I COSTUMI DELLA CHIESA CATTOLICA

E I COSTUMI DEI MANICHEI

Sant’Agostino

 

LIBRO PRIMO

I costumi della Chiesa cattolica

Come replicare alle invettive dei Manichei.

1. 1. Credo di aver mostrato a sufficienza in altri libri come possiamo replicare alle invettive con le quali i Manichei si scagliano in modo maldestro ed empio contro la Legge chiamata Antico Testamento e di cui fanno vana ostentazione tra gli applausi degli ignoranti. Ma posso ricordarlo in breve anche qui. Chiunque, per quanto sia di scarso ingegno, capisce facilmente che l’esposizione delle Scritture va richiesta a coloro che se ne professano maestri. Può capitare infatti, anzi capita sempre, che molte delle cose che agli indotti sembrano assurde, se sono esposte da persone più dotte, appaiono tanto degne di lode e, una volta chiarite, vengono accolte con tanto maggiore gradimento quanto più difficile era chiarirle quando non erano tali. Ciò accade comunemente per i santi libri dell’Antico Testamento, purché colui che se ne sente urtato cerchi un pio maestro piuttosto che un empio laceratore di questi libri e sia mosso più dallo zelo del ricercatore che dalla temerità del censore. Supponiamo poi che, desiderando apprendere queste cose, si imbatta per caso in vescovi o sacerdoti o simili responsabili e ministri della Chiesa cattolica, i quali o si guardano dallo svelare a chiunque i misteri o, contenti di una fede semplice, non si curano di conoscere le cose più alte. Non per questo disperi di trovare la scienza della verità laddove non tutti gli interrogati sono capaci di insegnarla e non tutti gli interroganti sono degni di apprenderla. Occorre pertanto usare diligenza e pietà: con l’una si troveranno coloro che sanno, con l’altra si meriterà di sapere.

I due artifici dei Manichei.

1. 2. Ma due soprattutto sono gli artifici con i quali i Manichei raggirano gli imprudenti per attirarli alla loro scuola: uno è quello di criticare le Scritture, che o intendono male o vogliono che siano intese male; un altro è quello di ostentare l’apparenza di una vita pura e di specchiata continenza. Questo libro conterrà ciò che pensiamo, in conformità con la disciplina cattolica, relativamente alla vita e ai suoi costumi : da esso forse si capirà quanto sia facile simulare la virtù e quanto sia difficile possederla. Se posso, seguirò la regola di non scagliarmi contro i loro vizi, peraltro a me ben noti, con lo stesso accanimento con il quale essi si scagliano contro ciò che ignorano, poiché, se possibile, voglio che guariscano piuttosto che far loro guerra. Quanto alle Scritture, mi servirò delle testimonianze che sono costretti ad ammettere, cioè di quelle del Nuovo Testamento, del quale tuttavia non proporrò nessuno dei passi che, quando sono messi alle strette, hanno l’abitudine di dire che sono stati interpolati, ma citerò soltanto quelli che sono obbligati ad approvare e lodare. Inoltre, non farò menzione di alcuna testimonianza tratta dalla disciplina apostolica che non mi sarà possibile mettere a confronto con l’equivalente del Vecchio Testamento, affinché, se vorranno finalmente destarsi, una volta che abbiano smesso di perseverare nei loro sogni, e aspirare alla luce della fede cristiana, si rendano conto che non è affatto cristiana la vita che ostentano e che appartiene solo a Cristo la Scrittura che lacerano.

Metodo: autorità e ragione.

2. 3. Da dove, dunque, comincerò? Dall’autorità o dalla ragione? L’ordine naturale vuole che, nell’apprendere qualcosa, l’autorità preceda la ragione. Invero, può sembrare debole la ragione che, non appena concessa, ricorre subito all’autorità per affermarsi. Ma poiché le menti umane, offuscate dalla consuetudine delle tenebre che le avvolgono nella notte dei peccati e dei vizi, non sono in grado di fissare lo sguardo nello splendore e nella purezza della ragione; perciò, molto opportunamente si è provveduto che fosse l’autorità, come obnubilata dai rami dell’umana natura, a guidare il loro sguardo esitante verso la luce della verità. Dal momento però che abbiamo a che fare con uomini che in ogni cosa pensano, parlano e agiscono contro l’ordine e, soprattutto, non sanno dire se non che, in primo luogo, bisogna rendere ragione, mi adeguerò al loro costume, accettando nel discutere un procedimento che, lo confesso, ritengo errato. Trovo piacere infatti ad imitare, per quanto posso, la mansuetudine del mio Signore Gesù Cristo, che prese su di sé il male stesso della morte, del quale voleva liberarci.

La felicità consiste nel godere del bene supremo.

3. 4. Cerchiamo dunque mediante la ragione in che modo l’uomo debba vivere. Di certo tutti vogliamo vivere felici e nel genere umano non c’è nessuno che non dia il proprio assenso a questa proposizione, prima ancora che sia completamente formulata. Ma, a parer mio, felice non si può dire né chi non ha ciò che ama, qualunque cosa essa sia, né chi ha ciò che ama, se gli nuoce, né chi non ama ciò che ha, anche se è un’ottima cosa. Infatti chi desidera quello che non può ottenere, si tormenta; chi ha ottenuto quello che non si deve desiderare, sbaglia; chi non desidera quello che si deve ottenere, è un povero malato. Ma nessuna di queste eventualità capita all’animo senza renderlo infelice; e poiché la miseria e la felicità abitualmente non stanno insieme in un medesimo uomo, nessuno di costoro dunque è felice. Resta, se ben vedo, una quarta ipotesi relativamente a dove si può trovare la felicità, e questa si dà quando ciò che costituisce il bene supremo dell’uomo è amato e posseduto. Che altro infatti significa ciò che chiamiamo godere, se non possedere ciò che si ama? Ora, nessuno è felice se non gode del bene supremo dell’uomo, e chiunque ne gode, non può non essere felice. Se pensiamo pertanto di essere felici, dobbiamo essere in possesso del nostro bene supremo.

Condizioni richieste dal bene dell’uomo.

3. 5. Cerchiamo quindi in cosa consista il bene supremo dell’uomo, che di certo non può essere inferiore all’uomo stesso. Senza dubbio chiunque segue ciò che è inferiore alla propria natura, inevitabilmente diviene egli stesso inferiore. Ma è necessario che ognuno segua il bene supremo. Il bene supremo dell’uomo dunque non è inferiore all’uomo. Consisterà forse in qualche cosa di simile a ciò che è l’uomo in se stesso? Certamente, se non esiste niente di superiore all’uomo di cui egli possa godere. Se invece troviamo qualche cosa che è più eccellente dell’uomo e che può essere posseduto da lui, che l’amerà, chi dubiterà che, per essere felice, egli non debba sforzarsi di tendere a tale bene, manifestamente superiore a lui stesso che vi tende? D’altro canto, se essere felice consiste nel pervenire a quel bene rispetto al quale non può essercene uno superiore, allora tale bene è quello che chiamiamo supremo. Ma, finalmente, come può essere incluso in questa definizione colui che al suo bene supremo non è ancora pervenuto? O, in che modo è il bene supremo, se c’è qualche cosa di più alto a cui si può pervenire? Se dunque esiste, deve essere di tale natura che non è possibile perderlo contro la propria volontà, poiché nessuno è disposto a confidare in un tale bene, sapendo che può essergli strappato, ancorché voglia conservarlo e tenerlo ben stretto. Ma chi non confida nel bene di cui gode, potrà essere felice con tanto timore di perderlo?.

Qual è il bene supremo dell’uomo.

4. 6. Cerchiamo dunque quel che è meglio per l’uomo. Senza dubbio è difficile trovarlo, se prima non si è considerato e chiarito che cosa sia l’uomo stesso. Non penso che ora ci si aspetti da me una definizione dell’uomo. Ma, dal momento che quasi tutti ammettono o di certo - e ciò è sufficiente - io e quelli con i quali sto ragionando conveniamo che siamo composti di anima e di corpo, mi sembra piuttosto che qui si debba chiedere che cosa è l’uomo in se stesso: se l’una e l’altra di queste due cose che ho nominato o il solo corpo o la sola anima. Quantunque infatti l’anima e il corpo siano due e nessuno dei due si chiamerebbe uomo in assenza dell’altro (infatti né il corpo è un uomo se manca l’anima, né l’anima a sua volta è un uomo se essa non dà vita al corpo), tuttavia può capitare che uno dei due sia considerato come l’uomo e tale sia chiamato. Che intendiamo dunque per uomo? L’anima e il corpo a modo di biga o di centauro, o il solo corpo, in quanto è ad uso dell’anima che lo regge, come appunto chiamiamo lucerna non l’insieme della fiamma e del vasetto ma il vasetto soltanto, sebbene in ragione della fiamma? Oppure significhiamo che l’uomo non è altro che l’anima, ma per la ragione che regge il corpo, al modo stesso che chiamiamo cavaliere non il cavallo e l’uomo insieme, ma l’uomo soltanto, tuttavia a motivo del fatto che è capace di guidare il cavallo? È difficile decidere su questa controversia; oppure, se è facile per la ragione, richiede un lungo discorso e ora non c’è la necessità di sobbarcarsene la fatica e di subirne il ritardo, perché, comunque sia e cioè che il nome di uomo si addica ad entrambi, o al corpo soltanto, o all’anima soltanto, il bene supremo del corpo non è il bene supremo dell’uomo. Quello bensì che è il bene supremo del corpo e dell’anima insieme o dell’anima soltanto, tale è il bene supremo dell’uomo.

L’anima è il bene supremo del corpo.

5. 7. Se invece cerchiamo quale sia il bene supremo del corpo, una ragione certa ci spinge ad ammettere che risiede in ciò per cui il corpo è nella migliore condizione possibile. Ma di tutte le cose che giovano alla sua vita nessuna è migliore e più eccellente dell’anima. Sicché il bene supremo del corpo non è il piacere, non l’assenza di dolori, non la forza, non la bellezza, non l’agilità, né alcun’altra delle qualità che siamo soliti enumerare tra i beni del corpo, ma solamente l’anima. Con la sua presenza essa infatti conferisce al corpo tutte le qualità enumerate e la vita stessa che tutte le supera. Non per questo però mi pare che l’anima costituisca il bene supremo dell’uomo, sia che per uomo si intenda l’anima e il corpo insieme sia l’anima da sola. Come infatti la ragione ravvisa il bene supremo del corpo in ciò che è migliore del corpo e che gli dà vigore e vita, così, che l’uomo consista nel corpo e nell’anima o nell’anima da sola, bisogna trovare, se mai esiste, qualcosa che supera l’anima e che, qualora essa la segua, la faccia diventare ottima, per quanto è possibile nel suo genere. Tale cosa, se riusciremo a trovarla, sarà senza dubbio quella che, rimosse tutte le esitazioni, dovremo giustamente chiamare il bene sommo dell’uomo.

5. 8. Ovvero, se il corpo è l’uomo, non posso non ammettere che l’anima stessa costituisce il bene supremo dell’uomo. Senonché, quando si tratta di costumi e vogliamo conoscere quale condotta di vita occorre tenere per raggiungere la felicità, non si danno precetti né si cerca una disciplina per il corpo. Insomma, relativamente ai buoni costumi, bisogna far intervenire quella parte di noi che indaga e apprende, operazioni, queste, proprie dell’anima. Non è dunque in gioco il corpo quando ci affanniamo per ottenere la virtù. Ne consegue perciò, come avviene di fatto, che il corpo stesso è diretto molto meglio e in modo più onesto quando è diretto da un’anima che possiede la virtù e la condizione è tanto più eccellente quanto più lo è quella dell’anima che governa se stessa secondo una giusta legge. E allora il bene supremo dell’uomo sarà ciò che rende l’anima eccellente, anche se chiamiamo uomo il corpo. Dunque, se il cocchiere, che è ai miei ordini, nutre e guida con assoluta maestria i cavalli ai quali è preposto e, per quanto lo riguarda, gode della mia liberalità quanto più mi è obbediente, chi potrà negare che non solo lui ma anche i cavalli debbano a me la loro eccellente condizione? Pertanto, che l’uomo sia o il solo corpo o la sola anima o che sia l’uno e l’altra insieme, a mio avviso si deve cercare soprattutto ciò che rende ottima l’anima. Infatti, una volta conseguito questo bene, è impossibile che l’uomo non stia ottimamente o, di certo, molto meglio che se esso solo gli mancasse.

Dio è il bene supremo dell’anima.

6. 9. Nessuno poi metterà in dubbio che è la virtù a rendere l’anima perfetta. Però molto giustamente si può chiedere se questa virtù possa esistere anche per se stessa oppure soltanto nell’anima. Ne nasce di nuovo una questione molto profonda e che richiede un lunghissimo discorso. Ma forse me la caverò, e non male, con queste poche parole. Dio, spero, mi assisterà perché, per quanto la mia debolezza lo consente, esponga cose tanto grandi non solo con lucidità, ma anche con brevità. Infatti, checché ne sia di queste due eventualità, o che la virtù possa essere per se stessa senza l’anima o che non possa essere che nell’anima, indubbiamente l’anima segue qualcosa per acquistarla e cioè o la stessa anima o la virtù o una terza cosa. Ma, se per acquistare la virtù segue se stessa, segue qualcosa di stolto, giacché tale è essa prima di avere acquistato la virtù. Ora, l’auspicio più grande di chi cerca è di conseguire ciò che cerca. Pertanto, o l’anima non desidererà raggiungere ciò che cerca - ipotesi rispetto alla quale non si può dire niente di più assurdo e di più strano - oppure, seguendo se stessa che è stolta, raggiungerà proprio quella stoltezza che vuole evitare. Se poi segue la virtù con il desiderio di acquistarla, come può seguire ciò che non esiste o come può desiderare di acquistare ciò che ha? Sicché o la virtù è fuori dell’anima oppure, se non piace chiamare virtù lo stesso abito e quasi qualità propria dell’anima sapiente (qualità che non può sussistere che nell’anima), bisogna che l’anima segua qualche altra cosa da cui derivi la propria virtù. Perciò, a mio giudizio, essa non può pervenire alla sapienza né andando dietro a nulla né seguendo la stoltezza.

6. 10. Dunque questa terza possibilità, seguendo la quale l’anima consegue la virtù e la sapienza, è o l’uomo sapiente o Dio. Ora, sopra si è detto che deve essere tale che non possiamo perderla contro la nostra volontà. Ebbene, supposto che riteniamo sufficiente seguire l’uomo sapiente, chi esita a pensare che ci può essere tolto non solo senza il nostro consenso, ma anche malgrado la nostra opposizione? Dunque non resta altro che Dio: seguendolo, viviamo bene; possedendolo, viviamo non solo bene, ma anche felicemente. Se taluni negano che esista, con quali discorsi penserò di persuaderli, quando non so neppure se si debba ragionare con loro? Poniamo tuttavia che sia opportuno; allora bisognerà ricorrere a tutt’altro principio, a tutt’altro ragionamento e a tutt’altro cammino rispetto a quello seguito fin qui. Ora, peraltro, ho a che fare con uomini che ammettono l’esistenza di Dio e non solo questo, ma riconoscono anche che egli non trascura le cose umane. Non vedo, in effetti, come possa essere chiamato in qualche modo religioso chi esclude che la divina provvidenza abbia cura almeno delle nostre anime.

La ragione conduce a Dio, ma solo la fede consente all’uomo di penetrare nella sua saggezza.

7. 11. Ma come seguiamo colui che non si vede? O come lo vediamo noi che siamo non solo uomini, ma uomini stolti? Sebbene infatti si scorga con la mente e non con gli occhi, quale mente da ultimo si può trovare idonea, coperta come è da una nube di stoltezza, ad attingere quella luce o anche solo a tentare di farlo? Conviene dunque ricorrere agli insegnamenti di coloro che, con ogni probabilità, sono stati dei sapienti. Fin qui è stato possibile condurre la ragione, in quanto procedeva nelle cose umane più con la sicurezza del costume che con la certezza della verità. Ma, una volta pervenuta alle cose divine, rivolge altrove lo sguardo: non può riguardarle, palpita, si infiamma, brucia d’amore, è abbagliata dalla luce della verità e ritorna, non per sua scelta ma per spossatezza, alle sue tenebre abituali. A questo punto c’è da temere, come da tremare, che l’anima non si procuri una debolezza maggiore proprio laddove, sfinita, cerca riposo. A noi, dunque, bramosi di rifugiarci nelle tenebre, ci venga in aiuto, per dispensazione dell’ineffabile sapienza, quella opacità dell’autorità, invitandoci a godere le sue ombre con gli eventi meravigliosi e le parole dei libri santi, quasi segni più temperati della verità.

Le verità della fede.

7. 12. Che si sarebbe potuto fare di più per la nostra salvezza? Che cosa di più benefico, di più generoso della divina provvidenza si sarebbe potuto immaginare? Essa non ha abbandonato affatto l’uomo allontanatosi dalle sue leggi e divenuto a buon diritto e meritatamente, per cupidigia di cose mortali, propagatore di una stirpe mortale. Quel giustissimo potere, infatti, operando con modi mirabili e incomprensibili, attraverso certe misteriose successioni delle cose a lui sottomesse, in quanto le ha create, esercita sia la severità del castigo sia la clemenza del perdono. Quanto ciò sia bello, grande, degno di Dio, e infine quanto sia il vero che cerchiamo, di certo noi non potremo mai comprenderlo se, cominciando dalle cose umane e più vicine, avendo fede nella vera religione e rispettando i suoi precetti, non seguiremo la via che Dio ha aperto per noi con la scelta dei Patriarchi, con il vincolo della legge, con il vaticinio dei Profeti, con il mistero dell’uomo incarnato, con la testimonianza degli Apostoli, con il sangue dei martiri e con la conversione delle genti. Per questo nessuno mi chieda più la mia opinione: piuttosto ascoltiamo gli oracoli e sottomettiamo i nostri meschini ragionamenti alle parole divine.

Dio è il sommo bene a cui si deve tendere con il più grande amore.

8. 13. Vediamo come il Signore stesso nel Vangelo ci ha ordinato di vivere e come anche l’apostolo Paolo; sono queste infatti le Scritture che essi non osano condannare. Ascoltiamo dunque quale bene finale tu, o Cristo, ci prescrivi: non c’è dubbio, sarà quello a cui ci comandi di tendere con il più grande amore. Sta scritto: Amerai il Signore Dio tuo 1. Dimmi anche, te ne prego, la misura di questo amore; temo infatti di essere infiammato dal desiderio e dall’amore del mio Signore più o meno di quanto sia necessario. Con tutto il tuo cuore, dice; ma non basta. Con tutta la tua anima; ma non basta neppure questo. Con tutta la tua mente. Che si vuole di più? Lo vorrei forse, se vedessi che vi può essere dell’altro. E che cosa aggiunge Paolo a queste parole? Noi sappiamo, egli dice, che tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio 2. Che dica anche lui la misura dell’amore. Chi dunque, dice, ci separerà dalla carità di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 3. Abbiamo udito ciò che si deve amare e in quale misura: vi dobbiamo tendere assolutamente, vi dobbiamo riportare tutte le nostre determinazioni. Dio è per noi la somma dei beni, Dio è per noi il bene sommo. Non dobbiamo rimanere al di sotto, né cercare al di sopra, perché al di sotto c’è il pericolo, al di sopra il nulla.

L’A. e il N. Testamento concordano sui precetti della carità.

9. 14. Su via, ora ricerchiamo o, piuttosto, giacché la cosa è a portata di mano e si può vedere molto facilmente, prestiamo attenzione se questi pensieri tratti dal Vangelo e dall’Apostolo concordano anche con l’autorità dell’Antico Testamento. Che dirò del primo, tratto, come è a tutti noto, dalla legge data attraverso Mosè? Vi è scritto infatti: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 4. Questo passo dell’Antico Testamento poi lo potrei mettere a confronto con ciò che è detto dall’Apostolo, come egli stesso mi suggerisce, evitandomi ulteriori ricerche. Infatti, dopo aver affermato che nessuna tribolazione, nessuna angoscia, nessuna persecuzione, nessuna necessità materiale, nessun pericolo, nessuna spada può separarci dalla carità di Cristo, subito ha aggiunto: Come sta scritto: poiché per causa tua siamo colpiti tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello 5. Essi, al solito, dicono che questi passi sono stati introdotti dai corruttori delle Scritture: non hanno niente da opporre, tanto da essere costretti a rispondere così miseramente. Ma chi non comprende che solo questa poteva essere l’ultima parola di uomini sconfitti?

Nei libri del V. Testamento tutto concorda con la fede cristiana.

9. 15. A costoro nondimeno domando: negate che questo pensiero sia nell’Antico Testamento o affermate che dissente da quello dell’Apostolo? Quanto alla prima alternativa, ci sono i libri che parlano; quanto alla seconda, invece, questi uomini che tergiversano e fuggono per precipizi o li riporterò alla pace, se acconsentiranno a riguardare un po’ indietro e a considerare quanto è stato detto, oppure li incalzerò con l’interpretazione di coloro che giudicano con imparzialità. Invero, che cosa può accordarsi meglio di questi due pensieri tra loro? Infatti la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo mettono duramente alla prova l’uomo posto in questa vita. E tutte queste parole sono contenute nella sola testimonianza dell’Antica Legge nella quale è detto: Per causa tua siamo colpiti. Restava la spada, che non porta affanni alla vita, ma toglie la vita che trova. A questo appunto risponde l’altro inciso: Siamo trattati come pecore da macello 6. La carità stessa, invero, non poteva essere significata in modo più efficace delle parole: per causa tua. Supponi dunque che questo passo non si trovi nell’Apostolo Paolo, ma che sia da me proferito: che altro dovrai dimostrare, o eretico, all’infuori che esso o non è contenuto nell’Antica Legge o non si addice all’Apostolo? Che se non osi dir niente dell’una e dell’altra ipotesi (e a ciò ti spinge inevitabilmente, da un lato, la lettura del codice nel quale sta chiaramente scritto e, dall’altro, quanti comprendono che niente può addirsi meglio a ciò che ha detto l’Apostolo), perché pensi che ti sia di qualche utilità tentare di insinuare che le Scritture sono state corrotte ? Da ultimo, che risponderai a chi ti dirà: io così lo intendo, così lo accetto, così lo credo, e non per altro leggo quei Libri se non perché sento che in essi tutto concorda con la fede cristiana? Dì piuttosto, se ne hai il coraggio e sei intenzionato a contraddirmi, che non si deve prestare fede a quanto si racconta degli Apostoli e dei martiri, cioè che hanno subito per Cristo gravi tribolazioni, che sono stati trattati dai loro persecutori come pecore da macello. Che se non puoi dirlo, perché accusi falsamente il libro nel quale io trovo ciò che, secondo la tua stessa confessione, io devo credere?

L’insegnamento della Chiesa relativamente a Dio. Il dualismo manicheo.

10. 16. Tu concederai che di certo è un dovere amare Dio, ma non quello adorato da coloro che accettano l’autorità dell’Antico Testamento? Dite dunque che non si deve adorare quel Dio che ha fatto il cielo e la terra : è lui infatti che viene annunciato in tutte le parti di quei libri: tutto questo mondo, significato con il nome di cielo e terra, voi confessate che ha per autore e artefice un Dio e un Dio buono. È vero che quando si nomina Dio con voi si deve parlare con riserva, perché ammettete l’esistenza di due divinità, l’una buona, l’altra cattiva. Se dite che rendete un culto e che, a vostro avviso, tale culto va reso al Dio che ha creato il mondo, ma non a quello che l’autorità dell’Antico Testamento raccomanda, vi comportate con impudenza, sforzandovi di interpretare male un pensiero ed una parola altrui che noi abbiamo compreso bene e in modo utile. Ma lo fate assolutamente invano, perché le vostre discussioni stolte ed empie in nessun modo possono essere assimilate ai ragionamenti di quegli uomini pii e dottissimi, i quali nella Chiesa cattolica spiegano queste Scritture a chiunque lo voglia e ne sia degno. Noi intendiamo la Legge e i Profeti molto diversamente da come pensate voi. Smettete di errare; noi non ci prostriamo ad un Dio insoddisfatto, geloso, indigente, crudele, avido del sangue degli uomini o degli animali, a un Dio che si compiace di vizi e di crimini e il cui dominio è limitato ad una piccola parte della terra. È infatti contro queste ed altre ciance dello stesso genere che voi avete l’abitudine di inveire con violenza ed abbondanza di parole. Ma proprio per questo le vostre invettive non ci toccano: con la vostra eloquenza tanto più veemente quanto più inadatta, non bistrattate altro che credenze da vecchierelle e da ragazzi. Chiunque passa da noi a voi, mosso da tale eloquenza, non condanna l’insegnamento della nostra Chiesa, ma dà prova di non conoscerlo.

10. 17. Per questo, se avete nel cuore sentimenti di umanità, se avete cura di voi stessi, cercate piuttosto con diligenza e pietà in che senso quelle parole sono state dette. Cercate, o miseri, perché la fede con la quale si attribuisce a Dio qualcosa che non gli si addice, noi la riproviamo con più veemenza di voi e con più abbondanza di parole; inoltre, perché circa le cose dette sopra, quando sono intese in senso letterale, noi correggiamo l’ingenuità e deridiamo l’ostinazione. E ci sono molte altre cose, per voi incomprensibili, che l’insegnamento cattolico vieta di credere a coloro che, superata una certa puerilità di mente non per il passare degli anni ma per l’applicazione dell’intelletto, procedono verso la maturità della sapienza. Per esempio, si insegna quanto sia stolto credere Dio contenuto in uno spazio, per infinitamente esteso che lo si supponga, e si giudica empio pensare che egli stesso o una sua parte si muova e passi da un luogo ad un altro. E se qualcuno opina che qualche parte della sua sostanza o natura possa subire in qualche modo un’alterazione o un cambiamento, è accusato di incredibile demenza e di empietà. Così avviene che tra noi si incontrano fanciulli che si rappresentano Dio sotto forma umana e tale congetturano che sia, opinione rispetto alla quale non c’è niente di più abietto. Ma ci sono anche dei vecchi, e in gran numero, i quali, con la stessa mente vedono la sua maestà rimanere inviolabile e immutabile non solo al di sopra del corpo umano, ma anche al di sopra della stessa mente. Queste età però, come si è già detto, devono essere distinte non in base al tempo, ma in base alla virtù e alla prudenza. Ora, è vero che tra voi non si trova nessuno che si raffiguri la sostanza di Dio sotto forma di corpo umano, ma non c’è neppure nessuno che la consideri incontaminata dalla macchia dell’errore umano. Quelli pertanto che, quasi come bambini, si sostentano alle mammelle della Chiesa cattolica, se non diventeranno preda degli eretici, sono nutriti ciascuno secondo le proprie capacità e le proprie forze. Essi sono condotti chi ad un modo, chi ad un altro, prima fino alla perfetta maturità dell’uomo7, poi alla maturità e alla canizie della sapienza 8, così che, per quanto vogliono, è dato loro di vivere e di vivere assai felicemente.

La beatitudine consiste nel possedere Dio, cioè il sommo bene.

