Sant’Agostino
[Lettere 36-70]
Scritta dopo l'aprile del 397.
Scrivendo al prete Casulano, confuta la poco seria dissertazione di un certo romano intorno al digiuno in giorno di sabato (n. 1-9). Mostra poi l'assurdità della posizione del suddetto romano a proposito del digiuno e dei cibi da usarsi in giorno di domenica (n. 10-15). Passati poi a trattare del digiuno di Elia e Daniele, della dottrina di Paolo, dei vari modi di digiunare e della carità (n. 16-26), passati in rassegna gli errori dei Manichei e dei Priscillianisti, espone il pensiero del Vescovo di Milano, Ambrogio, intorno ai vari costumi di digiunare
(n. 30-32).
A
GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE CASULANO, FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO, DILETTISSIMO E DEGNISSIMO DI AFFETTO1.
1. Non so come sia accaduto che non ho risposto alla tua prima lettera; sono sicuro però che non l'ho fatto per disprezzo verso di te, poiché godo dei tuoi studi e della tua conversazione, come pure desidero e t'esorto a progredire mentre sei ancora giovane, nella parola di Dio per l'edificazione spirituale della Chiesa. Ora, però, ho ricevuto una seconda tua lettera, nella quale mi preghi, in forza del fraterno e giustissimo diritto della carità, per cui siamo una sola cosa, di risponderti una buona volta; ho ritenuto perciò doveroso non differire oltre di appagare il tuo desiderio, e, nonostante le mie pressantissime occupazioni, mi sono deciso di liberarmi da quest'obbligo contratto verso di te.1.
2. Quanto alla domanda se sia lecito digiunare il sabato, ti rispondo: "Se ciò non fosse assolutamente lecito, certamente non avrebbero digiunato per quaranta giorni continui né Mosè, né Elia, né lo stesso Signore". Veramente in forza di questa ragione si conclude che non sarebbe illecito il digiuno neppure la domenica. Eppure, chi pensasse di consacrare questo giorno al digiuno come alcuni che, pur praticando il digiuno, se ne astengono il sabato, arrecherebbe - giustamente - non lieve scandalo alla Chiesa. Riguardo a cose intorno alle quali la Sacra Scrittura non fissa alcuna regola certa, sono da osservarsi come leggi l'usanza del popolo di Dio o le consuetudini degli avi. Se volessimo discutere le usanze in modo da condannare gli uni in base alle consuetudini degli altri, ne nascerebbe una diatriba interminabile e piena di chiacchiere, mancando alla verità ogni argomento apodittico, e si dovrebbe quindi badare che la foga della polemica non offuschi la serena atmosfera della carità. Non s'è curato d'evitare un simile pericolo quel tale, di cui hai creduto bene inviarmi una prolissa dissertazione nella tua prima lettera, perché io gli rispondessi.2.
3. Io però, per confutare tutte le sue opinioni, non dispongo di tanti ritagli di tempo, essendomi essi necessari a sbrigare altre faccende più urgenti. Tu, comunque, coll'ingegno che mostri nelle tue lettere, che io amo in te come dono di Dio, considera un po' attentamente la medesima dissertazione di quel tale urbico - come tu scrivi - ossia oriundo di Roma, e ti accorgerai ch'egli non ha esitato a denigrare coi termini più ingiuriosi quasi tutta la Chiesa di Cristo dall'Oriente all'Occidente. Che dico: "quasi tutta"? "Addirittura tutta quanta la Chiesa", dovrei dire! Poiché si può constatare che non ha risparmiato neppure i Romani, di cui crede difendere le usanze, mentre non sa (poiché non s'accorge) che la foga delle sue insolenze dilaga fino a colpire anch'essi. Così, quando si trova a corto di argomenti per dimostrare l'obbligo del digiuno il sabato, inveisce insolentemente contro il lusso dei pranzi, contro i banchetti di gente avvinazzata, contro le dissolutezza degli ubriaconi, come se non digiunare equivalesse a ubriacarsi. Se è così, cosa giova ai Romani digiunare il sabato, dal momento che negli altri giorni, in cui non digiunano, necessariamente devono essere giudicati - secondo il ragionamento di costui - ubriaconi e adoratori del ventre? Inoltre, se una cosa è appesantire il cuore nella crapula e nell'ubriachezza 1, il che è sempre illecito, altra cosa è mitigare il digiuno conservando la moderazione e la temperanza; e se ciò si fa la domenica, senza poter essere criticato da un Cristiano, costui distingua anzitutto fra il pasto dei santi e l'abuso nel mangiare e nel bere proprio degli adoratori del ventre, per non mettere tra gli adoratori del ventre gli stessi Romani quando non digiunano. Solo allora potrà indagare non già se è lecito ubriacarsi il sabato (cosa illecita pure la domenica) ma se non ci sia l'obbligo di digiunare neppure il sabato, come non si è soliti digiunare la domenica.2.
4. Dio volesse che indagasse e proclamasse le sue condizioni in modo da non bestemmiare così apertamente la Chiesa diffusa in tutto il mondo, tranne i Romani e, almeno finora, un esiguo numero di popoli occidentali. Orbene, chi potrebbe sopportare che di tanti servi e serve di Cristo viventi tra tutti i popoli cristiani d'oriente e tra molti pure d'occidente, si dica ciò che afferma costui per il fatto che il sabato consumano un pranzo sobrio e moderato, si dica cioè che vivono nella carne e non possono piacere a Dio 2; che di essi sta scritto: Lontani da me gli iniqui; non voglio conoscere la loro via 3, che sono adoratori del ventre, che antepongono la Giudea e i figli della schiava alla Chiesa; che seguono non la legge della giustizia, ma del piacere 4, preoccupati solo del ventre, non volendo essere assoggettati alla disciplina; che sono carne e hanno il gusto per ciò che dà la morte 5 e altre simili espressioni? Anche se dicesse ciò di un solo servo di Dio, chi mai dovrebbe ascoltarlo? Chi non dovrebbe evitarlo? ma poiché ingiuria e insulta la Chiesa che porta frutti e cresce in tutto il mondo 6 e che ha l'usanza quasi universale di non digiunare il sabato, lo esorto, chiunque egli sia, a reprimere il suo zelo. Dato però che non hai voluto che io conoscessi il suo nome, certamente non hai voluto che pronunciassi un giudizio sul suo conto.3.
5. Il Figlio dell'uomo, dice costui, è padrone del sabato, in cui è lecito fare quanto più possibile del bene 7 anziché il male. Se dunque si fa male a mangiare in quel giorno, non c'è nessuna domenica in cui si vive bene. Costui sostiene poi che gli Apostoli il sabato mangiarono, perché - dice - allora non era tempo in cui si doveva digiunare, secondo l'espressione del Signore: Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo Sposo e allora i figli dello Sposo digiuneranno 8, poiché v'è il tempo di godere e il tempo di piangere 9. Costui però avrebbe dovuto prima considerare che il Signore in quella circostanza parlava non già del digiuno del sabato, ma solo del digiuno in genere. In secondo luogo, quando egli vuol dare a intendere che il digiuno deve essere considerato come pianto e il mangiare come godimento, perché mai non pensa (qualunque cosa volesse Dio significare con esso) al passo della Sacra Scrittura, ove è scritto che il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere 10? Certo in queste parole non è indicato il pianto, ma la gioia! Salvo che costui voglia farci intendere che nel fatto che Dio si riposò e consacrò il sabato, si sia voluto indicare gioia per i Giudei e pianto per i Cristiani. Tuttavia neppure quando Dio dichiarò santo il settimo giorno perché in esso si era riposato da tutte le sue opere, fece alcun cenno al digiuno o al pasto del sabato; neppure in seguito, quando diede al popolo ebraico le disposizioni sul modo di rispettare quel medesimo giorno 11, non parlò affatto dei cibi che in esso fosse lecito o illecito mangiare; fu solo comandato a tutti di astenersi dal lavorare in proprio e dalle opere servili. Il popolo ebraico, accettando questo precetto in quanto ombra delle cose future 12, si astenne dal lavoro nella stessa guisa che vediamo astenersi anche oggi i Giudei, non però con la mentalità dei Giudei carnali che non capiscono bene ciò che invece intendono bene i Cristiani. In realtà però noi non comprendiamo queste cose meglio dei Profeti i quali, ciò nonostante, nel tempo in cui quel riposo era obbligatorio, osservarono l'astensione dal lavoro il sabato, che i Giudei considerano obbligatoria anche oggi. Ecco perché Dio comandò di lapidare quel tale che aveva raccolto legna nel giorno di sabato 13, ma in nessun luogo della Sacra Scrittura leggiamo che alcuno sia stato lapidato o giudicato degno di qualsiasi altro supplizio per il fatto che avesse digiunato o mangiato il sabato. Quale poi di queste due azioni si addica al riposo e quale al lavoro, se la veda costui, che ha attribuito la gioia a quelli che mangiano e il pianto a quelli che digiunano o ha creduto di capire ch'è attribuito dal Signore nel passo ove, rispondendo a proposito del digiuno, dice: Non possono piangere i figli dello Sposo finché lo Sposo si trova in mezzo a loro 14.3.
6. Gli Apostoli - dice ancora costui - mangiarono il sabato, poiché non era ancora il tempo che il sabato si dovesse digiunare, cosa che appunto la tradizione degli antenati proibiva; ma io mi domando: era forse già arrivato il tempo di non astenersi dal lavorare il sabato? Non era forse anche ciò proibito dalla tradizione degli antenati, la quale invece costringeva ad astenersi dal lavoro? Eppure proprio quel giorno di sabato, in cui si legge che i discepoli di Cristo mangiarono, non colsero forse delle spighe 15, cosa illecita il sabato perché proibita dalla tradizione degli antenati? Veda dunque costui se non sia più ragionevole della sua la risposta che gli diamo noi, che cioè fu proprio il Signore a volere che fossero compiute dai discepoli quelle due azioni, di cogliere le spighe e di mangiare, per confutare con la prima coloro che pretendono che il sabato non si debba lavorare, e con la seconda coloro che quel giorno obbligano a digiunare. Così il Signore ha voluto far capire come col mutare dei tempi la prima pratica era ormai superstiziosa, mentre ha voluto che l'altra, prima e dopo la sua venuta, fosse libera. Non dico ciò come una cosa che io osi determinare con certezza, ma per mostrare cosa possa rispondersi a costui di molto più ragionevole che non quel che ci racconta lui.4.
7. Costui però obietta: "In che modo non saremo condannati col fariseo, se digiuneremo solo due volte la settimana?". Come se il fariseo sia condannato perché digiunasse solo due volte la settimana e non, invece, perché si esaltava, tronfio di orgoglio, sul pubblicano 16. Egli potrebbe pure affermare che anche quelli che dànno ai poveri le decime di tutti i loro raccolti, son condannati col fariseo, perché tra le altre azioni di cui si vantava c'era anche questa, che brameremmo fosse praticata da molti Cristiani, mentre invece se ne trovano sì pochi! Oppure se uno non sarà ingiusto, adultero, ladro, sarà forse condannato col fariseo, perché si vantava di non essere tale? Chi la pensasse così, sarebbe certo un pazzo! Inoltre anche se tutte le qualità, di cui il fariseo si vantava, sono senza dubbio buone, non si debbono possedere con la superba ostentazione che appariva in lui, ma coll'umile riconoscenza verso Dio, che in quello mancava. Così pure il digiunare due volte la settimana è privo di merito per una persona come il fariseo, mentre è un atto religioso per una persona umilmente fedele o fedelmente umile, sebbene il Vangelo non parli di condanna per il fariseo ma piuttosto di giustificazione per il pubblicano.4.
8. Costui peraltro pensa che l'espressione del Signore: Se la vostra virtù non sarà superiore a quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli 17 si debba intendere in modo che, se non digiuniamo più di due volte la settimana, non possiamo adempiere questo precetto. In tale ipotesi è bene vi siano sette giorni che nel volgere dei tempi tornano sulle proprie orme. Se dunque si tolgono alla settimana i due giorni del sabato e della domenica, in cui non si digiuna, ne rimangono cinque, coi quali si possa superare il fariseo che digiunava solo due volte alla settimana. Penso infatti che, se uno digiuna tre volte alla settimana, supera il fariseo, che digiunava solo due volte la settimana. Se poi uno digiunasse quattro o cinque volte, tralasciando solo il sabato e la domenica, come fanno per tutta la vita molti Cristiani, specialmente coloro che vivono in monastero, in tal caso non rimarrà superato solo il fariseo, che digiunava solo due volte, ma qualunque cristiano solito a praticare il digiuno il mercoledì, venerdì e sabato, come generalmente usa il popolo Romano. Tuttavia questo non so qual pensatore oriundo di Roma - come tu lo chiami - osa qualificare schiavo della carne uno che praticasse il digiuno anche per cinque giorni di seguito, eccetto il sabato e la domenica, senza rifocillarsi affatto in nessuno di quei cinque giorni, come se mangiare e bere negli altri giorni fosse in rapporto col corpo, e gli affibbia pure il titolo di adoratore del ventre, come se soltanto il pasto del sabato scendesse nel ventre.5.
9. Per costui non basta certamente quanto è sufficiente per superare il fariseo, cioè il digiunare tre volte la settimana ma, con l'eccezione della sola domenica, obbliga ad osservare il digiuno tutti gli altri sei giorni, fino ad affermare: "Cancellata l'antica macchia, come due sposi in una sola carne, coloro che si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i sensuali pranzi del sabato con gli uomini senza legge e coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra 18, ma devono praticare coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa. In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina e poi, nutriti dell'alogia domenicale, potremo tutti con ugual sentimento e degnamente cantare: Hai saziato, o Signore, l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 19". Ora, con simili affermazioni e coll'eccettuare dal digiuno soltanto la domenica, costui, imprudente e incauto, accusa non solo le popolazioni dell'Oriente e dell'Occidente, tra le quali nessuno digiuna il sabato, ma la stessa Chiesa di Roma. Proprio così egli dice: "Quanti si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i pranzi sensuali con gli uomini senza legge, coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra, ma devono praticare insieme coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa". Stabilendo poi in che consista il digiunare secondo le leggi, egli soggiunge: "In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina"; così dicendo, costui pensa di certo che coloro, i quali praticano il digiuno meno di sei giorni la settimana, non praticano il digiuno conforme alle leggi né sono consacrati a Dio né lavano le macchie dei falli che si contraggono con la nostra natura mortale. Badino perciò i Romani a quel che fanno, perché anch'essi in questa dissertazione vengono trattati assai oltraggiosamente per il fatto che presso di loro, eccettuati pochissimi chierici o monaci, quanti se ne trovano che pratichino il digiuno tutti i giorni? Tanto più che a Roma non pare si debba digiunare il giovedì!5.
10. Io poi mi domando: se il più lieve fallo di ogni giorno vien cancellato o lavato dal digiuno del medesimo giorno, poiché egli dice: "In tal modo anche il più lieve fallo dei sei giorni sarà lavato anche alle fonti del digiuno", come ci purificheremo delle mancanze in cui scivoliamo la domenica, quando sarebbe scandaloso digiunare? Oppure, se in questo medesimo giorno al cristiano non può capitare di incorrere in qualche fallo, veda costui (che accusa gli altri quali adoratori del ventre, come s'egli fosse un eroe del digiuno) quanto onore e importanza attribuisce al ventre, se non si pecca quando si mangia. Dunque, attribuisce egli forse al digiuno del sabato tale virtù che basta da solo a cancellare anche il più lieve fallo degli altri sei giorni della settimana, cioè anche della stessa domenica - com'egli dice - e non si pecca solo nello stesso giorno dedicato interamente al digiuno? Ma, allora, perché mai in virtù delle disposizioni della legge cristiana dà la preferenza alla domenica rispetto al sabato? Ecco: secondo lui si viene a scoprire che il sabato è molto più santo, perché quel giorno non si pecca quando lo si consacra tutto intero al digiuno; anzi col medesimo digiuno si cancellano i peccati degli altri sei giorni e perciò della stessa domenica. Credo però che tu non approvi codesta sua opinione.5.
11. E anzi, mentre costui vuol apparire persona spirituale e accusa come carnali coloro che mangiano il sabato, tu considera bene in qual modo la domenica si ristora non con un pasto frugale, ma ha bisogno dell'alogia per rallegrarsi. Ma che cos'è poi quest'alogia? È una parola presa dalla lingua greca, ed esprime l'abbandonarsi alla crapula fino a perdere il controllo della ragione. Per questo si dicono àlogi gli animali irragionevoli, ai quali rassomigliano le persone dedite al ventre; per questo vien chiamata alogia un banchetto smodato in cui, col rimpinzarsi di cibo e di vino, viene per così dire affogata la mente, di cui la ragione è la facoltà principale. Costui inoltre arriva ad affermare che, a causa del cibo e del bere, cioè per causa dell'alogia (o bestialità) non della mente ma del ventre, nella domenica si deve cantare: O Signore, tu hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 20. Toh, vedi che persona spirituale, che censore delle persone carnali, che gran digiunatore e per nulla adoratore del ventre è costui! Ecco chi ci ammonisce a non guastare con la legge del ventre la legge del Signore, a non barattare il pane del cielo col cibo della terra e soggiunge: "A causa del cibo Adamo perse il paradiso, come pure a causa del cibo Esaù perse il diritto di primogenitura". Ecco chi dice: "Poiché il solito trabocchetto di Satana è la tentazione del ventre: lo persuade a prendere poco per rapire tutto. E la spiegazione di questi precetti - soggiunge - non arriva a piegare gli adoratori del ventre".5.
12. Non sembra forse che con queste sue parole costui voglia concludere che si debba digiunare anche la domenica? In caso diverso il sabato, durante il quale il Signore riposò nel sepolcro, sarebbe più sacro della domenica, in cui risuscitò dai morti. E sarebbe indubbiamente più sacro il sabato se, a quanto afferma costui, col digiuno di quel giorno si potesse evitare ogni specie di peccato e cancellare le macchie procurate negli altri giorni, mentre la domenica, a causa del cibo, non si eviterebbe la tentazione del ventre e si offrirebbe l'occasione all'insidia del diavolo, si perderebbe il paradiso e il diritto di primogenitura. Ma allora, perché mai costui, contraddicendosi ancora una volta, esorta che nella domenica ci ristoriamo non con un cibo moderato, sobrio, degno di Cristiani, ma nella pazza gioia dell'alogia, esultando e cantando: O Signore, hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima sitibonda? È naturale: se non si pecca quando si digiuna e col digiuno del sabato si lavano tutti i peccati commessi negli altri sei giorni, non vi sarà nessun giorno peggiore della domenica, nessuno migliore del sabato! Credimi, fratello carissimo: nessuno intende la legge come costui, tranne chi non l'intende affatto. In realtà se non fu il cibo in sé, ma il cibo proibito a rovinare Adamo 21, né fu il piatto di lenticchie a far riprovare Esaù 22, nipote del santo Abramo, ma l'averlo desiderato fino al disprezzo del piano misterioso simboleggiato nella primogenitura, ne segue che dai santi e dai fedeli si mangia con spirito di ossequio alla legge di Dio, come dai sacrileghi e dagli increduli si digiuna con spirito contrario alla legge di Dio. La domenica poi dev'essere considerata superiore al sabato per il mistero della risurrezione, non per l'usanza della refezione oppure per la dissolutezza delle canzoni da ubriaconi.6.
13. "Mosè - dice costui - rimase quaranta giorni senza mangiar pane né bere acqua 23". E per spiegare il motivo di questa sua affermazione, soggiunge dicendo: "Ecco Mosè, questo amico di Dio, questo abitante nella nube, questo legislatore e condottiero del popolo, praticando il digiuno per sei sabati, non solo non arrecò offesa a Dio, ma si acquistò meriti". Ma considera forse costui che cosa gli si può convenientemente opporre? Se egli ci pone sotto gli occhi l'esempio di Mosè digiunante poiché in quei quaranta giorni digiunò - com'egli dice - sei sabati, dimostrando così che si deve digiunare il sabato, perché con lo stesso esempio non ci persuade a digiunare pure la domenica, poiché in quei quaranta giorni Mosè digiunò ugualmente sei domeniche? Costui però soggiunge: "Ma la domenica era da Dio ancora riserbata con Cristo alla Chiesa che si sarebbe presto stabilita". Non capisco il perché di questa affermazione; se è stata fatta per il motivo che si deve digiunare molto di più dopo che è arrivata con Cristo la domenica, si dovrebbe dunque digiunare anche la stessa domenica, che Dio non voglia! Forse però si espresse così per evitare che, a proposito del digiuno di quaranta giorni, gli si obbiettasse che si deve digiunare pure la domenica: perciò soggiunse che la domenica era riservata con Cristo alla Chiesa, che si sarebbe stabilita più tardi, onde farci comprendere pure che Mosè digiunò anche nel giorno successivo al sabato, in quanto non era ancora venuto Cristo, dal quale fu istituita la domenica, in cui perciò non si addice digiunare. Ma perché allora Cristo digiunò ugualmente quaranta giorni 24? E perché mai durante quei quaranta giorni non interruppe il digiuno nei giorni successivi al sabato per raccomandare fin d'allora il pasto della domenica anche prima della sua risurrezione, allo stesso modo che diede a bere il proprio sangue prima della sua passione? Tu comprendi bene che il digiuno di quaranta giorni, da costui ricordato, non prova per nulla che uno sia obbligato a digiunare il sabato, come non prova per nulla che si debba digiunare la domenica.6.
14. Costui però non considera affatto ciò che gli si può opporre riguardo alla domenica, dal momento che, allo stesso modo che sono da riprovarsi i banchetti senza sobrietà e ogni eccesso nel mangiare e nel bere, così egli accusa i pasti del sabato, pur potendo questi essere propri di persone moderate e sobrie. Per questo motivo è inutile rispondergli punto per punto, poiché biasimando i vizi della lussuria riguardo ai pasti del sabato, ripete sempre le stesse cose, non trovando altro da dire se non cose futili e per nulla attinenti alla questione. Ora tutta la questione è sapere se il sabato ci si debba astenere dal digiuno e non già se il sabato ci si debba astenere dalla crapula, dalla quale si astengono le persone timorate di Dio anche la domenica, ancorché quel giorno non digiunino. Ma chi mai oserebbe fare l'affermazione fatta da costui? "In qual modo - dice - possono essere meritorie per noi e accette o gradite a Dio azioni che in un giorno consacrato ci inducono al peccato"? Ammette che il sabato è giorno consacrato e poi dice che si costringono le persone al peccato solo perché si mangia. Per conseguenza, secondo costui, o la domenica non è un giorno consacrato, e in questo caso il sabato è preferibile alla domenica, oppure, se anche la domenica è un giorno santificato, siamo spinti al peccato per il solo fatto che in quel giorno mangiamo.7.
15. Costui inoltre si sforza di dimostrare con prove tratte dalla Sacra Scrittura l'obbligo di digiunare il sabato. Ma non riesce affatto a trovare alcuna prova. "Giacobbe - dice costui - mangiò e bevve vino a sazietà e s'allontanò da Dio, suo Salvatore, e in un sol giorno caddero ventitremila persone 25". Come se la Sacra Scrittura dicesse: "Giacobbe mangiò di sabato e s'allontanò da Dio, suo Salvatore". Allo stesso modo l'Apostolo nel ricordare ch'erano cadute tante migliaia di persone non dice: "Non mangiamo di sabato come fecero costoro", ma: E non fornichiamo come fecero alcuni di loro e ne caddero in un sol giorno ventitremila 26. E che vuol dire anche l'espressione biblica: E sedette il popolo a mangiare e bere e si alzò per sollazzarsi 27? Questo passo è stato bensì citato pure dall'Apostolo, ma per allontanarci dal culto degli idoli e non dal mangiare il sabato. Costui invece non prova affatto che quel fatto avvenisse di sabato ma è una sua congettura capricciosa. Ma come si può digiunare e inebriarsi quando si scioglie il digiuno, se si è ubriaconi, così pure può accadere che uno digiuni e, se è temperante, mangi assai parcamente. Perché dunque, per convincere che il sabato c'è l'obbligo del digiuno, chiama a testimonio l'Apostolo, che dice: Non v'inebriate di vino ch'è causa di dissolutezza 28, come se dicesse: "Non mangiate di sabato, perché è causa di dissolutezza"? Ma allo stesso modo che questo precetto dell'Apostolo di non inebriarsi di vino ch'è causa di dissolutezza, è messo in pratica dal Cristiani timorati di Dio quando consumano i pasti di domenica, così viene praticato quando si consumano i pasti il sabato.7.
16. "E per replicare - dice - più esplicitamente agli erranti, col digiuno nessuno offende Iddio, anche se non acquista meriti; ora non offenderlo è già meritare". Chi mai direbbe ciò tranne chi parlasse senza riflettere che cosa dice? Così dunque quando i pagani digiunano, solo per questo non offendono maggiormente Dio? Oppure se ha voluto che la sua affermazione si dovesse intendere dei Cristiani, chi mai non offenderà Dio se vorrà digiunare la domenica con scandalo di tutta la Chiesa diffusa in ogni parte del mondo? Continua poi con l'addurre altre prove tratte dalla Sacra Scrittura ma di nessun valore per il suo assunto. "In grazia del digiuno - dice - Elia ha ottenuto in dono il paradiso e vi regna col suo corpo mortale 29", come se non raccomandassero il digiuno coloro che tuttavia la domenica non digiunano! Orbene, ciò che ho risposto a proposito dei quaranta giorni di digiuno fatto da Mosè, ritengo si debba rispondere pure a proposito dei quaranta giorni di Elia. "In grazia del digiuno - dice ancora - Daniele uscì illeso dalle fauci dei leoni, secche per la rabbia 30", come se nella Sacra Scrittura avesse letto che digiunò il sabato o che comunque fosse di sabato rimasto fra i leoni, mentre vi leggiamo che consumò pure il pranzo 31. "In grazia del digiuno - dice ancora - i tre giovani uniti tra loro da vincoli fraterni trionfarono nel carcere balenante di fiamme e adorarono il Signore accolto in quella dimora ardente 32". Neppure questi esempi di santi valgono a dimostrare l'obbligo del digiuno di qualsiasi giorno; quanto meno di sabato. Poiché non solo non si legge nella Sacra Scrittura che i tre giovani fossero gettati nella fornace col fuoco acceso in giorno di sabato, ma neppure che vi rimanessero tanto che si possa affermare vi digiunassero. Essi, al contrario, vi rimasero per lo spazio appena di un'ora in cui si può cantare il loro inno di lode e il loro cantico. Essi tra quelle fiamme innocue non passeggiarono più di quanto occorresse a portare a termine quel cantico, salvo che pure da costui non si assegni al digiuno lo spazio di un'ora sola. Se fosse così, non avrebbe alcun motivo di sdegnarsi contro coloro che il sabato mangiano, poiché il digiuno che si pratica fino all'ora di pranzo è molto più lungo di quello durato nella fornace.7.
17. Costui cita pure come prova quel passo dell'Apostolo in cui dice: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma nella giustizia, nella pace e nella gioia provenienti dallo Spirito Santo 33. E pretende che qui regno di Dio significhi la Chiesa, perché in essa Dio ha stabilito il suo regno. Ora io ti domando: forse che l'Apostolo parlando così voleva imporre ai Cristiani l'obbligo di digiunare il sabato? Ma no; dicendo così non intendeva parlare neppure del digiuno d'alcun altro giorno. L'espressione paolina era diretta contro coloro che, secondo l'uso dei Giudei ligi all'antica Legge, reputavano che la purezza consistesse nell'astenersi da determinati cibi; ed inoltre intendeva ammonire quei fedeli che, mangiando e bevendo senza distinguere cibi e bevande, scandalizzavano i deboli. Ecco perché l'Apostolo, dopo aver detto: Non far sì che per causa del tuo cibo si perda quel tale per cui è morto Cristo, e: Non fate dunque che il nostro bene sia oggetto di biasimo 34, aggiunse: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere ecc. Poiché, se dovessimo intendere come vuole costui queste parole dell'Apostolo, che cioè il regno di Dio, ossia la Chiesa, non consista nel mangiare e bere ma nel digiuno, non dico che dovremmo digiunare il sabato, ma non prendere assolutamente mai cibo e bevanda, per non rimanere fuori dal regno di Dio. Penso allora - come egli stesso ammette - che se c'è un giorno in cui apparteniamo alla Chiesa con sentimenti di maggiore pietà, esso è la domenica quando tuttavia, ancora col suo permesso, noi mangiamo!8.
18. "Perché mai - dice ancora costui - ricusiamo d'offrire un sacrificio caro al Signore principale, un sacrificio desiderato dallo Spirito e lodato dall'Angelo"? Come prova adduce poi quella dell'Angelo che dice: Buona cosa è la preghiera col digiuno e con l'elemosina 35. Non so cosa abbia voluto dire con l'espressione "preferito dal Signore", salvo che non sia un errore del copista e ti sia sfuggito di correggerlo nella copia che mi hai inviata da leggere. Per sacrificio caro a Dio vuole dunque che si intenda il digiuno, come se la questione verta sul digiuno e non sul digiuno del sabato. Ma la stessa domenica trascorre forse senza sacrificio, caro a Dio, per il fatto che non si digiuna? Costui però continua ad accumulare prove del tutto estranee alla causa da lui presa a difendere. Offri - dice - a Dio il sacrificio di lode 36 e volendo ricollegare, non so come, quest'espressione del salmo divino all'argomento trattato: "Certo - dice - non il banchetto del sangue e dell'ubriachezza, con cui si moltiplicano non già le lodi dovute a Dio, ma le bestemmie col favore del diavolo". Oh cieca presunzione! La domenica dunque non s'offre il sacrificio di lode, perché non si digiuna, ma si compie "un banchetto da ebbri" e "col favore del diavolo si moltiplicano le bestemmie"! Se però è illecito affermare ciò, comprenda costui che con l'espressione della Sacra Scrittura: Offri a Dio il sacrificio di lode non si intende il digiuno, il quale non viene praticato in giorni determinati, soprattutto festivi, mentre ogni giorno il Sacrificio di lode è offerto dalla Chiesa diffusa in ogni parte della terra. Altrimenti (cosa che nessuno, non dico cristiano, ma neppure pazzo, oserebbe dire) i cinquanta giorni decorrenti da Pasqua a Pentecoste, in cui non si digiuna, sarebbero - secondo costui - privi del sacrificio di lode, quando l'Alleluia si canta in molte chiese solo in quei giorni e in tutte le altre in quelli soprattutto; e nessun cristiano, per quanto si voglia ignorante, ignora che cosa è una esclamazione di lode.8.
19. Costui però ammette che anche il pasto della domenica può consumarsi non nell'ubriachezza ma nella gioia, quando afferma che noi, Cristiani in gran numero solo di nome ma pochi eletti, discendenti dai Giudei e dai pagani, la sera del sabato dobbiamo offrire, invece di vittime di animali, il digiuno gradito a Dio mediante il canto dei salmi col quale, come distrutte dal fuoco, scompaiono le azioni peccaminose. "E al mattino - soggiunge costui - il Signore soddisfatto della nostra obbedienza ci esaudirà e avremo le case per mangiare e bere, non nell'ubriachezza, ma nella gioia, una volta terminata la festa del Signore". Allora, dunque, si celebra l'eulogia e non come affermava prima, l'alogia. Ma non so proprio in che cosa lo urti il sabato, santificato dal Signore, per cui non crede si possa in quel giorno mangiare con gioia senza trasmodare in una sbornia, potendo noi digiunare prima del sabato allo stesso modo che, secondo lui, dovremmo digiunare il sabato prima della domenica: crede forse che sia una cosa empia mangiare per due giorni di seguito? Comprenda dunque quale offesa arrechi anche alla stessa Chiesa Romana, nella quale anche in quelle settimane in cui si digiuna il mercoledì, il venerdì e il sabato, tuttavia si mangia in tre giorni di seguito, cioè la domenica, il lunedì e il martedì.8.
20. "È certo - afferma pure - che la vita delle pecore dipende dalla volontà dei pastori: ma guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro 37". Non comprendo bene cosa vogliano dire queste sue parole. Se infatti quel tale oriundo di Roma dice così come tu scrivi, a Roma il popolo, sottomesso all'arbitrio del suo pastore, digiuna il sabato col suo vescovo. Se invece ti scrisse così perché nella tua lettera anche tu avevi scritto qualcosa di simile, non lasciarti indurre a lodare una città cristiana che digiuna il sabato, per non essere poi costretto a condannare il mondo cristiano che mangia. Quando infatti dice: Guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro, volendo darci a intendere ch'è bene e luce e dolce il digiuno del sabato e al contrario è male e tenebre e amaro il mangiare, chi potrebbe dubitare ch'egli, a proposito dei Cristiani che mangiano il sabato, condanna il mondo intero? Ma egli non riflette né s'accorge di quel che dice, se non si può trattenere dallo scrivere tali arrischiate e precipitose espressioni. Poiché subito soggiunge con l'Apostolo: Nessuno dunque vi condanni per causa di cibi o di bevande 38, cosa che fa proprio lui condannando coloro che il sabato prendono cibo e bevande. Quanto meglio sarebbe stato se gli fosse venuto in mente anche ciò che lo stesso Apostolo dice in un altro passo: Chi mangia, non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 39! Avrebbe così mantenuto, tra coloro che digiunano e quelli che mangiano al sabato, la giusta e prudente misura per evitare scandali in modo che colui il quale mangia in quel giorno non disprezzasse colui che non mangia, e colui che non mangia non si facesse giudice di chi mangia.9.
21. "Anche Pietro - dice costui - il capo degli Apostoli, il portinaio del cielo, il fondamento della Chiesa, dopo aver sbaragliato Simone, ch'era figura simbolica del diavolo, il quale si vince solo col digiuno, insegnò questa medesima pratica ai Romani, la cui fede viene annunciata al mondo intero". Forse che, dunque, gli altri Apostoli insegnarono a tutti i Cristiani sparsi nel mondo intero a mangiare contro l'insegnamento di Pietro? Al contrario, come vissero concordi tra loro Pietro e gli altri Apostoli, così vivevano concordi tra loro digiunando di sabato quelli stabiliti nella fede da Pietro e mangiando di sabato quelli stabiliti nella fede dagli altri Apostoli. È bensì opinione di moltissimi, sebbene parecchi Romani affermino ch'è falsa, che l'apostolo Pietro per prepararsi a ingaggiare un dibattito con Simon Mago una domenica, proprio a causa del pericolo della grande prova, il giorno precedente digiunasse con tutti i fedeli della stessa Roma: avendo poi conseguito una vittoria così felice e gloriosa, continuasse poi a conservare quell'usanza imitata da alcune Chiese dell'Occidente. Ma se - come costui afferma - Simon Mago era figura simbolica del diavolo, questo non fa il tentatore certamente solo il sabato o la domenica, ma tutti i giorni; eppure non tutti i giorni si digiuna per difendersi da lui, dal momento che si mangia in tutte le domeniche e nei cinquanta giorni dopo la Pasqua e, in diverse località, nelle ricorrenze solenni dei Martiri e in tutte le feste senza eccezione. Ciononostante il diavolo si vince se i nostri occhi sono rivolti sempre al Signore, affinché estragga dal laccio i nostri piedi 40; e o mangiamo o beviamo o qualsiasi altra cosa facciamo, facciamo tutto a gloria di Dio e, per quanto sta in noi, non siamo d'inciampo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio 41. Ma a questo ammonimento non pensano sia quelli che mangiano, sia quelli che digiunano, offrendo occasione di scandalo con l'eccedere nell'una e nell'altra azione; in tal modo il diavolo non ne esce sconfitto ma baldanzoso.9.
22. Si potrebbe forse rispondere che Giacomo a Gerusalemme, Giovanni ad Efeso e tutti gli altri Apostoli negli altri luoghi insegnarono, come insegnò Pietro a Roma, l'obbligo di digiunare il sabato, ma che, da questo insegnamento tutte le altre terre tralignarono, mentre Roma vi rimase fedele; ma si potrebbe pure, al contrario, replicare che piuttosto non conservarono l'insegnamento degli Apostoli alcune località dell'Occidente, tra cui Roma, mentre le terre dell'Oriente, donde lo stesso Vangelo cominciò ad esser predicato, rimasero, senza cambiar nulla, fedeli alla tradizione insegnata da tutti gli Apostoli insieme con Pietro, di non digiunare cioè il sabato. Ma si avrebbe allora una controversia interminabile, atta a generare litigi ma non a terminare le questioni. Sia dunque una sola la fede di tutta la Chiesa sparsa in ogni parte della terra, interna per così dire nelle membra, ancorché la stessa unità della fede si manifesti esternamente con pratiche diverse le quali non recano impaccio alla verità della fede; poiché tutta la bellezza della figlia del Re è interiore, mentre tutte le pratiche che si osservano in forma diversa sono simboleggiate nella sua veste, per cui nello stesso salmo si dice: Con frange d'oro rivestita d'una veste variopinta 42. Orbene la veste sia pure screziata per pratiche diverse, ma non venga lacerata da dispute avverse.10.
23. "Infine - dice - se il Giudeo celebrando come festivo il sabato rifiuta di celebrare la domenica, come mai il Cristiano celebra il sabato? O siamo Cristiani e celebriamo la domenica oppure siamo Giudei e celebriamo il sabato: poiché nessuno può servire a due padroni 43". Non parla forse come se uno fosse il padrone del sabato e un altro quello della domenica 44? Non ascolta neppure quello ch'egli stesso ha già citato: Padrone del sabato è infatti il Figlio dell'uomo. Quando poi vuole che siamo contrari al sabato come i Giudei lo sono della domenica, non sbaglia forse fino al punto che potrebbe dire pure che non dovremmo accogliere né la Legge né i Profeti, come i Giudei non accolgono il Vangelo né gli Apostoli? Chi sa capire ciò, capisce pure quanto quell'asserzione puzza d'eresia! Ma tutte le cose vecchie - dice - sono passate e sono state rinnovate in Cristo 45. È vero. Per questo infatti non ci riposiamo il sabato, come fanno i Giudei, anche se, per indicare il riposo simboleggiato in quel giorno, interrompiamo l'obbligo del digiuno, pur osservando la cristiana sobrietà e frugalità. E anche se alcuni nostri confratelli non ritengono necessario indicare il riposo del sabato interrompendo il digiuno, noi non stiamo a litigare sulla varietà della veste regia, per non lacerare le membra interne della regina stessa, quando conserviamo l'unica stessa fede anche riguardo allo stesso riposo. Sì, è vero: dal momento che le cose antiche sono passate, con esse è passato pure il riposo materiale del sabato; non per questo però noi serviamo a due padroni per il fatto che prendiamo i pasti il sabato e la domenica senza astenerci per superstizione dal lavoro, poiché tanto del sabato che della domenica è uno solo il padrone.10.
24. Costui poi, il quale dice che le cose antiche sono passate, affinché "in Cristo l'ara lasciasse il posto all'altare, la spada al digiuno, il fuoco alle preghiere, gli animali al pane, il sangue al calice", non sa che il termine "altare" è più usato nei libri della Legge e dei Profeti e che l'altare fu collocato dapprima nel tabernacolo costruito da Mosè 46; e inoltre che il termine "ara" si trova negli scritti degli Apostoli, dove si dice che i Martiri gridano a gran voce sotto l'"ara" di Dio 47. Dice che la spada ha lasciato il posto al digiuno, dimenticando quella a doppio taglio, di cui sono armati i soldati del Vangelo, consistente nell'Antico e nel Nuovo Testamento 48. Dice che il fuoco ha lasciato il posto alle preghiere, come se allora le preghiere non fossero presentate nel tempio e come se ora il fuoco non fosse stato portato nel mondo da Cristo 49. Dice che gli animali hanno lasciato il posto al pane, fingendo d'ignorare che pure allora sulla mensa del Signore si solevano porre i pani di proposizione 50 e che ora anch'egli prende una parte del corpo dell'Agnello immacolato. Dice che il sangue ha lasciato il posto al calice, senza pensare che anche adesso egli riceve il sangue nel calice 51. Quanto meglio dunque e più convenientemente avrebbe detto che le cose antiche son passate e che sono state rinnovate in Cristo, dicendo che un altare ha lasciato il posto a un altro altare, una spada a un'altra, un fuoco a un altro, una vittima a un'altra, un sangue a un altro. Poiché in tutte queste cose vediamo che le cose antiche di natura carnale, hanno lasciato il posto alle nuove, di natura spirituale. Sia dunque che si mangi sia che si digiuni da alcuni nella ricorrenza del settimo giorno, tuttavia deve intendersi che il sabato carnale ha lasciato il posto a quello spirituale, poiché in questo si brama il vero ed eterno riposo, mentre il riposo temporale che si osserva in quell'altro è ormai rigettato come superstizioso.11.
25. Tutti gli altri argomenti con cui costui conclude la sua dissertazione, come pure alcuni altri punti che non ho ritenuto opportuno ricordare, sono molto meno attinenti alla questione se il sabato si debba digiunare o mangiare. Io li lascio considerare e giudicare da te stesso soprattutto se trovi un qualche aiuto in ciò che ho detto. Credo di aver risposto a costui sufficientemente pur nei limiti delle mie possibilità: se quindi chiedi la mia opinione su questo argomento, io ripercorrendo la questione con l'animo vedo che il digiuno è comandato nei sacri testi del Vangelo e degli Apostoli e in tutto l'insegnamento divino che si chiama il Nuovo Testamento, ma non trovo fissato con un precetto del Signore o degli Apostoli in quali giorni si debba o non si debba digiunare. Penso quindi che sia più conveniente essere larghi che stretti in fatto di digiuno, non già per ottenere, ma per esprimere simbolicamente il riposo eterno, in cui consiste il vero sabato e che si ottiene con la fede e la virtù, in cui sta la bellezza interiore della figlia del re 52.11.
26. Però, si digiuni o si mangi di sabato, l'avvertimento che mi pare più sicuro e più rasserenante è il seguente: chi mangia non disprezzi colui che non mangia e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 53, perché non trarremo alcun profitto se mangeremo, né patiremo alcun scapito se non mangeremo 54: in tal modo non daremo scandalo a coloro tra i quali e coi quali viviamo uniti a Dio, ma rimarremo anzi in buona armonia con essi. Poiché, com'è vero quanto afferma l'Apostolo, che fa male chi mangia causando scandalo 55, così pure fa male chi digiuna causando scandalo. Badiamo quindi di non essere come quelli che, vedendo Giovanni astenersi dal mangiare e dal bere, dicevano: È posseduto dal demonio 56, ma nemmeno come quelli che, vedendo Cristo mangiare e bere, dicevano: Ecco qua un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori 57. Poiché a queste affermazioni il Signore replicò con un'affermazione molto stringente e recisa, dicendo: Alla Sapienza è stata resa giustizia dai suoi figli 58. Se poi domandi chi siano questi figli, leggi quanto sta scritto: I figli della Sapienza sono la Chiesa dei giusti 59: sono cioè quelli che, quando mangiano, non disprezzano gli altri che non mangiano e, quando non mangiano, non si fanno giudici di quelli che mangiano, ma disprezzano o giudicano quelli che non mangiano o mangiano provocando scandalo.12.
27. Riguardo al sabato la questione è più semplice, poiché in quel giorno digiuna non solo la Chiesa di Roma, ma anche alcune altre, anche se in piccolo numero, più o meno lontane da essa. Digiunare invece di domenica è grave scandalo, soprattutto da quando è ormai ben conosciuta la detestabile eresia dei Manichei, apertamente contraria in ogni aspetto alla fede cattolica e alla Sacra Scrittura. I Manichei stabilirono per i loro uditori questo giorno come quello legittimamente prescritto per il digiuno, e per conseguenza il digiuno della domenica è reputato più abominevole. Salvo che ci sia qualcuno capace di protrarre il digiuno oltre una settimana senza prendere nel frattempo alcun ristoro in modo da avvicinarsi il più possibile al digiuno dei quaranta giorni, come sappiamo che fecero taluni. Poiché ci è stato assicurato da fratelli assai degni di fede che un tale arrivò proprio a digiunare per quaranta giorni ininterrotti. Come infatti, ai tempi degli antichi Patriarchi, Mosè ed Elia non commisero alcuna trasgressione contro il pasto del sabato allorché digiunarono per quaranta giorni, così colui che riuscirà a trascorrere sette giorni digiunando, non sceglie di propria iniziativa la domenica per digiunare, ma la incontra nei moltissimi giorni durante i quali ha fatto voto di digiunare. Tuttavia un digiuno anche continuato, se per caso deve interrompersi durante la settimana, non c'è nulla di più conveniente che interromperlo la domenica. Se però uno ristora il corpo solo dopo una settimana, non sceglie la domenica a bella posta per digiunare, ma trova quel giorno tra quelli da lui fissati per voto.12.
