DIMENSIONE TRINITARIA DELLA LITURGIA.
azione
santificante e glorificante
Con
questa riflessione sulla dimensione trinitaria della Liturgia intendiamo
proseguire il nostro cammino di Introduzione alla Liturgia, ma allo
stesso tempo desideriamo collocarci anche nel programma dell’Anno Santo secondo
le indicazioni di Giovanni Paolo II: « Gli anni di preparazione al Giubileo
sono stati posti sotto il segno della Santissima Trinità: per Cristo - nello
Spirito Santo - a Dio Padre. Il mistero della Trinità è origine del cammino di
fede e suo termine ultimo, quando finalmente i nostri occhi contempleranno in
eterno il volto di Dio. […] L'Anno Santo, dunque, dovrà essere un unico,
ininterrotto canto di lode alla Trinità, Sommo Dio». (Incarnationis
Mysterium n. 3; cf Tertio millennio adveniente 55).
Di questo «duplice movimento» trinitario della liturgia parla Sacrosanctum concilium quando dice che l’opera grande della nostra redenzione viene a noi dal Padre, per Cristo, nello Spirito, mediante un movimento santificante o discendente; a questo movimento santificante-discendente fa riscontro da parte della Chiesa un movimento glorificante-ascendente, anch’esso trinitario, che nello Spirito, per Cristo, fa ritorno al Padre con ogni onore e gloria (cf SC 5 e 7).[1]
La
via per cui Dio viene a noi è necessariamente la stessa via per cui noi
dobbiamo fare ritorno a Lui; essa non è lasciata né al nostro capriccio né alla
nostra scelta, ma ci è positivamente segnata da Dio stesso. Questa via l’ha
percorsa anzitutto Dio Trinità nel venire incontro all’uomo nell’opera della redenzione. Questa stessa via deve
percorrere la Chiesa ed ogni persona che a Dio Trinità desidera far ritorno nel
cammino di glorificazione.
Per
entrare nell’intimità della liturgia occorre pertanto ripercorrere questa «via
economica» che ha caratterizzato la rivelazione biblica ed ha intessuto
trinitariamente ogni espressione liturgica. Non va infatti dimenticato che il
Credo cristiano è una fede in un Dio Unico (monoteismo), anche se in tre
Persone uguali e distinte. Non va pertanto confuso con un tri-teismo (come ci
accusano i musulmani) quasi che noi adorassimo tre dèi. Il rischio è reale se
non si sta saldi nella fede cattolica (lex credendi) espressa nella sua
liturgia (lex orandi). Da qui la necessità di imparare lo stile del
pregare secondo la metodologia corretta della liturgia nella quale ogni
orazione è sempre rivolta a Dio Tri-Unico: al Padre, per Cristo, nello Spirito.
1.
La rivelazione
biblica.
La forte impronta cristologico-trinitaria del Nuovo Testamento si può così riassumere: ogni bene viene a noi dal Padre, per mezzo del suo Figlio incarnato, Gesù Cristo, nella presenza in noi dello Spirito Santo; e così nella presenza santificante dello Spirito Santo, per mezzo del Figlio incarnato, Gesù Cristo, ogni realtà fa ritorno al Padre.
Nella lettera agli Efesini
S. Paolo segue questo schema quando scrive: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con
ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo…predestinandoci ad essere suoi
figli adottivi per opera di Gesù Cristo secondo
il beneplacito della sua volontà… In lui anche voi…avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato
promesso, il quale è caparra della nostra eredità…a lode della sua gloria» (Ef 1,3-14). Più oltre, nella stessa
lettera, parlando della gratuità della salvezza che il Padre dona sia a Giudei
che Greci in Cristo, afferma: «Ma Dio, ricco di misericordia… ci ha fatti
rivivere con Cristo…Per mezzo di lui
possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al
Padre in un solo Spirito. Così dunque voi...avendo come pietra angolare lo
stesso Cristo Gesù…insieme con gli
altri venite edificati per diventare dimora di
Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2,5-6.18.22; cf anche Rm 8,3-17; 1 Cor
6,19-20).
