazia dello
Spirito Santo, il penitente che fa ritorno a Dio deve esprimere l'intima
conversione del cuore mediante il proposito di una vita nuova, la confessione
dei propri peccati, la debita soddisfazione; solo a queste condizioni Dio
accorda la remissione dei peccati mediante il ministero della Chiesa. Gli atti
del penitente devono coinvolgere tutta la persona: nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere
tutta l'umiltà e la feconda soddisfazione.
Per fare una buona e
valida confessione il penitente deve compiere questi passaggi:
a.
La contrizione. E' il dolore
dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito
di non peccare più in avvenire. La Bibbia esprime questi atti con il temine
"metànoia" che significa il
cambiamento intimo e radicale della persona per cui si torna a pensare, a
giudicare, a riordinare la propria vita secondo lo spirito del Vangelo, mossi
dalla santità e dalla bontà di Dio.
Si parla di
<contrizione perfetta> quando proviene dall'amore di Dio amato sopra ogni
cosa; può rimettere i peccati veniali e anche quelli mortali, qualora comporti
la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione
sacramentale (Catechismo della Chiesa
Cattolica n. 1452).
Si parla di
<contrizione imperfetta> quando deriva dalla considerazione della
bruttura del peccato o dal timore della dannazione eterna o dalla paura delle
pene; da sola non ottiene il perdono dei peccati gravi, ma dispone a riceverlo
nel sacramento della Penitenza.
b. La confessione dei peccati. Dalla contrizione dei peccati commessi
scaturisce il desiderio di confessarli, cioè di aprirsi nuovamente a Dio e alla
comunione con la Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.
Alla luce della
misericordia di Dio e orientati dalla Parola del Signore si deve fare un esame
accurato della propria coscienza guardando in faccia i peccati commessi,
assumendone la responsabilità, disponendosi a farne l'accusa esterna al
ministro di Dio e della Chiesa.
Dio solo perdona i
peccati (Mc 2,7). Anche il Figlio dell'uomo ha il potere di rimettere i peccati
e in virtù della sua autorità divina ha donato tale potere agli uomini (Gv 20,21-23)
affinché lo esercitassero nel suo Nome. In forza del potere delle chiavi di
rimettere o di ritenere i peccati (Mt 16,19), costituito ministro della
riconciliazione (2 Cor 5,18), il sacerdote formula un giudizio spirituale e
pronunzia in persona Christi una
sentenza. E' Cristo stesso infatti che agisce nel ministro rivelando allo
stesso tempo la sua figura di Padre,
perché accoglie con benevolenza il figlio che fa ritorno alla casa paterna; la
figura di medico perché cura le
malattie dell'anima e indica la medicina spirituale; la figura di giudice perché formula un giudizio
spirituale ed emette una sentenza di assoluzione dopo aver prescritto la debita
riparazione; la figura di maestro
perché annuncia il Vangelo della verità e istruisce sui doveri della vita
cristiana.
E' dunque importante un
accurato esame di coscienza sui singoli peccati, mortali e veniali; ma più
importante ancora è manifestare al confessore lo <stato> della propria
vita: se il medico spirituale non conosce bene la malattia, non può curare
quello che non conosce.
c. La soddisfazione. E' l'emendamento della vita e la riparazione dei
danni arrecati; si tratta di soddisfare con degni frutti di penitenza le colpe
commesse o le omissioni; si deve reintegrare il patrimonio dei beni diminuiti o
distrutti col peccato; si deve recuperare la piena salute spirituale. In altre
parole: si tratta di fare <opere degne
della conversione> (Lc 3,8).
Pertanto è necessario
che il genere e la portata della soddisfazione o espiazione sia commisurata ad
ogni singolo penitente, alla gravità e alla natura dei peccati commessi, in
modo che egli possa riparare nel settore in cui ha mancato e curare il suo male
con una medicina appropriata ed efficace. La penitenza da fare sia davvero un
rimedio del peccato e trasformi in qualche modo la vita; può essere una
preghiera, un'elemosina, un'opera di misericordia. Così il penitente,
<dimentico del passato> (Fil 3,13), s'inserisce con nuovo impegno nel
mistero della salvezza e si predispone al futuro che lo attende.
d. L'assoluzione. Con il segno dell'assoluzione Dio concede il suo
perdono al peccatore che nella confessione sacramentale ha manifestato la sua
conversione. Dio vuole infatti servirsi di segni sensibili per conferirci la
salvezza e rinnovare l'alleanza infranta.
Dalla formula di
assoluzione traspare l'opera trinitaria del ministero della riconciliazione: il
Padre accoglie il figlio che fa
ritorno a lui; il Figlio si pone
sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all'ovile; lo Spirito Santo santifica nuovamente il
suo tempio o intensifica in esso la sua presenza. Il sacramento della Penitenza
attinge così le sue energie nella Pasqua di morte e risurrezione del Cristo e
dispone la persona convertita e riconciliata ad accedere nuovamente alla mensa
eucaristica che il Signore imbandisce per festeggiare il ritorno del figlio
lontano (Lc 15, 7.10.32).
Gli effetti di questo sacramento.
Essendo il peccato
interruzione della comunione d'amore con Dio, il sacramento della Penitenza ci
riconcilia anzitutto con Dio restituendoci
alla sua grazia e stringendoci a lui in intima e grande amicizia.
Ci riconcilia anche con noi stessi ridonandoci la pace e la
serenità della coscienza insieme a una vivissima consolazione dello spirito; si
recupera la propria verità interiore. Il sacramento della riconciliazione con
Dio opera infatti una autentica risurrezione spirituale, restituisce la dignità
e i beni della vita dei figli di Dio, ridà forza e vigore per proseguire il
cammino verso la piena libertà dei figli di Dio.
Ci riconcilia con la Chiesa, riparando le fratture
della comunione fraterna procurate dal peccato di uno dei suoi membri (1 Cor
12,26: "se un membro soffre, tutte
le membra soffrono insieme"). Ristabilisce e consolida la comunione
dei Santi (LG 48-50); fortifica nello scambio dei beni spirituali tra tutte le
membra vive del Corpo di Cristo; spinge ad essere sempre più generosi nel
servizio di Dio e dei fratelli; anticipa il giudizio finale al quale saremo
sottoposti al termine di questa vita terrena (Gv 5,24; cf 1 Cor 5,11; Gal
5,19-21; Ap 22,15).
In qualche modo il
sacramento della Penitenza ci riconcilia anche con la creazione dal momento che il peccato, interrompendo la
comunione con Dio, rende vano anche il valore sacramentale del mondo (Rm 8,20);
il mangiare e il bere, l'uso del sesso, l'esercizio dei sensi, tutto dovrà
recuperare l'armonia inscritta da Dio in queste funzioni che devono permettere
all'uomo di risalire verso la loro causa ultima.
Alcune questioni sulla Penitenza.
Si è parlato e si
continua a parlare di <crisi> del sacramento della Penitenza. Crisi
dovuta ad una sua concezione individualista, alla perdita del senso di Dio,
alla perdita del senso del peccato e della moralità, alla carenza di
evangelizzazione.
Una certa crisi può
dipendere anche da alcuni fraintendimenti che oscurano il vero significato di
questo sacramento. Ne elenchiamo alcuni, offrendo anche alcune tracce di
risposta.
a. Perché confessarsi ad un prete?
Spesso si sente dire: mi
confesso direttamente a Dio e non ai preti, visto che anche loro hanno i propri
peccati. Questa visione, prevalentemente individualista e privatista, non tiene
conto della dimensione <ecclesiale> del sacramento. Tutta la Chiesa è
cointeressata ed agisce nell'opera di riconciliazione affidatale dal Signore. Predicando
la parola di riconciliazione essa chiama i peccatori a conversione; con la
preghiera ottiene da Dio, che solo può rimetterli, la misericordia e il perdono
dei peccati; con il ministero affidato da Cristo agli Apostoli e ai loro
successori (Mt 18,18; Gv 20,23), essa diventa strumento di conversione e di
assoluzione. Esercitando il ministero della Penitenza la Chiesa proclama la sua
fede, rende grazie a Dio per la libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal
4,31), offre la sua vita come sacrificio spirituale a lode della gloria di Dio
e intanto affretta il passo incontro a Cristo Signore (2 Pr 3,12).
Mai come in questo caso
è opportuna l'espressione dei Padri: non
può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre.
Il sacerdote confessore
non è dunque un padrone, ma un servitore del perdono di Dio, un ministro della
Chiesa; poiché è soprattutto nella sue membra ecclesiali che Dio viene offeso
dai nostri peccati, è doveroso che proprio ad un rappresentante qualificato di
questo corpo ecclesiale sia chiesto perdono per riceverne un gesto di
riconciliazione. Nel sacerdote occorre scorgere, con gli occhi della fede, la
stessa persona di Cristo buon Pastore che ricerca la pecora perduta e la
riconduce all'ovile; è anche il buon Samaritano che medica le ferite; è il
segno e lo strumento dell'amore misericordioso di Dio verso il peccatore.
Per essere all'altezza
di questo compito, il sacerdote confessore deve essere in grado di saper
distinguere le malattie dell'anima per apportarvi i rimedi adatti, ed esercitare
con saggezza il suo compito di medico e di giudice spirituale; con lo studio e
la preghiera deve procurarsi la scienza e la prudenza necessarie per discernere
l'opera di Dio nel cuore degli uomini. Sia sempre pronto e disponibile ad
ascoltare le confessioni. Non si dimentichi poi che il sacerdote è tenuto
all'assoluta inviolabilità del sigillo sacramentale, circa i penitenti e quanto
essi hanno confessato.
b. Confessione solo per i peccati mortali?
Diversa e molteplice è
la ferita causata dal peccato (1 Gv 5,16-17). Si chiama mortale il peccato che distrugge la carità nel cuore dell'uomo
distogliendolo da Dio che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo
a lui un bene inferiore; si chiama veniale,
cioè scusabile, quando la carità, pur offesa e ferita, sussiste ancora.
Cristo ha istituito
nella sua Chiesa il sacramento della Penitenza perché i fedeli caduti in
peccato dopo il Battesimo riavessero la grazia e si riconciliassero con Dio.
Per S. Ambrogio "Acqua e lacrime non
mancano alla Chiesa: l'acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza".
Se dunque si può parlare
di necessità di questo sacramento per
la remissione dei peccati gravi, si deve anche parlare della sua utilità per la remissione dei peccati
veniali dal momento che la quotidiana debolezza è vinta dalla grazia
sacramentale nel dono dello Spirito, è ridata forza e vigore per camminare
nella novità di vita come si addice ai figli di Dio. La confessione regolare
dei peccati veniali aiuta inoltre a formare la coscienza, a lottare contro le
cattive inclinazioni, a lasciarci guarire da Cristo, ad essere misericordiosi
come lui, a progredire nella vita dello Spirito.
c. Ogni quanto ci si deve confessare?
"Se riconosciamo i
nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci
purificherà da ogni colpa" (1 Gv 1,9). Secondo il precetto della Chiesa,
ci si deve confessare almeno una
volta nell'anno (CIC 890). Dal momento però che il peccato grave è interruzione
della comunione d'amore con Dio, si faccia subito un atto di contrizione
perfetta per ristabilire la comunione perduta e, al più presto, si ricorra al
sacramento della Penitenza per ricevere in maniera sicura e piena il perdono e
la pace. Chi è consapevole di aver commesso un peccato mortale non può ricevere
la santa Comunione senza prima essersi confessato.
Anche per i peccati
veniali è molto utile il ricorso assiduo e frequente a questo sacramento. Non
si tratta infatti di una semplice ripetizione rituale né di una sorta di
esercizio psicologico: è invece un costante e rinnovato impegno di affinare la
grazia del Battesimo, perché, mentre portiamo nel nostro corpo la
mortificazione di Cristo Gesù, sempre più si manifesti in noi la sua vita (2
Cor 4,10). L'accusa dei peccati veniali sarà occasione e stimolo a conformarsi
più intimamente a Cristo, e a rendersi più docili alla voce dello Spirito.
CELEBRARE LA PENITENZA
La celebrazione
sacramentale della Penitenza è il punto massimo di espressione della risposta
che la Chiesa ed i singoli battezzati devono dare al comando del Signore <Convertitevi e credete al Vangelo>
(Mc 1,15). Infatti, pur essendo <santi> per elezione, tuttavia siamo
anche <peccatori> e quindi sempre bisognosi di purificazione mediante la
penitenza e il rinnovamento.
E' opportuno riflettere
su questo processo che coinvolge l'uomo in un misterioso conflitto tra il mysterium iniquitatis (2 Ts 2,7) e il mysterium pietatis (1 Tm 3,15).
Celebrando il sacramento
della Penitenza, la Chiesa intende professare la sua fede nella misericordia di
Dio che perdona le offese fatte a lui ed insieme vuol rendere grazie a Dio per
la riconciliazione che avviene in seno alla comunità ecclesiale quando un suo
membro peccatore fa ritorno alla casa paterna. Con la celebrazione del
sacramento della Penitenza la Chiesa intende anche manifestare la vittoria di
Cristo sul peccato.
Il nuovo rito della
Penitenza prevede 3 forme di celebrazione di questo sacramento: la prima è la riconciliazione dei
singoli penitenti; la seconda è la
riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione
individuale; la terza è la
riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione generale.
Ciascuna di queste tre
forme ha una sua caratteristica e peculiarità:
a. La terza forma, che prevede l'assoluzione collettiva a più penitenti,
senza la previa confessione individuale, è riservata solo a casi di grave
necessità (numero dei penitenti, scarsità di confessori, rischio di rimanere a
lungo privi della grazia sacramentale).
b. La seconda forma, ha il vantaggio di <manifestare più
chiaramente la natura ecclesiale della penitenza. I fedeli infatti ascoltano
tutti insieme la parola di Dio, che proclama la sua misericordia e li invita a
conversione, confrontano la loro vita con la parola stessa, e si aiutano a
vicenda con la preghiera. Dopo che ognuno ha confessato i suoi peccati e ha
ricevuto l'assoluzione, tutti insieme lodano Dio per le meraviglie da lui
compiute a favore del popolo, che egli si è acquistato con il sangue del suo
Figlio> (RdP 22).
c. La prima forma, con la confessione individuale e completa, con
la relativa assoluzione, <resta
l'unico modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con
la Chiesa> (RdP 31).
Ci occuperemo dunque di
questo primo modo di celebrare la Penitenza; seguiremo lo stile indicato dalla
Costituzione liturgica (SC 48), seguendo cioè i ritus et preces: gli aspetti rubricali-rituali con i loro contenuti
espressi dalle orazioni.
1. Preparazione.
Non si deve mai accedere
ad un sacramento senza una previa preparazione, sia remota che prossima. E si
deve preparare non solo il penitente, ma anche il sacerdote: il penitente, raccomandandosi a Dio
perché perdoni i suoi peccati e confrontandosi con l'esempio e la parola di
Cristo; il sacerdote, invocando lo
Spirito Santo per averne luce e carità. Significativa, a tale proposito, è una
antica preghiera che il vescovo recitava prima di riammettere i penitenti
pubblici nella comunione della Chiesa: "Sii attento, o Signore, alle nostre suppliche; esaudiscimi, sebbene io
per primo abbia bisogno della tua indulgenza! Esaudisci colui che tu hai
stabilito ministro di quest'opera di rinnovazione, non a causa dei suoi meriti,
ma per un dono della tua grazia" (Sacramentario Gelasiano n. 377, sec.