28. Non deve neppure farci impressione che i Priscillianisti, molto simili ai Manichei, per provare l'obbligo di digiunare la domenica, adducono il fatto narrato negli Atti degli Apostoli e capitato all'apostolo Paolo mentr'era a Troade. Ecco il racconto della Sacra Scrittura: Nel primo giorno, essendoci radunati a spezzare il pane, Paolo ragionava con essi, avendo intenzione di partire il giorno dopo, e protrasse il discorso fino a mezzanotte. Poi, sceso dalla stanza superiore, dov'erano adunati, per risuscitare un giovanetto che, sopraffatto dal sonno, era caduto dalla finestra e veniva trasportato morto, la Sacra Scrittura così dice dello stesso Apostolo: Poi risalito, spezzato il pane e mangiatone, avendo parlato a lungo fino all'alba, se ne partì 60. Dio ne guardi dall'intendere questo nel senso che gli Apostoli fossero soliti digiunare la domenica, poiché quello ch'era chiamato nel passato il primo giorno della settimana è ora chiamato domenica, com'è indicato più esplicitamente nei Vangeli. Infatti il giorno della risurrezione del Signore, chiamato da Matteo prima sabbati, cioè il primo giorno della settimana 61, dagli altri tre [evangelisti] è chiamato una sabbati, cioè sempre il primo giorno della settimana 62. Ora l'adunanza poté aver luogo alla fine del giorno di sabato, ossia al principio della notte appartenente già alla domenica, cioè al primo giorno della settimana: in tal caso Paolo, venuto per spezzare il pane nella stessa notte, come si spezza nel sacramento del corpo di Cristo, protrasse il suo discorso fino a mezzanotte e, dopo la celebrazione del mistero Eucaristico, riprese a parlare ai fedeli riuniti nell'assemblea fino all'alba, per poter partire allo spuntar della domenica, poiché aveva molta fretta. Forse però l'adunanza poté aver luogo il primo giorno della settimana, non già durante la notte ma durante il giorno in un'ora della domenica; in tal caso coll'espressione della S. Scrittura: Paolo ragionava con essi, essendo in procinto di partire il giorno appresso 63, fu chiaramente indicato il motivo per cui protrasse il discorso, e cioè perché doveva partire e desiderava dar loro un'istruzione sufficiente. Essi dunque non erano là per digiunare solennemente la domenica, ma Paolo non stimò opportuno interrompere, per ristorarsi, quel discorso indispensabile, che era pure ascoltato con l'ardore del più infiammato desiderio; l'Apostolo inoltre doveva partire e, per causa delle sue peregrinazioni da compiere nelle più disparate località, non avrebbe altrimenti visitato mai, o solo rarissimamente, quei fedeli; ma soprattutto, come provano i fatti avvenuti successivamente, doveva allontanarsi da quelle terre senza poterli più vedere durante la vita terrena. Da ciò si dimostra che non erano soliti digiunare la domenica, poiché per evitare che i lettori potessero pensare una simile cosa, lo scrittore sacro si preoccupò di esporre il motivo per cui fu protratto il discorso: volle così pure farci capire che, qualora sorga qualche necessità, non si deve dare al pasto la precedenza su quanto urge fare; e pertanto la brama straordinaria con cui i discepoli lo ascoltavano e il pensiero che stava per allontanarsi la sorgente stessa, facevano attingere, con ardente sete non già d'acqua ma della parola, tutto ciò che sgorgava da essa, e fecero dimenticare loro non solo il pranzo ma anche la cena corporale.12.
29. Ma sebbene allora i fedeli non fossero soliti digiunare la domenica, non s'arrecava alla Chiesa uno scandalo così grave se, per qualche necessità come quella avuta dall'apostolo Paolo, non si curavano di ristorare il corpo durante tutta la domenica fino a mezzanotte o anche fino all'alba. Adesso però che gli eretici e soprattutto i più empi tra essi, i Manichei, han cominciato non solo a praticare senza alcun necessità il digiuno nelle domeniche ma pure a insegnarlo come verità religiosa e a farne un obbligo sacro, facendone propaganda tra i Cristiani, io penso che nemmeno per una necessità simile a quella capitata a Paolo si deve imitare il suo modo di fare in quell'occasione, per non incorrere con lo scandalo in un male più grande dei bene che si può ricavare dalla predicazione. Qualunque però sia la causa per cui il cristiano è costretto a digiunare di domenica, come quella narrata negli Atti degli Apostoli 64, durante i quattordici giorni di navigazione con pericolo di naufragio (nei quali pertanto si digiunò due domeniche), non dobbiamo avere il minimo dubbio che non si deve annoverare tra i giorni di digiuno la domenica, a meno che non si faccia voto di continuare a stare per più giorni senza mangiare.13.
30. Perché poi la Chiesa pratichi il digiuno il mercoledì e soprattutto il venerdì, sembra che si possa spiegare col fatto che, esaminando attentamente il Vangelo, si trova che i Giudei presero la decisione d'uccidere il Signore proprio il quarto giorno della settimana detto comunemente feria quarta [cioè mercoledì] 65. Il Signore poi mangiò la Pasqua coi discepoli la sera del giorno seguente, ossia al termine del giorno chiamato da noi il quinto giorno della settimana [cioè giovedì]. Egli poi fu tradito nella notte che faceva già parte del sesto giorno della settimana [cioè venerdì], ossia - com'è chiaro - del giorno della sua passione. Questo giorno, a cominciar dalla sera, era il primo giorno degli azzimi. Ma l'evangelista Matteo dice che il primo giorno degli azzimi fu il quinto giorno della settimana [= il giovedì] poiché nella sera che sopravveniva quello stesso giorno ci sarebbe stata la cena pasquale, con cui si cominciava a mangiare il pane azzimo e l'agnello immolato. Da ciò si comprende ch'era il quarto giorno della settimana, allorché il Signore disse: Voi sapete che fra due giorni sarà la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso 66; ecco perché lo stesso giorno fu consacrato al digiuno, poiché, come l'Evangelista prosegue: Allora si radunarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nella casa del sommo sacerdote, detto Caifa, e tennero consiglio per prendere Gesù con inganno e ucciderlo 67. Trascorso poi il giorno seguente, a proposito del quale l'Evangelista narra: Il primo giorno degli azzimi i discepoli s'avvicinarono a Gesù per domandargli: Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua? 68, trascorso - ripeto - questo giorno, il Signore patì la sua passione nel sesto giorno della settimana [= venerdì] come nessuno mette in dubbio; perciò il medesimo sesto giorno è consacrato giustamente al digiuno, poiché i digiuni esprimono l'umiliazione conforme a quanto dice la Sacra Scrittura: E umiliavo nel digiuno l'anima mia 69.13.
31. Segue il sabato, in cui il corpo di Cristo riposò nel sepolcro come nella creazione del mondo Dio si riposò da tutte le sue opere 70 in quel giorno. Di qui ha avuto origine questa varietà di colori nella veste della regina, per cui alcuni popoli, soprattutto dell'Oriente, preferiscono interrompere il digiuno per indicare il riposo, altri invece preferiscono digiunare per indicare l'umiliazione della morte del Signore, come la Chiesa di Roma e alcune altre dell'Occidente. Per la verità unicamente durante le celebrazioni pasquali, per rinnovare il ricordo dell'avvenimento, in cui i discepoli si rattristarono come uomini per la morte del Signore, si digiuna da tutti in uno stesso giorno [appunto il sabato], per cui praticano con grandissimo spirito di pietà il digiuno del sabato anche quelli che in tutti gli altri sabati dell'intero anno non si astengono dai pasti: in tal modo vengono a indicare entrambi gli avvenimenti, cioè nell'unico anniversario della morte di Cristo il lutto dei discepoli e in tutti gli altri sabati il pregio del riposo. In realtà due sono le cose che c'inducono a sperare la felicità dei giusti e il termine d'ogni miseria: la morte e la risurrezione dei morti. Nella morte infatti c'è il riposo, di cui la Sacra Scrittura dice per mezzo del Profeta: Entra, o mio popolo, nelle tue stanze e nasconditi un po' fin tanto che passi l'ira del Signore 71. Nella risurrezione invece ci sarà la perfetta felicità dell'uomo nella sua integrità, cioè nel corpo e nello spirito. Di qui è avvenuto che si pensò che non si dovessero indicare ambedue queste realtà con la sofferenza del digiuno ma piuttosto con la gioia della refezione, eccetto nel sabato di Pasqua, in cui, come abbiam detto, mediante un digiuno più prolungato doveva indicarsi il lutto dei discepoli a ricordo dell'avvenimento.14.
32. Ma, come più sopra ho ricordato, nei Vangeli e negli scritti degli Apostoli, che fanno precisamente parte del Nuovo Testamento, non troviamo prescritto in quali determinati giorni si debba osservare il digiuno; perciò anche questa pratica trova il suo posto nella varietà di colori della veste della figlia del re, cioè della Chiesa, come pure moltissime altre che sarebbe troppo difficile enumerare; per questo motivo ti voglio narrare che cosa il venerato vescovo di Milano, Ambrogio, da cui sono stato battezzato, mi rispose quando gli rivolsi una domanda su questa faccenda. Si trovava con me nella stessa città mia madre e siccome io, ancora catecumeno, non mi davo molto pensiero per queste cose, essa era preoccupata se dovesse digiunare il sabato secondo l'usanza della nostra città o mangiare secondo l'usanza della Chiesa Milanese. Per liberarla da quello stato d'ansia, interrogai in proposito il suddetto uomo di Dio. "Cosa potrei insegnare agli altri - rispose - più di quanto io stesso faccio"? Io pensavo che con questa risposta egli non aveva espresso nessun altro obbligo, tranne quello di mangiare il sabato, come sapevo ch'egli soleva fare. Ma egli soggiunse dicendo: "Quando son qui, di sabato non digiuno; quando invece sono a Roma, digiuno di sabato; e in qualunque Chiesa capiterete - disse - osservatene l'usanza, se non volete subire o provocare uno scandalo". Riferii a mia madre la risposta: ne rimase soddisfatta e non esitò ad ubbidire; io pure presi a seguire quella norma. Ma siccome capita, soprattutto in Africa, che una stessa Chiesa o Chiese di una stessa regione abbiano fedeli che il sabato mangiano e altri che digiunano, mi pare sia da seguirsi l'usanza dei vescovi ai quali è affidato il governo dei medesimi fedeli. Se perciò vuoi acconsentire al mio consiglio relativo alla presente questione (sulla quale ho parlato forse più di quanto era sufficiente), non contrastare il tuo vescovo in questa materia e seguine, senza scrupoli e senza discussioni, l'esempio pratico.Scritta verso la metà dell'anno 397.
Agostino si rallegra che le proprie fatiche letterarie siano apprezzate da Simpliciano (I) (n. 1), cosa che lo ripaga dai sudori e lo libera dall'ansia riguardo all'ortodossia del suo pensiero (n. 2); chiede all'amico d'esaminare gli altri suoi scritti su questioni propostegli da lui (n. 3).
A
GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE IL VENERATO SIGNOREE SINCERAMENTE AMATO PADRE
SIMPLICIANO
1.
Ho ricevuto la lettera inviatami dalla cortesia della Santità tua; essa mi ha riempito di legittimi sentimenti di gioia, sia perché serbi ricordo di me, sia perché mi vuoi bene come sempre, sia inoltre perché ti rallegri d'ogni dono, qualunque esso sia, che al Signore piacque largirmi non certo per i miei meriti ma solo per la sua misericordia. Nel leggerla ho attinto o meglio riattinto il paterno tuo affetto verso di me, non sgorgato all'improvviso o inaspettato, dal tuo cuore benignissimo, avendolo io già provato e conosciuto, o veneratissimo e sincerissimamente amato mio signore.2.
Ma com'è andato che alle mie fatiche letterarie, le quali m'han fatto sudare nel comporre certi libri, ha arriso un sì felice risultato che ti degnassi leggerle? Ciò è avvenuto solo perché il Signore, cui è soggetta l'anima mia, ha voluto consolare i miei affanni e rianimarmi dal timore che nel comporre tali opere mi tiene inevitabilmente in ansia, d'inciampare cioè, sia pure per ignoranza o per imprudenza, nel campo, per quanto si voglia piano, della verità. Orbene, se a te piace ciò che scrivo, so bene a chi piace, poiché so Chi abita nel tuo cuore. Il medesimo distributore e largitore d'ogni dono spirituale ha, mediante il tuo parere, convalidato quanto ho scritto per obbedienza. Poiché tutto quel che i miei libri contengono degno della tua approvazione, è dovuto al fatto che Dio servendosi di me ha detto: Sia fatto e così fu, mentre con la tua approvazione Dio ha visto ch'è tutto buono 1 ciò che è stato fatto.3.
Riguardo alle questioncelle da te inviatemi da sciogliere, sebbene non sia in grado di capirle a causa della mia tardità, le risolverò certamente con l'aiuto dei tuoi meriti. Solo ti scongiuro di pregare Dio per me, che son tanto debole. Riguardo inoltre non solo ai quesiti con cui hai voluto benignamente e paternamente tenermi in esercizio, ma anche a tutti gli altri miei scritti che per caso potessero giungere alle tue mani, non solo ti prego di darti la pena di leggerli, ma d'assumerti l'ufficio di censore per correggerli; poiché son pronto a riconoscere oltre ai favori di Dio anche gli errori miei. Sta bene.Scritta verso la metà del 397.
A. informa Profuturo sulla sua malferma salute (n. 1) e della sorte di Megalio; afferma poi che nessun male può giustificare l'ira (n. 2). Commiato (n. 3).
A
GOSTINO AL FRATELLO PROFUTURO1.
Quanto allo spirito sto bene, come piace a Dio che si degna di darmene le forze, ma non quanto al corpo poiché sto a letto: non posso infatti né camminare, né stare in piedi o seduto per il dolore e l'enfiazione delle ragadi o emorroidi. Ma, pure in queste condizioni, cos'altro dovrei dirti se non che sto bene, dal momento che così piace al Signore? Se infatti non ci conformiamo alla volontà di Dio, dobbiamo dare la colpa a noi stessi piuttosto che ritenere Dio ingiusto in quel che fa o permette. Sai bene tutto ciò, ma poiché sei un altro me stesso, di che cosa potrei parlare con te più volentieri se non di ciò di cui parlo con me stesso? Raccomando perciò alle tue fervorose preghiere i miei giorni e le mie notti; domanda per me la grazia di non commettere intemperanze durante il giorno e di trascorrere le notti con animo rassegnato, affinché pur se camminiamo nell'ombra della morte, il Signore sia con noi e non temiamo alcun male 1.2.
Senza dubbio avrete già saputo della morte del primate Megalio, poiché al momento in cui ti scrivo sono già passati circa ventiquattro giorni dalla sua sepoltura. Vorrei sapere, per quanto è possibile, se, come avevi intenzione, hai già visto il suo successore nella carica di primate. Non mancano gli scandali, ma neppure il mezzo per scamparne; non mancano le tristezze, ma nemmeno le consolazioni. E in mezzo a queste amarezze tu sai molto bene, ottimo fratello, quanto occorra stare in guardia perché le pieghe più intime del cuore non vengano invase dall'odio contro qualcuno o c'impedisca di pregare Dio nella nostra camera con l'uscio serrato 2, e anzi lo chiuda contro Dio stesso. L'odio poi si insinua di nascosto nel cuore, poiché a nessuno sembra ingiusta la propria collera. Se poi mette radici nel cuore, la collera diventa odio, e mentre si mescola il piacere d'un risentimento, sia pur giustificato, la trattiene più a lungo nel vaso del cuore finché tutto diventa acido e guasta il recipiente. Molto meglio, quindi, non lasciarsi trasportare neppure a giusto titolo da sdegno contro alcuno, anziché lasciarsi andare senza accorgersi, sotto il pretesto di un giusto risentimento, sulla facile china dell'ira, nell'odio contro qualcuno. Quando infatti si tratta di dare ospitalità a sconosciuti, si suol dire ch'è meglio sopportare un farabutto anziché, forse per ignoranza, chiudere la porta in faccia a un galantuomo per la paura di aprirla ad un farabutto. Ma il contrario avviene per le passioni dell'anima, poiché è senza confronto più utile per la nostra salvezza non aprire il santuario del nostro cuore all'ira, anche se bussa per un giusto motivo, che darle ricetto, dal momento che difficilmente poi se ne andrà via; anzi, di arboscello diventerà trave, poiché osa pure crescere sfacciatamente più di quanto non si creda, in quanto non arrossisce nelle tenebre dopo che il sole è tramontato su di essa 3. Comprendi certo con quanta ansia e sollecitudine ti ho scritto questi pensieri, se ricordi il discorso fatto insieme non molto addietro durante un viaggio che abbiamo fatto insieme.3.
Porgiamo i nostri saluti al fratello Severo e a quanti convivono con lui. Forse scriverei anche ad essi, se me lo permettesse la fretta del latore. Prego inoltre la Santità tua di ringraziare da parte mia il fratello nostro Vittore d'avermi informato di recarsi a Costantina; ti prego pure di interporre i tuoi buoni uffici presso di lui perché nel ritorno si degni passare per Calama, come mi ha promesso, al fine di sbrigare l'affare ch'egli sa e per il quale sono tormentato dalle istanze di Nettario il vecchio. Sta bene.Scritta forse nel 397-98.
S. Girolamo, il grande esegeta biblico, raccomanda ad Agostino il diacono Presidio, latore della lettera (n. 1) e lo prega di salutare Alipio (n. 2).
G
IROLAMO SALUTA IN CRISTO IL VERAMENTE SANTOSIGNORE E VENERATISSIMO VESCOVO
AGOSTINO
1.
L'anno passato per mezzo del nostro fratello, il suddiacono Asterio, ho mandato alla tua Degnazione una lettera per adempiere il dovere di ricambiarti il saluto, e spero che te l'abbiano recapitata. Adesso ancora per mezzo del santo mio fratello, il diacono Presidio, ti scongiuro anzitutto di ricordarti di me e in secondo luogo di tenere per raccomandato il latore della presente. Sappi che mi è più che fratello: appoggialo quindi e dagli un aiuto in qualunque necessità; non che abbia (grazie a Cristo) bisogno di nulla, ma brama ardentemente l'amicizia di persone per bene e ritiene di aver conseguito grandissimo beneficio quando ne stringe qualcuna. Potrai conoscere da lui stesso il motivo per cui compie un viaggio per mare diretto all'Occidente.2.
Noi che abitiamo nel monastero subiamo ogni sorta di assalti dei flutti e sopportiamo le molestie dell'esilio terreno. D'altra parte però crediamo che per mezzo di Colui che disse: Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo 1, con la sua grazia e con la sua protezione riporteremo vittoria sul nostro nemico, il diavolo. Ti scongiuro di porgere deferenti saluti da parte mia al santo e venerato nostro fratello, il vescovo Alipio. Molti cordiali saluti pure da parte dei santi fratelli, i quali servono con zelo Dio con me nel monastero. Cristo, Dio nostro Onnipotente, ti conservi sano e salvo e ti faccia ricordare di me, o signore veramente santo e stimatissimo vescovo.Scritta sulla fine del 397.
A., ringraziato Girolamo per la lettera, approva il suo libro sugli Scrittori ecclesiastici ma non ne comprende il titolo (n. 1-2). Ritorna sulla questione dei rapporti fra Pietro e Paolo dando la propria interpretazione (n. 3-6); invitandolo a cantar la palinodia, si dichiara in cerca della verità (n. 7-8). Lo prega di indicare nella sua opera gli errori di Origene e degli altri eretici (n. 9).
A
GOSTINO A GIROLAMO, SUO CARISSIMO SIGNORE E FRATELLO,DEGNO DEL PIÙ GRAN RISPETTO E DEL PIÙ VIVO AFFETTO SGORGANTE
DA SINCERISSIMO OSSEQUIO DI CARITA’, E SUO COLLEGA NEL SACERDOZIO
1.
1. Ti ringrazio d'aver risposto a un mio semplice biglietto inviandomi con i saluti una vera e propria lettera. Essa però è più breve di quella che avrei desiderato ricevere da un personaggio come te, i cui scritti non son mai prolissi per quanto tempo possono portar via. Pertanto, sebbene io sia assediato da notevoli preoccupazioni di affari altrui e per di più di natura temporale, non ti perdonerei facilmente per la brevità della lettera, se non pensassi che rispondi a una mia lettera anche più breve. Prova, dunque, ad aprire un dialogo epistolare con me. Si eviterebbe in tal modo che la nostra lontananza fisica ci tenga separati per molto tempo, sebbene siamo uniti nel Signore mediante l'unità dello spirito 1 pure nel caso che lasciassimo riposare la penna e ce ne stessimo zitti. Del resto i libri da te composti, elaborando i tesori racchiusi nei granai del Signore, mi presentano un'immagine quasi completa di te stesso. Se infatti il motivo per cui non ti conosco è quello di non avere mai visto il tuo aspetto fisico, per lo stesso motivo neppure tu conosci te stesso, perché non lo vedi neppure tu stesso. Se invece sei noto a te stesso solo perché conosci la tua anima, anch'io la conosco abbastanza bene attraverso i tuoi scritti. Essi mi spingono a benedire il Signore per aver concesso (a te, a me e a tutti i fratelli che leggono le tue opere) un personaggio pari tuo.2.
2. Fra le altre tue opere m'è capitato fra le mani, non è molto, un tuo libro; m'è ancora ignoto il titolo, poiché proprio l'esemplare da me posseduto - contrariamente al solito - non lo indica. Ciononostante il fratello, presso il quale esso è stato trovato, diceva che s'intitolava "Epitaffio"; io però avrei potuto credere che tu avresti ritenuto opportuno assegnare al libro quel titolo, se vi si leggesse solo la biografia o gli scritti di personaggi defunti. Siccome però vi sono ricordati gli scritti di molti autori non solo ancora viventi al tempo in cui l'opera è stata composta ma tuttora viventi, mi stupisco che tu vi abbia posto o si possa credere che vi abbia posto un simile titolo. Hai comunque scritto un'opera di grande utilità, che incontra la mia incondizionata approvazione.3.
3. Nel tuo Commento all'Epistola dell'apostolo Paolo ai Galati ho trovato un particolare che mi ha sconcertato assai. Se infatti nella Sacra Scrittura si ammettessero delle bugie per così dire officiose, quale autorità potrebbe essa ancora avere? Quale citazione della Sacra Scrittura si potrebbe addurre come prova per schiacciare col suo peso la malizia d'un errore difeso con sotterfugi e cavilli? Non avrai, si può dire, finito di citarla che l'avversario, qualora la intendesse diversamente, ti dirà che la frase citata è stata falsata a bella posta, sia pure per qualche plausibile motivo di convenienza, dal sacro scrittore. Orbene, dove non potrebbe addursi una tale ragione, dal momento che si è potuto ammetterla in un passo che l'Apostolo inizia con queste parole: E quanto vi scrivo - ecco Dio m'è testimone - non è una menzogna 2, tanto da credere e sostenere che ha poi davvero mentito dove a proposito di Pietro e Barnaba affermò: Quando vidi che non camminavano rettamente secondo la verità del Vangelo 3. Poiché se quelli camminavano rettamente, ha mentito Paolo; se invece ha mentito in quel passo, dove avrà detto la verità? Si crederà dunque che avrà detto la verità solo quando afferma ciò che pensa il lettore, mentre, quando si incontrerà qualche frase contraria al pensiero del lettore, la si considererà una bugia officiosa? Se dovesse ammettersi tale norma esegetica, non mancherebbero mai delle situazioni in cui si potrebbe pensare che il sacro scrittore abbia non solo potuto, ma dovuto mentire. Ma non occorre trattare più a lungo tale questione, specialmente con uno come te, pieno di saggezza e di buon senso. Mai e poi mai m'arrogherei il diritto o pretenderei d'arricchire con i miei spiccioli il tuo ingegno oltremodo ricco per dono di Dio: non c'è poi nessuno più adatto di te a correggere quell'opera.4.
4. Non devo certo insegnarti io come si debba intendere l'altra frase del medesimo Apostolo che dice: Coi Giudei mi son fatto come un Giudeo per guadagnare i Giudei 4 e tutto il resto ch'egli dice con senso di misericordiosa compassione, non per falsa simulazione. Chi assiste un malato diventa realmente come un malato non perché finge d'aver la febbre, ma perché, assumendo lo stato d'animo di chi soffre, cerca di capire come vorrebbe essere se fosse lui ad essere malato. Ora, Paolo era effettivamente Giudeo ma una volta diventato Cristiano non aveva abbandonato i riti giudaici ricevuti a tempo opportuno da quel popolo in modo conveniente e conforme alla legge di Dio. Ecco perché si assunse il dovere e il peso di osservarli anche quando era già Apostolo di Cristo; voleva solo insegnare che quei riti non costituivano per se stessi alcun pericolo spirituale per quanti volevano osservarli come li avevano ricevuti dai genitori attraverso la Legge, anche dopo aver creduto in Cristo; ma i Cristiani non dovevano ormai riporre in essi la speranza della salvezza, poiché proprio la salvezza prefigurata da quei riti era già arrivata per mezzo del Signore Gesù. Egli quindi riteneva che non dovevano affatto essere imposti ai pagani convertiti, essendo un peso gravoso ed inutile al quale non erano abituati e che li avrebbe allontanati dalla fede 5.4.
5. Se quindi Paolo criticò Pietro non lo fece perché osservava le tradizioni dei padri; se l'avesse voluto fare, non avrebbe agito in modo né sconveniente né finto, poiché per quanto fossero superflue, non erano però nocive; ma lo rimproverò perché obbligava i pagani convertiti a osservare i riti giudaici 6, e ciò non avrebbe potuto assolutamente fare, se non li avesse praticati come necessari anche dopo la venuta del Signore. Era proprio questa l'opinione combattuta dalla Verità per mezzo dell'apostolo Paolo. Ma neppure Pietro ignorava ciò; agiva così per timore dei circoncisi 7. In tal modo e Pietro fu realmente rimproverato e Paolo narrò un fatto reale, altrimenti, una volta ammessa la giustificazione della menzogna, tutta la Sacra Scrittura fluttuerebbe ondeggiando nel dubbio. Ma non sarebbe possibile né opportuno mostrare per lettera quante cattive e insolubili conseguenze ne deriverebbero, se ammettessimo questo principio. Sarebbe però possibile e opportuno e anche meno pericoloso, se potessimo parlarci a tu per tu.4.
6. Del giudaismo dunque Paolo aveva abbandonato solo ciò che era male: anzitutto il fatto che misconoscendo la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria giustizia non si sono assoggettati alla giustizia di Dio 8. In secondo luogo non approvava che dopo la passione e la risurrezione di Cristo, dopo essere stato concesso e manifestato il mistero della grazia alla maniera di Melchisedech 9, essi ancora credevano che gli antichi riti dovessero celebrarsi non come ricorrenze sacre e tradizionali ma come necessarie alla salvezza. Ammettiamo però che, se essi non fossero mai stati necessari, il martirio affrontato dai Maccabei sarebbe stato senza merito e senza scopo 10. Paolo infine ripudiò il giudaismo per il fatto che i Giudei perseguitavano i Cristiani come nemici della Legge perché predicavano la grazia. Sono tali errori e colpe di tal genere che Paolo afferma d'aver reputati come danni e spazzatura per guadagnare Cristo 11 e non le pratiche legali qualora venivano compiute per rispetto della tradizione degli antenati, senz'affatto credere che fossero necessarie alla salvezza (mentre invece i Giudei ritenevano che lo fossero) e non già per finzione o simulazione come faceva Pietro per cui Paolo lo rimproverò. Orbene, se Pietro compiva quelle pratiche religiose simulandosi giudeo per guadagnare a Dio i Giudei, perché mai non avrebbero dovuto pure compiere sacrifici coi pagani, dato che viveva come uno senza Legge per guadagnare a Cristo anche quelli ch'erano senza Legge 12? Non agiva forse così, Paolo, se non perché era giudeo di nascita? Tutto quel discorso lo fece non per apparire falsamente quel che non era, ma perché credeva suo dovere venire in loro aiuto con sentimenti di misericordia come se egli stesso soffrisse per lo stesso errore; non agiva cioè con astuzia da bugiardo ma con amore di chi prova compassione. Proprio ciò vuol far capire nello stesso brano con una frase di portata più generale: Mi son fatto debole, per guadagnare i deboli, e con la conclusione che segue: Mi son fatto tutto a tutti, per guadagnare tutti 13; frase che deve intendersi nel senso che Paolo volle apparire preso da compassione per chiunque fosse debole come se lo fosse lui stesso. Così pure quando diceva: Chi è malato senza che lo sia pure io? 14, non voleva far intendere ch'egli fingesse d'avere in sé le malattie degli altri, ma solo che pativa con loro.4.
7. Perciò ti scongiuro, àrmati di autentica e veramente cristiana severità, che dev'essere accompagnata da carità, àpplicati con ardore a correggere quel tuo lavoro ed emendalo dagli errori e poi - come suol dirsi - canta la palinodia. Poiché non c'è confronto tra la bellezza della verità cristiana e la bellezza dell'Elena greca. I nostri martiri, per difendere la verità cristiana, han combattuto contro questa Sodoma molto più coraggiosamente di quanto han fatto per quella donna i famosi eroi contro Troia. Se ti parlo così non è per farti riacquistare la vista spirituale (lontano da me il pensiero che tu l'abbia persa), ma per farti notare un fatto strano, che pur avendo gli occhi dell'anima ben sani e perspicaci, tuttavia, per una finzione che non riesco a spiegarmi, li volgesti altrove per non considerare le disastrose conseguenze che ne deriverebbero se anche per una sola volta si ammettesse che un autore della Sacra Scrittura possa aver mentito in qualche passo della propria opera sia pure in buona fede e a fin di bene.5.
8. Da dove mi trovo t'avevo già scritto tempo fa una lettera, che non ti fu recapitata perché non ha più compiuto il viaggio la persona cui l'avevo consegnata per fartela avere. Quella lettera mi aveva fatto venire in mente, mentre dettavo la presente, la questione precedente che mi pareva doveroso non tralasciare nemmeno in questa; se hai un'opinione diversa e più fondata della mia, perdona volentieri la mia apprensione. Poiché, se la pensi diversamente e la tua opinione è giusta (se non fosse giusta, non potrebbe essere neppure migliore), il mio errore - non voglio dire senza alcuna mia colpa ma certamente senza mia grave colpa - favorisce la verità, tanto più se potesse sostenersi con ragione che in qualche caso la verità può favorire la menzogna.6.
9. Riguardo alla risposta che mi hai benevolmente data a proposito di Origene, già sapevo anch'io che non solo nel campo della letteratura ecclesiastica ma in ogni altro campo dobbiamo approvare ed elogiare quanto vi troviamo di giusto e di vero, mentre dobbiamo disapprovare quanto è falso ed erroneo. Ma io desideravo e ancora desidero da te, saggio qual sei, di sapere in modo esplicito quali sono gli errori veri e propri con cui s'è potuto provare irrefutabilmente come quel personaggio sì grande e famoso s'è allontanato dalla retta fede. Quanto poi al libro in cui hai menzionato tutti gli scrittori ecclesiastici e le relative opere di cui ti sei potuto ricordare, sarebbe più opportuno, a mio modesto giudizio, se dopo aver nominato quelli da te conosciuti come eretici (salvo che proprio questi tu abbia voluto saltare a piè pari) aggiungessi pure i punti da cui è bene guardarsi. Qualcuno però lo hai davvero saltato e mi piacerebbe sapere in base a quale criterio lo hai fatto. Se per caso non hai voluto sovraccaricare il volume aggiungendo all'elenco degli eretici i punti in cui l'autorità cattolica li ha condannati, non ti paia troppo gravoso fare una tale aggiunta alla tua fatica di scrittore. Grazie a nostro Signore, la tua fatica letteraria ha contribuito non poco ad accendere e aiutare gli studi sacri in lingua latina. Cerca dunque di fare quanto la carità dei fratelli ti raccomanda pressantemente per mezzo della mia pochezza e cioè, se te lo permetteranno le tue occupazioni, di registrare accuratamente ma brevemente in un opuscolo le false dottrine di tutti gli eretici i quali, o per impudenza o per testardaggine, si sono sforzati di deformare l'ortodossia della fede cristiana, e pubblicarlo per informarne le persone che, pressate da altre faccende, non hanno tempo o, impedite dalla lingua straniera, non hanno la capacità di leggere e approfondire i numerosi testi originali. Ti pregherei più a lungo, se ciò non fosse di solito indizio di chi s'aspetta poco dalla carità. Raccomando per ora caIdamente alla tua Benevolenza Paolo, nostro fratello in Cristo che a te si presenta. Per la stima che gode nel nostro paese ti posso dare davanti a Dio una buona testimonianza di lui.Scritta dopo l'inizio dell'episcopato.
Alipio ed Agostino si congratulano con Aurelio, vescovo di Cartagine, per aver cominciato a far predicare al popolo i preti in sua presenza (n. 1) e lo pregano d'inviare loro qualcuna di quelle prediche (n. 2).
A
LIPIO E AGOSTINO SALUTANO NEL SIGNORE IL VESCOVO AURELIOBEATISSIMO SIGNORE, DEGNO D'ESSERE VENERATO CON VENERAZIONE,
FRATELLO AMATO COL PIÙ SINCERO AFFETTO E COLLEGA DI SACERDOZIO
1.
La nostra bocca si è riempita di piacere e la nostra lingua di canto di gioia 1 per la notizia recataci dalla tua lettera, che cioè con l'aiuto del Signore, che ti ha ispirato, s'è realizzato il tuo santo progetto riguardante tutti i nostri fratelli posti nella gerarchia ecclesiastica e soprattutto la facoltà concessa ai preti di predicare al popolo alla tua presenza. Per mezzo delle loro lingue la tua carità grida nel cuore dei fedeli: "Sia ringraziato Dio" con voce più potente di quella con cui essi lo fanno penetrare nelle orecchie. Poiché che cosa di meglio potremmo recare nel cuore e pronunciare con la bocca e manifestare con la penna se non: "Sia ringraziato Dio"? Non potrebbe dirsi nulla di più conciso, nulla udirsi di più lieto, nulla comprendersi di più significativo, nulla compiersi di più utile di questa esclamazione. Sì, ringraziamo Dio, il quale ti ha dato il gran dono d'un cuore tanto sincero verso i tuoi figli e trasse alla luce quanto tenevi racchiuso nell'intimo dell'anima, ove occhio umano non può penetrare, concedendoti non solo di volere il bene, ma anche d'avere persone mediante le quali potesse apparire quanto volevi. Così sia davvero, così sia: risplendano queste opere davanti agli uomini, vedano, si rallegrino, diano gloria al Padre che sta nei cieli 2; possa tu avere la gioia di aver così degni sacerdoti nel Signore; egli poi si degni esaudire le preghiere da te elevate per essi, come non disdegni udirlo parlare per bocca di essi. Si cammini, si marci, si corra nella via del Signore, siano benedetti i piccoli coi grandi, ripieni di gioia per ciò che loro si dice: Andremo nella casa del Signore 3; precedano essi e li seguano costoro, divenuti loro imitatori, come anch'essi sono imitatori di Cristo 4. Brulichi la strada di sante formiche, spanda profumo l'attività operosa delle sante api, si producano frutti nella pazienza con la salutare perseveranza fino alla fine. Il Signore non permetta che siamo tentati sopra le nostre forze, ma provveda, con la tentazione, anche il modo di uscirne bene, affinché possiamo sostenerla 5.2.
Pregate per noi, voi che siete degni d'essere esauditi per il fatto che vi accostate a Dio con la preziosa offerta spirituale di sincerissimo amore e di lode nelle vostre opere: pregate, affinché queste risplendano pure tra noi, poiché Colui che voi pregate sa quanto godiamo nel vederle risplendere tra voi. Questi sono i nostri auguri, queste le numerose consolazioni che a proporzione dei nostri numerosi dolori nel nostra cuore allietano la nostra anima 6. Così è, perché così è stato promesso; così sarà pure per tutto l'avvenire, come è stato promesso. In nome di Colui che ti ha largito queste grazie, e che ha per tuo mezzo fatto un tale regalo al popolo al quale tu servi, ti scongiuriamo di volerci fare inviare tutte e singole le prediche dei tuoi preti, o almeno quelle che vorrai, dopo averle fatte trascrivere e correggere. Io pure, d'altronde, non trascuro di fare quanto mi hai ordinato e, come spesso t'ho scritto, aspetto di sapere la tua opinione circa le sette regole o chiavi di Ticonio. Ti raccomandiamo assai il fratello protomedico d'Ippona e della corte imperiale. Riguardo al fratello Romano sappiamo quanto ti dai da fare e non dobbiamo chiederti altro se non che il Signore ti aiuti a suo favore. Amen.Scritta nell'estate del 397.
Agostino prega Paolino di soddisfare il debito di rispondergli, contratto da più di un anno, e di inviargli, appena pronta, l'opera che sta componendo contro i pagani.
A
GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE I RAGGUARDEVOLIE SANTISSIMI FRATELLI IN
CRISTO PAOLINO E TERASIA1.
Avrei mai potuto supporre o aspettare che avrei dovuto sollecitare vivamente per mezzo del fratello Severo la risposta non ancora inviata dalla vostra Carità, mentre la sospiro da tanto tempo e tanto caldamente? Perché mai son costretto a soffrire una simile sete già da due estati e per di più in Africa? Cos'altro dirvi di più? Voi che elargite ogni giorno le vostre sostanze, saldate dunque il vostro debito! Hai forse indugiato tanto a rispondermi per il fatto che desideri prima terminare e poi mandarmi l'opera che, a quanto avevo udito, stavi scrivendo contro gli adoratori dei demòni e che t'avevo fatto capire chiaramente di desiderare assai? Voglia almeno il cielo che tu accolga alla tua ricca mensa questa mia ormai antica fame di tue lettere; se la mensa non è ancora imbandita, non cesserò di lamentarmi se, fintanto che l'opera non sia condotta a perfezione, non mi dài un po' di ristoro. Porgete i miei saluti ai fratelli, soprattutto a Romano e ad Agile. Di qui vi salutano i fratelli che sono con me e insieme con me son tutti afflitti di non avere vostre notizie, poiché tutti vi amano assai.
Scritta tra il 396 e l'inizio del 397.
L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles (n. 1-4). Si sofferma a lungo sul conciliabolo di Cartagine, sull'ostinazione dei Donatisti e sul loro appello all'imperatore (n. 5-14): equanimità di papa Melchiade e nefandezze di Lucilla e dei Circoncellioni (n. 15-27).
A
GOSTINO AI DILETTISSIMI E STIMATISSIMI FRATELLIG
LORIO, ELEUSIO, AI FELICI, A GRAMMATICOE A TUTTI GLI ALTRI CHE GRADISCONO QUESTA LETTERA
1.
1. Disse bensì l'apostolo Paolo: L'eretico, dopo una prima ammonizione scansalo, sapendo che una persona siffatta è pervertita ed è condannata da se stessa 1. Non sono però da iscrivere tra gli eretici coloro che difendono la loro opinione, per quanto falsa e perversa, senza ostinata animosità, specialmente quando essa non è frutto della loro audace presunzione, ma eredità ricevuta dai loro genitori sedotti e caduti nell'errore, mentre d'altra parte cercano, sia pure con cauta premura, la verità e son pronti a correggersi appena la trovino. Se dunque non vi ritenessi così disposti, forse non vi invierei nessuna lettera. Ma anche lo stesso eretico, per quanto gonfio della superbìa più odiosa e forsennato per l'ostinata mania di questionare, da una parte siamo ammoniti di scansarlo, affìnché non tragga in inganno i deboli e i piccoli, ma d'altra parte non rifiutiamo di correggerlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Ecco perché abbiamo inviato ad alcuni capi Donatisti non lettere di comunione, che essi da tempo si rifiutano di ricevere a causa del loro traviamento dalla unità cattolica sparsa su tutta la terra, ma solo lettere private, quali ci è lecito inviare pure ai pagani: anche se i capi qualche volta le hanno lette, tuttavia non han voluto o, come piuttosto crediamo, non han potuto rispondere. Noi però pensiamo d'avere in tal modo adempiuto il nostro dovere di carità, che lo Spirito Santo ci insegna essere obbligati ad usare non solo verso i nostri, ma verso tutti. Egli infatti per mezzo dell'Apostolo ci dice: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella carità vicendevole e verso tutti 2. In un altro passo esorta a riprendere con dolcezza quelli che la pensano diversamente da noi: caso mai - dice - Dio conceda loro di convertirsi alla conoscenza della verità e rinsaviscano dai lacci del demonio, da lui tenuti schiavi dei suo capriccio 3.1.
2. Ho voluto premettere queste considerazioni perché nessuno pensi che io vi abbia inviato una lettera mosso più da impudenza che da prudenza e che abbia voluto trattare in questo modo l'affare dell'anima vostra dal momento che non appartenete alla nostra comunione, mentre nessuno forse mi rimproverebbe se vi scrivessi per la faccenda di un podere o per dirimere una. lite sorta per motivo di denaro. Ecco fino a qual punto il mondo è caro agli uomini, mentre essi son diventati senza valore ai propri occhi. Questa lettera sarà quindi testimone a mio discarico nel giudizio di Dio, il quale sa con quale intenzione ho agito e che ha detto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio 4.2.
3. Abbiate dunque la bontà di ricordarvi che, mentre mi trovavo nella vostra città e m'occupavo di alcune questioni relative alla comunione dell'unità cristiana, da esponenti del vostro partito furono esibiti i verbali degli Atti, da cui risultava che circa settanta vescovi avevano condannato Ceciliano, già vescovo cattolico della Chiesa di Cartagine, insieme coi suoi colleghi e quanti l'avevano consacrato. Lì pure fu discussa la causa di Felice di Aptungi come se la sua condotta fosse molto più odiosa e criminale di quella di tutti gli altri. Dopo la lettura di tutti gli Atti, rispondemmo che non c'era da meravigliarsi se gli autori di quello scisma avessero compilato degli Atti e reputato doveroso condannare, senza alcuna valida ragione e senza istruire regolare processo, persone contro le quali erano stati aizzati da persone gelose e scellerate. Tenete bene a mente che noi abbiamo altri Atti ecclesiastici, dai quali risulta che Secondo, vescovo di Tigisi, il quale allora esercitava le funzioni di primate della Numidia, lasciò a Dio il giudizio dei "traditori" lì presenti e rei confessi, e permise che rimanessero nelle sedi vescovili da essi occupate. I nomi di essi sono registrati nella lista di quelli che condannarono Ceciliano, in un altro concilio presieduto dallo stesso Secondo. Egli fu costretto a condannare come "traditori" alcuni vescovi assenti sulla base dei pareri espressi dagli stessi presenti, rei confessi e da lui perdonati.2.
4. Noi poi dicemmo che poco dopo l'ordinazione di Maggiorino, che essi avevano elevato alla cattedra con nefanda scelleratezza contro Ceciliano, erigendo altare contro altare e portando la divisione nell'unità cristiana con furiose discordie, chiesero all'imperatore di quel tempo, Costantino, come giudici della vertenza altri vescovi, i quali, interponendosi come arbitri, decidessero con il loro verdetto le questioni sorte in Africa che spezzavano il vincolo della pace. Tale richiesta fu esaudita. Con sentenza di Melchiade (6-a), allora vescovo della città di Roma, e dei suoi colleghi di episcopato, mandati dall'Imperatore dietro preghiera dei Donatisti, non risultò alcuna prova a carico di Ceciliano presente al dibattito con tutti quelli che avevano passato il mare per accusarlo e perciò venne confermato nella sua sede vescovile, mentre fu riprovato Donato, suo avversario, anche lui presente. Dopo questi avvenimenti, persistendo tutti essi ostinati nello scelleratissimo scisma, il medesimo Imperatore fece esaminare più diligentemente e definire la medesima questione ad Arles. Essi però contro il verdetto ecclesiastico si appellarono al tribunale di Costantino. Dopo che si giunse alla corte, alla presenza delle due parti, Ceciliano fu giudicato innocente e quelli ne uscirono sconfitti, ma ciò nonostante rimasero nel loro errore. Non fu trascurata neppure la causa di Felice di Aptungi, ma egli pure uscì assolto negli Atti proconsolari in base a un'ordinanza del medesimo Imperatore.2.
5. Ma poiché tutti questi fatti ve li raccontavamo senza darvene lettura degli Atti processuali, vi parve senza dubbio che facessimo meno di quanto vi aspettavate dalla insistenza della nostra inchiesta. Appena ce ne accorgemmo, non perdemmo un minuto per mandare a cercare gli Atti da leggere come avevamo promesso. Corremmo a prenderli nella Chiesa di Gelizit, per tornare poi subito di là alla vostra città. Tutti gli Atti giunsero dopo nemmeno due giorni interi, e - come ben sapete - vi furono letti in un sol giorno, per quanto ce lo permise il tempo. Prima fu letto il verbale secondo cui Secondo, vescovo di Tigisi, non osò allontanare dal suo collegio episcopale dei "traditori" rei confessi, mentre poi con essi osò condannare Ceciliano, non confesso ed assente, insieme con altri suoi colleghi. Furono poi letti gli Atti proconsolari, in cui Felice, dopo accuratissimo esame, fu riconosciuto innocente. Vi ricordate che questi documenti vi furono letti prima di mezzogiorno? Il pomeriggio demmo lettura delle loro istanze a Costantino e degli Atti ecclesiastici compilati a Roma dopo l'assegnazione da lui fatta dei giudici, Atti coi quali quelli furono condannati, mentre Ceciliano fu confermato nella sua giurisdizione vescovile. Fu letta infine la lettera dell'imperatore Costantino, nella quale apparvero le prove più lampanti della verità delle nostre affermazioni.3.