11. 18. Seguire Dio è il desiderio della beatitudine, possederlo la beatitudine stessa. Ma lo seguiamo amandolo e lo possediamo non già divenendo proprio come lui, ma molto simili ed essendo in rapporto con lui in un modo straordinario e chiaro, cioè circonfusi e immersi nella luce della sua verità e santità. Egli infatti è la luce stessa dalla quale ci è concesso di essere illuminati. Dunque il massimo comandamento e il primo che conduce alla vita beata è questo: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Infatti tutto concorre al bene di coloro che amano Dio 9. È per questo che, poco dopo, il medesimo Paolo dice: Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né la virtù, né il presente, né il futuro, né l’altezza, né la profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dalla carità di Dio, che è in Gesù Cristo nostro Signore 10. Se, pertanto, per coloro che amano Dio tutto concorre al bene, nessuno dubita che il sommo bene, che è chiamato anche il bene supremo, non solo debba essere amato, ma debba esserlo in modo che niente dobbiamo amare di più. Questo significano ed esprimono le parole con tutta l’anima, con tutto il cuore e con tutta la mente. Di grazia, chi dubiterà, stabilite tutte queste idee e fermamente credute, che per noi non c’è niente altro di più eccellente che Dio, a raggiungere il quale bisogna affrettarsi, prima di tutto il resto? Parimenti, se nessuna cosa ci separa dalla sua carità, che ci può essere non solo di migliore, ma anche di più sicuro di questo bene?

Nulla può separare l’uomo da Dio.

11. 19. Ma esaminiamo brevemente una per una le parole dell’Apostolo. Nessuno ci separa da Dio con la minaccia della morte: la facoltà con cui amiamo Dio infatti può morire solo quando cessa di amarlo, poiché la morte in se stessa altro non è che non amare Dio, ossia anteporre qualcosa all’amore per lui e alla sua sequela. Nessuno ci separa da lui con la promessa della vita: nessuno infatti ci allontana dalla sorgente con la promessa dell’acqua. Non ci separa l’angelo, perché l’angelo non è più potente della nostra mente quando noi aderiamo a Dio. Non ci separa la virtù, perché, se la virtù a cui qui ci riferiamo è quella che esercita un certo potere in questo mondo, la mente che aderisce a Dio è di gran lunga più sublime dell’intero mondo; se invece la virtù in questione è l’abito perfettamente retto del nostro spirito, allora essa, se si trova in altri, favorisce la nostra unione con Dio, se è in noi, la realizza essa stessa. Non ci separano le presenti molestie, perché le troviamo tanto più leggere quanto più tenacemente ci attacchiamo a lui, dal quale cercano di separarci. Non ci separa la promessa di beni futuri, perché qualunque bene futuro è Dio che lo promette con maggiore certezza e niente è migliore di Dio, che senza dubbio è già presente a coloro che gli sono saldamente attaccati. Non ci separano né l’altezza né la profondità, perché, se per caso queste parole significano l’altezza e la profondità del sapere, non sarò curioso per non essere separato da Dio e nessuna dottrina, quasi che voglia preservarmi dall’errore, mi separerà da lui, perché nessuno errerebbe a meno che non sia separato da lui. Se poi l’altezza e la profondità sono prese per significare le cose superiori e le cose inferiori di questo mondo, chi vorrà promettermi il cielo per separarmi dal creatore del cielo? O quale inferno mi terrorizzerà perché abbandoni Dio, dal momento che, se non l’avessi mai abbandonato, non conoscerei l’inferno? Infine, quale luogo potrà separarmi dalla carità di colui che di certo non sarebbe tutto in ogni luogo, se fosse in qualche luogo?

Con la carità e l’umiltà ci si avvicina a Dio, con la cupidigia e la superbia ci si allontana.

12. 20. Non ci separa da lui alcun’altra creatura 11, aggiunge l’Apostolo. O uomo dei più profondi misteri! Non si è accontentato di dire: una creatura; ma dice alcun’altra creatura, ammonendoci che ciò stesso con cui amiamo Dio e mediante cui aderiamo a lui, cioè l’anima e la mente, non è una natura. L’altra creatura dunque è il corpo. E se l’anima è qualcosa di intelligibile, ossia che si può conoscere solo con l’intelligenza, l’altra creatura comprende tutto il sensibile, cioè quanto, per così dire, dà qualche notizia di sé per mezzo della vista, dell’udito, dell’odorato, del gusto e del tatto, ed è necessario che sia inferiore rispetto a ciò che si afferra con la sola intelligenza. Poiché, dunque, neanche Dio poteva essere conosciuto dalle anime degne di conoscerlo se non mediante l’intelligenza (nonostante egli sia in se stesso una mente superiore alla mente dalla quale è conosciuto in quanto ne è il creatore e il fondamento), c’era da temere che lo spirito umano, per il fatto di essere annoverato tra gli esseri invisibili ed intelligibili, si reputasse della medesima natura di colui stesso che l’ha creato e così, per la superbia, si allontanasse da colui al quale deve essere unito per la carità. Diviene infatti simile a Dio, per quanto gli è concesso, quando gli si sottomette per esserne rischiarato ed illuminato. E se con questa sottomissione che lo rende simile a Dio si avvicina a Lui più possibile, inevitabilmente se ne allontana con l’audacia con la quale vuole essergli ancora più simile. È la medesima audacia con la quale si rifiuta di sottomettersi alle leggi di Dio, mentre ambisce ad essere padrone di se stesso, come se fosse Dio.

12. 21. Quanto più dunque l’anima si allontana da Dio non per distanza spaziale ma per amore e cupidigia delle cose inferiori a se stessa, tanto più si riempie di stoltezza e di miseria. Pertanto, essa ritorna a Dio con l’amore, però non con quello con cui aspira ad eguagliarlo, ma con quello col quale aspira a sottomettersi a lui. E quanto più lo avrà fatto con passione e con applicazione, tanto più sarà felice ed eccelso e, sotto la sola dominazione di Dio, sarà completamente libero. Per questo deve sapere che è una creatura: deve infatti credere nel suo creatore così come è, cioè inviolabile e immutabile, come comporta la natura della verità e della sapienza, e deve invece confessare che, da parte sua, può cadere nella stoltezza e nell’inganno, anche a causa degli errori dei quali desidera liberarsi. Deve inoltre guardarsi affinché l’amore per l’altra creatura, cioè per questo mondo sensibile, non la separi dalla carità divina, che la santifica perché sia definitivamente felice. Nessun’altra creatura dunque, poiché anche noi non siamo che creature, ci separa dalla carità di Dio, che è in Gesù Cristo nostro Signore.

Cristo e lo Spirito Santo uniscono a Dio.

13. 22. Che il medesimo Paolo ci dica chi è questo Cristo Gesù nostro Signore. Ai chiamati, egli dice, predichiamo Cristo, Virtù di Dio e Sapienza di Dio 12. E allora? Cristo stesso non dice forse: Io sono la verità 13? Se dunque cerchiamo che cosa sia vivere bene, cioè tendere alla beatitudine vivendo rettamente, ciò sarà di certo amare la Virtù, amare la Sapienza, amare la Verità, e amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente la Virtù che è inviolabile e invitta, la Sapienza a cui non segue la stoltezza, la Verità che non sa trasformarsi e mostrarsi diversa da come è sempre. È attraverso questa che si conosce il Padre stesso, perché è detto: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me 14. Ci unisce ad essa la santità; una volta santificati, infatti noi ardiamo di una carità piena e perfetta, la quale soltanto fa sì che non ci allontaniamo da Dio e ci conformiamo a lui piuttosto che a questo mondo. Poiché, come dice il medesimo Apostolo, ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo 15.

13. 23. È per la carità dunque che ci conformiamo a Dio e prese da lui forma e figura e separati da questo mondo, non siamo più confusi con le cose che devono essere a noi sottomesse. E questo avviene per opera dello Spirito Santo: La speranza poi, dice l’Apostolo, non confonde, perché la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 16. Ma in nessun modo potremmo essere rinnovati per mezzo dello Spirito Santo, se egli stesso non restasse sempre integro e immutabile; e questo non potrebbe sicuramente avvenire, se egli non fosse della natura di Dio e della medesima sostanza di Colui al quale appartiene per sempre l’immutabilità e, per così dire, l’invariabilità. La creatura infatti, e non sono io a proclamarlo, ma lo stesso Paolo, è stata sottomessa alla caducità 17. E ciò che è soggetto a caducità non può separarci dalla caducità e unirci alla verità. Questo appunto ci dà lo Spirito Santo, il quale perciò non è una creatura, perché tutto quello che è, o è Dio o è creatura.

Solo la carità conduce l’uomo a Dio Trinità.

14. 24. Dunque dobbiamo amare Dio come una certa unità trina, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, di cui non dirò niente altro, se non che è l’essere stesso. Dio infatti è in modo vero e sommo: Da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. Queste sono parole di Paolo. E che aggiunge dopo? A lui gloria 18, in modo assolutamente chiaro. Non dice infatti " a loro ", perché Dio non è che uno solo. Ma che vuol dire a lui gloria, se non che a lui spetta la fama più eccellente, più alta e più estesa? Poiché, quanto meglio e più diffusamente è divulgata, tanto più ardentemente è onorata ed amata. Quando questo avviene, il genere umano non fa che incamminarsi con passo sicuro e costante verso la vita perfetta e beatissima. Nelle questioni concernenti i costumi e la maniera di vivere, non penso che si debba cercare più oltre quale sia il bene sommo dell’uomo, al quale tutto debba essere riportato. È stato posto in chiaro infatti, sia mediante la ragione, per quanto ne siamo stati capaci, sia mediante quell’autorità divina che sorpassa la nostra ragione, che tale bene altro non è che Dio stesso. Invero quale altro sarà il bene supremo dell’uomo se non quello il cui possesso lo rende perfettamente beato? Ma questi è Dio soltanto, a cui di certo non siamo capaci di essere uniti se non mediante l’affetto, l’amore, la carità.

La virtù altro non è che l’amore sommo di Dio.

15. 25. Posto che la virtù ci conduce alla vita beata, io affermerei che la virtù non è assolutamente niente altro se non l’amore sommo di Dio. E appunto il fatto di dire che la virtù è quadripartita, lo si dice, per quanto comprendo, in considerazione della varietà delle disposizioni che lo stesso amore assume. Così queste famose quattro virtù, la cui forza voglia il cielo che sia in tutti gli animi come i loro nomi sono in tutte le bocche, non esiterei a definirle anche così: la temperanza è l’amore integro che si dà a ciò che si ama; la fortezza è l’amore che tollera tutto agevolmente per ciò che si ama; la giustizia è l’amore che serve esclusivamente ciò che si ama e che, a causa di ciò, domina con rettitudine; la prudenza è l’amore che distingue con sagacia ciò che è utile da ciò che è nocivo. Ma, come abbiamo detto, questo amore non è di chiunque, ma di Dio, cioè del bene sommo, della somma sapienza e della somma armonia. Pertanto le virtù possono essere definite anche così: la temperanza è l’amore per Dio che si conserva integro ed incorruttibile; la fortezza è l’amore per Dio che tollera tutto con facilità; la giustizia è l’amore che serve soltanto a Dio e, a causa di ciò, a buon diritto comanda ogni altra cosa che è soggetta all’uomo; la prudenza è l’amore che discerne con chiarezza ciò che aiuta ad andare a Dio da ciò che lo impedisce.

L’A. e il N. Testamento concordano nell’identificare la virtù con Dio.

16. 26. Quale modo di vivere si può dedurre da ciascuna di queste virtù lo spiegherò con poche parole, dopo che avrò confrontato, come ho promesso, le testimonianze del Nuovo Testamento, delle quali mi servo già da tempo, con quelle simili del Vecchio Testamento. È forse soltanto Paolo a dire che dobbiamo essere uniti a Dio in modo che nulla intervenga a separarci 19? Il Profeta non significa la stessa cosa nella forma più adatta e concisa, quando dice: Quanto a me, il mio bene è stare vicino a Dio 20? E, a proposito della carità, ciò che là è detto con molte parole, non è forse qui contenuto nelle sole parole stare vicino? Del pari, l’aggiunta il mio bene è non trova riscontro in quello che è stato scritto qui, cioè Tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio 21? Cosicché con una breve frase e con due parole il Profeta mostra la forza e il frutto della carità.

16. 27. E dal momento che ivi è detto: Il Figlio di Dio è la Virtù e la Sapienza di Dio 22 ed è evidente che la virtù si riferisce all’agire e la sapienza alla disciplina, ne deriva che nel Vangelo sono significate proprio queste due cose quando si dice: Tutto è stato fatto per mezzo di lui 23, poiché ciò compete all’azione e alla virtù. Inoltre, per quanto concerne la disciplina e la cognizione del vero, dice: E la vita era la luce degli uomini 24. Ora, si può avere qualcosa che si armonizzi con queste testimonianze del Nuovo Testamento meglio di ciò che nel Vecchio è detto della sapienza: Si estende da un confine all’altro con forza e dispone ogni cosa con dolcezza 25? Infatti estendersi con forza richiama principalmente la virtù, invece disporre con dolcezza richiama quasi l’arte stessa e la ragione. Ma se ciò ti pare oscuro, osserva quello che segue: E il Signore dell’universo l’ha amata; essa infatti è maestra della scienza di Dio e sceglie le sue opere 26. Si vede che qui non si tratta più dell’azione: scegliere le azioni infatti non equivale ad agire. Queste parole dunque riguardano il conoscere. Ma perché risulti completa l’idea che vogliamo dimostrare, resta da trovare l’azione dovuta alla virtù. Leggi dunque ciò che è aggiunto: Se è rispettabile la ricchezza che si desidera in vita, che cosa è più rispettabile della sapienza, la quale tutto produce? 27 Si possono proferire parole più chiare o più evidenti o anche più feconde? Se non ti è sufficiente, ascolta dell’altro che risuona allo stesso modo: La sapienza infatti insegna la sobrietà, la giustizia e la fortezza 28. La sobrietà mi pare che appartenga alla cognizione stessa del vero, cioè alla disciplina; la giustizia e la virtù all’agire e all’operare. Queste due qualità, vale a dire l’efficacia dell’agire e la sobrietà dell’intendere, che la Virtù di Dio e la Sapienza di Dio, ovvero il Figlio di Dio, dona a coloro che lo amano, non so a cosa siano da paragonare, dal momento che lo stesso Profeta immediatamente dice quanto devono essere stimate. Così si legge: La sapienza infatti insegna la sobrietà, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita 29.

16. 28. Qualcuno forse potrebbe pensare che queste parole non riguardino il Figlio di Dio. Ma che altro prova ciò che è detto: Essa manifesta la sua nobiltà in comunione di vita con Dio 30? E la nobiltà abitualmente forse significa altro da origine? E la comunione di vita non proclama ed asserisce l’eguaglianza con lo stesso Padre ? Inoltre, quando Paolo dice che Il Figlio di Dio è la Sapienza di Dio 31 e il Signore stesso: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio Unigenito 32, il Profeta quali parole più appropriate avrebbe potuto dire di quelle con le quali ha detto: Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo e sapeva che cosa sarebbe piaciuto ai tuoi occhi 33? Che Cristo è la verità, lo prova egli stesso quando è chiamato Splendore del Padre 34. Non c’è altro infatti intorno al sole all’infuori dello splendore che esso stesso genera. Quale testimonianza del Vecchio Testamento dunque ha potuto accordarsi con questa sentenza in modo più manifesto e più chiaro di quella con la quale è detto: La tua verità ti fa corona 35. Da ultimo, la stessa Sapienza dice nel Vangelo: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me 36. E il profeta: Chi conosce il tuo pensiero, se tu non gli hai dato sapienza?, a cui poco dopo aggiunge: Gli uomini furono ammaestrati in ciò che ti è gradito; essi furono salvati [per mezzo della sapienza] 37.

16. 29. Paolo dice: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 38; il profeta: Il Santo Spirito che ammaestra rifugge dalla finzione 39. Infatti laddove è la finzione non c’è la carità. Paolo dice: Noi siamo conformi all’immagine del Figlio di Dio 40; il Profeta dice: O Signore, la luce del tuo volto è stata impressa su noi 41. Paolo mostra che lo Spirito Santo è Dio, e quindi non è una creatura; il Profeta dice: E gli hai inviato lo Spirito Santo dall’alto 42. Ora Dio solo è l’altissimo rispetto al quale niente è più alto. Paolo mostra che questa Trinità è un solo Dio quando dice: A lui gloria 43. Nell’Antico Testamento è detto: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è un solo Dio 44.

Appello ai Manichei: per possedere la sapienza e la verità bisogna amarle.

17. 30. Che volete di più? Perché infierite con ignoranza ed empietà? Perché tentate di corrompere con dannosi consigli le anime inesperte? Il Dio dei due Testamenti è uno solo. Come infatti concordano tra loro i passi dell’uno e dell’altro che abbiamo riportato, così anche tutti gli altri, se siete disposti ad esaminarli con attenzione e con animo sereno. Ma poiché molte cose sono dette in forma assai umile e più adatta agli spiriti che guardano alla terra perché si elevino, attraverso le cose umane, alle cose divine; poiché, inoltre, molte sono dette anche in modo figurato affinché la mente stimolata si eserciti in modo più utile nelle ricerche e gioisca maggiormente delle proprie scoperte, voi abusate di questo mirabile disegno dello Spirito Santo per ingannare i vostri uditori e per prenderli nei lacci. Perché poi la divina Provvidenza vi permetta di fare ciò e quanto si rivelino esatte le parole dell’Apostolo: È necessario che avvengano molte eresie, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi 45, sarebbe troppo lungo da chiarire e, devo dirvelo, non è da voi capire queste cose. Vi conosco ormai bene: avete menti molto grossolane, rese incapaci dal pasto esiziale delle immagini corporee di giudicare delle cose divine, le quali sono molto più alte di quanto non pensiate.

17. 31. Così, con voi si deve agire non in modo che le comprendiate fin d’ora, cosa che non è possibile, ma in maniera che desideriate comprenderle un giorno. Questa infatti è opera della semplice e pura carità di Dio, che rifulge soprattutto nei costumi, e della quale abbiamo già molto parlato. Essa, ispirata dallo Spirito Santo, conduce al Figlio, cioè alla Sapienza di Dio mediante la quale il Padre stesso si conosce. La sapienza e la verità infatti, se non sono desiderate con tutte le forze dello spirito, in nessun modo è possibile trovarle. Se invece si cercano come si conviene, esse non possono né sottrarsi né nascondersi a coloro che le amano. Da ciò quelle parole che anche voi siete soliti avere sulla bocca, le quali dicono: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto 46; Non vi è nulla di nascosto che non sarà svelato 47. Con l’amore si chiede, con l’amore si cerca, con l’amore si bussa, con l’amore si svela, con l’amore infine si rimane in quello che sarà stato svelato. Da questo amore per la sapienza e da questo zelo nel cercarla non ci distoglie il Vecchio Testamento, come voi dite sempre in modo assolutamente menzognero: esso invece ci spinge a tali disposizioni d’animo con grandissimo vigore.

17. 32. Ascoltate, pertanto, una buona volta e, vi prego, considerate senza ostinazione quanto dice il profeta: Luminosa e incorruttibile è la sapienza, è vista facilmente da chi l’ama e trovata da chi la cerca. Previene, per mostrarsi loro, quanti la desiderano. Chi veglia per cercarla, non avrà da stancarsi, perché la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di essa è saggezza perfetta: chi veglia per lei sarà presto senza affanni, perché essa medesima va in cerca di quanti ne sono degni, si mostra loro ben disposta per le strade, va loro incontro con ogni sollecitudine. In effetti, il suo vero principio è il desiderio di istruzione. Ora il desiderio di istruzione è amore e l’amore è osservanza delle sue leggi. Ma il rispetto delle leggi è garanzia di incorruttibilità e l’incorruttibilità fa stare vicino a Dio. Dunque il desiderio della sapienza conduce al regno 48. Ebbene, dunque, voi latrate ancora contro queste parole? L’essere così presentate e non ancora comprese non significa per chiunque che contengono qualcosa di sublime e di ineffabile? Voglia il cielo che possiate comprendere quanto è stato detto! Subito ripudierete tutte le assurde favole e le immagini fisiche assolutamente vane, e con grande slancio, con sincero amore e con solidissima fede vi metterete tutti in salvo nel grembo santissimo della Chiesa cattolica.

Solo nella Chiesa cattolica si può trovare la salvezza dell’anima e il cammino verso la verità di cui parlano i due Testamenti in perfetta armonia.

18. 33. Avrei potuto discutere di ciascuna cosa secondo le mie mediocri forze e cavarne fuori e dimostrare le verità che ho ricevuto, così eccelse ed elevate che per lo più mancano le parole per esprimerle; ma finché latrate non è il caso di farlo. Del resto non è stato detto invano: Non date ciò che è santo ai cani 49. Non irritatevi: anch’io ho mandato latrati e mi comportai come un cane quando mi veniva dato, e giustamente, non il cibo che istruisce, ma la sferza che confuta. Se invece voi foste animati da quella carità di cui ora appunto si tratta o se pure lo foste stati un giorno nella misura richiesta dalla grandezza della verità da conoscere, Dio sarebbe là presente per mostrarvi che la fede cristiana, che conduce alle somme vette della sapienza e della verità e nel cui godimento consiste la vita beata, non si trova tra i Manichei e in nessun altro luogo se non nella disciplina cattolica. E infatti che altro sembra desiderare l’apostolo Paolo quando dice: È per questo che io piego le ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo spirito nell’uomo interiore. Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori, di modo che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia l’altezza, la lunghezza, la larghezza e la profondità, e conoscere anche la carità di Cristo che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio 50? Si può dire niente di più chiaro?

18. 34. Fate un po’ attenzione, vi scongiuro, e osservate come concordano i due Testamenti nel chiarire e nell’insegnare quale sia la regola di vita da tenere nei costumi e quale il fine a cui ogni cosa si debba riferire. All’amore di Dio ci incitano i Vangeli quando dicono: Chiedete, cercate, bussate 51; ci incita Paolo quando scrive: Di modo che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere 52; ci incita anche il Profeta quando dice che la sapienza può essere conosciuta facilmente da coloro che la amano, la cercano, la desiderano, vegliano per essa, la pensano, ne hanno cura. La salvezza dell’anima e il cammino della felicità ci sono mostrati dalle due Scritture in perfetta armonia, eppure voi preferite accanirvi contro di esse piuttosto che obbedire loro. Dirò in breve ciò che penso: ascoltate i dottori della Chiesa cattolica con quella stessa serenità d’animo e con quello stesso zelo con cui io ho ascoltato voi; non occorreranno i nove anni durante i quali vi prendeste gioco di me : in molto meno, in un tempo molto più breve vi accorgerete di quale distanza c’è tra la verità e la vanità.

Le quattro virtù cardinali: 1. La temperanza:

19. 35. Ma è tempo di ritornare alle quattro virtù e di trarre e cavare da ciascuna una regola di vita. Pertanto prima esaminiamo la temperanza, la quale assicura una certa integrità e incorruttibilità dell’amore che ci unisce a Dio. È suo compito infatti reprimere e placare le passioni che ci fanno bramare tutto ciò che ci distoglie dalle leggi di Dio e dai frutti della sua bontà, cioè, per spiegarmi in breve, dalla vita beata. Là appunto è la sede della verità: godendo della sua contemplazione e unendoci strettamente ad essa, siamo certamente felici; coloro invece che se ne allontanano, si ravvolgono in grandi errori ed afflizioni. Infatti, come dice l’Apostolo, la cupidigia è la radice di tutti i mali; seguendola, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori 53. Questo peccato dell’anima è significato nell’Antico Testamento, in modo abbastanza chiaro per chi bene lo intende, con la prevaricazione dell’uomo stesso che abitava il paradiso. Infatti, come dice il medesimo Apostolo: In Adamo tutti moriamo e in Cristo tutti risorgeremo 54. O profondi misteri! Ma io mi arresto, poiché per ora non ho preso ad insegnarvi le cose rette ma a dissuadervi dalle cattive, se vi riuscirò, cioè se Dio asseconderà il mio proposito nei vostri confronti.

19. 36. Paolo dunque dice che la radice di tutti i mali è la cupidigia, a causa della quale, come l’Antica Legge significa, anche il primo uomo è caduto. Ci ammonisce a " spogliarci dell’uomo vecchio e a rivestirci del nuovo " 55. Per l’uomo vecchio vuole che si intenda Adamo, che ha peccato; per l’uomo nuovo quello che il Figlio di Dio ha assunto in un sacro mistero per la nostra liberazione. Dice infatti in un altro passo: Il primo uomo tratto dalla terra è di terra; il secondo uomo che viene dal cielo è celeste. Quale è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste 56. Questo vuol dire: spogliate il vecchio e rivestite il nuovo. Tutto l’ufficio della temperanza dunque è di spogliarci dell’uomo vecchio e di rinnovarci in Dio, ossia di disprezzare tutte le lusinghe del corpo e gli onori del mondo, rivolgendo tutto l’amore alle cose invisibili e divine. Ne segue ciò che è detto in modo mirabile: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno 57. Ascoltate anche il canto del Profeta: Crea in me, o Dio, un cuore puro e rinnova nella mie viscere uno spirito retto 58. Quale contestazione è possibile contro tale armonia, se non da parte di ciechi latratori?

a) prescrive di reprimere le seduzioni del mondo e di disprezzare le realtà sensibili;

20. 37. Le lusinghe del corpo sono riposte in tutte le cose con le quali il senso corporeo viene in contatto; è per questo che da molti sono chiamate anche sensibili. Tra di esse eccelle soprattutto questa luce a tutti nota, perché fra i nostri stessi sensi, dei quali l’anima si serve mediante il corpo, nessuno è preferibile agli occhi. Per questo nelle Sacre Scritture tutte le cose che cadono sotto i sensi sono significate con il nome di visibili. Così allora nel Nuovo Testamento ce ne è vietato l’amore: Perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne 59. Da ciò si può capire quanto siano lontani dal Cristianesimo coloro che pensano che il sole e la luna non solo devono essere amati, ma anche adorati. Che vediamo, infatti, se non vediamo il sole e la luna? Ora, ci è ingiunto di non rivolgerci alle cose che si vedono, le quali pertanto non devono essere neppure amate da colui che pensa di offrire a Dio un amore incontaminato. Senonché sarà un altro il luogo in cui tratterò di queste cose con più cura; per il momento infatti ho stabilito di non parlare della fede, ma della vita mediante la quale meritiamo di sapere ciò che crediamo. Dio solo dunque dobbiamo amare, mentre dobbiamo disprezzare tutto questo mondo, cioè tutte le cose sensibili, servendocene soltanto per le necessità di questa vita.

b) ordina di rifuggire dalla gloria mondana e dalla curiosità.

21. 38. La gloria mondana così è rifiutata e disprezzata nel Nuovo Testamento: Se volessi piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo 60. C’è ancora dell’altro che l’anima concepisce a proposito dei corpi per effetto di certe immagini e che chiama scienza delle cose. Per questo giustamente ci è proibito di essere curiosi, e in tale attività risiede il grande ufficio della temperanza. Di qui l’avvertimento: Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia. E poiché il nome stesso di filosofia, a ben considerare, significa una cosa grande e degna di essere desiderata con tutta l’anima, se è vero che la filosofia è l’amore e la ricerca della sapienza, l’Apostolo, per non sembrare che ci distogliesse dall’amore per la sapienza, molto avvedutamente aggiunge e secondo gli elementi di questo mondo 61. Vi sono infatti certuni che, abbandonate le virtù e senza sapere chi è Dio e quanto grande è la maestà della sua natura eternamente immutabile, pensano di compiere qualcosa di grande se investigano con la massima curiosità e attenzione tutta questa massa corporea che chiamiamo mondo. Da qui nasce anche tanta superbia che sembra loro di risiedere nello stesso cielo, del quale spesso disputano. Che l’anima dunque, se si è proposta di conservarsi casta per Dio, si trattenga dalla cupidigia di questa vana conoscenza. Da tale amore, infatti, è per lo più sedotta in modo da pensare o che non c’è niente al di fuori del corpo o, se pure convinta dall’autorità, da ammettere che c’è qualcosa di incorporeo, tuttavia rappresentabile unicamente mediante immagini corporee, credendo che sia tal quale gli viene imposto dal senso ingannatore del corpo. A questo scopo risponde anche la raccomandazione di guardarsi dalle immagini.

