Timore di peccare e timore di denunciare lo spergiuro.
1.
(5, 1) Se una persona avrà commesso un peccato, e avrà sentito la parola di scongiuro e sarà stato testimone per aver visto o saputo, se non ne darà l’informazione e incorrerà nella colpa, cioè: se non ne darà l’informazione, incorrerà nella colpa. Poiché l’aggiunta di e è un modo abituale di esprimersi nelle Scritture. Siccome però il senso [dell’espressione] è oscuro, ci è parso doveroso spiegarlo. L’espressione pare voglia dire che una persona commette un peccato se, all’udire qualcuno giurare il falso, sapendo che giura il falso, tace. Egli poi lo sa se sarà stato testimone del fatto per cui si presta giuramento o lo vide o venne a conoscerlo; cioè se lo conobbe in qualche modo, o ne fu testimone oculare o glielo manifestò la stessa persona che presta giuramento: così infatti poté esserne consapevole. Ma tra il timore di commettere un tale peccato e il timore di denunciare le persone c’è generalmente una tentazione non piccola. Poiché possiamo distogliere dal commettere un peccato così grave ammonendo chi è pronto a spergiurare o proibendoglielo ma, qualora non ci ascoltasse e giurasse, in nostra presenza, riguardo a qualcosa che noi sappiamo essere falsa, è un problema assai difficile se debba essere denunciato poiché, se denunciato, potrebbe andare incontro anche alla morte. Ma siccome in questo passo non è specificato a chi dev’essere deferito il fatto, se a colui per il quale si giura o al sacerdote o a chiunque altro che non solo non può perseguirlo infliggendogli il castigo, ma anzi può intercedere per lui, mi sembra che quest’uomo si possa ritenere libero anche dal vincolo del peccato se lo denuncerà a persone tali che, più che danneggiare, possono aiutare lo spergiuro correggendolo o riconciliandolo con Dio, se anch’egli prendesse la medicina della confessione.Vietato offrire sacrifici per lo spergiuro.
2.
(5, 2-6) Dopo questo genere di peccato, quello cioè di non denunciare lo spergiuro di qualche persona, ricordato dall’agiografo, il Signore comandò di non offrire per tale peccato alcun sacrificio, ma subito dopo soggiunse: Chiunque a sua insaputa toccherà qualsiasi cosa impura, o il cadavere di un animale catturato da una belva sia di bestie morte sia di quelli che sono cadaveri delle abominazioni impure, sia le bestie domestiche impure, o toccherà qualcosa delle impurità umane, di qualsiasi impurità dell’uomo, se la toccherà si contaminerà, ma se in seguito ne sarà consapevole commette un peccato. Neppure qui si ricorda il sacrificio da offrire per questo genere di peccato, ma l’agiografo continua dicendo: Chiunque farà un giuramento, proferendolo con le proprie labbra, di fare del male o del bene relativamente a tutto ciò che l’uomo può pronunciare con giuramento, se non se ne sarà reso conto e poi verrà a conoscerlo, e commetterà uno di questi peccati e confesserà il peccato con cui peccò contro se stesso. Dopo aver finito di esporre tutte queste cose tra loro concatenate senza interporre [alcun accenno] del sacrificio, il testo soggiunge dicendo: e offrirà al Signore per le sue colpe, per il peccato che commise, una femmina del bestiame minuto, un’agnella o una capretta per il peccato e il sacerdote compirà per lui il rito di espiazione e gli verrà rimesso il peccato. Che cosa vuol dire dunque che per uno spergiuro non rivelato da una persona e per il fatto che si tocca un cadavere non si menziona alcun sacrificio, mentre per il peccato di pronunciare involontariamente un falso giuramento il Signore ordinò di offrire un’agnella o una capra? Si deve forse pensare che questo sacrificio [ha da offrirsi] per tutti i peccati menzionati prima? L’agiografo infatti preferì enumerare prima tutti i peccati e dire poi con quale sacrificio potessero espiarsi. Ma in tutti i generi di peccati elencati prima ci sono alcune frasi enunciate in modo non molto chiaro a causa degli idiomatismi [della Scrittura], come l’espressione: il cadavere dei giumenti. Orbene, i greci chiamanoSpesso la Scrittura usa il verbo distinguere.
3.