6. Che volete di più, o signori, che volete di più? Non si tratta dell'oro o dell'argento vostro, non corrono pericolo la terra, i poderi, non infine la salute del vostro corpo; noi ci rivolgiamo alle vostre anime solo per richiamarvi sul dovere di conseguire la vita eterna e di fuggire la morte eterna. Svegliatevi una buona volta! Noi non trattiamo una questione oscura, non cerchiamo di scoprire segreti reconditi, a penetrare i quali non riesca alcuna intelligenza umana o solo qualche raro genio; la cosa è molto chiara. Che cosa balza fuori più chiara? Che cosa si scorge più presto? Affermiamo che furono condannati in un concilio temerario, per quanto si voglia numeroso, degli innocenti assenti. Proviamo ciò con gli Atti proconsolari, secondo la testimonianza dei quali fu giudicato immune da ogni colpa di "tradimento" colui che gli Atti del concilio presentati dai vostri avevano dichiarato la persona più infame. Affermiamo che da "traditori" confessi furono pronunziate sentenze contro quelli che da voi erano chiamati "traditori". Proviamo ciò con gli Atti ecclesiastici in cui sono designati per nome i vescovi dei quali Secondo di Tigisi s'indusse a condonare le colpe che avrebbe dovuto condannare, come se fosse messo a scopo di pace, mentre poi condannò, in combutta con quelli, dei vescovi per colpe non dimostrate, rompendo così la pace. Risultò così evidente che anche da principio non ebbe alcuna preoccupazione di mantenere la pace, ma solo d'evitare spiacevoli conseguenze personali. Infatti Purpurio, vescovo di Limate, gli aveva rinfacciato che Secondo, essendo detenuto agli arresti, era stato rilasciato dal capo dei decurioni e dal senato della città perché consegnasse le Sacre Scritture; era stato rilasciato - dico - certamente non senza un perché, ma per aver consegnato o per aver fatto consegnare qualcosa di sacro. Quello allora, temendo che si potesse provare assai facilmente che il sospetto fosse fondato, accolse il suggerimento di Secondo il giovane, suo consanguineo, e, consultatosi con tutti gli altri vescovi che erano con lui, aveva lasciato al giudizio di Dio colpe più che manifeste; ebbe così l'impressione d'aver provveduto al bene della pace, ma ciò era falsa, poiché aveva pensato solo ai propri interessi!3.
7. Se infatti nel suo cuore fosse stata la preoccupazione della pace, non avrebbe condannato poi a Cartagine, in combutta coi "traditori" che presenti e confessi nel processo aveva rilasciato al giudizio di Dio, non avrebbe - dico - condannato come "traditori" vescovi assenti che nessuno aveva potuto dimostrare colpevoli presso di lui. Tanto più avrebbe dovuto egli temere che fosse violata la pace dell'unità, quanto più Cartagine era una città importante e illustre, da cui il male che vi fosse scaturito, si sarebbe diffuso come dalla testa in tutto il corpo dell'Africa. Cartagine era pure vicina ai paesi d'oltremare e celeberrima per la sua chiara fama: aveva quindi un vescovo di sì grande autorità, che poteva pure non considerare affatto la moltitudine dei nemici che avrebbero potuto cospirare contro di lui, dal momento che si vedeva unito per mezzo di lettere di comunione non solo alla Chiesa di Roma, in cui fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica, ma anche alle Chiese di tutte le altre regioni dalle quali il Vangelo è arrivato alla stessa Africa; bastava ch'egli fosse pronto a parlare in propria difesa, qualora i suoi avversari avessero tentato di alienargli quelle Chiese. Ceciliano non aveva voluto prendere parte all'adunanza dei colleghi, che capiva o sospettava o - a quanto essi asseriscono - fingeva di credere che fossero prevenuti dai suoi nemici contro l'imparzialità del suo processo. Se perciò Secondo avesse voluto essere difensore della vera pace, avrebbe dovuto tanto più guardarsi dal condannare vescovi assenti, che non avevano voluto affatto intervenire a quel processo. Non si trattava infatti di preti, di diaconi o chierici di grado inferiore, ma di colleghi nell'episcopato, i quali potevano usare il diritto di riservare l'intero loro processo al tribunale degli altri colleghi, specialmente delle Chiese apostoliche. Presso queste Chiese non avrebbero avuto alcun valore sentenze pronunciate contro di loro stessi assenti, dal momento che non si trovavano ad aver abbandonato in un secondo tempo un tribunale a cui fossero ricorsi in un primo tempo, mentre al contrario non avevano mai voluto ricorrervi, poiché ritenuto da loro sempre sospetto.3.
8. Questo insieme di circostanze avrebbe dovuto recare preoccupazioni a Secondo, allora primate, se avesse presieduto il concilio con l'intenzione di preservare la pace; forse avrebbe potuto tappare quelle bocche rabbiose contro persone assenti, dopo averle placate o tenute a freno, se avesse detto: "Vedete, fratelli, come dopo la persecuzione, che s'è abbattuta così violenta, è stata concessa per misericordia di Dio la pace dai sovrani secolari; non dobbiamo essere ora noi, Cristiani e vescovi, a disprezzare l'unità crìstiana che il pagano ormai non perseguita più. Perciò, una delle due: o lasciamo a Dio giudicare tutte queste cause che il flagello di tempi assai turbolenti ha inflitte come tante ferite nel seno della Chiesa; oppure se vi sono tra voi persone che abbiano una conoscenza così esatta delle colpe di costoro, da poterne mettere al corrente l'autorità e confutare vittoriosamente chi le negasse, e hanno paura di essere in comunione con siffatte persone, si rechino dai nostri fratelli e colleghi, vescovi delle Chiese di là dal mare, e lì elevino prima le loro proteste per le azioni e la contumacia di essi, colpevoli d'essersi rifiutati di presentarsi al tribunale dei colleghi africani avendo la coscienza sporca, affinché poi si comunichi loro l'ordine di presentarsi e rispondere delle colpe loro attribuite. Qualora si rifiuteranno, apparirà chiara la loro falsità, e mediante una lettera circolare indicante la denuncia contro ciascuno di essi e inviata in tutte le parti della terra ovunque la Chiesa è già diffusa, saranno scomunicati da tutte le Chiese e per conseguenza si eviterà che qualche errore spunti nella cattedra della Chiesa di Cartagine. Solo quando costoro saranno stati scomunicati da tutta la Chiesa, ordineremo un altro vescovo per il popolo cristiano di Cartagine, senza dover paventare che le Chiese d'oltremare gli neghino la comunione, non considerando deposto dalla sua giurisdizione uno del quale si conosceva in precedenza l'ordinazione e che avrà potuto forse già ricevere lettere di comunione inviate dalle altre Chiese in virtù di quella fama. In caso contrario potrebbe nascere con grande scandalo uno scisma nella Chiesa di Cristo in tempi già tranquilli, se volessimo pronunciare le nostre sentenze in fretta e furia; e noi oseremmo alzare altare contro altare, se agissimo così non già contro Ceciliano, ma contro tutto il mondo che per ignoranza è unito in comunione con lui".3.
9. Che cosa avrebbe potuto fare qualcuno che avesse recalcitrato e si fosse rifiutato di attenersi a un suggerimento tanto ragionevole e giusto? Oppure, come avrebbe potuto condannare qualcuno dei colleghi assenti, senza poter disporre degli Atti del concilio e se il primate gli si fosse opposto? Quand'anche si fosse scatenata contro la sede primaziale una fazione di ribelli così forte per cui alcuni avessero già preteso condannare vescovi ch'egli avesse voluto rinviare a giudizio, quanto sarebbe stato meglio separarsi da tali vescovi, inquieti e desiderosi solo di seminare discordie, che mettersi in contrasto con la comunione di tutto il mondo! Non sussistevano però addebiti né contro Ceciliano né contro quanti l'avevano ordinato che si potessero provare in un tribunale d'oltre mare; ecco perché non vollero né rinviarlo a giudizio prima di pronunciare sentenze contro di lui né, dopo averle pronunciate, continuare ad agire in modo che il loro operato fosse portato a conoscenza della Chiesa d'oltre mare, la quale avrebbe dovuto evitare di rompere le relazioni di comunione coi "traditori" condannati in Africa. Se infatti avessero tentato di fare una simile cosa, Ceciliano e tutti gli altri accusati si sarebbero difesi e si sarebbero giustificati con un dibattito molto accurato contro i falsi calunniatori presso i giudici ecclesiastici d'oltre mare.3.
10. Perverso e scellerato al sommo fu perciò quel concilio - come si può credere - dei "traditori", nel quale Secondo di Tigisi aveva perdonato a rei confessi. Siccome s'era sparsa lontano la voce che proprio essi avevano consegnato i Libri Sacri, cercarono di stornare da se stessi il sospetto di quella colpa gettando il discredito sugli altri: e siccome la gente per tutta l'Africa, dando credito ai vescovi, andava propalando false accuse contro personaggi innocenti, che cioè fossero stati condannati a Cartagine come "traditori", cercarono di restare nascosti come in una nube di calunnie proprio quelli che erano realmente "traditori". Vedete quindi, carissimi, che poté accadere ciò che alcuni dei vostri dicevano non essere verisimile, che cioé i "traditori" rei confessi, i quali avevano implorato ed ottenuto che la loro causa fosse lasciata al giudizio di Dio, si eressero poi a giudici per condannare come "traditori" degli assenti. Preferirono, insomma, cogliere l'occasione di coprire altri di false accuse e in tal modo stornare chiacchiere che la gente faceva sul loro conto e impedire che si esaminassero le proprie colpe. Se fosse possibile che nessuno condanni in altri le colpe da lui commesse, l'apostolo Paolo non direbbe a certuni: Per questo, o uomo, chiunque tu sia, che ti atteggi a giudice, sei senza scusa: poiché nell'atto di giudicare gli altri condanni te stesso facendo le medesime cose che giudichi 5. Proprio così fecero essi e perciò queste parole dell'Apostolo si confanno a pieno e a tutta ragione ad essi.3.
11. Quando dunque Secondo lasciò al giudizio di Dio le colpe di quei vescovi, non prese affatto un provvedimento utile alla pace e all'unità; altrimenti a Cartagine avrebbe piuttosto preso precauzioni perché non si verificasse lo scisma, dal momento che non c'era alcun reo confesso al quale egli fosse costretto a perdonare, mentre il mezzo più facile per conservare la pace era quello di non lasciare condannare degli assenti. Si sarebbe quindi fatto un grave torto a degli innocenti, se si fossero volute perdonare delle colpe senza che fossero né provate né confessate e, comunque, d'imputati assenti. Poiché riceve il perdono solo chi risulta colpevole senza alcun dubbio. Quanto più inumani e ciechi furono perciò coloro i quali reputarono di poter condannare colpe che non avrebbero potuto neppur condonare perché non sottoposte ad inchiesta! Al contrario, da una parte furono rilasciate al giudizio di Dio colpe risultanti da inchiesta, dall'altra furono condannate colpe non esaminate in giudizio perché quelle altre rimanessero coperte. Ma si obietterà: "Le conoscevano, e come". Anche ammesso ciò, sarebbe stato certamente doveroso perdonare degli assenti: essi infatti non avevano abbandonato il tribunale, al quale non s'erano mai presentati, né la Chiesa era costituita da quei soli vescovi africani e quindi non poteva neppure sembrare che avessero voluto evitare il tribunale della Chiesa coloro che avevano rifiutato di presentarsi al loro tribunale. Non restavano forse migliaia di colleghi d'oltremare? Ebbene, era chiaro che potevano ben essere giudicati da costoro quei vescovi che - a quanto sembrava - consideravano sospetti i colleghi Africani o Numidi. V'è in proposito un passo della Sacra Scrittura, che proclama: Non biasimare alcuno prima d'averlo interrogato e, dopo averlo interrogato, riprendilo con giustizia 6. Se dunque lo Spirito Santo vuole che non si biasimi né si condanni alcuno se non dopo averlo interrogato, quanto più scellerata fu l'azione con cui furono non già biasimati o puniti, ma addirittura condannati dei vescovi che, per essere assenti, non poterono per nulla essere interrogati circa le loro colpe?3.
12. Costoro però affermano di aver condannato colpe riconosciute in regolare processo, ma le persone erano assenti dal loro tribunale che non avevano mai abbandonato in quanto non vi s'erano mai presentate, le quali anzi avevano sempre dichiarato che era loro sospetta quell'assemblea di giudici ostili; orbene, vi domando, cari fratelli, in che modo fecero l'inchiesta giudiziale? Voi risponderete: "Non lo sappiamo, dal momento che l'istruttoria non è menzionata negli Atti processuali pubblici". Ebbene, ve lo mostrerò io come fecero l'inchiesta. Considerate la causa di Felice d'Aptungi e anzitutto leggete quanto furono più accaniti contro di lui. Avevano dunque istruito il processo di tutti gli altri come quello di costui, il quale in seguito a un'inchiesta accurata e severa risultò in modo assai chiaro essere del tutto innocente. Con quanto maggior senso di giustizia, di sicurezza e quanto più presto dovremmo stimare innocenti coloro le cui colpe furono oggetto di biasimo più blando e condannate con una più lieve riprensione, dal momento che fu trovato innocente colui, contro il quale s'erano accaniti con molto maggiore violenza.4.
13. È dunque vero ciò che disse un tale e che vi dispiacque sentire, ma non si deve tacere? Orbene sentite cosa disse quel tale: "Un vescovo non doveva essere assolto dal tribunale del proconsole", come se egli se lo fosse scelto da sé e non fosse stato l'Imperatore a ordinare l'inchiesta, poiché spettava in modo speciale al suo ufficio un affare di cui deve rendere conto a Dio. Erano stati infatti i Donatisti a costituirlo arbitro e giudice della questione relativa alla consegna dei Libri Sacri e allo scisma, anzi erano stati essi a indirizzargli delle suppliche e poi ad appellarsi a lui; con tutto ciò non vollero accettare la sua sentenza. Se quindi è colpevole uno che viene assolto da un giudice terreno anche se l'ha scelto lui stesso, quanto più sono colpevoli quelli che vollero giudice della loro causa un sovrano terreno ? Se invece non è colpa appellarsi all'Imperatore, non è neppure colpa essere interrogati in giudizio dall'Imperatore e quindi nemmeno da colui al quale l'Imperatore delegò la causa. Quell'amico, volle pure fare biasimare che nel processo contro il vescovo Felice un tale fosse stato sospeso al cavalletto per essere pure torturato con gli uncini. Ma poteva forse Felice opporsi che l'inchiesta si svolgesse con tanta accuratezza e severità, dato che il giudice istruttore cercava attentamente d'arrivare alla conoscenza dei fatti? Cos'altro infatti avrebbe significato rifiutare una accurata inchiesta se non dichiararsi reo confesso? Cionondimeno il proconsole, neppure tra le terribili grida dei banditori e le mani insanguinate dei carnefici, avrebbe mai condannato un vescovo assente, che avesse rifiutato di presentarsi al suo tribunale qualora ne avesse avuto un altro da cui la sua difesa poteva essere ascoltata; se poi avesse emesso la condanna, avrebbe dovuto certamente scontare le pene giuste e meritate delle stesse leggi civili.5.
14. Se poi gli atti proconsolari non vi garbano, arrendetevi a quelli ecclesiastici. Vi sono stati letti per intero e punto per punto. Dunque Melchiade, vescovo della Chiesa di Roma, insieme coi vescovi d'oltre mare suoi colleghi, non avrebbe forse dovuto rivendicare il suo diritto di giudicare una causa già definita da settanta vescovi Africani, presieduti dal primate di Tigisi? E perché, dato che neppure lui aveva compiuto alcuna usurpazione? Infatti l'imperatore, essendone stato richiesto, mandò vescovi che sedessero in tribunale con lui e decidessero secondo giustizia in merito a tutta la questione. Vi proviamo ciò non solo con l'istanza dei Donatisti rivolta all'Imperatore, ma ancora con la sua risposta, e l'altra letta a voi - come ricordate - e che ora avete licenza d'esaminare e di copiare. Leggete e considerate attentamente ogni cosa. Rendetevi conto con quanta preoccupazione di conservare la pace e l'unità fu discussa ogni cosa, come fu trattata la persona degli accusatori e per quali macchie alcuni di loro furono ricusati come testimoni. Dalla parola dei presenti risultò chiaro che essi non avevano da lanciare nessuna accusa contro Ceciliano, ma vollero riversare tutta la colpa sulla plebaglia del partito di Maggiorino, cioè sopra una folla sediziosa e contraria all'unità della Chiesa, affinché naturalmente da quella folla fosse accusato Ceciliano: credevano insomma di poter piegare l'animo dei giudici al proprio volere solo a forza di schiamazzi capaci di provocare l'allarme, senza addurre per prova alcun documento, senza esaminare affatto la verità; come se una folla furibonda, ubriacata dalla bevanda dell'errore e della corruzione, potesse denunciare colpe reali contro Ceciliano, quando settanta vescovi, come risultò nel caso di Felice di Aptungi, condannarono con pazza temerità colleghi assenti e innocenti. Sicuro; essi volevano servirsi, per accusare Ceciliano, d'una folla simile a quella con cuì erano andati d'accordo nel pronunciare sentenze contro innocenti neppure interrogati. Ma ora non avevano certo trovato giudici tali da poterli indurre a simile demenza.5.
15. Prudenti qual siete, potete da voi stessi considerare documentati negli Atti ecclesiastici la malvagità di quelli e la probità dei giudici, come fino alla fine resistettero alle pressioni di far accusare Ceciliano dalla plebaglia di Maggiorino, la quale non aveva alcuna autorità: potete convincervi come da quelli invece erano stati ricercati o accusatori o testimoni o altri individui comunque necessari alla causa, i quali erano venuti con loro dall'Africa e come si spargeva la voce che s'erano presentati ma ch'erano stati allontanati da Donato. Il medesimo Donato aveva bensì promesso non una sola volta, ma spesso, di presentarli, ma dopo averlo promesso non volle più comparire davanti a quel tribunale, dove aveva confessato colpe sì numerose; rifiutando di comparire, dava a vedere di non volere essere presente alla sua condanna essendo state messe in evidenza, alla sua presenza e in base all'interrogatorio sostenuto, colpe meritevoli dì condanna. A ciò si aggiunge che da certe persone fu consegnato un libello di denuncia contro Ceciliano. Dopo questo fatto fu ripresa l'inchiesta per sapere quali persone avevano consegnato il libello, ma non si poté provare alcun addebito a carico di Ceciliano. Ma perché dirvi quanto avete già sentito dire e che potrete leggere ogni volta che lo vorrete?5.
16. Vi ricordate quanto fu detto a proposito del numero dei settanta vescovi, quando se ne contrapponeva l'autorità ritenuta assai potente. Quei personaggi di specchiata probità preferirono tuttavia rinunciare a emettere una loro sentenza su infinite questioni tra loro intricate come in una specie di catena indissolubile, senza affatto preoccuparsi del numero dei vescovi o donde fossero stati raccolti. Essi non vedevano in quelle persone che dei ciechi tanto temerari da proferire sentenze avventate contro colleghi assenti e non interrogati. Quanto diversa invece è l'ultima sentenza pronunciata dallo stesso beato Melchiade, quanto incensurabile, quanto imparziale, quanto prudente e pacifica! In base ad essa non osò rimuovere dalla cattedra i colleghi a carico dei quali non era risultato nulla; biasimò con estrema severità il solo Donato, riconosciuto principale autore di tutto il male e lasciò gli altri liberi di riacquistare la guarigione dall'eresia. Era disposto pure a inviare le lettere di comunione perfino ai vescovi che risultavano ordinati da Maggiorino. In tal modo stabilì che in tutti i luoghi ov'erano due vescovi delle due parti fosse confermato quello ordinato in precedenza e all'altro fossero assegnati altri fedeli da governare. O uomo eminente, figlio della pace cristiana e padre del popolo cristiano! Paragonate ora il piccolo numero dei nostri vescovi con la moltitudine di quelli donatisti, mettendo a confronto non un numero con l'altro, ma l'autorità degli uni con quella di costoro: da quella parte la moderazione, da quest'altra la temerità; di là la cautela, di qua la cecità. Lì la mansuetudine non guastò l'imparzialità né l'imparzialità si oppose alla mansuetudine; qua invece non solo sotto il furore si nascondeva la paura, ma dalla paura era pure eccitato il furore. I nostri vescovi s'erano adunati per respingere le false colpe coll'indagine giudiziale di quelle vere, i vostri per nascondere le colpe vere col condannare quelle false.6.
17. E perché mai Ceciliano si sarebbe dovuto esporre a farsi ascoltare e giudicare dai Donatisti, dal momento che aveva altri giudici davanti ai quali poteva con tutta agevolezza provare la propria innocenza, qualora gli fosse stato intentato un processo? Non si sarebbe affatto posto nelle mani di quelli nemmeno se, essendo forestiero, fosse stato all'improvviso ordinato vescovo della Chiesa Cartaginese e avesse ignorato quanto potere aveva nel corrompere l'animo dei malvagi e degli inesperti una certa ricchissima Lucilla, ch'egli, ancora diacono, aveva offesa col riprenderla riguardo alla disciplina ecclesiastica. Non doveva mancare nemmeno questa sciagurata circostanza per portare a compimento l'iniquo piano dei Donatisti! Infatti in quel concilio, dove vescovi assenti e innocenti furono condannati da "traditori" rei confessi, erano in verità pochi coloro i quali desideravano coprire le loro colpe coll'infamare gli altri, affinché la gente, stornata da false dicerie, fosse distolta dal ricercare la verità. Pochi dunque erano coloro cui soprattutto stava a cuore questo affare, sebbene fossero i più autorevoli per la complicità dello stesso Secondo, che per paura aveva usato indulgenza verso di loro. Tutti gli altri invece furono comprati e istigati contro Ceciliano - a quanto si narra - soprattutto dal denaro di Lucilla. Esistono di ciò gli Atti presso il governatore Zenofilo; in essi si legge che un certo diacono Nundinario, degradato - a quanto si può capire dagli stessi Atti - da Silvano, vescovo di Cirta, avendo tentato invano di giustificarsi con lui mediante lettere di altri vescovi, nello sfogo dell'ira rivelò e denunziò pubblicamente in tribunale molti fatti, tra cui si legge ricordato come dei vescovi s'erano lasciati corrompere dal denaro di Lucilla, e così nella Chiesa di Cartagine, capitale dell'Africa, era stato eretto altare contro altare! So che questi Atti non ve li leggemmo, perché, come ricordate, ce ne mancò il tempo. In quel fatto influì anche il dispiacere proveniente dalla burbanzosa superbia ferita dal non aver essi ordinato il vescovo di Cartagine.6.
18. Per tutte queste cause Ceciliano sapeva che in quella riunione i Donatisti erano andati non già da veri giudici, ma da nemici e corrotti. Quando mai sarebbe stato possibile ch'egli volesse o che il popolo al quale era a capo gli permettesse di abbandonare la sua Chiesa per andarsene in una casa privata ed essere sottoposto non a un'inchiesta di colleghi, ma per essere rovinato da un'assemblea di giudici ostili e faziosi o dal rancore d'una donna? Tanto più che vedeva bene come la propria causa poteva essere discussa in modo incensurabile e imparziale nella Chiesa d'oltremare, estranea a inimicizie private e indifferente all'una e all'altra delle due parti avverse. Se poi gli avversari non avessero voluto presentarsi come parte che promuove il giudizio, si sarebbero da se stessi tagliati fuori dalla santa comunione del mondo cattolico. Se invece avessero tentato di accusarlo, allora vi si sarebbe presentato e avrebbe difeso la propria innocenza contro le loro macchinazioni, come ricordate che in seguito avvenne. Essi invece reclamarono molto tardi il giudizio d'oltremare quand'erano già colpevoli di scisma, già macchiati dall'orribile colpa d'aver alzato altare contro altare. Lo avrebbero fatto certamente prima, se avessero potuto fare assegnamento sulla verità. Ma essi preferirono presentarsi a quel giudizio preceduti dalle false dicerie da essi sparse e che avevano preso una certa consistenza per un lungo lasso di tempo come se si trattasse di un'antica opinione pubblica che già avesse deciso in precedenza. Oppure - com'è più credibile - una volta condannato, a loro arbitrio, Ceciliano, si ritenevano quasi sicuri, confidando fin troppo nel proprio numero e non osando trattare una causa così ingiusta in un tribunale immune da corruzione ov'era possibile scoprire la verità.7.
19. In seguito però i fatti stessi li convinsero che insieme con Ceciliano rimaneva tutta la Cristianità e lettere di comunione dalle Chiese d'oltremare erano inviate a lui ma non al vescovo da loro ampiamente ordinato; provarono allora vergogna di continuare a tacere; poiché si poteva sempre rimproverare ad essi perché mai permettevano che la Chiesa, sparsa fra tanti popoli, essendo all'oscuro della cosa, conservasse la comunione con vescovi condannati e perché mai da se stessi si tagliavano fuori dalla comunione della Chiesa sparsa nel mondo intero e senza colpa, mentre col loro tacere lasciavano che dal mondo cattolico non si mantenessero rapporti di comunione col vescovo da essi ordinato per i fedeli di Cartagine. Scelsero quindi - come si dice - di fare il doppio gioco nel processo a Ceciliano presso la Chiesa d'oltremare, pronti all'una o all'altra evenienza: se cioè fossero riusciti a sopraffarlo ingannando comunque i giudici con false accuse, avrebbero potuto appagare pienamente la bramosia della vendetta; se invece non ci fossero riusciti, avrebbero perseverato nella medesima perversità e avrebbero potuto sempre dire d'essere stati vittime di giudici malvagi. Questa è la scusa di tutti i litiganti in mala fede, quando vengono soverchiati dalla verità anche più lampante; come se non si potesse loro rispondere a questo proposito: "Ecco, ammesso pure che non fossero onesti i giudici che pronunciarono la sentenza a Roma, rimaneva sempre il concilio plenario della Chiesa universale, ove si poteva intentare causa pure agli stessi giudici; in tal modo, se fosse stato dimostrato che avevano esercitato disonestamente l'ufficio di giudici, le loro sentenze sarebbero venute a perdere ogni forza". Dimostrino quindi loro se agirono in tal modo; noi dimostriamo facilmente che ciò non è stato fatto per il semplice motivo che tutto il mondo rifiuta d'essere in comunione con loro; ma anche dato e non concesso che sia stato fatto, anche in questo caso son sconfitti come lo dimostra chiaramente lo stesso loro scisma.7.
20. Che cosa però fecero in seguito, risulta più che evidente dalla lettera dell'Imperatore. Essi accusarono di aver giudicato contro giustizia e osarono citare al tribunale non già di altri colleghi, ma dell'Imperatore, quei giudici ecclesiastici, che erano vescovi di grande autorità e che avevano proclamato da una parte l'innocenza di Ceciliano e dall'altra la loro ribalderia. L'Imperatore allora concesse loro di presentarsi al concilio di Arles, formato naturalmente da giudici diversi dai precedenti, non perché tale precauzione fosse necessaria, ma cedendo alle loro malvage pretese e solo mosso dal desiderio di reprimere del tutto la loro insopportabile spudoratezza. L'Imperatore cristiano non osò accogliere le loro sediziose e bugiarde querele né volle giudicare personalmente l'operato dei vescovi che avevano pronunciato il verdetto nel tribunale romano, ma concesse loro di ricorrere - come ho detto - ad altri vescovi: dal verdetto di questi però essi preferirono appellarsi di nuovo all'Imperatore, e avete sentito a tale proposito com'egli li respingesse. Oh, se almeno dopo la sua sentenza avessero posto fine alle loro pazzesche animosità e si fossero arresi una buona volta alla verità com'egli s'era arreso ai loro desideri facendo riesaminare la causa dopo ch'era stata giudicata da vescovi intemerati; egli avrebbe chiesto poi loro scusa, purché intanto i Donatisti non avessero altre obiezioni da accampare qualora non si fossero sottomessi al suo verdetto, al verdetto di colui cioè al quale essi stessi avevano appellato! Egli infatti diede ordine che le parti si presentassero davanti a lui a Roma per trattare la causa. Poiché Ceciliano, non so perché, non si era presentato, l'Imperatore ordinò, dietro loro richiesta, che lo seguissero a Milano. Allora alcuni di essi cominciarono a tirarsi indietro, sdegnati probabilmente che Costantino non li aveva imitati nel condannare in fretta e furia Ceciliano. Saputo ciò, il prudente Imperatore fece scortare gli altri fino a Milano da guardie giudiziarie. Giunse poi pure Ceciliano ed anche lui fu loro presentato come risulta dal suo rescritto; istruito quindi il processo con la diligenza, la cautela e la prudenza che traspare nella sua lettera, giudicò Ceciliano del tutto innocente e i Donatisti come dei veri ribaldi.8.
21. Essi infatti ancora battezzano fuori della Chiesa e, se potessero, ribattezzerebbero tutta quanta la Chiesa! offrono il divin sacrificio pur persistendo nella discordia e nello scisma e rivolgono il saluto della pace ai fedeli ch'essi scacciano dalla pace della salvezza! Si lacera l'unità di Cristo; si bestemmia l'eredità di Cristo; si respinge con disprezzo il battesimo di Cristo ma non vogliono essere puniti con castighi temporali comminati dalle ordinarie autorità umane per evitar loro la sciagura che siano destinati alle pene eterne, dovute alle loro molteplici empietà! Per parte nostra noi rinfacciamo loro l'eresia dello scisma, la pazzia di ripetere il battesimo, la scellerata separazione dall'eredità di Cristo, sparsa tra tutte le genti. Basandoci sui libri sacri non solo nostri ma anche loro, citiamo le chiese delle quali ancor oggi leggono i nomi, colle quali però non hanno più legami di comunione; quando quei nomi vengono letti nelle loro assemblee, ai loro lettori dicono: "La pace sia con te", ma non hanno la pace con gli stessi fedeli ai quali quelle lettere furono scritte. Essi inoltre ci rinfacciano o false colpe di defunti o forse vere ma di altri, senza capire che essi sono tutti colpevoli dei fatti che loro rinfacciamo, mentre quelle che rinfacciano a noi sono colpe di quanti fra noi sono simboleggiati nella paglia e nella zizzania della messe del Signore, ma la colpa non può cadere nel frumento; essi infine non considerano che solo coloro i quali approvano i malvagi, sono in comunione coi malvagi, anche se rimangono nell'unità della Chiesa; coloro invece che non approvano i malvagi ch'essi non possono correggere, non osando però sradicare la zizzania prima della mietitura per non sradicare insieme pure il frumento 7, non sono conniventi con le loro azioni ma comunicano solo con l'altare di Cristo. In tal modo non solo non vengono macchiati da essi, ma meritano pure d'essere lodati ed esaltati dalle parole di Dio, per il motivo che essi, affinché non venga bestemmiato il nome di Cristo per causa degli orribili scismi, tollerano per il bene dell'unità il male che riprovano per il bene dell'equità.8.
22. Se hanno orecchie, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle Chiese 8. Così, infatti, si legge nell'Apocalisse di Giovanni: All'angelo della Chiesa d'Efeso, scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. Conosco le tue azioni, le tue fatiche e la tua pazienza, so che non puoi sopportare i malvagi e mettesti alla prova coloro che si dicono ma non sono apostoli e li trovasti bugiardi e li sopportasti per il mio nome e non ti sei stancato 9. Se volesse che queste parole si debbano intendere dell'angelo dei cieli superiori e non dei capi delle Chiese, nelle frasi seguenti non direbbe: Ma ho da rimproverarti perché non hai mantenuto la tua primitiva carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e ravvediti e torna a compiere le opere di prima, altrimenti io verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto se non ti ravvedrai 10. Tali espressioni non possono essere rivolte agli angeli del cielo, i quali conservano sempre la carità; quelli che da essa s'allontanarono e decaddero, sono il diavolo e i suoi angeli 11. Chiama quindi primitiva carità quella con cui sopportò i falsi apostoli per il nome di Cristo e gli comanda di ricuperarla e di tornare a compiere le opere di prima. A noi invece voi rinfacciate colpe commesse da persone malvage, colpe non nostre ma di altri e per di più in parte a noi ignote; anche se le vedessimo veramente sotto i nostri occhi e le tollerassimo per l'unità perdonando alla zizzania onde non recar danno al frumento, ci proclamerebbe non solo degni di nessun rimprovero, ma anche di non piccola lode chiunque non fosse sordo di mente alle parole della Sacra Scrittura.8.
23. Aronne tollera il popolo che reclama l'idolo, lo costruisce e l'adora 12. Mosè tollera tante migliaia di persone mormoranti contro Dio e tante volte offendenti il suo santo nome 13. David tollera il suo persecutore Saul, ch'era stato spinto dai suoi scellerati costumi ad abbandonare le cose celesti e a scrutare i misteri infernali per mezzo delle arti magiche; eppure quando fu ucciso egli lo vendicò e lo chiamò pure Cristo del Signore a causa del rito sacro con cui era stato consacrato re 14. Samuele tollera i ribaldi figli di Eli e i propri figli perversi; ma il popolo, ripreso dalla divina verità per non averli voluti sopportare, fu castigato dalla divina severità. Tollera infine lo stesso popolo superbo e dispregiatore di Dio 15. Isaia tollera coloro che avevano tante vere colpe da lui prese di mira con tanti strali. Geremia tollera coloro da parte dei quali soffre tante persecuzioni. Zaccaria tollera Farisei e scribi, quali la Sacra Scrittura ci attesta erano in quel tempo. So d'aver omesso molti personaggi; coloro che lo desiderano e lo possono, leggano i Libri della Sacra Scrittura e troveranno che tutti i santi, servi e amici di Dio, ebbero sempre persone da tollerare nel loro popolo; ma tuttavia comunicando con essi nella celebrazione dei riti sacri di quel tempo non solo non si macchiavano, ma erano lodevoli nel sopportarli, studiandosi di conservare, come dice l'Apostolo, l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 16. Riflettano pure che dopo la venuta del Signore si troverebbero molto più numerosi esempi di tale tolleranza per tutto il mondo, se fosse stato possibile riferirli per iscritto nella Sacra Scrittura; tuttavia ponete attenzione a quelli accennati e che si trovano in essa. Lo stesso Signore tollera Giuda, quel vero demonio, quel ladro che lo vendette, e lascia che riceva, mescolato tra discepoli incensurabili, ciò che i fedeli sanno essere il prezzo del nostro riscatto. Gli Apostoli tollerano dei falsi apostoli e Paolo passa la vita con una lodevolissima tolleranza tra chi va in cerca dei propri interessi e non di quelli di Cristo, mentre egli ricerca non il proprio interesse ma quello di Cristo. Infine, come ho ricordato poc'anzi, dalla voce di Dio viene lodato sotto il termine di "Angelo" il capo della Chiesa perché, pur detestando i malvagi, tuttavia li tollerò per il nome del Signore dopo averli messi alla prova e averli riscontrati bugiardi.8.
24. Ma perché non interrogano se stessi? Non tollerano forse essi le stragi e gl'incendi dei Circoncellioni, quelli che venerano i cadaveri di quanti si uccidono da sé precipitandosi nei precipizi e per tanti anni i gemiti di tutta l'Africa sotto le incredibili vessazioni del solo Ottato? Non voglio denunciare le dominazioni tiranniche delle singole regioni, città e borgate dell'Africa e gli attacchi briganteschi fatti alla luce del sole. Preferisco che questi misfatti ve li diciate tra voi o all'orecchio o in pubblico, come vi piacerà. Poiché dovunque rivolgerete lo sguardo, vi si presenterà ciò che dico, o meglio, quel che non dico. Ma non per questo accusiamo gli individui da voi amati, poiché non li biasimiamo per il fatto che tollerano i malvagi, ma perché sono intollerabilmente malvagi a causa dello scisma, dell'altare contro l'altare, per essere separati dall'eredità di Cristo diffusa in tutto il mondo come è stato promesso tanto tempo prima 17. Deploriamo e piangiamo la pace violata, l'unità lacerata, i battesimi reiterati, i sacramenti cancellati, mentre essi sono santi pure nelle persone scellerate. Se fanno poco conto di ciò, considerino gli esempi che dimostrano qual conto ne fece Dio. Quelli che fabbricarono l'idolo furon tolti di mezzo con la consueta morte di spada 18; invece i capi di quelli che vollero fare la sedizione furono inghiottiti dalla terra spalancatasi, mentre la folla consenziente fu consumata dal fuoco 19. Dalla diversità dei castighi si riconosce la diversità delle colpe.9.
25. Durante la persecuzione vengon consegnati i Libri Santi; orbene, coloro che li consegnarono confessano e sono lasciati al giudizio di Dio! Degli innocenti invece non vengono neppure interrogati e tuttavia vengono condannati da giudici temerari! Con prove lampanti vien riconosciuto innocente da un'assemblea di giudici fidati e informati colui che era stato incriminato molto più gravemente degli altri tra quelli condannati pur essendo assenti. L'assemblea giudicante dei vescovi si appella all'Imperatore: si sceglie come giudice l'Imperatore; ebbene l'Imperatore è disprezzato quando emette il suo giudizio! I fatti avvenuti li avete letti, i fatti che avvengono adesso li vedete; se avete qualche dubbio a proposito di quelli, osservate bene questi altri. Non stiamo a discutere appellandoci a libri antichi, agli archivi pubblici, agli Atti dei processi giudiziari o ecclesiastici. Il nostro libro più grande è il mondo intero; in esso leggo avverato ciò che nel libro di Dio leggo annunziato: Il Signore - dice - mi ha detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato; chiedimi e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini della terra 20. Chi non comunica con questa eredità, sappia che è escluso dall'eredità, qualunque altro libro egli possegga. Chi attacca questa eredità, dà segno di essere estraneo alla famiglia di Dio. Certo: la questione si aggira sulla consegna dei Libri divini nei quali quest'eredità è stata promessa. Va bene; allora deve reputarsi come uno che consegnò alle fiamme il testamento, chi si mette in lite contro la volontà del testatore. Qual torto mai t'ha fatto, o setta di Donato, la Chiesa di Corinto? Quanto dico di questa Chiesa, voglio che s'intenda di tutte le altre tanto lontane come essa. Qual torto vi hanno fatto le Chiese che non potevano in alcun modo sapere né quel che avete fatto, né chi avete infamati? Ha forse il mondo perduto la luce di Cristo per il fatto che una Lucilla fu offesa da Ceciliano in un angolo dell'Africa?9.
26. Infine comprendano che cosa fecero: a ragione dopo un certo spazio di tempo la loro azione è rimbalzata contro i loro occhi. Domandate per causa di qual donna Massimiano, che si dice essere parente di Donato, si staccasse dalla comunione di Primiano e come, da una assemblea di vescovi della sua fazione, fece condannare Primiano e si fece ordinare vescovo in opposizione a lui; domandate in qual modo Maggiorino da un'altra assemblea di vescovi, suoi partigiani, radunati per mezzo di Lucilla, fece condannare Ceciliano assente e in opposizione a questo fu ordinato vescovo. Dunque, volete forse ritenere valido il processo con cui Primiano fu discolpato contro la fazione di Massimiano, e non volete ritenere valido il processo con cui fu discolpato Ceciliano dai vescovi dell'unica Chiesa contro la fazione di Maggiorino? Vi domando forse, fratelli, vi chiedo forse qualcosa di straordinario, vi chiedo forse di capire qualcosa di difficile? Tra la Chiesa d'Africa e tutte le altre Chiese del mondo corre un'enorme distanza; se poi si paragona con le altre, sia per l'autorità sia per il numero dei fedeli, essa è incomparabilmente inferiore a tutte; ma anche supponendo che nella Chiesa d'Africa risiedesse l'unità, se però venisse paragonata e tutte le altre comunità cristiane del mondo, sarebbe di gran lunga più piccola, ancora più piccola della setta di Massimiano paragonata alla setta di Primiano. Ma io vi domando solo, e mi pare sia giusto, che il concilio di Secondo di Tigisi, riunito dagli intrighi di Lucilla contro Ceciliano assente, contro le Chiese apostoliche e contro tutto il mondo unito nella comunione con Ceciliano, valga almeno quanto vale il concilio dei Massimianisti, esso pure riunito dagli intrighi di non so quale donna contro l'assente Primiano e contro tutti gli altri fedeli donatisti dell'Africa uniti in comunione con Primiano. Cosa può esservi più chiaro a capirsi di ciò? Cos'altro di più giusto vi si chiede?9.
27. Tutto ciò che vi ho detto, voi lo vedete, oltre che saperlo e addolorarvene; ma anche Dio vede che nulla vi costringe a rimanere in codesto pestifero e sacrilego scisma, purché allo scopo d'acquistare il regno spirituale superiate l'affetto carnale e non esitiate a disgustare le amicizie umane, che nel giudizio di Dio non gioveranno a nulla, per evitare le pene eterne. Ebbene andate: domandate e sappiate che cosa possono rispondere a queste nostre contestazioni: se esibiscono documenti scritti, li esibiamo pure noi; se affermano che i nostri sono falsi, non si sdegnino se diciamo altrettanto dei loro. Nessuno cancella dal cielo il decreto di Dio, nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio: egli le promise il mondo intero, essa ha riempito il mondo intero: ha in sé tanto i buoni che i malvagi, ma sulla terra non perde se non i malvagi e in cielo non fa entrare se non i buoni. Questo discorso che per grazia di Dio (egli lo sa bene) scaturisce dall'immenso amore per la pace e per voi, sarà per voi solo un ammonimento se lo vorrete, ma un documento anche se non lo vorrete.
Scritta tra l'anno 396 e il 397.
rende note le iniziative rivolte a riportare la concordia tra le chiese e Fortunio, lamentandosi per i tumulti (n. 1-7). Respinge l'accusa di un delitto addebitato ai Cattolici e rinfaccia i misfatti dei Circoncellioni (n. 8-9). Battesimo e comunione di Giuda, persecuzione e ripetizione del battesimo (n. 10-12). Condizioni per una fruttuosa e pacifica disputa (n. 13-14).
A
GOSTINO SALUTA I DILETTISSIMI E STIMATISSIMI FRATELLIE
USEBIO, GLORIO E I FELICI
1.
1. Mentre mi recavo alla Chiesa di Cirta, son passato per la città di Tubursico e vi ho conosciuto, sebbene in un incontro purtroppo brevissimo, Fortunio, vescovo di quella città, in tutto quale voi, pieni di bontà, siete soliti presentarlo. Avendogli fatto sapere ciò che ci avevate detto di lui e il desiderio che avevo di vederlo, non si rifiutò affatto di ricevermi. Andai pertanto da lui; mi sembrò doveroso dare questo segno di deferenza alla sua età piuttosto che esigere ch'egli fosse il primo a venire da me. Mi recai dunque da lui insieme con non poche persone che in quella circostanza si trovavano per caso in mia compagnia. Essendoci poi accomodati in casa sua, la voce, che s'era sparsa del mio arrivo, fece affluire una gran folla; ma tra tutta quella gente molto pochi apparivano desiderosi di trattare quella causa con utilità e con risultati apportatori di salvezza, e di discutere con spirito di prudenza e di religione una questione sì importante circa un affare altrettanto importante. Tutti gli altri invece erano accorsi alla nostra discussione come si va a teatro, cioè come per assistere a uno spettacolo piuttosto che ascoltare con devozione cristiana un'istruzione concernente la salvezza. Non potevano quindi né fare silenzio né discorrere con noi attentamente o per lo meno con rispetto e moderazione, tranne, come ho detto, solo pochi, la cui attenzione appariva religiosa e sincera. Tutti insomma parlavano senza modo e misura a seconda dell'impulso del proprio animo con gran confusione e strepito e non potemmo ottenere che facessero rispettoso silenzio per quanto li pregassimo, ora io ora lui, e talora pure li rimproverassimo.1.