VII).
2. Accoglienza.
Il sacerdote accoglie il
penitente con fraterna carità e lo saluta con parole affabili e cordiali (RdP
16. 41). Entrambi fanno il segno della croce; poi il sacerdote invita il
penitente alla fiducia in Dio: accostati con fiducia a Dio Padre; ti accolga
con bontà il Signore Gesù; lo Spirito Santo illumini il tuo cuore; non perderti
d'animo, abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il giusto. E'
opportuno che il penitente indichi il tempo trascorso dall'ultima confessione e
le eventuali difficoltà della sua vita cristiana.
3. Lettura della Parola di Dio.
E' la Parola di Dio che
illumina il fedele a conoscere i suoi peccati, lo chiama alla conversione e
gl'infonde fiducia nella misericordia di Dio. Anche nella celebrazione del
sacramento della Penitenza non dovrebbe mai mancare la proclamazione della
Parola di Dio: o durante la celebrazione stessa, o almeno nella fase di
preparazione al sacramento. Sarebbe opportuno che in prossimità del
confessionale i penitenti potessero trovare qualche sussidio che li aiuti alla
confessione e comprendente anche brani appropriati della Parola di Dio.
4. Confessione dei peccati e accettazione della
soddisfazione.
Prima di iniziare la
confessione si può recitare il Confesso a
Dio onnipotente o una formula simile. Quindi il penitente confessa i suoi peccati,
aiutato, se necessario, dallo stesso sacerdote. Questi rivolge al penitente i
consigli necessari per indurlo ad iniziare una vita nuova; gli ricorda che per
mezzo del sacramento della Penitenza il cristiano muore e risorge con Cristo, e
viene così rinnovato nel mistero pasquale; lo istruisce sui doveri e sugli
impegni della vita cristiana.
In rapporto ai peccati
confessati e alla loro gravità, il confessore impone al penitente la
soddisfazione, ciò l'impegno di una congrua riparazione e l'espiazione delle
colpe commesse. Non è quindi una punizione, ma piuttosto un aiuto per iniziare
una vita nuova e un rimedio ai danni procurati dal peccato. Oltre alla
preghiera in genere, la soddisfazione dovrebbe concretizzarsi in opere di
penitenza e di misericordia che siano una vera riparazione nel settore in cui
uno ha mancato e una medicina efficace che curi la malattia spirituale che
induce al peccato. La soddisfazione intesa come rinnegamento di sé, come
servizio al prossimo attraverso le opere di misericordia, serve tra l'altro a
porre meglio in luce il carattere sociale ed ecclesiale sia del peccato che
della sua remissione.
5. Preghiera del penitente e assoluzione del
sacerdote.
Con la preghiera il
penitente chiede a Dio Padre il perdono dei suoi peccati e manifesta la sua
contrizione e il proposito di una vita nuova. Questa preghiera corrisponde in
genere all'Atto di dolore, ma sarebbe
opportuno variarla anche con altre espressioni simili, di forte contenuto
biblico, che manifestino la grande misericordia del Padre che accoglie il
figlio prodigo, la bontà di Gesù che riprende sulle spalle la pecora smarrita,
la pace e l'amore dello Spirito Santo che ci permette di camminare come figli
della luce.
Dopo la preghiera del
penitente, il sacerdote pronunzia la formula di assoluzione. Durante questa
preghiera il sacerdote stende le mani sul capo del penitente: è un
significativo gesto di epiclesi, cioè
di invocazione dello Spirito Santo. Non va infatti dimenticato che non esiste
realtà sacramentale senza che vi sia una anamnesi-memoriale
del mistero della salvezza, e una epiclesi
che ottiene, nella potenza santificante dello Spirito, l'attuazione qui e ora
di questa inesauribile opera di redenzione.
Se si fa ben attenzione,
la stessa preghiera di assoluzione, con forti richiami biblici e con un
movimento tipicamente trinitario, esprime questi due momenti:
* la anamnesi-memoriale, costituita
dall'amore misericordioso del Padre e dalla sua volontà di riconciliare a sé il
mondo nella morte e risurrezione del Figlio (cf Col 1,14.20; 2 Cor 1,3; Ef 2,4;
Tit 3,5; 1 Pt 1,3);
* l'epiclesi, costituita dall' effusione dello Spirito Santo per la
remissione dei peccati (Cf 2 Ts 2,13; Zac 12,10; Ez 36,26).
Iddio Trinità, Padre,
Figlio e Spirito Santo, concede il perdono e la pace mediante il il ministero
della Chiesa (cf 2 Cor 5,18.20; Gv 20,19-23); la Chiesa infatti è stata
costituita da Cristo quale suo <universale sacramento di salvezza> (LG
48): segno e strumento dell'intima comunione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano (LG 1.9.48; AG 1; GS 45). Costituita da Cristo per una comunione
di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunta perché sia sacramento
visibile dell'unità salvifica per tutti e per i singoli; san Cipriano parla
della Chiesa come di un <inseparabile
unitatis sacramentum> (cf LG 9d).
6. Rendimento di grazie e congedo del penitente.
Ricevuta l'assoluzione,
cioè lo <scioglimento> dei peccati, il penitente riconosce e proclama la
misericordia di Dio e a lui rende grazie con una breve invocazione. In realtà
nel Rito della Penitenza (RdP 47) non è riportato alcun formulario spettante al
penitente, ma semplicemente l'invocazione del sacerdote <Lodiamo il Signore perché è buono>,
cui il penitente risponde <Eterna è la
sua misericordia>. Sarebbe opportuno utilizzare, anche per la
riconciliazione dei singoli penitenti, quanto previsto per il Rito della
riconciliazione di più penitenti (RdP 56.57) dove sono riportati 10 formule di
ringraziamento tratte per lo più dai Salmi; è indicato anche il Magnificat (Lc 1,46-55), l'inno di
Efesini 1,3-10 e di Apocalisse 15,3-4.
Quindi il sacerdote
congeda in pace il penitente con l'esortazione a camminare nella vita nuova e
piacere in tutto al Signore.
Osservazioni conclusive.
Si vuol qui attirare
l'attenzione su alcuni elementi della celebrazione del sacramento della
Penitenza che non vanno certo sottovalutati.
a. Sia una vera celebrazione. Come ogni azione liturgica, anche questa
liturgia sacramentale della Penitenza non è affatto una azione privata, ma
celebrazione della Chiesa, azione che appartiene all'intero corpo della Chiesa,
lo manifesta e lo implica (cf SC 26). E' partecipazione della liturgia celeste
verso la quale siamo incamminati come pellegrini nell'attesa della piena
comunione con tutti i Santi (SC 8; LG 49-50). E' una epifania del mistero
d'amore di Dio per i suoi figli, una azione che vive di fede e nutre la fede,
canta la speranza e suscita la speranza, celebra la carità e fa crescere nella
carità.
Per recuperare
credibilità a questo sacramento così in crisi, occorrerà decidersi a celebrarlo
con maggiore serietà. Celebrare suppone un clima di <festa>: celebriamo
infatti non le nostre piccole o grandi miserie, ma il Signore Risorto nostra
Pasqua. Celebrare significa utilizzare nella maniera ottimale tutti i segni, i
gesti, le parole previsti, senza fretta e senza scorciatoie. Celebrare
significa anzitutto dare gloria a Dio (Gv 17,1-4), ma anche edificare-deificare
il Corpo di Cristo in tempio santo di Dio nello Spirito (Ef 2,21-22; 2 Pt 1,4;
1 Gv 5,11), esprimere e manifestare con spirito missionario l'amore a Cristo e
alla Chiesa.
b. Anche il penitente celebra il sacramento.
Accostandosi a questo
salutare rimedio istituito da Cristo, nel confessare i suoi peccati il
penitente si inserisce con i suoi atti e con le sue parole nella celebrazione
di una realtà sacramentale. In tal modo il fedele, mentre fa nella sua vita
l'esperienza della misericordia di Dio e la proclama, celebra con il sacerdote
la liturgia della Chiesa in uno spirito di continua conversione e rinnovamento
(RdP 11).
Andrebbe pertanto
superato ogni atteggiamento o sentimento di ripetitività, di assuefazione, di
inevitabile noia, quasi una fastidiosa tassa da pagare al tribunale della
Chiesa. Recuperare invece il senso della gioia pasquale, della esigenza
interiore di una bagno purificatore nella misericordia di Dio, del ritorno alla
piena comunione ecclesiale nella recuperata pace e armonia con le membra del
Corpo di Cristo.
c. Tempo, luogo, vesti.
Già si è detto
dell'utilità del ricorso assiduo e frequente a questo sacramento. Il Rito della
Penitenza non indica scadenze precise; sta dunque ai singoli penitenti,
d'accordo col confessore, stabilire i ritmi del ricorso alla confessione.
Da parte dei sacerdoti
in cura d'anime c'è l'obbligo di provvedere che siano ascoltate le confessioni
dei fedeli a loro affidati, che ragionevolmente lo chiedano. "Questo è senza dubbio il più difficile,
delicato, il più faticoso ed esigente, ma anche uno dei più belli e consolanti
ministeri del sacerdote" (Reconciliatio
et paenitentia n.29).[57] Sia data ad essi l'opportunità di accostarsi
alla confessione individuale, stabiliti, per loro comodità, giorni e ore (CIC
986; RdP 10b). Non dovrebbe mancare, alla porta di chiesa, insieme agli orari
delle Messe, anche l'orario delle confessioni.
S'inculchi comunque nei
fedeli l'abitudine di accostarsi al sacramento della Penitenza fuori dalla
celebrazione della Messa, e preferibilmente in ore stabilite (RdP 13), cosicché
l'amministrazione di questo sacramento si svolga con tranquillità e con vera
loro utilità.
Nel tempo quaresimale si
organizzino a più riprese vere celebrazioni penitenziali in modo che tutti i
fedeli abbiano modo di riconciliarsi con Dio e con i fratelli e di celebrare,
rinnovati nello spirito, il triduo pasquale del Signore morto e risorto (RdP
13).
Il luogo proprio per ricevere le confessioni sacramentali è la chiesa e nella
chiesa il confessionale. A questo proposito il Codice di Diritto Canonico dice: il confessionale sia provvisto di
una grata fissa tra il penitente e il confessore, cosicché i fedeli che lo
desiderano possano liberamente servirsene (CIC 964); è un segno di rispetto per
il penitente che vuol mantenere una certa riservatezza e pertanto non dovrebbe
mai essere obbligato a confessarsi faccia a faccia, se non per sua libera
scelta.
La veste opportuna, trattandosi di un rito sacramentale, è l'abito talare o il
camice, con la stola. Anche per l'esercizio del ministero della Penitenza
valgono per il sacerdote le espressioni previsate per la celebrazione
eucaristica: "Deve servire Dio e il
popolo con dignità e umiltà, e nel modo di comportarsi e di pronunziare le
parole divine deve far sentire ai fedeli la presenza viva di Cristo"
(IGMR 61).
LA PENITENZA DEI FANCIULLI
Circa il rapporto
esistente tra fanciulli e Penitenza, abbiamo assistito in questi ultimi anni a
sperimentazioni quantomai varie e discordanti. In alcune diocesi, soprattutto
all'estero, si ammettevano i fanciulli prima alla Comunione e in un secondo
momento alla Penitenza. Una tale prassi era così giustificata: nel corso della
maturazione spirituale della persona la capacità di ricevere l'Eucaristia si
presenta fortunatamente nel fanciullo prima della capacità di compiere il
peccato mortale. Questa successione interiore, si diceva, deve manifestarsi
esteriormente nel fatto che deve esserci in primo luogo la partecipazione
positiva alla mensa eucaristica e soltanto in un secondo momento l'obbligo
della Confessione.
Come si noterà, una tale
prassi più che su motivi teologici era basata su una preoccupazione di tipo
psicologico e pedagogico; sembra anche insinuare che la Penitenza sia per i
soli peccati mortali e non anche per quelli veniali.
Nel 1977 la Sacra
Congregazione per i Sacramenti e il Culto Divino è intervenuta con una Dichiarazione nella quale si dice che
"devono cessare tutti gli
esperimenti di ricevere la prima Comunione senza essersi prima accostati al
sacramento della Penitenza".[58]
Penitenza ed Eucaristia.
Le motivazioni per cui
alla prima Comunione deve essere premessa la Confessione, anche nei fanciulli,
possono essere così espresse:
1. La preparazione alla
Confessione è un momento integrante della preparazione all'Eucaristia; senza di
essa l'Eucaristia perderebbe una dimensione essenziale. L'Eucaristia infatti
non è pensabile senza la componente della conversione, della confessione e del
perdono (cf 1 Cor 11,28-29; Mt 5,23; 8,8;
Didaché 14,1; 10,6).
Tutto questo non
significa ovviamente che ogni Comunione deve essere preceduta dalla
Confessione. Si vuol anzi ricordare che la celebrazione della Penitenza,
essendo un incontro fiducioso tra noi peccatori e il Padre misericordioso,
favorirà anche nei fanciulli sentimenti di amore e di rispetto per il loro
incontro con Gesù nella Comunione eucaristica.
L'esperienza maturata in
questi ultimi anni ha dimostrato invece che proprio diradando le Confessioni,
con la scusa di farle più sentite e meno formali, ha avuto come conseguenza di
banalizzare l'accesso alla Comunione e la perdita della necessità della
Confessione tanto che oggi molti giovani, e non solo loro, raramente si
confessano pur accedendo alla Comunione quando vanno a Messa.
2. Tutta la vita
cristiana è vita di conversione e tende verso la perfetta comunione con Cristo
e con i fratelli nell'Eucaristia, fonte e culmine dell'esperienza di fede. Per
questo la Chiesa raccomanda che, mentre si compie l'itinerario di preparazione
dei fanciulli alla Messa di prima Comunione, essi vengano anche accuratamente
preparati e ammessi alla celebrazione del sacramento della Penitenza. In questo
modo essi sperimenteranno la bontà del Signore non solo partecipando alla sua
Mensa, ma anche usufruendo della sua abbondante misericordia nel sacramento
della Penitenza. Inoltre, la conversione dal peccato e la domanda del perdono
devono essere atteggiamenti costanti anche nella vita cristiana dei fanciulli.
Pertanto, con il
raggiungimento dell'età della discrezione in cui il fanciullo incomincia a
ragionare (più o meno intorno ai 7 anni), inizia anche l'obbligo di soddisfare
al duplice precetto della Confessione e della Comunione (cf CIC 914). I
fanciulli infatti che sono capaci di ricevere l'Eucaristia con proporzionata
consapevolezza rispetto all'età, sono anche in grado di avere coscienza del
peccato e di chiederne perdono a Dio nella Confessione.
Una volta raggiunta
questa capacità di recezione, il fanciullo ha nella Chiesa il diritto di
ricevere entrambi i sacramenti; si commetterebbe un'ingiustizia e si violerebbe
anche la sua coscienza se lo si preparasse soltanto alla santa Comunione
escludendolo dalla Confessione. Non ha forse bisogno anche lui di affinare la
grazia del Battesimo, di essere sempre più intimamente unito a Cristo, di
rendersi sempre più docile alla voce dello Spirito?