21. 39. A questa autorità del Nuovo Testamento che ci ordina di non amare niente di questo mondo 62, dunque, si accorda in modo particolare quella frase che dice: Non conformatevi a questo mondo 63. Nello stesso tempo perciò si deve dimostrare che ciascuno si conforma a ciò che ama. Se ora cerco quale testimonianza dell’Antico Testamento si può paragonare a questa autorità, invero ne trovo parecchie. Ma un solo libro di Salomone, quello detto Ecclesiaste, ci conduce con abbondanti argomenti al massimo disprezzo per tutte queste cose. Infatti comincia così: Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? 64. Se si considerano, si vagliano e si meditano queste parole, se ne trovano molte sommamente necessarie a coloro che desiderano fuggire questo mondo e rifugiarsi in Dio. Ma la cosa sarebbe troppo lunga ed è urgente che il discorso si diriga in altra direzione. Tuttavia, stabilito tale principio, ne fa seguire tutte le implicazioni, e cioè che sono vani tutti coloro che si lasciano ingannare dalle cose di questo genere. Chiama vanità le cose stesse da cui essi sono ingannati, non perché non siano state create da Dio, ma perché gli uomini, a causa dei loro peccati, vogliono sottostare a tali cose, le quali invece, in virtù della legge divina, sono soggette a loro se operano rettamente. Che altro infatti è lasciarsi illudere ed ingannare dai falsi beni se non stimare degne di ammirazione e di amore le cose inferiori a te stesso? Nelle cose di questo genere, caduche e passeggere, l’uomo temperante dunque ha una regola di vita fondata sull’uno e sull’altro Testamento: che non ami niente di esse, niente reputi desiderabile per se stesso, ma ne usi, in rapporto a quanto occorre per la necessità di questa vita e dei suoi uffici, con la moderazione di uno che se ne serve, non con la disposizione di uno che l’ama. Questo sia detto sulla temperanza: per l’importanza del soggetto è poco; tuttavia, per l’intento che mi sono proposto, forse più lungo di quanto fosse necessario.

2. La fortezza.

22. 40. Circa la fortezza invero non occorre dire molto. Infatti quell’amore del quale parliamo, e che deve essere infiammato per Dio di tutto l’ardore della santità, è chiamato temperante in quanto non brama queste cose, forte in quanto le abbandona. Ma di tutte le cose che si possiedono in questa vita il corpo è per l’uomo la catena più pesante, secondo le giustissime leggi di Dio, a causa dell’antico peccato, del quale nulla è più noto per parlarne, nulla più segreto per comprenderlo. Questo vincolo, dunque, per non essere scosso e messo in pericolo, turba l’anima con il terrore della fatica e del dolore e, per non essere travolto e annientato, la turba con il terrore della morte. Essa in effetti lo ama per la forza dell’abitudine, senza comprendere che, se lo usa bene e in modo intelligente, lo sottometterà al suo dominio senza alcuna molestia quando la potenza e la legge divina l’avranno resuscitato e rinnovato. Ma dopo che con questo amore si sarà convertita interamente a Dio e avrà conosciute queste cose, non solo non disprezzerà la morte, ma addirittura la desidererà.

22. 41. Rimane l’aspro combattimento con il dolore. Niente tuttavia è così duro e così resistente da non essere vinto dal fuoco dell’amore. Quando, per merito suo, l’anima sarà rapita in Dio, essa volerà libera e degna di ammirazione sopra tutti i tormenti con ali bellissime e purissime, sulle quali l’amore casto si sostiene per abbracciare Dio. A meno che Dio non permetta che quanti amano l’oro, quanti amano la lode, quanti amano le donne siano più forti di coloro che amano lui; poiché, in tal caso, esso non si chiamerebbe amore, ma più propriamente cupidigia o libidine. In questa ultima nondimeno appare manifesto quanto sia grande l’impeto dello spirito che tende verso le cose che ama con una corsa instancabile e tra le più grandi difficoltà. E il fatto che essi sopportino tanti tormenti per abbandonare Dio, è per noi argomento per dimostrare quanti tormenti bisogna sopportare per non abbandonarlo.

Consigli ed esempi di fortezza tratti dalle Sacre Scritture.

23. 42. A che serve dunque raccogliere qui i testi autorevoli del Nuovo Testamento, dove è detto: La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, la virtù provata la speranza? 65. E ciò non è solo detto, ma anche provato e confermato dagli esempi di coloro che l’hanno detto. Prenderò un esempio di pazienza dal Vecchio Testamento, contro il quale essi si avventano rabbiosamente. Non ricorderò quell’uomo che, pur nei fieri tormenti del corpo e nell’orribile disfacimento delle membra, non solo sopporta i mali umani, ma disserta anche sulle cose divine. Ogni sua parola palesa a sufficienza, se vi si presta attenzione con cuore sereno, quanto poco siano da stimare le cose dalle quali, quando gli uomini le vogliono possedere per dominarle, sono piuttosto dominati per cupidigia e così diventano schiavi delle cose caduche nel momento in cui desiderano maldestramente esserne i padroni 66. Quell’uomo, infatti, perdette tutte le sue ricchezze e, divenuto repentinamente poverissimo, tenne il suo animo così saldo e fisso in Dio da mostrare a sufficienza che non le ricchezze erano state gran cosa in rapporto a lui, ma lui in rapporto ad esse, Dio in rapporto a lui. E se gli uomini del nostro tempo avessero tale disposizione, il Nuovo Testamento non ci vieterebbe con tanto vigore il possesso delle ricchezze perché potessimo essere perfetti; infatti è molto più degno di ammirazione non attaccarsi ad esse quando si possiedono, che quando non si possiedono affatto.

23. 43. Ma poiché ora si tratta della disposizione adatta a sopportare il dolore e i tormenti del corpo, tralascio quest’uomo, per quanto grande, per quanto invincibile, ma pur sempre uomo. Le Scritture infatti mi offrono l’esempio di una donna di stupenda fortezza e mi spingono ormai a passare ad essa. Questa donna, piuttosto che dire una sola parola sacrilega, offrì al tiranno e al giustiziere, con i sette figli, tutte le sue viscere: confortando i figli, nelle cui membra era lei stessa torturata, non ricusava tuttavia di sopportare da parte sua, per proprio dovere, quanto aveva insegnato loro a sopportare 67. A tanta pazienza, chiedo, che cosa si può aggiungere? Che c’è di straordinario allora se l’amore di Dio, accolto fin nel profondo delle midolla, resisteva al tiranno e al giustiziere, al dolore e al corpo, al sesso e all’affetto? Non aveva ella udito: Preziosa al cospetto del Signore è la morte dei santi 68? Non aveva udito: L’uomo paziente è migliore dell’uomo valoroso 69? Non aveva udito: Accetta quanto ti capita, sii forte nel dolore e nella tua umiltà abbi pazienza, perché è con il fuoco che si prova l’oro e l’argento 70? Non aveva udito: La fornace prova gli oggetti del vasaio, l’esperienza della tribolazione prova gli uomini giusti 71? In verità queste e tante altre ne aveva udite e quei divini precetti sulla fortezza scritti dal solo Spirito Santo di Dio in questi libri del Nuovo Testamento come in quelli del Vecchio, gli unici allora esistenti.

3. La giustizia. 4. La prudenza.

24. 44. Che dire della giustizia che riguarda Dio? Forse che le parole con le quali il Signore dice: Non potete servire a due padroni 72 e quelle con cui l’Apostolo riprende coloro che servono la creatura piuttosto che il Creatore 73, non furono scritte già prima nel Vecchio Testamento, dove è detto: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai 74? Ma che bisogno c’è d’ora in poi di portare altre testimonianze, dal momento che le Scritture ne sono piene? All’uomo che ama Dio e del quale parliamo, dunque, la giustizia prescriverà questa regola di vita: che serva con la massima disponibilità Dio che egli ama, cioè il bene sommo, la somma saggezza, la somma pace. Quanto a tutte le altre cose, governi quelle che gli sono soggette e abbia l’ardire di assoggettare le altre. Questa norma di vita, come abbiamo mostrato, è confermata dall’autorità dei due Testamenti.

24. 45. Neppure intorno alla prudenza, alla quale appartiene il discernimento delle cose da desiderare e di quelle da evitare, è il caso di dissertare più a lungo. Se essa manca, nessuna delle cose dette si può realizzare. Spetta ad essa stare in guardia e vigilare diligentemente affinché non siamo ingannati dall’insinuarsi di soppiatto di un cattivo consiglio. Per questo il Signore grida spesso: Vegliate 75 e dice: Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre 76 e ancora: Non sapete che un po’ di lievito fermenta tutta la massa? 77. Quanto poi all’Antico Testamento, che cosa si può trovare di più chiaro contro questo sonno dell’uomo, a causa del quale quasi non avvertiamo il male distruttore che si insinua di soppiatto in noi, che il detto del Profeta: Chi disprezza le piccole cose cadrà presto in rovina 78. Su questa sentenza, se fosse utile a coloro che hanno fretta, parlerei abbondantemente e, se lo richiedesse l’ufficio che ho ora assunto, forse dimostrerei quanto sono profondi questi misteri, deridendo i quali, certi uomini veramente ignoranti e sacrileghi non si può dire che ormai cadono a poco a poco in un’immensa rovina, ma che vi si precipitano.

Le quattro virtù cardinali sono ordinate all’amore di Dio.

25. 46. A che scopo trattare ancora dei costumi? Se infatti Dio è il bene sommo dell’uomo, e voi non potete negarlo, se ne deduce di certo che, poiché desiderare il bene sommo è vivere bene, il vivere bene non è niente altro che amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Da qui scaturisce che questo amore in lui si conservi intatto ed integro, ciò che è proprio della temperanza, e che non si abbatta per nessuna avversità, ciò che è proprio della fortezza; che non serva a nessun altro, ciò che è proprio della giustizia; che vigili nel discernimento delle cose affinché né la fallacia né l’inganno si insinui di soppiatto, ciò che è proprio della prudenza. Questa è l’unica perfezione dell’uomo, con la quale soltanto egli ottiene di godere della pura verità; questa cantano ad una voce i due Testamenti, questa ci raccomandano l’uno e l’altro. A che scopo accusate ancora le Scritture, che non conoscete? Ignorate con quanta incompetenza ve la prendete con Libri che criticano soltanto quelli che non li comprendono e che non possono comprendere solo quelli che li criticano? Poiché essi sono tali che a nessuno che li odia è consentito di conoscerli e chi li conosce non può che amarli.

Ricompensa dell’amore di Dio sono la vita eterna e la conoscenza della verità.

25. 47. Pertanto chiunque di noi si è proposto di pervenire alla vita eterna, ami Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente. La vita eterna infatti è tutta la ricompensa di cui ora godiamo la promessa. E la ricompensa non può né precedere i meriti, né essere data all’uomo prima che ne sia degno. In effetti, che cosa più ingiusta di ciò e che cosa più giusta di Dio? Dunque non dobbiamo chiedere la ricompensa prima di meritare di riceverla. Qui forse si domanda a buon diritto che cosa è la vita eterna in se stessa. Ebbene ascoltiamo colui che la dona; egli dice: Questa è la vita eterna: che conoscano te, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo 79. La vita eterna dunque è la stessa conoscenza della verità. Perciò vedete quanto sono perversi e fuori da ogni ordine coloro che ritengono di trasmetterci la conoscenza di Dio per renderci perfetti, quando è proprio essa la ricompensa dei perfetti. Che cosa dunque si deve fare, che cosa, io domando, se non amare prima con piena carità quello stesso che desideriamo conoscere ? Da ciò segue il principio che ci siamo sforzati di stabilire fin dall’inizio, vale a dire che non c’è nulla di più salutare nella Chiesa cattolica del primato dell’autorità sulla ragione.

L’amore verso se stesso e verso il prossimo.

26. 48. Ma esaminiamo il resto, poiché sembra che non sia stata affrontata per nulla la questione dell’uomo stesso, cioè di colui che ama. Tuttavia chi pensa così non ha capito abbastanza chiaramente. È impossibile infatti che chi ama Dio non ami se stesso; anzi sa amarsi solo chi ama Dio. Appunto, ama se stesso a sufficienza chi pone ogni cura per godere del bene sommo e vero. E se questo bene non è altro che Dio, come le cose dette hanno insegnato, chi può dubitare che non ami se stesso colui che ama Dio? Che cosa? Tra gli uomini stessi non deve esistere alcun vincolo d’amore? Si, deve esistere anzi in modo da credere che non ci può essere nessun grado più certo, per elevarsi verso l’amore di Dio, della carità dell’uomo nei riguardi dell’uomo.

26. 49. Il Signore stesso dunque, che fu interrogato sui precetti di vita, ce ne dia un secondo. Conoscendo egli che altro è Dio e altro l’uomo e che tra loro vi è tanta distanza quanta ce n’è tra il Creatore e la creatura fatta ad immagine del Creatore, non si accontentò infatti di uno solo. Dice appunto il suo secondo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso 80. Ora tu ami te stesso utilmente, se ami Dio più di te. Ciò che dunque tu fai con te, bisogna che lo faccia con il prossimo, e questo perché anch’egli ami Dio con un amore perfetto. In effetti, non lo ami come te stesso, se non t’adoperi per condurlo a quel bene al quale tu stesso tendi, poiché è il solo bene che, per quanti vi tendano insieme a te, non soffre diminuzione. Da questo precetto nascono i doveri nei confronti della comunità umana, nei quali è difficile non errare. Prima di tutto però dobbiamo agire in modo da essere benevoli, cioè dobbiamo astenerci da ogni malvagità, da ogni inganno nei confronti dell’uomo. Chi infatti è più prossimo all’uomo dell’uomo stesso ?

26. 50. Senti anche ciò che dice Paolo: L’amore non fa nessun male al prossimo 81. Mi servo di testimonianze molto brevi, ma, se non mi inganno, idonee e soddisfacenti per il mio caso. Chi ignora infatti quante parole e di quale autorità ci sono in quei libri, sparse per ogni dove, sulla carità verso il prossimo? Ma poiché contro l’uomo si pecca in due maniere, nell’una quando gli si fa torto, nell’altra quando non lo si aiuta, pur potendolo fare, e siccome sono le stesse maniere per le quali gli uomini sono giudicati cattivi, in quanto nessuna delle due è usata da chi ama, ciò che intendiamo dire lo dimostra a sufficienza questa sentenza: L’amore non fa nessun male al prossimo 82. E se non possiamo pervenire al bene che desistendo dall’operare il male, questi atti con i quali amiamo il prossimo sono come l’infanzia dell’amore di Dio. Di modo che, siccome l’amore non fa nessun male al prossimo, da qui eleviamoci a ciò che è stato detto: Sappiamo che tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio 83.

26. 51. Ma non so se questi due amori arrivano insieme alla pienezza della perfezione oppure se è l’amore di Dio a cominciare e l’amore del prossimo a pervenirvi per primo. Infatti, per cominciare forse è la carità divina che ci attira più presto a sé, e noi, d’altra parte, raggiungiamo la perfezione più facilmente nelle cose minori. Comunque sia, bisogna tener conto soprattutto di ciò: che nessuno si illuda di pervenire alla beatitudine e a Dio che ama, senza curarsi del prossimo 84. E voglia il cielo che, come è facile per l’uomo bene educato e benevolo amare il prossimo, così gli sia facile consigliarlo e non nuocergli in niente. A tale scopo, infatti, non è sufficiente la buona volontà, ma occorrono molto raziocinio e molta prudenza, qualità questa che nessuno può adoperare se non l’ha ricevuta da Dio, fonte di ogni bene. Di tale argomento, invero assai difficile, per quanto io stimo, tenteremo di dire alcune parole in rapporto all’opera intrapresa, riponendo tutta la speranza in Colui che è l’unico autore di questi doni.

Medicina: beneficio verso il corpo.

27. 52. L’uomo dunque, come appare all’uomo, è un’anima razionale che si serve di un corpo mortale e terreno. Quindi chi ama il prossimo, fa del bene in parte al corpo dell’uomo, in parte alla sua anima. Il beneficio che riguarda il corpo si chiama medicina, quello invece che riguarda l’anima disciplina. Senonché qui chiamo medicina tutto ciò che protegge il corpo o ne ristabilisce la salute. Ad essa pertanto appartengono non solo le cose che procura l’arte di coloro che sono chiamati propriamente medici, ma anche cibi e bevande, vestiti e abitazioni, infine ogni difesa e riparo a cui il nostro corpo ricorre anche contro i colpi esterni e le sventure. Infatti la fame e la sete, il freddo e il caldo e tutto ciò che dall’esterno ci colpisce gravemente, non consentono di conservare la salute della quale ora si tratta.

27. 53. Per questo coloro che, per dovere e per umanità, forniscono i mezzi per resistere ai mali e alle contrarietà di questo genere, vengono chiamati misericordiosi, anche se sono così saggi da non provare più alcun dolore dell’animo. Chi non sa infatti che la misericordia è chiamata tale dal fatto che rende sensibile alla miseria il cuore di colui che prova dolore per il male altrui? E chi non concede che il saggio deve essere libero da ogni miseria quando viene in aiuto del povero, quando dà il cibo all’affamato e da bere all’assetato, quando riveste l’ignudo, quando accoglie nella sua casa il pellegrino, quando libera l’oppresso, quando infine spinge la sua umanità fino a dare sepoltura ai morti? Quantunque faccia ciò con spirito sereno, non stimolato dagli aculei del dolore, ma mosso dal dovere della bontà, tuttavia dovrà essere chiamato misericordioso. A lui non nuoce per nulla questo nome, poiché egli è esente dalla miseria.

27. 54. Gli stolti in verità, ogni qualvolta sfuggono la misericordia quasi fosse un vizio, poiché non possono essere mossi a sufficienza dal dovere se non sono scossi nello stesso tempo dal turbamento dell’animo, si irrigidiscono nella freddezza di cuore piuttosto che rasserenarsi nella tranquillità della ragione. Pertanto con molta più prudenza si dice anche che Dio stesso è misericordioso 85: come poi lo si dica spetta comprenderlo a coloro che se ne sono resi capaci con la pietà e con lo studio, affinché non avvenga che, utilizzando a sproposito le parole dei dotti, facciamo indurire l’animo degli indotti col non praticare la misericordia, prima di farlo intenerire con il bramare la bontà. E come la misericordia ci comanda di rimuovere dall’uomo tali pregiudizi, così l’innocenza ci vieta di farvelo incorrere.

Disciplina: beneficio verso l’anima. Comprende la repressione e l’istruzione.

28. 55. Per quanto attiene poi alla disciplina, per mezzo della quale nell’animo stesso s’instaura la salute in assenza della quale la salute del corpo non vale niente per scacciare le miserie, la questione è difficilissima. Nel corpo, dicevamo, una cosa è curare malattie e ferite (che pochi uomini possono far bene), un’altra invece calmare la fame e la sete e tutti gli altri bisogni, a proposito dei quali si concede generalmente e dappertutto che l’uomo venga in aiuto dell’uomo. Così è dell’anima nella quale esistono bisogni che non richiedono affatto un’eccellenza e una rara maestria, come è il caso in cui, per esempio, esortiamo ed ammoniamo a dare ai bisognosi quei soccorsi che, abbiamo detto, è un dovere dare al corpo. Quando infatti facciamo queste cose, veniamo in ã aiuto del corpo; quando invece insegniamo a farle, veniamo in aiuto dell’anima mediante la disciplina. Tuttavia esistono altri casi nei quali le molte e varie malattie dell’anima si guariscono con un rimedio grande e del tutto indicibile. E se non fosse Dio a mandare questa medicina ai popoli, non rimarrebbe speranza alcuna di salvezza, tanto smodata è la progressione di coloro che peccano. Pertanto, se si ricerca più in alto l’origine delle cose, si trova che anche la salute del corpo da niente altro è potuta venire agli uomini, se non da Dio, al quale bisogna attribuire lo stato e la prosperità di tutte le cose.

28. 56. Tuttavia questa disciplina, della quale ora trattiamo e che è la medicina dell’anima, per quanto ci è dato di ricavare dalle stesse divine Scritture, si divide in due parti: la repressione e l’istruzione. La repressione si ottiene con il timore, l’istruzione con l’amore, con quell’amore, dico, verso la persona a cui si viene in aiuto mediante la disciplina. Infatti chi viene in aiuto né reprime né istruisce se non ama. Dio stesso, dalla cui bontà e clemenza scaturisce che noi siamo pur qualcosa, ha fatto risiedere nella repressione e nell’amore la regola della disciplina che ci ha dato nei due Testamenti, il Vecchio e il Nuovo. Sebbene infatti siano entrambi in tutti e due, tuttavia il timore prevale nel Vecchio, l’amore nel Nuovo: nell’uno gli Apostoli predicano la servitù, nell’altro la libertà. Sull’ordine mirabile e sulla divina armonia di questi Testamenti ci sarebbe moltissimo da dire e molti uomini di pietà e dottrina lo hanno fatto. Un tale soggetto richiede molti libri perché possa essere spiegato e reso manifesto come merita, per quanto si può da parte dell’uomo. Chi dunque ama il prossimo, fa quanto può perché sia sano nel corpo e nell’anima; ma la cura del corpo deve essere riportata alla salute dell’anima. Per quanto attiene allo spirito, perciò, egli procede secondo questa successione: fa sì che prima tema Dio, poi lo ami. Sono questi gli ottimi costumi mediante i quali proviene a noi anche la conoscenza della verità, verso la quale ci porta tutto l’ardore dei nostri desideri.

La legge della carità: amare Dio e il prossimo.

28. 57. E nel fatto che bisogna amare Dio e il prossimo, concordiamo io e i Manichei. Essi però negano che ciò sia contenuto nel Vecchio Testamento. A questo proposito quanto sbaglino appare abbastanza manifesto, come io credo, da quelle testimonianze che più sopra abbiamo prodotto dell’una e dell’altra Scrittura. Tuttavia, per dire qualcosa di breve ma a cui è semplicemente folle opporsi, non si accorgono quanto sia assolutamente impudente da parte loro negare che questi stessi due precetti, che sono costretti a lodare, siano stati riportati dal Signore nel Vangelo traendoli dall’Antico Testamento, dove sta scritto: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 86 o ancora: Amerai il prossimo tuo come te stesso 87? O, se non osano negare queste cose, perché sono incalzati dalla luce della verità, che osino negare l’utilità di questi precetti; neghino, se possono, che in essi sono racchiusi ottimi costumi e dicano che non è necessario amare Dio, che non è necessario amare il prossimo, che non tutto concorre al bene di coloro che amano Dio 88, che l’amore può fare del male al prossimo 89: precetti, questi due, che regolano la vita umana nel modo più salutare e perfetto. E se dicono queste cose, essi non hanno più nulla in comune non solo con i cristiani, ma neppure con gli uomini. Se invece non osano dirle, e sono costretti ad ammettere che questi precetti sono divini, perché non smettono di lacerare e di riprovare con sacrilega empietà quei libri che li riportano?

28. 58. Diranno forse che non ne consegue che tutte le cose siano buone laddove abbiamo potuto trovare questi precetti? In effetti è proprio questo che sogliono dire. Che rispondere a questa tergiversazione e come replicare io non vedo facile. Dovrò forse discutere ciascuna parola dell’Antico Testamento per dimostrare ad uomini ostinati e ignoranti che esse sono in totale accordo con il Vangelo? Ma quando questo sarà possibile? Quando io ne sarò capace o essi lo tollereranno? Che farò io dunque? Abbandonerò la causa e permetterò che si trincerino dietro ad una opinione per quanto riprovevole e falsa, tuttavia difficile da confutare? Non lo farò; Dio stesso, a cui questi precetti appartengono, mi assisterà e non permetterà che io rimanga senza risorse e da solo in mezzo a così grandi angustie.

L’autorità delle Sacre Scritture.

29. 59. Prestate pertanto attenzione, o Manichei, se per caso quella superstizione vi trattiene in modo che alla fine ne possiate venir fuori. Prestate attenzione, dico, senza ostinazione, senza proposito di resistere, perché altrimenti è molto dannoso per voi giudicare. Sicuramente, infatti, nessuno ne dubita e voi non siete così nemici del vero da non comprendere che, se amare Dio e il prossimo è cosa buona - e che nessuno può negare -, niente di ciò che è legato a questi due precetti può essere a buon diritto riprovato. Ora, sarebbe ridicolo se pensassi di richiedere a me che cosa vi è legato; ascolta Cristo stesso, ascolta, dico, Cristo, ascolta la sapienza di Dio: Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti 90.

29. 60. Che cosa può replicare a questo passo una impudentissima ostinazione? Che Cristo non l’avrebbe detto? Ma queste sue parole sono scritte nel Vangelo. Che si tratterebbe di un testo falso? Ma che cosa si può immaginare di più empio di questo sacrilegio? Che cosa di più impudente di queste parole? Che cosa di più temerario ? Che cosa di più perverso? Gli idolatri, che di Cristo odiano perfino il nome, mai hanno osato lanciare simile accusa contro le Scritture. Se infatti ciò che trova forza nella religiosità di tanti popoli e conferma in tanto consenso di uomini e di tempi è messo in dubbio, al punto di non poter ottenere la fiducia e la considerazione neppure di una storia ordinaria, ne consegue il totale sconvolgimento di tutte le lettere e la soppressione di tutti i libri tramandati alla posterità. Infine, quale passo delle Scritture potrete produrre, qualora, se lo produceste contro le mie argomentazioni e il mio intento, non mi sia consentito di utilizzare questa voce per replicare?

29. 61. In verità chi può tollerare che ci sia vietato di prestare fede a Libri molto conosciuti e già nelle mani di tutti, e ci sia ordinato di prestarla a libri che essi stessi producono? Se c’è motivo di dubitare di una scrittura, di quale altra lo si deve fare se non di quella che non ha meritato di essere divulgata o che poté dire soltanto falsità sotto un altro nome? Se tu la poni davanti con forza e induci a crederle esagerandone l’autorità, di quella che in maniera costante vedo molto ampiamente diffusa e sostenuta dalla testimonianza di Chiese disperse per tutta la terra, io, misero, dubiterò e, cosa ancora più misera, ne dubiterò per opera tua? Se tu producessi altri esemplari, io dovrei tenere conto soltanto di quelli che godono del consenso dei più. Poiché ora non hai niente altro da produrre all’infuori di una parola del tutto vana e gonfia di temerità, penserai che il genere umano è fino a tal punto perverso e così abbandonato dall’aiuto della divina Provvidenza da anteporre a quelle Scritture non altre da te prodotte, che le confutano, ma soltanto le tue parole? Tu infatti hai il dovere di produrre un altro codice che contenga le medesime cose, ma tuttavia integro e più vero, dove manchino soltanto i passi che, secondo la tua accusa, sono stati interpolati. Come, per esempio, se tu sostieni che l’epistola di Paolo ai Romani è stata falsificata, ne produci un’altra non falsificata o, piuttosto, un altro codice dove comparirebbe la medesima epistola del medesimo Apostolo scritta in modo integrale e senza interpolazioni. Non lo farò, tu dici, perché non sia sospettato di averla contraffatta; e questo infatti siete soliti dire, e dite il vero, perché, se tu lo facessi, niente altro affatto sospetteranno anche uomini dotati di poco senno. Tu stesso dunque vedi quale giudizio avresti dato della tua autorità, e comprendi quale obbligo abbiamo di credere alle tue parole contro quelle Scritture, se è una grande temerità credere ad un codice per il solo motivo che è prodotto da te.