2. Si cominciò comunque alla meno peggio la discussione e continuammo il dialogo per alcune ore nella misura che ce lo permettevano gl'intervalli di silenzio della folla che schiamazzava, chi per un verso chi per un altro. Senonché proprio all'inizio della discussione ci rendemmo conto che quanto si diceva cadeva immediatamente dopo dalla memoria sia nostra sia di coloro dei quali ci stava a cuore la salvezza; allora, non solo perché la discussione procedesse più cauta e più misurata, ma anche perché voi e gli altri fratelli, allora assenti, poteste leggere e conoscere quali erano stati gli argomenti trattati nella nostra discussione, chiedemmo che i nostri discorsi venissero stenografati. Fortunio e i suoi correligionari vi si opposero a lungo. Alla fine però egli acconsentì. Ma gli stenografi presenti, capacissimi di compiere quel lavoro, non so per qual motivo, si rifiutarono. Ottenemmo tuttavia per lo meno che i fratelli, ch'erano con noi, stenografassero, sebbene non fossero molto veloci, mentre noi promettemmo che avremmo lasciato là le tavolette stenografate. Si rimase d'accordo. I nostri discorsi cominciarono ad essere stenografati ed alcune frasi da una parte e dall'altra furono messe a protocollo. Gli stenografi in seguito se ne andarono, non riuscendo a tener fronte alle confuse interruzioni di quanti strepitavano e per conseguenza neppure alla nostra discussione, divenuta piuttosto turbolenta: noi però continuammo a parlare a lungo a seconda della possibilità che a ciascuno si presentava. Non ho voluto privare la Carità vostra di tutto quel che abbiamo detto e fatto nella discussione di tutta la faccenda, per quanto posso ricordare. Voi infatti potete far leggere la mia lettera al vescovo affinché attesti la verità di quel che ho scritto oppure vi faccia sapere senza indugio quel che ricorda meglio di me.2.
3. Anzitutto egli si degnò d'elogiare la nostra condotta che diceva conoscere da quanto gli avevate detto voi con più bontà forse che verità: aggiunse pure di avervi detto che avremmo potuto far bene tutto quel che voi gli avevate suggerito per parte nostra, se lo avessimo fatto nel seno della Chiesa. Cominciammo quindi a domandargli quale fosse la Chiesa ove occorreva vivere in quel modo, se cioè quella che, secondo la predizione della Sacra Scrittura fatta tanto tempo prima, era diffusa in tutto il mondo, oppure quella limitata a una parte dell'Africa e degli Africani. Egli allora si sforzò di provare anzitutto che la sua comunione era diffusa su tutta la terra. Gli chiesi pertanto se potesse darmi, per andare ovunque io volessi, le lettere di comunione che diciamo patenti e affermavo, com'era a tutti palese, che in tal modo si sarebbe potuta dirimere assai facilmente la nostra questione. Avrei pure procurato, se avesse acconsentito, che fossero da noi inviate siffatte lettere a quelle chiese che negli scritti sacri degli Apostoli leggevamo essere stata fondate già al tempo degli stessi Apostoli.2.
4. Siccome però l'affermazione di Fortunio era evidentemente falsa, ben presto egli andò a finire col sovvertire il significato delle espressioni tra cui ricordò quel monito del Signore in cui disse: Guardatevi dai falsi profeti: molti vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci: li conoscerete dai loro frutti 1. Siccome io gli risposi che quelle stesse parole avremmo potuto citarle a proposito degli scismatici, si arrivò a parlare della persecuzione, ch'egli gonfiando i fatti affermava essere stata subita spesso dal suo partito, per dimostrare che i veri Cristiani erano i suoi per il fatto che subivano la persecuzione. Mentre io, nel sentire quelle parole, mi preparavo a rispondere citando il Vangelo, egli mi prevenne citando quel passo ove il Signore dice: Beati coloro che soffrono la persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli 2. Io allora, felicitandomi che avesse citato quel passo, soggiunsi subito che si doveva dunque esaminare se quelli avevano sopportato la persecuzione proprio per la giustizia. Era appunto la questione a proposito della quale desideravo discutere, cosa che d'altronde era chiara a tutti, se al tempo dello scisma di Macario si trovavano ancora nell'unità della Chiesa o se n'erano già staccati: così coloro che volessero vedere se avessero patito la persecuzione per causa della giustizia, avrebbero dovuto piuttosto considerare se avevano fatto bene a distaccarsi dall'unità di tutto il mondo. Se fosse stato dimostrato che lo scisma era ingiusto, sarebbe stato evidente ch'essi avevano patito la persecuzione per causa dell'ingiustizia piuttosto che della giustizia; perciò non potevano annoverarsi tra i beati, di cui è stato detto: Beati quelli che soffrono la persecuzione per causa della giustizia. Fu ricordata allora la consegna dei Libri Sacri, più che sicura. Ma si rispondeva dai nostri fedeli che a consegnare i Libri Sacri erano stati piuttosto i loro caporioni. Se poi riguardo a ciò non volevano credere ai nostri documenti scritti, nemmeno noi dovevamo esser costretti a credere ai loro.3.
5. Senonché, messa da parte questa difficile e pericolosa questione, domandai come i Donatisti potevano essersi separati per giusta ragione da tutti gli altri Cristiani immuni da colpe, i quali, conservando la serie della successione delle antichissime Chiese in cui erano stabiliti, ignoravano del tutto quali fossero in Africa i "traditori" né potevano essere in comunione se non con quei vescovi che sapevano legittimamente insediati nelle rispettive sedi episcopali. Rispose che le Chiese d'oltremare s'erano mantenute immuni da colpe finché non approvarono l'uccisione di coloro, i quali - a suo dire - avevano subìto la persecuzione di Macario. Io allora gli avrei potuto rispondere che le Chiese d'oltremare non avrebbero potuto perdere la loro santità né macchiarsi per l'odiosità dei tempi di Macario, dal momento che in nessun modo si poteva dimostrare, quanto alle stesse azioni provate, che egli le avesse fatte per istigazione di quelle Chiese. Preferii invece domandare brevemente se, qualora le Chiese d'oltremare avessero perso la loro incensurabilità a causa delle crudeli repressioni di Macario a cui, si diceva, avevano acconsentito, si poteva almeno provare che i Donatisti fossero rimasti nell'unità con le Chiese Orientali e con tutte le altre Chiese delle altre parti del mondo fino a quei tempi.3.
6. Egli allora presentò un libro con cui pretendeva di provare che il concilio di Sardica aveva inviato lettere di comunione ai vescovi Africani della setta donatista. Mentre leggeva, tra i nomi degli altri vescovi ai quali essi avevano scritto, udimmo quello di Donato. Noi perciò cominciammo a supplicarlo che ci spiegasse se quel Donato fosse il capo della loro setta, dal quale essi prendono il nome, poiché poteva darsi che il Donato, al quale avevano scritto, fosse un vescovo di un'altra setta, soprattutto per il fatto che in quell'elenco di nomi non era fatta nemmeno menzione dell'Africa. In qual modo avrebbe dunque potuto provare che con quel nome doveva intendersi Donato, vescovo della setta donatista, dal momento che non avrebbe potuto provare nemmeno che quelle lettere erano state inviate in particolare ai vescovi delle Chiese africane? Sebbene infatti Donato sia di solito un nome africano, non sarebbe per sé impossibile che qualche vescovo di quelle regioni si chiamasse realmente con un nome africano o qualche africano fosse costituito vescovo in quelle regioni. In quelle lettere poi non trovammo alcuna indicazione né della data né del console, che ci permettesse di ricavare almeno dalle circostanze qualche elemento di certezza. Posso assicurare infatti d'aver udito, non so quando, che gli Ariani, dopo essersi separati dalla comunione cattolica, tentarono d'associare a sé i Donatisti dell'Africa: questo preciso particolare me lo sussurrò all'orecchio il fratello Alipio. Presi allora il libro ed esaminando i decreti del concilio, vi lessi che da quel concilio di Sardica furono condannati Atanasio, vescovo cattolico di Alessandria, che si distinse su tutti gli altri per l'energica lotta sostenuta nel confutare gli Ariani, e Giulio, vescovo della Chiesa di Roma, parimenti cattolico. Per tali motivi ci risultò provato che quello era stato un concilio di Ariani, ai quali i suddetti vescovi cattolici opponevano la più forte resistenza. Desideravamo quindi prendere e portar via con noi il libro per un più accurato esame anche delle circostanze, ma Fortunio non volle darcelo, dicendo che noi potevamo trovarlo lì, a nostra disposizione, qualora volessimo consultarlo. Lo pregai pure che mi permettesse di farvi di mia mano un segno di riconoscimento, temendo - lo confesso - che se per qualche motivo lo avessi dovuto chiedere, me ne presentasse un altro invece di quello; ma non volle concedermi neppure questo!4.
7. Cominciò poi a insistere che rispondessi brevemente alla sua domanda, se cioè ritenessi giusto chi perseguita o chi è perseguitato. Gli risposi che la domanda non era posta bene, poiché può darsi che siano ingiusti ambedue; oppure che uno più giusto perseguiti uno più ingiusto. Non ne verrebbe logicamente che uno sia più giusto per il fatto di patire persecuzione, quantunque di solito avvenga così. Vedendo poi che insisteva su questo punto al fine di far capire che la giustizia stava certamente nella sua setta per il fatto di aver sofferto la persecuzione, gli chiesi se riteneva giusto e cristiano Ambrogio, vescovo della Chiesa milanese. Messo così con le spalle al muro era costretto a negare che quel famoso personaggio fosse cristiano e giusto, poiché se lo avesse ammesso, gli avrei subito obiettato che nondimeno egli pensava ch'era necessario ribattezzarlo. Essendo dunque costretto a dire i motivi per cui egli non doveva essere considerato né cristiano né giusto, gli ricordai la dura persecuzione da lui sostenuta fino al punto che la sua chiesa fu assediata da soldati armati. Gli chiesi pure se riteneva giusto e cristiano Massimiano, che aveva fatto lo scisma nella loro setta a Cartagine. Non avrebbe potuto rispondere se non negativamente. Gli ricordai dunque che anch'egli subì una persecuzione così violenta che la sua chiesa fu distrutta dalle fondamenta. Con tali esempi cercavo di persuaderlo, se avessi potuto, a smetterla di affermare che il patire la persecuzione è prova certissima di giustizia cristiana.4.
8. Mi narrò pure che proprio agli inizi dello scisma i primi Donatisti, pensando di voler sopire in qualsiasi modo la colpa di Ceciliano, per evitare uno scisma, concessero un vescovo interinale (6-a) ai fedeli della sua comunione residenti a Cartagine, prima che fosse ordinato Maggiorino contro Ceciliano. Diceva dunque che quel vescovo era stato ucciso dai nostri nella sua chiesa. Confesso che non avevo mai udito prima un fatto simile, sebbene i nostri dovessero sfatare e confutare tanti delitti da essi rinfacciati e se ne rinfacciassero loro più numerosi e peggiori. Cionondimeno, dopo aver narrato il fatto, di nuovo cominciò a domandarmi con petulanza chi io ritenessi giusto, chi viene ucciso o chi uccide, come se già mi avesse provato che il delitto era stato commesso come lo aveva narrato lui. Gli risposi che bisognava prima esaminare se il fatto fosse autentico, poiché non si deve credere alla leggera tutto ciò che si dice, e d'altronde poteva darsi che fossero malvagi tutt'e due o anche peggiore quello ucciso dal malvagio. In realtà può darsi che più scellerato di chi ammazza soltanto il corpo sia chi ribattezza l'intera persona.4.
9. Dopo ciò non avrebbe dovuto farmi la domanda rivoltami dopo, dicendo che neppure il malvagio avrebbe dovuto essere ammazzato da Cristiani e giusti, come se noi chiamassimo giusti coloro che nella Chiesa cattolica commettono simili delitti. Ciononostante per essi questi crimini è più facile affermarli che provarli, sebbene molti di essi, anche vescovi, preti e chierici di ogni grado, per mezzo delle bande composte da individui forsennati, non cessino d'infliggere, quando possono, tante efferate uccisioni e stragi non solo ai cattolici, ma talora anche ai loro stessi seguaci. Sebbene le cose stessero così, egli passando tuttavia sopra gli scelleratissimi delitti dei suoi, a lui stesso molto più noti, incalzava che rispondessi quale giusto avesse mai ucciso una persona, fosse pure malvagia. Ciò non aveva nulla a che vedere con la nostra questione, poiché avevamo convenuto che dovunque tali delitti si commettessero da persone che portano il nome di Cristiani, non sono commessi dai buoni: ciononostante, per fargli comprendere cosa bisognava discutere, rispondemmo con la domanda se gli sembrava che Elia fosse giusto; non poté negarlo. Soggiungemmo allora dicendo quanti falsi profeti egli uccise di sua mano 3. Allora egli capì davvero quel che doveva capirsi, che allora tali azioni erano lecite ai giusti. Elia infatti compiva quelle azioni mosso dallo spirito profetico e per ordine di Dio, il quale certamente sa a chi giova perfino d'essere ucciso. Esigeva dunque che gl'indicassi quale giusto ormai al tempo del Nuovo Testamento uccidesse una persona sia pure scellerata ed empia.5.
10. Si ritornò allora alla esposizione precedente della Sacra Scrittura, con cui volevamo dimostrare che né noi dovevamo rinfacciare ad essi i loro delitti, né essi a noi, qualora si fossero trovate tali azioni compiute dai nostri. In base al Nuovo Testamento non si può dimostrare che alcun giusto uccidesse qualcuno; al contrario, con l'esempio stesso dei Signore si può provare che gli scellerati furono tollerati dagli innocenti. Sopportò infatti che il suo traditore, che aveva già ricevuto il suo prezzo, rimanesse con sé fino all'ultimo bacio di pace tra gli innocenti, ai quali non nascose che c'era tra loro un individuo così scellerato; cionostante diede per la prima volta a tutti insieme, senza escludere lui, il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue 4. Essendo rimasti quasi tutti impressionati di quest'esempio, Fortunio tentò di rispondere che quella comunione fatta con lo scellerato prima della passione del Signore non aveva recato alcun danno agli Apostoli, poiché non avevano ricevuto ancora il battesimo di Cristo, ma quello di Giovanni. Dopo ch'ebbe detto ciò, cominciai a domandargli come mai dunque stava scritto che Gesù aveva battezzato più persone di Giovanni, benché non fosse lui in persona a battezzare ma i suoi discepoli 5; amministrava cioè il battesimo per mezzo dei suoi discepoli. In qual modo adunque potevano dare ciò che non avevano ricevuto, come sono soliti affermare soprattutto i Donatisti? O forse che Cristo battezzava col battesimo di Giovanni? Avevo intenzione di fare molte domande di tal sorta; volevo domandare per esempio come mai a Giovanni fu chiesto perché anche il Signore battezzasse e rispose che il Signore aveva la sposa ed era lo sposo 6. Era dunque forse lecito che lo sposo battezzasse col battesimo di Giovanni, cioè col battesimo dell'amico o del servo? Volevo pure domandare in qual modo gli Apostoli avrebbero potuto ricevere l'Eucarestia, se non fossero stati ancora battezzati. Oppure perché a Pietro, che desiderava esser lavato interamente, rispose: Chi ha preso un bagno, non ha bisogno di lavarsì ma è interamente mondo 7. Ora, la mondezza completa non è nel battesimo di Giovanni, poiché il battesimo riceve la validità dal nome del Signore, se chi lo riceve se ne mostri degno; se invece se ne mostra indegno, i sacramenti rimarranno validi non per la sua salvezza, bensì per la sua rovina, ma rimarranno comunque validi. Avendo io accennato a porgli di queste domande, anch'egli capì che non avrebbe dovuto fare domande a proposito del battesimo dei discepoli.5.
11. In seguito si passò a discutere lungamente da una parte e dall'altra su diversi argomenti. Fra l'altro si disse che i nostri avrebbero continuato a perseguitare i loro seguaci; a noi diceva che voleva vedere come ci saremmo dimostrati in quella persecuzione, se avremmo cioè approvato quella crudeltà oppure avremmo rifiutato il nostro consenso. Rispondemmo che Dio vedeva nel nostro cuore nel quale essi non potevano vedere, che essi nutrivano ancora senza motivo il timore di vessazioni e che se anche capitassero, sarebbero opera di malvagi, ma che tra loro c'erano degl'individui ancora peggiori. Aggiungemmo che però non avremmo dovuto staccarci dalla comunione cattolica qualora per caso fosse stato compiuto qualche delitto contro la nostra volontà oppure nonostante gli sforzi che avessimo fatti per impedirli, avendo imparato la tolleranza pacifica dalle parole dell'Apostolo: Sopportandovi l'un l'altro con amore, studiandovi di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo àella pace 8. Aggiungemmo che a non mantenere questa pace e tolleranza furono gli autori dello scisma, come ora i più miti tra loro tollerano colpe anche più gravi perché non avvengano altre scissioni nella scissione, mentre non vorrebbero tollerare colpe più leggere per amore dell'unità stessa. Aggiungemmo pure che al tempo del Vecchio Testamento la pace dell'unità e la tolleranza non erano ancora state raccomandate tanto quanto lo furono poi con l'esempio del Signore e con l'amore proclamato dal Nuovo Testamento: cionondimeno i Profeti e i santi personaggi solevano denunciare al popolo le loro colpe senza tuttavia nemmeno lontanamente provare a distaccarsi dall'unità del popolo e continuando a partecipare in comune ai riti sacri di allora.5.
12. S'arrivò quindi, non so come, a ricordare la santa memoria di Genetlio, vescovo di Cartagine prima di Aurelio, che annullò un decreto emanato contro di loro e ne proibì l'applicazione. Tutti lo lodavano e lo esaltavano con grande entusiasmo. In mezzo a quelle grida di approvazione io soggiunsi che tuttavia perfino Genetlio, se fosse capitato tra le loro mani, avrebbero reputato necessario ribattezzarlo. Eravamo già alzati in piedi, quando pronunciammo tali parole perché urgeva il tempo di partire. Il buon vecchio disse apertamente che ormai era stata fissata la regola che qualunque dei nostri fedeli passasse nella loro setta doveva essere ribattezzato: appariva però chiaro con quale ripugnanza e dolore diceva ciò. Deplorava inoltre per parte sua in modo quanto mai esplicito molte ribalderie commesse dai suoi; mostrava pure quanto fosse alieno da simili azioni, com'era provato dalla testimonianza di tutta la città. Ricordava pure che soleva farne rimprovero perfino ai suoi correligionari lamentandosene con spirito di dolcezza e di moderazione. Noi rammentammo perciò il passo dei profeta Ezechiele ove chiaramente è scritto, che la colpa del figlio non deve imputarsi al padre, né quella del padre al figlio; in quel passo è detto: Poiché, come l'anima del padre, così l'anima del figlio è mia; qualunque anima peccherà sarà essa a perire 9. Dopo queste considerazioni e discussioni tutti fummo d'accordo che non ci dovevamo rimproverare a vicenda le violenze perpetrate dai malvagi dell'una e dell'altra parte. Rimaneva la questione dello scisma. Lo esortammo quindi a fare con noi sempre maggiori sforzi con calma e serenità, affinché si arrivasse a concludere, dopo diligente esame, la questione. Egli allora ebbe la bontà di dire che a desiderare una simile discussione, eravamo noi soli ma non i cattolici. Partimmo infine dopo avergli promesso che gli avremmo presentato molti nostri colleghi d'episcopato, certamente almeno dieci, desiderosi di discutere la questione con tanta benevolenza e mitezza, con tanto zelo religioso, quale m'ero accorto d'aver egli riscontrato e gradito in noi. Un numero altrettanto grande di suoi colleghi promise egli pure.6.
13. Vi esorto quindi e vi scongiuro, per il sangue del Signore, di ricordargli la sua promessa e d'insistere negli sforzi tendenti a condurre a termine l'impresa incominciata, che voi stessi vedete ormai condotta a buon fine. A mio parere, assai difficilmente potete trovare nei vostri vescovi una disposizione d'animo e una propensione tanto confacente quale ho constatato in questo vegliardo. Egli infatti venne da me il giorno dopo e cominciammo di nuovo a discutere questi problemi. Ma siccome da un momento all'altro dovevo partire per andare a compiere l'ordinazione di un vescovo, non potei trattenermi più a lungo con lui. Avevo tra l'altro mandato ad avvisare il Capo dei Celicoli, il quale - come avevo sentito dire - aveva istituito un nuovo battesimo presso i Donatisti e aveva sedotto molti con quell'empia sua eresia. Desideravo che venisse a intrattenersi a conversare con me per quanto ce lo avrebbe permesso la ristrettezza del tempo. Fortunio, venuto a sapere che quello sarebbe venuto, vedendo che mi ero assunto un'altra incombenza ed essendo anch'egli costretto a partire per non so quale necessità, si congedò da noi benevolmente e serenamente.6.
14. Per evitare poi ad ogni costo le turbe turbolente, più dannose che vantaggiose, e per portare a termine con l'aiuto di Dio e con animo veramente amichevole e tranquillo la grande impresa che ci siamo assunta, sarà bene - a mio parere - radunarci in un villaggio non grande, dove non ci sia alcuna chiesa dei fedeli di nessuna delle due confessioni, ma sia di proprietà dei nostri come dei loro, come sarebbe il villaggio di Tiziano. Sia dunque che un luogo siffatto venga trovato nel territorio di Tubursico, sia in quello di Tagaste o quello da me accennato o un altro qualsiasi, procuriamo che vi siano a nostra disposizione i Libri canonici della Sacra Scrittura e i documenti che potranno essere esibiti da una parte e dall'altra. In tal modo, messe da parte tutte le altre brighe, senz'essere disturbati, a Dio piacendo, da alcuna molestia, potremo dedicarci a quest'affare per tutti i giorni che potremo; pregando inoltre ciascuno di noi il Signore in casa del proprio ospite, con l'aiuto di Lui al quale è assai gradita la pace cristiana, potremo portare al termine della discussione un'impresa così importante, incominciata con tante buone disposizioni. Rispondi per farmi sapere qual'è la vostra opinione e quella di Fortunio a questo proposito.Scritta verso il principio del 398.
Alipio e Agostino si lamentano del lungo silenzio di due anni di Paolino (n. 1) e lo pregano d'inviare, appena terminata, l'opera contro i pagani, che da non molto hanno sentito dire egli stia componendo (n. 2).
A
LIPIO E AGOSTINO SALUTANO NEL SIGNORE I SIGNORI PAOLINO E TERASIA, VERI FRATELLI E DILETTISSIMI E DEGNI DI LODE IN CRISTO
1.
Non so perché tardate tanto a scriverci. Son passati già due anni interi che son tornati da voi i nostri carissimi fratelli Romano ed Agile e non abbiamo ancora ricevuto alcuna lettera da parte vostra. Il vostro silenzio non ci ha tuttavia resi pigri a scrivervi. Sì: riguardo ad altre cose, quanto più uno è amato, tanto più sembra degno d'essere imitato; ma riguardo a questa è il contrario. Insomma quanto più ardentemente vi amiamo, tanto meno sopportiamo che voi non ci scriviate e in ciò non desideriamo punto imitarvi. Ecco perché ci limitiamo a salutarvi, non avendo alcuna risposta da dare alle vostre lettere, di cui non ci è giunta alcuna, ma lo facciamo tuttavia almeno per chiedervene e manifestarvi il nostro non lieve dolore; potrebbe darsi però che anche la carità vostra si lamenti per lo stesso motivo se per caso le lettere che sapete di avere spedite a noi non siano giunte, e viceversa quelle inviate da noi non vi siano state recapitate. Se così stanno le cose, cambiamo le nostre lagnanze in preghiere al Signore, affinché non ci privi di un conforto sì prezioso.2.
Abbiamo sentito dire che stai scrivendo un'opera contro i Pagani; se è terminata, ti preghiamo di non tardare a inviarcela per mezzo del latore della presente: egli è una persona a noi cara, e possiamo testimoniare senza leggerezza la stima ch'egli gode nelle nostre regioni. Egli per mezzo nostro prega le vostre sante persone che vogliate raccomandarlo a coloro coi quali ha da sbrigare un affare, poiché teme che per la loro influenza la sua causa venga sopraffatta, per quanto essa sia giusta. Di che si tratti in proposito ve lo spiegherà meglio egli stesso; potete pure fargli domande anche sui particolari che per caso potrebbero lasciarvi perplessi. Noi reputiamo come cosa assai gradita e ne siamo gratissimi alla vostra bontà presso il Signore nostro Dio, se per mezzo vostro godremo della tranquillità del nostro fratello di fede.Scritta tra il 396 e il 399.
Un certo Pubblicola propone ad Agostino diciotto questioni.
P
UBLICOLA AL DILETTO E VENERANDO PADRE AGOSTINOSta scritto:
Interroga tuo padre e te lo rivelerà, i tuoi anziani e te lo diranno 1. Ecco perché ho creduto mio dovere farmi spiegare la legge dalla bocca di un vescovo nella presente faccenda che ti espongo in questa lettera, per essere anche istruito su diverse altre cose. Ho indicato in altrettanti capitoli le diverse e singole questioni, a ciascuna delle quali ti prego di avere la cortesia di rispondere.
1.
A quanto ho sentito dire, nel paese degli Arzugi i barbari, che si obbligano con un patto di accompagnare le vetture carreggianti merci dello Stato o che si obbligano a conservare i prodotti della terra, hanno l'usanza di prestare giuramento in nome dei loro demoni al decurione comandante della frontiera o al tribuno; in tal modo i singoli possidenti o fittavoli, credendo di poter contare sulla parola di quei barbari in base a una lettera uflìciale dei decurione, li assumono per far custodire i prodotti della terra, oppure li assumono come guide i singoli viaggiatori che hanno bisogno di attraversare il loro paese. Orbene, mi è nato nell'animo il dubbio: il proprietario che ha assunto un barbaro, la cui fedeltà gli è parsa salda a causa del giuramento proferito a nome dei demoni, non rimane forse contaminato egli stesso come pure ciò che il barbaro custodisce o chi viene accompagnato dal barbaro che lo scorta? Devi però sapere che il barbaro, che si lega col giuramento, riceve dal proprietario dell'oro per far la guardia ai prodotti della terra e lo riceve dal viaggiatore per fargli da scorta, d'altronde però a questa specie di mercede solita a darsi dal proprietario o dal viaggiatore è chiaro a tutti che s'accompagna pure il giuramento gravemente immorale, prestato al decurione o al tribuno. Ora io sono in angustia temendo che tale giuramento del barbaro contamina colui che lo riceve o le cose custodite dal barbaro. Infatti a qualunque patto venga impegnato il barbaro o dietro pagamento in oro o dietro consegna di ostaggi c'è sempre di mezzo un giuramento iniquo, a quanto ho sentito dire. Abbi quindi la bontà di rispondermi con precisione, senza esitazioni, poiché se mi rispondessi con esitazione io potrei cadere in dubbi ancor più gravi di quelli che mi assillavano prima d'inviarti questi quesiti.2.
Ho pure sentito dire che gli stessi fittavoli, che amministrano la mia proprietà, ricevono da quei barbari il giuramento in nome dei loro demoni per impegnarli come guardiani dei prodotti della terra. Se dunque il giuramento, da quelli prestato in nome dei loro demoni, per far la guardia a quei prodotti non li contamina, abbi la cortesia di spiegare se il cristiano che se ne ciba essendone a conoscenza, o si serve del provento ricavato dalle medesime cose, ne resti contaminato.3.
Così pure ho sentito dire da un tale che il barbaro non presta giuramento al fittavolo, mentre un altro affermava che quel giuramento viene fatto. Anche se chi disse che vien fatto il giuramento al fittavolo m'ha detto una bugia, per il fatto solo d'averlo sentito dire, devo forse astenermi dal servirmi di quei prodotti e del prezzo ricavatone, poiché è stato detto: Se qualcuno vi dicesse: Questa è carne di sacrifici idolatrici; non ne mangiate per riguardo a colui che v'ha avvisato 2? Il caso da me contemplato è forse simile a quello delle carni immolate agli idoli? E se è così, cosa dovrei fare di quei prodotti o del prezzo ricavatone?4.
Debbo forse far ricerche su tutt'e due coloro dei quali uno mi disse che quel giuramento non viene fatto al fittavolo e l'altro invece afferma il contrario, e dimostrare mediante testimoni chi dei due ha detto la verità astenendomi da quei prodotti o dal prezzo ricavato finché non mi sarà dimostrato aver detto la verità chi ha affermato che non si presta giuramento al fittavolo?5.
Se un barbaro, il quale presta un giuramento peccaminoso, esigesse per sé da un fittavolo o dal tribuno cristiano, che comanda la guarnigione alla frontiera, lo stesso giuramento gravemente peccaminoso da lui emesso allo scopo di avere garanzia del salvacondotto con cui gli si affida l'incombenza di fare la guardia ai prodotti della terra, è forse il solo cristiano ad essere contaminato, o anche le cose per le quali giura? Oppure, se un pagano, che comanda la guarnigione di frontiera, prestasse ad un barbaro un giuramento gravemente illecito per assicurargli la garanzia personale, contamina forse le cose per cui giura? Se poi mandassi uno ad Arzuges, sarebbe a costui lecito ricevere il giuramento gravemente peccaminoso? Se un cristiano ricevesse tale giuramento gravemente illecito, non sarebbe forse contaminato?6.
È forse lecito a un cristiano mangiare dei cibi sapendo che provengono dall'aia dove si trebbia il grano o legumi di qualsiasi specie o bere vino del torchio da cui è stato fatto un sacrificio al demonio?7.
È forse lecito portar via legna per proprio uso sapendo che appartiene a un bosco sacro?8.
Se uno andasse al macello a comprar della carne non sacrificata agli idoli e fosse combattuto da due opposti pensieri, se cioè è stata o non è stata immolata e poi, attenendosi alla supposizione che non sia stata immolata, la mangiasse, commetterebbe peccato o no?9.
Se uno facesse una cosa per sé buona, ma della quale uno dubitasse se è buona o cattiva, se - dico - la facesse pur credendo che potrebbe essere cattiva, gli sarebbe imputata a peccato?10.
Se uno mentisse dicendo che un commestibile è stato offerto in sacrificio agli idoli e poi confessasse d'aver mentito e davvero avesse mentito, sarebbe lecito a un cristiano mangiarne o venderlo e tenersi il prezzo ricavato da ciò di cui si è parlato?11.
Poniamo il caso che un cristiano in viaggio fosse costretto dalla necessità, vinto dalla fame di uno, due o più giorni in modo da non poter più resistere; poniamo che si trovasse nella condizione critica in cui vedesse avvicinarsi la morte a causa della fame; se trovasse del cibo in un tempio d'idoli ove non ci fosse persona viva e non gli fosse possibile trovare altro cibo, dovrebbe morire o mangiare quel cibo?12.
Se un cristiano si vedesse sul punto d'essere ucciso da un barbaro o da un Romano, potrebbe ucciderli lui per primo, per non essere ucciso da essi? Oppure, senza ucciderli, gli è lecito assalirti e respingerli, poiché è stato detto: Non resistere al male 3?13.
Se un cristiano deve costruire nel suo podere un muro per difendersi dagli attacchi nemici, non è causa di omicidio quel cristiano che ha costruito il muro, dall'alto del quale si fosse cominciato a combattere e a uccidere i nemici?14.
È lecito bere da una fonte o da un pozzo, in cui è stato gettato qualcosa offerta in sacrificio? Può inoltre un cristiano, in caso di necessità, bere acqua del pozzo di un tempio lasciato in abbandono? In un tempio ove ancora sono adorati gli idoli e v'è un pozzo o una fonte, nei quali non è stata compiuta alcuna cerimonia pagana, potrebbe un cristiano, se si trovasse in necessità, attingervi acqua e berne?15.
Potrebbe un cristiano bagnarsi nei bagni o nelle terme ove vengono offerti sacrifici agli idoli? Potrebbe un cristiano, in caso di necessità, lavarsi nei bagni ove i pagani hanno fatto il bagno in un giorno di festa idolatrica, sia in loro compagnia, sia senza di loro?16.
Potrebbe un cristiano scendere nella vasca da bagno ove si siano immersi i pagani in un giorno di festa idolatrica e vi abbiano compiuto qualche cerimonia sacrilega, di cui egli fosse al corrente?17.
Potrebbe darsi che un cristiano sia invitato presso qualcuno e gli venga servita della carne da mangiare e gli venga detto che è carne offerta agl'idoli, egli allora non la mangia, ma se poi per caso trovasse la stessa carne messa in vendita da qualcuno che l'ha portata al mercato ed egli la comprasse o se la vedesse servita a tavola da qualcun altro da cui è stato invitato e, senza riconoscerla, la mangiasse, commetterebbe peccato?18.
Potrebbe un cristiano comprare e mangiare erbaggi o qualche frutto ch'egli sa provenire dall'orto o dal podere sacro agli idoli o dei loro sacerdoti? Per evitarti poi la pena di cercare tutto ciò che è relativo al giuramento e agl'idoli, ho voluto metterti sotto gli occhi ciò che ho trovato con l'aiuto di Dio nella Sacra Scrittura. Se però troverai nella Sacra Scrittura qualche passo più esplicativo e più calzante, abbi la bontà d'indicarmelo. Ecco i passi da me trovati e cioè quello in cui Labano disse a Giacobbe: Il Dio di Abramo e il Dio di Nachor 4; ma la Scrittura non dichiara quale sia questo Dio. Così pure quando AbimeIcch andò da Isacco, col quale egli e i suoi compagni strinsero un giuramento 5; ma anche qui la Sacra Scrittura non dichiara di qual giuramento si trattasse. Così pure, a proposito degl'idoli, nel libro dei Giudici il Signore disse a Gedeone di offrire in olocausto il vitello da lui ucciso 6. E nel libro di Giosuè, figlio di Nave, a proposito di Gerico, Dio ordinò di riporre nei tesori del Signore tutto l'oro, l'argento e il vasellame di bronzo e così fu dichiarato sacro il bottino tolto da quella città maledetta 7. Così pure: che cosa significa l'espressione che si legge nel Deuteronomio: Non introdurre in casa tua un'abominazione, altrimenti saresti maledetto com'essa? 8. Il Signore ti conservi; ti saluto: prega per me.Scritta verso lo stesso tempo.
risponde a Publicola, premettendo la difficoltà di soddisfarlo (n. 1) e risolvendo poi alcune delle questioni proposte (n. 2-6).
A
GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE LO STIMATOE DILETTISSIMO FIGLIO
PUBLICOLA
1.
Le perplessità del tuo animo son divenute pure mie appena me le ha rivelate la tua lettera, non perché mi abbiano turbato tutti i problemi dai quali mi hai fatto sapere d'essere rimasto turbato, ma perché non so come toglierti tali perplessità. Ecco - te lo confesso - ciò che turba anche me, soprattutto per il fatto che mi chiedi di darti una risposta netta e precisa perché tu non abbia a cadere in perplessità maggiori di quelle che avevi prima di domandarmi spiegazioni. Io non vedo come una simile cosa sia in mio potere. Poiché in qualsiasi modo scriverò cose che mi parranno certissime, rimarrai senza dubbio ancor più incerto qualora non ti convincerò. Non dipende certo da me convertire alcuno alla mia opinione, come dipende da me avvertirlo dell'errore. Tuttavia, per non rifiutare alla tua Carità il mio modesto servigio, dopo avere alquanto deliberato tra me, ho creduto mio dovere risponderti.2.
Certamente ti lascia perplesso la questione se per assicurarsi della lealtà di uno è lecito servirsi della parola data con giuramento in nome dei demoni. A proposito di ciò vorrei che tu facessì questa riflessione: non ti pare che pecchi doppiamente chi giura in nome degli dèi falsi di mantenere la parola data e poi non la mantiene? Se con tale giuramento mantenesse la parola data, giudicheremmo che ha peccato solo per aver giurato in nome di tali dèi; ma nessuno biasimerebbe a ragione il fatto di aver mantenuta la parola. Ora invece per il fatto non solo di aver giurato nel nome di chi non avrebbe dovuto, ma pure d'aver fatto ciò che non avrebbe dovuto contro la parola data, pecca doppiamente; e perciò chi si serve della parola di uno, che si sa aver giurato in nome degli dei falsi, e se ne serve non per il male, ma per il lecito e il bene, non si associa al peccato di chi giura nel nome dei demoni, ma al patto legittimo di colui che in forza di esso ha mantenuto la parola data. Parlando però di "fede" da mantenere, non intendo parlare di quella in virtù della quale si chiamano fedeli i battezzati in Cristo, la quale è di gran lunga diversa e distinta da quella su cui si fondano gli accordi e i patti umani. Per altro è senza alcun dubbio meno male giurare il vero in nome d'una falsa divinità che giurare il falso in nome dei vero Dio. Poiché quanto più è santo ciò in nome del quale si giura, tanto più è colpevole lo spergiuro. È dunque un'altra questione se non pecca chi in nome di falsi dèi si fa prestare giuramento per il motivo che quegli che lo presta adora false divinità. Alla soluzione di essa possono giovare le citazioni da te ricordate a proposito di Labano e di Abimelech, seppure Abimelech giurò in nome dei suoi dèi, come Labano in nome del Dio di Nachor. Questa - ripeto - è un'altra questione, che forse mi procurerebbe difficoltà, se non mi venissero in aiuto gli esempi di Isacco e di Giacobbe e quanti altri se ne possono trovare nella Sacra Scrittura. Una difficoltà nondimeno potrebbe venire dal fatto che nel Nuovo Testamento è detto che non dobbiamo giurare affatto 1. Ma ciò mi pare detto non perché giurare il vero sia peccato, ma perché spergiurare è un orribile peccato, dal quale Chi ci esortò a non giurare affatto, volle che ci tenessimo lontani. So però che tu hai un altro parere; ma non dobbiamo discutere di ciò, per occuparci piuttosto di quesiti su cui hai pensato di chiedere il mio parere. Perciò allo stesso modo che tu non giuri, se ti aggrada, non costringere altri a giurare, ma, sebbene ci sia raccomandato di non giurare, in nessun passo della Sacra Scrittura ricordo che si legga la proibizione di ricevere il giuramento da parte di altri. Un'altra questione poi è se dobbiamo godere della sicurezza stabilita sul giuramento scambiato vicendevolmente tra persone. Se rifiutassimo ciò, non saprei dove trovare un luogo sulla terra in cui si possa vivere. Poiché non solo alla frontiera, ma in tutte le provincie la pace si stabilisce mediante giuramento prestato dai barbari. Ne deriva quindi che sarebbero contaminati ovunque non solo i prodotti agricoli custoditi da. coloro che giurano in nome dei falsi dèi, ma tutte le cose protette dalla stessa pace assicurata dal giuramento. Se è del tutto assurdo affermare ciò, non essere in ansia per le ansietà che finora hai provate.3.
Così pure, se un cristiano permette di prendere qualcosa dall'aia o dal torchio ch'egli sa destinata per i sacrifici dei demoni, pecca se lo permette e ha il potere d'impedirlo. Se poi viene a conoscere il fatto solo in seguito o non aveva il potere d'impedirlo, può servirsi dei rimanenti frutti non contaminati dai sacrifici pagani allo stesso modo che ci serviamo delle fonti, da cui sappiamo con tutta certezza che si attinge acqua per i sacrifici pagani. La stessa considerazione vale per i bagni. Così, per esempio, non esitiamo affatto d'introdurre nei polmoni l'aria, nella quale sappiamo che va a mescolarsi il fumo da tutte le are e gl'incensi dei demoni. È chiaro perciò che ci è proibito d'usare qualcosa in onore di divinità pagane oppure d'usarla in modo da dare l'impressione, a coloro che non conoscono la nostra intenzione, d'indurli col nostro esempio ad onorare queste superstizioni che noi tuttavia disprezziamo. E quando si distruggono templi, idoli, boschi sacri e cose del genere, è chiaro che siamo spinti a farlo non perché li onoriamo, ma piuttosto perché li disprezziamo: dobbiamo però servircene solo per le nostre proprie necessità private, in modo che sia ben palese che li distruggiamo mossi dal nostro sentimento di fede e non da cupidigia. Quando invece si destinassero non già ad utile personale e privato, ma all'onore di Dio, avviene in quelle cose il cambiamento che si avvera negli uomini che da sacrileghi ed empi si convertono alla vera religione. Questo è l'insegnamento che Dio volle farci intendere in quei passi da te citati, quando per esempio ordinò di usare legna presa da un boschetto sacro di divinità pagane per l'olocausto 2 o che tutto l'oro, l'argento e il vasellame di bronzo di Gerico fosse riposto nei tesori del Signore 3. Ecco pure perché nel Deuteronomio sta scritto: Non bramare l'argento e l'oro di essi e non prenderne per te per non incorrere in trasgressioni a causa di esso, poiché è un'abominazione per il Signore, Dio tuo, e non introdurre in casa tua una cosa abominevole, altrimenti sarai una persona maledetta come lo è essa e andrai a inciampare e sarai contaminato da quell'abominazione poiché è roba maledetta 4. Ciò indica chiaramente che è proibito prendere tali cose per uso privato o portarle a casa per farne oggetto di culto, poiché in tal caso sarebbe un oggetto abominevole ed esecrabile, ma non già quando se ne distrugge pubblicamente il culto sacrilego.4.
Riguardo poi ai cibi offerti agl'idoli, tieni per certo che non dobbiamo osservare se non quanto ha comandato l'Apostolo. Ricorda quindi su questo punto le sue parole, che io ti spiegherei secondo le mie capacità se fossero oscure. Non pecca certamente chi, senza saperlo, mangia un cibo che precedentemente aveva respinto perché offerto agli idoli. Erbaggi e frutta di qualsiasi campo sono del Creatore, poiché del Signore è la terra e ciò ch'essa contiene 5 e: Ogni cosa creata da Dio è buona 6. Ma se i frutti dei campi sono consacrati o sacrificati a un idolo, allora devono annoverarsi tra i cibi offerti agl'idoli. Bisogna infatti guardarsi dal pensare che non bisogni mangiare erbaggi prodotti nell'orto d'un tempio d'idoli; poiché dovremmo per conseguenza pensare che gli Apostoli non avrebbero dovuto mangiare ad Atene, per il fatto che la città era consacrata a Minerva e alla sua potenza divina. Lo stesso risponderei a proposito del pozzo o del fonte situato in un tempio. Maggior difficoltà presenta effettivamente il caso di oggetti usati per i sacrifici e gettati in un fonte o in un pozzo. Ma vale la stessa norma dell'aria che accoglie tutto il fumo dei sacrifici, di cui già s'è fatto cenno; si potrebbe però pensare che c'è una differenza in quanto il sacrificio, il cui fumo si mischia nell'aria, non è offerto all'aria stessa, ma ad un idolo o demonio; talora però la materia del sacrificio è gettata nelle acque per offrire il sacrificio alle acque stesse; ma cionondimeno non ci asteniamo di godere la luce di questo sole per il fatto che gl'idolatri non cessano d'offrirgli sacrifici. Si fanno sacrifici pure ai venti, di cui tuttavia ci serviamo per tanti nostri vantaggi, sebbene sembri che in certo modo assorbano e divorino il fumo dei sacrifici. Se uno ha dubbi che la carne sia stata offerta agl'idoli ma non lo è, e persiste nel pensare che non è stata offerta agl'idoli e se ne ciba, certamente non pecca, poiché non è carne offerta agl'idoli né lo si crede più in seguito, sebbene prima lo si credesse, poiché non è illecito correggere il proprio parere passando dal falso alla verità. Se invece uno avesse la convinzione ch'è bene ciò ch'è male e agisse con tale convinzione, certamente peccherebbe. Ma sono tutti peccati d'ignoranza, per cui, credendo di fare il bene, si fa il male.5.
Non mi piace poi il parere per cui uno possa uccidere delle persone per non essere ucciso da esse, salvo che a farlo non sia un soldato o chi è obbligato al servizio pubblico, salvo cioè che uno agisca non per se stesso, ma a difesa degli altri o dello Stato di cui fa parte, qualora è legittimamente autorizzato e la sua azione è conforme alla sua funzione. Quanto poi a incutere terrore per respingere individui perché non compiano del male, forse si rende un servizio pure ad essi. Per questo è stato detto: Non resistiamo al male 7, perché non prendiamo gusto nella vendetta che pasce l'animo col male altrui, e non perché trascuriamo di castigare gli uomini. Per lo stesso motivo non è colpevole dell'altrui morte chi ha costruito un muro attorno al suo podere e uno muore schiacciato sotto le rovine di esso. Poiché non è colpevole un cristiano se uno rimane ferito dal proprio bue o ucciso dal calcio del proprio cavallo: altrimenti i buoi del cristiano non dovrebbero avere le corna né il cavallo gli zoccoli né il cane i denti! L'apostolo Paolo non si diede forse la pena di far arrivare a conoscenza del tribuno che gli si tendevano agguati da certi delinquenti e ricevette perciò una scorta di soldati armati? 8. Nell'eventualità che fossero capitati tra questi armati quei delinquenti, avrebbe forse Paolo dovuto riconoscere d'essere colpevole dell'effusione del loro sangue? Non è ammissibile che sia imputato a noi il male che può accadere a qualcuno senza che noi lo vogliamo nel difendere le nostre proprietà o nel compiere azioni per motivi buoni e leciti. Altrimenti non si dovrebbero avere neppure arnesi di ferro, necessari in casa o in campagna, per evitare che uno con essi uccida se stesso e gli altri, né alberi o funi per evitare che uno vi s'impicchi; e non si dovrebbe fare neppure una finestra per evitare che uno si precipiti da essa. Ma a che ricordare altri esempi? Non finirei mai se volessi enumerare tutti i casi di tal genere! V'è infatti forse qualcosa che sia usata bene e lecitamente dalle persone, con la quale non si possa procurare anche qualche disgrazia?6.