Il problema, dunque, non
sta tanto sul se ammettere i fanciulli
alla Confessione, quanto piuttosto sul come
condurli su questo itinerario di conversione verso la piena comunione con
Cristo ed i fratelli che si raggiunge nella partecipazione all'Eucaristia.
La penitenza tra Battesimo ed Eucaristia.
Si tratta di trovare una
precisa collocazione al sacramento della Penitenza nel cammino di iniziazione
cristiana.
Il Battesimo è l'inizio
di un cammino che i fanciulli percorreranno confortati dall'amore di Dio. Essi
devono sapere però che la strada dei battezzati è stretta: per arrivare alla
gioia e alla pienezza della vita e prima di essere ammessi alla Cena del
Signore, essi dovranno avere il coraggio necessario di lottare contro il male
per costruire l'amore.
Nel momento in cui
anch'essi cominciano ad avvertire la difficoltà di percorrere ogni giorno la
strada dell'amore secondo il comandamento del Signore ed hanno più precisa la
consapevolezza di non essere sempre fedeli agli impegni assunti nel Battesimo,
allora è il momento di fare concretamente l'esperienza della misericordia di
Dio mediante il perdono dei peccati e la riconciliazione con lui e con i
fratelli nella Chiesa.
Il dono dello Spirito
battesimale che in noi vive e prega, ci fa anche sentire che siamo figli del
Padre e ci guida ogni giorno sulla via della carità. E' lui che difende la vita
nuova ricevuta in dono nel Battesimo sottraendola al rischio del peccato. Ed è
ancora lo Spirito che, dopo averci fatto dire <Padre nostro>, ci ricorda
che la preghiera del Signore continua dicendo <rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma
liberaci dal male>. Tra il Battesimo e l'Eucaristia deve esserci dunque
l'esperienza della misericordia di Dio, della conversione, del perdono dato e
ricevuto, della riconciliazione con Dio e con i fratelli nella Chiesa.
La Penitenza punto di arrivo.
Non si dimentichi però
che il sacramento della Penitenza è un punto di arrivo nel più vasto cammino
della riconciliazione: è il segno più alto e efficace del perdono che viene dal
Signore attraverso la sua Chiesa.
_ Sarà opportuno
iniziare i fanciulli alla Penitenza sacramentale partendo dal contesto più
ampio della vita di riconciliazione e di perdono che esiste nella comunità
ecclesiale. Si tratta di formare nei fanciulli una coscienza capace di dare e
di ricevere il perdono, di impegnarsi onestamente nel proprio dovere e nella
fatica del lavoro, nella carità e nella preghiera, nella sopportazione paziente
delle difficoltà e delle sofferenze. Già in queste azioni si può sperimentare
l'impegno di riconciliazione e di conversione oltre al desiderio di orientare
la propria vita alla luce del Vangelo.
- Poiché la
riconciliazione è dono pasquale del Signore ed è risposta al suo invito di
conversione, tutta la vita dei fanciulli deve essere caratterizzata da un
cammino costante e fiducioso incontro al Signore Risorto. Un tale cammino
suppone la fiducia in Dio, un ambiente di comprensione e di perdono. Anche per
loro è doloroso e umiliante riconoscere di non saper fare tutto il bene che
vorrebbero; ma già nell'atteggiamento comprensivo e nel perdono dei genitori, i
fanciulli trovano i primi segni della misericordia di Dio, sempre pronto ad
accogliere e perdonare.
- Vanno poi valorizzati nel corso dell'anno quei tempi che hanno
per la Chiesa un richiamo più vivo a far penitenza: il venerdì, le vigilie
delle grandi feste, la Quaresima, la settimana santa. Sono tempi nei quali i
fanciulli devono essere iniziati ad una viva comunione con Gesù che si fa
solidale con la miseria umana per ridare ad ogni uomo la pienezza della dignità
battesimale.
- Ai fanciulli va anche
fatto capire che la conversione dal peccato e la domanda di perdono non sono
momenti saltuari nella vita cristiana, ma piuttosto un atteggiamento
permanente. Vanno perciò valorizzati nella
giornata i momenti più adatti per esprimere il sentimento di non amare
abbastanza il Signore e di ricevere il dono della sua pace: un impegno portato
a termine con sacrificio, l'aiuto generoso e disinteressato dato a chi ha
bisogno, un più abbondante impegno nella preghiera, la capacità di esprimere il
perdono, la comprensione verso gli altri senza giudicare o condannare (cf Lc
6,36), saper donare una parola, un sorriso, un abbraccio, una promessa fatta
con sincerità, saper ristabilire l'amicizia e la pace in famiglia e con gli
amici.
- Valorizzare gli
elementi penitenziali della Messa: l'acqua benedetta entrando in chiesa, quale
segno del ritorno alla purezza battesimale; l'atto penitenziale per essere
ammessi a celebrare degnamente i santi misteri; il Padre nostro con la
richiesta di essere perdonati e l'impegno a perdonare; lo scambio della pace
che ci impegna a riconoscere Cristo presente non solo nel segno umile del pane
consacrato, ma anche nel segno altrettanto umile del prossimo che ci sta accanto.
- Sono inoltre
<utilissime per la conversione e la purificazione del cuore>, le
celebrazioni penitenziali <per educare
i fanciulli a formarsi a poco a poco la coscienza del peccato e della sua
liberazione per mezzo di Cristo> (Rito
della Penitenza n.37). Lo stesso Rito della Penitenza propone una
celebrazione penitenziale adatta per i fanciulli (RdP pp.141-143).
Al termine di questa
graduale e globale maturazione penitenziale, fatta di gesti, di tempi, di
celebrazioni, i fanciulli sapranno più facilmente riconoscere, nel sacramento
della Penitenza, la presenza del Signore risorto che porta gioia e
riconciliazione, come un giorno nella casa di Zaccheo, oppure come il buon
Samaritano che va incontro agli uomini per curare in essi le ferite del peccato
e per arricchirli del suo Spirito di verità.
Riconosciamo i nostri peccati.
Alla riflessione sulla
misericordia di Dio e sul perdono è doveroso far seguire quella sul peccato.
Alcuni educatori sorvolano questo argomento scusandosi col dire che i fanciulli
non sono ancora in grado di commettere peccati e che parlare di peccato a
questa età può creare traumi ingiustificati nella mente del fanciullo. E'
chiaro che l'argomento è delicato e va affrontato con molta accortezza:
l'angoscia non è una dimensione del Vangelo. Non si può però del tutto
escludere che anche nella coscienza del fanciullo il Padre apre un dialogo
misterioso che, secondo tempi e misure che lui solo conosce, può essere accolto
o rifiutato. La questione, anche in questo caso, non è tanto se parlare del peccato, quanto piuttosto
sul come parlarne. Importante è
educare i fanciulli all'amore e al timore di Dio, al rinnovato proposito di
fedeltà, alla delicatezza della coscienza, ad atteggiamenti di fiducia. La
legge del Signore deve essere accolta come un giogo soave (Mt 11,30), in modo
da evitare due eccessi: da una parte la paura con sentimenti di scoraggiamento
o di ansietà, dall'altra un lassismo morale per cui tutto è permesso. Che la
Confessione diventi più tardi o uno spauracchio o un luogo di speranza, dipende
in massima parte da come essa è stata sperimentata da fanciulli.
La realtà del peccato,
sia pure a diversi livelli rapportati alla loro crescita, rientra
nell'esperienza concreta dei fanciulli. Man mano che acquistano coscienza
concreta del Battesimo possono essere anche in grado di cogliere tutti quegli
elementi che sono in contradizione con questo impegno di fedeltà. Se il
Battesimo è liberazione dal peccato, se è vocazione ad essere figli di Dio
nella Chiesa, se è abitazione in noi di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, si
chiamerà peccato ogni rifiuto o mancanza d'amore, ogni azione o pensiero o
omissione che offende questo rapporto d'amore con Dio e col prossimo.
Pertanto il fanciullo
deve essere educato ad affinare i propri sentimenti di amore e di fedeltà a Dio
e al prossimo, mediante la ricerca sincera del perdono e della riconciliazione.
Il perdono dei peccati per lui potrà significare: essere meno pigro nel pregare
o nell'andare a Messa la domenica; recuperare la fiducia dei genitori o dei
maestri; ritornare in piena amicizia con gli amici; essere sincero e mantenere
le promesse; rispettare le persone, specialmente i più deboli e bisognosi.
La possibilità di
accedere al perdono di Dio prima ancora dell'insorgere di gravi pericoli o
turbamenti della coscienza, libera dall'angoscia del peccato o da eventuali
forme di superficialità, e fa sperimentare tutta la gioia di essere cristiani e
di fare la Confessione in una atmosfera di fiducia e di bontà senza timore.
Se un catechista e un
educatore saprà compiere con umiltà e semplicità questa formazione alla
Penitenza come parte integrante del cammino verso la santa Comunione, non solo
non sarà compromessa la gioia dell'unione col Signore ma sarà piuttosto
approfondita perché susciterà anche nell'animo dei fanciulli quella necessaria
vigilanza che li porta ad accedere alla mensa del Signore consapevoli di
esservi invitati a patto di portare la veste nuziale richiesta (Mt 22,12).
Qualche suggerimento.
Non mancano certo
problemi legati alla prassi penitenziale dei fanciulli. Vediamone alcuni:
- La frequenza alla confessione. Anche per i fanciulli può valere
l'indicazione fornita dal Rito della Penitenza che dice: è molto utile il
ricorso assiduo e frequente a questo sacramento; non si tratta infatti si una
semplice ripetizione rituale né di una sorta di esercizio psicologico; è invece
un costante e rinnovato impegno di affinare la grazia del Battesimo e a
rendersi sempre più docili alla voce dello Spirito (RdP 7b);
- Preferire la celebrazione comunitaria. Dovrebbe essere la forma
preferita, almeno inizialmente, con l'intento di aiutare i fanciulli a
celebrare poi il sacramento anche nella forma individuale. L'opportunità e i
vantaggi di questa forma di celebrazione stanno nel fatto che i fanciulli sono
facilitati nella comprensione della Confessione come un incontro di pace con
Gesù e una riconciliazione con i fratelli e quindi possono recepire più
chiaramente la natura ecclesiale della Penitenza; è anche reso più esplicito
l'aiuto vicendevole che essi si danno con la preghiera; tutti insieme possono
lodare Dio per le meraviglie da lui compiute a favore del popolo che egli si è
acquistato con il sangue del Figlio suo; è più facile infine creare quel clima
di gioia e di festa attorno al sacramento del perdono evitando possibili forme
di angoscia che sarebbero dannose per la crescita spirituale del fanciullo.
Le celebrazioni
comunitarie della Penitenza con i fanciulli possono essere così articolate: un
canto iniziale per lodare la bontà del Signore e la grandezza della sua
misericordia; il saluto affabile e
cordiale del sacerdote; l'invocazione
dello Spirito Santo che apra alla conoscenza dell'amore di Dio e dei nostri
peccati; lettura della Parola di Dio
seguita da una appropriata omelia che
avvii anche all'esame di coscienza;
recita o canto del Padre nostro;
segue la confessione individuale,
avendo accortezza di invitare un numero sufficiente di confessori; l'impegno di preghiera e di carità quale
segno di riconoscenza e di riparazione; il rendimento
di grazie al Signore per l'amore grande con cui ci ha amati, per il perdono
che ci ha concesso; il congedo con
l'augurio di camminare nella vita nuova restaurata e rafforzata dal sacramento
della Penitenza; un canto finale che
esprima la gioia di tornare sereni alle proprie occupazioni con la certezza che
le nostre giornate saranno ancor più gradite al Signore.
- Mandare i fanciulli a confessarsi? Certamente i genitori devono ricordare ai loro
figli questa esigenza della vita cristiana; tuttavia, quanto sarebbe più
opportuno che i genitori stessi ed i catechisti accompagnassero i fanciulli per
celebrare con loro il sacramento del perdono e della riconciliazione! Al di là
di tante parole conta, per i fanciulli in particolare, l'esempio degli adulti e
dei familiari.
Se, crescendo, questi
fanciulli porteranno con sé un ricordo sereno e grato del sacramento della
Penitenza, continueranno certamente a celebrare questo incontro privilegiato
con la misericordia di Dio anche da adulti; altrimenti entreranno tra il
numero, purtroppo numeroso, di coloro che cessano di confessarsi perché non
hanno mai sperimentato che cosa significhi far ritorno al Padre che per primo
ci ha amati, a Cristo che per noi a dato se stesso, e allo Spirito Santo che in
abbondanza è stato effuso su di noi.
L'UNZIONE DEGLI INFERMI
Se è vero che con i
sacramenti dell'iniziazione cristiana noi riceviamo la vita nuova in Cristo, è
altrettanto vero che questo tesoro noi lo portiamo in vasi d'argilla (2 Cor 4,7); e pur destinati alla lode della sua
gloria (Ef 1,12.14) in una dimora eterna nei cieli (2 Cor 5,1; Col 3,1-4), noi
siamo ancora pellegrini e come stranieri su questa terra (1 Pt 1,17), soggetti
alla sofferenza, alla malattia e alla morte. Colui però che si è fatto per noi
"medico della carne e dello spirito"[59], ha voluto che nella sua Chiesa fosse continuata
l'opera da lui iniziata quando rimise i peccati al paralitico e gli rese la
salute del corpo. Tutto questo la Chiesa lo compie con i due sacramenti
medicinali: la Penitenza e l'Unzione dei malati.
Prendendosi dunque cura
degli infermi, la Chiesa intende prestare servizio a Cristo stesso nelle membra
sofferenti del suo Corpo mistico, e seguendo l'esempio del Signore Gesù, che
"passò beneficando e sanando tutti"
(At 10,38), obbedisce al suo comando di aver cura dei malati (Mc 16,18).
La Chiesa dimostra
questa sollecitudine non solo visitando i malati, ma anche confortandoli con il
sacramento dell' unzione, sostenendoli sia dirante la malattia che in pericolo
di morte con il sacramento dell'Eucaristia, e raccomandandoli con le sue
preghiere a Dio specialmente negli ultimi istanti della loro vita.
La riforma liturgica
voluta dal Vaticano II, parlando della revisione dei riti sacramentali, aveva
detto che "Nel corso dei secoli si
sono introdotti alcuni elementi che oggi ne rendono meno chiari la natura e il
fine; è perciò necessario compiere in essi alcuni adattamenti alle esigenze del
nostro tempo" (SC 62).
Allo scopo di rendere
più evidente e più chiaro il significato del sacramento dell' unzione degli
infermi, la Costituzione sulla liturgia offriva tre indicazioni:
* quella che fino ad ora
era chiamata estrema unzione, doveva
essere meglio specificata col nome di unzione
degli infermi: non è infatti il sacramento di coloro soltanto che sono in
fin di vita, ma è opportuno riceverlo già quando il fedele è indebolito
fisicamente o per vecchiaia (SC 73);
* oltre i riti distinti
dell'unzione degli infermi e del viatico, si componga anche un rito continuato nel quale l'unzione sia
conferita al malato dopo la confessione e prima del viatico (SC 74);
* il numero delle
unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni, e le orazioni che
accompagnano il rito dell'unzione degli infermi siano adattate in modo da
rispondere alle diverse condizioni dei malati che ricevono il sacramento (SC
75).