(5, 4-6) Parimenti, riguardo all’espressione: Chiunque, distinguendolo con le labbra, avrà fatto un giuramento di fare del male o di fare del bene, si pone il quesito: che significa: distinguendo ? Poiché spesso la Scrittura usa questa parola. Per questo si trova anche l’espressione: adempirò i miei voti [fatti a Dio] distinti con le mie labbra 1; così, ugualmente a Ezechiele viene detto: Se io dirò a un malvagio: " Tu morirai di certo " e tu non hai distinto e non hai parlato 2; parimenti sta scritto: Se una donna vivente [ancora] in casa di suo padre, farà un voto, distinguendo con le sue labbra, contro se stessa 3. Sembra dunque che questa " distinzione " sia una specie d’indicazione precisa con cui si separa qualcosa dalle altre che non si mantengono solo con la parola. Quelle frasi dunque si devono intendere come se fosse detto: La persona che avrà giurato indicando precisamente con le sue labbra di fare il male o fare il bene, secondo tutte le cose che uno indica con precisione con giuramento, non se ne sarà reso conto - cioè se avrà giurato di fare qualcosa senza sapere se deve o non deve farsi - e lo verrà a conoscere e avrà commesso uno di questi peccati - sia perché giurò prima di saperlo, sia perché fece ciò che giurò di fare e seppe in seguito che non era da farsi né si doveva giurare - e confesserà il peccato con cui aveva peccato - vale a dire il peccato che aveva commesso, poiché si tratta di un idiomatismo. L’espressione aggiunta: contro di lui che cosa vuol dire, se non che confessò il peccato contro se stesso, cioè accusò se stesso confessando il proprio peccato? E per i peccati commessi offrirà al Signore, per il peccato commesso una femmina delle pecore, un’agnella. L’agiografo dice - con un idiomatismo - un’agnella femmina, come se potesse esserci un’agnella non femmina, o una capra tra le capre, come un’agnella tra le pecore, come se potesse esserci una pecora che non fosse una delle pecore o una capra che non fosse una delle capre. Sorge poi un problema non irrilevante, anzi considerevole, quello cioè di sapere che cosa vuol dire l’espressione ricorrente: ma in seguito si sarà reso conto di ciò e avrà peccato, come se il peccato venisse commesso [solo] quando uno ne avesse coscienza. O piuttosto vuol dire che non si può offrire soddisfazione per il peccato se non dopo averne avuta coscienza? L’agiografo però non dice: " ma dopo questo ne avrà coscienza e si pentirà ". Che vuol dire dunque: dopo ciò ne avrà coscienza e peccherà? Vuol dire forse: " peccherà dopo esserne consapevole " di modo che, se farà ciò che non si sarebbe dovuto fare, allora il peccato dovrà essere espiato? Prima però l’agiografo non si è espresso così. Sembra infatti che [il Signore] castiga i peccati commessi da chi non ne ha coscienza e perciò non vuole commetterli. Forse quindi l’espressione peccherà è un genere d’idiomatismo che vuol dire: " avrà coscienza che è un peccato ". Oppure la frase è espressa con una costruzione inversa - poiché nella Scrittura si trovano anche tali specie di modi di esprimersi - mentre lo stesso concetto è espresso con la costruzione diretta in altri simili passi. Poiché sebbene si trovi scritto tante altre volte così: e peccherà e ne avrà coscienza, soltanto qui - come ho detto - si dice prima: ne avrà coscienza, e poi: peccherà. Secondo la costruzione dell’agiografo però si potrebbe dire: Qualunque persona che toccherà qualsiasi cosa impura, sia essa d’un cadavere o d’una bestia impura, agnello d’una bestia catturata da una belva, sia delle cose che sono cadaveri delle abominazioni impure, il cadavere di giumenti impuri o toccherà qualcosa dell’immondezza umana, di qualsiasi impurità umana con cui si contamina se verrà toccata, e se non se ne renderà conto in seguito però ne avrà coscienza 4.Offerta di due tortore per il sacrificio.
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(5, 7) Se però la sua mano non ha mezzi per procurarsi un animale del bestiame minuto per il peccato da lui commesso, offrirà al Signore due tortore o due piccioni: uno per il peccato e uno per l’olocausto. Qui è risolto forse il quesito a proposito del quale in antecedenza avevamo dei dubbi, poiché pare sia usata l’espressione: uno per il peccato e l’altro per l’olocausto, in quanto il sacrificio per il peccato veniva offerto solo insieme con l’olocausto. Inoltre, precedentemente, parlando a parte degli olocausti, l’agiografo menziona la tortora ma non dice che se ne offrissero due 5. Ora invece dice che se ne devono offrire due, poiché non si offriva un sacrificio per il peccato senza l’olocausto. Quanto dunque a ciò che era detto più sopra, cioè: e lo porrà al di sopra dell’olocausto 6, non c’è dubbio che sull’altare prima si metteva l’olocausto e poi al di sopra si poneva l’altra vittima; ora invece a proposito di animali con le ali si parla diversamente: prima si offra un alato per il peccato e poi un altro per l’olocausto.Anima sta per uomo.
5.
(5, 15) Quanto poi alla frase: Se a un’anima sarà sfuggito per dimenticanza, vuol dire: se per dimenticanza avverrà che sfugga a lui, cioè a un uomo [eum] o a lei [eam] se si riferisce a una persona, poiché qui chiama anime gli uomini, le persone.Un peccato per inavvertenza.
6.
(5, 15-16) E commetterà involontariamente un peccato appropriandosi dei beni sacri del Signore. Si ha l’impressione che questa specie di peccato sia stata espressa in maniera oscura, ma viene spiegata da ciò che si dice in seguito, dove, dopo aver accennato al sacrificio d’un capro di espiazione è detto: lo restituirà e ve ne aggiungerà un quinto. Perciò commettere un peccato per inavvertenza sottraendo ai beni sacri del Signore significa: " appropriarsi inavvertitamente di qualcosa " destinato alle cose sacre o ai sacerdoti o alle offerte delle primizie o di qualsiasi altra cosa simile.Mancanza di distinzione fra varie specie di peccati.
7.
