BIBBIA
E LITURGIA
Proseguendo
nella lettura corsiva della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium,
siamo arrivati a spiegare quella parte delle Norme generali che si
occupano di assicurare al popolo cristiano un maggiore accesso all’abbondante
tesoro di grazie che la sacra Liturgia racchiude. Questo tesoro di grazie è
costituito non solo dall’Eucarestia e dai Sacramenti, ma anche dalla Parola di
Dio: la Chiesa infatti non cessa mai di
nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo
di Cristo, e di porgerlo ai fedeli (Dei Verbum 21).
Il
rapporto vitale esistente tra Bibbia e Liturgia ha trovato grande spazio
nel Vaticano II, sia nelle norme riguardanti la riforma liturgica (Sacrosanctum
Concilium=SC), sia in quelle dedicate alla dottrina sulla divina
Rivelazione e alla sua trasmissione nella Chiesa (Dei Verbum=DV). E’
opportuno ricercare in queste due «Costituzioni» l’importanza e il ruolo
derivante dalla reciproca sinergia tra Bibbia e Liturgia.
La
fine di un esilio.
Possiamo
dire che il Vaticano II ha messo in atto quella che è stata chiamata «la fine
dell’esilio della Parola», intesa come recupero sostanziale della presenza
della Scrittura nell’azione liturgica e della conoscenza «soave e viva» di
questa stessa Parola (SC 24). Più che un semplice aumento della «quantità»
della Scrittura, la riforma del Vaticano II ha mirato soprattutto ad una
presenza di «qualità» della Parola di Dio nel cuore e nella vita dei credenti
(cf Lc 2,19.51; DV 8), ad una sua profonda accoglienza, intelligenza,
conoscenza, esperienza. Alla Chiesa, e quindi a ciascuno di noi, è infatti
richiesto, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, di «ascoltare piamente,
custodire santamente, esporre fedelmente la Parola» (DV 10) affinché per
l’annunzio della salvezza il mondo intero «ascoltando creda, credendo speri,
sperando ami» (S. Agostino; DV 1).
La
Bibbia nella Liturgia
Tra
le Norme generali che devono guidare la riforma della sacra Liturgia, un
paragrafo è dedicato proprio a «Bibbia e Liturgia» con queste parole: «Massima
è l'importanza della sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa
infatti vengono tratte le letture da spiegare nell'omelia e i salmi da cantare,
del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni
liturgici, e da essa prendono significato le azioni e i segni. Perciò, per
favorire la riforma, il progresso e l'adattamento della sacra Liturgia, è
necessario che venga promossa quella soave e viva conoscenza della sacra
Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione dei riti sia orientali
sia occidentali» (SC 24).
Poco
oltre, tra le norme derivanti dalla natura didattica della Liturgia, Sacrosanctum
Concilium torna a parlare della presenza della Bibbia nella Liturgia:
«Affinché risulti evidente che, nella Liturgia, rito e parola sono intimamente
connessi: 1) Nelle sacre celebrazioni, la lettura della sacra Scrittura sia più
abbondante, più varia e più adatta» (SC 35).
Trattando
poi della riforma della Liturgia eucaristica, la stessa Costituzione richiama
l’esigenza di una maggiore ricchezza biblica nella Messa: «Affinché la mensa
della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano
aperti più largamente i tesori della Bibbia, di modo che, in un determinato
numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della sacra
Scrittura» (SC 51).
Anche
per la riforma della Liturgia delle Ore si dice: «La lettura della sacra
Scrittura sia ordinata in modo che i tesori della parola divina siano
accessibili più facilmente e in maggior ampiezza» (SC 92a).
Data
l’importanza di questa «fonte», di questa «mensa» (sono le
immagini più ricorrenti per indicare la sorgente biblica da cui la Liturgia
attinge le sue principali risorse) anche i «testi destinati al canto sacro siano conformi alla
dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e
dalle fonti liturgiche» (SC 121).
Il
motivo, il fondamento di tale importanza, sta nel fatto che Cristo stesso è
«sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche» (SC
35): «E' presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa
si legge la sacra Scrittura» (SC 7), «Nella Liturgia, infatti, Dio parla al suo
popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo» (SC 33).
Dalla
raccolta di queste varie citazioni è possibile avere un quadro d’insieme del
desiderio della riforma conciliare, intesa come una triplice acquisizione:
offrire con maggiore abbondanza, più varietà, migliore scelta, la mensa della
Parola; favorire una soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura; tradurre i
testi nella lingua del popolo, senza emarginare la lingua latina (SC 36).
La
Bibbia nella vita della Chiesa.
Dicevamo
che, oltre alla Costituzione liturgica, anche la Costituzione dogmatica Dei
Vebum sulla divina Rivelazione contiene numerosi riferimenti al binomio
vitale Bibbia e Liturgia.