Paolo VI, il 30 novembre
1972, con la Costituzione apostolica Sacram
unctionem infirmorum stabiliva la nuova formula sacramentale dell'unzione e
approvava il nuovo Rito.
Testimonianza della Scrittura.
La sacra unzione degli
infermi, come professa e insegna la Chiesa cattolica, è uno dei sette
sacramenti del Nuovo Testamento, istituito da Cristo nostro Signore. Secondo le
indicazioni del Concilio di Trento, il sacramento dell'unzione:
* è adombrato nel Vangelo di Marco 6,13: "(I Dodici) scacciavano molti demoni, ungevano di olio
molti infermi e li guarivano"; lo stesso Signore Risorto, nel mandato
apostolico conferito ai discepoli, dice: "...nel mio nome scacceranno i demoni...imporrano le mani ai malati e
questi guariranno" (Mc 16,18); Marco vede nell'unzione e
nell'imposizione delle mani un segno messianico: Dio stesso, in Gesù, libera
l'uomo da tutti i mali, sia quelli dell'anima (peccati) che quelli del corpo
(malattie). E' dunque lo stesso Cristo che dice ai suoi discepoli "Guarite i malati!" (Mt 10,8)
* è raccomandato ai fedeli e promulgato
da Giacomo, apostolo e fratello del Signore: "Chi è malato chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui
dopo averlo unto con olio nel nome del Signore; e la preghiera fatta con fede
salverà il malato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno
perdonati" (Gc 5,14-15); Giacomo intende qui una situazione seria di
malattia per la quale non è sufficiente la preghiera personale (cf 5,13a), ma
occorre una intercessione speciale affidata ai presbiteri della comunità; già
la tradizione veterotestamentaria aveva visto nell'unzione con l'olio un segno
di vita e di letizia (cf Is 1,6; 61;1-3; Lev 14,10-32); ungere un malato "nel nome del Signore" significa
affidarlo alla potenza del Signore-Kyrios
presente e salvante nella sua Chiesa, renderlo partecipe della sua vittoria sul
peccato e sulla morte; tale unzione "salverà (sósei) il malato" perché il Signore gli concederà la forza
necessaria per dominare spiritualmente la situazione di malattia; "il
Signore lo rialzerà (egherei)"
indicando così non solo il sollievo nel fisico ma anche il conforto nello
spirito dal momento che Cristo si rivolge al malato nell'integrità del suo
essere umano.
Testimonianza della tradizione.
Testimonianze relative
all' unzione degli infermi si trovano fin dai tempi antichi nella tradizione
della Chiesa, segnatamente in quella liturgica, sia in Oriente che in
Occidente. Sono da ricordare in proposito la lettera scritta dal pontefice
Innocenzo I (402-417) a Decenzio, vescovo di Gubbio, e il testo della veneranda
preghiera usata per benedire l'olio degli infermi: "Effondi, o Signore, il tuo Spirito Santo Paraclito", la quale
fu inserita nella Prece eucaristica ed è tuttora conservata nel Pontificale
Romano.[60]
Negli antichi rituali si
trova una formula unica per le unzioni, il cui numero e la posizione non sono
chiaramente determinati; si ungeva in particolare la parte malata del corpo
perché scomparissero tutti i dolori e le infermità e, recuperata la forza e la
salute, il malato potesse ritrovare florida la precedente salute. In questa
epoca (VIII-X secolo) non compariva alcuna imposizione delle mani; in compenso
erano ben equilibrati gli effetti sia corporali che spirituali del sacramento:
con la grazia dello Spirito Santo guarisci le infermità di questo malato,
risana le sue ferite, perdona i suoi peccati, allontana da lui tutte le
sofferenze dell'anima e del corpo e restituiscigli misericordiosamente la
salute spirituale e corporale, perché risanato ritorni al consueto lavoro.
Con il passare dei
secoli, nella tradizione liturgica furono più esattamente precisate, anche se
in vario modo, le parti del corpo dell'infermo che dovevano essere unte con
l'olio santo, e furono aggiunte più formule per accompagnare con la preghiera
le unzioni: queste formule sono appunto contenute nei libri rituali delle varie
Chiese.
Durante il Medioevo,
nella Chiesa Romana invalse la consuetudine di ungere gli infermi nelle sedi
degli organi di senso, con l'uso di questa formula: "Per questa santa unzione e la sua piissima misericordia, ti perdoni il
Signore ogni peccato commesso con..", formula che veniva adattata a
ciascuno dei sensi.
In seguito prese sempre
più consistenza l'effetto spirituale dell'unzione, concepita come un "esorcismo": lo spirito impuro non
si nasconda in te, né nelle tue membra (Pontificale del secolo XII). Il suo
conferimento è spostato sempre più in
extremis, divenendo così l'estrema
unzione da dare a coloro che stanno per lasciare questo mondo; è il perdono
finale dato dalla Chiesa ai moribondi e quindi non reiterabile.[61]
Nel Concilio di Firenze
(1439-1445) vengono precisati gli elementi essenziali dell'unzione: si deve
dare a coloro che sono in pericolo di morte; si ungono i cinque sensi; ministro
è il solo sacerdote; gli effetti sono prevalentemente spirituali (anche
corporali, se ciò serve al bene spirituale).
Nel Concilio di Trento
(1545-1563) fu proclamata la divina istituzione del sacramento dell'unzione;
per quanto riguarda soprattutto la realtà e l'effetto del sacramento si parlò
di malattia grave e fu considerato come il sacramento exeuntium, di coloro cioè che sono in fin di vita e stanno per
partire per la vita eterna; dona la grazia dello Spirito Santo in vista della
purificazione delle colpe che devono ancora essere espiate; solleva l'anima del
malato e lo conferma nella fiducia in Dio per meglio sopportare le sofferenze e
le tentazioni del demonio;[62] talvolta ottiene ottiene la salute corporale
quando ciò convenga alla salute dell'anima.
Con il Concilio Vaticano
II, come si è visto, si opera un sostanziale recupero della visione
neotestamentaria e patristica del sacramento:
* non si dovrà più
chiamare "estrema unzione", ma "unzione dei malati";
* non è il sacramento
soltanto di coloro che si trovano in estremo pericolo di vita, ma si può dare
già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia ad essere in
difficoltà (SC 73);
* si recupera anche la
dimensione pasquale, come ben afferma
la Costituzione dogmatica Lumen gentium:
"Con la sacra unzione degli infermi
e con la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al
Signore sofferente e glorificato, perché rechi loro sollievo e li salvi, anzi
li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo (Cf Rm
8,17; Col 1,24; 2 Tm 2,11.12; 1 Pt 4,13), per contribuire così al bene del
popolo di Dio" (LG 11);
* si mira alla salute di
tutta la persona con le sue esigenze sia spirituali che materiali, chiedendo al
Signore il conforto nello spirito e il sollievo nel fisico;
* è affermato il valore
santificante della malattia, dal momento che dobbiamo essere sempre pronti a
completare nella nostra carne quello che ancora manca ai patimenti di Cristo
per la salvezza del mondo (Col 1,24);
* è messa in risalto la
dimensione ecclesiale del sacramento perché anche i malati hanno nella Chiesa
una missione da compiere e una testimonianza da offrire: quella di rammentare a
chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi da tener presenti, e che
solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo può redimere e salvare
questa nostra vita mortale.
Il nuovo rito
dell'unzione può essere visto come una consacrazione che, nel dono dello
Spirito, configura il malato alla Pasqua del Signore morto e risorto e alla sua
testimonianza (martyrìa) di amore al
Padre nel momento della sofferenza e della morte.
Al fine di meglio
esprimere la natura e gli effetti del sacramento, Paolo VI ha ritenuto
opportuno modificare la stessa formula sacramentale tenendo presenti le parole
dell'Apostolo Giacomo; non si fa menzione dei cinque sensi né si dà valore di
esorcismo all'unzione. Ungendo piuttosto la fronte, sede del pensiero, e le
mani, sede dell'azione, cioè tutta la persona, si chiede che "Per questa santa unzione e la sua piissima
misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. E,
liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi".
In questo modo, nei
sacramenti medicinali della Chiesa, Dio continua a visitare il suo popolo (Lc
7,16), a prendere su di sé le nostre infermità e ad addossarsi le nostre
malattie (Mt 8,17; cf Is 53,4); ricorda infine a ciascuno di noi che è Cristo
stesso che noi curiamo quando "Io
ero malato e voi mi avete visitato" (Mt 25,36).
LA CURA PASTORALE DEGLI INFERMI
Situazione pastorale.
La pastorale del
sacramento dell'unzione sembra essere ancora oggi quella più precaria, più
stanca e più rassegnata, rispetto agli altri sacramenti. In genere tutta la
pastorale della sofferenza risulta discontinua, frammentaria, provvisoria.
Tutto questo per una varietà di cause:
Cause socio culturali. Il fenomeno della secolarizzazione spinge
l'uomo contemporaneo, incapace di integrare nella propria vita la realtà della
sofferenza e della malattia, le respinge come tabù. In una società basata sulla
produzione e sull'efficientismo, il malato e l'anziano sono emarginati perché
considerati non produttivi. Sentendosi artefice del suo destino, l'uomo
secolarizzato ritiene sconveniente e superstizioso ricorrere ad una potenza
superiore e trascendente. Il malato stesso, sentendosi rifiutato, si richiude
in se stesso e ben volentieri i familiari accettano questo stato di cose
serrando una cortina di privatezza dietro la malattia di un familiare. In
questo contesto i sacerdoti e gli operatori pastorali sono costretti ad
un'azione privata, quasi furtiva, in fretta: è chiamato all'ultimo momento
perché faccia il suo dovere alla svelta e se ne vada.
Cause religiose e pastorali. Permane ancora una errata concezione del
sacramento: è ritenuto come segno precursore della morte. Da parte dei
famigliari si tende a chiamare il sacerdote quando il malato è già in coma e
quindi incapace di impressionarsi. Da parte degli operatori pastorali c'è
ancora molto disimpegno verso i malati e si dedica loro poco tempo; si ritiene
l'unzione un sacramento difficile e quindi ci si limita alla sola confessione e
comunione.
Orientamenti pastorali.
Per un corretto
orientamento pastorale del sacramento dell'unzione occorre collocarlo in un
contesto più ampio di evangelizzazione: chiarire il problema della malattia e
il suo significato nel mistero della salvezza; chiarire il rapporto tra
malattia e peccato; chiarire il significato cristiano della sofferenza.
Il problema del dolore.
San paolo ha osato scrivere ai Corinzi:
"Io provo diletto...nelle necessità,
nelle angustie" (2 Cor 12,10) e l'autore della lettera agli Ebrei
scrive di Cristo "Invece della gioia
che gli era proposta, tollerò una croce". Nonostante queste
affermazioni, una cosa è certa: "Il
problema del dolore e della malattia è sempre stato uno dei più angosciosi per
la coscienza umana"[63].
Di questa realtà che
cosa conosciamo?
* che esiste: gli uomini gridano a Dio che li liberi dal dolore
(Esodo 3,7: Ho osservato la miseria del
mio popolo e ho udito il suo grido...conosco infatti le sue sofferenze); lo
stesso Gesù ha emesso "forte gemito
e lacrime" dinanzi alla morte ed imparò l'obbedienza dalla cose che
patì (Ebrei 5,7-8);
* che non dovrebbe esistere: pur riconoscendo che la vita è breve, ma
i tormenti sono tanti (Giobbe 4,1), tuttavia l'uomo non vi si può rassegnare e
prega Dio che lo liberi da tale stato (Salmo 107,19); al tempo del Messia non
vi sarà più malattia e dolore (Is 53,4s).
* perché esiste? Per i pagani è causata dalle liti tra gli dèi; la loro
risposta è questa: Non c'è Dio (Salmo 14,1); oppure, come la moglie di Giobbe:
"Maledici Dio!" (Gb 2,9). Per Israele, nonostante la triste
esperienza dell'esilio, la sofferenza non dipende dalla sconfitta del Signore
da parte delle potenze del male, dal momento che Dio è padrone anche di esse e
gestisce ogni disgrazia (Amos 3,6); Dio è buono, opera per la salvezza e per la
vita; egli è il Creatore di tutte le cose e tutte sussistono in lui (Ger 10,10;
23,26; Dt 5,26.36).
* un primo tentativo di risposta. La presenza del male,
dell'ingiustizia, della morte, sembrano smentire il disegno buono di Dio
sull'uomo; l'esperienza del Dio vivente non risolve l'oscurità di questa
contradizione. Dinanzi a questo scontro, l'uomo della Bibbia dice: sofferenza,
fatica, morte...non fanno parte del disegno originale di Dio; Egli opera per un
disegno di vita, è il Dio dell'alleanza; la malattia e la morte sono il segno
visibile di un disagio che, come un corpo estraneo, si è introdotto nel
progetto sapiente di Dio: "Sì, Dio
ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece ad immagine della propria natura.
Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza
coloro che gli appartengono" (Sapienza 2,23-24).
Che i malvagi facciano
esperienza della malattia è dunque ben giusto, ma perché allora anche gli
onesti soffrono? Anzi, secondo il Salmo 73 (72), sono proprio i giusti a
soffrire di più mentre i malvagi ammassano ricchezze. Che fare allora? "Riflettevo per comprendere: ma fu arduo agli
occhi miei" (Sal 73,16). Una risposta c'è, ed il salmista la indica:
"Quando si agitava il mio cuore e
nell'intimo mi tormentavo, io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come
una bestia...Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio
cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre...Nel Signore Dio è il mio rifugio"
(Sal 73,21-22. 26.28).
Il libro di Giobbe
indica anche una soluzione alla sofferenza del giusto, dando una risposta di
fede: "Se accettiamo il bene da Dio,
perché non dovremo accettare anche il male?" (Gb 2,10); "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia
benedetto il nome del Signore" (Gb 1,21); la sofferenza è vista come
una "prova", un saggiare e un purificare la fede dell'uomo; rivela se
l'uomo cerca Dio oppure se stesso; non è un gesto di ostilità da parte di Dio,
ma un segno della sua libertà imperscrutabile; non smentisce l'amore di Dio, ma
ne rivela il mistero e la scoperta di questo mistero, come la sua accettazione,
sono parte essenziale dell'atteggiamento di fede; dice Giobbe :"Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei
occhi ti vedono" (Gb 42,5). La sofferenza, da "prova"
diventa "rivelazione": è un segno da leggere per purificare la nostra
conoscenza di Dio. Il male è, Dio è; la loro coesistenza è un mistero, ma chi
vuol evitare questo mistero corre verso l'assurdo: gli resterà la scelta o
della negazione del male o della negazione di Dio.
Malattia e peccato.
Della malattia e della
sofferenza "Anche i cristiani ne
conoscono la portata e ne avvertono la complessità, ma illuminati e sorretti
dalla fede, hanno modo di penetrare più a fondo il mistero del dolore e
sopportarlo con più virile fortezza. Sanno infatti dalle parole di Cristo quale
sia il significato e quale il valore della sofferenza per la salvezza propria e
del mondo, e come nella malattia Cristo stesso sia loro accanto e li ami, lui
che nella sua vita mortale tante volte si recò a visitare i malati e li guarì"
(OUI 1).