(5, 17-19) E se una persona commetterà un peccato e compirà una delle azioni che il Signore vieta di fare e anche se non ne ha coscienza, commette il peccato e porterà il peso del proprio peccato e offrirà un capro senza difetti del suo bestiame minuto in valore di danaro come sacrificio per il peccato al sacerdote; e il sacerdote farà il sacrificio per il perdono del peccato involontario commesso senza saperlo e gli sarà perdonato; in effetti egli aveva commesso un peccato al cospetto del Signore. A parte l’insolita abbondanza d’idiotismi che per la loro continua ripetizione dovrebbero essere ormai arcinoti, il senso di tutto questo passo è oscuro, poiché ci chiediamo come distinguere questa specie di peccato da quelli che più sopra l’agiografo ha raccolto in una certa maniera generica. Sembra infatti che la ragione esiga che per determinate specie di peccati siano da offrire determinate specie di sacrifici con cui espiarli. Ma il passo che ora ho ricordato non lascia capire di quale peccato in particolare si tratti, ma sembra restare nella generalità; prima di parlarne il Signore stabilì di offrire un vitello come sacrificio per il sacerdote e parimenti un vitello per tutta la comunità, un capro per il principe e per qualunque anima, cioè per qualsiasi persona, una capra o, se si preferisse, un capo di ovini, ma tuttavia bestiame di genere femminile 7. Poi l’agiografo prese ad esaminare alcune specie di peccati e a indicare quale sacrificio si dovesse offrire e per quali peccati, chiamandoli per nome; come per esempio lo spergiuro, udito ma non denunziato, di chiunque, il toccare un cadavere o una cosa immonda e il giuramento falso fatto inavvertitamente, per i quali doveva offrirsi un’agnella o un paio di tortore o due piccioni o un decimo di efa di fior di farina 8; invece, per il peccatore, che inavvertitamente si era appropriato ingiustamente dei beni santi, un capro e la restituzione, con l’aggiunta di un quinto in più, della roba di cui si era appropriato. Adesso, al contrario, senza indicare chiaramente di quale specie di peccato si tratti, si aggiunge in modo generico: Qualunque persona che avrà peccato e avrà compiuto una delle azioni che i comandamenti del Signore vietano di compiere - così diceva in quella prescrizione generica una delle azioni che il Signore vieta di fare - e anche senza averne coscienza e commetterà il peccato, cioè se avrà peccato involontariamente per inavvertenza, il Signore ordina di offrire un capro, non una capra o una femmina delle pecore, come aveva ordinato [parlando dei peccati] in modo generico. Che vuol dire dunque tale mancanza di distinzione [tra le varie specie di peccati]? Salvo che, nell’espressione di questo passo: poiché commise un peccato davanti al Signore, l’inciso: davanti al Signore voglia significare il peccato che si commette nell’appropriarsi delle cose che si fanno davanti al Signore, cioè delle cose mediante le quali si compie il culto del Signore nella Tenda. A proposito di ciò era stato detto qualcosa poco prima nell’espressione: commise un peccato detraendo [qualcosa] dei beni santi 9, e lo abbiamo nel seguente senso: " si appropriò di qualcuna delle cose sante " poiché il Signore aveva comandato anche di restituirla. E perciò riguardo a tali cose non solo così può commettersi un peccato, se cioè uno si appropria di qualcosa di esse inavvertitamente, ma in molti altri modi può uno commettere un peccato, senza averne coscienza, riguardo alle cose che si offrono per il culto del Signore. L’agiografo volle in seguito menzionare in maniera generale questa specie di peccati e perciò sia prima che adesso il Signore comandò di offrire un capro. Le Scritture poi sono piene di espressioni come questa: davanti al Signore e non significano altro se non ciò che si offre al Signore come il sacrificio o le primizie o un servizio di culto con le cose sante.Se sono prescritti sacrifici differenti secondo la differenza dei peccati.
8.
(5, 7) C’è anche quest’altro quesito: quello cioè di sapere se la frase: Se uno non ha i mezzi sufficienti per avere un animale del bestiame minuto, deve intendersi in ogni caso nel senso che egli deve offrire un paio di tortore o due piccioni e, se non riesce neppure a fare così, una determinata quantità di fior di farina. Poiché, se s’intende che è lecito in ogni caso fare così, non può dirsi sicuramente che il sacerdote non ha [da offrire] un vitello né che non ha un capro o una pecora l’intera comunità, né il capo. E se la cosa sta così, che necessità c’era di dire poi che uno spergiuro non denunciato di una persona o l’atto di toccare qualcosa d’impuro o lo spergiuro fatto per ignoranza si espia con il sacrificio di un’agnella o d’una capra, dal momento che i medesimi sacrifici sono prescritti anche in quella indicazione generale del peccato, alla quale avrebbero potuto appartenere anche questi peccati? Se però questi peccati si distinguono per il fatto che per essi era lecito offrire tortore e piccioni o anche fior di farina in mancanza di questa offerta, mentre non era lecito dove non è specificato nulla, allora non sembra che si fosse venuto in aiuto dei poveri, poiché ci sarebbero potuti essere molti altri peccati non indicati particolarmente che potevano riferirsi all’indicazione generale, secondo la quale i poveri sarebbero stati oppressi, se fosse stato lecito solo offrire una capra delle capre o un’agnella delle pecore oppure uccelli e fior di farina. Salvo che si dica che la sola differenza tra i peccati eccettuati e indicati con il proprio nome e quelli menzionati in modo generico deriva proprio dal fatto che qui si parla di un’agnella e lì di una pecora, in modo che l’età degli animali faccia risaltare una certa qual differenza, purché s’intenda che i poveri sono stati parimenti aiutati, sicché, se non possedessero alcun animale quadrupede, potessero offrire o i suddetti uccelli o fior di farina per i loro peccati commessi inavvertitamente. Potrebbe però creare imbarazzo il problema di sapere perché il legislatore, avendo prima messo in generale tutti i peccati d’inavvertenza in un unico elenco e avendo distinto i sacrifici non in base alla differenza dei peccati ma in base a quella delle persone, volle poi distinguere anche i peccati e prescrivere sacrifici differenti secondo la loro differenza, come se tutti non rientrassero in quella generalità; bisogna tuttavia intendere che la distinzione fu fatta in seguito; in tal modo dobbiamo pensare che tutti i peccati che rimarranno, eccetto quelli menzionati nominatamente e particolarmente dal legislatore, si trovano compresi in quella generalità. Questa forma di idiotismo non è possibile trovarla in alcun altro passo, ma nelle Sacre Scritture si trova qualcosa di simile, come nel passo ove l’Apostolo dice: Qualsiasi peccato commetta l’uomo è fuori del corpo. Sembra che qui non è stato omesso alcun peccato dal momento che si dice: Qualsiasi peccato commetta l’uomo, e in seguito tuttavia eccettuò la fornicazione soggiungendo: chi però fornica, commette un peccato contro il proprio corpo 10. Questa asserzione secondo il consueto modo di parlare sarebbe espressa così: qualsiasi peccato commetta l’uomo, eccetto la fornicazione, è fuori del corpo, chi però fornica pecca contro il proprio corpo. Così anche qui, pur avendo parlato prima in genere di tutti i peccati commessi per inavvertenza, da espiare con i sacrifici da lui menzionati, l’agiografo tuttavia eccettuò quelli che, menzionati espressamente e distintamente, dovevano essere riparati con determinati sacrifici: in tal modo, eccettuati questi peccati, tutti i rimanenti dovevano rientrare in quella generalità.Si cerca un significato simbolico.