La Chiesa cattolica maestra di sapienza e di umanità.

30. 62. Occorre dire altro su questo argomento? Chi non vede che coloro che osano parlare così contro le Scritture cristiane, pur non essendo ciò che si sospetta, tuttavia di certo non sono cristiani? Ai cristiani infatti è stata data questa regola di vita, che amiamo il Signore Dio nostro con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito 91, quindi il nostro prossimo come noi stessi 92: infatti da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti 93. Giustamente tu, Chiesa cattolica, verissima madre dei cristiani, raccomandi di onorare con assoluta carità e purezza Dio stesso, il cui possesso costituisce la vita beata, senza proporci alcuna creatura da adorare e da servire. Escludi da quella incorrotta e inviolabile eternità, alla quale soltanto l’uomo deve sottomettersi e alla quale soltanto l’anima razionale deve unirsi per non essere miserabile, tutto ciò che è stato creato, che soggiace a cambiamento, che è sottoposto al tempo. Non confondi quello che l’eternità, quello che la verità, quello infine che la pace distingue e non separi più ciò che una sola maestà congiunge. Abbracci anche l’amore e la carità del prossimo così che presso di te abbondano i rimedi contro le varie malattie di cui soffrono le anime per i loro peccati.

30. 63. Tu istruisci ed educhi i fanciulli nell’ingenuità, i giovani nella forza, i vecchi nella serenità, secondo quanto richiede non soltanto l’età fisica di ciascuno, ma anche quella spirituale. Sottometti le mogli ai loro mariti in una obbedienza casta e fedele, non per soddisfare la libidine, ma per propagare la prole, formando una società fondata sulla famiglia. Anteponi i mariti alle mogli, non per prenderti gioco del sesso più debole, ma secondo le leggi dell’amore sincero 94. Sottometti i figli ai genitori in una sorta di libera servitù e anteponi i genitori ai figli in un dominio che ha del religioso. Unisci i fratelli ai fratelli con il legame della religione, più saldo e più intimo di quello del sangue. Con una reciproca carità congiungi i consanguinei e gli affini, mantenendo i vincoli stabiliti o dalla natura o dalla volontà. Insegni ai servi ad essere devoti ai padroni non tanto per la necessità della loro condizione, quanto per il piacere del dovere. Per ossequio a Dio sovrano, Signore di tutti, rendi i padroni clementi nei confronti dei servi e più propensi a dare un aiuto che a punire. Unisci i cittadini ai cittadini, le nazioni alle nazioni e tutti gli uomini nel ricordo della loro comune origine, non solo per costituire un’unica società, ma quasi per dar luogo ad un’unica famiglia. Insegni ai re a vegliare sui loro popoli, ammonisci i popoli a sottostare ai loro re. Insegni con cura a chi spetta l’onore, a chi l’affetto, a chi la riverenza, a chi il timore, a chi il conforto, a chi l’ammonizione, a chi l’esortazione, a chi la disciplina, a chi il rimprovero, a chi la punizione, mostrando come non a tutti si deve tutto, mentre a tutti si deve la carità e a nessuno l’ingiustizia.

30. 64. E una volta che questo amore umano avrà nutrito e rafforzato lo spirito e questo, attaccato alle tue mammelle, sarà stato messo in grado di seguire Dio; una volta che la divina maestà avrà incominciato a manifestarsi quanto è sufficiente all’uomo finché soggiorna su questa terra, allora si desterà un tale ardore di carità e si leverà un così grande incendio d’amore divino che, distrutto ogni vizio, purificato e santificato l’uomo, mostrerà abbastanza chiaramente quanto siano degne di Dio le affermazioni: Io sono un fuoco che consuma e Sono venuto a portare il fuoco sulla terra 95. Queste due espressioni dell’unico Dio, suggellate nei due Testamenti, annunciano, con una concorde attestazione, la santificazione dell’anima, perché si attui finalmente ciò che parimenti nel Nuovo è stato accolto dell’Antico: La morte è stata assorbita nella vittoria. Dove è, o morte, il tuo pungiglione? Dove è, o morte, la tua forza? 96. Se gli eretici riuscissero a comprendere questo soltanto, in piena umiltà e pace perfetta, non adorerebbero Dio in nessun’altra parte se non presso di te e nel tuo grembo. Giustamente presso di te si conservano dappertutto i precetti divini. Giustamente presso di te si comprende quanto sia più grave peccare conoscendo la legge che ignorandola. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge 97, con la quale può colpire più duramente e distruggere la coscienza del precetto violato. Giustamente presso di te si vede quanto siano vane le opere compiute in ossequio alla legge, quando la concupiscenza devasta lo spirito ed è frenata dal timore della pena ma non annientata dall’amore della virtù. Giustamente appartengono a te tanti uomini ospitali, generosi, misericordiosi, sapienti, casti, santi, a tal punto ardenti d’amore di Dio da trovare piacevole addirittura la solitudine in una suprema continenza e in un incredibile disprezzo di questo mondo.

Esortazione ai Manichei a considerare i costumi dei perfetti cristiani:

31. 65. Io ti domando, che cosa vedono coloro che non possono non amare l’uomo e che eppure possono non vederlo? Qualunque cosa sia, indubbiamente è più eccellente delle cose umane se nella sua contemplazione l’uomo può vivere senza l’uomo. Imparate, dunque, o Manichei, a conoscere i costumi e la straordinaria continenza dei perfetti cristiani, ai quali la castità assoluta appare degna non soltanto di essere lodata ma anche di essere conquistata, di modo che, se resta in voi un po’ di pudore, non osiate menare impunemente vanto, al cospetto di spiriti non esperti, della vostra astinenza come della cosa più difficile. Mi riferisco a fatti non che voi ignorate, ma che ci nascondete. Chi infatti non sa che una moltitudine di cristiani che vivono nella perfetta continenza si diffonde per tutta la terra ogni giorno di più e principalmente in Oriente e in Egitto, cosa che a voi in nessun modo può rimanere ignota?

a) degli anacoreti,

31. 66. Non dirò niente degli uomini che ho ricordato poco fa, i quali, ritiratisi in assoluta solitudine lontano da ogni sguardo umano, contenti del solo pane che viene portato loro a determinate ore e dell’acqua, abitano le terre più deserte, godendo del colloquio con Dio, a cui si sono uniti con le menti pure e felicissimi di contemplare quella sua bellezza, che può essere percepita solo dall’intelletto dei santi. Di questi, come dico, non parlerò, poiché ad alcuni sembra che abbiano abbandonate le cose umane più di quanto non convenga, senza capire quanto a noi siano di giovamento lo spirito impegnato nella preghiera e la vita dedita all’esempio di coloro dei quali non ci è consentito di vedere i corpi. Ma discutere in proposito credo che sarebbe troppo lungo e superfluo, perché chi non trova questo così alto grado di santità degno di ammirazione e di onori di sua spontanea volontà come può trovarlo tale con il nostro discorso? A costoro, che si vantano inutilmente, va ricordato soltanto che la temperanza e la continenza dei cristiani più santi della professione cattolica si sono talmente sviluppate da sembrare a certuni che dovessero essere limitate e come ricondotte entro limiti umani: così giudicano anche coloro ai quali dispiace che questi spiriti si siano elevati tanto al di sopra degli uomini.

b) dei cenobiti,

31. 67. Ma se ciò oltrepassa la nostra tolleranza, chi non guarderà con ammirazione e non esalterà quegli uomini che, disprezzate e abbandonate le seduzioni di questo mondo, radunati in una vita comune castissima e santissima, dedicano il proprio tempo a pregare, leggere e discutere? Non gonfi di superbia, non riottosi per ostinatezza, non tristi per invidia, ma modesti, riservati, sereni, offrono a Dio, dal quale meritarono di ottenere queste virtù, come dono a lui graditissimo, una vita di intima unione e di intensissima pietà. Nessuno possiede qualche cosa di proprio, nessuno è di peso per un altro. Eseguono lavori manuali che possono nutrire il loro corpo, senza distogliere la mente da Dio. Consegnano poi il frutto del loro lavoro ai decani, chiamati così in quanto preposti ad un gruppo di dieci, affinché nessuno di loro si prenda pensiero del proprio corpo né per il cibo né per le vesti né per qualche altra cosa occorrente o per le necessità quotidiane o, come capita, per le mutate condizioni di salute. Anche i decani a loro volta, disponendo tutto con molta cura e prestandosi per qualsiasi cosa questo genere di vita richieda a causa della debolezza del corpo, rendono conto ad uno solo che chiamano padre. Questi padri, non solo di costumi illibatissimi, ma versatissimi nella dottrina divina ed eminenti in ogni cosa, provvedono a coloro che chiamano figli senza alcuna superbia, grazie alla loro grande autorità nel comandare e alla pari volontà dei figli nell’obbedire. Sul far della sera, mentre sono ancora digiuni, escono ciascuno dalla sua cella e si riuniscono per ascoltare il loro padre e sotto ciascun padre si radunano non meno di tremila uomini: anche di più ne vivono sotto uno solo. Lo ascoltano con un’attenzione incredibile, in assoluto silenzio, e manifestano i sentimenti suscitati nel loro animo dal discorso di colui che parla ora con gemiti, ora con lacrime, ora con gioia moderata e sommessa. Quindi rifocillano il corpo con quanto basta per la vita e la salute, reprimendo ciascuno la concupiscenza di gettarsi avidamente su quel nutrimento, che peraltro è frugale e modestissimo. Così essi, per poter dominare le loro passioni, si astengono non solo dalle carni e dal vino, ma anche da quei cibi che stimolano l’appetito dello stomaco e il gusto del palato tanto più violentemente, quanto a taluni paiono quasi più puri. Con questo pretesto si è soliti giustificare, in modo ridicolo e vituperabile, il turpe desiderio di cibi prelibati, in quanto diverso da quello per le carni. Giudiziosamente quanto avanza del vitto necessario (e appunto ne avanza moltissimo proveniente dal lavoro manuale e dalla restrizione dei cibi) viene distribuito ai bisognosi con cura maggiore di quanta non ce ne fu nel procurarselo da parte di quegli stessi che lo distribuiscono. In effetti, non si industriano in alcun modo perché queste cose avanzino, ma fanno del tutto per non conservare gli avanzi presso di sé, tanto che spediscono perfino navi cariche in paesi dove abitano i poveri. Di questa cosa assai nota non è necessario dire di più.

c) dei consacrati a Dio,

31. 68. Tale è anche la vita delle donne che servono Dio in modo sollecito e casto, separate nelle loro abitazioni e lontane quanto più è possibile dagli uomini, ai quali si uniscono soltanto per una pia carità e per l’imitazione della virtù. L’accesso presso di loro non è consentito ai giovani e neppure agli stessi vecchi, per quanto essi siano assai autorevoli e stimati, salvo che per portare il necessario a quelle che ne hanno bisogno e non oltre il vestibolo. Esse infatti tengono occupato il corpo con il lavoro della lana con cui si procurano da vivere, facendo i vestiti ai loro fratelli e ricevendone in cambio ciò che è necessario per il vitto. Se volessi lodare questi costumi, questa vita, questo ordine, questa istituzione, non lo farei degnamente e, d’altro canto, se pensassi di aggiungere alla semplicità del narratore lo stile elevato del lodatore, temerei di dare l’impressione di ritenere che la nuda esposizione non possa essere soddisfacente per se stessa. Manichei, se potete, condannate queste cose; non date in pasto la nostra zizzania a gente cieca e incapace di discernere.

d) dei vescovi, sacerdoti, diaconi e simili ministri;

32. 69. Tuttavia i costumi così santi della Chiesa cattolica non si restringono dentro limiti tanto angusti da pensare che si debba lodare soltanto la vita di quelli che ho ricordato. Quanti vescovi ho conosciuto, uomini insigni e di somma integrità, quanti sacerdoti, quanti diaconi e simili ministri dei divini sacramenti, la cui virtù mi pare tanto più mirabile e degna di maggiore onore quanto più è difficile conservarla in così varia moltitudine di uomini e in questa vita assai turbolenta. Non sono infatti preposti alla cura dei sani più che a quella dei malati. Devono sopportare i vizi della moltitudine per guarirla e tollerare il contagio della peste, prima di estinguerla. In questa situazione è difficilissimo tenere un modo di vita perfetto e conservare l’animo pacato e tranquillo. Per dirla in breve, questi vivono dove si impara a vivere, quelli dove si vive.

e) di altri ancora che conducono vita in comune.

33. 70. Non per questo tuttavia trascurerò l’altro eletto genere di cristiani, voglio dire coloro che abitano nelle città, remotissimi dalla vita comune. Io stesso ho visto a Milano una casa di non pochi uomini santi, che sottostavano ad un solo sacerdote, persona di grandissima probità e dottrina. A Roma ne ho conosciute anche di più, nelle quali coloro che si distinguono per autorità, per senno e per scienza divina sono di guida agli altri che abitano con loro, vivendo tutti nella carità, nella santità e nella libertà cristiana. Neppure costoro sono a carico di qualcuno ma, secondo l’uso orientale e l’esempio dell’Apostolo Paolo, si sostentano con il lavoro delle proprie mani. Ho appreso che molti praticano digiuni veramente incredibili, non rifocillando il corpo una volta al giorno sul far della sera, cosa del resto che è dappertutto molto in uso, ma passando molto spesso tre giorni interi o di più senza mangiare né bere. E questo avviene non soltanto tra gli uomini, ma anche tra le donne. Parimenti molte di esse, vedove e vergini, abitano insieme procurandosi il vitto con lavori di lana e di tela. Sono loro di guida alcune non solo molto autorevoli e assai stimate nel formare e ordinare i costumi, ma anche esperte e preparate nell’istruire le menti.

33. 71. E in questo genere di vita nessuno è forzato a sostenere dure prove che non può sopportare; a nessuno è imposto qualcosa che rifiuta di fare e pertanto non è condannato da altri per il fatto che non si sente capace di imitarli. Si ricordano infatti con quanta energia le Scritture raccomandano a tutti la carità; si ricordano che: Tutto è puro per i puri 98 e: Non quello che entra nella vostra bocca vi rende impuri, ma quello che ne esce 99. Perciò mettono grande zelo non per rifiutare certi generi di cibi quasi fossero immondi, ma per domare la concupiscenza e per conservare l’amore dei fratelli. Si ricordano del passo che dice: I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi. Ma Dio distruggerà questo e quelli 100; e di quell’altro: Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio101; e soprattutto di quello: È bene, fratelli, non mangiare carne né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi102. In effetti l’Apostolo mostra come tutte queste cose devono essere indirizzate al fine della carità; dice: Uno crede di poter mangiare tutto, l’altro invece, che è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia, non disprezzi chi non mangia e chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare 103. E poco dopo: Chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio 104. E parimenti in quello che segue: Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque dal giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello. Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo 105. Avrebbe potuto meglio mostrare che non nelle cose stesse di cui ci alimentiamo, ma nel nostro spirito si trova una certa forza, capace di contaminarlo? E per questo anche quelli che sono capaci di disprezzare queste cose e che sanno di certo che non si contaminano se hanno preso qualche cibo senza turpe cupidigia e con la mente rivolta in alto, devono comunque avere di mira la carità. Osserva cosa ne segue: Ora, se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti più secondo carità 106.

33. 72. Leggi da te il resto, perché riportarlo qui tutto sarebbe lungo, e troverai che a coloro che possono non tener conto di queste cose, vale a dire ai più forti e sicuri, si prescrive tuttavia di essere temperanti per non offendere quelli che, a causa della loro debolezza, hanno ancora bisogno di una temperanza di questo genere. Queste cose le conoscono e le praticano quelli dei quali ho parlato; infatti sono cristiani, non eretici, e intendono le Scritture secondo la dottrina apostolica e non alla maniera di quell’orgoglioso e mentito Apostolo vostro: Nessuno disprezza chi non mangia; nessuno giudica chi mangia; il debole mangia verdure. Molti forti, dunque, fanno la medesima cosa per rispetto dei deboli; molti altri invece lo fanno non per tale motivo, ma perché preferiscono alimentarsi con un cibo più comune e condurre una vita perfettamente tranquilla, sostentando il corpo con pasti frugali. Tutto mi è lecito, dice l’Apostolo, ma io non mi lascerò dominare da nulla 107. Così molti non si nutrono di carne, pur senza giudicarla superstiziosamente immonda, di modo che coloro stessi che da sani se ne astengono, quando sono malati e vi sono costretti da esigenze di salute, la mangiano senza alcun timore. Molti non bevono vino, senza credere tuttavia che esso li contamini, poiché lo fanno dare con grandissima umanità e discrezione a certuni particolarmente deboli e, in generale, a tutti coloro che, senza esso, non possono godere buona salute. E se alcuni lo rifiutano, pur non avendone motivo, li ammoniscono fraternamente a non farsi, per vana superstizione, più deboli prima ancora che più santi. Leggono loro l’Apostolo che comanda al discepolo di prendere un po’ di vino per le sue frequenti indisposizioni 108. Così praticano con zelo gli esercizi di pietà; quanto a quelli del corpo, come dice lo stesso Apostolo, sanno che concernono il breve tempo della vita terrena109.

33. 73. Coloro dunque che possono, e sono in ogni modo innumerevoli, si astengono dalle carni e dal vino per due ragioni: o in considerazione della debolezza dei loro fratelli o tenendo presente la propria libertà. È alla carità soprattutto che si guarda: alla carità si adatta il vitto, alla carità il linguaggio, alla carità il vestire, alla carità l’aspetto. Ci si riunisce per tendere insieme ad una sola carità: violarla è considerato un delitto come oltraggiare Dio. Se una cosa le si oppone, è repressa e tolta di mezzo; se un’altra la offende, non la si lascia durare un solo giorno. Sanno che è così raccomandata da Cristo e dagli Apostoli che, dove essa sola manchi, tutto è vanità; dove essa sia presente, tutto è pienezza.

Esortazione finale: la Chiesa non va giudicata dai comportamenti dei cattivi cristiani.

34. 74. Con questi, Manichei, confrontatevi, se potete; di questi, tenete conto; di questi, se ne avete coraggio, sparlate pure, ma senza mentire. Ai loro digiuni paragonate i vostri digiuni, alla loro castità la vostra castità, al loro vestire il vostro vestire, al loro vitto il vostro vitto, alla loro modestia la vostra modestia, alla loro carità la vostra carità e, ciò che più importa, ai loro precetti i vostri precetti. Allora vedrete quale distanza corre tra l’ostentazione e la sincerità, tra la via diritta e l’errore, tra la fede e la falsità, tra il vigore e la gonfiezza, tra la felicità e la miseria, tra l’unità e la divisione, infine tra il porto della religione e le sirene della superstizione.

Sincerità moderazione dei veri cristiani.

34. 75. Non mi portate quelli che fanno professione del nome cristiano e che o non conoscono le implicazioni di quanto professano o non ne danno testimonianza. Non andate dietro alle turbe degli ignoranti, i quali, all’interno stesso della vera religione, o restano superstiziosi oppure sono così dediti ai piaceri da dimenticare quanto promisero a Dio. Ne conosco molti che adorano sepolcri e pitture; molti che bevono senza alcun ritegno sopra i morti e che, offrendo cibi ai cadaveri, seppelliscono se stessi sopra i sepolti e imputano alla religione i loro eccessi nel mangiare e nel bere. Conosco molti che a parole hanno rinunciato a questo secolo, ma vogliono essere oppressi da tutte le molestie di questo mondo e se ne rallegrano. Non c’è da meravigliarsi che, in tanta moltitudine di popoli, non manchino alcuni la cui vita licenziosa vi offre il pretesto per ingannare gli ignoranti e per allontanarli dalla salute cattolica, quando voi, che siete così pochi, vi trovate in grande imbarazzo se vi si chiede di indicare uno soltanto di coloro che voi chiamate eletti, che rispetti quegli stessi precetti che voi difendete con folle superstizione. Ma quanto vani siano questi precetti, quanto dannosi e sacrileghi e come da gran parte di voi, o meglio, quasi da tutti non siano osservati, mi sono risoluto a mostrarlo in un altro libro.

34. 76. Ora vi ammonisco a smetterla, una buona volta, di denigrare la Chiesa cattolica, condannando i costumi di uomini che anch’essa condanna e che ogni giorno si sforza di correggere come figli cattivi. Ma tra costoro tutti quelli che, con la buona volontà e con l’aiuto di Dio, si ravvedono, con il pentimento recuperano quello che avevano perduto con il peccato. A quelli invece che, per cattiva volontà, perseverano negli antichi vizi o ve ne aggiungono anche di più gravi dei primi, si consente di vivere nel campo del Signore e di crescere con i buoni semi, ma arriverà il tempo in cui la zizzania sarà separata. Oppure se, per rispetto dello stesso nome cristiano, sono da considerarsi più come paglia che come spine, verrà di certo chi pulirà l’aia, separerà la paglia dal grano e con somma equità darà a ciascuno ciò che gli spetta, secondo il suo merito 110.

Paolo concede ai battezzati sia l’unione matrimoniale, sia il possesso dei beni.

35. 77. Frattanto, perché infierite, perché perdete il lume della ragione per amore di parte? Perché vi impigliate nell’ostinata difesa di un così grande errore? Cercate le messi nel campo e il grano nell’aia: vi si faranno vedere facilmente, offrendosi da se stessi a chi li ama. Perché guardate in modo così smodato alla spazzatura? Perché tenete gli inesperti lontani da un giardino fertile e ubertoso con aspre spine? L’accesso per entrarvi, sebbene noto a pochi, è sicuro; ma voi non credete che esista o non lo volete trovare. Nella Chiesa cattolica esistono innumerevoli fedeli che, come dice l’Apostolo, non usano di questo mondo e altri che ne usano come se non ne usassero appieno 111. Di ciò si è avuta prova fin da quando i cristiani erano costretti a seguire il culto degli idoli. Allora infatti quanti uomini doviziosi, quanti padri di famiglia occupati nella terra, quanti nel commercio, quanti nella milizia, quanti nelle cariche più ragguardevoli della loro città, infine quanti senatori, insomma quanti dell’uno e dell’altro sesso, abbandonando tutte le vanità temporali delle quali di certo, pur servendosene, non erano prigionieri, subirono la morte per una fede ed una religione salutare e dimostrarono agli infedeli di essere loro a possedere quelle cose, anziché esserne posseduti.

35. 78. Perché dite falsamente che i fedeli rinnovati dal battesimo non debbono procreare figli né possedere terre, case e denari? Lo permette lo stesso Paolo. Non si può infatti negare: è ai fedeli che lo scrisse dopo aver enumerato i molti peccatori che non possederanno il regno di Dio. Dice: E tali in verità eravate; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio 112. Senza alcun dubbio per lavati e santificati nessuno oserà intendere altri all’infuori dei fedeli e di coloro che avranno rinunziato a questo mondo. Ma poiché egli indica a chi ha scritto, vediamo se permette loro cose da voi vietate. Così infatti prosegue: Tutto mi è lecito! Ma non tutto giova. Tutto mi è lecito! Ma io non mi lascerò dominare da nulla. I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi! Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò le membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce ad una prostituta forma con essa un corpo solo? Infatti, è detto, così saranno due in un corpo solo. Ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito. Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo 113. Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non ha la potestà sul proprio corpo, ma il marito che l’ha; allo stesso modo anche il marito non ha la potestà sul proprio corpo, ma è la moglie che l’ha. Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti a causa della vostra incontinenza. Questo però vi dico per concessione, non per comando. Vorrei che tutti fossero come me; ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro 114.

35. 79. Non vi pare che l’Apostolo abbia mostrato a sufficienza ai forti in cosa consiste la perfezione e che abbia permesso ai deboli ciò che ne è più vicino? Infatti, quando dice: Vorrei che tutti fossero come me, mostra che la perfezione consiste nel non toccare una donna. A questa perfezione poi si avvicina la castità coniugale, che sottrae l’uomo alla devastazione dell’impudicizia. Con ciò forse ha inteso dire che questi uomini non sono ancora fedeli perché si uniscono alle mogli? Al contrario, ha detto che la castità del matrimonio santifica non solo l’uno e l’altro degli stessi coniugi, se uno dei due è infedele, ma anche la prole che da loro nasce. Infatti dice: Il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre invece sono santi 115. Perché contestate con ostinazione una verità così chiara? Perché vi sforzate di oscurare con vane ombre la luce delle Scritture?

35. 80. Non dite più che unirsi alle loro donne è consentito ai catecumeni, ma non ai fedeli; che avere denaro è consentito ai catecumeni, ma non ai fedeli. Sono molti infatti quelli che usano queste cose, come se non ne usassero. È in quel sacrosanto lavacro del battesimo che ha inizio la rigenerazione dell’uomo nuovo, di modo che giunge a compimento attraverso un cammino, in alcuni più presto, in altri più tardi. Molti tuttavia fanno progressi verso la nuova vita, purché vi tendano non con ostilità, ma con zelo, perché, come dice l’Apostolo, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno 116. L’Apostolo dunque dice che l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno per divenire perfetto, voi invece volete che egli cominci dalla perfezione. Che lo vogliate davvero! Ma voi badate più ad ingannare gli inesperti che a raddrizzare gli infermi; questo infatti non avreste dovuto dirlo con tanta audacia, nemmeno se risultasse che vi siete realizzati alla perfezione nelle vostre prescrizioni da nulla. Siete poi consapevoli che coloro che ammettete nella vostra setta, non appena avranno cominciato a legarsi a voi con maggiore familiarità, scopriranno presso di voi l’esistenza di una quantità di cose di cui nessuno sospettava, quando accusavate gli altri. Perché allora siete così impudenti nel cercare la perfezione nei cattolici più deboli con l’intento di allontanare da essi gli inesperti, e nel non mostrarla affatto presso di voi a quelli che avete allontanati? Ma perché non sembri ormai che stia spargendo sul vostro conto qualche accusa temeraria, pongo termine a questo libro, per venire finalmente ad esporre i precetti della vostra vita e i vostri memorabili costumi.


 

LIBRO SECONDO

I costumi dei Manichei

Al sommo bene compete il sommo essere e non può avere nulla di contrario.