Già i Profeti avevano
annunciato che nel tempo del Messia Dio avrebbe fatto scomparire la malattia e
la morte (Is 35,5-6; Mal 4,1-3). Gesù si pone dinanzi alla malattia come un
male da togliere; gran parte della sua attività la dedica alle guarigioni per
significare che il Regno di Dio è già qui, che la vittoria dell'amore di Dio
sul peccato e sulle sue conseguenze è già iniziata. Si rifiuta di accettare la
teologia rabbinica secondo cui la malattia è l'effetto diretto del peccato; in
occasione della guarigione del cieco nato dirà che "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si
manifestassero in lui le opere di Dio" (Gv 9,3; cf 11,5). Gesù ha
guarito i malati, ma non tutti i malati; di fatto la malattia resta; ciò
significa che essa non contraddice ai valori del Regno, anzi ha un valore
salvifico e redentivo. Ne parla esplicitamente in occasione della risurrezione
dell'amico Lazzaro. Gesù amava questo suo amico, eppure lo lascia morire. Segno
della impotenza di Gesù o della sua punizione? No. "E' per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga
glorificato" (Gv 11,4). A questo proposito Gesù richiede a Marta e a
Maria un atto di fede: confessare la propria incapacità a salvarsi e proclamare
che la salvezza viene da Dio per mezzo di Colui che il Padre ha costituito
Risurrezione e Vita (Gv 11,25). Una salvezza promessa soprattutto agli emarginati
e agli esclusi. Assume egli stesso la condizione del Servo che toglie via il
peccato del mondo (Gv 1,29) e si assume le nostre infermità e si addossa le
nostre malattie (Mt 8,16-17).
Soffrendo egli stesso
nella sua passione pene e tormenti di ogni genere, fece suoi i dolori di tutti
gli uomini: portava così a compimento quanto aveva scritto di lui il profeta
Isaia (Is 53,4-5); anzi è ancora lui, il Cristo, che soffre in noi, sue membra,
allorché siamo colpiti e oppressi da dolori e da prove: prove e dolori di breve
durata e di lieve entità, se si confrontano con la quantità eterna di gloria
che ci procurano (2 Cor 4,17). Indica ai suoi discepoli che ogni volta che
ameranno, serviranno i poveri e gli ammalati, sarà a lui stesso che presteranno
un tale servizio (Mt 25,36-38).
Nessun rapporto dunque
tra malattia e peccato? "Non si può
negare che ci sia uno stretto rapporto tra la malattia e la condizione di
peccato in cui si trova l'uomo; ma sarebbe un errore il considerare la malattia
stessa, almeno in linea generale, come un castigo di peccati personali (cf Gv
9,3)" (OUI 2).
Nella cura pastorale dei
malati si dovrà tenere nella massima considerazione che:
* il malato non è un
segnato, un punito da Dio;
* il malato non è solo e
abbandonato: Cristo è con lui, avendo fatto suoi i dolori di tutti gli uomini;
* il malato non è un
fallito: Cristo ha integrato la sofferenza nell'ordine della redenzione e l'ha
trasformata in strumento di salvezza;
* il malato non è
inutile: inserito nella Pasqua di Cristo, completa nella sua carne quello che
manca alla passione di Cristo (Col 1,24).
Rientra dunque nel piano
stesso di Dio e della sua provvidenza che l'uomo lotti con tutte le sue forse
contro la malattia in tutte le sue forme, e si adoperi in ogni modo per conservarsi
in salute: la salute infatti, questo grande bene, consente a chi la possiede di
svolgere il suo compito nella società e nella Chiesa. Ma si deve anche essere
pronti a completare nella nostra carne quello che ancora manca ai patimenti di
Cristo per la salvezza del mondo, nell'attesa che tutta la creazione,
finalmente liberata, partecipi alla gloria dei figli di Dio (cf Col 1,24; Rm
8,19-21).
Non solo, ma i malati
hanno nella Chiesa una missione da compiere e una testimonianza da offrire:
quella di rammentare a chi è in salute che ci sono beni essenziali e duraturi
da tener presenti, e che solo il mistero della morte e risurrezione di Cristo
può redimere e salvare questa nostra vita mortale (OUI 3).
Lotta contro la malattia.
Il malato deve lottare
contro la malattia: ma non lui soltanto. Anche i medici, anche tutti coloro che
sono addetti al servizio degli infermi, non devono tralasciare nulla di quanto
può essere fatto, tentato, sperimentato per recar sollievo al corpo e allo
spirito di chi soffre; così facendo mettono in pratica quelle parole del
vangelo in cui Cristo raccomanda di visitare i malati; ma riferendosi al
malato, Cristo intende l'uomo nell'integralità del suo essere umano: chi quindi
visita il malato, deve recargli sollievo
nel fisico e conforto nello spirito
(OUI 4).
IL
MATRIMONIO:
SEGNO
DELL'AMORE TRA CRISTO E LA CHIESA.
Tra i sette sacramenti
della Chiesa ve ne sono due destinati al servizio e alla comunione:
conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all'edificazione
del popolo di Dio; sono il sacramento dell'Ordine, destinato alla
santificazione del popolo di Dio, e il sacramento del Matrimonio, destinato
alla santificazione dell'unione sponsale tra l'uomo e la donna.
Il disegno di Dio creatore.
Il matrimonio non è
un'istituzione puramente umana; si può ben
dire che Dio stesso è l'autore del matrimonio (Gaudium et spes 48) dal momento che fin dalla creazione l'intima
comunione di vita e di amore coniugale tra l'uomo e la donna sono strutturate
con leggi proprie mediante un vincolo indefettibile ben superiore perfino ai
più sacri legami del sangue (Gen 2,24). La loro relazione d'amore fa di essi
"una sola carne" (Gen 2,24); perciò questo vincolo sacro non dipende
dall'arbitrio umano, ma dall'autore del matrimonio, che lo volle dotato di
molteplici beni e fini. Gesù stesso ricorderà che "fin da principio"
(Mt 19,6) l'amore dell'uomo e della donna è benedetto da Dio come una realtà
"molto buona" (Gen 1,31) destinata alla missione di crescere, di moltiplicarsi
e di dominare la terra. Dopo averli creati a sua immagine e somiglianza (Gen
1,27), il Dio Amore li associa a sé come "pro-creatori" di ogni nuovo
essere umano.
L'Antico Testamento farà
ricorso più volte all'immagine sponsale tra l'uomo e la donna per rappresentare
il vincolo di Alleanza che unisce Dio al suo popolo (cf Osea 2,18; Geremia
2,32). Questo vincolo, purtroppo, non sempre è fedele all'ideale stabilito dal
Creatore; esso è minacciato dallo spirito di dominio, dalla gelosia,
dall'infedeltà, dalla divisione. Lo scisma da Dio procura inevitabilmente la
rottura con se stessi, col prossimo, col mondo. Il peccato introduce un
disordine nella capacità di amare e nel modo di esprimere l'amore.
Ebbene, anche questa
esperienza del limite serve ai Profeti per far percepire l'aspetto più
misterioso dell'amore di Dio: Egli è fedele nonostante tutto e il suo amore è
senza pentimento (Os 2,21-22; Deut 28,15-18). Le vere nozze saranno quelle del
tempo messianico (Ger 31,21-22.31-34).
Un mistero grande.
Le promesse dei Profeti
si avverano quando l'amore di Dio diventa visibile in Cristo; d'ora in poi non
sarà più l'esperienza matrimoniale ad illustrare l'amore di Dio per il suo
popolo, ma sarà l'amore di Cristo per la sua Sposa-Chiesa che diventerà il
modello-prototipo non solo dell'amore che lega Dio agli uomini, ma della stessa
società coniugale.
In questa nuova realtà
Gesù si presenta come lo Sposo (Lc 5,34-35; Gv 3,29), mentre la Chiesa è la
Sposa amata, purificata (Ap 22,17; Ef 5,26-27). In occasione della Pasqua
definitiva il sangue dell'Agnello diviene il testamento d'amore con cui lo
Sposo si unisce alla Sposa. I doni nuziali sono l'acqua, il sangue, lo Spirito
(1 Gv 5,5-8). Come ben hanno visto i Padri, dal costato aperto di Cristo
"nasce" la Chiesa, la Sposa del nuovo Adamo, la Sposa che il sangue
dello Sposo ha purificato per sempre (Ap 5,9; 19,7). E' questo "un mistero
grande", come afferma san Paolo (Ef 5,22-23): il matrimonio cristiano
diventa il segno-sacramento dell'alleanza tra Cristo e la Chiesa, ne significa
e ne comunica la grazia. Chi vivrà un matrimonio santo potrà in questo stesso
amore vivere il Mistero grande nuziale che lega Cristo alla Chiesa Sposa.
Già grande sul piano
della realtà creata, il patto matrimoniale tra due battezzati viene elevato da
Cristo Signore alla dignità di sacramento; viene assunto nella carità sponsale
di Cristo, sostenuto e arricchito dalla sua forza redentrice. La grazia
sacramentale del matrimonio cristiano, derivante dalla croce di Cristo,
permette agli sposi di vivere il rapporto coniugale nella nuova dimensione del
Regno di Dio. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per
il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa.
Il matrimonio dei battezzati diventa così il simbolo reale dell'alleanza nuova
ed eterna, sigillata nel sangue di Cristo. Lo Spirito, effuso dal Signore, dona
loro un cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci
ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente
ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli
sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si
dona sulla croce (Familiaris consortio
13).
Mediante questo
sacramento lo Spirito Santo fa sì che, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato
se stesso per lei, così anche i coniugi cristiani potranno mantenere e
alimentare la loro unione coniugale nell'uguale dignità, nella mutua dedizione
e con quell'amore indiviso che ha la sua sorgente nell'amore stesso di Dio.
Unendo così valori umani e divini, potranno, sia nelle gioie sia nelle prove
della vita, conservarsi vicendevolmente fedeli nel corpo e nello spirito.
Matrimonio e verginità.
Creando l'uomo per amore
e chiamandolo all'amore come vocazione fondamentale e innata, Dio resta il
primo referente nell'espressione di questo amore; il legame con lui deve
occupare il primo posto rispetto a tutti gli altri (Lc 14,26). Nella Chiesa
sono sempre coesistite due forme di partecipazione a questo amore di alleanza
nuziale tra Dio e l'uomo.
Matrimonio e verginità
sono pertanto due modi di esprimere e di vivere l'unico mistero dell'alleanza
di Dio con il suo popolo. Entrambi provengono dal Signore stesso; è Lui che dà
loro senso e concede la grazia indispensabile per viverli conformemente alla
sua volontà (Mt 19,11-12). Se non vi fosse la stima per il matrimonio non
avrebbe senso rinunciarvi per il regno dei cieli. La stima della verginità per
il Regno e il senso cristiano del matrimonio sono inseparabili e si favoriscono
reciprocamente.
Fin dall'inizio della
Chiesa vi sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del
matrimonio per imitare più da vicino Cristo in questo genere di vita (Mt
19,12), per seguire "l'Agnello dovunque va" (Ap 14,4), per preoccuparsi
delle cose del Signore e cercare di piacergli (1 Cor 7,32), per andare incontro
allo Sposo che viene (Mt 25,6).
Il carisma della
verginità permette alla persona di donarsi integralmente a Cristo e alla Chiesa
in attesa delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa. La persona vergine
anticipa così nella sua carne il mondo nuovo della risurrezione futura quando
non si prenderà moglie né marito, ma si sarà come gli angeli nel cielo (Mt
22,30). La verginità è anche un segno che ricorda come il matrimonio è una
realtà del mondo presente che passa (Mc 12,25; 1 Cor 7,31).
I riti nuziali
Nel bacino del
mediterraneo gli usi civili matrimoniali sono stati pressoché identici: un rito
di fidanzamento basato sullo scambio
delle promesse (Spondeo, cioè "prometto",
da cui la parola "sposi") e dal dono dell'anelo alla ragazza; un rito
matrimoniale in tre tempi:
l'imposizione del velo (nubere,
velare, da cui la parola "nozze"), lo scambio dei consensi e la
lettura del contratto alla presenza di testimoni, il congiungimento della mano
destra. La parte costitutiva del rito nuziale era lo scambio dei consensi, come
afferma il Digesto di Giustiniano (a. 528): "Le nozze sono fatte non dallo stare a letto, ma dal consenso".
La tradizione cristiana
accettò questi usi tradizionali, purificandoli degli elementi idolatrici. Con
il IV secolo ha inizio un nucleo essenziale di rito liturgico. Di preferenza ci
si sposava dinanzi al vescovo "perché il matrimonio sia secondo il Signore
e non secondo la passione" (s. Ignazio di Antiochia); secondo il Signore
stava a significare che i battezzati si uniscono nel Cristo e la loro unione
diventa partecipazione di quella di Cristo con la Chiesa. Le mani si
congiungono sui Vangeli ed è interdetta ogni forma di divorzio. Si impone il velo
alla sposa, entrambi ricevono una corona di fiori, si firma l'atto di
matrimonio. Più tardi l'imposizione del velo fu accompagnata da una preghiera
di benedizione: creati per amore, l'uomo e la donna, della medesima natura,
esprimono nel matrimonio una misteriosa complementarietà fondata sull'unità
indissolubile; la benedizione chiede, come dono speciale di Dio, la fecondità.
E' utile ricordare che
nello stesso periodo anche la consacrazione delle vergini avveniva con
l'imposizione del velo: entrambe le benedizioni sottolineano la partecipazione
al legame che unisce Cristo alla Chiesa. La distinzione sta in questo: mentre
il matrimonio rimane nell'ordine del segno, la verginità consacrata è
partecipazione alla realtà stessa di cui il matrimonio è segno.
Verso il secolo X, in
epoca di grande crisi anche per la famiglia, la Chiesa volle proteggere la
libertà di consenso della sposa e reprimere gli abusi di ripudio, dando forma
solenne alla scambio dei consensi "davanti alla porta della Chiesa" (e
non più nella casa della fidanzata). Gli sposi partecipavano poi alla liturgia
eucaristica facendo la comunione sotto le due specie.
Il Vaticano II ha voluto
che il rito del matrimonio fosse riveduto e arricchito in modo che più
chiaramente venga significata la grazia del Sacramento e vengano inculcati i
doveri dei coniugi (SC 77). Il nuovo rituale del matrimonio, il primo della
riforma liturgica, è stato pubblicato nel 1969 (la seconda edizione nel 1990).
La liturgia nuziale sta
a significare che quanti si sposano in Cristo hanno la forza di partecipare,
nella fede della Parola di Dio, al mistero dell'unione di Cristo e della
Chiesa, di viverlo religiosamente e di renderne pubblica testimonianza davanti
a tutti. Il matrimonio, alla luce della fede desiderato, preparato, celebrato e
vissuto nella vita quotidiana è quello "che la Chiesa unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione
suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica.. Quale giogo quello di due
fedeli uniti in un'unica speranza, in un'unica osservanza, in un'unica servitù!
Sono tutt'e due fratelli e tutt'e due servono insieme; ma non vi è nessuna
divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in
una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito"
(Tertulliano).