Resta, se non m'inganno, ch'io dica una parola su quel viaggiatore cristiano da te ricordato. S'egli fosse sopraffatto dalla fame e non riuscisse a trovare in nessun luogo cibo se non in un tempio dedicato agl'idoli, dove non ci fosse persona viva, dovrebbe egli morire di fame piuttosto che prendere quel cibo? Nella tua domanda non risulta chiaro se quel cibo sia o no un'offerta fatta agl'idoli. Potrebbe infatti essere stato abbandonato là per dimenticanza o di proposito da gente che passando di lì avesse fatto sosta per rifocillarsi o messo lì per un altro motivo qualsiasi. Orbene, ecco in breve la mia risposta: o è certo che il cibo è stato offerto agl'idoli o è certo che non lo è stato, oppure non si sa. Se dunque è certo, che è stato offerto agl'idoli, è meglio respingerlo con cristiana fortezza; se invece non lo è o non si sa, in caso di necessità si può prendere per le proprie esigenze senza alcuno scrupolo.Scritta forse nel 398.
A. esorta l'abate Eudossio a usare della quiete per fomentare la pietà, non la pigrizia e a non rifiutare l'opera richiesta dalla Chiesa (n. 1-2), cercando sempre la gloria di Dio (n. 3-4).
A
GOSTINO E I SUOI CONFRATELLI SALUTANO IN CRISTOIL DILETTO E CARISSIMO
EUDOSSIO,FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO, E I SUOI CONFRATELLI
1.
Quando noi pensiamo alla pace che voi godete in Cristo, la gustiamo anche noi nella vostra carità, benché viviamo in mezzo a varie e dure fatiche. Noi infatti formiamo un solo corpo sotto un solo Capo, per modo che voi siete attivi in noi e noi siamo in voi contemplativi; poiché se soffre un membro, soffrono con esso tutte le altre membra; e se un membro è glorificato, ne godono con esso tutte le altre membra 1. Vi esortiamo dunque, vi preghiamo e vi scongiuriamo per la profondissima umiltà e la eccelsa misericordia di Cristo, di ricordarci nelle vostre sante preghiere, che crediamo siano da voi elevate con maggior vigilanza e attenzione, mentre le nostre vengono strapazzate e offuscate dalla confusione e dal tumulto degli atti processuali secolari che riguardano non già noi, ma coloro i quali se ci costringono a fare con loro un miglio, se ci si comanda di andare con essi per altri due 2; siamo assillati da tante questioni che a stento possiamo respirare. Siamo però pienamente convinti che Colui, al cui cospetto arrivano i gemiti dei prigionieri 3, se saremo perseveranti nel ministero in cui si è degnato collocarci con la promessa del premio, ci libererà da ogni angustia con l'aiuto delle vostre preghiere.2.
Vi esortiamo quindi nel Signore, o fratelli, che pratichiate l'ideale religioso abbracciato e perseveriate fino alla fine 4; se la Chiesa richiederà i vostri servigi, non assumeteli per brama di salire in alto né rifiutateli spinti dal dolce far nulla, ma ubbidite con mitezza di cuore a Dio sottomettendovi con mansuetudine a Colui che vi dirige, che guida i miti nella giustizia e ammaestra i docili nelle sue vie 5. Non vogliate neppure anteporre la vostra pace alle necessità della Chiesa; se nessuno tra i buoni volesse prestarle l'opera nel generare nuovi figli, nemmeno voi avreste trovato il modo di nascere alla vita spirituale. Orbene, come si deve camminare tra il fuoco e l'acqua senza bruciare né annegare, così dobbiamo regolare la nostra condotta tra il vertice della superbia e la voragine della pigrizia, senza deviare - come dice la Scrittura - né a destra né a sinistra 6. Vi sono infatti di quelli che, mentre temono eccessivamente d'essere per così dire trascinati a destra e d'insuperbirsi, vanno a cadere nella sinistra affondandovi. Ci sono d'altronde di quelli che, mentre si allontanano eccessivamente dalla sinistra per non lasciarsi inghiottire dallo snervante torpore dell'ozio, dall'altra parte si lasciano corrompere e divorare dall'orgoglio e dalla vanità fino a dileguarsi in fumo e faville. Amate dunque, carissimi, la vostra pace, in modo da reprimere ogni piacere terreno e ricordatevi che non v'è luogo ove non possa tendere i suoi lacci colui il quale teme che riprendiamo lo slancio verso Dio, e che noi, dopo essere stati suoi schiavi, giudichiamo il nemico di tutti i buoni: pensiamo inoltre che non ci sarà per noi riposo perfetto fino a quando non passerà l'iniquità e la giustizia non si muterà in giudizio 7.3.
Similmente, quando agite animosamente e alacremente e operate con entusiasmo, sia digiunando, sia facendo elemosina, sia dando aiuto agl'indigenti; quando perdonate le offese, come anche Dio ci ha perdonato in Cristo 8, e reprimete le dannose abitudini; quando castigate il corpo, rendendolo schiavo 9 e sopportate la tribolazione e innanzitutto voi stessi nell'amore (cosa potrebbe infatti sopportare chi non sopporta il fratello?), quando state in guardia dall'astuzia e dalle insidie del tentatore, respingendo ed estinguendo i suoi dardi infocati collo scudo della fede 10, oppure cantando e salmeggiando al Signore con tutto il cuore 11 o con voci non discordanti dal cuore, fate tutto a gloria di Dio, che opera tutto in voi 12; siate inoltre ferventi di spirito 13, affinché la vostra anima si vanti nel Signore 14. Questa è l'attività di chi cammina sulla retta strada, che ha gli occhi sempre rivolti al Signore, poiché egli estrarrà dal laccio i piedi 15. Tale attività non è riarsa dalla febbre dell'azione né raffreddata dall'inazione, non è né turbolenta né snervata, non è né audace né ritrosa, né precipitosa, né languida. Mettete in pratica queste massime e il Dio della pace sarà con voi 16.4.
La vostra carità non voglia giudicarmi importuno, se ho voluto parlare con voi almeno per mezzo d'una lettera. Non ho inteso infatti farvi un richiamo perché adempiate doveri che io pensi voi non adempiate, ma ho solo pensato che sarei stato un poco raccomandato a Dio da voi se, nel compiere per grazia di Dio i vostri doveri, vi ricorderete di me che vi ho rivolto quest'esortazione. Poiché già la precedente fama ed ora i fratelli Eustazio e Andrea, giunti da parte vostra, hanno recato fino a noi il buon profumo di Cristo 17 che emana dalla vostra santa condotta. Di essi Eustazio ci ha preceduto in quella pace, che non è battuta da nessun'onda, come lo è la vostra isola, e non sente più desiderio della Capraia, poiché non ha più ormai bisogno di cingere il cilizio.Scritta forse nel 398.
Agostino ringrazia il vescovo donatista Onorato d'aver incaricato Erote della discussione tra Cattolici e Donatisti (n. 1); gli chiede poi che per iscritto e con serenità gli spieghi come mai la qualifica di Chiesa, la quale, come fu predetto si sarebbe diffusa su tutta la terra, si sia ridotta alla piccola chiesa dei Donatisti (n. 2-3).
A
GOSTINO VESCOVO DELLA CHIESA CATTOLICA,AD
ONORATO, VESCOVO DELLA SETTA DONATISTA
1.
Approviamo con molto piacere la tua decisione, che hai avuto la cortesia di farmi conoscere per mezzo di Erote, nostro carissimo fratello e degno d'essere lodato in Cristo, d'intavolare cioè tra noi una discussione per mezzo di lettere: in tal modo nessun tumulto della folla verrà a turbare la faccenda dei nostri rapporti che deve essere intrapresa e trattata con spirito di perfetta dolcezza e pace, come dice l'Apostolo: Il servo del Signore non deve litigare, ma essere benigno con tutti, capace d'insegnare, paziente, mansueto nel riprendere chi ha opinioni contrarie 1. Ti espongo quindi in breve i punti sui quali desideriamo che tu ci dia una risposta.2.
Dato che vediamo la Chiesa di Dio, cioè la Chiesa Cattolica, diffusa su tutta la terra secondo le predizioni delle profezie, riteniamo per certo che non dobbiamo avere dubbi riguardo al compimento evidentissimo della santa profezia, confermata anche dal Signore nel Vangelo e dagli Apostoli, per opera dei quali la medesima Chiesa è stata estesa, secondo la predizione concernente essa stessa. In realtà all'inizio del santo libro dei Salmi così è scritto del Figlio di Dio: Il Signore mi ha detto: Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato; chiedimi e ti darò in eredità le genti e come tuo possesso i confini della terra 2. Lo stesso Signore Gesù Cristo afferma che il suo Vangelo sarà annunciato a tutte le genti 3. L'apostolo Paolo inoltre, prima che arrivasse nell'Africa la parola di Dio, proprio all'inizio dell'Epistola ai Romani dice di Gesù Cristo: Per mezzo del quale ricevemmo la grazia e l'apostolato per sottomettere alla fede nel nome di lui tutte le genti 4. L'Apostolo poi predicò il Vangelo da Gerusalemme in tutte le regioni circonvicine per tutta l'Asia fino all'Illirico 5, costituì e fondò le Chiese, non già lui, ma la grazia di Dio con lui 6, come attesta egli stesso. E cosa mai può apparire di più evidente del fatto che nelle sue lettere troviamo pure i nomi di regioni e città? Egli scrive ai Romani, ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Tessalonicesi, ai Colossesi. Anche Giovanni scrive alle sette Chiese 7, costituite - com'egli ricorda - in quelle regioni (nel cui numero di sette sappiamo che si vuol mettere in rilievo l'universalità della Chiesa e cioè alle Chiese di Efeso, Smirne, Sardi, Filadelfia, Laodicea, Pergamo, Tiatira). Con tutte queste Chiese è evidente che noi comunichiamo, com'è evidente che voi invece non comunicate.3.
Ti chiedo dunque che non ti dispiaccia di rispondere per qual motivo - ammesso che tu lo conosca - è accaduto che Cristo abbia perduta la sua eredità sparsa per tutta la terra e rimasta confinata d'improvviso nella sola Africa, anzi neppure nell'intera Africa. Certo la Chiesa Cattolica è pure in Africa, poiché Dio volle e predisse che fosse in tutte le parti della terra, ma il vostro partito, che prende nome da Donato, non esiste in quelle località in cui furono indirizzare le lettere e vi si svolse la predicazione e l'attività degli Apostoli. Ma affinché non diciate che la nostra Chiesa non si chiama Cattolica bensì Macariana, come la chiamate voi, devi sapere (e si può saperlo assai facilmente), che in tutte quelle regioni dalle quali il Vangelo di Cristo si diffuse nelle nostre regioni, non si conosce né il nome di Donato né quello di Macario. Al contrario nemmeno voi potete negare che il vostro partito si chiama di Donato ed è conosciuto ovunque si trova la vostra comunione. Ti piaccia dunque rispondere e farci sapere com'è possibile che Cristo abbia perduto la sua Chiesa in tutto il mondo ed ha incominciato ad averla solo in mezzo a voi: tocca a voi dimostrarlo, poiché per quanto riguarda la nostra causa, basta vedere le profezie e le Sacre Scritture compiute in tutto il mondo. A dettare la presente sono stato proprio io, Agostino, perché da tempo cercavo di conferire con te su questo argomento. Mi pare infatti che, grazie pure alla nostra vicinanza, potremo, coll'aiuto di Dio, discutere insieme di questo problema mediante uno scambio di lettere, nella misura richiesa dalla necessità, senz'essere disturbati.Scritta dopo l'estate del 399.
A Suffetula, nell'Africa Bizacena a Sud-Est di Cartagine, era stata abbattuta dai Cristiani una statua di Ercole in applicazione della legge emanata da Onorio il 10 luglio 399, che ordinava la soppressione del culto idolatrico. I pagani avevano massacrato per vendetta ben sessanta Cristiani. Agostino stigmatizza l'orrendo delitto promettendo la restituzione della statua; ma in qual modo potranno essi restituire ai Cristiani tante vite abbattute dalla loro ferocia?
A
I CAPI, AI MAGGIORENTI, AI NOTABILIDELLA
COLONIA SUFFETANAA
GOSTINO VESCOVO1.
Il mostruoso delitto perpetrato da voi e ormai famigerato dovunque, l'inattesa manifestazione della vostra crudeltà ha scosso la terra e percosso il cielo, mentre nelle vostre piazze e nei vostri templi si vede ancora il sangue versato e riecheggia all'orecchio il grido delle persone da voi uccise. Voi avete sotterrato le leggi di Roma, avete messo sotto i piedi il terrore dei regolari processi, avete perduto ogni rispetto e timore dovuto agl'Imperatori! Da voi è stato sparso il sangue innocente di sessanta nostri fratelli e chi più ne ha uccisi è stato più elogiato, anzi ha ottenuto perfino il più alto posto nella vostra Curia! Ma lasciamo stare queste cose e veniamo all'affare principale. Se voi sosterrete che Ercole è vostra proprietà, noi ve lo restituiremo senz'altro: abbiamo i metalli e non mancano le pietre; c'è inoltre tutta una varietà di marmi e si trovano artisti in abbondanza. Già si lavora attivamente a scolpire, tornire e decorare accuratamente il vostro dio. Gli tingeremo le guance di rosso, per rialzare il tono delle vostre cerimonie sacre! Se, insomma, affermerete che Ercole è vostra proprietà, vi compreremo il vostro dio fabbricato da un vostro artefice raccogliendo una somma con offerte personali! Voi però restituiteci le persone massacrate da un vostro branco di carnefici. Come noi restituiremo il vostro Ercole, così restituiteci voi pure tante persone alle quali avete troncato la vita!Scritta tra il 399 e il 400.
Agostino esorta Crispino a rispondere per lettera ad alcuni argomenti proposti circa lo scisma (n. 1), ricordandogli che gli stessi Donatisti riammisero nell'episcopato gli autori di un altro scisma avvenuto nell'interno del loro scisma (n. 2); confuta le calunnie di presunte persecuzioni dei Cattolici contro i Donatisti (n. 3) e l'affermazione che i Cattolici non hanno il battesimo cristiano (n. 4-5).
[
A CRISPINO] il destinatario manca nei manoscritti1.
Ho premesso questa soprascritta alla mia lettera poiché i vostri rimproverano la nostra umiltà; potrebbe sembrare che io abbia fatto ciò per arrecarti un affronto se non aspettassi da te una risposta nei termini usati da me. Perché dovrei usare molte parole per ricordarti la promessa da te fatta a Cartagine o le mie preghiere insistenti? In qualunque modo fin'ora abbiamo agito, il passato non c'impedisca di compiere il resto. Ora per grazia di Dio non c'è scusa che tenga, a mio parere: tutt'e due siamo in Numidia e siamo vicini l'uno all'altro. M'è giunta la voce che vuoi provare ancora a discutere con me sulla questione che divide la nostra comunione. Vedi come in breve si tolgono di mezzo tutte le tergiversazioni. Rispondi alla presente lettera, se lo vuoi; forse ciò sarà sufficiente non solo a noi, ma pure a quanti desiderano ascoltarci; se non basterà, riprenderemo e ci scambieremo la nostra corrispondenza epistolare fino a che basti. Quale comodità maggiore ci potrebbe offrire la vicinanza sì grande delle città in cui abitiamo? Ho stabilito infatti di non trattare con voi su questo argomento se non per corrispondenza epistolare, non solo perché a nessuno di voi sfugga dalla memoria ciò che si dice, ma anche per non privarne quanti hanno a ciò interesse e per caso non possono partecipare al dibattito. Voi siete soliti mettere in campo ripetutamente le falsità che volete a proposito di fatti del passato, forse non tanto per gusto di mentire quanto per errore. Se quindi siete d'accordo, giudichiamo i fatti passati in base ai presenti. Senza dubbio ricordi come ai tempi del popolo prediletto fu commesso pure il sacrilegio dell'idolatria 1 e dal re dispregiatore fu bruciato il libro del profeta 2; il peccato dello scisma non sarebbe stato punito in modo più crudele che questi due peccati, se non fosse giudicato più grave. Ricordi infatti come gli autori dello scisma furono inghiottiti vivi dalla terra e quanti avevano acconsentito furono inceneriti dal fuoco caduto dal Cielo 3. Né la costruzione e l'adorazione dell'idolo, né il bruciamento del libro sacro meritarono un simile castigo.2.
Perché dunque voi, che siete soliti rinfacciarci colpe dei nostri che non son provate ma che sono piuttosto provate nei confronti dei vostri, di coloro cioè che, spinti dalla paura della persecuzione, consegnarono i Libri del Signore perché fossero bruciati nel fuoco; perché dunque avete accolto di nuovo nel medesimo episcopato coloro che avevate condannati, dico Feliciano Mustitano e Pretestato Assuritano? E dire che, rei di aver provocato lo scisma, li avevate condannati "con sentenza veridica del vostro concilio plenario", come è scritto negli Atti relativi! Nessuno di questi due - come voi dite a chi non conosce i fatti - era del numero di coloro ai quali il vostro concilio aveva prorogato e fissato un termine, passato il quale, se non fossero tornati alla vostra comunione, sarebbero stati sottoposti alla pena stabilita dalla medesima sentenza; questi erano invece del numero di quelli da voi condannati senza dilazione, in quel giorno in cui a quelli concedeste la dilazione. Se lo negherai lo proverò. Il vostro concilio è molto esplicito a tal proposito; abbiamo pure nelle nostre mani gli Atti proconsolari, nei quali avete esposto non una sola volta il fatto. Prepara dunque un'altra difesa, se lo puoi, per non frapporre indugi col negare ciò che io proverò irrefutabilmente. Poiché se Feliciano e Pretestato erano innocenti, perché mai furono colpiti da quella condanna? Se invece erano colpevoli, perché furono poi reintegrati? Se proverai che sono innocenti, perché non dovremmo noi credere che poterono essere condannati degli innocenti sotto la falsa accusa d'aver consegnato i Libri Sacri, da un numero molto minore di vostri predecessori, se da trecentodieci loro successori poterono essere condannati degli innocenti sotto l'imputazione d'una falsa colpa, in base a una sentenza da voi detta pomposamente: "sentenza veridica del concilio plenario"? Se invece proverai che furono condannati giustamente, qual difesa ti rimane per giustificare che furono reintegrati nel medesimo episcopato, se non esagerando l'utilità e il vantaggio della pace, per dimostrare che si debbano tollerare pure queste colpe per non spezzare il vincolo dell'unità? Volesse il cielo che tu agissi non solo con le forze della parola, ma pure del cuore! Allora comprenderesti certamente che non dev'essere violata da nessuna calunnia la pace di Cristo diffusa per tutta la terra, se è lecito in Africa reintegrare nel medesimo vescovado perfino vescovi condannati per un sacrilego scisma.3.
Un'altra delle solite vostre accuse lanciate contro di noi è che vi perseguitiamo per mezzo delle autorità civili. A questo proposito non voglio discutere quale castigo meritereste per la gravità di un sì mostruoso peccato, o quanto siamo moderati verso di voi per spirito di cristiana mansuetudine; dico solo: se questa è una colpa, perché mai voi avete perseguitato con tanto accanimento i Massimianisti invocando contro di essi l'autorità dei giudici inviati dagli Imperatori i quali furono per mezzo del Vangelo generati a Cristo dalla nostra comunione? Perché li avete scacciati dalle basiliche che essi occupavano già al momento in cui avvenne lo scisma? Perché li avete spaventati con lo strepito delle vostre controversie, con le ordinanze dei magistrati, con gli assalti delle truppe di polizia? Le traversie da essi patite in ogni luogo durante tale persecuzione sono attestate da tante tracce di fatti recenti; quali ordini furono impartiti è indicato dai registri pubblici; le terre, in cui viene pure venerata come santa la memoria di quel famigerato vostro capo militare che fu Ottato, parlano ancora ad alta voce delle azioni da voi compiute contro di essi.4.
Siete pure soliti affermare che noi non abbiamo il battesimo di Cristo, anzi ch'esso non esiste in nessun'altra comunione all'infuori della vostra! Potrei fare su tale argomento una dissertazione piuttosto lunga, ma qual bisogno ce n'è contro di voi, i quali, nell'accogliere Feliciano e Pretestato, accoglieste pure il battesimo dei Massimianisti? Ecco tutti quelli che essi battezzarono quand'erano in comunione con Massimiano, allorché tentaste di scacciare dalle loro basiliche mediante un lungo dibattito giudiziale - come attestano i verbali degli Atti - i due espressamente nominati, cioè Feliciano e Pretestato; tutti quelli dunque i quali in quel tempo essi battezzarono, ora li hanno con sé e con voi; quei tali furono battezzati non solo in caso di gravi malattie, ma pure durante le solennità pasquali in tante chiese appartenenti alle loro città e anche nelle stesse grandi città, ove ricevettero il battesimo fuori della vostra comunione pur rimanendo nell'empio scisma. A nessuno di essi fu ripetuto il battesimo. Volesse il cielo che voi poteste provare che, dopo la riassunzione di Feliciano e Pretestato [nella vostra setta] sia stato ripetuto (perché, secondo voi, fosse valido) il battesimo di tutti quelli ai quali era stato conferito (secondo voi in modo invalido) da quei due quando erano nell'empio scisma ma fuori [della vostra setta]. Se infatti questi dovevano esser battezzati di nuovo, dovevano essere ordinati di nuovo anche quei due. Poiché se non potevano battezzare fuori della vostra comunione avevano perduto l'episcopato staccandosi da voi: se invece staccandosi da voi non avevano perduto l'episcopato, potevano ben conferire il battesimo. Se poi avevan perduto l'episcopato, tornando dovevano ricevere di nuovo l'ordinazione. Ma non temere: com'è certo ch'essi ritornarono con la medesima dignità vescovile con la quale erano usciti, così è certo che quanti amministrarono il battesimo nello scisma di Massimiano si riconciliarono con la vostra comunione senza che venisse affatto ripetuto il Battesimo.5.
Quali lacrime sarebbero mai sufficienti per piangere che si accetti il battesimo dei Massimianisti e si respinga con disprezzo il Battesimo della Chiesa universale? Dopo averli giudicati o senza averli giudicati, a ragione o a torto avete condannato Feliciano, avete condannato Pretestato; orbene, dimmi: chi dei vostri giudicò mai o condannò un vescovo di Corinto, della Galazia, di Efeso, dì Colosse, di Filippi, di Tessalonica e di tutte le altre città, a proposito delle quali è stato detto: Si prostreranno in adorazione dinanzi a Lui tutte le famiglie delle genti 4? Dunque, si accetta il battesimo di costoro e si respinge con disprezzo il battesimo di quelli che non sono né degli uni né degli altri, ma di Colui del quale è stato detto: Questo è colui che battezza 5? Ma non parlo di ciò: tu fissa l'attenzione ai fatti che sono evidenti, osserva bene i fatti che colpiscono perfino gli occhi d'un cieco: persone condannate hanno il battesimo e non lo hanno persone neppure giudicate? Hanno il battesimo persone nominate espressamente come colpevoli di scisma e scomunicati, e non l'hanno persone sconosciute ai Donatisti, lontane dalle regioni di questi, mai giudicate? Lo hanno quelli staccatisi da una setta scismatica dell'Africa e non l'hanno quelli ai quali venne nell'Africa lo stesso Vangelo? Ma perché sto ad importunarti con altre considerazioni? Rispondi alle mie domande: considera quanto eccessivamente è stata valutata dal vostro concilio l'empietà dello scisma nei confronti dei Massimianisti; considera le persecuzioni loro inflitte da voi per mezzo del potere giudiziario; considera il battesimo di quelli che accoglieste insieme con quelli da voi condannati e, se puoi, rispondi se avete qualche argomento per ingenerare confusione negli ignoranti: perché mai vi siete staccati da tutto il mondo cattolico con uno scisma di gran lunga più colpevole di quello che vi vantate di aver condannato nei riguardi dei Massimianisti? La pace di Cristo trionfi nel tuo cuore.Scritta forse nel 399-400.
Agostino esorta Severino, suo consanguineo donatista, ad abbandonare lo scellerato scisma, lamentando di non essere uniti nell'unico Corpo di Cristo, la Chiesa (n. 1), analizza poi il concetto di unità cattolica e di eredità cristiana (n. 2-4).
A
GOSTINO AL DESIDERATISSIMO SIGNOREE CARISSIMO FRATELLO
SEVERINO1.
Sebbene la lettera della tua Fraternità mi sia giunta assai in ritardo e non l'aspettassi ormai più, tuttavia mi ha fatto gran piacere riceverla e molto più mi sono rallegrato nel sapere che il vostro servo è venuto ad Ippona per questo solo scopo, di recapitarmi cioè la lettera della Fraternità tua. Ho immaginato che non senza un motivo ti è venuto in mente il ricordo della nostra parentela, ma forse perché ti accorgi chiaramente, dotato come sei di singolare equilibrio e di prudenza, a me ben noti, quanto sia deplorevole il fatto che, pur essendo fratelli per via di sangue, non viviamo nell'unica comunanza del Corpo mistico di Cristo, soprattutto perché ti sarebbe facile considerare e vedere la città posta sul monte, di cui il Signore nel Vangelo dice che non può rimanere nascosta 1. Ora tale città è la Chiesa cattolica, chiamata appunto in greco2.
Ecco invece la setta di Donato, limitata ai soli Africani, formulare accuse ereticali contro la Chiesa Cattolica senza considerare, a causa della sua sterilità per cui ha rifiutato di produrre frutti di pace e di carità, d'essersi staccata dalla radice delle Chiese Orientali, dalle quali è venuto all'Africa il Vangelo; se si porta ai Donatisti un po' di terra da quelle regioni la venerano, mentre poi, se arriva di là un fedele, lo esorcizzano e lo ribattezzano! Ma dal Figlio di Dio, che è la verità 2, fu già predetto ch'egli è la vite, i suoi figli i tralci e il Padre l'agricoltore: Il tralcio che in me non porta frutto, il Padre mio lo reciderà e il tralcio che in me porta frutto, lo rimonda affinché porti frutto più abbondante 3. Non c'è dunque da meravigliarsi se da quella vite, ch'è cresciuta e ha riempito tutta la terra 4, si sono staccati coloro che non hanno voluto produrre il frutto della carità.3.
Se i Donatisti avessero rinfacciato ai propri colleghi delle vere colpe, quando i loro predecessori fecero lo scisma, avrebbero vinto la causa presso la Chiesa d'oltremare, dalla quale è venuta la garanzia della fede cristiana, di modo che sarebbero rimasti fuori quelli ai quali rinfacciavano le medesime colpe. Ora invece, dato che gli accusati si trovano entro la Chiesa e comunicano con le Chiese apostoliche, i cui nomi i Donatisti leggono registrati nella Sacra Scrittura, mentre essi sono fuori e separati da quella comunione, chi non capirebbe che avevano pienamente ragione quelli che poterono farla riconoscere presso giudici imparziali? Se invece i Donatisti avevano una ragione fondata e non poterono dimostrarla alle Chiese d'oltremare, quale offesa arrecò loro la Chiesa di tutto il mondo quando i vescovi non poterono condannare temerariamente i propri colleghi i quali presso di loro non erano stati convinti delle colpe loro rinfacciate? Intanto viene reiterato il battesimo a persone innocenti e Cristo è rigettato con disprezzo in quegli innocenti. Se proprio i Donatisti conoscevano delle vere colpe commesse dai loro colleghi Africani e trascurarono d'indicarle e dimostrarle alle Chiese d'oltremare, da se stessi si staccarono dall'unità cristiana con uno scisma sacrilego e scellerato e non hanno alcuna giustificazione - voi lo sapete bene - soprattutto perché sorsero tra loro molti scellerati e li tollerarono per tanti anni allo scopo di non lacerare la setta di Donato, mentre rinfacciandoci in quella circostanza i loro falsi sospetti non esitarono a spezzare la pace e l'unità cristiana; voi ne siete testimoni.4.
Ma non so quali rapporti di parentela vi trattengono in cotesta setta, caro fratello Severino. Da tempo mi addoloro; da tempo gemo specialmente quando penso alla tua saggezza; da tempo desidero vederti per parlare con te di questo argomento. Cosa giova scambiarci i saluti e la parentela temporale se, per i nostri vincoli di sangue, disprezziamo l'eterna eredità di Cristo e la salvezza eterna? Ti bastino per ora le considerazioni contenute nella presente; esse sono di poco o quasi nessun giovamento per animi induriti, ma per il tuo animo, a me ben noto, sono molte e di grande importanza. Non sono infatti mie, ché io non son nulla e aspetto solo la misericordia di Dio, ma sono dello stesso Dio onnipotente: chi lo disprezzerà come padre in questa vita, lo troverà giudice nella futura.Scritta verso l'anno 400.
A. confuta la lettera di un prete donatista che tentava di corrompere il cattolico Generoso fingendosi ispirato da un angelo (n. 1-3); dimostra come la setta donatista non ha alcun rapporto con la Sede di Pietro, da cui si era staccata senza valida ragione (n. 4-7).
F
ORTUNATO, ALIPIO E AGOSTINOSALUTANO NEL
SIGNORE L'AMATISSIMO E STIMATISSIMO FRATELLO GENEROSO
1.
1. Hai voluto farci conoscere la lettera a te inviata da un prete donatista. Sebbene tu stesso te ne sia fatto beffe nel tuo animo cattolico, tuttavia ti preghiamo di recapitargli la presente risposta, affinché tu possa fare del bene soprattutto al mittente, salvo che non sia pazzo incurabile. Egli infatti t'ha scritto d'aver avuto da un Angelo l'ordine di esporti la dottrina della religione cristiana professata nella vostra città, mentre tu fermamente professi non il Cristianesimo esistente solo della tua città né solo quello dell'Africa o degli Africani, ma quello della Chiesa Cattolica, ch'è stato già annunciato nel passato e ancor oggi è annunciato a tutti i popoli. Ai Donatisti non basta non vergognarsi d'essersi staccati dalla sua radice e cercare di non tornarvi appena possono, ma si sforzano pure di staccarne altri con se stessi per mandarli al fuoco come legna secca. Se quindi ti si fosse presentato un Angelo come quello che quel tale, con astuta menzogna, finge - a quanto io penso - che gli sia apparso per tuo bene, e t'avesse detto le stesse cose che costui dice di esporti per suo comando, bisognerebbe che ti ricordassi della frase dell'Apostolo che dice: Quand'anche fossimo noi o un Angelo dal cielo ad annunciarvi un vangelo diverso da quello annunciatovi da noi, sia maledetto 1. Orbene, a te è stato annunciato per bocca dello stesso Signore Gesù Cristo che il suo Vangelo sarà annunciato a tutti i popoli e allora sarà la fine 2. T'è stato annunciato per mezzo dei libri dei Profeti e degli Apostoli che le promesse furon fatte ad Abramo e al suo discendente, che è Cristo 3, come risulta dalle parole di Dio: Nel tuo discendente saranno benedette le genti 4. Se a te, che credi a queste promesse, un Angelo del cielo dicesse: "Abbandona il Cristianesimo di tutto il mondo e credi in quello della setta donatista, la cui dottrina ti viene esposta nella lettera del vescovo della tua città", dovrebbe essere maledetto per il fatto che si sforzerebbe di staccarti dal Cristianesimo della Chiesa Cattolica e spingerti per forza in una setta per renderti estraneo alle promesse di Dio.1.
2. Se infatti si dovesse considerare la successione regolare dei vescovi che si succedono uno dopo l'altro, con tanta maggiore certezza e vantaggio dovremmo cominciare a contare dallo stesso Pietro, al quale, come rappresentante di tutta la Chiesa, il Signore disse: Su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non la vinceranno 5. A Pietro infatti successe Lino, a Lino Clemente, a Clemente Anacleto, ad Anacleto Evaristo, ad Evaristo Sisto, a Sisto Telèsforo, a Telèsforo Igino, a Igino Aniceto, ad Aniceto Pio, a Pio Sotère, a Sotère Alessandro, ad Alessandro Vittore, a Vittore Zefirino, a Zefirino Callisto, a Callisto Urbano, a Urbano Ponziano, a Ponziano Antero, ad Antero Fabiano, a Fabiano Cornelio, a Cornelio Lucio, a Lucio Stefano, a Stefano Sisto, a Sisto Dionigi, a Dionigi Felice, a Felice Eutichiano, a Eutichiano Gaio, a Gaio Marcello, a Marcello Eusebio, a Eusebio Milziade, a Milziade Silvestro, a Silvestro Marco, a Marco Giulio, a Giulio Liberio, a Liberio Damaso, a Damaso Siricio, a Siricio Anastasio. In questa serie di successioni non si trova alcun vescovo donatista. Ma i Donatisti all'improvviso mandarono dall'Africa un prete da loro ordinato, il quale, come vescovo d'un piccolo numero di Africani, propagò a Roma la setta chiamata dei Montesi o dei Cutzupiti.1.
3. Orbene, anche se nella serie di vescovi che va da Pietro fino ad Anastasio, che occupa attualmente la medesima cattedra, si fosse introdotto di nascosto uno colpevole d'aver consegnato i Libri Sacri a quei tempi, ciò non porterebbe alcun pregiudizio né alla Chiesa né ai Cristiani immuni da quella colpa: ad essi il Signore previdente così disse dei capi malvagi: Fate quel che dicono, ma non fate quel che fanno, poiché dicono, ma non fanno 6. E ciò affinché sia certa la speranza dei fedeli, la quale, riposta non già nell'uomo ma in Dio, non vada dispersa dalla tempesta dello scisma sacrilego, come sono stati dispersi costoro che leggono nei Libri santi il nome delle Chiese, cui gli Apostoli inviarono lettere, e non hanno in esse alcun vescovo. Cosa può esserci di più perverso e dissennato che dire ai lettori delle stesse lettere: "La pace sia con te" ed essere separati dalla pace di quelle Chiese cui le stesse lettere sono state scritte?2.
4. Tuttavia perché non s'illuda aiiche riguardo alla serie dei vescovi di Costantina, cioè della vostra città, lèggigli gli Atti compilati il 22 maggio da Munazio Felice, Flamine perpetuo, allora capo dei curiali della vostra città sotto il consolato di Diocleziano per l'ottava volta e di Massimiano per la settima; da questi Atti risulta chiaramente che il vescovo Paolo col suo diacono, ch'era allora Silvano, consegnò di sua mano i Libri santi (perfino quelli ch'erano stati diligentemente nascosti), una cassetta d'argento e una lucerna d'argento, tanto che un certo Vittore ebbe a dirgli: "Saresti già morto, se non le avessi trovate". Costui invece nella lettera a te scritta ricorda come un grande personaggio questo evidentissimo "traditore", ordinato allora vescovo da Secondo di Tigisi, vescovo primate. Taccia dunque la loro lingua piena di superbia e conosca prima le proprie colpe per non parlare delirando di quelle di altri. Lèggigli pure, se vorrà, gli Atti ecclesiastici del medesimo Secondo di Tigisi, compilati in casa di Urbano Donato, ove rimise al giudizio di Dio Donato di Masculi, Marino di Acque Tibilitane, Donato di Càlama, tutti "traditori" rei confessi coi quali ordinò loro il suddetto vescovo "traditore" Silvano. Lèggigli gli Atti compilati presso il governatore Zenòfilo, ove un certo diacono Nundinario, adirato contro Silvano, che lo aveva scomunicato, rivelò ai giudici tutti questi fatti, che poi risultarono più chiari della luce da documenti autentici e veridici, dalle risposte dei testimoni, dalla lettura degli Atti e di molte lettere.2.
5. Molti altri documenti potresti leggergli, qualora volesse agire non da attaccabrighe ma ascoltare con prudenza, e cioè l'istanza dei Donatisti a Costantino, affinché inviasse dei vescovi dalla GalIia come giudici per dirimere la causa tra i vescovi Africani. Così pure la lettera del medesimo Imperatore, nella quale annuncia d'aver inviato i vescovi a Roma. Così pure gli Atti dei verbali compilati nella città di Roma, ove fu istruito il processo e dibattuta la causa dai vescovi inviati dall'Imperatore. Così pure un'altra lettera ove il suddetto Imperatore dichiara che i Donatisti gli avevano personalmente sporto querela per il verdetto dei loro colleghi da lui inviati nella città di Roma; la lettera da cui risulta che ordinò pure ad altri vescovi di giudicare la causa ad Arles; quella da cui risulta altresì ch'essi non accettarono neppure il loro verdetto e s'appellarono al medesimo Imperatore il quale alla fine giudicò personalmente la causa fra le due parti; quella in cui l'Imperatore testimonia energicamente il suo sdegno contro gli accusatori di Ceciliano, che erano stati sconfitti dalle prove della sua innocenza. Se vorrà ascoltare tali documenti, tacerà e cesserà di tramare insidie contro la verità.3.
6. Noi tuttavia fidiamo nella fondatezza della nostra causa basandoci non tanto su tali documenti quanto sulla S. Scrittura, ove è stato promesso che eredità di Cristo saranno tutti i popoli fino agli estremi confini della terra 7. Costoro, invece, staccatisi da essa con sacrilego scisma, lanciano accuse contro la paglia della messe del Signore, che invece dev'essere tollerata mescolata al grano fino alla fine, quando sarà vagliata tutta sull'aia nell'ultimo giudizio 8. È chiaro perciò che tali colpe, vere o false, non fan parte del frumento del Signore, che deve crescere fino alla fine delle cose umane in tutto il campo, cioè in questo mondo, come dice il Signore nel Vangelo 9 e non come dice il falso angelo nell'errore di costui. Pertanto a questi miseri Donatisti, che vanno blaterando di molte false colpe e sciocchezze contro Cristiani innocenti, che in tutto il mondo sono mescolati ai Cristiani cattivi, come il grano lo è alla paglia o alla zizzania, Dio rese giustamente il contraccambio in ugual misura. Dio infatti permise che nel loro concilio universale di Cartagine condannassero gli scismatici Massimianisti che avevano condannato Primiano e battezzato fuori della comunione di Primiano e ribattezzato di quelli già battezzati da Primiano. Dio permise pure che fossero costretti da Ottato Gildoniano a riassumere dopo non breve tempo alla primitiva loro dignità di vescovi un Feliciano, vescovo di Musti, e un Pretestato, vescovo di Assuri, reintegrandoli nella comunione con tutti quelli ch'essi avevano battezzati quando quei due erano scismatici e condannati. Orbene, se non si sentono macchiati da quelli ch'essi stessi avevano condannati come scellerati e sacrileghi e avevano paragonato ai primi scismatici inghiottiti vivi dalla terra 10, se non si sentono macchiati quando comunicano con quelli da essi reintegrati nella loro dignità; si sveglino una buona volta e pensino con quanta cecità e quanta follia dicono che la Chiesa Cattolica è stata macchiata da colpe ignote di Africani e che l'eredità di Cristo, che secondo la predizione di Dio è visibile fra tutti i popoli, è stata distrutta dai peccati degli Africani mediante il contagio della comunione mantenuta coi peccatori, mentre per conto proprio essi non vogliono apparire distrutti e macchiati dalla loro partecipazione ai sacramenti con quelli di cui giudicarono colpe ben note.3.
7. Per tutti questi motivi e perché l'apostolo Paolo dice che Satana si trasforma in angelo di luce 11, non c'è da meravigliarsi che i suoi ministri si travestano da ministri di giustizia. Se costui vide davvero un angelo messaggero d'errore e desideroso di staccare i Cristiani dall'unità cattolica, è stato ispirato da Satana trasformatosi in angelo di luce. Se invece mentisce e non ha visto nulla di simile, è ministro di Satana travestitosi da ministro di giustizia. Tuttavia dopo tutte queste considerazioni, se non vorrà continuare ad essere troppo perverso e pertinace, potrà liberarsi da ogni suo errore e dal trarre in inganno altri. Noi, approfittando dell'occasione offertaci da te, abbiamo parlato senza alcun odio, osservando nei riguardi del donatista ciò che dice l'Apostolo: Il servo del Signore poi non deve litigare, ma essere docile verso tutti, abile ad insegnare, paziente, mansueto nel riprendere chi la pensa diversamente, nella speranza che Dio conceda loro di convertirsi alla conoscenza della verità e rinsavire dai lacci del diavolo, guadagnati da lui alla sua volontà 12. Se dunque abbiamo detto qualche espressione un po' aspra sappia ch'essa vuole provocare non l'amaritudine della dissensione ma la riprensione della direzione. Vivi incolume in Cristo, carissimo e stimato fratello. Amen.Scritta verso l'anno 400.
A. risponde a Gennaro fissando il principio secondo cui comportarsi di fronte alle diverse consuetudini viventi nelle varie regioni (n. 1-3), come per i sacramenti, i giorni festivi, il digiuno, l'Eucaristia e la messa vespertina ecc. (n. 4-10).
A
GOSTINO SALUTA NEL SIGNOREIL DILETTISSIMO FIGLIO
GENNARO1.
1. Prima di rispondere ai questiti da te rivoltimi, avrei preferito sapere come li avresti risolti tu stesso; in tal modo avrei potuto, approvando o correggendo le tue soluzioni, rispondere più brevemente alle tue risposte e con gran facilità rassicurarti o correggerti nelle tue opinioni. Sì, l'avrei proprio preferito! Tuttavia, per darti subito una risposta, ho preferito fare un discorso più lungo che differire la risposta. Innanzitutto voglio che tu tenga per fede, cosa questa ch'è il punto principale della presente discussione, che nostro Signore Gesù Cristo, come afferma egli stesso nel Vangelo, ci ha sottoposti al suo giogo soave e al suo lieve peso 1 e perciò ha voluto stabilire, come vincoli dell'alleanza col nuovo popolo, i sacramenti, il cui numero è piccolissimo, facilissimi a praticarsi, eccellentissimi per il loro significato, com'è il battesimo, reso sacro dal nome della Trinità, la comunione del suo corpo e sangue, e tutti gli altri mezzi raccomandati nelle Scritture canoniche, eccetto i riti che si leggono nei libri di Mosè, riti che rendevano più grave la schiavitù dell'antico popolo e convenivano alle disposizioni del loro cuore e dei tempi profetici in cui esso viveva. Quanto invece alle prescrizioni non scritte ma che noi conserviamo trasmesse per via della tradizione e sono osservate in tutto il mondo, ci è facile capire che sono mantenute in quanto stabilite e raccomandate dagli stessi Apostoli o dai Concili plenari, la cui autorità è utilissima alla salvezza della Chiesa; di tal genere sono le feste celebrate nella ricorrenza anniversaria della Passione, Risurrezione e Ascensione del Signore, la discesa dello Spirito Santo, e simili altre ricorrenze che si osservano dalla Chiesa Cattolica ovunque essa è diffusa.2.
2. Altre pratiche poi variano a seconda dei luoghi e delle regioni, come quelle per cui alcuni digiunano il sabato e altri no, alcuni si comunicano ogni giorno col corpo e sangue del Signore, altri invece lo ricevono in determinati giorni; in alcuni luoghi non si lascia passar nessun giorno senza offrire il Sacrificio, in altri lo si offre solo il sabato e la domenica e in altri solo la domenica: l'osservanza di tutte le altre pratiche che si possono ricordare simili a queste è lasciata alla libertà di ciascuno; la regola migliore cui si può attenere un serio e prudente cristiano è quella di agire nel modo in cui vedrà agire la Chiesa in cui si troverà. Poiché tutto ciò che non può provarsi essere né contro la fede né contro i buoni costumi, deve considerarsi indifferente e da osservarsi per rispetto verso coloro tra cui si vive.2.
3. Credo d'averlo raccontato già una volta : però voglio ricordarlo ancora adesso. Mia madre, la quale m'aveva seguito a Milano, trovò che quella Chiesa il sabato non digiunava; aveva quindi cominciato a turbarsi ed era in ansia non sapendo che cosa avrebbe dovuto fare: allora io non mi curavo di tali cose, ma, per far piacere a lei, consultai su ciò l'incomparabile Ambrogio di santa memoria ed egli mi rispose che non poteva insegnarmi nient'altro che quant'egli stesso faceva, poiché se avesse conosciuto una norma migliore, l'avrebbe osservata di preferenza. Io pensavo che senza darmene la ragione egli mi avesse voluto esortare con la sua sola autorità a non digiunare il sabato, ma egli aggiunse dicendomi: "Quando vado a Roma, digiuno il sabato; ma quando sono qui, non digiuno. Così tu pure, osserva l'uso della Chiesa ove ti capiterà d'andare, se non vuoi essere di scandalo ad alcuno né riceverlo da altri". Avendo io riferito ciò a mia madre, essa abbracciò quella regola. Quanto poi a me, pensando spesso a quel parere, l'ho sempre ritenuto come se l'avessi ricevuto da un oracolo celeste. Ho sentito spesso con dolore e pena che si generano nei deboli molti turbamenti per la cocciutaggine nel litigare o per la superstiziosa timidezza di qualcuno dei nostri fratelli: litigano per questioni di tal genere che non possono arrivare a nessuna determinata soluzione né basandosi sull'autorità della Sacra Scrittura né sulla Tradizione della Chiesa universale né sull'utilità di rendere più santa la vita. Alla base delle loro opinioni c'è solo un'argomentazione qualunque soggettiva o l'usanza che si osserva nella propria patria o perché uno ha visto l'usanza in qualunque altro luogo e si crede d'esser diventato tanto più istruito quanto più s'è allontanato dai suoi col viaggiare; così sollevano questioni dibattute con tanto attaccamento alle proprie opinioni, che non ritengono giusto se non quel che fanno essi.3.