1. 1. Nessuno dubita, credo, che la ricerca relativa ai beni e ai mali è un genere di questione che riguarda la disciplina morale, della quale ci occupiamo in questo discorso. Vorrei perciò che gli uomini procedano in questa ricerca con uno sguardo della mente così limpido da poter vedere quel bene sommo rispetto al quale non c’è nulla di migliore o di più eccellente e a cui è sottomessa ogni anima razionale pura e perfetta. Una volta infatti che lo abbiano conosciuto e compreso, si renderebbero conto ad un tempo che esso è ciò di cui giustamente si afferma che è in modo sommo e primario. Di esso appunto si deve dire che è al massimo grado, dal momento che rimane sempre nel medesimo stato, è in ogni aspetto simile a se stesso, in nessuna parte può corrompersi e mutare, non soggiace al tempo e non può essere ora diverso da come era in precedenza. È infatti ciò che si dice essere nell’accezione più vera, poiché a questa parola è connesso il significato di una natura che sussiste in sé e che rimane nel suo stato immutabilmente. Di questa natura non possiamo dire altro se non che è Dio, al quale è impossibile trovare alcunché di contrario, se lo si cerca in modo retto. L’essere infatti non ha un contrario, all’infuori del non essere. Non c’è dunque nessuna natura contraria a Dio. Ma poiché consideriamo queste verità con uno sguardo della mente ferito ed indebolito da vane opinioni e da una perversa volontà, tentiamo, per quanto è possibile, di pervenire ad una qualche conoscenza di una cosa così grande passo dopo passo e con prudenza, cercando alla maniera non di quelli che vedono chiaramente, ma di quelli che procedono a tentoni.

Il male secondo i Manichei: 1) ciò che in un essere è contrario alla sua natura.

2. 2. Spesso, anzi quasi sempre, voi, o Manichei, a coloro che vi sforzate di persuadere alla vostra eresia chiedete da dove provenga il male. Immaginate che io mi sia imbattuto in voi ora per la prima volta: cercherei di ottenere da voi, se non vi dispiace, che, abbandonata per un po’ l’opinione per cui credete di saperlo già, anche voi tentiate di indagare insieme a me, come ignari, una cosa tanto importante. Voi mi chiedete da dove viene il male; io invece, da parte mia, vi chiedo che cosa sia il male. Di chi è più giusta la richiesta, di coloro che cercano da dove venga una cosa di cui ignorano la natura, oppure di colui che reputa prioritario cercarne la natura, perché non si cerchi l’origine di una cosa ignota (il che sarebbe assolutamente assurdo)? Siete perfettamente nel vero che nessuno è così cieco di mente da non vedere che per ciascun genere il male consiste in ciò che è contrario alla sua natura. Ma, posto ciò, la vostra eresia crolla, perché nessuna natura è il male, se il male è ciò che è contrario alla natura. Voi tuttavia sostenete che il male è una natura e una sostanza. Si aggiunga anche che quanto è contrario ad una natura, senz’altro lotta contro di essa e si sforza di distruggerla, tende cioè a far sì che non sia ciò che è. Infatti la stessa natura altro non è se non ciò che, nel suo genere, è concepito come qualcosa che è. Pertanto, come noi, usando un nome nuovo derivato da quello di essere, chiamiamo essenza ciò che per lo più chiamiamo anche sostanza, così gli antichi, che non possedevano queste parole, impiegavano natura per essenza e sostanza. Se dunque voi siete disposti a liberarvi della vostra ostinazione, il male in se stesso consiste nel deviare dall’essenza e nel tendere a ciò che non è.

Replica di Agostino: ciò implica che il male sia una sostanza, ma esso non può essere tale.

2. 3. Di conseguenza, quando nella Chiesa cattolica si dice che Dio è l’autore di tutte le nature e sostanze, con ciò stesso coloro che sono in grado di comprendere comprendono che Dio non è l’autore del male. Del resto come può, egli che è la causa dell’esistenza di tutte le cose che sono, essere nello stesso tempo anche la causa della loro non esistenza, cioè del loro deviare dall’essenza e del loro tendere al non essere? La ragione più veritiera attesta che questo è il male in senso generale. Ma la vostra stirpe del male, che per voi è il male sommo, come può essere contraria alla natura, cioè alla sostanza, quando voi stessi sostenete che è questa natura e questa sostanza? Se infatti si rivolta contro di sé, si priva del suo stesso essere; e se avrà portato a compimento quest’opera, allora finalmente raggiungerà il sommo male. Tuttavia non arriverà a tal punto, perché volete non solo che esso sia, ma anche che sia eterno. Ciò che si riconosce come una sostanza, dunque, non può essere il sommo male.

2. 4. Ma cosa dovrei fare? So che tra voi ci sono molti che non possono assolutamente comprendere queste cose. So inoltre che ce ne sono alcuni che, dato il buon ingegno, in qualche modo le vedono; tuttavia, a causa di una perversa volontà, per la quale finiranno col perdere lo stesso ingegno, si comportano ostinatamente e cercano quali obiezioni opporre in modo da persuadere facilmente gli ingenui e gli sciocchi, piuttosto che convenire sul fatto che sono vere. Tuttavia non mi pentirò di aver scritto questo libro nel caso in cui qualcuno tra voi, dopo averlo finalmente considerato con equo giudizio, abbandoni il vostro errore, oppure nel caso in cui spiriti perspicaci e sottomessi a Dio e non ancora influenzati dal vostro zelo con questa lettura vengano protetti contro il rischio di essere sviati dai vostri discorsi.

2) ciò che nuoce. Replica di Agostino: né al sommo bene né al sommo male si può nuocere; quindi i Manichei sono in errore.

3. 5. Cerchiamo dunque con più diligenza e, per quanto è possibile, con più chiarezza. Vi chiedo di nuovo: che cosa è il male? Se dite: ciò che nuoce, neppure in questo caso mentite. Ma, vi prego, fate attenzione; vi prego, tenete gli occhi bene aperti; vi prego, deponete ogni passione di parte e cercate la verità non per il desiderio di vincere, ma di trovarla. Tutto ciò che nuoce, infatti, priva di qualche bene la cosa a cui nuoce, perché, se non gli togliesse nessun bene, non gli nuocerebbe affatto. Che cosa di più evidente, vi scongiuro? Che cosa di più chiaro? Che cosa di più accessibile a qualunque ingegno, per mediocre che sia, purché non ostinato? Ma posto ciò, si vede già, a mio avviso, la conseguenza. In quella stirpe che supponete essere il sommo male, non è possibile nuocere a nessuna cosa, perché non c’è niente di buono. Voi affermate che esistono due nature, il regno della luce e il regno delle tenebre, e dite che il regno della luce è un Dio a cui attribuite una certa natura semplice, così che in lui non c’è nulla di inferiore ad altro. Siete allora costretti a fare un’ammissione che è gravemente contro di voi, alla quale tuttavia non potete sottrarvi: questa natura, che non solo non rinnegate come il sommo bene, ma fate anche tentativi di ogni genere per persuaderne gli altri, è immutabile, impenetrabile, incorruttibile, inviolabile; altrimenti infatti non sarebbe il sommo bene, ossia quello rispetto al quale nulla è più eccellente. Ora ad una tale natura non si può nuocere in nessun modo. Ma se nuocere, come ho mostrato, equivale a privare di un bene, non si può nuocere al regno delle tenebre, perché non vi è affatto il bene; non si può nuocere al regno della luce, perché è inviolabile. A chi dunque nuocerà ciò che voi chiamate il male?

Agostino distingue il bene per sé dal bene per partecipazione.

4. 6. Pertanto, poiché non vi riuscite da voi, guardate come la questione è spiegata dall’insegnamento cattolico, secondo il quale altro è il bene che è tale in sommo grado e per sé, non per partecipazione di qualche altro bene, ma per natura ed essenza propria; altro invece è il bene che partecipa al bene e deve ad esso ciò che è: lo deve a quel sommo bene che tuttavia resta in se stesso e non perde nulla di sé. Questo bene del quale abbiamo parlato per secondo, lo chiama creatura. Ad essa può nuocere il difetto di qualcosa, ma di tale difetto non è autore Dio, perché egli lo è dell’esistenza e, per così dire, dell’essere. È evidente così in che senso si dice il male: in tutta verità infatti si dice non secondo l’essenza, ma secondo la privazione. E appare chiara la natura a cui si può nuocere: essa non è il sommo male e neppure il sommo bene, in quanto può essere privata di un bene, perché l’esser buona non le deriva dal fatto che è un bene, ma dal fatto che partecipa al bene. E una cosa non è buona per natura se, in quanto creata, ha ricevuto da altro questa qualità. Così Dio è il sommo bene e buone sono tutte le cose che ha creato, non però alla stessa maniera di lui che le ha create. Chi infatti è così folle e così impudente da pretendere che le opere siano uguali all’artista, le creature al creatore? Che volete di più? O desiderate qualche cosa di più chiaro ancora?

3) una corruzione. Replica Agostino: la corruzione non esiste in se stessa, ma in qualche sostanza che corrompe; il male perciò per sé non è, ma dipende dal bene.

5. 7. Vi domanderò dunque per la terza volta che cosa è il male. Risponderete forse che è una corruzione. E chi potrà dire che non sia questo il carattere generale del male? In effetti essa è contraria alla natura, essa è ciò che nuoce. La corruzione però non esiste in se stessa, ma in qualche sostanza che corrompe, poiché la corruzione in se stessa non è una sostanza. La cosa dunque che essa corrompe non è la corruzione, non è il male. Ciò che è soggetto a corruzione infatti è privato della sua integrità e della sua perfezione. Pertanto, la cosa che non ha nessuna perfezione di cui possa essere privata non può corrompersi; e la cosa che la possiede di certo è un bene in quanto partecipa alla perfezione. Così pure, ciò che viene corrotto di certo si perverte, e ciò che si perverte è privato dell’ordine; ma l’ordine è un bene; pertanto ciò che si corrompe non è privo di bene, perché, quando si corrompe, può essere privato proprio di ciò di cui è in possesso. Ecco perché quella progenie delle tenebre, se era priva di ogni bene, come voi dite, non poteva corrompersi: non aveva infatti nulla che la corruzione le potesse togliere. E se la corruzione non toglie niente, niente corrompe. Provate ora a dire, se potete, che Dio e il regno di Dio hanno potuto corrompersi, quando non riuscite a spiegare come abbia potuto corrompersi il regno del diavolo, quale voi descrivete.

Ancora Agostino: solo la sostanza creata si corrompe, non quella increata.

6. 8. Ma che dice in proposito la luce cattolica? Che altro, secondo voi, se non quella che è l’essenza della verità, e cioè che solo la sostanza creata può corrompersi, poiché quella non creata, che è il sommo bene, è incorruttibile e la stessa corruzione, che è il sommo male, non può corrompersi in quanto non è una sostanza? Se poi domandate che cosa essa sia, guardate dove tenta di portare le cose che corrompe: è essa stessa infatti che colpisce direttamente le cose che si corrompono. È per la corruzione che tutte le cose perdono il loro stato originario e sono nell’impossibilità di permanere, nell’impossibilità di essere; l’essere infatti rinvia al permanere. Per questo parlare di ciò che è in modo sommo ed eccellente equivale a parlare di ciò che ha la capacità intrinseca di permanere; infatti ciò che muta in meglio, non muta in relazione al permanere, ma in relazione al pervertirsi in peggio, cioè al venir meno alla propria essenza. E l’autore di questo venir meno non coincide con l’autore dell’essenza. Allo stesso modo, relativamente a certe cose che mutano in meglio e perciò tendono ad essere, non diciamo che con questo mutamento si pervertono, ma che ritornano a se stesse convertendosi: la perversione infatti è contraria all’ordine. Invero le cose che tendono all’essere, tendono all’ordine; una volta che lo hanno conseguito, conseguono lo stesso essere, per quanto questo sia possibile ad una creatura. L’ordine appunto riconduce ad una certa convenienza ciò che ordina. L’essere non è nient’altro che unità; di conseguenza, una cosa in tanto è, in quanto raggiunge l’unità. La convenienza e la concordia svolgono un’opera di unificazione: è mediante tale opera che le cose composte sono effettivamente in quanto tali. Le cose semplici infatti sono per se stesse, poiché sono l’unità; quelle che non sono semplici invece imitano l’unità con la concordia delle loro parti e sono in quanto realizzano tale concordia. Per questo l’ordine spinge all’essere e la mancanza di ordine, che è chiamata anche perversione e corruzione, spinge al non essere. Tutto ciò che si corrompe dunque tende al non essere. Spetta ora a voi considerare dove conduca la corruzione, per poter trovare il sommo male: esso è infatti il fine a cui la corruzione si sforza di portare.

Ancora Agostino: la bontà di Dio non permette a nessuna cosa di tendere al nulla.

7. 9. Ma la bontà di Dio non permette che si arrivi a tal punto e dispone tutte le creature che hanno deviato in modo da trovarsi nella posizione che loro maggiormente conviene, in attesa che, restaurato l’ordine dei movimenti, ritornino al punto a partire dal quale avevano deviato. Pertanto, anche le anime razionali, nelle quali potentissimo è il libero arbitrio, se deviano da Dio, sono disposte da lui nei gradi inferiori della creazione, dove è giusto che esse siano. Esse dunque diventano misere per un giudizio divino, in quanto collocate nella posizione che si addice ai loro meriti. Da ciò quelle giustissime parole che siete soliti attaccare con grande violenza: Faccio il bene e provoco la sventura 1. Creare infatti significa regolare e mettere ordine; per questo nella maggior parte dei testi originali sta scritto così: Faccio il bene e regolo il male. Il fare riguarda ciò che non esisteva affatto; il regolare invece il mettere ordine in ciò che già in qualche modo esisteva, affinché cresca e diventi migliore. Quando infatti Dio dice: Regolo i mali, egli regola, cioè mette ordine nelle cose che deviano, che tendono al non essere, e non in quelle che sono pervenute al fine a cui tendono, poiché è stato detto: " A nessuna cosa la divina Provvidenza permette di pervenire al nulla ".

7. 10. Questi argomenti di solito si trattano in modo più ampio e più approfondito, ma, parlandone con voi, ciò è sufficiente. Bisognava infatti mostrarvi la porta della quale avete smarrito la speranza e la fate smarrire agli inesperti. Nessuno infatti può introdurvici all’infuori della buona volontà, alla quale la divina clemenza dona la pace, come si canta nel Vangelo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà 2. È sufficiente comprendere da parte vostra, io dico, che la discussione religiosa sul bene e sul male non sortisce nessun risultato se non si ammette che tutto ciò che è, in quanto è, proviene da Dio, e invece, in quanto devia dall’essenza, non proviene da Dio, sebbene sia sempre ordinato dalla divina Provvidenza come conviene a tutte le cose. Se non lo comprendete ancora, non so che cosa fare di più per il momento all’infuori di trattare in modo più analitico le cose già dette. Solo la pietà e la purezza conducono alle cose più alte.

4) una sostanza. Replica di Agostino: il male non è una sostanza, ma una mancanza di convenienza nemica della sostanza.

8. 11. Se vi domando che cosa sia il male, che altro mi risponderete se non che esso è o ciò che è contro la natura o ciò che nuoce o una corruzione o qual cos’altro di simile? Ma vi ho dimostrato che con queste risposte fate naufragio, a meno che per caso, secondo la vostra abitudine di comportarvi in modo bambinesco con i bambini, non rispondiate che il male consiste nel fuoco, nel veleno, nella bestia feroce e in altre cose simili. Infatti ad un uomo che sosteneva che il male non è una sostanza, uno dei capi della vostra setta, che ascoltavamo più volentieri e più frequentemente, diceva: " Vorrei mettere uno scorpione nella mano di quest’uomo e vedere se non la ritira; qualora la ritirasse, egli sarebbe convinto non con le parole, ma con i fatti stessi che il male è una sostanza, non potendo certo negare che quell’animale è una sostanza ". E lo diceva non alla presenza di quell’uomo, ma davanti a noi quando, turbati, gli riferimmo ciò che l’altro aveva detto: rispondeva dunque, come ho detto, in modo puerile a dei fanciulli. Chi infatti è così poco iniziato ed erudito da non vedere che tali cose danneggiano perché non si confanno alla disposizione di un corpo e che invece non danneggiano, se vi si confanno, ma anzi spesso procurano grandi vantaggi? Infatti se quel veleno fosse un male per se stesso, ucciderebbe anzitutto e ancor più lo scorpione. Ma è proprio il contrario: se in qualche modo gli fosse tolto interamente, senza dubbio morirebbe. Così, per il suo corpo è un male perdere ciò che per il nostro è un male ricevere; parimenti per lui è un bene avere ciò che per noi è un bene non avere. La medesima cosa sarà dunque un bene e un male? Niente affatto; ma il male è ciò che è contro la natura. Per quella bestia e per noi il male appunto è questa mancanza di convenienza, che non è certamente una sostanza ma, al contrario, una nemica della sostanza. Da dove viene dunque questa mancanza? Guarda dove trascina e lo saprai, purché vi sia in te una scintilla di luce interiore. Infatti trascina tutto ciò che perisce verso il non essere. Dio è l’autore dell’essenza e nessuna essenza che trascina ciò in cui risiedeva verso il non essere può essere ritenuta tale. Alla domanda da dove viene la mancanza di convenienza, dunque, si può rispondere qualche cosa; nulla invece si può rispondere alla domanda da dove essa non viene.

8. 12. La storia narra che una donna ateniese, nota per i suoi eccessi, prendendo a piccole dosi la quantità di veleno che si dà ai condannati per farli morire, riuscì a berne senza alcun danno o quasi per la sua salute. Sicché, una volta che fu condannata, prese come gli altri la quantità di veleno prescritta dalla legge, che però aveva resa inoffensiva con l’abitudine e così, diversamente dagli altri, non morì. Poiché il fatto fu ritenuto un grande prodigio, venne mandata in esilio. Ora, se il veleno è un male, pensiamo che costei abbia fatto sì che per lei non lo fosse? Che cosa di più assurdo? Ma poiché il male è una mancanza di convenienza, piuttosto, grazie alla sua saggia consuetudine, fece in modo che quella sostanza convenisse con il proprio corpo. Altrimenti quando mai, per astuta che fosse, avrebbe potuto far sì che la mancanza di convenienza non le nuocesse? Perché le cose stanno così? Perché ciò che veramente e in generale è un male, è sempre nocivo per tutti. L’olio è salutare per i nostri corpi, invece è fortemente avverso per molti animali che hanno sei piedi. L’elleboro non è forse ora un alimento, ora un medicamento, ora anche un veleno? Chi non ammetterà che il sale assunto in quantità eccessiva è un veleno? E nondimeno chi può enumerare quali e quanti vantaggi ne provengono per il corpo? L’acqua del mare è nociva per gli animali terrestri che la bevono, mentre è assai confacente ed utile per i corpi di molti di quelli che vi si bagnano. Quanto ai pesci poi è salutare e gradita per l’uno e per l’altro uso. Il pane nutre l’uomo, uccide lo sparviero. La melma stessa, il cui gusto ed odore ripugnano e disgustano fortemente, non rinfresca se la si tocca in estate e non è un medicamento per le ferite provocate dal fuoco? Che cosa di più spregevole dello sterco? Che cosa di più abietto della cenere? Eppure sono entrambi così utili ai campi che i Romani hanno creduto di dover accordare onori divini a Stercuzio, che si servì per primo dello sterco, dandogli anche il suo nome.

8. 13. Ma perché dovrei raccogliere minuzie che è impossibile enumerare? Gli stessi quattro elementi, che ci sono davanti, chi dubita che, usati in modo conveniente, non giovino alla natura e, usati in modo sconveniente, le siano gravemente dannosi ? Noi che viviamo di aria, ricoperti di terra o di acqua soffochiamo; al contrario, un gran numero di animali vivono strisciando sulla sabbia e sulla terra più molle; i pesci poi in quest’aria muoiono. Il fuoco consuma i nostri corpi, ma, usato in modo conveniente, li fa riavere dal freddo e li pone al riparo da innumerevoli malattie. Questo sole, davanti al quale piegate le ginocchia e rispetto al quale niente di più bello si trova tra le cose visibili, aguzza la vista delle aquile, mentre ferisce ed ottenebra il nostro sguardo; tuttavia per l’assuefazione avviene anche che noi ve lo fissiamo senza danno. Non vi pare che ciò sia da paragonare a quel veleno che la consuetudine aveva reso inoffensivo per la donna ateniese? Da ultimo, riflettete un po’ e fate attenzione: se una sostanza è male perché offende qualcuno, contro tale accusa non è possibile difendere la luce che voi venerate. Considerate piuttosto che il male in generale è questa mancanza di convenienza per la quale un raggio di sole ottenebra gli occhi, quando per loro niente è più gradito della luce.

Contro le favole dei Manichei: tutto ciò che è, in quanto è, proviene da Dio, perciò è un bene.

9. 14. Ho detto queste cose affinché, se possibile, smettiate una buona volta di ripetere che il male è la terra in tutta l’estensione della sua profondità e della sua superficie; che il male è uno spirito che erra sulla terra; che il male sono i cinque antri degli elementi, pieni uno di tenebre, uno di acqua, uno di vento, uno di fuoco ed uno di fumo; che il male sono gli animali nati in ciascuno di questi elementi, e cioè i serpenti nelle tenebre, i pesci nelle acque, gli uccelli nei venti, i quadrupedi nel fuoco, i bipedi nel fumo. Tutte queste cose non possono essere in nessun modo come voi le descrivete perché tutto ciò che è tale, in quanto è, è necessario che provenga dal sommo Dio e pertanto, in quanto è, è sicuramente un bene. Se poi il dolore e l’infermità sono un male, in quei luoghi c’erano animali di una tale forza fisica che i loro feti abortivi, dopo essere serviti, come sostiene la vostra setta, per formare il mondo, sono caduti dal cielo sulla terra e non sono potuti morire. Se la cecità è un male, essi vedevano; se la sordità è un male, essi udivano; se l’ammutolire o l’esser muti è un male, in quei luoghi c’erano voci così chiare e distinte che, come voi asserite, grazie ad uno che in assemblea li persuase, piacque loro di muovere guerra a Dio. Se la sterilità è un male, lì grande era la fertilità per la procreazione dei figli. Se l’esilio è in male, essi erano nella propria terra e abitavano i loro paesi. Se la servitù è un male, lì c’erano anche coloro che regnavano. Se la morte è un male, essi vivevano e vivevano in modo che, come voi insegnate, neppure dopo la vittoria di Dio lo spirito stesso può mai e in alcun modo morire.

9. 15. Perché, vi domando, trovo nel sommo male tanti beni contrari ai mali che vi ho ricordato? Oppure, se questi non sono mali, allora una sostanza, in quanto è una sostanza, sarà un male? Se l’infermità non è un male, sarà un male il corpo infermo? Se la cecità non è un male, le tenebre saranno un male? Se la sordità non è un male, sarà un male l’essere sordo? Se l’essere muto non è un male, il pesce sarà un male? Se la sterilità non è un male, come può esserlo l’essere sterile? Se l’esilio non è un male, come può esserlo colui che è in esilio o che manda qualcuno in esilio? Se la servitù non è un male, come può esserlo colui che serve o che costringe qualcuno a servire? Se la morte non è un male, come può esserlo colui che è mortale o che dà la morte? Ma se tutte queste cose sono dei mali, come è possibile che non siano dei beni la robusta costituzione fisica, la vista, l’udito, la parola persuasiva, la fecondità, la terra natale, la libertà, la vita, tutte cose che voi affermate essere esistite nel regno del male e che osate proclamare come sommo male?

9. 16. Infine, se la mancanza di convenienza è un male (cosa che peraltro nessuno ha mai negato), di quegli elementi che c’è di più conveniente alle singole specie di animali, e cioè delle tenebre a quelli che strisciano, delle acque a quelli che nuotano, dei venti a quelli che volano, del fuoco a quelli che divorano, del fumo a quelli che prediligono le alture? Tanta è infatti la concordia che voi riscontrate nella stirpe della discordia, e tanto l’ordine nel regno del disordine! Se ciò che nuoce è un male, non ripropongo quel validissimo argomento citato sopra, che non si sarebbe potuto nuocere dove non c’era alcun bene. Ma, ammesso che questo sia oscuro, è di certo chiaro ed evidente a tutti che, come ho detto e come tutti convengono, ciò che nuoce è un male. Ora, in quella stirpe il fumo non nuoceva agli animali bipedi: li generò, li nutrì e li sostenne senza difetto alla nascita, nella crescita e durante il loro regno. Ma, dopoché il bene si è mescolato al male, il fumo è diventato più nocivo, così che noi, che di certo non siamo dei bipedi, non possiamo sostenerlo: ci accieca, ci opprime, ci uccide. A causa della loro mescolanza con il bene, dunque, i cattivi elementi si sono arricchiti di tanta atrocità? Sotto il regno di Dio è avvenuto un così grande pervertimento?

9. 17. Ma perché in altri esseri animati vediamo questa congruenza che ha ingannato il vostro fondatore e lo ha indotto a inventare menzogne? Perché, dico, le tenebre convengono a quelli che strisciano, le acque a quelli che nuotano, i venti a quelli che volano, mentre il fuoco brucia i quadrupedi e il fumo ci soffoca? Perché, inoltre, i serpenti hanno la vista acutissima ed esultano alla presenza del sole, e abbondano soprattutto dove l’aria è più serena e più difficilmente e più raramente si condensa in nubi? Quale assurdità maggiore per gli abitanti e gli amici delle tenebre del trovare più confacente e più comodo vivere là dove si gioisce per la luminosità della luce? Se voi dite che essi si dilettano del calore piuttosto che della luce, è come se diceste che è molto più congruente che nascano nel fuoco gli agili serpenti che il lento asino. E tuttavia chi negherà che l’aspide ama questa luce, dal momemto che i suoi occhi vengono paragonati a quelli dell’aquila? Ma sulle bestie tornerò; ve ne prego, consideriamo noi stessi senza ostinazione e liberiamo finalmente il nostro animo da favole vane e perniciose. Sostengono che nella stirpe delle tenebre, in cui non penetrava il minimo raggio di luce, gli animali bipedi avevano una vista così salda, così acuta e, infine, di una potenza così incredibile da scorgere, da mirare e contemplare, compiacendosene e desiderandola, perfino in mezzo alle loro tenebre, la purissima luce dei regni di Dio - da voi raccomandata, giacché pretendete che fosse stata visibile anche a questi tali -; che invece i nostri occhi, per la mescolanza della luce, del sommo bene e infine di Dio, sono diventati così deboli, così incapaci che non vediamo niente nelle tenebre, che in nessun modo possiamo sopportare la vista del sole e che, distolto da lì lo sguardo, andiamo alla ricerca perfino delle cose che prima vedevamo. Chi mai sopporterà tanta perversione dello spirito?

9. 18. Queste cose si possono dire anche supponendo che la corruzione sia un male, cosa di cui nessuno giustamente dubita. Allora infatti il fumo non danneggiava il genere animale come fa adesso. E per non andare ai singoli casi, che sarebbe troppo lungo e non necessario, questi esseri animati che voi lì immaginate erano così poco soggetti a corruzione che i loro feti abortivi non ancora idonei per la nascita, benché precipitati dal cielo in terra, poterono tuttavia vivere, generare e di nuovo unirsi insieme, in possesso senz’altro dell’antico vigore, poiché concepiti prima della mescolanza del bene e del male. Infatti, dopo questa aggregazione ne sono nati quegli esseri animati che, come voi dite, ora vediamo debolissimi e facilmente soggetti alla corruzione. Chi potrebbe tollerare più a lungo questo errore? Soltanto chi non vede queste cose oppure, per non so quale incredibile consuetudine e dimestichezza con voi, è divenuto insensibile a tutte le costruzioni della ragione.