SPOSARSI NEL SIGNORE
Essendo lo Sposo che ama
e salva la Chiesa Sposa, Cristo partecipa questo suo amore agli sposi
cristiani. L'amore di Cristo per la Chiesa diventa il modello della comunione
tra gli sposi, ed è fonte di grazia per il suo esistere ed operare. Attraverso
il sacramento del matrimonio gli sposi cristiani sono resi partecipi della
stessa comunione trinitaria, sono sostenuti dall'amore redentivo di Cristo,
sono arricchiti dall'azione salvifica della Chiesa.
Il matrimonio sacramento
si caratterizza per alcune qualità specifiche; sottostà ad alcune esigenze
particolari; produce effetti propri.
Le qualità.
L'alleanza matrimoniale,
mediante la quale un uomo e una donna costituiscono tra loro una comunione di
vita e di amore, è stata fondata e dotata di sue proprie leggi dal Creatore e
Cristo stesso l'ha arricchita e dotata di grazie particolari mediante il suo
sacrificio pasquale, fino ad elevarla alla dignità di sacramento.
Le qualità o
caratteristiche essenziali per un matrimonio cristiano possono essere così
indicate: unità e indissolubilità, fedeltà, fecondità.
a. L'unità e l'indissolubilità.
L'amore coniugale
comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona; esso
mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in
una sola carne, si abbia anche un cuore solo e un'anima sola "così che non sono più due, ma una carne sola
(Mt 19,6; Gen 2,24).
L'unità del matrimonio
confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità
personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo
e pieno amore (Gaudium et spes 49).
L'opposto di queste due
qualità sono: la poligamia in quanto
contraddice al disegno originale di Dio ed offende la pari dignità personale
dell'uomo e della donna che nel matrimonio si donano con un amore totale e
perciò stesso unico ed esclusivo; il divorzio in quanto separa ciò che Dio ha
unito (Mt 19,6) e contraddice a quella definitività che ha in Gesù Cristo il
suo fondamento e la sua forza.
b. La fedeltà.
L'amore coniugale è
anche un amore fedele ed esclusivo fino alla morte; così è concepito dagli
sposi nel giorno del loro matrimonio quando, liberamente ed in piana
consapevolezza, ciascuno afferma: "prometto
di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella
malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita". La
fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele:
L'opposto della fedeltà è l'adulterio. I Profeti l'hanno concepito come una forma
di idolatria (Os 2,7) e il Nuovo Testamento lo condanna in modo assoluto (Mt
5,32; 19,6; Mc 10,11; 1 Cor 6,9-10). L'adulterio è un'ingiustizia, una ferita
del vincolo matrimoniale che compromette l'unione stabile dei genitori ed il
bene dei figli.
c. La fecondità.
La fecondità è il segno
e il frutto dell'amore coniugale, la testimonianza viva della piena donazione
reciproca degli sposi, l'espressione concreta dell'essere dalla parte della
vita. L'amore coniugale tende per sua propria natura ad essere fecondo dal
momento che il significato unitivo ed il significato procreativo formano
l'unità dell'atto coniugale voluto da Dio. Gli sposi sono chiamati per speciale
vocazione ad essere cooperatori dell'amore di Dio creatore e di Cristo
Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua
famiglia. Essendo un atto di amore pienamente umano, non quindi semplice
trasporto di istinto e di sentimento, gli sposi devono compiere il loro dovere
coniugale con umana e cristiana responsabilità. Per paternità responsabile si
intende la coscienza di essere ministri del disegno di Dio e di usufruire della
sessualità secondo l'originario dinamismo della donazione totale, senza
manipolazioni e alterazioni; esige anche di salvaguardare l'amore dai pericoli
dell'egoismo e dell'aggressività, promuovendolo piuttosto verso una sua piena
realizzazione.
Ciò comporta la scelta
dei ritmi naturali della fecondità, il distanziare per validi motivi le nascite
dei figli, l'accoglienza del numero stesso dei figli.
La fecondità dell'amore
coniugale non si restringe però alla sola procreazione dei figli, ma si allarga
e si arricchisce di tutti quei frutti di vita morale, spirituale e
soprannaturale che il padre e la madre sono chiamati a donare ai figli e,
mediante i figli, alla Chiesa e al mondo. Generando nell'amore e per amore una
nuova persona, i genitori si impegnano ad educarla a vivere una vita pienamente
umana e cristiana.
Le esigenze.
Il matrimonio è
costituito dal patto coniugale, ossia dal consenso irrevocabile con il quale i
due sposi liberamente e scambievolmente si donano e si ricevono tanto da
diventare "una sola carne" (Gen 2,24; Mt 19,6). Per raggiungere il
proprio fine specifico, cioè il bene dei coniugi e la procreazione e
l'educazione dei figli, l'unione coniugale esige la piena fedeltà dei coniugi,
l'unità indissolubile, la libertà di consenso. Essere liberi vuol dire poter
esprimere la propria adesione senza costrizioni e senza impedimenti. Se tale
libertà manca, il matrimonio è invalido. La "dichiarazione di
nullità" emessa da un tribunale ecclesiastico non ha nulla a che fare con
l'impropria espressione "sciogliere il matrimonio". Neppure la Chiesa
può sciogliere un matrimonio valido, mentre può dichiarare che esso non è mai
avvenuto quando siano mancate le condizioni essenziali.
Gli effetti.
Il libero consenso,
suggellato da Dio stesso (Mc 10,9), produce il vincolo matrimoniale perpetuo ed esclusivo. Questo vincolo sacro
non dipende dall'arbitrio umano, ma dall'autore del matrimonio, che lo volle dotato
di molteplici beni e fini. L'alleanza umana è così confermata, purificata,
perfezionata e integrata nell'alleanza divina.
Il matrimonio cristiano
corrobora e consacra gli sposi con uno speciale sacramento. Attraverso la
grazia propria del sacramento del matrimonio Gesù Cristo dona agli sposi un
nuovo modo di essere per il quale sono come:
* configurati a lui Sposo della Chiesa e posti in un particolare
stato di vita entro il popolo di Dio; diventano una "chiesa
domestica" (LG 11; AA 11; FC 21) dove agisce l'amore di Cristo che salva e
dove si annuncia e si comunica tale amore agli altri; in questo santuario
domestico della Chiesa Gesù Cristo rimane con loro perché, come egli stesso ha
amato la Chiesa e si è donato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l'un
l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione;
* consacrati in tutta la loro esistenza coniugale; a questo scopo
sono arricchiti di doni e ministeri particolari per poter compiere una missione
non solo verso la loro famiglia, ma anche per la Chiesa e per il mondo intero;
* purificati dall'intervento redentore di Cristo; di fronte
all'esperienza del peccato vengono resi capaci di partecipare alla vittoria di
Cristo superando la tentazione dell'egoismo e dedicare la loro esistenza al
servizio del Regno di Dio;
* rafforzati dalla straordinaria potenza dello Spirito santificatore
per vivere un amore fedele, fecondo, duraturo, anche in vista di quelle
difficoltà concrete della vita che possono rendere ardua la piena fedeltà alla
vocazione e alla missione ricevuta.
La preparazione.
Perché non siano ridotti
a gesti magici o puramente decorativi o folclorici, i sacramenti devono essere
"evangelizzati", cioè annunziati come segni della fede dal momento
che solo con la fede il sacramento raggiunge la sua piena efficacia di grazia.
Il matrimonio non arriva
a caso nella vita di due persone:
* non
si fa all'ultimo momento, ma deve diventare il punto di arrivo di un'opera
educativa che, oltre a curare lo sviluppo di una maturità umana, si preoccupa
di formare anche una mentalità di fede;
* non si fa da soli, ma deve coinvolgere l'intera comunità
ecclesiale, gli operatori della pastorale dei fidanzati, le coppie di coniugi,
gli stessi sacerdoti;
* si procede per gradi, partendo dall'ascolto della Parola di Dio che
permette di conoscere e di accogliere la novità cristiana dell'esistenza
coniugale e la vera natura del matrimonio; si parteciperà al sacramento della
Penitenza che aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca
del proprio piacere, e ad aprirsi al'accoglienza e al dono vicendevole; si
pregherà individualmente ed insieme, soprattutto con la Liturgia delle Ore, per
edificare una famiglia che sia un santuario domestico; sono previste anche
delle benedizioni specifiche per i fidanzati (Benedizionale 195-214);
* aperti alla carità e al servizio che liberano i fidanzati ora e gli
sposi poi da un intimismo egoistico e li spingono ad una apertura generosa
verso gli altri; occorre diventare segno credibile di quell'amore di donazione
con il quale il Signore chiama gli sposi nell'incontro sacramentale.
La celebrazione.
Il matrimonio tra due
fedeli cattolici è celebrato normalmente durante la Messa, a motivo del legame
di tutti i sacramenti con il Mistero pasquale di Cristo. Dal momento poi che
nel sacrificio eucaristico Cristo stesso continua ad offrirsi alla sua diletta
Sposa, la Chiesa, è conveniente che gli sposi suggellino proprio in questo
memoriale della nuova alleanza il loro consenso e la loro reciproca volontà di
donazione unendola all'offerta di Cristo per la sua Chiesa; comunicando al
medesimo Corpo e al medesimo Sangue di Cristo, essi saranno sacramentalmente
aiutati a formare "un solo corpo" in Cristo (1 Cor 10,17).
Tuttavia, quando si
dovesse costatare che i due fidanzati non sono pronti ad entrare veramente
nell'Eucaristia e a fare convintamente la Comunione, "è consigliabile
omettere la celebrazione dell'Eucaristia" (Rito del Matr. n.8) limitandosi alla sola celebrazione della
Parola.
La celebrazione del
matrimonio dovrebbe essere:
* evangelizzante: deve svolgersi in maniera tale da essere, anche
nell'aspetto esteriore, proclamazione della Parola di Dio e professione di fede
su ciò che la Chiesa crede;
* ecclesiale: il matrimonio non è un avvenimento che riguarda i soli
sposi o i loro parenti, ma, in quanto sacramento della Chiesa, deve coinvolgere
e interessare anche tutta la comunità cristiana; pertanto: il luogo normale
delle nozze è la comunità della parrocchia nella quale i fidanzati sono
inseriti o andranno a vivere; si dovrebbe scoraggiare con fermezza la prassi di
sposarsi in altre chiese dove prevale lo spettacolo e l'ostentazione; dal
momento poi che Cristo fa partecipare tutti gratuitamente della sua salvezza,
il rito esige che sia svolto in maniera dignitosa ma senza quella sfarzosità e
quel lusso che possono contraddire alla povertà di tanti fratelli.
Nella celebrazione del
matrimonio gli sposi sono:
* i ministri della grazia di Cristo che, esprimendo davanti alla
Chiesa il loro consenso, si conferiscono mutualmente il sacramento del
matrimonio; in forza del suo agire onnipotente e gratuito, Dio comunica ad essi
un nuovo modo di essere e li fa segno dell'unione nuziale di Cristo con la
Chiesa;
* i protagonisti di un avvenimento di salvezza dal momento che,
esprimendo col consenso un impegno umano di vero amore coniugale, fanno spazio
alla forza di santificazione che Cristo introduce nel matrimonio sacramento.
Il rito nuziale.
Prendendo a modello il
rito nuziale durante la Messa, i passaggi principali sono:
* l'accoglienza degli sposi alla porta di Chiesa da parte del
celebrante; un saluto semplice e cordiale, non burocratico né formale, che
assicuri agli sposi la partecipazione dell'intera comunità alla loro gioia.
* liturgia della Parola. Il Lezionario permette di scegliere tra le 8
letture dall'AT con il rispettivo salmo responsoriale; 10 letture
dall'Apostolo; 10 letture dal Vangelo; l'omelia,
che dovrebbe sempre partire dal testo sacro, ha la funzione di esporre il
mistero del matrimonio cristiano, la dignità dell'amore coniugale, la grazia
del sacramento, i doveri degli sposi.
* il rito sacramentale. Il celebrante ricorda agli sposi che Dio
approva, benedice e suggella il loro amore; li interroga quanto alla libertà,
alla fedeltà, alla fecondità. Lo scambio dei consensi, a cui la Chiesa annette
valore sacramentale, avviene mentre gli sposi si stringono la mano destra e
pronunziano la formula che dice: "Io
N. prendo te N: come mia sposa (sposo) e prometto di esserti fedele in ogni
circostanza, felice o avversa,nella buona o nella cattiva salute, e di amarti e
rispettarti per tutta la vita".
Il celebrante ratifica
il consenso manifestato davanti alla Chiesa invocando la conferma e la
benedizione di Dio per cui "l'uomo non osi separare ciò che Dio
unisce".
Vengono poi benedetti
gli anelli, segno di amore e di fedeltà; gli sposi nello scambiarsi il dono
dell'anello e nel richiamare ciò di cui esso è segno, invocano l'aiuto della
Trinità santissima.
La preghiera dei fedeli
conclude il rito sacramentale.
* la liturgia eucaristica. Sarebbe auspicabile che gli stessi sposi
portassero i doni all'altare. Si dovrebbe prevedere la comunione sotto le due
specie e un'ostia sufficientemente grande da dividere in due parti quale segno
di partecipazione all'unico Pane per formare un unico corpo in Cristo Signore.
Il Messale prevede un
formulario di Messa per gli sposi con la possibilità di scelta tra 4 Collette,
3 orazioni sulle offerte, 3 Prefazi, 3 orazioni dopo la Comunione.
* riti di comunione. Dopo il Padre nostro, il celebrante rivolto
verso gli sposi recita su di loro la "Solenne benedizione della sposa e
dello sposo". Mentre nello scambio dei consensi erano stati in primo piano
gli stessi sposi per esprimere il loro impegno d'amore, ora in primo piano è
Dio stesso che benedice quell'amore e ne feconda i frutti. Tenendo stese le
mani sugli sposi in gesto di "epiclesi" il celebrante invoca lo
Spirito Santo come Comunione di amore di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32); si
chiede la ricchezza delle benedizioni divine sulla sposa e sullo sposo perché
possano adempiere in pienezza quei doveri e cui sono chiamati col matrimonio.
Lo Spirito è il sigillo dell'alleanza nuziale, la sorgente del loro amore, la
forza in cui si rinnoverà la loro fedeltà.
Gli sposi si scambiano
il segno (bacio) della pace e dell'amore.
La partecipazione
all'Eucaristia, più significativa se fatta sotto le due specie, è fonte di
concordia nel vincolo dell'amore, è edificazione nella fedeltà e nella
testimonianza di amore presso i fratelli.
La Messa termina con una
benedizione (3 formulari), propiziatrice dei seguenti doni: la pace di Cristo,
la benedizione nei figli, il conforto degli amici, la vera pace con tutti,
l'assistenza nei momenti di serenità e di prova, l'effusione dello Spirito di
amore, la gioiosa speranza di vivere una felicità senza fine.
Il Messale prevede
formulari anche per l'anniversario di Matrimonio, per il venticinquesimo e per
il cinquantesimo.
Comunità missionaria.
Benedetto da Dio, il
matrimonio cristiano fà degli sposi una comunità di grazia e di preghiera, una
scuola di virtù umane e di carità cristiana, soprattutto diventa comunità
credente ed evangelizzante, luogo privilegiato dove i figli ricevono il primo
annuncio della fede. Il sacramento del matrimonio, che riprende e ripropone il
compito, radicato nel battesimo e nella cresima, di difendere e diffondere la
fede, costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo, veri e
propri missionari dell'amore e della vita.