La spontaneità con cui
S. Paolo scrive queste formule dimostra quanto chiara e comune fosse tra i
cristiani delle prime comunità la visuale cristologico-trinitaria, visuale che
si ritrova anche nelle catechesi degli Atti degli apostoli (cf At 5,30-32;
15,7-11) e ogniqualvolta ci si rivolge al Padre nella preghiera di azione di
grazie. L’adorazione, l’ammirazione, la gratitudine al Padre, passa attraverso
colui che è il Ponte(fice) sommo delle anime nostre, il Figlio Gesù Cristo,
nella presenza attiva in noi dello Spirito Santo: «siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con
salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il
vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore
nostro Gesù Cristo» (Ef 5,18-20).
Del resto questa era
stata anche l’esperienza orante di Gesù, il Figlio, quando benedice il Padre
mosso dalla gioia esultante dello Spirito Santo: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: Ti
rendo lode, o Padre…» (Lc 10,21-22). E alla donna Samaritana aveva
insegnato che era ormai giunto il momento in cui i veri adoratori avrebbero
adorato il Padre nello Spirito e nella Verità, perché il Padre cerca tali
adoratori (Gv 4,23): nello Spirito perché lo Spirito, principio della nuova
nascita (Gv 3,5), è anche principio del culto nuovo e spirituale (Rm
8,15.26-27; Ef 6,18; Giuda 20); nella Verità che è Cristo, unica Via che
conduce al Padre (Gv 14,6).
La rivelazione biblica
neotestamentaria presenta dunque la vita cristiana come icona e partecipazione
del rapporto interpersonale del Figlio con il Padre nello Spirito Santo; una
vita intessuta in una relazione interpersonale trinitaria: ogni bene di cui
siamo ricolmi deriva dalla pura bontà del Padre che costituisce Gesù Cristo, il
Figlio di Dio incarnato, quale grande ed insostituibile mediatore senza il
quale nessuno riceve alcunché dal Padre o può comunque avvicinarsi al Padre,
mentre senza lo Spirito, meritatoci da Cristo e mandatoci dal Padre, presente
ed abitante in noi, personalmente e con i suoi doni, nessuno sarebbe unito a
Cristo o potrebbe comunque raggiungere il suo fine ultimo che è, per mezzo di
Cristo, di ritornare al Padre.
Ed è sempre dalla
coscienza viva che tutto viene dal Padre, per mezzo del suo Figlio, Gesù
Cristo, nella presenza dello Spirito Santo, e che tutto ritorna e deve
ritornare al Padre, che il cristiano prende i motivi specifici più forti e
profondi che determinano la sua azione morale nelle diverse circostanze della
vita e nella lotta per il bene (cf Rm 8,1-18; 1 Cor 6,10-20).
2. La
tradizione dei Padri.
La
prospettiva biblica cristologico-trinitaria che permea la storia della salvezza
segna anche profondamente la coscienza religiosa delle prime comunità
cristiane. Descrivendo ai Corinzi la fondazione della Chiesa nel mondo,
Clemente Romano così scriveva nell’anno 96: «Gli Apostoli furono mandati a
portare la Buona Novella da Dio. Il Cristo viene dunque da Dio e gli
Apostoli da Cristo…confermati nella parola di Dio con la fiducia dello Spirito Santo» (1 Cor 42).
Anche
S. Ignazio d’Antiochia, con una immagine suggestiva, descrive l’edificazione
della vita cristiana come un’operazione congiunta della santa Trinità: «Voi
siete le pietre del tempio del Padre,
preparate per essere costruite in edificio a Dio Padre, innalzate fino alla
sommità per mezzo dell’argano di Gesù Cristo, che è la sua croce, con il cavo
dello Spirito Santo; la vostra fede poi è la leva che vi innalza, e la
carità è la strada che vi conduce a Dio» (Ef 9,1).
Verso
l’anno 155, dinanzi al rogo del suo martirio, S. Policarpo così conclude la sua
«eucaristia»: «Per questo e per tutti gli altri benefici ti rendo lode e
benedizione e gloria, per mezzo dell’eterno e celeste pontefice Gesù Cristo,
Figlio tuo diletto, per il quale e con il quale e per lo Spirito Santo, a Te
gloria sia ora e nei secoli futuri. Amen».