I precetti manichei si dividono in tre categorie, che corrispondono a tre sigilli.

10. 19. Ma poiché credo di aver mostrato in quali tenebre e in quanta falsità voi vi avvolgete relativamente ai beni e ai mali in generale, vediamo ora i tre famosi sigilli che nella vostra morale vantate e celebrate con grande lode. Quali sono dunque questi sigilli? Il sigillo della bocca, quello delle mani e quello del seno. Che significano? Che l’uomo, come voi dite, nella bocca, nelle mani e nel seno deve essere casto e innocente. E se poi pecca con gli occhi, con le orecchie, con il naso? Se ferisce uno con i calci o anche lo uccide, come riterremo costui colpevole dal momento che non ha peccato né con la bocca né con le mani né con il seno? Ma, voi replicherete, quando nominate la bocca, volete intendere tutti i sensi che risiedono nella testa; quando invece nominate la mano, ogni azione; quando infine nominate il seno, ogni piacere sensuale. E le bestemmie a quale parte volete che appartengano? Alla bocca o alla mano? È infatti un’azione della lingua. Pertanto, se comprendete tutte le azioni in un solo genere, perché unite l’azione dei piedi a quella delle mani e separate quella della lingua? Forse perché significa qualche cosa mediante le parole, volete che la lingua sia separata dall’azione che non è rivolta a significare? In tal modo il sigillo delle mani sarà identificato con l’astenersi da un’azione cattiva, in quanto non è causa di significazione? Ma come vi regolerete con uno che pecca significando qualcosa con le mani, come capita quando scriviamo, oppure quando mostriamo con un gesto qualche cosa per farlo comprendere? Questo infatti non lo potete attribuire né alla bocca né alla lingua, perché è opera delle mani. Invero non è cosa assai assurda che, dopo aver distinto i tre sigilli della bocca, delle mani e del seno, siano attribuiti alla bocca alcuni peccati compiuti con le mani? Se le azioni in generale appartengono alle mani, che ragione c’è dunque di aggiungervi le azioni dei piedi e non quelle della lingua? Non vi accorgete come la voglia di novità, accompagnata dall’errore, vi porta a grandi difficoltà? In effetti in questi tre sigilli, che voi celebrate come una nuova classificazione, non trovate il modo per includervi la purificazione di tutti i peccati.

Il sigillo della bocca.

11. 20. Classificate pure come volete e tralasciate tutto ciò che volete: consideriamo allora le cose a cui avete l’abitudine di dare grandissimo valore. Voi dite che spetta al sigillo della bocca astenersi da ogni bestemmia. Ma la bestemmia consiste nel dire male di cose buone. È per questo che comunemente ormai con essa si intendono parole ingiuriose proferite contro Dio. Quanto agli uomini infatti si può dubitare, ma Dio di certo è buono. Se dunque la ragione ci avrà dimostrato che nessuno dice di Dio cose peggiori di voi, che ne sarà del famoso sigillo della bocca? Ebbene la ragione — e non certo una ragione segreta, ma ben visibile ed esposta all’intelligenza di tutti, e non vinta e talmente invincibile che a nessuno è consentito di ignorarla — insegna che Dio è incorruttibile, immutabile, inviolabile e immune dalla possibilità di cadere nell’indigenza, nella debolezza, nella miseria. E di queste cose ogni anima razionale è generalmente così consapevole che voi stessi, quando si dicono, assentite.

11. 21. Ma non appena cominciate a raccontare le vostre favole, come in preda ad un incredibile accecamento vi persuadete e persuadete altri uomini anch’essi in preda allo stesso incredibile accecamento, che Dio è corruttibile, mutabile, violabile, esposto all’indigenza, suscettibile di debolezza e soggetto alla possibilità di miseria. E questo è ancora poco: voi dite infatti che Dio non solo è corruttibile, ma corrotto; non solo è mutabile, ma mutato; non solo è violabile, ma violato; non solo è, esposto all’indigenza, ma indigente; non solo è suscettibile di debolezza, ma debole; non solo è tale che può patire la miseria, ma misero di fatto. Affermate che l’anima è Dio o una parte di Dio. Ma io non vedo come non sia Dio quella che è detta una parte di Dio; infatti anche una parte dell’oro è oro, come una parte dell’argento è argento, una parte della pietra è pietra. E, per venire a cose più grandi, una parte della terra è terra, una parte dell’acqua è acqua, una parte dell’aria è aria e, se sottrai qualcosa al fuoco, non negherai che è fuoco, e una parte qualsiasi della luce non può essere niente altro che luce. Perché dunque una parte di Dio non sarà Dio? Forse che la forma di Dio è composta di parti come quella dell’uomo e degli altri esseri animati? Una parte dell’uomo infatti non è l’uomo.

11. 22. Ma vengo a ciascuna delle vostre credenze e le esamino separatamente. Se per voi Dio è come la luce, dovete ammettere che una parte di Dio è Dio. Perciò, voi, con una sacrilega supposizione, imputate tutti questi difetti a Dio, quando dite che l’anima è una parte di Dio e non escludete che sia corrotta, essa che è stolta; che sia mutata, essa che fu sapiente; che sia violata, essa che non ha una perfezione propria; che sia indigente, essa che chiede aiuto; che sia debole, essa che ha bisogno di rimedi; che sia misera, essa che desidera la felicità. Se invece non concedete che l’anima abbia questi difetti, allora non ha la necessità di essere condotta alla verità dallo Spirito, perché non è stolta; né di essere rinnovata dalla vera religione, perché non si è invecchiata; né di essere purificata dai vostri sigilli, perché è perfetta; né di essere soccorsa da Dio, perché non ne ha bisogno; né di avere Cristo come medico, perché è sana; e non c’è alcun motivo che le sia promessa una vita beata. A che scopo allora Gesù è detto il liberatore, come egli stesso dichiara nel Vangelo: Se il Figlio vi libererà, allora sarete liberi veramente 3? E l’apostolo Paolo dice: Voi siete stati chiamati alla libertà 4. Dunque è schiava l’anima che non ha ancora ottenuto questa libertà. E poiché, secondo i vostri autori, una parte di Dio è Dio, dunque Dio è corrotto a causa della stoltezza, mutato in conseguenza della caduta, violato perché ha perduto la perfezione, indigente perché ha bisogno di soccorso, debole per la malattia, oppresso per la miseria, abietto per la schiavitù.

11. 23. Se poi una parte di Dio non è Dio, Dio non può essere né incorrotto, dal momento che è corrotto in una sua parte; né immutato, dal momento che è mutato in una sua parte; né inviolato, dal momento che non è perfetto in ogni sua parte; né senza bisogno, dal momento che si adopera assiduamente perché gli sia restituita la sua parte; né del tutto sano, dal momento che è malato in una sua parte; né pienamente beato dal momento che una sua parte è soggetta a miseria; né completamente libero, dal momento che una sua parte è oppressa dalla schiavitù. Siete costretti ad ammettere tutte queste cose quando dichiarate che l’anima, che vedete sopraffatta da tante calamità, è una parte di Dio. Se riuscirete a purificare la vostra setta di questi discorsi e di molti altri dello stesso genere, allora finalmente potrete dire che la vostra bocca è immune da bestemmie. Anzi, abbandonate questa setta; infatti, se smetterete di credere e di affermare ciò che l’illustre vostro fondatore ha scritto, di certo non sarete più manichei.

11. 24. Se intendiamo essere immuni da bestemmie, dobbiamo renderci conto con il ragionamento o mediante la fede che soltanto Dio è il sommo bene, rispetto al quale non può esistere o non può essere immaginato alcun bene migliore. La legge dei numeri in nessun modo può essere violata e modificata, e nessuna forza, per quanto energicamente vi si adoperi, potrà far sì che il numero che segue l’uno non sia il doppio di uno. In nessun modo questa legge può essere mutata, eppure secondo voi Dio è suscettibile di mutamento! Questa legge conserva la propria inviolabile integrità e voi non concedete a Dio che sia almeno pari ad essa! Una progenie qualunque tra quelle delle tenebre faccia sì che un numero trino intelligibile, nel quale l’unità è talmente una da non avere parti, questa progenie delle tenebre dunque faccia sì che questo numero trino sia diviso in due parti uguali. La vostra mente vede certamente che nessuna diavoleria è capace di compiere questa operazione. Dunque tale diavoleria, che era incapace di violare la legge dei numeri, era capace di far violenza a Dio? Ma se non ne era capace, quale necessità c’era, ditemi, che una parte di Dio fosse mescolata al male e cacciata in così grandi miserie?

Agostino contesta il "mito" manicheo.

12. 25. Ne è scaturito che, malgrado vi ascoltassimo con zelo, eravamo oppressi da grandi angustie e non trovavamo nessuna soluzione alla questione concernente che cosa avrebbe fatto a Dio quella progenie delle tenebre, se Dio si fosse rifiutato di combattere con essa con tanto danno per la sua parte. Se infatti quella stirpe non era destinata a nuocere a Dio nel suo riposo, deploravamo che avesse agito crudelmente con noi sprofondandoci tra queste calamità. Se invece era destinata a nuocere a Dio, Dio non era quella natura incorruttibile quale la sua natura doveva essere. In questa discussione ci fu anche chi sostenne che Dio non abbia voluto sottrarsi al male o che non si fosse guardato da possibili danni, ma che, per la sua naturale bontà, avesse voluto essere utile alla irrequieta e perversa natura, perché fosse in ordine. Ma non suonano così i libri manichei: molto spesso essi lasciano intendere, molto spesso dicono che Dio è stato in guardia contro gli assalti dei nemici. Ma ammettiamo che si sia condivisa la dottrina del manicheo che diceva di non trovare altro da dire: forse che con questa giustificazione Dio è posto al riparo dall’accusa di crudeltà o di debolezza? Infatti la sua bontà verso quella stirpe nemica risultò di grande danno per i suoi. A ciò si aggiunga che, se la sua natura non poteva né corrompersi né mutare, nessun contagio poteva cambiarci e corromperci, e che quell’ordine che fu necessario assicurare alla natura avversa, lo si poteva assicurare senza il nostro pervertimento.

12. 26. Peraltro, non era stato ancora detto ciò che poco fa ho udito a Cartagine. Un uomo (e desidero vivamente che si liberi di questo errore), poiché si era cacciato nelle stesse mie angustie a causa di tale questione, osò dire che il regno di Dio aveva confini certi, che erano esposti all’invasione della stirpe avversa, anche se Dio in sé in nessun modo avrebbe potuto essere violato. Ha detto ciò che neppure il vostro fondatore si azzarderebbe assolutamente a dire: forse si rendeva conto che una simile opinione molto più facilmente di un’altra avrebbe comportato conseguenze rovinose per la sua setta. E la cosa in verità è tale che anche un uomo di non grande intelligenza, se sentirà dire che quella natura comprendeva una parte violabile e una parte inviolabile, capirà senza difficoltà che non sono due, ma tre le nature, una inviolabile, un’altra violabile ed una terza violatrice.

Gli atti vanno giudicati per il fine e quindi alla luce dell’intenzione con cui si compiono.

13. 27. Poiché dunque queste bestemmie, uscite dal cuore, stanno ogni giorno sulla vostra lingua, smettete finalmente di lusingare gli ignoranti celebrando il sigillo della vostra bocca come qualcosa di grande. A meno che, per caso, non riteniate il non mangiare carne e il non bere vino un sigillo della bocca degno di ammirazione e di lode. In tal caso io vi chiedo a che fine lo facciate. Infatti, se il fine a cui si riferiscono le cose che facciamo, cioè quello per il quale facciamo ciò che facciamo, è non solo innocente ma anche lodevole, allora anche le nostre azioni sono degne di qualche lode. Se, al contrario, il fine a cui guardiamo e che teniamo di mira nel compiere il nostro dovere merita giustamente e a buon diritto di essere biasimato, nessuno dubiterà che anche il dovere merita la riprovazione e il biasimo.

13. 28. Si tramanda che Catilina poteva sopportare il freddo, la sete e la fame 5: qualità che quell’uomo dissoluto e sacrilego aveva in comune anche con i nostri Apostoli. In che cosa dunque questo parricida si differenzia dai nostri Apostoli, se non relativamente al fine del tutto diverso che egli perseguiva? Infatti egli sopportava queste cose per soddisfare le sue sfrenatissime e crudelissime passioni; quelli invece le sopportavano per reprimere le loro passioni e costringerle a sottostare al dominio della ragione. E voi, quando vi si esalta il gran numero delle vergini cattoliche, avete l’abitudine di dire: Anche una mula è vergine. È un giudizio sconsiderato, dovuto all’ignoranza della dottrina cattolica; con esso tuttavia significate che la continenza è vana se non è ricondotta con deliberata ragione ad un fine assolutamente retto. Anche i cristiani cattolici possono paragonare la vostra astinenza dal vino e dalle carni 6 a quella dei giumenti, dei molti passeri 7, infine anche di innumerevoli specie di verm 8. Ma per non cadere nella vostra temerità, mi guarderò dall’eccessiva precipitazione e prima discuterò del fine con il quale fate queste cose. Come penso, infatti, siamo ormai d’accordo che su questo genere di costumi non c’è da cercare niente altro. Se dunque agite così per moderazione e per reprimere la passione, che ci porta a dilettarci di certi cibi e bevande e a diventarne prigionieri, vi ascolto e vi approvo; ma non è così.

13. 29. Supponiamo che esista un uomo, e non è impossibile, così sobrio e frugale che, moderando l’appetito del suo stomaco e della sua gola, mangi una sola volta al giorno. Per il pasto gli vengano servite verdure con un po’ di lardo, unte e condite con lo stesso lardo, in quantità sufficiente a togliere la fame. E per cura della salute calmi la sete con due o tre sorsi di vino puro. Questo è per lui il suo vitto quotidiano. Supponiamo, all’opposto, che esista un altro uomo il quale, non gustando né carne né vino, all’ora nona mangi con appetito molte e varie sorte di cibi squisiti e rari, cosparsi di abbondante pepe, e faccia altrettanto anche la sera. Beva vino addolcito con miele, mosto cotto di uva passa e succhi ricavati da frutti diversi, abbastanza simili al vino e più gradevoli ancora. E beva non quanto la sete richiede, ma quanto il piacere reclama. E faccia in modo di sostentarsi così ogni giorno, di godere di tale vitto e di tali delizie senza alcuna necessità, solo per grande voluttà. Vi chiedo, per quanto attiene al mangiare e al bere, quale di questi due giudicate che conduca la vita in modo più astinente? Non vi ritengo ciechi al punto di anteporre questo divoratore a quello che vive di un po’ di lardo e di un po’ di vino.

13. 30. La verità in effetti così esige; ma il vostro errore ha un suono assai diverso. Il vostro eletto infatti, celebrato per i tre sigilli, se vive quotidianamente così come colui che abbiamo descritto, potrà essere ripreso da uno e forse da due più severi, ma non potrà essere assolutamente condannato come violatore del sigillo. Ma se anche una volta avrà mangiato come il primo, ungendosi le labbra con un po’ di prosciutto rancido e bagnandole con vino andato a male, per volontà del vostro fondatore sarà giudicato violatore del sigillo e destinato subito alla geenna, con vostra sorpresa, ma anche con il vostro consenso. Ve ne prego, abbandonate questo errore; ve ne prego, ascoltate la ragione; ve ne prego, rompete un po’ con le vostre consuetudini. Che cosa c’è infatti di più perverso di questa stravaganza? Che cosa di più folle? A proposito di un uomo che emetta compiaciuto dalla sua pancia ripiena odor di funghi, di riso, di tartufi, di focacce, di mosto cotto, di pepe, di silfio, e che ogni giorno richieda tali cose, si può dire o pensare qualcosa di più insano che non si vede come possa sembrare che egli si sia allontanato dai tre sigilli, cioè dalla regola della santità? E, a proposito di un altro che condisce le verdure più ordinarie con un lardo che sa di fumo e ne mangia soltanto la quantità sufficiente per rifocillare il corpo, che beve tre bicchierini di vino per motivi di salute, e che passa dal cibo sopra descritto a questo, qualcosa di più insano che si prepara a supplizio certo?

Il triplice motivo per cui è lodevole astenersi da certi generi di cibi.

14. 31. Ma l’Apostolo dice: È bene, o fratelli, non mangiare carne né bere vino 9: come se qualcuno di noi negasse che questo è un bene. Ma è tale o per il fine che ho sopra ricordato, a proposito del quale si dice: Non abbiate cura della carne nelle sue concupiscenze 10, o per i fini che ancora una volta il medesimo Paolo ci indica, cioè per frenare la gola che la carne e il vino sono soliti eccitare più violentemente e più smodatamente o per non dare scandalo al fratello oppure perché i deboli non se ne servano per comunicare con gli idoli. Nel tempo in cui l’Apostolo scriveva queste cose, infatti, nelle macellerie si vendeva molta carne che era stata offerta agli idoli. E poiché si facevano libagioni agli dèi pagani anche con il vino, molti fratelli più deboli, che erano soliti comperare pure questi generi, preferirono astenersi dalle carni e dal vino piuttosto che cadere, anche inconsapevolmente, in quello che consideravano come un rapporto con gli idoli. A causa di questi, cioè dei più deboli, che non volevano scandalizzare, anche i più forti che, in virtù della loro fede più grande, giudicavano tali scrupoli da disprezzare, dovevano astenersi dalla carne e dal vino. Eppure erano consapevoli che niente è impuro se non per una cattiva coscienza, secondo il detto del Signore: Non quello che entra nella bocca, ma quello che esce, vi rende impuri 11. E questo non si ricava da una congettura, ma si trova espresso a chiare lettere nelle stesse epistole dell’Apostolo. Voi avete l’abitudine di citare soltanto queste parole: È bene, o fratelli, non mangiare carne né bere vino, senza aggiungere ciò che segue: Né altra cosa per la quale il tuo fratello si offenda o si scandalizzi o diventi più debole. Da qui infatti risulta manifesto il fine per cui l’Apostolo dava questi precetti.

14. 32. In modo più palese ancora lo indicano i passi che precedono e quelli che seguono. In verità sarebbe troppo lungo ricordarli, ma, a causa di coloro che sono poco abituati a leggere e studiare le Sacre Scritture, ci vediamo costretti a riportare per intero questo passo: Accogliete tra di voi colui che è ancora debole nella fede senza discutere sulle sue opinioni. L’uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro, che è debole, non mangia che verdure. Colui che mangia non disprezzi colui che non mangia e colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio l’ha accolto. Chi sei tu per giudicare il domestico altrui? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché Dio ha il potere di sostenerlo. C’è chi fa distinzione tra un giorno e un altro, chi invece li giudica tutti eguali; ciascuno cerchi di avere convinzioni sue personali. Chi fa preferenze fra i giorni, le fa per il Signore; e chi mangia, mangia per il Signore, perché rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio. Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché, se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Dunque, sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore. Per questo appunto Cristo è morto ed è risuscitato: per essere il Signore tanto dei vivi quanto dei morti. Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti compariremo davanti al tribunale di Dio, poiché sta scritto: " Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà lode a Dio " 12. Così ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Dunque non giudichiamoci più a vicenda, ma pensate piuttosto a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello. Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo. Se dunque un tuo fratello resta turbato per un dato cibo, tu non cammini più secondo la carità. Non causare, per il tuo cibo, la perdita di uno per il quale Cristo è morto. Il nostro bene non sia oggetto di biasimo. Il regno di Dio non è certo questione di cibo o di bevanda, ma è questione di giustizia, di pace e di gioia nello Spirito Santo. Chi infatti serve Cristo in queste cose, è gradito a Dio ed è approvato dagli uomini. Dedichiamoci dunque alle opere della pace e all’edificazione vicendevole. Non distruggere l’opera di Dio per una questione di cibo. Certo tutte le cose sono pure, ma è un male per l’uomo mangiare dando scandalo. È bene non mangiare carne e non bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa offendersi o scandalizzarsi o diventi più debole. La fede che possiedi, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato colui che non condanna se stesso per ciò che egli approva. Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce per fede; tutto quello infatti che non viene dalla fede è peccato. Noi che siamo forti dobbiamo sopportare la debolezza dei deboli, senza compiacerci di noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene per la sua edificazione. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso 13.

14. 33. Non appare abbastanza chiaro che l’Apostolo ordinò ai più forti di non mangiare carne e di non bere vino, perché, non conformandosi ai deboli, li offendevano e li inducevano a pensare che coloro i quali in buona fede giudicavano tutte le cose monde, non volessero astenersi da tali cibi e da tali vini per ossequio degli idoli? Questo è quanto significa anche ai Corinti quando scrive loro così: Quanto dunque al mangiare le carni immolate agli idoli, noi sappiamo che gli idoli nel mondo non sono nulla e che non c’è che un solo Dio. Infatti, anche se ci sono esseri chiamati dèi sia in cielo che in terra, tuttavia per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui, e un solo Signore Gesù Cristo, per il quale sono tutte le cose e noi esistiamo per lui. Ma non tutti hanno questa scienza; alcuni poi, per la consuetudine avuta fino ad oggi con gli idoli, mangiano le carni come se fossero davvero immolate agli idoli e così la loro coscienza, che è debole, ne resta contaminata. Non è certo un cibo ad avvicinarci a Dio; se ne mangiamo, non abbiamo qualcosa di più e se non ne mangiamo, non abbiamo qualcosa di meno. Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza, che stai a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest’uomo, che è debole, non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? E così, a causa della tua coscienza, perirà il debole, quel fratello per il quale Cristo è morto! Peccando così contro i fratelli e ferendo la loro debole coscienza, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello 14.

14. 34. Parimenti in un altro passo: Che intendo dunque dire? Che la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa? No, ma intendo dire che i sacrifici dei pagani sono sacrifici ai demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che entriate in comunione con i demoni. Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; né potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di Lui? Tutto è lecito, ma non tutto è utile; tutto è lecito, ma non tutto edifica. Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma quello altrui. Tutto ciò che è in vendita al mercato, mangiatelo pure, senza indagare per scrupolo di coscienza. Ma se qualcuno vi dice: " Questa è carne immolata agli idoli ", astenetevi dal mangiarla per riguardo a colui che vi ha avvertito e per riguardo alla coscienza, cioè della coscienza, intendo dire, non tua, ma dell’altro. Infatti, per quale motivo la mia libertà deve essere giudicata dalla coscienza altrui? Se io con rendimento di grazie prendo parte alla mensa, perché devo essere biasimato per quello di cui rendo grazie? Dunque, sia che mangiate sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate di scandalo né ai Giudei né ai Greci né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in ogni cosa, non cercando il mio vantaggio ma quello di molti, affinché siano salvi. Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo 15.

14. 35. Appare chiaro dunque, come credo, il fine per cui bisogna astenersi dalle carni e dal vino. Questo fine è triplice: reprimere il piacere che abitualmente si prova soprattutto in questi cibi e che in tale bevanda arriva fino all’ubriachezza; avere riguardo per i deboli in riferimento alle cose oggetto di sacrifici e di libagioni; infine, ciò che è più importante, praticare la carità, per non ferire i più deboli che si trattengono dal farne uso. Voi dite che questi cibi sono immondi, mentre l’Apostolo dice che ogni cosa è monda, e che c’è del male soltanto per colui che ne mangia scandalizzando 16. Credo anzi che voi vi macchiate con questi cibi appunto per il fatto che li ritenete immondi. Dice infatti: Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è comune in se stesso; ma se uno ritiene qualche cosa come comune, per lui è comune 17. Chi dubita che chiama comune ciò che è immondo e impuro? Ma è da stolti con voi fare appello alle Scritture, perché voi da una parte ingannate promettendo la ragione e dall’altra dichiarate che questi Libri, ai quali la fede religiosa dà grande autorità, sono stati corrotti con l’aggiunta di capitoli non autentici. Persuadetemi dunque mediante la ragione in che modo le carni macchino chi le mangia, se costui lo fa senza scandalo per nessuno, senza alcun pregiudizio, senza alcuna cupidigia.

L’astinenza manichea si fonda su credenze assurde.

15. 36. Vale la pena di far conoscere tutta intera la ragione di questa superstiziosa astinenza, che viene esposta come segue dal vostro fondatore: poiché Dio - egli dice - mescolò una delle sue parti alla cattiva sostanza, per frenarla e per reprimerne il sommo furore (sono infatti vostre parole), il mondo fu costituito dalla mescolanza di due nature, cioè di quella del bene e di quella del male. La parte divina si purifica ogni giorno in ogni parte del mondo e si restituisce ai suoi regni. Ma, nell’attraversare la terra per risalire al cielo, questa incorre nelle piante le cui radici la fissano a terra, e così feconda e fa crescere tutte le erbe e tutti gli alberi. È da qui che traggono il loro alimento gli animali che, se si accoppiano, legano alla loro carne questa parte divina. Distogliendola così dal suo diritto cammino e rendendoglielo impossibile, essi la impigliano in errori e in tormenti. Pertanto, se i cibi preparati con verdure e frutta entrano nei corpi dei santi, cioè dei Manichei, in virtù della loro castità, delle loro preghiere e dei loro salmi quanto di buono e di divino è in essi contenuto si purifica, cioè si perfeziona in ogni sua parte perché possa tornare ai propri regni senza essere ostacolato da nessuna sordidezza. Per questo voi proibite di dare ad un mendicante, che non sia manicheo, del pane, un po’ di verdura o perfino dell’acqua, che è di poco valore per tutti, perché i suoi peccati non contaminino la parte di Dio, che è mescolata a queste cose, e le impediscano il suo ritorno.

15. 37. Le carni poi, a sentire voi, sono addirittura impregnate di tali sozzure. Infatti voi sostenete che qualcosa della parte divina fugge via quando si colgono le verdure e la frutta; fugge via anche quando si rovinano o premendole o pestandole o cuocendole o perfino mordendole e masticandole. Fugge via inoltre in tutti i movimenti degli esseri animati, sia che saltino o si agitino, sia che lavorino o facciano una qualunque cosa. Fugge via infine durante il nostro riposo, quando il calore interno opera nel nostro corpo la cosiddetta digestione. E dunque la divina natura fugge via in tante occasioni, ma resta qualcosa di assolutamente sordido da cui si forma la carne mediante l’accoppiamento, pur tuttavia con un’anima di buona specie, perché, quantunque nei ricordati movimenti se ne vada via la maggior parte, però non tutto il bene. Sicché, anche quando l’anima avrà abbandonato la carne, resteranno ancora tantissime immondezze, capaci perciò di contaminare l’anima di coloro che mangiano le carni.

Stravaganze dei Manichei.

16. 38. O oscurità delle cose della natura, quanto grande è il velo della falsità! Chi è che, ignaro delle cause delle cose, privo ancora di ogni barlume di verità per quanto piccolo, ingannato dalle immagini corporee proprio per il fatto che esse, non apparendo affatto, sono pensate mediante le immagini di oggetti visibili e possono essere espresse con parole eloquenti, chi è che, udendo tali cose, non ritenga che siano vere? Ora voi vi rivolgete a folle e schiere di uomini di questo genere, difesi contro questi inganni da un timore religioso piuttosto che dalla ragione. È per questo appunto che io mi sforzerò di smascherare queste cose, per quanto Dio si compiacerà di aiutarmi, in modo che risulti ben chiaro quanto esse siano false e assurde non solo al giudizio dei prudenti, per i quali sentirle e disapprovarle è tutt’uno, ma anche alla stessa intelligenza comune.