9.
(6, 6. 10) Offrirà un montone del proprio gregge senza difetti, secondo il prezzo per il peccato commesso. L’espressione non dev’essere separata come se secondo il prezzo per il peccato commesso, significasse: " secondo il prezzo per il qual prezzo peccò ", ma: " se offrirà un montone, lo offrirà secondo il prezzo ", cioè comprato. In effetti sembra che il Signore volle che anche questo particolare avesse un qualche significato simbolico, in quanto non determinò il prezzo. Mi spiego: se lo avesse determinato, sarebbe potuto sembrare che avesse ordinato di non offrire in sacrificio un animale di poco valore, in modo che, anche se colui che lo offriva non l’avesse comprato, avrebbe tuttavia offerto una cosa che avesse un valore equivalente. Aggiungendo però non solo il prezzo, in modo che si offrisse un montone comprato, ma anche il prezzo in sicli santi - così infatti dice l’agiografo: al prezzo di sicli d’argento, valutati al tasso del siclo santo 11 - il Signore volle che il montone fosse comprato per alcuni sicli, non per un solo siclo. Riguardo a che cosa vuol dire: siclo santo abbiamo già esposto una nostra opinione quando ci è parso opportuno. L’agiografo però, dopo aver detto: Per il suo peccato offrirà al Signore un montone del gregge degli ovini senza difetti, soggiunge: per il peccato da lui commesso, espressione che si deve intendere: " offrirà per ciò in cui peccò ", cioè " per quella cosa; a causa di quella cosa ". E ritirerà l’holocarpoma - l’olocausto che il fuoco avrà consumato completamente - dall’altare. Che cosa ritirerà se è stato consumato completamente? Il Signore infatti ordinò al sacerdote di ritirare l’holocarpoma, cioè l’olocausto consumato completamente dal fuoco ch’era stato acceso tutta la notte. E che cosa vuol dire anche la parola olocausto che l’agiografo aggiunse, dal momento che l’holocarpoma ha lo stesso significato di olocausto? Solo che forse è vero ciò che si trova in un manoscritto greco, in cui non si dice: " ritirerà l’holocarposis " [l’olocausto], ma: ritirerà il catacarposis, cioè il residuo dell’olocausto consunto dal fuoco. L’agiografo però chiamò holocaustosis [olocausto] quel residuo, come sono la cenere e il carbone, servendosi del nome della cosa consumata, chiamandola residuo della consunzione.Come si completa il senso della frase.
10.
(6, 9) Poco prima l’agiografo dice: Ecco la legge dell’olocausto; poi, esponendo quale sia la medesima legge, aggiunge: dell’olocausto che starà sul fuoco del braciere [posto] sull’altare tutta la notte fino al mattino e il fuoco dell’altare brucerà su di esso; non dovrà spegnersi. [Questo passo] sarebbe più chiaro se, conforme al nostro abituale modo di esprimerci, non avesse la congiunzione e, poiché, tralasciando tale congiunzione, il senso risulterebbe connesso così: Ecco l’olocausto che starà sul fuoco del braciere posto sull’altare; tutta la notte fino al mattino il fuoco dell’altare arderà su di esso, cioè sull’altare. Poi, per completare il senso dell’enunciato viene aggiunto: non si spegnerà, sebbene ciò fosse indicato dalle parole: tutta la notte.L’holocarpoma.
11.
(6, 11) E indosserà un altro vestito e porterà via l’holocarpoma fuori dell’accampamento in un luogo puro. È chiamato holocarpoma ciò che è stato già consumato col fuoco, che però nel testo greco è dettoIl fuoco arderà sempre sull’altare.
12.
(6, 12) E il fuoco arderà sull’altare dopo quello e non si spegnerà, cioè dopo il fuoco in cui bruciò l’olocausto fino al mattino. Il Signore infatti non vuole che il fuoco si spenga del tutto, ma che dopo aver bruciato l’olocausto fino al mattino e dopo che sia stato portato via il residuo [della vittima] dell’olocausto consumato [dal fuoco], neppure così il fuoco si spenga ma sia alimentato perché ne vengano bruciate le altre vittime che vi si pongono sopra.Significato dell’espressione al mattino.