Tra
il 180 e il 199 S. Ireneo così formulava la legge di ogni ritorno a Dio. «E’
questa l’ordinazione e la disposizione per coloro che si salvano…; essi
avanzano per queste tappe: per lo Spirito Santo arrivano al Figlio e per il
Figlio salgono al Padre ».
Più
tardi, nei secoli IV e V, a seguito della polemica antiariana (negava la
divinità di Cristo) e delle lotte contro coloro che negavano la divinità dello
Spirito Santo, i Padri fanno ancora ricorso al movimento
cristologico-trinitario per riaffermare e difendere la fede neotestamentaria.
Come potremmo essere conformi alla natura divina, e quindi deificati, se lo
Spirito Santo che ci rende conformi al Verbo non fosse veramente Dio? Nessuna
creatura potrebbe mai farci partecipi della natura divina (cf 2 Pt 1,4). Nella
Lettera a Serapione, così scrive S. Atanasio: «Lo Spirito Santo è l’unguento
e il sigillo col quale il Verbo unge e segna tutto… Così segnati, giustamente
diventiamo partecipi della divina natura come dice Pietro, e così la natura
diventa partecipe del Verbo nello Spirito e per lo Spirito siamo partecipi di
Dio».
3. La
tradizione liturgica.
La liturgia è attuazione della Scrittura e della tradizione. La Lex orandi segue quindi il metodo
cristologico-trinitario nell’organizzare tutto il proprio impianto eucologico (le varie forme di preghiera
liturgica). Il Dio della liturgia non è semplicemente il Dio della sinagoga, né
il Dio dei filosofi, ma il Dio specificamente cristiano, il Dio Trinità. In
questo senso preciso si può dire che il culto del Dio uno non esiste nella
liturgia; essa adotta invece la visuale cristologico-trinitaria che consiste
nel mettere al primo piano dell’attenzione e della coscienza la distinzione reale
delle Persone (dal/al Padre, per Cristo, nello Spirito) mentre la loro unità di
natura è affermata solo in un secondo momento riflesso.
Tutto questo appare ben chiaro nelle varie espressioni della liturgia, a
partire dalla liturgia battesimale: la Chiesa battezza «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19),
in Dio Tri-Unico. I cristiani sono configurati a Cristo, figli nel Figlio, in
comunione con il Padre e con lo Spirito Santo. Da qui si comprende perché «Il mistero della Santissima Trinità è il
mistero centrale della fede e della vita cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC] 234; cf CCC 2157).
La stessa Chiesa si autocomprende come «un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo» (Lumen gentium 4b). A
partire da questa fede battesimale, non fa meraviglia che tutte le espressioni
di fede, come il Credo e il Gloria, e tutte le espressioni di lode e di
benedizione, come le orazioni, le dossologie, i prefazi, le preci eucaristiche,
siano di regola strutturate secondo un dinamismo trinitario: al Padre, per
Cristo, nello Spirito.
a. Le
orazioni.
La regola generale della tradizione antica è che l’orazione liturgica sia
diretta al Padre, per mezzo di Gesù Cristo, nella comunione dello Spirito
Santo. Era talmente forte questa regola nell’antichità che il concilio di
Ippona del 393, a cui assisteva come presbitero Agostino, nonostante il
pericolo dell’arianesimo, formulò tale regola in modo universale e assoluto nel
modo seguente: «Cum altari assistitur,
semper ad Patrem dirigatur oratio» (= Quando si celebra all’altare,
l’orazione deve essere rivolta sempre al Padre). Si vede qui la fedeltà al
messaggio del Nuovo Testamento (cf Col 3,16s; Ef 5,18s) e come la Chiesa sia
sempre intervenuta a salvaguardare l’ortodossia, la Lex credendi, espressa nella Lex
orandi.[2]
Ogni orazione, pertanto, si apre sempre con una «benedizione» rivolta al
Padre del quale si loda la bontà, la misericordia, l’onnipotenza, ecc. (es.: O Dio Padre buono e misericordioso…); a
questa benedizione iniziale fa seguito una breve «anamnesi», o memoriale di un
fatto storico-salvifico operato dal Figlio e che dà spunto all’odierna
celebrazione (es.: oggi in Cristo tuo
Figlio hai risollevato il mondo dalla sua caduta..); la terza parte
dell’orazione è costituita da una «epiclesi» la quale intercede dal Padre, per
mezzo del Figlio, il dono dello Spirito santificante perché possano attuarsi
qui-per-noi-oggi i frutti di quel mistero del quale abbiamo fatto memoriale
(es.: perché l’effusione del tuo Spirito
ci trasformi ad immagine della tua gloria).