4. Qualcuno dirà che non si deve ricevere l'Eucarestia tutti i giorni. Se tu gli domandassi perché, ti potrebbe rispondere: "Perché si devono scegliere i giorni in cui si vive con maggior purezza e continenza per accostarsi degnamente a un sì augusto sacramento, poiché chi mangerà indegnamente, mangia e beve la propria condanna 2". Un altro invece potrebbe dire: "Al contrario, se la piaga del peccato è così grave e tale la violenza del morbo spirituale, che si debbano differire siffatte medicine, uno dev'essere allontanato dall'altare per ordine del vescovo affinché faccia penitenza; solo in seguito dev'essere riconciliato con Dio con l'assoluzione impartita dalla medesima autorità: si riceverebbe infatti indegnamente il sacramento, se si ricevesse nel tempo in cui uno deve far penitenza; nessuno dovrebbe di proprio arbitrio astenersi dalla comunione o accostarsene quando gli aggrada. A ogni modo, se i peccati non son così gravi da meritare la scomunica, nessuno deve star lontano dalla medicina quotidiana del Corpo del Signore". Fra i due forse risolve meglio la questione chi inculca di rimanere soprattutto nella pace di Cristo; ciascuno poi faccia quel che crede dover fare secondo la propria fede e il sentimento della sua pietà. Nessuno dei due oltraggia il corpo e il sangue del Signore; tutti e due al contrario fanno a gara per onorare il sacramento ch'è fonte della nostra salvezza. Nemmeno Zaccheo e il Centurione si trovarono in contrasto fra loro né alcuno di essi si ritenne superiore all'altro, anche se l'uno pieno di gioia accolse il Signore 3 nella sua casa e l'altro disse: Non son degno che tu entri sotto il mio tetto 4: tutt'e due onorarono il Salvatore in maniera diversa e per così dire contraria: ambedue erano miserabili peccatori, ambedue ottennero misericordia. Come simbolo di ciò può servire quanto accadde all'antico popolo ebraico: come la manna aveva in bocca il sapore che ciascuno voleva 5, così pure nel cuore di ciascun cristiano ha diversi sapori il Sacramento con cui è stato vinto il mondo. Poiché l'uno, per onorarlo, non osa riceverlo quotidianamente, l'altro invece, per onorarlo, non osa tralasciarlo alcun giorno. Questo cibo esclude solo il disprezzo, come la manna la ripugnanza. Ecco perché l'Apostolo dice che fu ricevuto indegnamente da coloro che non lo distinguevano dagli altri cibi con la particolare devozione dovutagli: poiché dopo aver detto: Mangia e beve la propria condanna, subito soggiunge dicendo: perché non fa distinzione di tal corpo 6 come appare chiaro da tutto quel passo della prima Lettera ai Corinti, se si considera attentamente.4.
5. Poniamo il caso che un forestiero si trovasse in un luogo ove i fedeli, continuando nell'osservanza della Quaresima, non si bagnano né mitigano il digiuno il giovedì. Se costui dicesse: "Oggi non digiunerò" e chiedendogli io il motivo, rispondesse: "Perché nella mia patria non si digiuna", in tal caso costui non farebbe che anteporre la propria usanza a quella altrui. Non potrà certo provarmi la sua condotta con citazioni della Sacra Scrittura, né potrà mettersi a litigare ad alta voce con la Chiesa universale dovunque essa è diffusa! Neppure potrà dimostrarmi che quello agisce contro la fede, mentre lui agirebbe conforme alla fede; e tanto meno mi convincerà che quello vìola ottime usanze e ch'egli invece le osserverebbe. È proprio lui, al contrario, a violare la propria tranquillità e pace litigando per una questione tanto futile. Io preferirei tuttavia che in simili casi, se un Tizio fosse nella patria di un Caio e un Caio fosse nella patria di Tizio, si conformassero alle pratiche osservate da tutti quelli del paese. Se al contrario uno, viaggiando in un paese straniero ove è più numeroso e più assiduo e più fervoroso il popolo di Dio, vedesse per esempio che si offre il Sacrificio due volte, cioè la mattina e la sera nel giovedì dell'ultima settimana di Quaresima, e tornato poi in patria, ove è costume che si offra solo alla fine del giorno, pretendesse di sostenere che quella è un'usanza cattiva e illecita per il fatto che altrove ha visto fare diversamente, la sua sarebbe una mentalità puerile da evitarsi e da correggere nei nostri.5.
6. Fa' dunque attenzione a quale di queste tre specie appartiene il primo quesito del tuo pro-memoria, espresso in questi tertnini: "Che cosa deve farsi il giovedì dell'ultima settimana di Quaresima? Si deve offrire il Sacrificio al mattino e di nuovo la sera dopo la cena per il fatto che è stato detto: Similmente dopo che ebbero cenato 7, oppure si deve digiunare e poi celebrare dopo la cena? Oppure si deve digiunare anche e cenare solo dopo la Messa, come siamo soliti fare?". A queste domande ti rispondo che, se l'autorità della Sacra Scrittura prescrive quel che s'ha da fare, non dev'esserci alcun dubbio che dobbiamo fare quel che leggiamo in essa, in modo che dovremmo discutere non come si debba celebrare il rito, ma come penetrare il significato del rito medesimo. Lo stesso dicasi di riti e usanze osservate da tutta la Chiesa. Poiché mettere in dubbio se si debbano o non si debbano seguire, sarebbe segno d'insolentissimo insania. Ma nelle tue domande non si tratta né dell'uno né dell'altro caso. Resta quindi ch'esse riguardano un terzo caso, quello cioè delle usanze che variano secondo i luoghi o le regioni. Faccia dunque ciascuno quel che trova nella chiesa ove verrà a trovarsi. Nessuna di quelle usanze è in realtà contraria né alla fede né ai costumi, che non diventano migliori per un'usanza religiosa o per un'altra. Solo infatti per questi motivi, cioè in vista della fede o dei costumi, bisogna correggere un'usanza contraria al bene o istituirne un'altra prima non esistente. Poiché ogni cambiamento di usanze, anche se ci aiuta con la sua utilità, apporta scompiglio con la sua novità; ecco perché un cambiamento che non è utile, per i1 fatto stesso che è causa d'infruttuoso scompiglio è pure nocivo.5.
7. Non si deve credere che l'usanza osservata in molti luoghi di celebrare dopo la refezione del giovedì santo sia stata introdotta perché sta scritto: Similmente prese pure il calice dopo la cena dicendo ecc., poiché l'evangelista poté chiamare cena il fatto che avevano già ricevuto il corpo prima di ricevere il calice; infatti l'Apostolo in un altro passo dice: Quando adunque vi radunate insieme, non è un mangiare la cena del Signore 8, chiamando cena del Signore il ricevere la stessa Eucaristia. Poté però ingenerare maggior perplessità se si debba celebrare o ricevere l'Eucaristia dopo aver già mangiato, quel che si dice nel Vangelo: Mentr'essi mangiavano, Gesù prese il pane e lo benedisse 9, poiché l'evangelista soggiunge: Venuta la sera, si mise a mensa coi dodici e mentre mangiavano disse: Uno di voi mi tradirà 10; dopo infatti diede loro l'Eucaristia. Da ciò appare chiaro che la prima volta che i discepoli ricevettero il corpo e il sangue del Signore non erano digiuni.6.
8. E allora si dovrebbe per questo criticare la Chiesa universale perché l'Eucaristia si riceve sempre a digiuno? È stato proprio lo Spirito Santo a volere che, in onore di sì augusto Sacramento, nella bocca del cristiano entrasse il corpo del Signore prima di ogni altro cibo, e perciò quest'usanza è osservata in tutta la Chiesa Cattolica. Ma per il fatto che il Signore distribuì l'Eucaristia dopo la cena, i fedeli non debbono adunarsi a riceverla dopo aver pranzato o cenato, oppure, come facevano coloro che l'Apostolo denuncia come colpevoli e redarguisce, mischiare la comunione col desinare. Il Salvatore infatti per mettere più efficacemente in risalto la profondità di questo mistero, lo volle imprimere come ultimo segno del suo amore nel cuore e nel ricordo dei discepoli, dai quali era sul punto di separarsi per avviarsi alla sua passione. Egli non prescrisse neppure alcuna norma secondo la quale l'Eucaristia fosse ricevuta dopo la sua morte, proprio per lasciare che le condizioni per accostarvisi fossero regolate dagli Apostoli, per mezzo dei quali aveva disposto che fossero governate le Chiese. Poiché io credo che nessuno avrebbe mutato quell'usanza, se il Signore ci avesse ordinato di comunicarci sempre dopo aver mangiato altre vivande. Quando invece l'Apostolo parla di questo sacramento dice: Perciò, fratelli, quando vi radunate per mangiare, aspettatevi a vicenda: chi ha fame, mangi a casa sua, il nostro raduno non vi sia di condanna; e subito dopo soggiunse: Le altre cose poi le regolerò alla mia venuta 11; sarebbe infatti stato troppo lungo esporre loro in una lettera tutte le norme da seguire e che la Chiesa osserva in tutto il mondo. Da ciò si può comprendere che fu lui a stabilire il digiuno eucaristico che non è modificato da alcuna diversità di usanze.7.
9. Ma ad alcuni piacque come lodevole la norma che in quell'unico giorno dell'anno, in cui il Signore diede la stessa Eucaristia, fosse lecito offrire e ricevere il corpo e il sangue del Signore dopo il desinare, come per commemorarlo più solennemente. Io credo però che sia meglio celebrare in un'ora in cui pure chi ha digiunato, dopo la refezione dell'ora nona, possa recarsi al Sacrificio. Perciò non costringiamo nessuno a mangiare prima della Cena del Signore, ma non osiamo nemmeno opporci a chi fa diversamente. Credo comunque che quest'usanza sia stata introdotta solo perché molti, anzi quasi tutti, in molti luoghi hanno l'abitudine di fare il bagno in quel giorno. E poiché alcuni osservano anche il digiuno, la mattina si offre il Sacrificio per quelli che mangiano, perché non possono tollerare nello stesso tempo il digiuno e il bagno; la sera invece si celebra per quelli che fanno [solo] digiuno.7.
10. Se poi mi domandi l'origine dell'usanza di fare il bagno, a pensarci bene non mi viene in mente altra spiegazione più probabile se non che, siccome la pulizia dei battezzandi durante il digiuno quaresimale era trascurata, sarebbero andati al fonte battesimale provocando un senso di disgusto, se non avessero preso un bagno qualche giorno prima: a questo scopo fu scelto di preferenza il giorno in cui si celebra l'anniversario della cena del Signore. E poiché ciò fu concesso a quelli che serano preparati a ricevere il battesimo, molti vollero prendere il bagno con essi e rompere il digiuno. Dopo quanto ti ho esposto nei limiti delle mie possibilità, ti raccomando di osservare per quanto puoi le norme esposte al principio, come si addice a un prudente e pacifico figlio della Chiesa. Agli altri tuoi quesiti risponderò - se Dio vorrà - un'altra volta.Scritta poco dopo la precedente.
A. risponde alle restanti questioni di Gennaro sui riti ecclesiastici, su ciò che non si può trascurare o che si deve tollerare, soffermandosi sul senso e la celebrazione della Pasqua, sull'allegoria della luna e i significati mistici del sabato e della domenica (n. 1-20) e sottolineando l'utilità delle varie allegorie relative ai giorni della settimana, al triduo della Passione e alla Croce e la liceità della varietà di consuetudini (n. 21-39).
R
ISPOSTA AI QUESITI DI GENNAROL
IBRO II1.
1. Dopo avere scorso la tua lettera con cui mi ricordi di soddisfare il debito di spiegarti gli altri quesiti già da molto tempo inviatimi, non ho potuto sopportare di frapporre indugi ad accontentare il tuo ardente desiderio, che mi è gratissimo e carissimo; pur trovandomi oppresso da una congerie d'occupazioni, ho voluto sbrigare come più importante quella di rispondere alle tue domande. Tralascio pertanto di parlare più a lungo della tua lettera per non essere impedito dal soddisfare finalmente il mio debito.1.
2. Tu mi domandi "perché mai l'anniversario in cui si celebra la passione del Signore non ricorre lo stesso giorno dell'anno, come [succede per] il giorno in cui si dice che sia nato" e poi soggiungi: "E se ciò avviene per causa del sabato e della luna, che c'entra mai in ciò l'osservanza del sabato e della luna?". Sappi dunque anzitutto che il giorno della Natività del Signore non si celebra con un rito sacramentale, ma si rievoca solo il ricordo della sua nascita e perciò non occorreva altro che indicare con una solennità religiosa il giorno dell'anno in cui ricorre l'anniversario dell'avvenimento stesso. Si ha invece un rito sacramentale in una celebrazione quando non solo si commemora un avvenimento ma lo si fa pure in modo che si capisca il significato di ciò che deve riceversi santamente. Noi quindi celebriamo la Pasqua in modo che non solo rievochiamo il ricordo d'un fatto avvenuto, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, ma lo facciamo senza tralasciare nessuno degli altri elementi che attestano il rapporto ch'essi hanno col Cristo, ossia il significato dei riti sacri celebrati. In realtà, come dice l'Apostolo: Cristo morì a causa dei nostri peccati e risorse per la nostra giustificazione 1 e pertanto nella passione e risurrezione del Signore è ìnsito il significato spirituale del passaggio dalla morte alla vita. La stessa parola Pascha non è greca, come si crede comunemente, ma ebraica, come affermano quelli che conoscono le due lingue; insomma il termine non deriva da "passione", ossia "sofferenza", per il fatto che in greco "patire" si dice2.
3. Presentemente noi compiamo questo passaggio per mezzo della fede, che ci ottiene il perdono dei peccati e la speranza della vita eterna, se amiamo Dio e il prossimo, in quanto la fede opera in virtù della carità 4 e il giusto vive mediante la fede 5. Ma vedere ciò che si spera, non è sperare: ciò che infatti si vede, perché sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con paziente attesa 6. In conformità a questa fede, speranza e carità, con cui abbiamo cominciato a vivere nella grazia, già siamo morti insieme con Cristo e col battesimo siamo sepolti con lui nella morte 7, come dice l'Apostolo: Poiché il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui 8; e siamo risorti con lui, poiché ci risuscitò insieme con lui, e ci fece sedere nei cieli insieme con lui 9. Ecco perché l'Apostolo ci esorta: Pensate alle cose di lassù, non alle cose terrene 10. Ma poi soggiunge dicendo: Poiché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi apparirete con lui vestiti di gloria 11; con ciò c'indica chiaramente che vuol farci capire come adesso il nostro passaggio dalla morte alla vita (che avviene in vìrtù della fede) si compie mediante la speranza della futura risurrezione e della gloria finale, quando cioè questo elemento corruttibile, ossia questo corpo in cui ora gemiamo, si rivestirà dell'immortalità 12. Noi infatti abbiamo fin d'ora le primizie dello Spirito in virtù della fede, ma gemiamo ancora nel nostro intimo, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo, poiché solo in speranza siamo già stati salvati 13. Dato che siamo in questa speranza, il corpo è bensì morto per causa del peccato, ma lo spirito è vivo per causa della giustizia. Ma fa' attenzione a quel che segue: Ora, se lo Spirito di Colui che risuscitò Cristo dai morti abita in voi, Colui che risuscitò Cristo dai morti vivificherà pure i vostri corpi mortali per mezzo dei suo Spirito abitante in voi 14. Pertanto la Chiesa intera, che si trova nel pellegrinaggio della natura soggetta alla morte, aspetta che si compia alla fine del mondo ciò che ci è stato mostrato in antecedenza avverato nel corpo di nostro Signore Gesù Cristo ch'è il primogenito dei redivivi 15, poiché anche il suo corpo, di cui è capo egli stesso, non è altro che la Chiesa.3.
4. Alcuni, pertanto, considerando l'espressione che ricorre nell'Apostolo, che cioè noi siamo morti con Cristo 16 e siamo risuscitati con Lui, e non comprendendo in qual senso lo dica, hanno pensato che la risurrezione sia già avvenuta e non occorra più sperarla alla fine dei tempi. Tra costoro - dice egli - vi sono Imeneo e Fileto, i quali hanno deviato dalla verità, dicendo che la risurrezione è già avvenuta, e sovvertono la fede di alcuni 17. Costoro sono confutati e biasimati dall'Apostolo, il quale tuttavia dice che siamo risorti con Cristo. Ma in qual modo tale evento s'è compiuto in noi, se non, come dice egli stesso, in virtù della fede, della speranza e della carità secondo le primizie dello Spirito? Ma poiché la speranza di ciò che si vede non è speranza. e perciò speriamo ciò che non vediamo, aspettiamo per mezzo della pazienza 18; rimane ancora che si compia la redenzione del nostro corpo, aspettando la quale noi gemiamo intimamente. Ecco perché Paolo dice pure: Siate contenti nella speranza, pazienti nella sofferenza 19.3.
5. Il rinnovamento della nostra vita è pertanto il passaggio dalla morte alla vita, che s'inizia in virtù della fede, affinché nella speranza siamo contenti e nella sofferenza siamo pazienti, benché il nostro uomo esteriore si vada disfacendo mentre quello interiore si rinnova di giorno in giorno 20. Proprio in vista della nuova vita e dell'uomo nuovo di cui ci si comanda di rivestirci 21 spogliandoci di quello vecchio, purificandoci dal vecchio fermento per essere una pasta nuova, essendo già stato immolato Cristo, nostra Pasqua 22, proprio in vista di questo rinnovamento della vita è stato stabilito per questa celebrazione il primo mese dell'anno, che perciò si chiama il mese dei nuovi raccolti 23. Inoltre poiché nel volgere dei secoli è adesso apparsa la terza epoca, la risurrezione del Signore è avvenuta dopo tre giorni. La prima epoca infatti è quella anteriore alla Legge, la seconda quella della Legge, la terza quella della Grazia, in cui si rivela il piano misterioso di Dio prima nascosto nell'oscurità delle profezie. Ciò è dunque indicato pure dal numero dei giorni d'ogni fase lunare poiché nelle Scritture il numero sette suol essere simbolo di una certa perfezione e perciò la Pasqua si celebra la terza settimana della luna, cioè nel giorno che cade tra il quattordici e il ventuno del mese.4.
6. Vi è racchiuso pure un altro mistero; se ti sarà oscuro per il fatto d'essere meno istruito in siffatte cose, non t'addolorare e non credere ch'io sia migliore di te per il fatto d'averle apprese durante gli studi della mia fanciullezza. Poiché chi vuol vantarsi, si vanti di questo, d'aver cioè senno e conoscere che io sono il Signore 24. Alcuni appassionati di tali cose fecero molte ricerche sui numeri e sui movimenti delle stelle. E quelli di essi che fecero indagini più acute arguirono che le fasi della luna crescente e della luna calante provengono dal giro della sua sfera e non già dal fatto che ad essa si aggiunga qualche sostanza quando cresce e la perda quando cala, come credono nella loro aberrazione i Manichei: costoro dicono ch'essa viene riempita, come una nave, da una porzione fuggitiva di Dio, ch'essi con cuore e linguaggio sacrilego non si peritano di credere e proclamare unita ai Principi delle tenebre e macchiata delle loro sozzure. Affermano dunque che quella parte di Dio, purificatasi con enormi sforzi dall'immondizia fuggendo da tutto il mondo e da tutte le fogne, si ricongiunge con Dio, che piange fintanto che non torni; la luna però si riempirebbe solo per la durata di mezzo mese, mentre metà del mese si riverserebbe nel sole come in un'altra nave. Tuttavia fra queste esecrande bestemmie non poterono mai immaginare per qual motivo mai, sia quando comincia che quando cessa di risplendere, appaia come una falce luminosa, o perché cominci a decrescere a partire dalla metà del mese e non giunga piena fino alla fine del mese per versare quel che ha di superfluo.4.
7. Al contrario, coloro che studiano questi fenomeni mediante precisi calcoli matematici, riuscirono non solo a spiegare la causa delle eclissi di sole e di luna, ma pure a predire molto tempo prima il momento in cui sarebbero avvenute, e perfino fissarne in antecedenza nelle loro opere scritte, il ripetersi a determinati intervalli di tempo in base a calcoli precisi. Coloro che leggono con intelligenza quegli scritti, predicono allo stesso modo i medesimi fenomeni, i quali avvengono proprio nel modo e nel tempo da essi predetto. Quegli studiosi non sono bensì meritevoli di perdono secondo l'espressione della Sacra Scrittura in quanto, se giunsero a sapere tanto da formarsi una concezione dell'universo e del suo Signore, non lo trovarono più facilmente 25, come avrebbero potuto se avessero pregato con sentimenti di religione. Essi comunque dalle stesse estremità delle falci lunari, opposte al sole sia nella fase crescente che in quella calante, dedussero che la luna è illuminata dal sole e, quanto più si allontana da esso, tanto più riceve i suoi raggi nella parte che si mostra alla terra, mentre al contrario quanto più gli si avvicina dopo la prima metà del mese, a partire dall'altra metà dell'orbita, tanto più è illuminata nella parte superiore, e non può ricevere i raggi nella parte rivolta alla terra e perciò sembra calare. Se però si suppone la luna dotata di luce propria, l'avrebbe solo da una parte della metà della sua sfera e mostrerebbe quella parte alla terra un po' alla volta allontanandosi dal sole fino a mostrarla intera, mostrebbe cioè per così dire un accrescimento senza opporre alla propria massa nulla che le facesse difetto, ma con l'esporre quel che aveva in effetto; poi di nuovo nascondendo un po' alla volta quanto prima appariva, sembrerebbe calare. Ma qualunque cosa si pensi di queste ipotesi, una cosa è chiara a chiunque esamini attentamente il fenomeno, che cioè la luna cresce ai nostri occhi solo allontanandosi dal sole e cala solo avvicinandoglisi dall'altra parte.5.
8. Fa' ora attenzione a ciò che si legge nei Proverbi: Il saggio persevera saldo come il sole, lo stolto invece cambia come la luna 26. E chi è il saggio che persevera se non il sole di giustizia di cui è detto: È sorto per me il sole di giustizia 27? Nel giorno del giudizio gli empi battendosi il petto per il fatto che questo sole non è spuntato per loro, diranno: Non è brillata per noi la luce della giustizia e il sole non è spuntato per noi 28. Non si tratta di questo sole visibile agli occhi corporei, che Dio fa sorgere sui buoni e sui cattivi come pure fa piovere sui giusti e sugl'ingiusti 29. Si tratta di una di quelle similitudini tratte, come sempre, dalle cose visibili e adatte a significare le cose invisibili. Chi è dunque lo stolto che cambia come la luna, se non Adamo, nel quale tutti hanno peccato? Poiché l'anima dell'uomo allentandosi dal sole della giustizia, cioè dalla interiore contemplazione dell'immutabile verità, rivolge tutte le sue potenze spirituali alle cose terrene, per cui vieppiù gli si ottenebrano le facoltà interne e superiori. Appena però comincia a tornare all'immutabile sapienza, quanto più le si avvicina con sentimenti religiosi, tanto più si sciupa l'uomo esterno, ma l'interno si rinnova di giorno in giorno e tutta la luce dell'ingegno, prima rivolta alle cose inferiori, si rivolge ora alle superiori e si stacca per così dire dalle cose terrene, perché muoia sempre di più a questa vita e la sua vita sia nascosta con Cristo in Dio 30.5.
9. L'uomo dunque fa un cambiamento tanto peggiore quanto più si spinge verso le cose esteriori e respinge dalla sua vita le realtà interiori 30bis: una tale condizione pare migliore alla terra, ossia a coloro che gustano soltanto le cose terrene 31, dal momento che il peccatore viene lodato per le brame del suo cuore e chi compie il male viene benedetto 32. L'uomo, al contrario, cambia in meglio quando a poco a poco distoglie la sua attenzione e la sua gloria dalle cose terrene, che si vedono in questa vita, e le indirizza alle cose superiori e interne; questa condizione sembra meno buona alla terra ossia a quelli che hanno il gusto delle cose terrene. Ecco perché gli empi, nel loro inutile pentimento finale, tra gli altri numerosi loro rimpianti dovranno esclamare: Sono costoro quelli che noi consideravamo un tempo come oggetto di scherno e come tipi da coprire d'obbrobri. Siamo noi i pazzi che stimavamo pazzia la loro vita 33. Ecco perché lo Spirito Santo, per mostrarci con una sinùlitudine i misteri invisibili attraverso le cose visibili, e attraverso le cose corporee i misteri spirituali, volle che il passaggio da una vita all'altra, cioè la Pasqua, fosse celebrata [nel periodo che va] dalla quattordicesima alla ventunesima luna; dalla quattordicesima, affinché si prendesse la similitudine della luna per indicare la terza epoca già ricordata non solo per il fatto che di lì comincia la terza settimana, ma per lo stesso fatto di rivolgersi dalle cose esteriori a quelle interiori; fino alla ventunesima invece a causa dello stesso numero corrispondente al triplo di sette, numero, questo, con cui spesso è indicata la totalità delle cose, numero simboleggiante pure la stessa Chiesa per il fatto ch'esso rappresenta la totalità dei fedeli.6.
10. Ecco perché l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse scrive alle sette Chiese 34. La Chiesa però, trovandosi ancora nella condizione mortale propria degli uomini fatti di carne, è indicata nella Sacra Scrittura col nome di luna a causa della mutevolezza della natura umana. Ecco pure il perché di quell'espressione: Hanno preparato le loro saette nella faretra per saettare quelli che sono di cuore retto, quando la luna è oscura 35. Infatti prima che avvenga quanto dice l'Apostolo: Quando comparirà Cristo, vostra vita, allora voi pure comparirete con lui nella gloria 36, la Chiesa durante il suo pellegrinaggio sembra oscura, perché geme a causa di molte iniquità: e allora sono da temere le insidie degl'ipocriti seduttori, che volle indicati nel termine "saette". Ecco perché in un altro passo, a proposito dei fedelissimi banditori della verità, generati in ogni luogo della Chiesa, è detto che essa è come la luna testimone fedele nel cielo 37. Cantando, il Salmista del regno di Dio: Spunterà - dice - nei giorni di lui la giustizia con abbondanza di pace fino a tanto che non vi sia più la luna 38, cioè l'abbondanza della pace crescerà fino a quando essa non distruggerà interamente ciò chè mutevole nella condizione della nostra mortalità. Allora sarà distrutta l'ultima nemica, ossia la morte, e sarà distrutto interamente tutto ciò che deriva dalla debolezza della carne e ci oppone resistenza e ci impedisce di giungere alla perfetta pace, quando cioè questo corpo corruttibile si rivestirà dell'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivestirà dell'immortalità 39. Ecco perché le mura della città chiamata Gerico, la quale in ebraico si dice che significa luna, caddero dopo che attorno ad esse fu portata per sette volte l'arca dell'Alleanza 40. Cos'altro infatti fa ora l'annuncio del regno di Dio simboleggiato dall'arca portata intorno a Gerico, se non distruggere, mediante i sette doni dello Spirito Santo e il concorso del libero arbitrio, tutti i baluardi della vita mortale, cioè qualsiasi speranza di questa vita che si oppone alla speranza della vita futura? Ecco perché le mura caddero mentre l'arca girava loro attorno, senza essere percosse da nessun colpo violento, ma spontaneamente. Vi sono inoltre altri passi della Sacra Scrittura che nella luna ci fanno vedere simboleggiata la Chiesa, la quale nella condizione mortale della presente vita compie il suo pellegrinaggio tra le pene e le fatiche, lontana dalla celeste Gerusalemme di cui sono cittadini i santi Angeli.6.
11. Gli stolti però, che non vogliono cambiarsi in meglio, non devono per questo pensare che si debbano adorare gli astri del cielo per il fatto che talora questi sono presi nella Sacra Scrittura come simboli e figure dei misteri divini, perché ogni creatura può essere presa a simbolo. Per lo stesso motivo non dobbiamo neppure incorrere nel giudizio di condanna pronunciato dalla bocca dell'Apostolo nei riguardi di alcuni, i quali adorarono e servirono la creatura a preferenza del Creatore ch'è benedetto per tutti i secoli 41. Come infatti non adoriamo le bestie, sebbene Cristo sia chiamato agnello 42 e vitello 43, e neppure le fiere perché egli è stato chiamato il leone della tribù di Giuda 44 e neppure le pietre perché pietra era il Cristo 45 e neppure il monte Sion perché in esso è raffigurata la Chiesa 46, così non adoriamo neppure il sole o la luna, sebbene da queste creature della volta celeste come da molte altre creature terrestri si prendano figure simboliche per rappresentare e far comprendere realtà sacre e mistiche.7.
12. Sono quindi detestabili e ridicole le pazzie dei Manichei; allorché noi rinfacciamo ad essi le loro sciocche trovate con le quali precipitano altri nell'errore in cui son precipitati prima essi stessi, pare loro d'essere spiritosi ed eloquenti rispondendoci: "E perché voi pure celebrate la Pasqua fissandola in base a un computo solare e lunare?". Come se noi biasimassimo il moto regolare degli astri o l'avvicendarsi delle stagioni, stabiliti dal sommo ottimo Dio, e non precisamente la loro eresia, la quale si serve di realtà create dalla somma Sapienza per suffragare le falsissime opinioni della loro insipienza! Se infatti gli astrologi volessero rinfacciarci che prendiamo delle similitudini dagli astri e dalle stelle del cielo per indicare simbolicamente delle realtà sacre e misteriose, ci rinfaccino pure anche gli aruspici che ci venga detto: Siate semplici come colombe; ci rinfaccino pure gl'incantatori di serpenti che ci venga detto: [Siate] astuti come serpenti 47; ci rinfaccino pure anche gli istrioni che nei Salmi nominiamo la cetra. Così pure, poiché da tali cose prendiamo dei simboli per rappresentare i significati misteriosi delle parole di Dio, dicano pure, se loro piace, che noi ne ricaviamo auspici o prepariamo farmaci o cerchiamo d'imitare scene immorali! Soltanto dei pazzi da legare potrebbero affermare una simile cosa.7.
13. Noi quindi non siamo soliti trarre congetture circa il futuro delle nostre azioni dal sole o dalla luna, dalle stagioni o dalle vicende dei mesi, per non correre il rischio di far naufragare il libero arbitrio nelle pericolosissime tempeste della vita umana e andare a sbattere, per così dire, negli scogli d'una miseranda schiavitù. Noi al contrario, per indicare il significato sacro d'una cosa, prendiamo ormai a simbolo, con profondo sentimento religioso e con cristiana libertà, le cose adatte di tutta la creazione, come i venti, il mare, la terra, i volatili, i pesci, le bestie, gli alberi, gli uomini; noi usiamo tali paragoni [solo] nei nostri discorsi, mentre nella celebrazione dei sacramenti ci serviamo d'un numero assai limitato di cose, come l'acqua, il frumento, il vino e l'olio. Anche durante il tempo in cui l'antico popolo viveva nella schiavitù della Legge, fu ordinata la celebrazione di molti riti sacri che ora ci sono tramandati solo affinché ne conosciamo l'intimo significato. Per questo motivo noi non osserviamo né i giorni, né gli anni, né i mesi né le stagioni, per non sentirci dire dall'Apostolo: Temo per voi d'essermi affaticato inutilmente in mezzo a voi 48. Egli infatti biasima coloro che dicono: "[Oggi] non partirò, perché è un giorno di cattivo augurio", oppure: "perché la luna si trova nella tal fase", oppure: "Partirò affmché gli affari vadano bene, poiché la posizione delle stelle è propizia", oppure: "Questo mese non mi darò al commercio, poiché la mia stella compie il mese", oppure: "Mi darò al commercio, poiché la mia stella comincia il mese", "Quest'anno non pianterò la vigna, perché è bisestile". Nessun individuo saggio però pensa che siano da biasimare quelli che osservano le circostanze dei tempi perché dicono: "Oggi non parto, perché s'è scatenata una tempesta" oppure: "Non m'imbarcherò, perché ci sono ancora strascichi dell'inverno" oppure: "È tempo di seminare, perché la terra è satura delle piogge autunnali" e così dicasi degli altri fenomeni naturali osservati nella ordinatissima rivoluzione degli astri in rapporto ai mutamenti atmosferici e all'umidità, capaci di variare la natura delle stagioni. Di tali astri, quando vennero creati, fu detto: Servano per segnali, per ricorrenze, per giorni e per anni 49. Se inoltre altre immagini simboliche son prese non solo dal cielo e dagli astri, ma pure dalle creature inferiori al fine d'indicare l'attuazione del piano divino della salvezza, esse sono come un insegnamento assai eloquente ed efficace della salvezza, capaci di commuovere i sentimenti dei discepoli elevandoli dalle cose visibili alle invisibili, dalle corporali alle spirituali, dalle temporali alle eterne.8.
14. Ma nessuno di noi sta a considerare, nel tempo in cui si celebra la Pasqua, se il sole si trova nella costellazione chiamata dell'Ariete, dove realmente si trova nel mese dei nuovi raccolti. Comunque si chiami quella regione del cielo, o Ariete o con altro nome, noi sappiamo dalla S. Scrittura che tutte le stelle furono create da Dio, il quale le dispose nelle zone da lui volute; quali che siano le costellazioni in cui dividono le regioni del cielo trapunte di stelle disposte in ordinati raggruppamenti, quali che siano i nomi con cui vengono contrassegnate, quale che sia la costellazione in cui si trovi il sole nel mese dei nuovi raccolti, la ricorrenza celebrativa della Pasqua ve lo incontrerà per indicare il significato simbolico del mistero consistente nel rinnovamento della vita, di cui abbiamo parlato abbastanza. Del resto, anche se fosse possibile che la costellazione sia stata chiamata Ariete a causa della conformazione della sua figura, la parola di Dio non esiterebbe nemmeno per questo a trarne un significato simbolico di qualche realtà sacra, allo stesso modo che trasse rappresentazioni simboliche per indicare allegoricamente le cose da altre creature non solo celesti ma anche terrestri, come le prese da Orione e dalle Pleiadi, dal monte Sinai e dal monte Sion, dai fiumi chiamati Geon, Phison, Tigri, Eufrate, come le prese dallo stesso Giordano, tante volte nominato nei santi misteri.8.
15. Ma una cosa è osservare le costellazioni per esaminare i fenomeni atmosferici, come fanno gli agricoltori, o come fanno i naviganti per contrassegnare le regioni del mondo e segnare la rotta della navigazione da un punto preciso verso una determinata meta, come fanno i piloti delle navi e i viaggiatori che attraversano i deserti sabbiosi nell'interno delle regioni torride, prive di vere strade; una cosa ben diversa è menzionare qualche costellazione, per indicare il significato simbolico d'una dottrina utile; una cosa del tutto diversa da queste osservazioni utili son quelle futili e false di coloro che osservano le costellazioni non per conoscere le condizioni dell'atmosfera o le vie che attraversano le regioni o solo le carattenstiche delle stagioni o le rassomiglianze con le realtà spirituali, ma per prevedere gli eventi come fossero già predisposti dal fato; chi non lo capisce?9.
16. Ma passiamo ormai oltre e vediamo perché nel celebrare la Pasqua si osserva che preceda il sabato, poiché ciò è caratteristico della religione cristiana. I Giudei infatti osservano solo il mese delle nuove messi e la luna dal quattordicesimo al ventunesimo suo giorno. Ora, la Pasqua giudaica, in cui subì la passione il Signore, cadde in modo che tra la sua morte e la risurrezione intercorse il giorno di sabato. I nostri padri reputarono quindi opportuno che non solo la nostra festività venisse distinta da quella giudaica, ma che nella celebrazione anniversaria della Passione si osservasse dai posteri ciò che deve credersi compiuto non senza ragione da Colui, ch'esiste prima dei tempi e dal quale sono stati creati i tempi, il quale venne nella pienezza dei tempi 50. È lui che ha il potere di dare la propria vita e di riprenderla di nuovo 51; e perciò quando diceva: Non è ancor giunta la mia ora 52, non aspettava un'ora predisposta dal fato, ma quella più opportuna per far conoscere e far risaltare il piano misterioso della salvezza.9.
17. Ciò che adesso facciamo con la fede e con la speranza e ci sforziamo di raggiungere con la carità, è precisamente il riposo santo e perpetuo da ogni fatica e da ogni molestia; per giungere ad esso noi compiamo il passaggio da questa vita, che nostro Signore Gesù Cristo ebbe la bontà d'insegnarci e di santificare con la sua passione. Questo riposo però non consiste in un'infingarda inattività, ma in un'ineffabile tranquillità di riposante attività. Poiché alla fine delle opere della nostra vita noi ci riposiamo affinché godiamo nell'attività della vita eterna. Ma poiché siffatta attività si compie lodando Iddio senza fatica delle membra e senz'affanno di pensieri, il riposo per cui si passa a tale attività non è seguito da alcuna fatica, ossia l'attività non comincia in modo che finisca il riposo, poiché non è un tornare alle fatiche e agli affanni, ma è un'attività che conserva ciò che costituisce la caratteristica del riposo, ossia agire senza affaticarsi, pensare senza preoccuparsi. Poiché dunque per mezzo del riposo si torna alla prima vita, dalla quale l'anima cadde in peccato, questo riposo è simboleggiato nel sabato. Quella prima vita che si restituisce a coloro che tornano dall'esilio di questa vita e che ricevono il vestito più bello 53, è simboleggiata dal primo giorno della settimana, che noi chiamiamo Domenica. Esamina i sette giorni, leggi la Genesi 54 e troverai il settimo giorno senza sera, poiché simboleggia il riposo senza fine. La prima vita non fu dunque eterna per l'uomo peccatore, mentre l'ultimo riposo sarà eterno e perciò anche l'ottavo giorno avrà la felicità eterna, poiché il riposo eterno è incluso, non concluso nell'ottavo, altrimenti non sarebbe eterno. L'ottavo giorno sarà quindi come il primo, sicché la prima vita non sarà annullata, ma tramutata in eterna.10.
18. All'antico popolo fu tuttavia comandato di celebrare il sabato accompagnandolo col riposo del corpo, affinché fosse simbolo della santificazione che si accompagna al riposo elargito dallo Spinto Santo. In nessun passo della Genesi leggiamo che venissero santificati i primi giorni, mentre del solo sabato è detto: E Dio santificò il settimo giorno 55. In realtà amano il riposo tanto le anime pie quanto le empie, le quali però non sanno, per lo più, come giungere a quel che amano. Gli stessi corpi, in virtù della forza di gravità, non cercano di raggiungere se non quel che cercano le anime per la forza delle loro passioni. Poiché, allo stesso modo che il corpo tende col suo peso a muoversi verso il basso o verso l'alto fino a tanto che non raggiunga la posizione verso la quale tende e non vi si riposi - l'olio infatti, se si getta in aria, tende col suo peso verso il basso, mentre, se si mette nell'acqua, tende in alto - così le anime tendono a ciò che amano per raggiungerlo e riporsarvisi. Molti sono bensì i piaceri che si provano attraverso il corpo, ma non si trova in essi il riposo eterno e nemmeno un riposo di lunga durata e perciò insozzano l'anima, anzi l'appesantiscono impedendole la sua naturale inclinazione per cui è spinta verso le cose celesti. Quando però l'anima si compiace di se stessa, non si compiace ancora delle cose immutabili ed è quindi ancora superba, poiché considera se stessa come il sommo bene, mentre molto superiore ad essa è Iddio. Ma non vien lasciata senza punizione in questo peccato, poiché Dio si oppone ai superbi, agli umili invece dà la grazia 56. Quando invece ripone le sue compiacenze in Dio, in Lui trova il vero, sicuro, eterno riposo, che andava cercando in altri beni senza trovarlo. Ecco perché nel Salmo siamo così esortati: Riponi le tue compiacenze nel Signore ed Egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore 57.10.
19. Poiché dunque la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, che ci è stato elargito 58, perciò è ricordata la santificazione del settimo giorno, in cui è comandato il riposo. Ma poiché non possiamo fare il bene senza il suo aiuto, come dice l'Apostolo: Dio infatti opera in voi il volere e l'operare secondo la buona volontà 59 e non potremo riposarci dopo tutte le nostre opere buone compiute in questa vita, se non siamo stati santificati e perfetti per l'eternità, perciò dello stesso Dio si dice che avendo compiute tutte le opere assai buone, il settimo giorno si riposò da qualsiasi opera da lui fatta 60. Con ciò volle simboleggiare il riposo futuro che avrebbe dato agli uomini dopo le buone opere. Come infatti, quando compiamo il bene, si dice che opera in noi lui per dono del quale compiamo il bene, così quando riposiamo, si dice che a riposare è lui per dono del quale noi riposiamo.11.
20. Per conseguenza nei primi tre precetti dei Decalogo riguardanti Dio - gli altri sette riguardano il prossimo, cioè l'uomo, poiché da due precetti dipende tutta la Legge 61 - si trova il terzo sull'osservanza del sabato, affinché nel primo precetto comprendiamo l'adorazione dovuta al Padre quando ci proibisce di adorare un'immagine di Dio fabbricata dall'uomo, non perché Dio non abbia la sua immagine, ma perché non si deve adorare alcuna sua immagine che non sia quella identica a lui stesso, né l'immagine deve adorarsi al posto di lui ma insieme con lui. E siccome la creatura è mutevole e perciò è detto: Ogni creatura è soggetta alla leggerezza 62 e ogni creatura in particolare mostra la natura di tutte, affinché nessuno mettesse tra le creature il Verbo, Figlio di Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto 63, segue l'altro precetto: Non servirti del nome di Dio senza motivo 64. Nel terzo precetto della Legge ci viene indicato lo Spirito Santo, in virtù del quale ci vien largito il riposo che cerchiamo ovunque ma che non troviamo se non nell'amore di Dio, dal momento che la sua carità è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato largito 65, poiché Dio santificò il settimo giorno 66, in cui si riposò. Ciò è stato scritto sull'osservanza del sabato non già perché pensiamo di trovare il riposo in questa vita, ma affinché le buone opere che compiamo tendano solo verso il riposo eterno. Ricorda soprattutto quanto già più sopra ho ricordato, che siamo salvati nella speranza, ma la speranza di ciò che si vede non è più speranza 67.11.
21. Orbene, tutte queste cose, che ci sono presentate sotto figure simboliche, hanno lo scopo d'alimentare e in un certo qual modo di attizzare il fuoco dell'amore, per mezzo del quale, come da una forza, noi siamo trascinati al di sopra o all'interno di noi stessi verso la pace. Così presentate, esse commuovono e accendono l'amore con più forza che se ci fossero proposte nude senza alcuna raffinazione simbolica delle realtà sacre. È difficile spiegare il motivo di ciò. Ma sta il fatto che una verità annunciata per mezzo di un'immagine allegorica commuove, piace ed è apprezzata maggiormente che se fosse annunciata nel modo più chiaro e coi termini appropriati. Io credo che il sentimento dell'anima, finché rimane legato alle cose terrene, è più lento a infiammarsi; se invece viene portato verso immagini corporee e da queste trasportato alle realtà spirituali, che gli vengono mostrate da quelle figure, viene per così dire ad acquistare un nuovo vigore dallo stesso processo di trasposizione e con amore più ardente è trascinato al riposo eterno, come il fuoco d'una fiaccola s'accende più forte se viene agitata.12.
22. Perciò fra tutti i dieci comandamenti solo quello riguardante il riposo del sabato ci viene ordinato di osservarlo in senso allegorico; ci siamo proposti di comprenderne dunque il significato allegorico e non già di praticarlo pure col riposo corporale. Il sabato è bensì il simbolo del riposo spirituale, del quale è detto nel salmo: Riposatevi e riconoscete ch'io sono il Signore 68, riposo al quale sono chiamati gli uomini dallo stesso Dio con le parole: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo, prendete il mio giogo su di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo alle anime vostre 69. Tutti gli altri comandamenti invece li osserviamo come veri e propri precetti senza intenderli affatto simbolicamente. Infatti sappiamo chiaramente cosa vuol dire non adorare gl'idoli; non servirsi senza motivo del nome del Signore nostro Dio, e onorare il padre e la madre, e non fornicare, non uccidere e non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la moglie del prossimo, non desiderare nulla di ciò che appartiene al prossimo 69bis, non enunciano un significato simbolico e ne hanno un altro mistico ma si osservano secondo il loro significato letterale. Non ci si comanda tuttavia di osservare il sabato nel suo significato letterale di riposo dall'attività fisica, come lo osservano i Giudei, il cui modo di osservare il precetto così come suona letteralmente è giudicato ridicolo qualora non è simbolo d'un altro riposo spirituale. Non è quindi illogico pensare che tutto ciò che nella Sacra Scrittura è detto allegoricamente vale ad eccitare l'amore con cui tendiamo al riposo, dal momento che l'unico precetto del Decalogo espresso in forma allegorica è quello del riposo, che naturalmente viene cercato col desiderio ma viene trovato santo e sicuro solo in Dio.13.