16. 39. In primo luogo vi chiedo da quale fonte sapete che nel frumento, nei legumi, nelle verdure, nei fiori e nella frutta sta chiusa non so quale parte di Dio? Ciò appare manifesto, voi dite, dallo stesso splendore del colore, dalla gradevolezza dell’odore, dalla soavità del sapore. E siccome le cose putride non hanno queste qualità, è segno che esse sono state abbandonate da quel medesimo bene. Non provate vergogna a pensare che Dio si scopra con il naso e con il palato? Ma tralascio queste cose. Vi parlerò chiaro e, come si è soliti dire, è molto meglio per voi. Ora, se il colore rivela nei corpi la presenza del bene, a nessuna mente dev’essere sfuggito che il letame degli animali, un residuo immondo delle stesse carni, risplende tuttavia di diversi colori, quale bianco, quale per lo più oro, e quale dello stesso genere dei colori che nella frutta e nei fiori sono percepiti come segni della presenza intrinseca di Dio. Perché dichiarate che il rosso nella rosa è indizio di abbondante bene e lo condannate nel sangue? Perché apprezzate nella viola quello stesso colore che disprezzate nei collerici, negli itterici e infine nei rifiuti dei bambini? Perché giudicate la lucentezza e lo splendore dell’olio come segni di copiosa mescolanza di bene, preparandovi a purificare con esso la gola e il ventre, e poi avete orrore ad accostare le labbra alle gocce di identico splendore stillanti da una grassa carne? Perché credete che il dorato popone provenga dai tesori di Dio e non credete che vi provenga il grasso rancido del prosciutto o il giallo dell’uovo? Perché, secondo voi, il bianco nella lattuga annuncia Dio, e nel latte non lo annuncia? Per parlare ancora di colori e tacere del resto, voi non potete paragonare nessun prato ricoperto di fiori alle penne e alle piume di nessun pavone, che di certo nascono dall’accoppiamento e dalla carne.

16. 40. Se il bene si trova anche nell’odore, è noto che unguenti di soave odore si estraggono dalle carni di alcuni animali. Inoltre i cibi stessi, che si è soliti cuocere con carni di buona qualità, mandano un odore più gradito di quando sono cotti senza carni. Infine, se voi giudicate più pure le cose che mandano un profumo più soave, dovreste mangiare con maggiore avidità certa mota che bere l’acqua di cisterna, perché la terra secca, bagnata di pioggia, diletta le narici con uno straordinario odore, e la mota che se ne è formata profuma di più dell’acqua piovana più pura, se si raccogliesse. Quanto poi al fatto che è necessaria l’attestazione di un sapore per riconoscere che in un corpo abita una parte di Dio, allora egli abita più nei datteri e nel miele che nella carne di porco, ma più ancora nella carne di porco che nella farina di fave, più ancora nel fico che nel fegato ingrassato con i fichi: ecco io ve lo concedo, ma anche voi concedete che abita più nel fegato che nella bietola. Quindi, se il sapore fa riconoscere la presenza di Dio, questo ragionamento non vi costringe a confessare che certe radici, che di certo per voi sono tutte più pure della carne, ricevono Dio dalla carne stessa? Infatti le verdure cotte con le carni sono più saporose e, mentre le erbe di cui si nutrono le pecore non possiamo gustarle, insaporite nel latte le giudichiamo più belle di colore e più gradevoli di sapore.

16. 41. Forse che dove si troveranno uniti insieme i tre beni, cioè il buon colore, il buon odore, il buon sapore, lì ritenete che si trovi la parte più grande di bene? Allora non ammirate né lodate tanto i fiori, che non potreste chiamare al tribunale del palato per giudicarli. Non preferite la porcellana alle carni, che una volta cotte la superano per colore, sapore ed odore. Un porcellino arrosto (in questa discussione con voi sul bene e sul male sono costretto a ricorrere non a scrittori ed editori, ma piuttosto a cuochi e pasticceri), un porcellino arrosto dunque è bello di colore, gradito di odore e piacevole di sapore: avete un indizio perfetto della presenza in lui della sostanza divina. Vi invita con una triplice testimonianza e desidera essere purificato dalla vostra santità. Gettatevi sopra, perché esitate? Perché vi preparate a ribattere? Col solo colore i rifiuti di un bambino vincono la lenticchia; col solo odore un pezzetto di carne arrosto supera un fico dolce e verde; col solo sapore un capretto ucciso ha la meglio sull’erba di cui si pasce da vivo: nel caso richiamato invece si è trovata una carne la cui causa è difesa da tre testimonianze insieme. Che volete di più? O che cosa state per dire? Perché col mangiare pietanze di carne divenite immondi e non divenite immondi invece col disputare di queste mostruosità, soprattutto quando un raggio di questo sole, che certamente voi anteponete a tutte le carni e a tutti i frutti, non ha né odore né sapore, ma eccelle su tutti gli altri corpi solamente per la preminenza del suo luminosissimo colore, e vi esorta con forza, anzi vi obbliga, benché non lo vogliate, a non preferire niente, tra i segni del bene mescolato al male, allo splendore del colore?

16. 42. Siete di nuovo in imbarazzo dovendo confessare che la parte di Dio risiede più nel sangue e in quelle materie assai puzzolenti, ma nitidamente colorate, evacuate nei poderi dalle carni degli animali, che nelle pallide foglie dell’ulivo. Che se poi dite - e infatti dite anche questo - che le foglie dell’ulivo, quando sono bruciate, producono un fuoco in cui si rivela la presenza della luce, cosa che invece non fanno le carni quando vengono bruciate, che direte del grasso che fornisce la luce a quasi tutte le lucerne in Italia? Che cosa del letame bovino, che è certamente più immondo della carne del bue e che, seccato, serve ai contadini per il focolare in modo che non conoscono fiamma più facile e fumo più terso? E allora, se la lucentezza e lo splendore denotano una presenza più rilevante della parte divina, voi non la purificate, non la rivestite di un sigillo, non la liberate? Anche se, per non parlare del sangue e delle innumerevoli cose che esistono nella carne o, assai simili, che dalla carne provengono, essa si riscontra principalmente nei fiori, voi non potete di certo far posto ai fiori tra i vostri cibi. Così pure, anche se vi nutrireste di carni, non fareste di certo entrare nelle vostre pietanze né squame di pesci, né certi vermiciattoli e certe mosche, che anche di notte brillano tutte di una luce propria.

16. 43. Che cosa dunque resta se non che ve la smettiate di dire che gli occhi, il naso e il palato sono giudici idonei per attestare nei corpi la presenza della parte divina? Messi da parte questi giudici, da dove trarrete le informazioni per insegnare non solo che la parte più grande di Dio si trova nelle radici anziché nelle carni, ma anche che qualcosa di Lui è soltanto nelle radici? Vi muove forse la bellezza, non quella che si trova nella delicatezza dei colori, ma quella che si trova nella congruenza delle parti? Voglia il cielo che sia così. In tal caso allora oserete paragonare legni contorti a corpi di animali, nella cui struttura le membra simili si corrispondono a due a due? Ma se vi accontentate delle testimonianze dei sensi corporei - cosa del resto necessaria per coloro che non possono penetrare con la mente la forza dell’essenza - come potete provare che, per il passare del tempo e in seguito ad alcune schiacciature, la sostanza del bene fugge via dai corpi, soltanto perché, come asserite, Dio se ne parte ed emigra di luogo in luogo? Questa è pura demenza. Eppure, per quanto posso giudicare, nessun segno e nessun indizio vi ha portato a questa opinione! Infatti molte cose strappate dagli alberi o sradicate dalla terra, diventano migliori se passa un po’ di tempo prima che vengano sulle nostre mense; questo è il caso del porro, della cicoria, della lattuga, dell’uva, delle mele, dei fichi e di alcune qualità di pere. E inoltre molte, se non si mangiano subito appena colte, si colorano meglio, riescono più salutari per il corpo e hanno un sapore più piacevole per il palato. Ora in queste cose la bontà e la piacevolezza dovrebbero essere minime se, come voi pensate, in fatto di bene ne perdono tanto di più quanto più a lungo vengono conservate dopoché sono state separate dalla terra, come dal seno materno. Anche la carne degli animali uccisi il giorno prima é senza dubbio più gradevole e più accetta; non dovrebbe essere così se, come voi asserite, l’animale conservasse una quantità maggiore di bene il giorno stesso in cui è stato ucciso che non il giorno dopo, quando la sostanza divina se ne sarebbe fuggita in proporzioni maggiori.

16. 44. Chi ignora, in verità, che il vino invecchiando diventa più puro e migliore? E non, come pensate voi, più aromatico per sconvolgere i sensi, ma più adatto a rinvigorire il corpo, purché se ne faccia uso secondo la misura che deve regolare ogni cosa. Lo sconvolgimento dei sensi infatti suole avvenire più rapidamente con il mosto più recente, di modo che, se è restato per un po’ di tempo nel tino e ha fermentato, stordisce quanti si sporgono su di esso, li fa precipitare giù e, se non sono soccorsi in qualche modo, toglie loro la vita. Per quanto attiene alla salute, chi non riconosce che gonfia i corpi e li fa distendere pericolosamente? Provoca tanti inconvenienti forse perché possiede una quantità maggiore di bene? Il vino vecchio invece non li produce perché una gran parte della sostanza divina se n’è andata via? Sarebbe assurdo dirlo, soprattutto per voi che giudicate la presenza di una parte divina con gli occhi, con il naso, con il palato, quando questi sensi ne sono piacevolmente influenzati. Ma che stranezza è mai questa, di credere che il vino sia il fiele dei principi delle tenebre, e di non astenersi dal mangiare le uve? Quel fiele nel tino sarà più abbondante di quando era negli acini? In tal caso, con la fuga del bene, il male resterà, per così dire, più puro e - ciò accade con il passare del tempo - le uve appese e conservate non sarebbero dovute diventare più mature, più dolci e più sane, e il vino stesso, di cui si è detto sopra, non sarebbe dovuto diventare più limpido e più trasparente con la perdita della luce, e più salutare con la fuga della sostanza salutare.

16. 45. Che dire della legna e delle foglie? Seccano con il tempo, ma non per questo potete dire che diventano peggiori. Perdono infatti ciò che produce il fumo, ma conservano ciò che desta la fiamma luminosa, e questa luminosità, a voi tanto cara, attesta che il bene è più puro nel legno più secco che in quello più verde. Da ciò segue che o voi negate che la parte di Dio stia in quantità maggiore nella luce pura che in quella fumosa (e allora smentite tutti i vostri insegnamenti), oppure ritenete possibile che la natura del male fugga via più copiosamente di quella del bene dalle radici recise o divelte, se conservate a lungo. Ciò concesso, terremo per certo che una quantità maggiore di male può fuggire dai frutti colti, come pure che una quantità maggiore di bene può restare nelle carni. E ciò in vero è sufficiente quanto al tempo.

16. 46. Ma se col muovere, col pestare, con lo sminuzzare queste cose la divina natura trova l’occasione per fuggirsene via, vi sconfessano molte cose simili, le quali diventano migliori con il muoversi. Taluni imitano il vino con il succo dell’orzo, il quale diviene ottimo se lo si agita. Certamente poi non è affatto da trascurare che questo genere di bevanda inebria assai presto; tuttavia non avete mai detto che il succo dell’orzo è il fiele dei principi. La farina, quanto è più scarsa l’acqua con cui è abilmente mescolata, tanto più si indurisce affinché, a forza di maneggiarla, diventi migliore e, cosa rispetto alla quale non si può dire niente di più perverso, più bianca con il fuggire della luce. Il pasticciere lavora a lungo il miele fino a che acquisti un candore e una dolcezza più sana e moderata; ma in che modo questo avvenga con il bene che fugge via spiegatelo voi. Se vi piace provare la presenza di Dio con le sensazioni piacevoli non solo della vista, dell’odorato e del gusto, ma anche dell’udito, è la carne che fornisce i nervi alle cetre e gli ossi ai flauti, ed esse, seccate, assottigliate e ritorte, diventano sonore. Così la soavità della musica, che, secondo voi, è venuta dai regni divini, noi la dobbiamo alle sordidezze delle carni morte, seccate dal tempo, assottigliate con la compressione e distese con la torsione. Con questi trattamenti voi dite che la sostanza divina abbandona anche gli esseri viventi e ciò accade, voi dite, anche con la loro cottura. Perché allora i cardi lessati non nuocciono affatto alla salute? Si deve forse credere che, durante la loro cottura, Dio o una parte di Dio se ne va da essi?

16. 47. A che scopo andare alla ricerca di altri esempi che non è né facile né necessario esaurire? A chi sfugge infatti quanto siano più graditi e salutari molti cibi se cotti? Ora questo non dovrebbe avvenire se, come voi credete, con movimenti di questo genere essi sono abbandonati dal bene. Ritengo perciò che non ci sia proprio niente con cui provare, mediante questi sensi del corpo, che le carni sono immonde e macchiano le anime di coloro che le mangiano. E questo non solo perché i frutti assimilati, dopo molti movimenti, si tramutano in carne, ma ancor più perché voi pensate che il tempo e la corruzione rendono l’aceto più puro del vino e perché vediamo che la bevanda che voi bevete non è altro che vino cotto. Dunque, qualcosa che necessariamente è più impuro del vino, se è vero che i movimenti e le cotture fanno fuggire le membra divine dai corpi. Se invece non è così, non c’è motivo da parte vostra di credere che i frutti, quando si colgono, quando si ripongono, quando si custodiscono, quando si cuociono, quando si digeriscono, sono abbandonati dal bene che se ne fugge via e perciò forniscono alla generazione dei corpi una materia assai sordida.

16. 48. Ora, se non vi sono di guida né il colore né la forma né l’odore né il sapore per giudicare della presenza del bene in queste cose, a che altro potete appigliarvi? Vi sono forse di prova la saldezza e il vigore che queste cose sembrano perdere quando sono divelte dalla terra e sottoposte a trattamento? Ma se fosse così (sebbene si possa vedere subito che ciò è falso; per molte cose infatti aumenta la saldezza, una volta che sono state divelte dalla terra, come è il caso del vino che, come si è detto, diviene più robusto invecchiando), cioè, come ho detto, se tale saldezza vi seducesse, voi provereste che in nessun altro cibo la parte di Dio è più abbondante che nella carne. Infatti gli atleti, ai quali il vigore fisico e la valentia sono massimamente necessari, non si nutrono di verdure e di frutti, ma di carne.

16. 49. Forse perché le carni si alimentano di alberi e gli alberi invece non si nutrono di carni, per questo ritenete che essi siano più puri dei nostri corpi? Dal momento che, a disprezzo della carne, vi sembra di non dire niente di più grave di quando dite che è un deposito di letame, non tenete conto di una cosa peraltro perfettamente evidente e cioè che, nutrendosi di letame, gli alberi diventano più rigogliosi e più fecondi e le messi più abbondanti. Così le cose che per voi sono monde si nutrono di ciò che giudicate molto più immondo nelle cose che per voi sono immonde. Che se disprezzate la carne perché nasce dall’accoppiamento, che vi diletti la carne dei vermi che nascono così numerosi e grossi, senza alcun accoppiamento, nella frutta, nel legno e nella terra stessa. Ma non so cosa sia questa finzione; infatti, se non vi piace la carne, perché si forma dall’unione del padre e della madre, non direste che i principi delle tenebre sono nati dai frutti dei loro alberi, che indubbiamente disprezzate di più delle carni, che pure vi rifiutate di gustare.

16. 50. La vostra opinione infatti che tutte le anime degli animali provengono dai cibi dei loro genitori, dai quali, come da un carcere, vi gloriate di liberare la divina sostanza trattenuta nei vostri alimenti, è palesemente contro di voi e vi spinge con viva istanza a mangiare la carne. E perché non liberate le anime, che sono sul punto di legare al corpo quanti si cibano di carni, prendendo e mangiando le carni? Ma, dite voi, quando prendono la parte buona, non la prendono dalle carni ma dalle verdure che mangiano insieme con le carni. Che cosa dunque vi sembra di dover rispondere riguardo alle anime dei leoni che vivono di sola carne? Essi bevono, voi dite, e perciò la loro anima è tratta dall’acqua e mescolata alla carne. Che cosa dite degli innumerevoli uccelli? E che delle stesse aquile che si cibano di sola carne e non hanno bisogno di bere? Di certo, a questo proposito vi mancano gli argomenti e non trovate cosa poter rispondere. Se infatti l’anima proviene dai cibi e ci sono animali che generano, e che bevono e mangiano soltanto carne, risiede nella carne l’anima che, secondo il vostro costume, è vostro dovere adoperarvi per purificare mangiando la carne. A meno che per caso non crediate che il porco, che si pasce di biade e beve acqua, abbia un’anima di luce e non sosteniate che l’aquila, a cui si addice soprattutto il sole, poiché vive di sola carne, abbia un’anima di tenebre.

16. 51. O ristrettezza delle cose! O incredibili assurdità! Di certo non vi sareste caduti se, estranei a queste favole del tutto vane, aveste seguito, quanto all’astinenza dai cibi, ciò che è consentito dalla verità; allora avreste giudicato che i cibi ricercati si devono rifiutare per reprimere la concupiscenza e non per evitare un’impurità che non esiste. Infatti se uno, che conosce poco la natura delle cose e la forza così dell’anima come del corpo, vi concede che l’anima si macchia con cibi di carne, voi concedete nondimeno che essa diviene molto di più immonda per la cupidigia. Che ragione, o piuttosto, che pazzia dunque è quella di escludere dal numero degli eletti un uomo che per caso ha mangiato la carne per motivi di salute, senza alcuna cupidigia? E se poi si sarà abbandonato a mangiare avidamente verdure pepate, voi lo potete riprendere soltanto per la sua intemperanza, ma non lo potete condannare come violatore del sigillo. Così avviene che non può figurare tra i vostri eletti colui che, non per concupiscenza ma per motivi di salute, si è abbandonato a mangiare una porzione di pollo, mentre vi può figurare colui che si è abbandonato a desiderare vivamente focacce al cumino e di altro genere, ma senza carne. Voi dunque salvate colui che la cupidigia immerge in sordidezze e non salvate colui che, secondo il vostro giudizio, è contaminato dallo stesso cibo, pur riconoscendo che la macchia provocata dalla concupiscenza è di gran lunga più grave di quella causata dalla buona carne. Così accogliete colui che si getta con grande avidità e senza trattenersi sulle vivande condite in modo assai gradevole, mentre respingete colui che, per calmare la fame e senza alcuna cupidigia, mangia indifferentemente qualsiasi cibo in uso tra gli uomini, pronto tanto a prenderlo quanto a rifiutarlo. Ecco i vostri straordinari costumi; ecco la vostra eccellente disciplina e la vostra memorabile temperanza!

16. 52. Quanto poi agli alimenti che vengono serviti nelle mense per essere, per così dire, da voi purificati (cosa che ritenete empia se qualcun’altro, all’infuori degli eletti, li tocchi per cibarsene), non è una cosa piena di turpitudine e talora di scelleratezza, se è vero che spesso ne vengono serviti una tale quantità che non è facile per pochi poterli consumare? E poiché reputate un sacrilegio dare ad altri o gettar via quello che avanza, vi costringete a grandi indigestioni nel desiderio, per così dire, di purificare tutto ciò che vi è stato portato davanti. Quando siete già ripieni e quasi sul punto di crepare, con fare dispotico e crudele costringete i fanciulli che stanno sotto la vostra disciplina a divorare gli avanzi. È così che a Roma un tale è stato accusato di avere ucciso degli infelici fanciulli per averli obbligati a mangiare in conformità a tale superstizione. Non lo crederei, se non sapessi quanto giudicate sacrilego dare questi alimenti ad altri che non siano gli eletti o a provvedere che siano gettati via. Così resta quella necessità di mangiarli che può portare quasi ogni giorno alle più vergognose indigestioni, e talvolta perfino all’omicidio.

16. 53. Stando così le cose, voi vietate anche di dare il pane ad un mendicante; siete tuttavia dell’opinione di dargli del denaro per misericordia o piuttosto per evitare apprezzamenti maligni. A questo proposito che cosa denuncerò per primo, la crudeltà o la follia? A che scopo infatti lo date, se la cosa viene fatta in un luogo in cui è impossibile trovare cibo da comperare? Quel mendicante morirà di fame, mentre tu, uomo sapiente e generoso, hai più compassione per un cocomero che per un uomo. Questa è davvero una falsa compassione e una vera crudeltà (che posso dire infatti di più appropriato e di più chiaro?) Passiamo ora alla follia. A che scopo, se con le monete che gli hai dato si comprerà del pane? Forse che quella vostra parte divina, in quest’uomo che la riceve dal venditore, non soffrirà quello che avrebbe sofferto se l’avesse ricevuta da te? Dunque quel mendicante peccatore avvolge nelle sozzure la parte di Dio che desidera andarsene via, aiutato in così grande delitto dalle vostre monete! Voi tuttavia, uomini prudentissimi, ritenete che vi sia una differenza a non consegnare a colui che sta per commettere un omicidio l’uomo che vuole uccidere e consegnargli invece segretamente il denaro con il quale provveda a farlo uccidere? Che cosa si può aggiungere ad una simile follia? Ne segue così che o perirà l’uomo, se non troverà il cibo da acquistare, oppure il cibo, se quello lo troverà: nel primo dei due casi è un vero omicidio, nel secondo un omicidio per voi, ma nondimeno da imputare a voi, come se fosse vero come l’altro. Ma che ci può essere di più stolto e perverso del fatto che non vietiate ai vostri uditori di nutrirsi con le carni, ma vietiate loro di uccidere gli animali? Infatti, se tale cibo non contamina, mangiatelo anche voi; se invece contamina, che follia è quella di ritenere sacrilegio più grave liberare dal corpo un’anima di porco che macchiare l’anima di un uomo con la carne di porco?

Il sigillo delle mani.

17. 54. Ma ora veniamo a considerare e discutere il sigillo delle mani. Innanzitutto Cristo ha dimostrato che il vostro rifiuto di uccidere gli animali e di abbattere gli alberi è una grandissima superstizione: giudicando che non abbiamo nessun vincolo giuridico con gli animali e con gli alberi, mandò i demoni in un branco di porci 18 e, maledicendolo, rese sterile l’albero nel quale non aveva trovato frutto 19. Certamente né i porci né l’albero avevano peccato. E noi non siamo così folli da ritenere che un albero può a suo capriccio portar frutto o meno. Né potete voi dire qui che con questi fatti nostro Signore abbia voluto significare altre cose: ciò è a tutti noto. Ma di certo il Figlio di Dio non avrebbe dovuto dare un segno mediante un omicidio se, come voi dite, è omicidio tagliare un albero o uccidere animali. Infatti ha tratto segni anche dagli uomini, con i quali siamo uniti come in una società di diritto, ma sanandoli 20, non uccidendoli. Agirebbe allo stesso modo con gli animali e con gli alberi, se giudicasse che formiamo con loro la medesima società, come voi l’immaginate.

17. 55. A questo punto mi è sembrato doveroso far intervenire l’autorità, perché non si può discutere con voi dell’anima delle bestie e di quel principio vitale per il quale si dice che gli alberi vivono con ragionamenti sottili. Ma voi, per non essere schiacciati dalle Scritture, vi riparate dietro ad un certo privilegio per cui dite che sono state falsificate. Ciò che ho ricordato dell’albero 21 e del branco dei porci 22 non avete mai detto che è stato interpolato dai corruttori. Tuttavia, considerando quanto tali fatti vi sono avversi, perché non vi venga mai voglia di dire la medesima cosa anche di essi, mi atterrò al mio proposito di chiedere a voi, che promettete sempre la ragione e la verità, in primo luogo qual danno venga all’albero non dico se ne cogli un frutto o una foglia (atto per cui di certo presso di voi, se qualcuno lo ha compiuto non per imprudenza, ma consapevolmente, senza alcun dubbio sarà condannato come violatore del sigillo), ma se lo sradichi completamente. Giacché quell’anima razionale che ritenete essere negli alberi, una volta che l’albero è stato tagliato, è liberata dai lacci - siete voi infatti che lo dite - che lo tenevano in una grande miseria e senza alcuna utilità. È noto infatti che voi, cioè lo stesso vostro fondatore era solito minacciare la trasformazione dell’uomo in pianta come un grave castigo, anche se non come il più grande. Ed è mai possibile che l’anima diventi più saggia in un albero che in un uomo? Esistono invero ragioni ben determinate per non uccidere un uomo, sia colui che con la sua sapienza e virtù può giovare moltissimo agli altri, sia colui che, ammonito dall’esterno da qualcuno o illuminato interiormente da santi pensieri, può giungere alla sapienza. Che l’anima dell’uomo poi uscirà dal corpo con tanto maggiore beneficio quanto più sapiente ne sarà uscita, ce lo insegna la verità attraverso la ragione più acuta e l’autorità ovunque riconosciuta. Per questo chi abbatte un albero libera dal suo corpo un’anima che non progrediva affatto in sapienza. Voi dunque, uomini santi, voi in modo particolare, dico, dovreste abbattere gli alberi e condurre le loro anime liberate da quel vincolo ad uno stato migliore con le preghiere e i salmi. O forse questo può accadere a proposito di quelle anime che aiutate non con lo spirito, ma che accogliete nel vostro ventre?

17. 56. Del resto, se vi si chiede perché non mandate un apostolo a istruire gli alberi o perché colui che mandate agli uomini non predichi la verità anche agli alberi, siete costretti a confessare con sommo imbarazzo, per quanto giudico, che le anime degli alberi, finché sono negli alberi, non progrediscono sulla via della sapienza. In tal caso siete indotti a rispondere che in tali corpi le anime non possono percepire i precetti divini. Da un altro lato però siete ancora più imbarazzati, perché affermate che esse odono le nostre voci, comprendono le nostre parole, vedono i corpi e i movimenti dei corpi, infine leggono gli stessi pensieri. Se queste cose sono vere, perché non possono imparare niente dall’apostolo della luce? Anzi, perché non possono farlo addirittura molto più facilmente di noi, dal momento che riescono a vedere perfino l’interno della mente? Così quell’insigne maestro che, come voi dite, ha difficoltà ad insegnare loro con le parole, potrebbe istruirle col pensiero: ne percepirebbero i pensieri nel suo spirito prima ancora che egli parli. Se invece queste cose sono false, rendetevi conto finalmente in quale errore siete caduti.

17. 57. Se poi non siete voi stessi a cogliere la frutta e a strappare l’erba, ma piuttosto comandate ai vostri uditori di coglierle, di strapparle e di portarvele affinché possiate essere utili non solo a coloro che ve le portano ma anche alle cose portate: a ben considerare, chi lo tollererà? In primo luogo, perché non c’è nessuna differenza se il delitto lo commetti tu stesso o lo fai commettere ad un altro per te. Tu dici che non lo vuoi; ma come dunque si viene in soccorso di quella parte divina che si trova nella lattuga e nei porri, se nessuno li coglie e li offre ai santi per purificarli? In secondo luogo, se passando tu stesso per il campo dove, a titolo di amicizia, hai la facoltà di cogliere quello che ti piace, vedrai un corvo che sta per gettarsi su un fico, che cosa farai? Non ti sembra, stando alla vostra credenza, che il fico stesso parli con te e ti scongiuri pietosamente affinché tu stesso lo colga e lo seppellisca nel tuo santo ventre, dove si purificherà e risusciterà, piuttosto che quel corvo, divoratolo, lo mescoli al suo nefasto corpo, dove sarà imprigionato e tormentato e assumerà altre forme? Se ciò è vero, che cosa di più crudele? Se è falso, che cosa di più stolto? Se infrangerete il sigillo, che cosa di più contrario alla vostra disciplina? E se lo rispetterete, che cosa di più ostile di voi ad una parte di Dio?