La conclusione delle Orazioni può avere una forma breve (Per Cristo nostro Signore) oppure una
forma più lunga che si sviluppò in epoca antiariana per sottolineare la
divinità di Cristo e dello Spirito (Per il
nostro Signore Gesù Cristo che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello
Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli).
b.
Le dossologie.
Tipica dossologia (doxa = glorificazione; logos = parola) è quella che conclude la Prece eucaristica: «Per-con-in Cristo, a te Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli».
Termine ultimo della preghiera e della lode è dunque il Padre, prima origine di tutti i benefici. Il Figlio Gesù Cristo è il grande mediatore, il Ponte(fice); si va al Padre per mezzo suo (per), uniti a lui come sue membra (in), non senza di lui (con). Lo Spirito Santo è il santificatore, colui che a partire dalla risurrezione-pentecoste porta a compimento nella Chiesa l’opera della redenzione.[3]
La preghiera in forma di «dossologia» esprime dunque, meglio di ogni altra, la visuale cristologico-trinitaria del mistero cristiano così come ci viene suggerito dallo stesso S. Paolo: «A Dio che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo, la gloria nei secoli dei secoli» (Rm 16,27).
La
dossologia è un gioco di nascondimento e di svelamento: il Figlio si nasconde
nella carne per svelare il Padre e il Padre si nasconde nel silenzio per
mostrare il Figlio-Verbo (la Parola); Dio si nasconde nella croce per svelare
l’uomo a se stesso, e l’uomo si nasconde nella liturgia-dossologia per svelare
Dio all’uomo.
4. Indicazioni per la
prassi liturgico-pastorale.
Quale riscontro di quanto abbiamo brevemente esposto circa il duplice movimento della liturgia e la sua natura cistologico-trinitaria, sta il fatto incontestabile che mai è esistita una festa del Padre, come non c’è una festa del Figlio o una festa dello Spirito Santo.[4] Anche una festa della Trinità fu introdotta tardivamente nella Chiesa di Roma (a partire dal 1334), non senza resistenze (“Ogni domenica e ogni giorno noi celebriamo la Santa Trinità”, disse il Papa Alessandro III, al Vescovo di Terdon che ne chiedeva l’introduzione). Ogni festa è sempre celebrazione congiunta delle tre divine Persone.
Se dunque lo stile della Lex orandi, cioè del pregare liturgico, è sempre trinitario, così deve essere anche il modo di pregare di colui che presiede sia le azioni liturgiche sia i pii esercizi. Vi sono infatti numerosi spazi di «creatività liturgica» all’interno della stessa liturgia (basti pensare alle formule di introduzione e di conclusione della Preghiera dei fedeli) e ben maggiori ve ne sono nella pietà popolare e nei pii esercizi (basti pensare alle preghiere prima e dopo i pasti). Un corretto stile di preghiera, che dalla liturgia trae ispirazione, avrà pertanto sempre un movimento cristologico-trinitario: per Cristo, al Padre, nello Spirito.
Per Cristo: Tutta l’economia della salvezza trova il suo
senso nel Verbo incarnato, in quanto ne prepara la venuta o ne mostra il regno
presente sulla terra e in via di espansione fino alla seconda venuta che
concluderà il piano di Dio. Così il mistero di Cristo illumina tutto il
contenuto della liturgia. I diversi elementi - biblici, evangelici, ecclesiali,
umani e cosmici - che la liturgia deve assumere, spiegare, celebrare, prendono
tutto il loro senso in rapporto al Verbo incarnato.
Al Padre: Lo scopo supremo dell’incarnazione del Verbo e
di tutta l’economia della salvezza è quello di portare l’umanità al Padre. La
liturgia perciò, aiutando a penetrare sempre più profondamente il disegno di
amore del Padre, deve far comprendere che il senso ultimo della vita umana è
conoscere e amare Dio e glorificarlo facendo la sua volontà, come Cristo ci ha
insegnato con le parole e con l’esempio della sua vita, per giungere al
possesso della vita eterna.