Per un approfondimento:
GIOVANNI PAOLO II,
Esortazione apostolica Familiaris
consortio (22.11.1981): Enchiridion
Vaticanum 7/1522-1810;
EPISCOPATO ITALIANO,
Documento pastorale Evangelizzazione e
sacramento del matrimonio (20.6.1975): Enchiridion
CEI 2/2091-2218.
EPISCOPATO ITALIANO,
Documento pastorale Comunione e comunità:
II. Comunione e comunità nella Chiesa domestica, (1.10.1981): Enchiridion CEI 3/707-742.
UFFICIO NAZIONALE PER LA
PASTORALE DELLA FAMIGLIA, La preparazione
dei fidanzati al matrimonio e alla famiglia (24.6.1989): in Enchiridion CEI 4/1684-1803;
I SACRAMENTALI
Secondo le indicazione
della Costituzione liturgica (SC 60) e del Codice di Diritto Canonico (CIC
1166), oltre alla celebrazione dei sette sacramenti esistono altre celebrazioni
liturgiche, e tra queste vi sono i sacramentali.
Che cosa è un sacramentale.
Sono segni sacri per
mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e,
per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali.
Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale
dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita (SC 60).
I sette sacramenti sono
istituiti da Cristo, sono efficaci per il solo fatto che avviene la
celebrazione (ex opere operato), in
quanto Cristo è il soggetto agente, e, ai ben disposti, donano la grazia dello
Spirito Santo.
I sacramentali invece
sono istituiti dalla Chiesa, la loro efficacia dipende dalla impetrazione della
Chiesa (ex opere operantis Ecclesiae),
non donano la grazia dello Spirito Santo; però, mediante la preghiera della
Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa.
Mentre i sacramenti,
istituiti da Cristo, santificano i momenti fondamentali della vita cristiana
con il dono dello Spirito Santo, i sacramentali sono istituiti dalla Chiesa per
santificare tanti altri momenti della vita delle persone ed anche per la santificazione delle cose utili all'uomo.
La celebrazione dei
sacramentali comporta sempre la proclamazione della Parola di Dio, una preghiera
di invocazione o intercessione, spesso accompagnata da un segno (es. imposizione della mano, segno della croce, aspersione
con l'acqua benedetta che richiama il Battesimo).
In questo modo ai fedeli
ben disposti è dato di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita
cristiana per mezzo della grazia divina che fluisce dal mistero pasquale di
Cristo, mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i
sacramentali.
Quali sono i sacramentali.
Per praticità
distinguiamo i sacramentali che sono per la santificazione delle persone da quelli che sono per la
santificazione delle cose.
Per le persone.
Oltre ai momenti
fondanti della santificazione delle persone che avviene con i sacramenti (si
pensi all'Ordine per i ministri sacri
e al Matrimonio per gli sposi), vi
sono altre situazioni nella vita delle persone che necessitano di una
particolare grazia divina impetrata dalla Chiesa per l'esercizio della loro
missione.
I sacramentali istituiti
dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri ecclesiastici e per alcuni
stati di vita sono:
* Rito della consacrazione delle vergini (una donna si consacra in
perpetuo a Dio con il proposito di verginità per il regno dei cieli);
* Rito della professione religiosa (è la promessa pubblica di vivere
in povertà, castità, obbedienza, sotto la regola di una famiglia religiosa);
* Rito della benedizione dell'Abate e dell'Abbadessa (costituisce il
superiore di una comunità monastica nel ruolo di padre e di maestro);
* Istituzione dei ministri straordinari della Comunione (si affida ai
laici il mandato di aiutare i ministri ordinati nella distribuzione della
Comunione);
* Istituzione dei lettori, degli accoliti, dei catechisti, ecc.;
* Gli esorcismi. Sono invocazioni della Chiesa con le quali si
domanda pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, che una persona o
un oggetto sia protetto contro l'influenza del Maligno e sottratto al suo
dominio. Gesù stesso ha praticato questo ministero (Mc 1,25s) e lo ha affidato
alla Chiesa (cf Mc 3,15; 6,7.13; 16,17). Vi sono gli esorcismi praticati
durante la celebrazione del Battesimo; e vi sono altre forme di esorcismo
solenne, praticate dal solo sacerdote col permesso del vescovo, allo scopo di
scacciare i demoni o liberare dall'influenza demoniaca mediante l'autorità
spirituale che Cristo ha affidato alla sua Chiesa.
Per le cose.
* Rito della Dedicazione della chiesa e dell'altare (significa
<destinare> un luogo unicamente al culto di Dio e alla riunione
dell'assemblea ecclesiale; come il cristiano è iniziato alla vita divina
mediante l'aspersione battesimale e l'unzione, così anche il luogo dove si
riuniscono i cristiani viene asperso con acqua e unto con il crisma);
* Le benedizioni. Origine e fonte di ogni benedizione è Dio; lui solo
è buono e ha fatto bene ogni cosa, per colmare di benedizioni tutte le sue
creature. Nel Figlio, la massima benedizione del Padre, tutti gli uomini sono
benedetti con ogni benedizione spirituale (cf Gal 4,4; Ef 1,3). Nello Spirito
possiamo lodare e magnificare in tutte le cose Dio Padre e nello stesso Spirito
possiamo risanare il mondo con la divina benedizione.
Come si vede, la
benedizione ha un movimento discendente
quando è Dio stesso che benedice assicurando il suo aiuto, annunziando la sua
grazia, proclamando la sua fedeltà. Ha invece un movimento ascendente quando è l'uomo che benedice Dio proclamando le sue
lodi, rendendo a lui grazie, tributandogli il culto e l'ossequio della propria
venerazione. Si possono benedire anche le persone invocando su di loro l'aiuto
di Dio per comunicare i benefici divini e la protezione della sua provvidenza.
E si possono benedire anche le cose quale attestazione di volersi servire di
esse in modo che il loro uso porti a cercare Dio, ad amare Dio, a servire
fedelmente Lui solo.
La Chiesa, sacramento di
salvezza, mediante il rito delle benedizioni compie il suo ministero di
glorificazione di Dio e di santificazione degli uomini sotto l'azione dello
Spirito Santo.[64]
Il Benedizionale prevede benedizioni per le seguenti persone:
missionari, catechisti, malati, anziani, famiglie, figli, fidanzati, ecc.
Lo stesso Benedizionale distribuisce poi la
benedizione delle cose aggregandole attorno a queste realtà: le case e gli
ambienti di lavoro, gli impianti e gli strumenti tecnici, la terra e i suoi
frutti, i luoghi e gli oggetti di culto.
I ministri delle
benedizioni sono generalmente i sacerdoti e i diaconi, ma in molti casi possono
essere anche i laici (catechisti, genitori, capo-famiglia).
Le esequie cristiane.
Professione di fede pasquale. Nelle esequie cristiane la Chiesa professa questa
fede: <Aspetto la risurrezione dei
morti e la vita del mondo che verrà>. Essa crede che coloro che muoiono
nel Signore, compiendo l'ultima Pasqua del cristiano, passano da questo mondo
al Padre. Nelle esequie essa dà anche una risposta alle ansietà dell'uomo circa
la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di comunicare in Cristo
con i propri cari già strappati dalla morte, col dare la speranza che essi
abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio (GS 18). Le esequie cristiane sono
una professione di fede nella risurrezione dei morti e nella vita eterna.
Professione di fede nella comunione dei Santi. Nelle esequie la Chiesa prega che i suoi figli,
incorporati per il Battesimo a Cristo morto e risorto, passino con lui dalla
morte alla vita e, debitamente purificati nell'anima, vengano accolti con i
santi e gli eletti nel cielo, mentre il corpo aspetta la beata speranza della
venuta di Cristo e la risurrezione dei morti.
E' per questo che la
Chiesa, madre pietosa, offre per i defunti il Sacrificio eucaristico, memoriale
della Pasqua di Cristo, e innalza preghiere e compie suffragi; e poiché tutti i
fedeli sono uniti in Cristo, tutti ne risentono vantaggio: aiuto spirituale i defunti, consolazione
e speranza quanti ne piangono la scomparsa.
Suffragio e memoria. La madre Chiesa che ha portato sacramentalmente
nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, lo accompagna
al termine del suo cammino per rimetterlo "nelle mani del Padre". Lo
porta nella chiesa materiale dove lo riceve l'assemblea dei fedeli a
significare l'ingresso nella Gerusalemme celeste dove lo accoglie la schiera
dei Santi di Dio e gli Angeli del Signore. Asperge il suo corpo a ricordo del
Battesimo che ha iscritto il suo nome nel libro della vita. Lo incensa in segno
di venerazione come tempio dello Spirito Santo. Lo illumina col cero pasquale
perché Cristo luce senza tramonto lo irradi del suo splendore e lo accolga nel
suo Regno quale servo fedele o come vergine saggia.
Le esequie sono anche
memoria di coloro che hanno lasciato questo mondo, ma con i quali siamo legati
in Cristo con vincolo di carità fraterna. Il ricordo di persone care è
incitamento a una vita cristiana più fervorosa e il pensiero di una loro
maggiore vicinanza a Dio è motivo di conforto e gratitudine.
La partecipazione
sacramentale al banchetto eucaristico, figura e pegno del banchetto
escatologico nel Regno dei cieli, è per i fedeli il mezzo più efficace per una
comunione di vita e di carità con i propri cari defunti, nella celebrazione
della loro memoria.
La pietà popolare.
La vita di fede della
Chiesa non si esaurisce nella celebrazione liturgica dei sacramenti e dei
sacramentali, ma si estende ad altre espressioni di pietà quali la venerazione
delle reliquie, i pellegrinaggi, le processioni, il rosario, la via crucis,
ecc.[65]
Queste espressioni di
fede sono chiamate pii esercizi;
vanno tenute nella massima considerazione riconoscendone i valori, ma anche i
limiti. Tra liturgia e pii esercizi vi deve essere questo chiaro rapporto: armonia,
reciproco interscambio di valori, non concorrenza, non sovrapposizione. La
liturgia, infatti, resta sempre di gran lunga superiore ai pii esercizi (Sacrosanctum concilium 13).
CONCLUSIONE
Tutto dalla Pasqua.
Durante la sua esistenza
terrena Gesù ha manifestato il Regno di Dio con le sue opere e le sue parole,
comunicando la salvezza a coloro che lo incontravano e in lui credevano. Dopo
la sua morte, risurrezione e glorificazione alla destra del Padre, Egli
continua la sua presenza operante nel mondo attraverso la Chiesa, suo Corpo
visibile e organicamente strutturato, da lui costituita ad essere come un
sacramento, o segno e strumento, dell'intima comunione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano (LG 1).
Nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.
Per mandato del suo
Sposo e Signore, in intima comunione con Lui, la Chiesa annuncia la Parola di
salvezza e per mezzo del Sacrificio e dei Sacramenti attua l'opera stessa della
nostra Redenzione. Nelle celebrazioni sacramentali il Signore Risorto continua
ad essere presente al suo popolo e svolge la sua opera di santificazione in
favore degli uomini, edificando così il suo Corpo in abitazione di Dio nello
Spirito Santo (cf Ef 2,21-22).
Così, in forza di questa
economia sacramentale, nella Chiesa è continuata e attuata la stessa opera di
salvezza che Dio ha rivelato e attuato nel Mistero della Pasqua del Figlio suo,
unico sacramento dell'incontro degli uomini con Dio.
Sorgenti di vita.
I Sacramenti sono le
sorgenti originarie della vita nuova che, per la santificazione dello Spirito
inviato da Cristo, il Padre comunica ai credenti.
Questa novità di vita
prende avvio dall'acqua e dallo Spirito (cf Gv 3,5), si alimenta col pane di
vita (cf Gv 6,35ss) ed ha, nei momenti decisivi del suo sviluppo, efficaci segni
di salvezza che orientano e conducono progressivamente i fedeli di ogni stato e
condizione, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è
perfetto il Padre celeste (cf Mt 5,48).
Ogni celebrazione
sacramentale diventa così un incontro personale del Signore Gesù con coloro
che, con fede illuminata e attiva, ricevono un Sacramento e si impegnano ad
attuarne la grazia significata con una corrispondenza adeguata e fedele.
Pegno della gloria futura.
I Sacramenti, tuttavia,
non solo edificano la Chiesa pellegrina in Corpo del Signore, ma annunciano e
prefigurano anche cieli nuovi e terra nuova (cf 2 Pt 3,13), la piena
manifestazione dei figli di Dio. Sono la garanzia che l'uomo tutto, nella sua
componente di anima-corpo e nei suoi rapporti interpersonali, vedrà e godrà la
gloria del Dio vivente, e con lui anche l'universo sarà trasformato.
La catechesi liturgica.
Appartenendo alle
strutture ecclesiali dell'età presente, i Sacramenti rischiano di rimanere
opachi e infruttuosi per chi non li guarda e non vi partecipa con fede. Le
celebrazioni sacramentali suppongono la fede, la quale nasce e si alimenta con
la Parola (cf Rm 10,17). La catechesi liturgica non è semplice spiegazione di
riti, ma iniziazione all'intelligenza del mistero (mistagogìa), traduzione nella vita di quanto si è ricevuto nella
fede (SC 10), cooperazione con la grazia divina per non riceverla invano (cf 2
Cor 6,1).
[1]) Questo è anche il titolo di
un'opera di E. SCHILLEEBECHX, Cristo
sacramento dell'incontro con Dio, Paoline, Roma 1962.
[2]) O. SEMMELROTH, La Chiesa sacramento di salvezza,
D'Auria, Napoli 1965.
[3]) Altre citazioni del Vaticano
II sulla Chiesa quale <sacramento> si trovano in LG 9.48; AG 1; GS 42.45.
[4]) Si veda il Prefazio VIII nella
solennità del Sacro Cuore:<dalla
ferita del suo fianco effuse sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della
Chiesa>; anche il prefazio per le domeniche per annum: con il sangue e
la potenza dello Spirito formi la Chiesa.
[5]) Questo testo di S. Agostino è
citato in Sacrosanctum Concilium n.7
là dove si parla della presenza di Cristo nella liturgia: <E' presente con la sua virtù nei sacramenti,
di modo che quando uno battezza è Cristo stesso che battezza>
[6]) La grazia sacramentale,
propria di ciascun sacramento, è ben espressa in Lumen gentium n. 11.
bibliografia: MARTIMORT A.G., La Chiesa in preghiera. Vol III: I
sacramenti, Queriniana, Brescia 1987; ROCCHETTA C., I sacramenti della fede. Saggio di teologia biblica sui sacramenti
quali <meraviglie della salvezza> nel tempo della Chiesa, EDB,
Bologna 1982; numero monografico di Rivista
liturgica 2 (1980): <Perché dai sacramenti non nasce la Chiesa?>.
[7]) Il termine mistagogìa affonda le radici nella
parola greca mystérion che a sua
volta deriva dal verbo myéô che
significa: insegnare una dottrina, iniziare ai misteri; infatti erano chiamati mystés coloro che venivano introdotti (=ago) nei santi misteri della fede, al
termine del catecumenato: cf FEDERICI T., La
mistagogìa della Chiesa. Ricerca spirituale, in ANCILLI E., <Mistagogìa
e direzione spirituale>, Milano 1985, pp.165s. MAZZA E., La Mistagogìa. Una teologia della liturgia
in epoca patristica, CLV - Edizioni Liturgiche, Roma 1988.