17. 58. Ma ciò proviene dalla vostra falsa e vana credenza; è provato infatti che in voi c’è una sicura e manifesta crudeltà che scaturisce da questo stesso errore. Immaginiamo che un uomo, con il corpo disfatto a causa della malattia ed estenuato per il cammino, giaccia sulla via esangue e appena capace di proferire qualche parola. Ritenendo utile per ristorare il proprio corpo che gli sia data una pera, prega te che gli passi accanto di venirgli incontro e ti scongiura affinché dal vicino albero (cosa che non è vietata da nessuna legge umana e da nessuna vera legge) afferri un frutto per lui, altrimenti di lì a poco morirà se non lo farai. Tu, uomo cristiano e santo, tu passerai e lascerai quest’uomo così sofferente e supplichevole, piuttosto che far piangere l’albero cogliendone un frutto ed essere condannato alle pene manichee come violatore del sigillo. Che razza di comportamento e di singolare innocenza!

17. 59. E ora, quanto all’uccisione degli animali, esaminerò ciò che mi turba: anche su questo oggetto si possono dire molte cose del medesimo tipo di quelle precedenti. Infatti, che danno farà all’anima del lupo chi avrà ucciso il lupo, dal momento che anche il lupo, finché vive, sarà sempre un lupo e non obbedirà a nessuno che gli raccomanderà di trattenersi un po’ dal sangue delle pecore e, una volta morto, la sua anima che, secondo voi, è razionale, è liberata dal vincolo del corpo? Eppure voi vietate questa uccisione ai vostri ascoltatori, perché vi sembra più grave di quella degli alberi. In questo caso mi attengo assai alle vostre impressioni, naturalmente alle impressioni sensibili. Vediamo infatti e sentiamo dai loro gridi che anche gli animali muoiono con dolore, cosa di cui in verità l’uomo non tiene conto nella bestia con la quale, appunto perché priva di anima razionale, non è legato da nessuna relazione sociale. Ma esamino come i vostri stessi sensi vedono gli alberi, e li trovo del tutto ciechi. Tralasciando infatti che il legno con nessun movimento manifesta la sensazione del dolore, che cosa di più evidente che l’albero è in ottima condizione quando germoglia, quando si copre di foglie, quando fiorisce ed è ricco di frutti? Ma questo per lo più e in modo particolare lo deve alla potatura. Se sentisse il ferro così come voi pretendete, colpito da tante e così grandi ferite, morirebbe invece di riprendere vigore, germogliando dalle parti ferite con così sicura esuberanza.

17. 60. Ma, tuttavia, perché giudicate un sacrilegio più grande uccidere gli animali che tagliare le piante, dal momento che per voi queste hanno un’anima più pura di quella delle carni? Avviene, voi dite, una certa compensazione quando una parte dei frutti presi dalla terra è offerta agli eletti e ai santi perché sia purificata. Questa credenza è stata già resa vana in precedenza, chiarendo a sufficienza, per quanto suppongo, come nessun argomento può provare l’esistenza di una quantità maggiore della parte buona nei frutti che nelle carni. Ma se uno si guadagna la vita vendendo carni, e spende tutto il guadagno di tale occupazione per comperare gli alimenti ai vostri eletti, procurandone a questi santi più dell’agricoltore e del contadino, in nome della medesima compensazione non griderà che gli è lecito uccidere gli animali? Ma, dite voi, c’è un’altra segretissima ragione: all’uomo abile infatti non manca mai qualche espediente a danno di coloro che ignorano quanto si nasconde nella natura. I principi celesti, che sono stati presi dalla progenie delle tenebre e fatti prigionieri, dite voi, sono stati collocati dal Creatore del mondo in questi luoghi terrestri, per cui ciascuno di essi possiede in terra propri animali provenienti dal loro genere e dalla loro stirpe. Essi considerano colpevoli i distruttori degli animali e non permettono loro di uscire da questo mondo, e li opprimono con tutte le pene e i tormenti possibili. Quale ignorante non temerà queste cose e, poiché non vede niente in tanta oscurità, non finirà col credere che la cosa sta così come si dice? Ma io non abbandonerò il mio proposito e Dio mi aiuterà a respingere con una verità ben chiara queste oscure menzogne.

17. 61. Vi chiedo infatti se gli animali che vivono sulla terra e nell’acqua provengono da quella stirpe di principi per via di generazione e per opera di accoppiamento, quando l’origine dei nascenti si fa risalire a quei feti abortivi? Se è così, vi chiedo, dico io, se non sia un sacrilegio uccidere le api, le rane e molti altri animali che nascono senza accoppiamento. Voi dite che è un sacrilegio. Non è dunque per una parentela con non so quali principi che vietate ai vostri ascoltatori di uccidere gli animali. Oppure, se voi dite che esiste una parentela generale tra tutti i corpi, senza dubbio anche l’abbattimento degli alberi rientrerà nella categoria delle offese ai principi; tuttavia voi non ordinate ai vostri ascoltatori di risparmiarli. Si ritorna dunque a quell’argomento senza valore secondo cui i reati compiuti dai vostri uditori sugli alberi sono espiati mediante i frutti che portano alla vostra chiesa. In questo modo infatti si vuole significare che coloro che nel mercato fanno a pezzi gli animali e ne vendono le carni, se sono vostri uditori e destinano i loro guadagni a procurarsi i frutti, possono affrontare quella strage quotidiana e la colpa che ne risulta sarà cancellata nelle vostre mense.

17. 62. Qualora poi diciate che, come per la frutta e le verdure, si sarebbe dovuto portare la carne agli eletti affinché questa uccisione meritasse il perdono e che, siccome ciò non è possibile perché gli eletti non mangiano carne, si era dovuto vietare agli uditori di uccidere gli animali, che cosa risponderete a proposito delle spine e delle erbe inutili che gli agricoltori distruggono strappandole ai campi nel ripulirli e delle quali non possono offrirvi alcun cibo? Come potrà ottenere il perdono una così grande devastazione da cui non proviene alcun alimento per i santi? O, per caso, ogni peccato compiuto a beneficio della produzione delle verdure e della frutta voi lo perdonate con il mangiare qualche cosa delle stesse verdure e frutta? E che, se dunque le locuste, i topi e i sorci devastano i campi, come spesso avviene, essi saranno uccisi impunemente da un agricoltore vostro uditore che pecca con il pretesto di incrementare la produzione delle messi? Di certo qui siete in imbarazzo; infatti o concedete ai vostri uditori la possibilità di uccidere gli animali, cosa che il vostro fondatore non volle concedere, oppure proibite loro l’agricoltura che egli concesse. Tuttavia voi spesso osate anche dire che un usuraio è più innocente del contadino, tanto è vero che preferite i meloni agli uomini. Così, pur di risparmiare i meloni, giudicate cosa migliore che un uomo sia mandato in rovina da un usuraio. È proprio questa la giustizia che voi desiderate e onorate, o non è piuttosto un inganno da condannare e detestare? È questa qui la memorabile compassione o non è piuttosto un’esecrabile disumanità?

17. 63. Perché non vi astenete voi stessi dal fare strage di animali nei pidocchi, nelle pulci e nelle cimici? Voi credete che sia una grande giustificazione dire che sono sozzure dei nostri corpi. In primo luogo dir ciò delle pulci e delle cimici è apertamente falso. Chi non sa infatti che questi insetti non provengono dal nostro corpo? In secondo luogo, se voi detestate sommamente l’accoppiamento, cosa che fate ben vedere, perché non vi sembrano più puri gli animali che nascono dalla nostra carne senza accoppiamento? Sebbene infatti successivamente si riproducono per accoppiamento, tuttavia all’inizio non nascono dal nostro corpo per via di accoppiamento. Ora in verità, se tutto ciò che nasce dai corpi viventi è da ritenersi assolutamente impuro, molto di più è da considerarsi tale ciò che trae origine dai corpi morti. Si uccide dunque più impunemente un sorcio, un serpe o uno scorpione, i quali, come siamo soliti udire specialmente da voi, nascono da cadaveri umani. Ma lasciamo le cose oscure ed incerte. Senza dubbio è più diffusa la diceria che fa nascere le api dai cadaveri dei buoi 23; perciò esse si uccidono impunemente. Ma se anche questo fatto è incerto, quasi nessuno dubita che gli scarabei nascano dal letame, che plasmano a forma di palla e ricoprono di terra 24. Questi ed altri animali ancora, che sarebbe lungo trattare, di certo voi li dovete giudicare più impuri dei vostri pidocchi. E tuttavia vi sembra sacrilegio uccidere quelli, e una cosa da stolti risparmiare questi, a meno che per caso non li disprezziate perché sono animali piccoli. In verità, se è così, che un animale deve essere tanto più disprezzato quanto più è piccolo, è necessario che preferiate il cammello all’uomo.

17. 64. E qui viene a proposito quella gradazione che spesso mi ha turbato, quando ero vostro uditore. Non c’è infatti nessuna ragione di uccidere una pulce per la piccolezza del suo corpo e neppure una mosca che nasce dalle fave. E se uccidete questa, perché non anche la mosca di poco più grande, ma il cui feto nasce di certo più piccolo di essa? Segue altresì che si distruggerà impunemente anche l’ape, la cui larva è della stessa grandezza di quella della mosca. Quindi si passerà al figlio della locusta e alla locusta, al figlio del topo e al topo. E per non farla lunga, non vedete che con questa gradazione si arriva fino all’elefante, di modo che, se uno non giudica peccato uccidere la pulce a causa della piccolezza del suo corpo, deve assolutamente ammettere che si può uccidere senza colpa questo enorme animale? Ma io penso che si è detto a sufficienza anche a proposito di questo genere di sciocchezze.

Il sigillo del seno.

18. 65. Resta il sigillo del seno, a proposito del quale la vostra castità è molto dubbia. Infatti proibite non l’accoppiamento, ma, come molto tempo fa ha detto l’Apostolo 25, proprio il matrimonio, che è la sola onesta giustificazione dell’accoppiamento. Al riguardo non dubito che voi griderete e mi renderete odioso col dire che raccomandate e lodate in modo particolare la castità perfetta, ma che non per questo proibite il matrimonio. Ai vostri uditori, che occupano tra voi il secondo grado, infatti è consentito di prendere moglie e di tenerla con sé. Ma dopo che avrete dette queste cose a gran voce e con grande sdegno, vi rivolgerò più benevolmente questa domanda: non siete voi a ritenere che generare i figli, per cui le anime si legano alla carne, è un peccato più grave dello stesso accoppiamento? Non siete voi che solevate raccomandarci di fare attenzione, per quanto è possibile, al tempo nel quale la donna, dopo le mestruazioni, fosse atta a concepire e durante questo tempo di astenerci dall’accoppiamento perché l’anima non si mescolasse con la carne? Da ciò segue che, secondo il vostro pensiero, la moglie va presa non per la procreazione dei figli, ma per saziare la libidine. Ma le nozze, come proclamano le stesse tavole nuziali, uniscono l’uomo e la donna per la procreazione dei figli. Chi pertanto dice che è peccato più grave procreare i figli che accoppiarsi, proibisce senz’altro le nozze e fa della donna non la moglie, ma la meretrice, che, per certe compensazioni che ne riceve, si congiunge all’uomo per soddisfare la sua libidine. Dove c’è una moglie, infatti c’è matrimonio; invece non c’è matrimonio dove si cerca di impedire che ci sia la madre e dunque la moglie. Perciò voi vietate le nozze, e di questa colpa, che un giorno lo Spirito Santo predisse di voi, non vi difendete con nessun argomento.

18. 66. Ora, poiché vi adoperate energicamente perché l’anima non si leghi alla carne mediante l’accoppiamento e asserite con forza che, mediante il cibo dei santi, essa si libera dai semi, non confermate, o miseri, ciò che la gente sospetta? Perché mai, a proposito del frumento, delle fave, delle lenticchie e di altri semi, quando ve ne nutrite si deve credere che volete liberare l ‘anima e non lo si deve credere a proposito dei semi degli animali? Voi infatti, mentre dite che è immonda la carne stessa di un animale morto perché non ha l’anima, questo invece non lo potete dire anche a proposito del seme di un vivente: in esso, secondo voi, è imprigionata l’anima che apparirà nella prole, e in esso, come voi confessate, fu coinvolta l’anima dello stesso Mani. E siccome i vostri uditori non possono offrirvi tali semi per purificarli, chi non sospetta che tra voi stessi avvenga una occulta purificazione, che tenete loro nascosta perché non vi abbandonino? Che se non la fate, e voglia il cielo che non lo facciate, vedete tuttavia a quale grande sospetto si espone la vostra superstizione e quanto sia inopportuno da parte vostra sdegnarsi contro uomini che credono ad una cosa che procede dalla vostra professione, con la quale proclamate di liberare le anime dai corpi e dai sensi mediante il cibo e le bevande? Su questo punto non voglio attardarmi più a lungo: anche voi vedete che è una grande occasione per attaccarvi. Ma poiché anche l’argomento è tale che la parola preferisce fuggirlo anziché incalzarlo, e tutto il mio discorso attesta il mio proposito di non esagerare affatto ma di esporre nudamente i fatti e le ragioni, passiamo ad altro.

La dottrina e la pratica dei Manichei sono false e perverse.

19. 67. Ormai appare abbastanza chiaro quali sono i vostri tre sigilli. Tali sono i vostri costumi, tale il fine dei vostri meravigliosi precetti: in essi non c’è nulla di certo, nulla di stabile, nulla di ragionevole, nulla di irreprensibile, ma tutto è incerto, anzi tutto assolutamente falso, tutto ripugnante, tutto abominevole, tutto assurdo. In conclusione, in questi vostri costumi si trovano peccati tanto grandi e tanto gravi che se un uomo di una certa capacità volesse accusarli tutti, potrebbe consacrare a ciascuno almeno un libro. Se dunque li rispettaste e metteste in pratica la vostra dottrina, non ci sarebbe nessuno più inetto, più stolto, più ignorante di voi. Dal momento poi che lodate ed insegnate queste cose senza metterle in pratica, che si può dire o trovare di più falso o di più insidioso o di più perverso di voi?

L’esperienza manichea di Agostino.

19. 68. Per nove anni interi vi ho ascoltato con grande attenzione e assiduità : non sono riuscito a conoscere neppure uno degli eletti che, secondo i vostri precetti, non sia stato sorpreso in peccato o che di certo non si sia esposto al sospetto. Se ne sono trovati molti che usavano il vino e le carni, molti che si lavavano nei bagni. Ma queste cose le sentivamo dire. È stato assodato che alcuni hanno sedotto donne altrui, così che non ne potrei assolutamente dubitare. Ma supponiamo che anche questa sia più una diceria che la verità; il fatto è che ho visto io stesso, non da solo ma con altri, alcuni dei quali si sono già liberati di quella superstizione ed altri mi auguro ancora che se ne liberino. Abbiamo dunque visto in un quadrivio di Cartagine, in una piazza assai famosa, non uno ma più di tre eletti insieme adescare non so quali donne che passavano, in modo così sfacciato da superare in impudicizia e sfrontatezza gli individui più triviali. E si vedeva chiaramente che la cosa veniva da una vecchia consuetudine e che essi tra loro vivevano così: siccome poi nessuno era imbarazzato dalla presenza del compagno, il fatto indicava che certamente tutti o quasi tutti erano affetti dalla medesima turpitudine. In effetti essi non abitavano in una sola casa, ma in luoghi diversi e probabilmente erano venuti insieme dal luogo dove si era tenuta un’adunanza generale. Noi, grandemente turbati, ci siamo anche grandemente lamentati. Ma, infine, chi pensò che l’affronto doveva essere punito non dico con l’allontanamento dalla chiesa, ma almeno con un severo rimprovero, proporzionato alla gravità della colpa?

19. 69. Questa era la sola scusa della loro impunità: poiché era il tempo in cui la legge pubblica vietava i loro ritrovi, temevano che i puniti rivelassero il segreto. Per quale motivo allora annunciano che saranno sottoposti ad una perpetua persecuzione in questo mondo e vogliono essere considerati quaggiù la parte più eletta, per cui inferiscono che questo mondo li odia 26? Per quale motivo allora affermano che la verità va cercata presso di loro, essendo stato dichiarato, circa la promessa dello Spirito Santo Paraclito, che questo mondo non può riceverlo 27? Non è questa la sede per discutere di questo argomento. Ma sicuramente, se la persecuzione contro di voi sarà perpetua, fino alla fine del mondo, perpetua sarà anche la vostra dissolutezza e il contagio di tanta turpitudine resterà impunito finché temerete di danneggiare coloro che se ne rendono colpevoli.

19. 70. La medesima cosa ci fu risposta anche quando riferimmo ai capi stessi della setta le lamentele manifestateci da una donna. Mentre si trovava in riunione con altre donne, confidando nella santità di costoro, entrarono parecchi eletti e uno di loro spense la lucerna. Non si sa da chi di loro sia stata concupita nel buio e sarebbe stata costretta alla scelleratezza, se non fosse scappata grazie alle grida. Questa nefandezza, che è ben nota anche a noi, non si immagina da quale grande consuetudine sia venuta? E ciò accadde in quella notte nella quale presso di voi si celebra la veglia di una festa. Ma, a dire il vero, anche se non vi fosse nessun timore di tradimento, chi avrebbe potuto denunciare al vescovo il colpevole che si era comportato così per non essere riconosciuto? Come se coloro che erano convenuti insieme in quel luogo non fossero tutti coinvolti nella medesima colpa! La lucerna spenta infatti era piaciuta a tutti, perché si divertivano in modo sfacciato.

19. 71. Quante porte poi non si aprivano ai sospetti, quando li trovavamo ora invidiosi, ora avari, ora avidissimi di cibi raffinati, ora impegnati in continui litigi, ora pronti ad agitarsi vivacemente per piccole cose? Di certo non pensavamo che potessero astenersi da ciò di cui facevano professione di astinenza quando trovavano luoghi nascosti e tenebrosi. Ce ne erano due tra costoro di ottima reputazione, di bell’ingegno e che primeggiavano nelle loro dispute, i quali erano a noi legati di più e in modo più familiare degli altri. Uno di costoro, che si era attaccato a noi più strettamente anche a causa dei suoi studi liberali, dicono che ora sia presbitero laggiù. Essi erano tra loro molto invidiosi e l’uno rimproverava all’altro, non già con una pubblica accusa ma con parole e sussurri proferiti presso chiunque gli capitasse, di aver fatto violenza alla moglie di un uditore. L’altro, per giustificarsi, incolpava davanti a noi della stessa spudoratezza un altro eletto che, in quanto amico fidatissimo, abitava presso il suddetto uditore. E poiché questi, entrando improvvisamente, lo aveva sorpreso con la donna, egli diceva che il suo nemico e rivale aveva consigliato alla donna e all’adultero di lanciare contro di lui quella calunnia affinché, se egli svelasse qualcosa, non fosse creduto. Sebbene non fosse ben certa la tentata violenza alla donna, noi tuttavia eravamo tormentati e sopportavamo con molta molestia che l’odio tra quei due, i migliori che lì si trovassero, si manifestasse così aspro, inducendoci ad avanzare altre congetture.

19. 72. Infine, molto spesso abbiamo incontrato nei teatri alcuni eletti gravi per età e, all’apparenza, anche per i costumi, in compagnia di un vecchio presbitero. Non parlo dei giovani, che abitualmente sorprendevamo in rissa a proposito di attori e di conduttori di cocchi, fatto che non è di poco conto circa il modo in cui possono comportarsi di nascosto, dal momento che non sono capaci di vincere la cupidigia che li espone agli occhi dei loro uditori, facendoli arrossire e obbligandoli a fuggire via. E in verità la grande scelleratezza di quel santo, alle cui discussioni prendevamo parte nel quartiere dei venditori di fichi, sarebbe mai venuta alla luce se non avesse resa quella vergine consacrata non soltanto una donna, ma una donna incinta? Ma la crescita del ventre non consentì a questo male segreto ed incredibile di restare nascosto. La cosa fu riferita dalla madre al giovane fratello; questi, sebbene fortemente addolorato, tuttavia, in nome della religione, fu dissuaso dal ricorrere alla pubblica accusa. Tuttavia ottenne che il santo fosse cacciato dalla chiesa; nessuno infatti avrebbe potuto tollerare questo scandalo. E perché la cosa non restasse assolutamente impunita, decise, con l’aiuto dei suoi amici, di annientare l’uomo con pugni e calci. Ma, mentre lo colpivano senza pietà, egli, facendo appello all’autorità di Mani perché lo risparmiassero, gridava che Adamo, il primo eroe, aveva peccato e dopo il peccato era diventato più santo 28.

19. 73. Tale è appunto l’opinione che avete di Adamo ed Eva. La favola è lunga, ma io ne toccherò ciò che al momento è sufficiente. Adamo, secondo voi, è stato generato dai suoi genitori, quei principi abortivi delle tenebre, in modo che la sua anima contenesse una grandissima quantità di luce e una piccolissima quantità della stirpe avversa. Pur vivendo santamente per la sovrabbondanza di bene, tuttavia fu eccitato da quella parte avversa in modo che si piegò all’accoppiamento; così cadde e peccò, ma dopo visse più santamente. Qui mi dolgo non tanto di quest’uomo dissoluto che, sotto la veste di un uomo eletto e santo, per l’empia turpitudine condusse la famiglia di un altro a tanto disonore e infamia. Non questo vi rimprovero; poniamo che sia stata opera di un uomo assolutamente perverso piuttosto che della vostra consuetudine, e infatti di così grande scelleratezza non voi, ma lui rimprovero. Però non so come tutti voi possiate sopportare e tollerare che, sebbene diciate che l’anima è una parte di Dio, tuttavia asserite che la sua sovrabbondanza e fertilità siano state superate da un’esigua mescolanza del male. Chi infatti, credendo questo e spinto dalla libidine, non ricorrerà a tale pretesto piuttosto che frenare e reprimere la libidine?

L’episodio di Roma.

20. 74. Che altro dirò dei vostri costumi? Ho riferito scelleratezze che ho conosciuto io stesso, quando ero nella città dove furono commesse. Ciò che invece è accaduto a Roma durante la mia assenza, sarebbe lungo da raccontare per intero. Io tuttavia lo dirò in breve. Il fatto sollevò tanto rumore che non fu possibile nasconderlo a coloro che erano assenti. E più tardi, essendo io a Roma, riscontrai che tutto ciò che avevo udito era vero, quantunque quegli che era stato presente e me lo aveva riferito mi fosse tanto intimo e caro per probità che io non potevo minimamente dubitarne. Dunque uno dei vostri uditori, che quanto alla famosa astinenza non era inferiore in niente agli eletti e che, essendo anche stato educato nelle arti liberali, voleva e soleva difendere con la forza della parola la vostra setta, sopportava con grandissima molestia che, nel mezzo delle dispute, gli opponessero spesso i costumi assolutamente dissoluti di eletti che vagabondavano e vivevano in modo perverso, conducendo dappertutto pessima vita. Desiderava pertanto, se fosse stato possibile, raccogliere nella propria casa e mantenere a sue spese tutti coloro che erano disposti a vivere secondo quei precetti. Il suo disprezzo per il denaro infatti era pari, in fatto di grandezza, alla quantità che ne possedeva. Si lamentava però che tanti suoi sforzi fossero ostacolati dalla dissolutezza dei vescovi, del cui aiuto aveva bisogno per portare a termine la sua iniziativa. In quel tempo era vostro vescovo un uomo in verità, come io stesso sperimentai, rozzo ed incolto ma, non so come, la cui durezza sembrava più severa nel custodire i buoni costumi. Il citato uditore ferma quest’uomo a lungo desiderato e finalmente presente e gli espone la sua volontà: quegli loda e approva, accettando di abitare per primo nella sua casa. Dopo questo fatto, in quel luogo si raccolsero tutti gli eletti che si poterono trovare a Roma. Propose loro una regola di vita tratta dalla lettera di Mani: a molti sembrò intollerabile e se ne andarono; quanti restarono, ed erano in buon numero, lo fecero tuttavia per pudore. Si cominciò così a vivere come si era convenuto e come prescriveva una così grande autorità. Nel frattempo l’uditore sollecitava energicamente tutti ad osservare tutti i doveri, senza però obbligare nessuno a ciò di cui non avesse fatto esperienza egli stesso. Tuttavia ben presto scoppiarono frequentissime risse fra gli eletti: si rimproveravano reciprocamente le loro scelleratezze. Egli ascoltava tutte queste cose gemendo e faceva in modo che nelle loro dispute essi mettessero a nudo se stessi senza alcuna prudenza: rivelavano così cose nefande ed immani. In tal modo si scoprì che uomini fossero, essi che comunque, fra tutti gli altri, avevano ritenuto di doversi sottoporre al rigore dei loro precetti. Ormai degli altri che cosa non sospettare o piuttosto quale giudizio non si doveva dare? Ma procediamo. Coloro che erano restati sotto il giogo alla fine si misero a mormorare che non potevano sostenere quei precetti; pertanto si ribellarono. L’uditore sosteneva la sua causa con un brevissimo dilemma: o si devono osservare tutti i precetti oppure deve essere giudicato assolutamente folle colui che aveva imposto tali precetti ad una condizione che nessuno poteva soddisfare. Tuttavia, e infatti non poteva essere diversamente, lo strepito sfrenatissimo dei più ebbe la meglio sull’opinione di uno solo. Dopo di ciò lo stesso vescovo si ritirò, anzi se ne fuggì via con grande disonore. Si è risaputo poi che questo vescovo, agendo contro la regola, si faceva portare di nascosto cibi ricercati, che furono più di una volta scoperti, in cambio di abbondante denaro che prendeva dal proprio sacchetto diligentemente nascosto.

20. 75. Se voi dite che queste cose sono false, vi opponete a cose troppo manifeste e ben note. Ma voglia il cielo che lo diciate. Essendo infatti codeste cose manifeste e facilmente conoscibili da parte di coloro che le vogliano sapere, si comprende quanto siano soliti dire cose vere coloro che negheranno che sono vere. Ma voi vi servite di altre difese che io non disapprovo. Infatti dite o che alcuni rispettano i vostri precetti, ed essi pertanto non devono essere coinvolti nelle colpe altrui, oppure che non bisogna affatto cercare che uomini siano quelli che professano la vostra setta, ma quale sia la professione stessa. Io non rifiuto né l’una né l’altra delle due risposte, sebbene sia per voi impossibile mostrarci i fedeli che osservano i precetti e purificare la vostra eresia da tante e così grandi banalità e scelleratezze. Tuttavia vi domanderò in modo assai risoluto perché perseguitate con le vostre maledizioni i cristiani cattolici vedendo tra loro alcuni vivere corrottamente, quando, a proposito dei vostri uomini, o rifiutate impudentemente ogni discussione o più impudentemente ancora non la rifiutate e pretendete che si ammetta che sono tanti in un così piccolo numero ad osservare fedelmente i vostri precetti, mentre escludete che si possa ammettere la medesima cosa per una così grande moltitudine dei cattolici?