13.
(6, 12-13) Il legislatore continua dicendo: E il sacerdote al mattino farà bruciare su di esso la legna e vi porrà sopra l’olocausto e vi collocherà al di sopra il grasso del sacrificio di salvezza; e il fuoco arderà sempre sull’altare; non si deve lasciare spegnere. A proposito dell’espressione al mattino bisogna vedere se essa significa " ogni giorno " di modo che non si lasci passare alcun giorno in cui non si trovi l’olocausto e il grasso del sacrificio di salvezza, oppure al mattino significa che in qualsiasi giorno si ponga sull’altare la legna per il fuoco, si deve porre solo la mattina. Poiché se intenderemo l’espressione nel senso di " ogni giorno ", che dire se nessuno portava l’offerta? Se invece erano i sacerdoti a procurare gli olocausti giornalieri prendendoli dalle proprietà del popolo o dai propri beni, su di essi venivano poste le cose offerte dal popolo per i peccati e che il Signore aveva ordinato di porre sopra l’olocausto e non era necessario che la persona, che offriva sacrifici per il peccato, offrisse anche l’olocausto sul quale fosse posto il proprio sacrificio, se non quando veniva offerto un paio di tortore o due piccioni, poiché in quel caso era stabilito senza eccezioni che doveva essere offerto uno in sacrificio per il peccato e l’altro per l’olocausto, e prima quello in sacrificio per il peccato e poi quello per l’olocausto 12. Possiamo inoltre domandarci se l’olocausto che il Signore comandò di offrire la mattina doveva bruciare anch’esso per tutta la notte fino al mattino seguente o se l’olocausto che si dice debba bruciare tutta la notte fosse quello vespertino, a partire dal quale si comincia a parlare della legge dell’olocausto di modo che si inizi a partire dall’olocausto vespertino, ma sarebbe strano che non si dicesse né si ricordasse che quegli olocausti dovevano offrirsi la sera.I sacrifici e il sommo sacerdote.
14.
(6, 19-20) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Ecco l’offerta che Aronne e i suoi figli offriranno al Signore nel giorno in cui lo ungerai ". Una cosa sono i sacrifici che l’agiografo menziona nell’Esodo, con i quali per sette giorni vengono consacrati i sacerdoti perché comincino ad esercitare il loro sacerdozio 13, e un’altra cosa è quella menzionata adesso, cioè che cosa deve offrire il sommo sacerdote quando viene ordinato, ossia quando viene unto. Il testo infatti continua così e dice: Nel giorno in cui lo ungerai. Non dice: " li ungerai ", sebbene fosse comandato dal Signore di ungere anche i sacerdoti di grado inferiore. Il legislatore poi parla dell’offerta da presentare per il sacrificio: la decima parte di un’efa di fior di farina come sacrificio perpetuo. Qui sorge il problema in che senso un sacrificio è perpetuo, se da colui che riceve l’unzione viene offerto solo nel giorno in cui viene unto come sommo sacerdote. Il problema si può risolvere pensando che quel sacrificio deve offrirsi sempre nel giorno in cui viene unto il sommo sacerdote, vale a dire che i sommi sacerdoti nel succedersi gli uni agli altri dovranno offrire sempre quel sacrificio il giorno della consacrazione. Si potrebbe tuttavia intendere perpetuo anche se riferito non al sacrificio, ma a ciò di cui esso è simbolo.Il sacrificio fatto di varie offerte.
15.
(6, 20-21) Di essa - è detto - metà al mattino e l’altra metà al pomeriggio, che il testo greco traduce conEterno ciò di cui il rito è simbolo.
16.
(6, 21-22) L’agiografo poi continua e dice: Sacrificio [che è] fragranza di buon odore per il Signore. Lo farà il sacerdote, l’unto, che gli succederà tra i suoi figli. Ecco perché forse l’agiografo aveva chiamato perpetuo il sacrificio, perché lo facesse ogni sommo sacerdote quando succedeva a quello defunto, il giorno in cui fosse unto; il testo infatti aggiunge l’espressione legge eterna, potendosi intendere come eterno ciò di cui il rito è il simbolo.Consumazione totale dell’offerta.
17.
(6, 23) Il testo continua: Tutto sarà completato, così ha il grecoI residui del sacrificio appartengono al sacerdote.
18.
(6, 26. 30) Parlando del sacrificio per il peccato l’agiografo dice: Il sacerdote che offrirà [la vittima] la mangerà. Il sacerdote non mangerà dell’offerta che porrà sull’altare - poiché essa verrà consumata dal fuoco - ma di ciò che ne rimarrà, poiché non è un olocausto che debba bruciare interamente sull’altare. Di poi l’agiografo dice: Di nessuna vittima per il peccato, di cui si sarà introdotto il sangue nella tenda della testimonianza per fare l’espiazione nel luogo santo, se ne mangi, ma essa verrà bruciata interamente col fuoco 14. In qual modo allora apparterranno ai sacerdoti i residui del sacrificio per il peccato e possono essere mangiati? Ciò quindi occorre intenderlo nel senso che vengono escluse le vittime con il sangue delle quali si bagnano [gli angoli] dell’altare dell’incenso nella tenda della testimonianza. Così infatti il Signore in precedenza aveva ordinato di fare a proposito del vitello che doveva essere offerto dal sacerdote per il proprio peccato e a proposito del vitello che doveva offrire per il peccato di tutto il popolo, che cioè le carni che fossero rimaste venissero bruciate fuori dell’accampamento 15; ciò viene ricordato brevemente anche adesso.Offerta esclusiva del sacerdote.