Parlando
della venerazione che la Chiesa ha sempre dato alle divine Scritture, Dei
Verbum dice che il motivo di tale venerazione sta nel fatto che anche le
Scritture sono il Corpo «sacramentale» di Cristo come lo è l’Eucaristia; Parola
e Pane sono lo stesso Corpo di Cristo che viene offerto in nutrimento ai
fedeli. Da qui l’espressione dei Padri sulla duplice mensa: la mensa della
Parola (l’ambone) e la mensa del Pane (l’altare). Ambone ed altare (e il fonte
battesimale) sono oggi il luogo santo, il seno verginale della Chiesa, dove,
per opera dello Spirito Santo (epiclesi), il Verbo continua a donare la
sua vita e a dare il potere di diventare figli di Dio. Con la stessa sollecitudine
con cui si offre il Pane eucaristico, deve essere offerto anche «l’alimento
delle Scritture, che illumini la mente, corrobori le volontà, accenda i cuori
degli uomini all’amore di Dio» (Pio XII citato in DV 23).
L’importanza
della mensa della Parola nell’azione liturgica è oggi così rilevante che non è
semplicemente concepibile un’azione sacramentale senza che alla Liturgia del
Sacramento sia premessa la Liturgia della Parola. A proposito della
celebrazione eucaristica si dice: «La Messa è costituita da due parti, la
“Liturgia della Parola” e la “Liturgia eucaristica”; esse sono così
strettamente congiunte tra di loro da formare un unico atto di culto. Nella
Messa infatti, viene imbandita tanto la mensa della Parola di Dio quanto la
mensa del Corpo di Cristo, perché i fedeli ne ricevano istruzione e nutrimento»
(Principi e Norme del Messale Romano=PNMR 8). Senza escludere la
lettura privata e lo studio assiduo della Scrittura, la proclamazione liturgica
è il luogo privilegiato dove i fedeli possono attingere «le sovrabbondanti
ricchezze della Parola divina» (DV 25). L’Omelia svolge a questo proposito un
servizio particolare a patto che coloro che offrono al popolo di Dio questa
«prima carità» siano loro per primi nutriti della «sublime scienza di Gesù Cristo»
(Fil 3,8) affinché non diventi «vano predicatore della Parola di Dio
all’esterno colui che non l’ascolta di dentro» (S. Agostino citato in DV 25).
Più
che termine di venerazione, la Chiesa guarda dunque alle Scritture come
«nutrimento e regola» della fede. «Nella Parola di Dio poi è insita tanta
efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli
della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne
della vita spirituale» (DV 21). Pertanto «E’ necessario che i fedeli abbiano
largo accesso alla Sacra Scrittura» della quale devono essere approntate con
sollecitudine appropriate e corrette traduzioni dai testi originali nelle varie
lingue (DV 22).
Venerazione
e culto
A
motivo della reale presenza di Cristo, dell’importanza e della dignità per la
vita dei fedeli, Pane e Parola ricevono la stessa venerazione, anche se non lo
stesso culto[1] nella
Liturgia della Chiesa: sono portati processionalmente, ricevono l’omaggio
dell’incenso, sono trattati con onore e rispetto come segno sacramentale della
divina presenza (SC 7). Anzi, il Concilio auspica che la lettura, lo studio, il
culto della divina Parola riempia sempre più il cuore degli uomini: «Come
dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della
Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla sua vita spirituale
dall’accresciuta venerazione della Parola di Dio, che “permane in eterno” (Is
40,8; 1 Pt 1,23-25)» (DV 26).
Ambone
e altare.
Lo
stretto rapporto esistente tra mensa della Parola e mensa del Pane, tra ambone
e altare, tra Bibbia e Liturgia, ci impegna ad una verifica non solo quanto al
culto e alla venerazione di questi due luoghi santi, ma anche alla loro
concreta disposizione, ornamento, funzionalità.
L’ambone (dal greco anabáinein = salire)
è il luogo sopraelevato dal quale si proclamano le Scritture. L’Introduzione
al Lezionario (OLM) così parla dell’ambone: «Nell’ambiente della chiesa
deve esserci un luogo elevato, stabile, ben curato e opportunamente decoroso,
che risponda insieme alla dignità della parola di Dio, suggerisca chiaramente
ai fedeli che nella Messa viene preparata la mensa sia della Parola di Dio che
del Corpo di Cristo, e infine sia adatto il meglio possibile a facilitare
l’ascolto e l’attenzione dei fedeli durante la liturgia della Parola. Si deve
pertanto far sì che, secondo la struttura di ogni singola chiesa, l’ambone si
armonizzi architettonicamente e spazialmente con l’altare.