Nello Spirito: L’intelligenza del mistero di Cristo e la via
al Padre ci vengono date nello Spirito Santo. Nel celebrare il contenuto del
messaggio cristiano, la liturgia deve sempre mettere in evidenza l’azione dello
Spirito Santo che conduce gli uomini alla comunione con Dio e tra loro e
all’impegno vitale.
Se la preghiera liturgia manca di questi tre elementi o trascura una
stretta connessione dei medesimi, il messaggio cristiano può davvero perdere il
carattere che gli è proprio.
Qualche esempio pratico, a mo’ di conclusione. Dobbiamo pregare
all’inizio di un pasto o ci viene richiesto di benedire un oggetto di devozione
(un rosario, una immagine); non abbiamo a portata di mano il Benedizionale; senza perderci d’animo si
metta in pratica la Lex orandi
completando con parole semplici e piene di fede i quattro passaggi tipici di
ogni orazione:
a.
benedizione al
Padre: Benedetto sii tu, o Padre, origine
e fonte di ogni benedizione, che ti compiaci della crescita spirituale dei tuoi
figli;
b. memoriale dell’opera salvifica del Figlio: nel mistero ineffabile del Cristo tuo Figlio, mite e umile di cuore, hai distrutto la morte e ci hai aperto la via dell’eterna salvezza;
c. epiclesi o invocazione dello Spirito Santo: effondi su di noi la potenza vivificante del tuo Santo Spirito perché faccia di noi l’immagine vivente del tuo amore invisibile.
d. dossologia: A te gloria e benedizione con lo Spirito Santo nella tua santa Chiesa per mezzo del Figlio tuo e Signore nostro ora e nei secoli dei secoli.
La struttura
cristologico-trinitaria della preghiera, il duplice movimento della liturgia,
collocano ogni nostra azione in tensione dialogica con la historia salutis, con la rivelazione fatta da Dio con parole ed
opere e culminata nel dono di Cristo e dello Spirito. «Con questa rivelazione
Dio invisibile (cf Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini
come ad amici (cf Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf Bar
3,38)» (DV 2). «Quando preghiamo parliamo a Lui; Lui ascoltiamo quando leggiamo
gli oracoli divini» (DV 25). Il dialogo della nostra salvezza è fatto dunque di
ascolto e di lode; se nell’ascolto Dio parla a noi come ad amici, nella lode
noi come figli «per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo
abbiamo accesso al Padre e siamo resi partecipi della divina natura (cf Ef
2,18; 2 Pt 1,4)» (DV 2).
Paolo Giglioni
Dicembre 1999
[1] Anche il decreto sull’ecumenismo, parlando della tradizione liturgica e spirituale degli Orientali che si esprime soprattutto nella celebrazione eucaristica, dice che attraverso tale celebrazione i fedeli «hanno accesso al Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità» (Unitatis redintegratio 15).
[2] Questa
espressione, attribuita a Prospero di Aquitania (390-460), significa: «La legge
(= norma) del pregare stabilisce la legge del credere»; la fede regola la
preghiera e la preghiera regola la fede; se si prega bene, e soprattutto con
contenuti esatti, anche la fede sarà salda e senza eresie.
[3] Mai nella Liturgia allo Spirito Santo è attribuita un’opera di mediazione; per il semplice motivo che Mediatore è solo colui che si è incarnato, il Figlio, divenendo così strumento, con la sua umanità assunta, della nostra redenzione. Diceva S. Atanasio: «nessuna realtà è redenta se non viene assunta»; solo Colui che assume la nostra realtà umana è nostro Redentore, in obbedienza al Padre che vuole che tutti siano salvati (1 Tm 2,4) ed in comunione con lo Spirito santificatore.
[4] La Pentecoste non è la festa dello Spirito Santo, allo stesso modo che il Natale non è la festa del Figlio. Ogni festa è sempre celebrazione dell’iniziativa salvifica del Padre, attuata nel mistero di incarnazione-morte-risurrezione del Figlio, prolungata nel tempo dall’azione santificante dello Spirito.