19.
(7, 1) Questa è la legge del montone offerto per il peccato; si tratta d’una offerta sacrosanta, vale a dire che ne possono mangiare solo i sacerdoti.Differenza fra il peccato e il delitto.
20.
1. (7, 7) Che cosa significa ciò che la Scrittura, dopo aver parlato del capro offerto in sacrificio e aver esposto la legge del rito relativo, dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto; una sola legge per esse? Qui sorge il problema di sapere quale differenza ci sia tra il peccato e il delitto, poiché, se non ci fosse nessuna differenza l’agiografo non avrebbe detto affatto: Come la vittima per il peccato così anche quella per il delitto. Sebbene infatti non ci sia alcuna differenza tra la legge e il sacrificio, poiché unica è la legge per ambedue, tuttavia se tra queste due colpe, per le quali esiste un’identica legge - cioè il peccato e il delitto - non ci fosse alcuna differenza e se fossero due nomi denotanti la stessa cosa, la Scrittura non si preoccuperebbe di sottolineare tanto diligentemente che il sacrificio per entrambi è lo stesso.20. 2. Il peccato dunque è forse compiere il male, il delitto invece è abbandonare il bene, così che, come in una vita degna di lode una cosa è allontanarsi dal male e un’altra è fare il bene - come siamo esortati dalla Scrittura che dice: Allontànati dal male e compi il bene 16 - così in una vita degna di biasimo una cosa è allontanarsi dal bene e un’altra fare il male, e quella sarebbe un delitto, questa un peccato. Se infatti esaminiamo anche questo vocabolo che cos’altro vuol dire delictum [il delitto] se non derelictum [ciò che è stato abbandonato]? E che cosa abbandona chi delinque se non il bene? Anche i Greci hanno denotato questo flagello con due vocaboli usuali. Il peccato [delictum] in greco si dice sia che. Proprio in questo passo del Levitico si trova. Quando l’Apostolo dice: Se uno s’è lasciato sorprendere da qualche peccato 17, il testo greco ha. Se analizziamo l’etimologia di questi nomi, vediamo che con s’intende che in un certo senso " cade in rovina " chi commette un peccato e da " cadere " deriva il termine " cadavere ", che i latini formano derivandolo da "cadere ", e in greco il fallo si dice, che deriva da, cioè dal verbo che vuol dire " cadere ". Chi dunque commette il male col peccare cade prima dal bene peccando. Così pure è un nome simile a " negligenza ", poiché in greco " negligenza " si dice, in quanto non si prende a cuore ciò che si trascura. Il greco infatti traduce l’espressione " non mi importa " con. In questo caso la particella, che si aggiunge per formare il vocabolo, significa praeter [al di fuori di; contro], sicché, che denota la negligenza, sembra significare " senza diligenza ", invece " al di fuori della diligenza ", che è quasi la stessa cosa. Ecco perché anche alcuni nostri scrittori 18 hanno preferito tradurre il termine non con " delitto ", ma con "negligenza ". Nella lingua latina inoltre, che cos’altro è negligitur [si trascura] se non ciò che non legitur, cioè non si sceglie? Perciò anche gli autori latini hanno detto che legem [la legge] deriva da legere [scegliere]. Da questi indizi si deduce in certo qual modo che delinquit [pecca] chi derelinquit [abbandona] il bene e, abbandonandolo, decade dal bene poiché lo trascura, cioè non l’ha a cuore. Per il momento però, quanto alla parola peccato, che in greco si dice, non mi viene in mente quale sia l’etimologia in nessuna delle due lingue.
20. 3. Si potrebbe anche credere che è delitto quello che si commette inavvertitamente, cioè per ignoranza, peccato invece quello che si commette consapevolmente. Con questa differenza sembrano accordarsi i seguenti testi della Scrittura: Chi comprende i propri delitti? 19 e quest’altro passo: Poiché tu conosci la mia imprudenza, soggiungendo immediatamente: le mie colpe non ti sono nascoste 20, ripetendo - per così dire - in un altro modo il medesimo concetto. E non contrasta con questa spiegazione la frase dell’Apostolo citata da me poco prima: Se uno si è lasciato sorprendere da qualche peccato 21. Per il fatto stesso che dice di essersi lasciato sorprendere da qualche peccato, indica che quel tale è caduto in fallo inavvertitamente. L’apostolo Giacomo, al contrario, definendo in un certo modo il peccato come appartenente a uno che ne è consapevole, dice: Chi sa di dover fare il bene e non lo fa, commette peccato 22. Ma quale che sia la differenza - quella o questa o qualche altra - tra il peccato e il delitto, se tra essi non ce ne fosse nessuna, la Scrittura non avrebbe detto, come dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto un’unica legge per esse 23.
20. 4. Ciononostante le due parole si usano indifferentemente, sicché il peccato si chiama delitto, e il delitto peccato. Così, quando si dice che nel battesimo sono rimessi i peccati, non significa che non siano rimessi anche i delitti; ciononostante non vengono nominati ambedue questi termini poiché con il solo termine peccato s’intendono entrambi. Così anche il Signore afferma di versare il proprio sangue per la remissione dei peccati 24. Poiché non dice anche "dei delitti " oserà forse qualcuno dire che mediante il suo sangue non avviene la remissione dei delitti? Parimenti il seguente testo dell’Apostolo: Poiché il giudizio provocato dal peccato di un solo uomo [porta] alla condanna, mentre la grazia concessa dopo tanti delitti ci portò alla giustificazione 25, che cos’altro vuol dire se non che sotto il termine " delitti " sono compresi anche i " peccati "?