L’ambone,
tenuta presente la sua struttura, venga sobriamente ornato in modo stabile o in
determinate occasioni, specialmente nei giorni solenni. Poiché l’ambone è il
luogo dal quale viene proclamata dai ministri la Parola di Dio, deve essere
riservato, per sua natura, alle letture, al salmo responsoriale e al preconio
pasquale. Si possono tuttavia proferire dall’ambone l’omelia e la preghiera dei
fedeli, data la strettissima relazione di queste parti con tutta la liturgia
della Parola. È invece meno opportuno che salgano all’ambone altre persone, per
esempio il commentatore, il cantore o l’animatore del canto.
Perché
l’ambone possa servire in modo adeguato alle celebrazioni, abbia una certa
ampiezza, giacché talvolta vi debbono stare più ministri insieme. Si deve
inoltre curare che i lettori dispongano sull’ambone di una illuminazione
sufficiente per la lettura del testo e possano servirsi, secondo l’opportunità,
dei moderni mezzi tecnici perché i fedeli li possano comodamente sentire. (OLM
32-34; cf PNMR 272; SC 96 )
«L’ambone è
il luogo proprio della Parola di Dio. La sua forma sia correlata all’altare,
senza tuttavia interferire con la priorità di esso; la sua ubicazione sia
pensata in prossimità all’assemblea (anche non all’interno del presbiterio,
come testimonia la tradizione liturgica) e renda possibile la processione con
l’Evangeliario e la proclamazione pasquale della Parola. Sia conveniente per
dignità e funzionalità, disposto in modo tale che i ministri che lo usano
possano essere visti e ascoltati dall’assemblea.
Un leggio
qualunque non basta: ciò che si richiede è una nobile ed elevata tribuna
possibilmente fissa, che costituisca una presenza eloquente, capace di far
riecheggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando.
Accanto
all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale» (CEI,
La progettazione di nuove chiese [18.02.1993] n. 9, in EnchiridionCEI
05, n.1344).
L’altare. (forse dal latino adolēre
= far bruciare) è la tavola del sacrificio. «L’altare, sul quale si rende
presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del
Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è
convocato per la messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si
compie con l’Eucaristia» (PNMR 259)
«L’altare è il punto centrale per tutti i fedeli, è il polo della
comunità che celebra. Non è un semplice arredo, ma il segno permanente del
Cristo sacerdote e vittima, è mensa del sacrificio e del convito pasquale che
il Padre imbandisce per i figli nella casa comune, sorgente e segno di unità e
carità.
Dovrà pertanto
essere ben visibile e veramente degno; a partire da esso e attorno ad esso
dovranno essere pensati e disposti i diversi spazi significativi.
Sia unico e
collocato nell’area presbiteriale, rivolto al popolo e praticabile tutto
all’intorno.
Si ricordi che, pur proporzionato all’area presbiteriale in cui è
situato, l’altare assicura la funzione di «focalità» dello spazio liturgico
solo se è di dimensioni contenute. L’altezza del piano della mensa sia di circa
90 cm rispetto al pavimento, per facilitare il compito dei ministri che vi
devono svolgere i propri ruoli celebrativi. Sull’altare non si devono collocare
né statue né immagini di santi. Durante la dedicazione si può riporre un cofano
con reliquie autentiche di martiri o altri santi, non inserendole nella mensa,
ma sotto di essa.
Secondo l’uso
tradizionale e il simbolismo biblico, la mensa dell’altare fisso sia
preferibilmente di pietra naturale.
Tuttavia, per
la mensa, come pure per gli stipiti e la base che la sostiene, si possono usare
anche altri materiali, a patto che siano convenienti per la qualità e la
funzionalità all’uso liturgico (CEI, La progettazione di nuove chiese
[18.02.1993] n.8, in EnchiridionCEI 05, n.1342-1343).
Paolo Giglioni, Gennaio 2001 Bibbia
e Liturgia-VCC21
Per un
approfondimento del tema:
CEI,
Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi, La Bibbia
nella vita della Chiesa [18.11.1995], in Il Regno-documenti 1 (1996)
21-30;
CEI,
Ufficio Catechistico Nazionale, Incontro alla Bibbia. Breve introduzione
alla Sacra Scrittura per il cammino catechistico degli adulti, Libreria
Editrice Vaticana 1996.
[1] «La stessa venerazione, anche se non lo stesso culto» (cf OLM 10). Infatti: la presenza reale è la stessa, ma non allo stesso modo; nell’Eucaristia il modo della reale presenza è «sostanziale, permanente, tutto e intero», il pane e il vino diventano il corpo e il sangue di Cristo; per cui il culto eucaristico è un culto di «latria», il culto dovuto all’Emmanuele, il Dio con noi. Non altrettanto si può dire della Parola.