[8]) TEODORO DI MOPSUESTIA, Omelie catechetiche 12,2-3.
[9]) CIRILLO DI GERUSALEMME, Prima catechesi mistagogica I.
[10]) Il termine neofita significa, letteralmente
<nuova pianta> e sta ad indicare coloro che, inseriti in Cristo e nella
Chiesa con i sacramenti di iniziazione, sono ora capaci di portare frutto in
abbondanza.
[11]) La Istituzione Generale del Messale Romano (=IGMR) ne parla ai
nn.11.29.47.61.68a.86.
[12]) L'espressione, che si trova
nelle succitate <Premesse> al RICA, n.1., non sembra molto chiara e in
qualche modo in contradizione con SC 10 che parla della liturgia come <culmen et fons>; in effetti si vuol
dire questo: va evitata una sacramentalizzazione ad ogni costo e si dia
piuttosto all'evangelizzazione una <priorità> che sfoci poi nell'azione
liturgica-sacramentale.
[13]) Nella città di Monaco di
Baviera (Germania) già nel 1974 il 42% dei bambini non veniva battezzato nel
corso del primo anno di vita.
[14]) Purtroppo molti sacerdoti,
impreparati dinanzi a queste esigenze, battezzano subito questi
fanciulli/ragazzi e li aggregano poi agli altri già battezzati da piccoli che
stanno frequentando il catechismo per la prima comunione. Non è certo questo il
desiderio del RICA.
[15]) Eventualmente si può fare il
segno di croce anche sugli orecchi( per essere capaci di ascoltare la voce di
Cristo), sugli occhi (per poter vedere le opere di Cristo), sulle labbra (per
essere capaci di annunziare la verità come ha fatto Cristo), sul petto (perché
con fede accolgano Cristo nel loro cuore), sulle spalle (per avere la forza di
Cristo).
[16]) Per l'AT si suggerisce: Ez
36,25-28: Vi darò un cuore nuovo. Per il NT: Ef 4,1-6: Comportatevi in maniera
degna della vocazione ricevuta; Lc 8,4-15: Il seminatore; oppure Lc 19,1-10:
Zaccheo; oppure Gv 15,9-11: Rimanete nel io amore.
[17]) Dovrà essere adattata all'anno
liturgico e fondata sulle celebrazioni della parola; sarà accompagnata dalla
preghiera e dalla carità verso il prossimo (RICA 19); questo cammino
catecumenale deve avere tutto il tempo necessario.
[18]) Si potrebbe creare nei
fanciulli già battezzati quasi un senso di invidia, o far apparire il Battesimo
posticipato come una soluzione migliore.
[19]) Altri testi sul battesimo come
purificazione (Ef 5,26; Eb 10,22; 1
Cor 6,11; Tito 3,5), come nuova nascita
(Gv 3,5; 1 Pt 1,3;2,2), come illuminazione
(Eb 6,4; 10,32; Ef 5,14), come esodo
dalla schiavitù (1 Cor 10,1-2).
[20]) Si legga Sacrosanctum concilium 2.7; Il
rinnovamento della catechesi (RdC) 114.
[21]) Secondo Didaché 7,3 il battesimo per infusione è previsto nei casi di
necessità.
[22]) Alcuni Padri hanno visto nel
battesimo il prolungamento della maternità verginale di Maria (Didimo, Trinità II,13).
[23]) Per un approfondimento
biblico-patristico dei segni battesimali rimandiamo a P. GIGLIONI, Temi biblici e teologici per la catechesi,
Urbaniana University Press, Roma 1985.
[24]) SACRA CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione Pstoralis
actio sul battesimo dei bambini [20.10.1980]: in Enchiridion Vaticanum 7, 587-612.
[25]) Pelagio negava la trasmissione
automatica del peccato originale, per cui riteneva inutile il battesimo dei
bambini, mentre quello degli adulti doveva servire a cancellare i peccati
commessi dalla singola persona.
[26]) Questo diritto-dovere è
riconosciuto sul piano internazionale dalla Dichiarazione
universale dei diritto dell'uomo, art. 26, n.3.
[27]) Abbiamo parlato di questo
catecumenato per ragazzi nel nostro precedente articolo dedicato alla Iniziazione cristiana.
[28]) Dal Rito delle esequie per un bambino non battezzato
[29]) Sono stati accompagnati da una
Costituzione Apostolica: il Messale, La Liturgia delle Ore, il Rito
dell'Unzione dei malati, il Rito dell'Ordinazione.
[30]) Anche l'Oriente è rimasto
sensibile a questa prerogativa del Vescovo: ancora oggi il myron, il nostro crisma, è benedetto dal vescovo e non dal
sacerdote che pure resta il ministro ordinario dei tre sacramenti di
iniziazione.
[31]) Qualche esempio. Innocenzo III
(1198-1216) afferma:<Con la
crismazione sulla fronte viene designata l'imposizione della mano che con altro
vocabolo si dice Confermazione, poiché per mezzo di essa viene dato lo Spirito
Santo per la crescita e l'irrobustimento>; nel II Concilio di Lione
(1274) si dice che la Confermazione viene conferita dai vescovi <mediante l'imposizione delle mani, ungendo
con il crisma i battezzati>.
[32]) <Io ti segno col segno della croce e ti confermo con il Crisma della
salvezza. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo>. Questa
formula compare per la prima volta nel Pontificale Romano del secolo XII.
[33]) Si tenga presente la epiclesi
di comunione nella III Prece eucaristica: <A noi che ci nutriamo del corpo e sangue di Cristo dona la pienezza
dello Spirito Santo>. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che
la pienezza del dono dello Spirito si ha solo a partire dalla
Pasqua-Pentecoste, mistero celebrato e attuato nel sacramento pasquale per
eccellenza, cioè l' Eucaristia.
[34]) Anche Sansone (Giudici 13,5), Samuele (1 Sam 1,11), Geremia ( Ger 1,5), il Servo (Is 49,1), Giovanni Battista (Lc
1,15), Paolo (Gal 1,15), sono stati
consacrati da Dio <fin dal seno materno>.
[35]) Si faccia attenzione,
soprattutto nel Vangelo di Luca, all'insistenza con cui viene espressa la
presenza dello Spirito Santo in Gesù in vista del suo ministero
profetico-messianico: la presenza dello Spirito si può intravedere anche nella
<gloria> che avvolge Gesù nella trasfigurazione (cf Lc 9,29-30) quale
ulteriore conferma della predilezione del Padre sul suo <eletto> già
manifestata al Giordano.
[36]) Da questo episodio ebbe
origine la parola simonìa per
indicare il commercio di cose sacre.
[37]) Anche a costo di dover
sacrificare l'unità temporale dei tre sacramenti di iniziazione; abbiamo detto
infatti che la Confermazione venne distanziata dal Battesimo proprio per
lasciare al Vescovo la prerogativa di conferire il sacramento della
Confermazione.
[38]) In Occidente questa prassi si
mantiene solo in occasione del Battesimo degli adulti; in questo caso il
sacerdote battezza, unge con il crisma consacrato dal vescovo dando così la
Confermazione, ed infine ammette alla comunione eucaristica.
[39]) Non è corretto dire che la
Confermazione è il completamento del Battesimo, quasi che il Battesimo sia una
realtà sacramentale incompleta in sè stessa; si vuol piuttosto dire che l'opera
della grazia dello Spirito iniziata con il Battesimo è ora portata a ulteriore
perfezionamento nei battezzati mediante una rinnovata e specifica effusione
dello Spirito Santo.
[40]) Fondamento biblico di questi
sette doni è il testo di Isaia 11,2:
sono elencati i tratti essenziali del Messia futuro, riempito dello spirito
profetico.
[41]) Altri nomi: Sinassi, essere insieme per l'assemblea
eucaristica (cf 1 Cor 11,17-23); Sacrificio
della lode (Eb 13,15); Sacrificio
spirituale (cf 1 Pt 2,5); si parla anche di Santissimo Sacramento, in quanto è il Sacramento dei sacramenti
(con questo nome si indica non tanto la celebrazione, ma le specie eucaristiche
conservate nel tabernacolo).
[42]) PIO XII, Enc. Mystici Corporis [29.6.1943], II parte.
[43]) GAUDENZIO DI BRESCIA, Trattati, 2.
[44]) CIRILLO DI GERUSALEMME, Catechesi mistagogiche, V,16. Lo Spirito
Santo ha adombrato la Vergine Maria perché concepisse nel suo grembo il corpo
storico di Cristo. Invocato dalla Chiesa-assemblea celebrante, interviene come
energia divina sui doni del pane e del vino per trasformarli nel corpo e nel
sangue di Cristo. Agisce come fuoco d'amore su tutti noi, per trasformarci in
membra di Cristo ed immetterci vitalmente nel suo corpo ecclesiale. Lo stesso
Spirito che ha concepito il Corpo storico di Cristo, preside anche alla
presenza del suo corpo eucaristico e del suo corpo ecclesiale. A questo scopo
nella Preghiera eucaristica vi sono due epiclesi:
una epiclesi di "consacrazione" (il pane-vino diventano Corpo-Sangue
di Cristo) e una epiclesi di "comunione" (noi, pur essendo molti,
mangiando lo stesso Corpo di Cristo riceviamo la pienezza dello Spirito Santo
che fa di noi un solo corpo e un solo spirito; cf 1 Cor 10,17).
[45]) S. GIOVANNI CRISOSTOMO, "Si spezza e si spartisce l'Agnello di Dio:
Egli è spezzato e non si divide, è sempre mangiato e mai si consuma, ma
santifica coloro che ne partecipano" (Liturgia, preghiera dell'Inno cherubico).
[46]) PAOLO VI, Enc. Mysterium Fidei NN.17-18: "Dopo la consacrazione sotto le specie del
pane e del vino non c'è più quel che c'era prima, ma un'altra cosa del tutto
diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della Chiesa, ma per la realtà
oggettiva, poiché, convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel
corpo e nel sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole
specie, sotto le quali Cristo tutto intero è presente, sebbene non allo stesso
modo con cui i corpi sono nel luogo".
[47]) S. LEONE MAGNO: "La partecipazione al corpo e al sangue
di Cristo non fa altro che trasformarci in ciò che mangiamo" (Sermo 7; PL 54,375).
[48]) S.AGOSTINO: "Per non disgregare il vincolo che vi tiene
uniti, mangiate nell'eucaristia il vincolo che vi tiene uniti" (Sermo 3,3; PL 46,828); ID.:"La virtù propria di questo cibo è l'unità,
in quanto, riuniti nel suo corpo e divenuti sue membra, noi siamo ciò che
riceviamo...Perciò bisogna vedere in questo cibo e in questa bevanda la società
del suo corpo e delle sue membra, cioè la santa Chiesa" (Sermo 57; PL 38,389);
S. GIOVANNI CRISOSTOMO, "Egli si mescola a noi, perché diventiamo una
sola cosa, come un corpo congiunto alla testa" (Hom. in Jo.: PG 59,260).
[49]) Si faccia attenzione
all'eccessivo numero di Messe: rischio di frammentare troppo la comunità; la
domenica non è il giorno adatto per la celebrazione di Messe per gruppi
particolari.
[50]) "Dio è amore" (1 Gv
4,8); in Dio uno e trino "Il Padre è
l'eterno Amante, il Figlio l'eterno Amato, lo Spirito Santo l'eterno Amore"
(S. AGOSTINO, De Trinitate 15,6,10).
[51]) Sul rapporto Penitenza ed
Eucaristia si ricordi che. l'Eucaristia non costituisce un'alternativa al
sacramento della Penitenza; è un antidoto mediante il quale siamo liberati
dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati gravi (DS 1638; cf 1740); quale
"battesimo secondo" il sacramento della Penitenza è presupposto per
ricevere l'Eucaristia (anche i ragazzi, prima di essere ammessi alla prima
comunione, devono fare la confessione).
Chi ha
sulla coscienza un peccato grave: se desidera essere riconciliato e fare la
comunione, ma non è possibile in qual momento confessarsi (es non ci sono
sacerdoti disponibili), deve fare un atto perfetto di contrizione e deve
impegnarsi alla confessione appena possibile.
[52]) Per alcune questioni
ecumeniche legate alla comunione eucaristica si può vedere: il rapporto con gli
Ortodossi circa l'Eucaristia (UR 15.22; le condizioni per l'intercomunione: CIC
844 § 3.4); con i Protestanti (UR 22: non hanno conservato la sostanza propria
e integrale del mistero eucaristico; non è pertanto permessa l'intercomunione).
[53]) S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Agli Efesini 7,2; citato in SC 5.
[54]) Preghiera eucaristica III.
[55]Preghiera eucaristica II
[56]) Legare e sciogliere sono
due termini tecnici del linguaggio rabbinico che si applicano anzitutto al
campo disciplinare della scomunica con cui si condanna o si assolve qualcuno, e
ulteriormente alle decisioni dottrinali o giuridiche con il senso di proibire o
permettere. Pietro, quale economo della casa di Dio (di cui le chiavi sono
l'insegna (cf Is 22,22), eserciterà il potere disciplinare di ammettere o di
escludere come egli crederà meglio, e amministrerà la comunità con tutte le
decisioni opportune in materia di dottrina e di morale. Sentenze e decisioni
saranno ratificate da Dio nell'alto dei cieli.
[57]) "Quale tesoro di grazia,
di vita vera e di spirituale irradiazione non verrebbe alla Chiesa, se ciascun
sacerdote si mostrasse premuroso di non mancare mai, per negligenza e pretesti
vari, all'appuntamento con i fedeli al confessionale, e fosse ancor più
premuroso di non andarvi mai impreparato, o privo delle indispensabili qualità
umane e delle condizioni spirituali e pastorali" (Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia [1984],
n.29; EV 9/1175).
[58]) SACRA CONGREGAZIONE PER I
SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Dichiarazione sulla Confessione e prima Comunione dei fanciulli, in Enchiridion Vaticanum 6/166-175.
[59]) S. Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 7,2 (citato in SC 5).
[60]) Questa orazione veniva
pronunciata dal Pontefice nella Messa crismale del giovedì santo; l'invocazione
dello Spirito Santo Paraclito sull'olio aveva questo effetto: "a tutti coloro che saranno unti, che ne
gusteranno e che se lo applicheranno (concedi) la protezione del corpo,
dell'anima e dello spirito, per eliminare ogni dolore, ogni infermità, ogni
affezione della mente e del corpo".
[61]) Questa prassi è influenzata
anche dalla disciplina penitenziale e dall'uso di riconciliare i penitenti una
sola volta nella vita; un'ultima occasione per il perdono dei peccati era
offerta proprio dal sacramento dell'unzione.
[62]) Si cita 1 Pt 5,8: il diavolo,
come un leone ruggente, va in giro cercando chi divorare; egli insidia al
calcagno (Gen 3,15).
[63])
OUI 1 (= Ordo Unctionis Infirmorum, Praenotanda).
[64]) Per ulteriori approfondimenti
si consiglia la lettura delle Premesse
generali del nuovo Benedizionale
(Edizione italiana 1992).
[65]) Si può distinguere tra religiosità popolare (che ha radici in
ogni uomo religioso, a qualsiasi religione appartenga) e pietà popolare (espressione del senso religioso dell'uomo
cristiano).