20. 5. Anche in questo stesso libro del Levitico, da cui ci vediamo obbligati a trovare o a credere qualche differenza tra il delitto e il " peccato " si legge quanto segue, che cioè Dio, parlando dei sacrifici da offrirsi per i peccati, disse: Se però l’intera comunità dei figli d’Israele avrà commesso un fallo per inavvertenza e il fatto rimarrà nascosto agli occhi della comunità e avrà fatto un’azione di quelle proibite dal Signore e così essi avranno commesso un delitto, se poi sarà riconosciuto come proprio il peccato commesso da loro contro il divieto 26. Ecco che l’agiografo, immediatamente dopo aver detto: e commetteranno un delitto, soggiunge: il peccato commesso da loro, cioè lo stesso delitto che essi avevano commesso. E poco dopo l’agiografo dice: Se invece a peccare sarà il capo e commetterà, anche involontariamente, una delle azioni proibite dal Signore nostro Dio, anche in questo caso commetterà un delitto 27. Parimenti in [uno dei] passi susseguenti è detto: Se una sola persona del popolo del paese commetterà un peccato involontariamente facendo una delle azioni che il Signore proibisce di fare, e delinquerà e sarà poi consapevole del peccato commesso contro la prescrizione 28. Ugualmente in un altro passo: Se una persona, a viva voce, pronuncerà un giuramento di far del male o del bene in tutto ciò che l’uomo può proferire con giuramento e non si sarà reso conto della cosa, ma poi la riconoscerà e avrà commesso uno di tali peccati per il quale peccò contro se stessa e offrirà al Signore per quello di cui si rese colpevole, per il peccato che ha commesso 29. E poco dopo: E il Signore parlò a Mosè in questi termini: "Se qualcuno commetterà una mancanza e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore per il suo delitto un ariete senza difetto, preso dal gregge, che valuterai in sicli d’argento in base al siclo del santuario; risarcirà il danno fatto al santuario, aggiungendovi un quinto, e lo darà al sacerdote, il quale farà per lui il rito espiatorio con l’ariete offerto come sacrificio di riparazione e gli sarà perdonato " 30. Il testo prosegue ancora e dice: Quando uno peccherà facendo, senza saperlo, una cosa vietata dal Signore, sarà colpevole e dovrà scontare la mancanza. Presenterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto, secondo la tua stima; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per l’errore commesso per ignoranza e gli sarà perdonato: È un sacrificio di riparazione; quell’individuo si era certo reso colpevole verso il Signore 31. E continua ancora, dicendo: E il Signore disse a Mosè: "Quando uno peccherà e commetterà una mancanza verso il Signore, rifiutando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto o un pegno consegnatogli o una cosa rubata o estorta con la frode, o troverà una cosa smarrita, mentendo a questo proposito e giurando il falso circa qualcuna delle cose per cui un uomo può peccare, se avrà così peccato e si sarà reso colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode o il deposito che gli era stato affidato o l’oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui abbia giurato il falso. Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto e renderà ciò al proprietario il giorno stesso in cui offrirà il sacrificio di riparazione. Porterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione in onore del Signore, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto secondo la tua stima. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lui davanti al Signore e gli sarà perdonato, qualunque sia la mancanza di cui si è reso colpevole " 32. In conclusione a proposito di quasi tutte le azioni che l’agiografo dice che sono peccati li chiama anche delitti. È perciò evidente che in molti passi delle Scritture i due termini sono usati indifferentemente, ma d’altra parte, che tra di essi vi sia una qualche differenza lo attesta la stessa Scrittura quando dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto.
L’uso del grasso di un animale morto.
21.
(7, 23-25) D’ogni parte grassa dei bovini, ovini e caprini non ne mangerete. E le parti grasse di un animale morto o sbranato da una belva serviranno per ogni uso, ma non saranno mangiate per nutrimento. Chiunque mangerà qualche parte grassa degli animali che porterete come offerta al Signore perirà, rigettato dal suo popolo. Prima la Scrittura aveva detto: Tutto il grasso è per il Signore 33, e ci eravamo posto il quesito se si trattasse soltanto del grasso d’ogni animale puro, senza eccezione - poiché riguardo agli animali immondi non c’è alcun problema - e che uso dovesse farsi del grasso che il Signore aveva proibito di usare come cibo. Ora invece dice che uso deve farsi del grasso d’un animale morto e sbranato da una belva, che cioè può servire per qualsiasi cosa, naturalmente per qualunque cosa per cui sia necessario il grasso. Per conseguenza rimane il quesito relativo a quale uso può farsi del grasso di tutti gli altri animali che sono puri e destinati ad essere mangiati. Ma poiché il Signore dice che perirà, rigettato dal suo popolo, chiunque mangerà il grasso d’uno degli animali offerti al Signore, sembra che la proibizione di mangiare il grasso degli animali puri era limitata solo per gli animali offerti in sacrificio, sebbene abbiamo sentito dire che i Giudei non mangiano affatto nessuna specie di grasso. Ma noi dobbiamo ricercare che cosa prescrive la Scrittura, non ciò che pensano i Giudei. Questi inoltre non trovano quale buon uso fare del grasso da cui si astengono e in che modo possano gettarlo via, dal momento che la Scrittura dice: Ogni parte grassa [degli animali] appartiene al Signore, visto che vogliono che ciò s’intenda non solo del grasso degli animali sacrificati, ma anche di quelli che non vengono sacrificati perché immondi.Dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima.