23. La domenica invece è stata indicata chiaramente come giorno sacro non per i Giudei, ma per i Cristiani per causa della risurrezione del Signore e da allora si cominciò a celebrarla come giorno di festa. In realtà tutte le anime dei santi sono bensì nel riposo prima ancora della risurrezione del corpo, ma non si trovano nell'attività di cui sono vivificati i corpi quando saranno ripresi dalle anime. Di questa attività è simbolo l'ottavo giorno, ch'è pure il primo, poiché la risurrezione non elimina, ma glorifica il riposo. Col corpo infatti non torneranno le molestie del corpo, poiché non vi sarà più la corruzione. Bisogna infatti che questo corpo corruttibile si rivesta dell'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivesta dell'immortalità 70. Prima della risurrezione del Signore ai santi Patriarchi pieni di spirito profetico non era certo nascosta l'allegoria dell'ottavo giorno con cui viene significata la risurrezione; infatti qualche salmo è intitolato "per l'ottava" 71 e i bambini venivano circoncisi l'ottavo giorno dopo la nascita 72 e nell'Ecclesiaste, per simboleggiare i due Testamenti, si dice: Da' loro sette parti e a quelli otto 73. Tale significato simbolico però rimane riservato e segreto e fu insegnato solo che si doveva celebrare il sabato. Infatti i morti godevano già il riposo ma non v'era ancora la risurrezione di nessuno fino a quando venisse chi risorgendo dai morti ormai non morisse mai più e la morte non dominasse più su di lui 74. Solo dopo avvenuta la risurrezione del corpo del Signore (affinché precedesse nel Capo della Chiesa ciò che il corpo della Chiesa doveva sperare per la fine) si sarebbe cominciato a celebrare ormai la Domenica, ossia l'ottavo giorno, che è pure il primo. Si comprende pure il motivo per cui fu bensì ai Giudei comandato di celebrare la Pasqua, quando fu loro comandato di uccidere e mangiare l'agnello, rito questo che prefigura evidentissimamente la Passione del Signore, ma non fu loro comandato che facessero attenzione alla data del sabato e alla coincidenza del mese delle nuove messi con la terza settimana della luna. A contrassegnare il medesimo giorno con la sua passione doveva essere piuttosto il Signore, ch'era venuto per mostrare chiaramente anche la Domenica, cioè l'ottavo giorno ch'è pure il primo.14.
24. Ora considera attentamente i tre giorni santi della crocifissione, della sepoltura e della risurrezione del Signore. Di questi tre misteri compiamo nella vita presente ciò di cui è simbolo la croce, mentre compiamo per mezzo della fede e della speranza ciò di cui è simbolo la sepoltura e la risurrezione. Adesso infatti vien detto all'uomo: Prendi la tua croce e seguimi 75. La carne vien crocifissa quando vengono fatte morire le nostre membra terrene, la fornicazione, l'impurità, la lussuria, l'avarizia 76 e tutte le altre passioni di tal fatta, delle quali l'Apostolo dice: Se infatti vivrete secondo la carne morrete; se invece mediante lo spirito farete morire le opere del corpo, vivrete 77. Perciò di se stesso dice: Il mondo è crocifisso per me com'io per il mondo 78. E, in un altro passo: Ben sapendo - dice - che il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui affinché fosse distrutto il corpo del peccato sicché non siamo più schiavi del peccato 79. Tutto il tempo dunque in cui le nostre opere fanno sì che sia distrutto il corpo del peccato, tutto il tempo in cui si corrompe l'uomo esterno, perché si rinnovi di giorno in giorno quello interiore, è il tempo della croce.14.
25. Queste opere sono pure certamente buone ma ancora penose, il cui premio è il riposo. Sta scritto però: Siate pieni di gioia nella speranza 80, affinché noi sorretti dal pensiero del riposo futuro affrontiamo con gioia i travagli provenienti dalle nostre opere. Di questa gioia è simbolo l'allargarsi della croce nel legno trasversale su cui vengono confitte le mani, nelle quali sappiamo che sono simboleggiate le opere buone, come nella larghezza è figurata la gioia di chi compie le opere buone poiché la tristezza è causa di angustie; la parte più alta invece, sulla quale si pone la testa, simboleggia la ricompensa che si aspetta dall'altissima giustizia di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere, cioè la vita eterna a quelli i quali con la costanza nel fare il bene ricercano la gloria, l'onore e l'immortalità 81. Perciò anche la parte più lunga, su cui viene disteso tutto il corpo, è simbolo della tolleranza, per cui sono chiamati longanimi quelli che sopportano. La parte invece più profonda, conficcata nella terra, simboleggia il mistero della realtà religiosa. Ricorderai infatti, se non m'inganno, le parole dell'Apostolo, che potrei usare a proposito di quello significato della croce nel passo ove dice: Radicati e fondati nella carità aflìnché siate capaci di comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità 82. Le cose poi che non vediamo né possediamo ma che compiamo con la fede e la speranza, sono state simboleggiate negli altri due giorni. Poiché le cose che facciamo adesso, come inchiodati coi chiodi dei comandamenti nel timore di Dio, com'è scritto: Inchioda col tuo timore le mie carni 83, sono considerate come necessarie ma non da desiderarsi e bramarsi per se stesse. Ecco perché l'Apostolo dice che è assai meglio il suo desiderio di sciogliersi dal corpo ed essere con Cristo; ma il rimanere in vita è necessario - egli dice - per il vostro bene 84. La frase dunque essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo indica l'inizio del riposo che non è interrotto, ma reso glorioso dalla risurrezione, che ora è creduta fermamente per mezzo della fede e perciò il giusto vive per mezzo della fede 85. Ignorate forse - dice - che quanti siamo stati battezzati in Gesù Cristo siamo stati immersi come nella morte di lui? Siamo stati dunque sepolti con lui nell'immersione come per la morte 86. E come, se non mediante la fede? Ciò infatti non ha avuto compimento in noi, che ancora gemiamo nell'anima mentre aspettiamo l'adozione, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo salvati. Ma la speranza di ciò che si vede non è speranza. Poiché ciò che si vede, perché anche lo si spera? Se invece si spera ciò che non si vede, si aspetta con la pazienza 87.14.
26. Tieni a mente quanto spesso ti ricordo questa massima: non dobbiamo credere di diventare felici fin d'ora in questa vita e liberi da tutte le difficoltà; evitiamo tale falsa persuasione affìnché, quando siamo nelle strettezze temporali, non mormoriamo sacrilegamente contro Dio, come se non volesse concederci ciò che ci ha promesso. Ci ha promesso, è vero, anche le cose necessarie a questa vita, ma altro è il sollievo degli infelici, altro la gioia dei beati. O Signore - dice il Salmista - in seguito alle molte afflizioni del mio cuore, le tue consolazioni mi deliziarono l'anima 88. Non mormoriamo dunque nelle difficoltà per non perdere l'effusione di gioia, di cui si dice: Siate pieni di gioia nella speranza, a cui segue: pazienti nell'afflizione 89. La vita nuova s'incomincia dunque nella fede, si svolge nella speranza ma raggiungerà la sua perfezione solo quando la morte sarà assorbita nella vittoria 90, quando sarà distrutto l'ultimo nemico, la morte 91, quando saremo trasformati e diventati come angeli. Tutti infatti - dice - risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati 92. Il Signore pure dice: Saranno uguali agli Angeli di Dio 93. Poiché adesso siamo stati afferrati da Dio nel timore mediante la fede, allora invece arriveremo ad afferrare la meta nella carità mediante la visione diretta. Poiché fin quando siamo nel corpo, siamo esuli lontani dal Signore, poiché camminiamo nella fede e non nella visione diretta 94. Lo stesso Apostolo che dice: per afferrare come sono stato afferrato, confessa apertamente di non aver raggiunto la perfezione. Fratelli - egli dice - non credo d'aver raggiunto la meta 95. Ma perché la stessa speranza è per noi sicura in base alla promessa della Verità, l'Apostolo dopo aver detto: Siamo stati quindi sepolti con lui mediante l'immersione per la morte, prosegue dicendo: affinché allo stesso modo che Cristo risorse dai morti per la gloria del Padre; così anche noi camminiamo in una vita nuova 96. Camminiamo dunque nella realtà delle fatiche, ma pure nella speranza del riposo, nella carne della realtà vecchia ma pure nella speranza della realtà nuova. Dice infatti: Il corpo è morto bensì per causa del peccato, ma lo spirito è vivo in virtù della giustizia. Orbene, se lo Spirito di Colui, cherisuscitò Gesù Cristo dai morti, abita in voi, vivificherà pure i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito abitante in voi 97.
15.
27. Queste realtà spirituali vengono celebrate durante la ricorrenza anniversaria della Pasqua (naturalmente in un grande mistero di significato simbolico, come già tu comprendi) in base all'autorità delle Sacre Scritture e per consenso della Chiesa universale sparsa per tutto il mondo. Nelle Sacre Scritture dell'Antico Testamento non è prescritto il tempo per la celebrazione della Pasqua se non nel mese delle nuove spighe dalla decima quarta alla ventesima prima luna; ma poiché dal Vangelo risulta chiaro in quali giorni il Signore fu crocifisso e rimase nel sepolcro e risorse, dai concili dei Padri fu aggiunta pure l'osservanza di quei giorni e tutto il mondo cristiano si persuase che la Pasqua deve essere celebrata in quel modo.15.
28. L'origine del digiuno della Quaresima si trova non solo nella Sacra Scrittura del Vecchio Testamento, per l'esempio di Mosè 98 e di Elia 99, ma anche nel Vangelo, poiché il Signore digiunò altrettanti giorni 100 dimostrando così che il Vangelo non è in contrasto con la Legge e i Profeti. Poiché in Mosè è personificata la Legge, in Elia sono personificata i Profeti, tra i quali Cristo apparve glorioso sul monte 101, affinché fosse più evidente ciò che di lui afferma l'Apostolo: avendo la testimonianza della Legge e dei Profeti 102. In qual parte dell'anno dunque si sarebbe potuto stabilire più convenientemente la pratica della Quaresima se non in quella contigua e vicina alla Domenica della Passione? Poiché essa è figura di questa vita travagliosa, alla quale è necessaria la continenza per tenersi lontano dall'amicizia del mondo, la quale non cessa naturalmente di farci false carezze, di spargere attorno a noi e vantare le sue false attrattive. La presente vita poi è raffigurata - a mio parere - dal numero quaranta. Mi spiego: nel numero dieci è la perfezione della nostra felicità; essa è raffigurata pure nel numero otto, perché esso si riconduce al primo, come pure nel numero quaranta, poiché la creatura ch'è raffìgurata dal numero sette s'unisce al Creatore, in cui si mostra chiaramente l'unità della Trinità. Ripeto: il numero dieci è stato annunciato per questa vita in tutto il mondo, poiché esso è pure diviso nei quattro punti cardinali ed è formato dai quattro elementi e cambia secondo le quattro stagioni. Ora, dieci per quattro fa quaranta; se poi il numero quaranta si conta nelle sue parti e si aggiunge il numero dieci, si ha cinquanta come la ricompensa della fatica e della continenza. Non per nulla lo stesso Signore visse su questa terra e in questa terra con i Discepoli per quaranta giorni dopo la risurrezione e dieci giorni dopo la sua ascensione al cielo mandò lo Spirito Santo promesso, quando arrivò il giorno della Pentecoste. Questo cinquantesimo giorno contiene un altro significato simbolico, poiché sette per sette fa quarantanove e poiché si ritorna all'inizio che è l'ottavo, identico al primo, si ha il risultato di cinquanta giorni che si celebrano dopo la risurrezione del Signore, non più nella figura simbolica della fatica, ma del riposo e della gioia. Per questo motivo vengono interrotti i digiuni e preghiamo stando in piedi, il che è simbolo della risurrezione. Per questo motivo quest'usanza viene osservata all'altare anche tutte le domeniche e si canta l'alleluia, che significa che la nostra azione futura non è se non lodare Dio, come sta scritto: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore; essi ti loderanno per tutti i secoli 102bis.16.
29. Ma i cinquanta giorni sono messi in risalto anche nella S. Scrittura e non solo nel Vangelo per il fatto che allora discese lo Spirito Santo, ma anche nei Libri del Vecchio Testamento. Poiché anche allora, dopo la celebrazione della Pasqua compiuta con l'uccisione dell'agnello, si contano cinquanta giorni fino al giorno in cui sul monte Sinai fu data la Legge, scritta col dito di Dio, al servo di Dio Mosè. Orbene, nel Vangelo si mostra chiaramente che il dito di Dio significa lo Spirito Santo. Infatti lo stesso fatto espresso da un Evangelista con le parole: Mediante il dito di Dio scaccio i demoni 103, un altro lo esprime così: Io scaccio i demoni mediante lo Spirito di Dio 104. Chi non preferirebbe a tutti gl'imperi di questo mondo, anche se ridotti in pace con straordinaria fortuna, la gioia che procurano i divini misteri quando rifulgono ai nostri occhi alla luce della pura ed esatta dottrina (17-b)? Non è forse vero che, al modo che i due Serafini innalzano lodi all'Altissimo in un perfetto accordo di voci mentre rispondono l'uno all'altro: Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti 105, così i due Testamenti ripetono la santa verità con pieno accordo? Viene ucciso l'agnello, viene celebrata la Pasqua e dopo cinquanta giorni viene data la Legge del timore scritta col dito di Dio 106; viene ucciso il Cristo, il quale si lasciò condurre ad essere immolato come una pecora 107, secondo quanto afferma il profeta Isaia; viene celebrata la vera Pasqua e dopo cinquanta giorni viene dato lo Spirito d'amore, ch'è il dito di Dio contrario alle persone egoiste, le quali perciò portano un giogo aspro e un fardello pesante ma non trovano riposo per le loro anime, poiché la carità non cerca il proprio tornaconto 108. Ecco perché l'animosità degli eretici è sempre senza pace; a proposito di essi l'Apostolo afferma che i loro sforzi sono simili a quelli dei maghi del Faraone: Come infatti Iamnes e Mambres si opposero a Mosè, costoro si oppongono alla verità, come persone dalla mente corrotta, reprobe riguardo alla fede; ma non approderanno a nulla, poiché la loro stoltezza sarà nota a tutti, come lo fu la stoltezza di quelli 108bis. Poiché la corruzione della loro mente li riempì di turbamento e li fece fallire al terzo prodigio, dovendo così ammettere ch'era loro contrario lo Spirito Santo, ch'era invece in Mosè. Infatti, mentr'erano sconfitti, esclamarono: Qui è il dito di Dio 109! E come lo Spirito Santo quando è benevolo e placato concede pace ai miti ed umili di cuore, così quando è contrario e ostile tormenta con l'inquietudine i violenti e i superbi. Simbolo di tale inquietudine erano le zanzare, oppressi dalle quali i maghi del Faraone persero il loro potere, e confessarono: Qui c'è il dito di Dio!16.
30. Leggi l'Esodo e considera quanti giorni dopo la celebrazione della Pasqua fu data la Legge. Dio parla a Mosè nel deserto del Sinai il terzo giorno del terzo mese. Osserva dunque il primo giorno dopo l'inizio del terzo mese e considera cosa dica tra l'altro: Discendi - dice - rendi testimonianza al popolo e purificali oggi e domani, lavino i loro vestiti e siano pronti per il terzo giorno. Poiché il terzo giorno il Signore discenderà dal monte Sinai al cospetto di tutto il popolo 110. Fu allora dunque che venne data la Legge, cioè il terzo giorno del terzo mese. Conta pertanto dal giorno quattordici del primo mese, in cui fu celebrata la Pasqua, fino al terzo giorno del terzo mese e avrai diciassette giorni del primo mese, trenta del secondo mese e tre del terzo, che dànno il totale di cinquanta. La Legge dentro l'arca significa la santificazione del corpo del Signore, mediante la cui risurrezione ci è promesso il riposo futuro, per conseguire il quale ci viene ispirata la carità dallo Spirito Santo. Ma lo Spirito ancora non era stato largito, perché Gesù non era stato ancora glorificato 111. Per questo stesso motivo fu proclamata dal Salmista la profezia: Sorgi, o Signore, per entrare nel tuo riposo, tu e l'arca della tua santificazione 112. Per questo abbiamo ricevuto fin d'ora il pegno per amarlo e desiderarlo. Tutti poi sono chiamati nel nome dei Padre e del Figlio e dello Spirito Santo 113 al riposo dell'altra vita, alla quale si giunge passando da questa vita, passaggio simboleggiato dalla Pasqua.17.
31. Per questo motivo il numero cinquanta moltiplicato per tre con l'aggiunta del numero tre, per meglio esprimere l'eccellenza del simbolo, si trova pure in quei grossi pesci che già il Signore ordinò di trarre su dal lato destro della barca dopo la risurrezione, per dimostrare la nuova vita; e le reti non si ruppero 113bis, per indicare che allora non ci sarà più inquietudine da parte degli eretici. Allora l'uomo perfetto e quieto, purificato nell'anima e nel corpo dalle parole di Dio caste come l'argento della terra purificato col fuoco, purgato sette volte dalle scorie 114, riceverà per ricompensa un danaro 115 affinché facciano diciassette. Poiché pure in questo numero, come in altri che forniscono mutevoli simbolismi, si trova un meraviglioso significato simbolico. Né senza un motivo nel Libro dei Re si legge intero il solo salmo decimosettimo 116 poiché è simbolo di quel regno in cui non avremo l'avversario. Esso infatti è intitolato: Nel giorno in cui Dio liberò David dalle mani di tutti i suoi nemici e dalla mano di Saul 117. Chi difatti è rappresentato allegoricamente in David, se non Colui il quale, venuto sulla terra come vero uomo discendente dalla stirpe di David 118, è veramente sottoposto ancora alle sofferenze da parte dei nemici nel suo Corpo, ch'è la Chiesa? Perciò al suo persecutore, da lui abbattuto con la parola e in certo qual modo assorbito e inserito nel suo Corpo mistico, fece sentire dal cielo questo rimprovero: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 119 Quando mai poi il suo Corpo sarà strappato dalle mani dì tutti i suoi nemici, se non quando sarà distrutta l'ultima nemica, cioè la morte 120? A questo tempo appartiene il numero dei centocinquantatre pesci. Infatti il numero diciassette elevato al quadrato di tre fa la somma di centocinquantatre. Contando da uno a diciassette, addizionando tutti i numeri intermedi, otterrai la somma suddetta; cioè a uno aggiungerai due e otterrai tre; a tre aggiungerai tre e fa sei; aggiungi quattro, fa dieci; aggiungi cinque e fa quindici; aggiungi sei, fa ventuno; di questo passo aggiungi tutti gli altri oltre a diciassette e fa centocinquantatre.17.
32. Quanto ti ho detto sul tempo della Pasqua e della Pentecoste ha fondamento saldissimo nella S. Scrittura, mentre la pratica dei quaranta giorni di digiuno della Pasqua è stabilita dalla concorde tradizione della Chiesa, come pure l'usanza che gli otto giorni dei neofiti fossero celebrati in modo distinto da tutti gli altri, cioè in modo che l'ottavo corrispondesse al primo quanto alla solennità. Riguardo invece al cantare l'Alleluia durante quei soli cinquanta giorni nella Chiesa non è osservato dappertutto, poiché vi sono luoghi ove lo si canta pure in altri tempi e ciò varia secondo le diverse usanze dei luoghi, ma dappertutto lo si canta in quegli stessi cinquanta giorni. Quanto poi all'usanza di pregare in piedi durante quei cinquanta giorni e in tutte le domeniche ignoro se è una pratica universale. Ti ho comunque spiegato per quanto ho potuto (e credo abbastanza chiaramente) quel che la Chiesa pratica a tal proposito.18.
33. Riguardo alla lavanda dei piedi, essa fu raccomandata dal Signore in quanto simbolo dell'umiltà, ch'era venuto a insegnare, com'egli stesso subito dopo spiegò; a proposito di essa è stato da te chiesto qual'è il tempo più conveniente per insegnare una sì gran virtù pure con l'azione. A mio avviso è l'epoca della Pasqua in cui il suo pregio potrebbe esser messo in risalto con più devozione. Ma perché non sembrasse che il rito facesse parte del sacramento del battesimo, molti non lo vollero accogliere nella pratica ordinaria. Alcuni anzi non si peritarono di sopprimerne l'usanza. Alcuni invece scelsero o il terzo giorno dell'ottava (dato che il numero tre ha un significato simbolico più alto in molti riti sacri) o la stessa ottava, per dargli un rilievo più conforme al mistero e distinguerlo dal sacramento del battesimo.18.
34. Non comprendo perché mi hai chiesto di scriverti qualche considerazione a proposito delle usanze praticate nei diversi luoghi; poiché non solo non è necessario saperlo, ma la sola e saluberrima regola da osservarsi riguardo ad esse è che non solo non dobbiamo riprovare quelle che non sono contrarie alla fede né ai buoni costumi, anzi hanno la capacità d'esortare ad una vita più santa dovunque le vediamo stabilirsi o sappiamo già stabilite, ma dobbiamo pure lodarle e imitarle qualora non s'opponga la debolezza di alcuni, per evitare cioè un male maggiore. Se invece tale debolezza non impedisce che si possano sperare, per quelli che le desiderano, vantaggi maggiori dei danni che si possano temere da parte di coloro che le potrebbero biasimare senza giusto motivo, occorre senz'altro fare soprattutto ciò che può esser difeso mediante l'autorità delle Sacre Scritture, come l'uso di cantare inni e salmi, il canto dei quali ci è raccomandato dal precetto dello stesso Signore e degli Apostoli. A proposito di quest'ultima usanza, tanto utile per commuovere l'animo alla devozione e infiammare il cuore d'amore verso Dio, si riscontra una gran varietà: molti membri della Chiesa in Africa sono piuttosto freddi ed apatici, per cui i Donatisti ci rimproverano che in chiesa noi siamo troppo sobri nel cantare i divini cantici dei Profeti, mentre essi non si attengono ad alcuna sobrietà nel cantare salmi composti dall'ingegno umano e dai quali si sentono eccitati come allo squillo delle trombe. Inoltre, quando i fratelli si radunano nell'assemblea ecclesiale, le lodi sacre non devono cantarsi solo quando si fa la lettura e l'omelia relativa, oppure quando il vescovo recita preghiere ad alta voce o viene indetta la preghiera dell'assemblea dalla viva voce del diacono.19.
35. Negli altri intervalli di tempo non vedo assolutamente che cosa di meglio o di più utile, di più santo possa farsi dai Cristiani riuniti nell'assemblea ecclesiale. Quanto poi alle altre pratiche, le quali vengono introdotte fuori delle consuetudini e che si prescrivono da rispettare come riti sacri, io non posso approvarle, sebbene non mi arrischi a riprovare troppo apertamente molte di simili usanze, al fine di evitare lo scandalo di alcune persone devote o turbolente. Quel che però maggiormente m'addolora è il fatto che sono trascurate molte cose saluberrime prescritte dalla S. Scrittura, mentre in ogni cosa regna un tal caos di pregiudizi e di prevenzioni, che si rimprovera più aspramente un neofita che durante l'ottava di Pasqua abbia toccato la terra a piedi nudi, che uno il quale abbia affogato la mente nell'ubriachezza. Penso quindi che senza alcun dubbio debbano sopprimersi, qualora se ne abbia la possibilità, tutte siffatte usanze che non si fondano sull'autorità delle Sacre Scritture, né si trovano stabilite in sinodi episcopali, né sono state confermate o corroborate dalla consuetudine della Chiesa universale, ma presentano diversità sì innumerevoli secondo i diversi sentimenti dei differenti luoghi, che è difficile o del tutto impossibile trovare le cause per cui furono istituite. Sebbene infatti non si possa sapere in qual modo tali pratiche siano contrarie alla fede, esse tuttavia opprimono la religione come una cappa di schiavitù, mentre la misericordia di Dio la volle esente da altri vincoli che non fossero i pochissimi e ben determinati sacramenti che si celebrano nella Chiesa. In caso contrario sarebbe assai più tollerabile la condizione dei Giudei, i quali, sebbene non abbiano conosciuto il tempo della libertà, sono tuttavia soggetti solo alle imposizioni della Legge e non ai preconcetti umani! Ora, la Chiesa di Dio, la quale si trova a vivere tra molta paglia e molta zizzania 121, tollera molte storture, pur non approvando né tacendo né praticando le usanze contrarie alla fede e all'onestà.20.
36. Mi hai pure scritto che alcuni fratelli si astengono dal mangiare le carni, ritenendole immonde; ciò è evidentemente contrario alla fede e alla retta dottrina. Se dunque io volessi discutere più a lungo su questo soggetto, qualcuno potrebbe pensare che l'apostolo Paolo abbia dato delle norme poco o non troppo chiare a questo riguardo; egli al contrario, tra le molte altre cose che dice su questa materia, detesta talmente l'empia opinione degli eretici, da dire: Lo Spirito poi dice chiaramente che negli ultimi tempi alcuni apostateranno dalla fede aderendo a spiriti ingannatori e a dottrine diaboliche [insegnate] da impostori pieni d'ipocrisia, che hanno la coscienza indurita, che vietano il matrimonio e l'uso di certi cibi creati da Dio per esser presi con rendimento di grazie dai fedeli e da tutti coloro che hanno conosciuto la verità; poiché ogni cosa creata da Dio è buona e nulla è da rigettarsi quando se ne usa con rendimento di grazie, perché viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera 122. L'Apostolo inoltre così parla di queste cose in un altro passo: Tutto è puro per i puri; per i corrotti e per gl'increduli invece nulla è puro, avendo contaminata l'intelligenza e la coscienza 123. Leggi da te stesso tutto il resto che segue e ricordalo pure a tutti quelli che puoi, affinché non rendano in se stessi inutile la grazia di Dio, poiché sono stati chiamati alla libertà, ma non devono prendere la libertà come pretesto per assecondare gli istinti carnali 124 e non devono perciò rifiutare di astenersi dal mangiare alcuni cibi per tenere a freno la concupiscenza carnale, sotto il pretesto che non è loro permesso di agire in modo superstizioso e proprio degli infedeli.20.
37. Riguardo poi a coloro che leggono le sorti nelle pagine del Vangelo, sebbene ciò sia preferibile al fatto di correre a consultare i demoni, tuttavia non approvo neppure questa usanza di voler far servire agli affari temporali e alla vanità di questa vita le parole divine proferite per la vita futura.21.
38. Se non reputerai queste mie risposte soddisfacenti ai tuoi quesiti, non conosci sufficientemente le mie forze e le mie occupazioni. Io infatti sono così lontano dal reputare, come tu hai creduto, che nulla mi sia ignoto, che non ho letto nella tua lettera nulla di più doloroso perché ciò è palesemente falso. Mi meraviglio anzi che tu ignori che io non solo ignoro molte altre cose riguardo ad altri innumerevoli argomenti, ma che pure nel campo delle Sacre Scritture ignori più cose di quanto io ne sappia. Ma proprio per questo nutro una non vana speranza nel nome di Cristo; poiché non solo credo al mio Dio che tutta la Legge e i Profeti sono compendiati nei due precetti della carità 125 ma ho esperimentato e lo esperimento ogni giorno, dal momento che non c'è mistero o espressione per quanto oscura della S. Scrittura, da me spiegato, nel quale non trovo i medesimi due precetti. Scopo infatti della prescrizione è la carità derivante da un cuore puro, da una coscienza retta e da una fede sincera 126; e compimento della Legge è l'amore 127.21.
39. Tu quindi, carissimo, leggi e impara queste cose ed altre simili ma sempre ricordandoti il verissimo detto che la scienza gonfia, la carità edifica 128. La carità invece non è gelosa né si gonfia d'orgoglio 129. Sèrviti dunque della scienza come d'una macchina per innalzare l'edificio della carità che rimane in eterno anche quando la scienza sarà distrutta 130. La scienza è molto utile se serve solo allo scopo della carità, mentre per sè stessa, priva di questo scopo, è provato ch'è non solo superflua ma pure dannosa. So però fino a che punto la santa riflessione ti custodisca al riparo delle ali 131 del Signore Dio nostro. Tuttavia ho voluto richiamare alla tua memoria questi pensieri per quanto brevi poiché conosco che la tua stessa carità, che non è gelosa, darà e leggerà a molti questa lettera.Scritta verso lo stesso tempo.
Agostino risponde a Celere che lo aveva pregato di esporgli gli errori dei Donatisti; lo esorta a dedicarsi allo studio delle S. Scritture (n. 1) per imparare che la vita presente è fumo, e a distaccarsi dai Donatisti (n. 2).
A
GOSTINO ALL'ILLUSTRISSIMO E GIUSTAMENTE ONORANDO SIGNORE E DILETTISSIMO FIGLIO CELERE1.
Non ho dimenticato né la mia promessa né il tuo desiderio. Ma siccome son dovuto recarmi a compiere la visita delle chiese affidate alla mia cura e non ho potuto subito soddisfarti io stesso, non ho voluto però nemmeno essere più a lungo debitore di ciò che ti posso soddisfare con ciò di cui dispongo. Ho quindi ordinato al prete Ottato, mio carissimo figlio, di leggerti quanto ti ho promesso nelle ore che tu giudicherai più opportune, quando capirà di poterlo fare senza interruzione. Quanto maggior gradimento mostrerà la tua Eccellenza nell'accoglierlo, tanta maggior sollecitudine e attenzione sarà spinto a mettere nella sua opera. Credo del resto che tu capisca assai bene da te stesso quanto io ti ami e desideri che tu possa trovare piacere nell'esercizio dei sani studi e nella conoscenza delle cose divine e umane.2.
Se non rifiuti la carità del mio servizio, spero che progredirai non solo nella fede cristiana, ma pure nei costumi convenienti alla tua dignità. Tu sei già ben disposto e perciò farai tali progressi che l'ultimo giorno di questo fumo o vanità temporale, che si chiama vita umana e che a nessun mortale è concesso d'evitare, lo aspetterai con brama e con serenità o almeno senza disperata ansietà, poggiato non sulla vuotezza dell'errore ma sulla saldezza della verità. Quanto infatti sei certo di vivere, altrettanto devi essere certo, in base alla dottrina della salvezza, che questa vita, anche se vissuta nei piaceri temporali, dev'essere considerata non vita bensì morte, se viene paragonata alla vita eterna promessa a noi da Cristo e per grazia di Cristo. Date poi le qualità innate del tuo animo, non dubito affatto che assai facilmente spezzerai i vincoli che ti legano ai Donatisti, se mosso da profondo senso religioso saprai apprezzare la purezza della dottrina cristiana. Non è infatti difficile neppure ai tardi d'ingegno comprendere con quanto irrefragabili e solide prove si dimostri l'errore di quegli eretici, se volessero udirle con pazienza e con attenzione. Ma per rompere le catene dell'errore consueto e diventato quasi familiare e per seguire la verità inconsueta occorrono forze assai maggiori. Tuttavia non si deve disperare della franchezza del tuo nobile carattere e del tuo animo veramente coraggioso, coll'aiuto della grazia e delle ispirazioni del Signore nostro Dio. La misericordia di Dio nostro Signore ti conservi sano e salvo, esimio e giustamente onorando signore e figlio direttissimo.Scritta poco dopo la precedente.
Agostino che già aveva in un suo precedente scritto dimostrato a Celere che i Donatisti s'erano staccati dalla Chiesa senza alcun giusto motivo, dichiara che, se non è rimasto soddisfatto delle prove ivi addotte, è pronto a fargli leggere sullo stesso argomento qualche altro suo lavoro (n. 1) e lo esorta a riportare all'unità cattolica i suoi coloni, con uno dei quali desidera conferire (n. 2).
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GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE IL DILETTISSIMO E GIUSTAMENTE ONORANDO SUO SIGNORE E STIMATISSIMO FIGLIO CELERE1.
Io credo che la tua saggezza, considerando ancor meglio la questione, comprenderà facilmente che non ci fu alcun giusto motivo perché la setta di Donato si separasse dalla Chiesa Cattolica, diffusa su tutta la faccia della terra secondo le promesse dei Profeti e del Vangelo. Se però su tale argomento fosse necessaria una discussione più accurata, ricordo d'aver dato da leggere alla tua Benevolenza un libro, avendo saputo da tuo figlio Cecilio, a me carissimo, che tu lo avevi chiesto; questo libro è rimasto nelle tue mani ormai da parecchio tempo. Se, preso dal desiderio di conoscere la questione, lo hai voluto e potuto leggere, non dubito che la tua Prudenza ha potuto appurare che i Donatisti non hanno nessun argomento fondato da contrapporci. Ma se per caso hai ancora qualche dubbio, coll'aiuto di Dio potremmo forse rispondere alle tue obiezioni, oppure darti da leggere ancora qualche nostra opera sull'argomento, direttissimo signore e giustamente onorando e stimatissimo figlio.2.
Ti prego quindi di raccomandare l'unità cattolica nella regione d'Ippona ai tuoi coloni, specialmente a Paterno e a Marusio. Mi è nota la tua sollecitudine e non c'è bisogno, penso, di scriverti più a lungo su ciò; tu puoi infatti, assai facilmente, purché lo voglia, indagare sulle loro intenzioni ed impedire opposizioni nelle terre sottoposte alla tua giurisdizione. Mi è stato assicurato che nelle tue terre c'è un tuo amico donatista, col quale desidererei conferire: ti prego d'aiutarmi in questo affare; ne avrai gran lode presso gli uomini e un gran premio presso Dio. Egli mi aveva già fatto sapere per mezzo di un certo Caro, nostro comune amico, che temeva violenze di non so quali persone della sua setta che gli impedivano di avere contatti con me; ma ora nella tua proprietà e sotto la tua protezione non potrà più temerli. Tu poi non devi amare in lui ciò che non è costanza, ma solamente testardaggine. È infatti vergognoso mutare parere quando esso è vero e giusto; ma quando esso è stolto e dannoso, mutarlo è cosa lodevole e giovevole alla salvezza dell'anima. Come poi la costanza non lascia traviare l'uomo, così la pertinacia non lo lascia correggere, e perciò l'una è da lodare, mentre l'altra è da correggere. Il resto lo comunicherà più chiaramente alla tua Prudenza il prete che ti ho inviato. La misericordia di Dìo ti conservi sano e felice, dilettissimo signore e giustamente onorando e stimatissimo figlio.Scritta forse nel 401.
Agostino scrive a Pammachio, illustre senatore romano, congratulandosi per aver ricondotti in seno alla Chiesa i propri coloni della Numidia (n. 1), e lo prega di far leggere la presente ai senatori di Roma, perché si sentano spronati ad operare per la salvezza delle anime e a difesa della Chiesa (n. 2-3).
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GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE PAMMACHIO, ESIMIO E GIUSTAMENTE STIMATO SIGNORE E FIGLIO DILETTISSIMO NELL'AMORE DI CRISTO1.
Le buone opere, fiorite in te per la grazia di Cristo, ti hanno reso a noi onorando e senz'altro uno dei più noti e più cari tra i membri del Signore. Infatti, anche se io vedessi ogni giorno il tuo volto, non mi saresti più noto di quanto alla luce d'una sola tua azione io ho visto il tuo interno, bello per la bellezza della pace e radioso per la luce della verità: l'ho visto e l'ho riconosciuto, l'ho riconosciuto e l'ho amato. Or ecco che a lui io parlo, a lui io scrivo, a questo amico che m'è caro e che nonostante la lontananza della sua persona s'è palesato a me. In verità però già eravamo assieme e vivevamo uniti sotto uno stesso Capo; se tu non fossi stato radicato nella sua carità, non ti sarebbe stata tanto a cuore l'unità cattolica né avresti rivolto quell'esortazione ai tuoi coloni Africani abitanti in quella regione, cioè nel mezzo della Numidia consolare, donde è sorto il furore dei Donatisti; non li avresti ammoniti con tali parole, incoraggiati con un fervore spirituale così ardente che decisero, con prontissima sollecitudine, di seguire ciò che un tale e tanto personaggio - così pensavano - poteva abbracciare solo dopo aver conosciuta la verità. In tal modo, pur così lontani da te per la distanza dei luoghi, son venuti sotto lo stesso Capo e sono stati annoverati con te eternamente tra i membri di Colui per ordine del quale essi ti servono quaggiù nel tempo 1.2.
Questa tua azione, che t'ha fatto conoscere a me e per la quale io ti abbraccio, m'ha colmato di gioia e me ne felicito con te in Gesù Cristo nostro Signore mediante la presente lettera, che t'invio come un segno sia pur piccolo del mio tenero amore verso di te, dato che non ho potuto fare di più. Ma ti prego di non considerarla come la misura del mio affetto per te; dopo aver letto questa lettera, va' oltre col passo invisibile del tuo animo e continua con il tuo pensiero fino al fondo del mio cuore e osserva bene che cosa avviene lì dentro nei tuoi riguardi. Si aprirà allora all'occhio della carità la stanza della carità, che chiudiamo alle tumultuose vanità del mondo, quando vi adoriamo Dio, là vedrai la gioia squisita che io provo per la tua lodevole azione, gioia ardente e infiammata che si eleva in sacrificio di lode a Colui, per ispirazione del quale hai voluto ciò e con la cooperazione del quale l'hai potuto, gioia che non riesco a esprimere né a parole né per iscritto. Grazie a Dio per questo suo ineffabile dono 2.3.
Oh, da parte di quanti altri senatori come te e come te figli della santa Chiesa ci auguriamo che si compia in Africa un'azione simile alla tua della quale ora ci rallegriamo! Ma, mentre è senza pericolo congratularsi con te, sarebbe pericoloso esortare loro a ciò, poiché forse potrebbero opporre un rifiuto e allora i nemici della Chiesa, come se avessero riportato una vittoria su di noi nell'animo di essi, potrebbero tendere insidie ai deboli nella fede per ingannarli. Tu invece hai già compiuto un'azione per cui i nemici della Chiesa vengono confusi per il fatto che i deboli sono stati liberati dai loro lacci. A mio avviso sarà quindi sufficiente che tu legga questa lettera, se lo potrai, ai senatori coi quali sei unito coi vincoli della fede e sui quali potrai contare per la tua amicizia. Poiché essi, basandosi sulla tua azione, crederanno possibile in Africa una cosa che forse credono impossibile e perciò trascurano per apatia. Ho creduto, al contrario, inopportuno accennarti le insidie che gli stessi eretici nella perversione del loro cuore macchinano contro di te, poiché mi ha fatto ridere la loro pretesa di credersi capaci di aver qualche influenza nel tuo animo appartenente solo a Cristo. Sentirai comunque ciò dalla bocca dei miei fratelli che raccomando vivissimamente alla tua Eccellenza; non ti faccia una cattiva impressione la paura perfino eccessiva a proposito di una conversione sì importante e inaspettata di uomini, di cui per tuo merito esulta la madre Cattolica.Scritta verso la fine del 402.
Agostino scrive al primate della Numidia, Vittorino, scusandosi di non aver potuto partecipare al concilio e pregandolo di risolvere prima la controversia del primato tra lui e il vescovo Santippo di Tagosa (n. 1), in modo che si sappia a chi compete convocare il concilio (n. 2).
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GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE IL FELICISSIMO SIGNORE E VENERABILE PADRE E COLLEGA D'EPISCOPATO VITTORINO1.
La tua lettera circolare d'invito al concilio mi giunse il nove novembre, quand'era già notte, e mi trovò assai riluttante ad accorrere. Tocca alla tua Santità e Nobiltà giudicare se la mia perplessità sia dovuta alla mia ignoranza o a giusto motivo. Nella suddetta circolare ho letto che l'invito al concilio è stato diramato anche alle due Mauritanie, mentre sappiamo che queste due province hanno il loro primate. Se fosse stato necessario di convocare i vescovi di quelle regioni a un concilio nella Numidia, sarebbe stato pure necessario che nella circolare figurassero i nomi di alcuni vescovi dei Mauri che hanno i primi gradi in dignità; non trovando ciò nella circolare, sono rimasto molto stupito. Inoltre nella lettera scritta ai vescovi della Numidia è stato seguito un ordine così sconvolto e confuso, che ho trovato il mio nome al terzo posto, mentre so d'essere stato eletto vescovo dopo molti altri. Questa circostanza, oltre ad essere ingiuriosa per gli altri, suscita pure malanimo contro la mia persona. Infine, il nostro fratello e collega Santippo di Tagosa afferma che il primato spetta a lui ed è considerato tale da molti vescovi e invia lettere come quella inviata da te. Ora, anche se questo equivoco può facilmente essere chiarito e corretto tra voi due, non doveva tuttavia essere omesso il suo nome nella circolare inviata dalla tua Reverenza. Anche se lo si fosse nominato tra gli altri e non al primo posto, mi sarei stupito ugualmente molto; quanto più c'è da stupirsi che da te non è stato affatto menzionato colui che più d'ogni altro sarebbe dovuto intervenire al concilio, affìnché si trattasse proprio del grado del primato, controversia che interessa i vescovi di tutte le Chiese della Numidia.2.
Per tali motivi avrei pur sempre esitato d'intervenire, temendo che la stessa circolare, in cui appariva sì grande stortura, fosse falsa: del resto la ristrettezza del tempo e molte altre gravi e improrogabili occupazioni me l'avrebbero ugualmente impedito. Chiedo quindi alla tua Beatitudine di perdonarmi e di volere per prima cosa occuparti assiduamente a risolvere la controversia tra la tua Santità e il primate Santippo in modo che sia ben chiaro chi di voi debba convocare il concilio. Penso però che sarebbe meglio che tutti e due convocaste, senza pregiudizio di nessuno, i nostri colleghi, soprattutto quelli che per anzianità d'episcopato sono più vicini a voi; essi potranno facilmente riconoscere chi di voi dice la verità, e così tra voi pochi si potrà risolvere prima d'ogni altra detta questione. Una volta tolto di mezzo l'equivoco, vengano convocati dagli altri i vescovi più giovani, i quali su questo punto non possono né debbono credere che a voi soli come a superiori, mentre ora non sanno a chi di voi specialmente debbono credere. La presente che t'invio è sigillata coll'anello che raffigura il volto di una persona che guarda da un lato.Scritta forse verso lo stesso tempo.
Agostino annuncia ad Aurelio che un certo Donato e suo fratello avevano abbandonato il monastero di loro arbitrio, ed afferma che, se fossero incardinati nel clero, si recherebbe scandalo ai monaci e offesa al clero (n. 1), poiché non sempre un buon monaco è un buon chierico (n. 2).
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GOSTINO SALUTA NEL SIGNORE IL BEATISSIMO SIGNORE E PADRE AURELIO, DEGNISSIMO D'ESSERE VENERATO E RIVERITO, SINCERAMENTE CARISSIMO FRATELLO E COLLEGA NEL SACERDOZIO1.
Da quando ci separammo di persona, non ho ricevuto alcuna lettera della tua Reverenza. Ora invece ho letto la lettera della tua Benevolenza concernente Donato e suo fratello, e sono stato a lungo incerto su quel che avrei dovuto rispondere. A forza di pensare che cosa fosse utile alla salvezza di quelli che noi serviamo per amore di Cristo dando loro il nutrimento spirituale, sono arrivato alla conclusione che non si deve aprire a quelli che son consacrati a Dio questa scappatoia, di pensare cioè di poter essere scelti ad un ufficio migliore, qualora siano diventati peggiori. Non solo si rende ad essi facile la caduta nel peccato, ma si arreca una vergognosa offesa all'ordine clericale qualora i disertori dei monasteri vengano scelti per la milizia clericale, mentre di quelli che rimangono nel monastero siamo soliti accogliere nel clero solamente i più provati e i migliori, salvo che, come dice il volgo: "Un cattivo flautista del coro è ancor sempre un buon sonatore di cappella"; ma allora lo stesso volgo si prenderà gioco di noi dicendo: "Un cattivo monaco è pur sempre un buon chierico". Sarebbe doloroso se innalzassi i monaci a una così dannosa superbia e ritenessi degni di ingiuria sì grave i membri del clero, al numero dei quali apparteniamo noi pure, mentre talvolta perfino un buon monaco a stento riesce ad essere un buon chierico, anche se possiede sufficiente continenza, qualora gli manchi la necessaria istruzione o una stabile integrità di vita.2.
Penso però che la tua Beatitudine abbia supposto che quei due siano usciti dal monastero con la mia autorizzazione perché fossero più utili agli abitanti dello stesso loro paese. Ma ciò è falso; essi se ne andarono spontaneamente, sebbene ci opponessimo con tutte le nostre forze per la loro salvezza. Quanto poi a Donato, poiché era stato ordinato prima delle disposizioni prese a questo riguardo nel concilio, se mai si fosse corretto dal peccato della superbia, la tua Prudenza faccia come vuole. Riguardo invece a suo fratello, poiché per colpa specialmente sua anche Donato scappò dal monastero, non ho nulla da rispondere, dal momento che sai come la penso. Non oso comunque oppormi alla tua Prudenza, al tuo Onore, alla tua Carità, anzi spero senz'altro che farai quanto, dopo attento esame, riterrai più vantaggioso per i membri della Chiesa.Scritta forse alla fine del 401 o poco dopo.
Agostino ripete a Teodoro che i Cattolici non odiano i Donatisti, ma il loro errore (n. 1) e lo prega di mostrare loro la presente lettera per rassicurarli che, se abiureranno i loro chierici saranno ricevuti col loro grado e dignità (n. 2).
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GOSTINO AL DILETTISSIMO FRATELLO TEODORO1.
Trattando la tua Benevolenza con me sul modo di accogliere nella Chiesa i chierici provenienti dalla setta di Donato, qualora volessero diventare cattolici, mi è piaciuto ripeterti, anche con la presente, la risposta che allora ti diedi, affinché, se qualcuno t'interrogherà su questo argomento, tu possa mostrare, pure con questa lettera scritta di mia mano, che cosa pensiamo o come ci comportiamo a tal riguardo. Sappi dunque che nei Donatisti noi detestiamo solamente la loro discordia per cui son diventati scismatici o eretici, poiché non conservano né l'unità né la verità della Chiesa Cattolica; li condanniamo per il fatto che non mantengono la pace col popolo di Dio sparso su tutta la faccia della terra e per il fatto che non riconoscono il Battesimo di Cristo nelle persone [già battezzate]. Biasimiamo come un male l'errore ch'essi possiedono, mentre riconosciamo in essi e veneriamo e onoriamo come un bene il nome di Dio e il suo sacramento, che essi possiedono. Per questo motivo compiangiamo gli erranti e desideriamo guadagnarli a Dio mediante la carità di Cristo, affinché il santo Sacramento che fuori della Chiesa hanno per loro rovina, nella pace della Chiesa lo abbiano per la salvezza. Se dunque si toglieranno di mezzo i mali degli uomini e si onoreranno i beni di Dio, ci sarà la concordia fraterna e l'amabile pace, di modo che nel cuore degli uomini la carità di Cristo trionfi sulle ispirazioni del diavolo.2.
Quando pertanto vengono da noi gli scismatici Donatisti, noi non accogliamo i loro difetti, cioè la discordia e l'errore, ma questi son tolti di mezzo quali impedimenti della concordia e abbracciamo i fratelli; li abbracciamo rimanendo con essi, come dice l'Apostolo: nell'unità dello spirito, nel vincolo della pace 1, e riconoscendo in essi i benefici di Dio e cioè non solo il santo Battesimo, ma anche la benedizione dell'ordinazione, la professione della continenza, il voto della verginità che li ha contrassegnati del suo sigillo, la fede nella Trinità e tutti gli altri benefici che possono esservi: benefici che sebbene fossero in essi, tuttavia non giovavano loro nulla dal momento che non vi era la carità 2. Chi può dire di avere la carità di Cristo, quando non abbraccia la sua unità? Quando dunque vengono alla Chiesa Cattolica, non vi ricevono ciò che già avevano ma, affinché cominci a giovare loro ciò che già avevano, vi ricevono ciò che non avevano. Poiché qui ricevono la radice della carità nel vincolo della pace e nella comunione dell'unità, affinché tutti i sacramenti della verità ch'essi hanno servano loro non per essere condannati ma liberati. Poiché i sarmenti non devono gloriarsi di essere legno non dei rovi ma della vite 3. Se infatti non vivranno nella radice, saranno gettati nel fuoco nonostante tutta la loro apparenza. Di alcuni rami troncati l'Apostolo poi dice che Dio è potente per reinnestarli 4. Perciò, dilettissimo fratello, a tutti quelli che per caso vedrai dubitare in quale grado saranno accolti da noi, mostra loro questo scritto dai caratteri a te ben noti e se lo vorranno tenere per sé, lo tengano pure, poiché chiamo Dio a testimonio sull'anìma mia che li accoglierò in modo che mantengano non solo il battesimo già ricevuto, ma pure l'onorario pattuito e il mantenimento.Scritta verso la metà del 402.
Alipio, Agostino e Sansucio si scusano col vescovo Severo per gli equivoci sorti a proposito di un certo chierico Timoteo (n. 1-2).
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LIPIO, AGOSTINO E SANSUCIO E I LORO FRATELLI INVIANO CRISTIANI SALUTI AL FELICISSIMO LORO SIGNORE, RISPETTOSAMENTE CARISSIMO E SINCERISSIMO FRATELLO E COLLEGA NELL'EPISCOPATO SEVERO E A TUTTI I FRATELLI CON LUI1.
Ci siamo recati a Subsana per fare indagini sui fatti accaduti in nostra assenza e contro la nostra volontà; alcuni si sono svolti realmente come ci era stato riferito, altri invece in modo diverso; tutti però sono deplorevoli e da sopportare. Con l'aiuto di Dio abbiamo cercato di porvi riparo non solo coi rimproveri, ma anche con le ammonizioni e con le preghiere. Quello che dopo la partenza della Santità tua ci ha recato maggior dolore è che i fratelli sono stati rimandati senza una guida per il viaggio; te ne chiediamo perdono, ma sappi che è stato fatto più per timidezza che per malvagità. Credendo infatti ch'essi erano stati mandati dal figlio nostro Timoteo soprattutto per eccitare lo sdegno della tua Carità contro di noi, e volendo essi d'altra parte lasciare tutto impregiudicato fino a quando, come essi speravano, saremmo arrivati noi insieme con te, avevano pensato che quelli non sarebbero partiti senza aver trovato una guida per il viaggio. Ma chi potrebbe dubitare che sia stata commessa una colpa? Di conseguenza era anche falsa la notizia data a Fossore che lo stesso Timoteo fosse già partito coi fratelli, ma essa non fu propalata dal prete; anzi ci fu provato con piena evidenza, nella misura che tali cose sogliono esserlo, che il fratello Carcedonio ne era del tutto all'oscuro.2.
Ma a che insistere e dilungarci su questi fatti? Il suddetto figlio nostro Timoteo, in preda al più vivo turbamento per essersi accorto con rammarico della tua inopinata esitazione ci dichiarò che, mentre cercavi di indurlo a servire Dio a Subsana, si fece uscire dalla bocca il giuramento che non si sarebbe mai separato da te. E allorché indagammo quale fosse la sua disposizione d'animo, rispose che quel giuramento gl'impediva di andare dove già da tempo lo avevamo destinato, potendo ormai star tranquillo soprattutto riguardo alla manifestazione della volontà. Gli spiegammo poi che non sarebbe stato colpevole di spergiuro, qualora, non per causa sua ma per causa tua e per evitare uno scandalo, non fosse potuto rimanere con te, dal momento che col suo giuramento poteva disporre della propria e non della tua volontà, anche perché, com'egli stesso ammise, tu non avevi prestato a lui alcun giuramento in ricambio; per questo alla fine affermò, come si conveniva a un servo di Dio e a un figlio della Chiesa, che avrebbe senz'altro eseguito qualunque disposizione fosse stata presa da noi con la Santità tua nei suoi riguardi. Ti preghiamo, quindi, e per la carità di Cristo scongiuriamo la tua Prudenza di ricordarti di tutto ciò che abbiamo detto e di darci una risposta che ci apporti gioia. Poiché tocca a noi più forti (seppure ci è lecito fare un'affermazione così audace fra tanti pericoli di tentazioni) di sopportare i pesi dei deboli, come dice l'Apostolo 1. Il fratello Timoteo non ha scritto alla Santità tua, perché il tuo santo fratello ti ha fatto già sapere tutto quel ch'é stato fatto. Ricordati di noi e riponi la tua gloria nel Signore, o felicissimo sìgnore e rispettosamente carissimo e sincerissimo fratello.Scritta poco dopo la precedente.
A. tratta ancora del chierico Timoteo, che, dopo aver giurato di rimanere alle dipendenze del vescovo Severo, era stato ordinato suddiacono della diocesi di Ippona contro la volontà dello stesso (n. 1); dichiara tuttavia che Timoteo prima d'aver prestato giuramento era stato già lettore nelle chiese della diocesi d'Ippona (n. 2); afferma di rimettersi, solo per amor di pace, alle disposizioni di Severo, ma protesta che, in base alle norme canoniche, Timoteo deve essere rimandato a lui (n. 3-4).
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GOSTINO INSIEME AI FRATELLI CONVIVENTI CON LUI INVIA CRISTIANI SALUTI AL SUO FELICISSIMO E VENERANDO SIGNORE SEVERO, FRATELLO E COLLEGA D'EPISCOPATO, DEGNO DI ESSERE AMATO CON SINCERISSIMA CARITÀ, E A TUTTI I FRATELLI CON LUI1.
Se ti dirò ciò che la nostra vertenza mi costringe a dirti, dove andrà a finire la sollecitudine della carità? Se tacerò dove finirà la franchezza dell'amicizia? Ad ogni modo però, pur esitando, ho frattanto preferito purificare me stesso piuttosto che muovere recriminazioni contro di te. Mi hai scritto di meravigliarti che noi abbiamo voluto tollerare, sia pur con dolore, un fatto che si sarebbe potuto correggere, come se non dovessero deplorarsi le cose fatte male anche se poi, nei limiti del possibile, vengono corrette, o non si dovesse soprattutto tollerare ciò che, pur manifestamente mal fatto, non può in alcun modo venire modificato. Cessa dunque di stupirti, amatissimo fratello. Poiché Timoteo è stato ordinato suddiacono a Subsana senza ch'io volessi o l'avessi autorizzato, mentre ero combattuto fra opposti pareri ed incerto sulla decisione da prendere per il caso. Ancora adesso, anzi, provo dispiacere, sebbene egli sia già tornato da te, ma non mi pento d'aver ottemperato in questo caso alla tua volontà.2.
Ascolta pure che cosa abbiamo emendato coi rimproveri, con gli ammonimenti, con le preghiere, anche prima che egli fosse partito, affìnché tu non creda che noi non abbiamo preso alcun provvedimento disciplinare perché non era ancora tornato presso di voi. Abbiamo cominciato a correggerlo rimproverandolo anzitutto per non aver obbedito al tuo ordine di mettersi in viaggio per tornare dalla Santità tua senza prima chiedere il parere del fratello Carcedonio, disubbidienza da cui ha avuto origine questa nostra afflizione. In secondo luogo abbiamo rimproverato anche il prete e Verino, dai quali, così abbiamo saputo, è stata disposta l'ordinazione di Timoteo. Siccome infatti ai nostri rimproveri hanno risposto tutti confessando che avevano compiuto una cattiva azione e han chiesto perdono, avremmo agito in modo troppo insolente, se non avessimo creduto che s'eran corretti. Non avrebbero certo potuto impedire che non fosse avvenuto ciò che era avvenuto e d'altronde coi nostri rimproveri non cercavamo altro se non che riconoscessero d'aver agito male e si pentissero. Abbiamo dunque cominciato ad ammonirli tutti insieme di non arrischiarsi a compiere in seguito tali azioni, per non dover provare la collera di Dio; in secondo luogo abbiamo ammonito Timoteo, il quale affermava d'esser costretto, solamente in forza del giuramento, a tornare presso la tua Carità; gli abbiamo detto che noi speravamo che la Santità tua, ponderando le idee scambiateci nel nostro colloquio, non avrebbe insistito per averlo con sé, non solo per evitare lo scandalo dei deboli, per la salvezza dei quali Cristo è morto, ma anche in ossequio alla disciplina ecclesiastica da molti trascurata con proprio rischio, dato che costui aveva già cominciato tra noi ad esercitare l'ufficio di lettore, speravamo - dico - che egli, ormai libero dal legame del giuramento, avrebbe assai volentieri servito a Dio, al quale dovremo rendere conto di tutte le nostre azioni. Coi nostri ammonimenti avevamo indotto, per quanto c'era stato possibile, anche lo stesso fratello Carcedonio ad accettare anch'egli con la massima rassegnazione qualunque disposizione fossimo stati costretti a prendere nei riguardi di Timoteo per la necessità di amministrare e conservare la disciplina ecclesiastica. Con la preghiera avevamo emendato pure noi stessi, raccomandando alla misericordia di Dio il govemo delle nostre chiese e il buon esito dei nostri progetti e implorando anche d'essere guariti dalle ferite inferteci da qualche sfogo di sdegno, rifugiandoci sotto la sua destra confortatrice. Vedi quante cose avevamo corretto sia coi rimproveri, sia con le ammonizioni, sia con le preghiere.3.
Ed ora, in considerazione del vincolo di carità e per non cadere sotto il dominio di Satana, dal momento che ben conosciamo le sue intenzioni 1, cos'altro avremmo dovuto fare, se non ottemperare alla tua volontà, che non credevi si potesse correggere quel ch'era stato fatto, salvoché fosse restituito alla tua giurisdizione colui, nei riguardi del quale ti lamenti d'aver ricevuto un'offesa personale? Altrettanto ha fatto con serenità lo stesso fratello Carcedonio considerando Cristo in te, benché dopo un forte sfogo di collera, a proposito della quale ti chiedo perdono nelle tue preghiere per lui. Mentre poi stavo ancora pensando se non era il caso d'inviare una differente lettera alla tua Fraternità, dato che Timoteo dimorava ancora fra noi, Carcedonio ebbe scrupolo di procurare turbamento alla tua Paternità e troncò la mia esitazione non solo permettendo, ma insistendo che Timoteo ti fosse restituito.4.
Quanto a me, o fratello Severo, io rimetto la mia causa al tuo giudizio, poiché son convinto che Cristo abita nel tuo cuore. Poiché è lui a guidare la tua mente a lui soggetta, consultalo, te ne scongiuro per l'amore di lui, per sapere se può o deve considerarsi non essere stato mai lettore uno che aveva cominciato a esercitarne le funzioni nella chiesa affidata alla mia giurisdizione, e non già una sola volta, ma molte altre volte a Subsana, a Torri, a Cizan e a Verbali anche in compagnia d'un prete della Chiesa di Subsana. E come noi, in ottemperanza alla volontà di Dio, abbiamo corretto ciò chè stato fatto contro la nostra volontà, così tu pure correggi ugualmente, in ottemperanza alla volontà di Dio, quel ch'è stato fatto in precedenza a tua insaputa. Non dubito infatti che tu capisca assai bene quale possibilità di dissolvere la regola della disciplina ecclesiastica si offrirebbe qualora un chierico d'un'altra chiesa giurasse a un altro vescovo di non abbandonarlo e questo gli permettesse di restare con lui, giustificando il suo operato dicendo di non voler essere responsabile d'uno spergiuro. Ora, invece, è certo che, se un vescovo non permetterà un simile abuso, che cioè un tale chierico rimanga nella propria diocesi, osserverà una norma di pace e non potrà esser biasimato da nessuno, dal momento che quel chierico poté col suo giuramento vincolare se stesso, ma non altri.Scritta dopo dopo il Natale del 401.
Agostino esorta Quinziano alla pazienza (n. 1) dicendosi desideroso di vederlo riconciliato col primate Aurelio (n. 2); tratta del caso del chierico Privazione che Aurelio si lamentava fosse ospitato nel monastero di Agostino (n. 3) e loda i fedeli di Vigesili renitenti ad accogliere un vescovo degradato dal concilio plenario di Cartagine (n. 4).
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GOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI AL CARISSIMO SIGNORE QUINZIANO FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO1.
Noi non disdegniamo di guardare corpi meno belli, soprattutto tenendo presente che le nostre anime non sono ancora belle, come speriamo che saranno quando ci apparirà Colui ch'è indicibilmente bello, nel quale ora crediamo pur senza vederlo, poiché allora saremo simili a Lui in quanto lo vedremo qual Egli è 1. La stessa cosa t'esortiamo di pensare anche dell'anima tua, se ti piace d'ascoltarmi come fratello e non immaginarti falsamente ch'essa sia già bella, ma di gioire nella speranza, come ci raccomanda insistentemente l'Apostolo, e mettere in pratica l'esortazione ch'egli fa seguire dicendo: Siate lieti nella speranza, pazienti nelle sofferenze 2, poiché siamo stati salvati nella speranza; come egli stesso torna a dire: La speranza di ciò che si vede non è speranza, poiché ciò che si vede, a che sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo l'aspettiamo per mezzo della speranza 3. Non venga mai meno in te questa pazienza e, in pace con la tua coscienza, attendi fermamente il Signore, compòrtati coraggiosamente e l'animo tuo diventi forte e attendi fermamente il Signore 4.2.
È comunque evidente che se tu venissi da noi senza essere in comunione col venerabile vescovo Aurelio, non potresti essere in comunione neppure con noi, ma nonostante ciò agiremmo con la medesima carità con cui non dubito agirebbe anch'egli. La tua venuta però non ci sarebbe importuna, poiché è necessario che tu pure agisca con animo sereno per salvaguardare la disciplina della Chiesa, soprattutto se non ha nulla da rimproverarti la coscienza, manifesta a te e a Dio. In realtà, se Aurelio ha differito la discussione della tua causa, non l'ha fatto per risentimento verso di te ma impedito per cause di forza maggiore. Se tu le conoscessi, come conosci le tue, non ti meraviglieresti né ti rattristeresti. Parimenti ti chiediamo di credere alle nostre occupazioni, perché non le puoi ugualmente conoscere. Ci sono, del resto, vescovi più anziani di noi, più degni per autorità e più vicini di residenza, per mezzo dei quali potreste più facilmente discutere le vostre cause, cioè quelle della Chiesa affidata alla vostra cura. Ma non per questo ho taciuto presso il venerato primate Aurelio, encomiabile mio fratello e collega, pur con tutto il rispetto dovuto ai suoi meriti, né le tue angustie né le lamentele contenute nella tua lettera; ho anzi avuto premura di fargli nota la tua innocenza, mostrandogli una copia della tua lettera. Essa fu ricevuta da me la vigilia o l'antivigilia del Natale del Signore quando, stando alle tue informazioni, egli sarebbe dovuto andare alla Chiesa di Badesilit, dalla quale voi temete che il popolo di Dio venga turbato e traviato nella fede e nella morale. Io non ardisco rivolgermi con una lettera ai vostri fedeli, ma potrei rispondere a coloro che volessero scrivermi; come potrei infatti inviare uno scritto a fedeli non affidati alla mia giurisdizione?3.
Quel che ti dico è per te solo, poiché mi hai scritto, ma puoi comunicarlo pure a chiunque ne avrà bisogno. Quanto a voi stessi, astenetevi dallo scandalizzare per primi la Chiesa, leggendo in pubblico ai fedeli scritture non accolte nel Canone ecclesiastico, con le quali gli eretici e soprattutto i Manichei son soliti distornare dalla vera fede le menti degl'ignoranti, che da quanto sento dire, si nascondono volentieri nel nostro campo. Mi stupisco dunque che la tua Prudenza mi abbia ammonito di dar ordine che non siano accolti coloro che da voi vengono a noi per entrare in monastero, affinché resti in vigore la norma stabilita da noi nel concilio, mentre tu non ricordi la norma conciliare sulle Scritture canoniche da leggersi al popolo di Dio. Esamina quindi nuovamente i decreti del Concilio e imprimi bene nella memoria ciò che rileggerai e vi troverai pure che riguarda solo i chierici, e non anche i laici, il decreto di non accogliere nel monastero quelli che provengono da un luogo qualsiasi. In un recente Concilio, inoltre, è stato stabilito che coloro i quali hanno abbandonato un monastero o ne sono stati espulsi, non diventino chierici altrove o superiori di monasteri. Se quindi sei un po' turbato per il caso di Privazione, sappi che non è stato ancora accolto in monastero, ma ho rimesso la questione al primate Aurelio, per eseguire quanto deciderà in merito. Mi stupisco comunque che possa essere considerato lettore uno che ha letto appena una sola volta i libri della Sacra Scrittura e neppure quelli canonici. Se infatti solo per questo egli è già lettore ecclesiastico, anche quella scrittura è certamente ecclesiastica. Se invece quella scrittura non è ecclesiastica, nessuno che la legga, sia pure in chiesa, è lettore ecclesiastico. Io comunque, riguardo a questo giovane, devo attenermi a quanto crederà opportuno stabilire il suddetto vescovo.4.
Nel caso poi che i fedeli di Vigesilit, a noi carissimi assieme a voi nell'amore di Cristo 5, non vorranno accogliere di buon grado come loro vescovo un degradato dal Concilio plenario dell'Africa, agiranno saggiamente e non possono e non debbozio essere costretti ad accoglierlo. Chiunque anzi li costringerà con la violenza, darà a vedere che razza di uomo egli è, e farà capire quale fosse già prima, quando non voleva che si pensasse male sul suo conto. Nessuno infatti manifesta quale causa abbia abbracciato meglio di chi mediante le autorità terrene e con qualsiasi mezzo violento, con turbamenti e con lamentele, tenta di riottenere un onore perduto. Poiché non vuol prestare a Cristo un servigio, di cui egli sia contento, ma piuttosto esercitare sui Cristiani un dominio di cui essi sono scontenti. Fratelli miei, state in guardia, poiché il diavolo è molto astuto, mentre Cristo è la sapienza di Dio 6.Scritta all'inizio del 402.
Agostino informa Santippo, primate della Numidia, della scandalosa condotta del prete Abbondanzio (n. 1) al quale ha rifiutato di affidare la cura di una Chiesa, pur rimettendo ogni decisione ai giudici ecclesiastici (n. 2).
A
GOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI AL PRIMATE SANTIPPO SUO FELICISSIMO SIGNORE, RISPETTABILISSIMO E AMATISSIMO PADRE E SUO COLLEGA D'EPISCOPATO1.
Mentre saluto la tua Eccellenza con l'ossequio dovuto ai tuoi meriti e mi raccomando vivamente alle tue preghiere, annuncio alla tua Prudenza che un certo Abbondanzio fu ordinato prete nel borgo rurale di Strabonia appartenente alla mia giurisdizione. Siccome costui, non seguendo la via delle persone consacrate a Dio, aveva cominciato ad acquistare una cattiva fama, io mi sono allarmato e pur non credendo nulla alla leggera, ho fatto del tutto per arrivare in qualche modo ad avere indizi sicuri della sua cattiva condotta. E innanzitutto son venuto a sapere ch'egli aveva stornato una somma di denaro affidatagli da un contadino come un deposito sacro, e della quale non ha potuto render conto in modo plausibile. È stato provato - e lo ha confessato lui stesso - che la vigilia del Natale del Signore, in cui la Chiesa di Gippi, come tutte le altre, osservava il digiuno, dopo essersi accomiatato dal prete di Gippi, suo collega, poco prima di mezzogiorno, fingendo di recarsi alla propria Chiesa, senza avere con sé alcun chierico, rimase nel medesimo villaggio e pranzò e cenò in casa d'una femmina di cattiva reputazione, e rimase [la notte] nella medesima casa. Orbene, egli era perfettamente a conoscenza - e non poté negarlo - che in quella stessa casa era già stato un nostro chieiico d'Ippona, e perciò degradato. Io ho rimesso al giudizio di Dio quanto da lui negato; ma ho giudicato solo quel che non aveva potuto nascondere; ho quindi avuto timore di affidargli la chiesa, soprattutto perché situata in mezzo agli eretici, che abbaiano attorno come cani arrabbiati. Mi pregò inoltre di dargli una lettera di raccomandazione per il prete del borgo di Armemano, sito nel territorio di Bolla d'onde era venuto da noi, perché quello non sospettasse qualche colpa più nefanda sul conto di lui. Aveva intenzione di vivere là nel modo più corretto possibile senza compiere alcuna funzione sacerdotale. Io mi lasciai prendere dalla compassione. Ecco le notizie che soprattutto era mio dovere comunicare alla tua Prudenza, perché non ti sorprendesse qualche inganno.2.
Venni a sapere il suo caso solo quando mancavano cento giorni alla domenica di Pasqua, che cadrà il sei aprile. Mi sono preoccupato di farti sapere questo fatto in ossequio ai decreti del concilio, che ho fatto conoscere anche a lui; gli ho fatto inoltre sapere con molta esattezza che v'era una norma del concilio secondo la quale, se intendeva trattare la propria causa e non lo avesse fatto nel termine di un anno, passato quel termine, nessuno gli avrebbe più dato ascolto. Quanto invece a noi, mio felicissimo signore e padre venerato e stimatissimo, stiamo attenti a punire secondo i decreti del concilio questi indizi di cattiva condotta dei chierici, soprattutto quando comincia ad accompagnarli una fama non buona. Altrimenti incominceremo ad essere costretti a voler discutere su cose che non si possono accertare e così a condannare colpe incerte o a passare sopra a cose realmente sconosciute. Io, senza affatto esitare, ho ritenuto mio dovere rimuovere dalle sue funzioni di sacerdote, temendo di affidargli in seguito una chiesa di Dio, un prete che in giorno di digiuno praticato pure nella chiesa di quel luogo, accomiatatosi dal prete del medesimo luogo, suo collega, osò rimanere a pranzare e cenare in casa di una femmina malfamata senz'essere accompagnato da nessun chierico, e dormire nella medesima casa. Se però i giudici ecclesiastici fossero per caso di altro parere, essendo stato stabilito dal Concilio che la causa di un prete deve essere definita da sei vescovi, chi lo vuole gli affidi pure una chiesa posta sotto la propria giurisdizione. Quanto a me, lo confesso, temo di affidare una qualunque comunità di fedeli a dei preti siffatti, non sostenuti per nulla da una buona fama in modo che si possa perdonar loro una colpa: e lo temo perché, se dovesse scoppiare uno scandalo più grave, non debba imputarlo con mio dolore a me stesso.Scritta nel 401.
Agostino rimprovera Crispino, vescovo donatista di Càlama, per aver ribattezzato alcuni poverettì del borgo di Màppala indotti dal timore (n. 1) e lo invita ad un pubblico contraddittorio (n. 2).
A
GOSTINO A CRISPINO1.
Avresti ben dovuto aver timore di Dio, ma siccome nel ribattezzare gli abitanti di Màppala hai voluto esser temuto come uomo, perché mai in una provincia non dovrebbe aver forza un ordine imperiale, se ne ebbe tanta un ordine distrettuale in un borgo? Se paragoni fra loro le persone, tu sei solo un possessore, mentre quello è l'imperatore; se paragoni fra loro i luoghi, tu comandi un borgo, mentre quello comanda nell'impero. Se poi paragoni fra loro i motivi delle azioni, quello agisce per riparare la divisione, tu invece per lacerare l'unità. Ma noi non vogliamo incuterti spavento per un uomo. Potremmo infatti denunciarti, per farti pagare dieci libbre d'oro conforme agli ordini imperiali. Non hai forse la possibilità di restituire il denaro sborsato per tuo ordine dai ribattezzatori, poiché realmente ne spendi tanto per comperare persone da ribattezzare? Ma, come t'ho già detto, noi non vogliamo incuterti spavento per un uomo; vorremmo solo che ti spaventasse Cristo. Vorrei sapere che cosa gli risponderesti, se ti dicesse: "Crispino, se è caro il prezzo da te pagato per comperare il timore dei Mappaliesi, è forse poco la morte, alla quale mi assoggettai per comperare l'amore di tutte le genti? Quanto è stato pagato col denaro della tua borsa per ribattezzare i tuoi coloni, vale forse più del sangue sgorgato dal mio fianco per battezzare tutti i popoli miei?". So pure che potresti sentire molte altre cose, se tu prestassi orecchio a Cristo e se dalle stesse persone divenute tuo possesso ti sentissi ricordare tutte le empie bestemmie lanciate contro Cristo. Se infatti tu credi, sia pure a torto, di possedere saldamente per diritto umano quel che hai comprato col tuo denaro, quanto più saldamente per diritto divino possiede Cristo quel che comprò col proprio sangue? Egli sì, possiederà davvero saldamente tutto quanto il mondo, di cui è stato detto: Dominerà da un mare all'altro e dal fiume sino all'estremità della terra 1. Ma come puoi esser sicuro di non perdere ciò che ti sembra d'aver comprato in Africa, mentre poi affermi che a Cristo, dopo aver perduto tutto il mondo, è rimasta la sola Africa?2.
Ma a che dilungarmi? Se i Mappaliesi son passati alla tua comunione di loro spontanea volontà, ci ascoltino tutti e due, in modo che vengano scritte le cose che diremo e, dopo essere state sottoscritte da noi, vengano tradotte in lingua punica. Liberàti poi da ogni timore di dispotismo, scelgano pure la comunione che vorranno. Da quanto diremo apparirà se rimangono nella falsità contro la loro volontà o se abbracciano spontaneamente la verità. Se infatti non capiscono queste cose, con qual temerità hai attirato al tuo partito persone che non capiscono? Se invece capiscono, ci ascoltino ambedue, come ho detto, e poi facciano quel che vorranno. Qualora poi siano passati nella nostra comunione dei fedeli che tu credi siano stati costretti, si faccia altrettanto con essi, ci ascoltino cioè ambedue e scelgano il partito che più loro piacerà. Se poi non vuoi che si faccia così a chi non apparirà chiaro che voi non avete la sicurezza d'essere nella verità? Si deve però stare in guardia dall'ira di Dio, sia quaggiù che nella vita futura. Ti scongiuro per amore di Cristo di rispondere a questa mia.Scritta nel 402.
A. nega di aver scritto un libro contro Girolamo; forse qualcuno ha chiamato libro una sua lettera un po' lunga in cui ha espresso liberamente le sue idee (n. 1-3).
A
GOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI A GIROLAMO SUO CARISSIMO E AMATISSIMO SIGNORE, ONORANDO FRATELLO IN CRISTO E COLLEGA DI SACERDOZIO1.
1. Mi hanno riferito ch'è giunta nelle tue mani la mia lettera; non vorrei però ascrivere a colpa della tua Dilezione il fatto di non aver meritato ancora una tua risposta. Ci sarà stato senza dubbio qualche impedimento. Debbo quindi riconoscere che non c'è altro da fare se non pregare il Signore che dia alla tua volontà la possibilità d'inviarmi la risposta; veramente la possibilità di rispondermi te l'ha già data, potendolo fare con la massima facilità quando lo vorrai.2.
2. Mi è stata riferita pure un'altra cosa, ma sono stato incerto se crederci o no; ma riguardo a ciò non ho ritenuto mio dovere restare nell'incertezza se accennartelo o no per lettera. Ecco in breve di che si tratta: m'è stato detto, da non so più quale fratello, che qualcuno avrebbe riferito alla tua Carità di aver io scritto un libro contro di te e di averlo inviato a Roma. Sappi che ciò è falso, te lo giuro davanti a Dio che non ho fatto una tal cosa. Può darsi che in qualcuno dei miei scritti si trovino affermazioni contenenti giudizi in contrasto con le tue opinioni, ma non sono una presa di posizione contro di te: ho semplicemente manifestato dei punti di vista personali; penso che tu debba riconoscere ciò, oppure, se non può appurarsi la verità, che tu debba credermi. Comunque stia la cosa, quel che ho detto l'ho detto - te l'assicuro - dispostissimo non solo ad accettare fraternamente un tuo parere contrario (nel caso che qualche punto dei miei scritti t'abbia urtato o causato perplessità) ma pure a chiederti e a supplicarti di farlo; e ciò per aver la gioia d'essere corretto o d'aver una prova della tua benevolenza.2.
3. Oh se mi fosse concesso, non dico d'abitare nella tua stessa casa, ma almeno godere nel Signore della tua vicinanza, per conversare con te a lungo e dolcemente! Ma poiché ciò non ci è concesso, ti prego d'adoperarti a conservare, anzi a rafforzare e portare a compimento nel modo migliore la possibilità d'essere uniti in Cristo e a non disdegnare d'inviarmi una risposta sia pure di rado! Saluta e ossequia da parte mia il tuo santo fratello Paoliniano e tutti gli altri fratelli che godono con te e per causa tua nel Signore. Ricordati di me mentre io t'auguro d'essere esaudito dal Signore in ogni tuo desiderio, carissimo e amatissimo e onorando fratello in Cristo.Scritta nell'anno 402.
Girolamo, ricevuta la lettera di Agostino sulla controversia Antiochena gli dice che vuole essere rassicurato sull'autore prima di rispondere (n. 1); lo invita a non voler polemizzare con un vecchio esegeta profondamente rattristato dagli attacchi di Rufino (n. 2-3).
G
IROLAMO INVIA CRISTIANI SALUTI AD AGOSTINO SUO SIGNORE DAVVERO SANTO E FELICISSIMO VESCOVO1.
Il suddiacono Asterio, nostro santo figlio, era sul punto di partire, quand'ecco giungermi la lettera della tua Beatitudine, in cui mi assicuri di non avere inviato a Roma alcun libello polemico contro la mia umile persona. Nemmeno io avevo sentito di un simile fatto fin quando, per il tramite del diacono Sisinio, nostro fratello, arrivarono qui copie di una lettera in cui mi esorti a cantare la ritrattazione riguardo a un brano dell'Apostolo, a imitare cioè Stesicoro il quale, trovatosi nell'imbarazzo di biasimare o di elogiare Elena, lodando la donna ricuperò la vista che aveva perduto per averla denigrata 1. Confesso però alla tua Degnazione che lo stile e il modo di ragionare mi sembrano bensì tuoi, ma non ho ritenuto dover prestar fede, così alla leggera, a semplici copie di una lettera; qualora ti avessi risposto e tu ne fossi rimasto offeso, avresti potuto giustamente rimproverarmi per non essermi accertato dell'autenticità della lettera prima di risponderti. Un'altra causa del ritardo è stata la lunga malattia della santa e venerabile Paola. Ho passato lunghi periodi di tempo al capezzale della malata e così mi sono quasi dimenticato della tua lettera o di chi l'ha scritta sotto il tuo nome. Mi tornava a mente solo quel versetto: Un discorso fuori luogo è come una musica in tempo di lutto 2. Se quindi la lettera è tua, fammelo sapere per scritto in modo chiaro, oppure mandamene una copia autentica; solo così potremo intrattenerci a discutere sulla Sacra Scrittura senza risentimenti o collera ed essere in grado di correggere il nostro errore e persuaderci che le critiche mosseci l'un contro l'altro erano infondate.2.
Lungi da me la presunzione di attaccare qualche opinione contenuta nei libri della tua Beatitudine. Ne ho già abbastanza di dimostrare esatte le mie, senza bisogno di criticare le altrui! La tua Prudenza d'altronde sa bene che ognuno è pienamente convinto delle proprie opinioni 3, e che è segno di puerile vanagloria rendere famoso il proprio nome criticando persone già illustri, come si era soliti fare da ragazzi. Non sono poi tanto stolto da ritenermi offeso dalle divergenze esistenti tra le mie e le tue spiegazioni, poiché nemmeno tu ti sentiresti offeso se io avessi opinioni contrarie alle tue. Quel che invece è veramente riprovevole tra amici è l'abitudine d'osservare la bisaccia degli altri senza guardare la nostra, come dice Persio 4. Non ti rimane altro che contraccambiare il bene che io ti voglio e non provocare, giovane qual sei, un vecchio come me nel campo delle Sacre Scritture. Io ho fatto ormai il mio tempo e ho corso quanto più ho potuto; ora tocca a te percorrere lunghi tragitti mentre è giusto che io mi riposi. Se poi mi permetti, vorrei dirti col dovuto rispetto: Perché tu non abbia l'impressione d'essere stato il solo a citarmi qualche passo di poeti, ricordati di Darete ed Entello 5 e del proverbio popolare che dice: "Il bue quand'è stanco preme la zampa con più forza". Ho scritto queste righe con l'animo esulcerato. Dio volesse che io meritassi di poterti abbracciare e di conversare con te! S'insegna o s'impara sempre qualcosa gli uni dagli altri.3.
Con la sua solita temerarietà m'ha inviato i suoi scritti pieni di ingiurie Calpurnio, soprannominato Lanaiolo; so pure che s'è premurato di farli giungere anche in Africa! Ad una parte di essi ho già risposto brevemente con un piccolo lavoro; del libello vi ho inviato delle copie, riservandomi di inviarvi quanto prima un'opera più ampia alla prima occasione favorevole. Mi sono guardato bene dal recar danno alla buona stima che si deve ai Cristiani: ho mirato solo a confutare le menzogne e i vaneggiamenti di questo pazzo analfabeta. Ricordati di me, santo e venerabile padre. Vedi quanto ti amo! Sebbene provocato, non ho voluto nemmeno rispondere e mi sono rifiutato di credere opera tua quella che, se fosse di un'altro, forse biasimerei. Il nostro comune fratello ti prega di accogliere i suoi saluti.Scritta dopo il 27 agosto 402.
Alipio e Agostino lodano Massimiano di aver rinunciato alla sede episcopale di Bagaia per evitare lo scisma (n. 1) e pregano suo fratello Castorio di succedergli nel governo della diocesi (n. 2).
A
LIPIO E AGOSTINO INVIANO CRISTIANI SALUTI A CASTORIO, LORO SIGNORE MERITATAMENTE DILETTISSIMO, RAGGUARDEVOLE E STIMABILISSIMO FIGLIO1.
Il nemico dei Cristiani, prendendo a pretesto la persona di tuo fratello e nostro carissimo e amabilissimo figlio, ha tentato di suscitare uno scandalo assai pericoloso alla Chiesa Cattolica, nostra madre, la quale vi accolse nel suo seno amorevole nell'eredità di Cristo allorché fuggiste dallo scisma privo dell'eredità cristiana; il nostro nemico desiderava naturalmente offuscare con la nube sinistra della tristezza la serenità della nostra gioia sorta in noi a causa del bene della vostra buona condotta. Ma il Signore nostro Dio, misericordioso e clemente 1, che consola gli afflitti, nutre i suoi piccini e cura gl'infermi, permise ch'egli avesse qualche potere affmché la gioia per il miglioramento della situazione fosse maggiore del dolore provato nell'abbattimento. Poiché è di gran lunga più glorioso sgravarsi del fardello della dignità episcopale per evitare pericoli alla Chiesa, che sobbarcarsi ad esso per dirigerla e governarla. Dimostra infatti che poteva assumere degnamente una carica ecclesiastica se lo avesse richiesto l'interesse della pace chi, dopo averla ricevuta, non agisce indegnamente per conservarla. Volle dunque Iddio, anche per mezzo di Massimino tuo fratello e figlio nostro, dimostrare ai nemici della propria Chiesa che nelle sue viscere vivono persone che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo 2. Infatti il ministero d'amministrare i misteri di Dio 3 egli non lo abbandonò trascinato dal desiderio dei vantaggi mondani, ma vi rinunciò spinto da volontà di pace, per evitare cioè che a causa della sua carica episcopale si verificasse una vergognosa, pericolosa o forse anche dannosa scissione nei membri di Cristo. Cosa ci sarebbe infatti di più temerario, di più degno d'esecrazione che abbandonare dapprima lo scisma per la pace della Chiesa Cattolica e poi turbare proprio la pace cattolica per una controversia riguardante la propria carica? Cosa c'è, d'altra parte, di più lodevole, di più conveniente alla carità cristiana che, una volta abbandonata la pazzia e la superbia dei Donatisti, rimanere uniti alla eredità di Cristo per dimostrare con l'amore all'umiltà l'amore all'unità? Per quel che riguarda quindi lui, come godiamo d'averlo trovato talmente forte che la tempesta di questa prova non ha per nulla abbattuto ciò che la parola divina ha fatto crescere nel suo cuore, così desideriamo e preghiamo ch'egli, con una vita consentanea ai suoi costumi, mostri sempre più chiaramente quanto bene avrebbe amministrato quella diocesi, che avrebbe senz'altro amministrato se lo avesse giudicato utile. Ottenga egli in ricompensa la pace eterna promessa alla Chiesa, poiché comprese che non poteva essere utile per lui ciò che non lo era per la pace della Chiesa.2.
Tu però, figlio carissimo, nostra non piccola gioia, che non sei impedito da alcuna simile circostanza dolorosa dall'assumere la carica episcopale sarebbe conveniente che consacrassi a Cristo le qualità naturali da lui in te profuse: poiché l'ingegno, la prudenza e l'eloquenza, la serietà e la sobrietà, e tutte le altre virtù che sono ornamento della tua vita, non sono altro che doni di Dio. Al servizio di chi potrebbero essere messe tali virtù se non dì colui dal quale sono state concesse, affmché siano pure custodite, accresciute, perfezionate e ricompensate? Non siano messe al servizio di questo mondo, affinché non si dileguino con esso e spariscano. Sappiamo che non sono necessarie molte parole per esortarti a ciò, dal momento che tu stesso puoi facilmente considerare le speranze, le insaziabili cupidigie e la vita incerta delle persone frivole. Scaccia dunque via dall'animo tutti i pensieri che avevi concepito in attesa della terrena e falsa felicità; lavora nella vigna di Dio 4, dove il frutto è sicuro, dove sono già state compiute tante promesse fatte tanto tempo prima, che sarebbe pazzesco non sperare che si avverino le restanti. Per la divinità e umanità di Cristo, per la pace di quella città celeste, dai cui esuli ci guadagniamo il riposo eterno con le fatiche sostenute nel tempo, ti scongiuriamo di succedere nella cattedra episcopale della Chiesa Bagaiense a tuo fratello, il quale non è caduto vergognosamente, ma ha ceduto gloriosamente. Fa' comprendere a quei fedeli, ai quali auguriamo assai ricchi progressi spirituali mediante la tua intelligenza e la tua eloquenza fecondata e abbellita dai doni di Dio, fa' comprendere - dico - che tuo fratello non per darsi al dolce far nulla ma per conservare l'unità della Chiesa fece quello che fece. Abbiamo raccomandato che questa lettera non ti venisse letta prima che tu fossi in possesso di quelli ai quali sei necessario. Noi infatti ti abbiamo già nel cuore col vincolo dell'amore, poiché sei molto necessario al nostro collegio episcopale. Saprai in seguito perché non siamo venuti a trovarti anche di persona.Scritta dopo il 397 o dopo il 400.
Alipio e Agostino provano la temerità dei Donatisti nell'accusare i Cattolici di aver consegnato i libri Sacri nella persecuzione, rifacendosi al caso del vescovo donatista Feliciano di Musti, reintegrato nella sua cattedra sebbene per molto tempo fosse in comunione con Massimiano (n. 1-2).
A
L DILETTISSIMO SIGNORE E ONORANDO FRATELLO NAUCELIONE1.
Tu ci ha riferito la risposta data dal vostro vescovo Clarenzio, con la quale confessa che Feliciano di Musti era stato condannato dai Donatisti e in seguito era stato reintegrato nella sua carica episcopale ma era stato condannato innocente perché era assente, com'egli aveva provato. Ti ricordiamo ciò affinché risponda a questo proposito, dato che non era lecito condannare, senz'ascoltarla, una persona che adesso quegli stessi che l'hanno condannata affermano essere innocente. Di conseguenza, se era innocente, non si doveva condannare, oppure, se era colpevole, non doveva essere reintegrato. Se è stato reintegrato in quanto innocente, è stato pure condannato pur essendo innocente; se invece è stato condannato in quanto colpevole, è stato pure reintegrato pur essendo colpevole. Se coloro che lo condannarono non sapevano s'era innocente, sono da incolpare di temerità per aver osato condannare, senza averlo ascoltato, un innocente di cui non avevano istruito un regolare processo; anzi dal presente fatto concludiamo che essi avevano condannato anche prima alla stesso modo gli altri, da essi accusati d'aver consegnato i Libri Sacri. Poiché se poterono condannare un innocente, poterono pure bollare col nome di "traditori" quelli che non lo erano.2.
In secondo luogo, il medesimo Feliciano, condannato dai Donatisti, per molto tempo fu in comunione con Massimiano; se perciò era innocente quando fu condannato, per qual motivo in seguito, essendo in comunione con lo scellerato Massimiano, battezzò molte persone fuori della comunione dei Donatisti? Possono essere testimoni di ciò essi stessi che sollecitarono il proconsole perché facesse rimuovere dalla Basilica il medesimo Feliciano in quanto coinvolto con Massimiano. Non bastava quindi loro d'aver condannato una persona senz'ascoltarla, d'aver condannato - come essi stessi affermano - un innocente; si presentarono per di più ufficialmente davanti al proconsole, per farlo scacciare dalla chiesa! Confesseranno che lo giudicarono una persona degna di condanna e scellerata come i Massimianisti almeno quando lo facevano scacciare dalla chiesa! Quando perciò egli era in comunione con Massimiano e battezzava le persone, conferiva forse il vero battesimo o quello falso? Se conferiva il vero battesimo lui ch'era in comunione con Massimiano, perché s'accusa il battesimo cattolico? Se invece conferiva un battesimo falso quando era in comunione con Massimiano, perché mai sono stati riammessi nella comunione con Feliciano tutti coloro ch'egli aveva battezzato stando nello scisma di Massimiano e che nessuno ribattezzò nella vostra setta?