22.
(7, 29-31) Che cosa vuol dire l’agiografo in merito ai sacrifici di salvezza, poiché avverte di nuovo e dice che colui il quale fa l’offerta del proprio sacrificio di salvezza, deve dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima, in modo tale però che il grasso del petto venga offerto al Signore con il lobo del fegato, mentre prima, parlando dei sacrifici di salvezza aveva anticipato che fosse offerto al Signore il lobo del fegato con il grasso del ventre, dei reni e dei lombi 34, ma non aveva parlato del grasso del petto? Forse qui menziona ciò che ha tralasciato prima? Perché dunque parla del lobo del fegato tanto qui che prima? C’è forse qualche differenza per il fatto che prima ha enunciato la prescrizione riguardo al sacrificio di salvezza, ora invece aggiunge la " propria " salvezza, come se una cosa fosse "la salvezza " e un’altra " la propria salvezza "?Si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote.
23.
1. (4, 3-7; 8, 2. 14-15. 28-29) La prima volta che l’agiografo parla dei sacrifici per i peccati, dice che si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote che avesse fatto peccare il popolo 35; anche in seguito, quando la Scrittura narra come erano stati eseguiti gli ordini dati dal Signore nei riguardi di Aronne e dei suoi figli, si dice che fu offerto un vitello per il peccato 36. Più sopra però il Signore ordina di bagnare con il sangue del vitello i lati dell’altare dell’incenso e di spargerne in direzione del velo santo, e versare il resto del sangue alla base dell’altare degli olocausti 37. Poi, però, quando Aronne viene consacrato 38, non si dice nulla dello spargere il sangue in direzione del velo, mentre si parla dei lati dell’altare ma senza aggiungere: altare dell’incenso 39; si aggiunge tuttavia che si deve spargere il sangue alla base dell’altare; non si dice " alla sua base ", come se fosse necessario intendere che si trattasse dell’altare del quale aveva bagnato i lati col sangue. Pertanto, sebbene il testo si presenti ambiguo, si è tuttavia liberi di pensare che il rito [della consacrazione] si debba svolgere come era stato ordinato prima riguardo al sacrificio del vitello per il peccato; in tal modo non siamo obbligati a pensare che furono bagnati con il sangue del vitello i lati dell’altare alla cui base fu sparso ma ne furono bagnati i lati dell’altare dell’incenso mentre il sangue fu sparso sulla base dell’altare dei sacrifici.23. 2. Più sopra, trattandosi di prescrizioni generali, era stato ordinato che, se il sacerdote avesse peccato, fosse lo stesso sacerdote unto e consacrato - cioè lo stesso sommo sacerdote - a offrire questi sacrifici
40; adesso, al contrario, quando viene consacrato Aronne, è Mosè che offre e allo stesso tempo riceve il petto 41, che prima l’agiografo dice doversi dare al sacerdote 42. Ora invece io penso che fosse chiamato " petto dell’imposizione " poiché se ne poneva il grasso [sull’altare] come l’agiografo ha detto più sopra a proposito del sacrificio di salvezza 43. Poiché dunque pare che il sommo sacerdozio cominciò con Aronne, cosa pensiamo che fu Mosè? Se non era sacerdote, in che modo erano compiuti da lui tutti quei riti? Se invece lo era, in che modo affermiamo che il sommo sacerdozio cominciò con suo fratello? Sebbene anche il Salmo in cui è detto: Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti 44, elimini il dubbio che anche Mosè fosse sacerdote, tuttavia ad Aronne e ai sommi sacerdoti suoi successori 45 è ordinato di ricevere la veste sacerdotale che racchiude un gran mistero. Nell’Esodo, prima che si prescrivesse alcunché circa la consacrazione e, in certo qual modo, l’ordinazione dei sacerdoti, allorché salendo Mosè sul monte, si ordina che non vi salgano i sacerdoti 46, non possiamo pensare siano altri se non i figli di Aronne, non perché già lo fossero, ma perché lo sarebbero stati e perciò la Scrittura li ha chiamati così già da allora per anticipazione, come [nella Scrittura] si trovano molti esempi di simili modi di dire; così, per esempio, anche Giosuè, figlio di Nave, fu chiamato così 47, anche se, come dice la Scrittura, questo nome gli fu imposto molto tempo dopo 48. Mosè e Aronne, dunque, erano allora ambedue sommi sacerdoti. O piuttosto il sommo sacerdote era Mosè e Aronne invece lo era alle sue dipendenze? Oppure era anche lui sommo sacerdote per la sua veste di pontefice e Mosè per il suo ministero più eccellente? Fin dal principio infatti a Mosè il Signore disse: Egli parlerà per te quanto a ciò che concerne il popolo, e tu sarai per lui intermediario per le relazioni con Dio 49.23. 3. Può essere posto anche il quesito seguente: chi, dopo la morte di Mosè, ungeva il successore del sommo sacerdote, che naturalmente poteva succedere solo a quello defunto? Forse perché era già stato unto tra i sacerdoti di secondo grado - in quanto era il medesimo l’olio con cui si ungevano tanto il sommo sacerdote che quelli di secondo grado - ma soltanto il pontefice indossava la veste dalla quale appariva la suprema sua autorità? E se la cosa sta così, la veste la indossava da sé oppure gliela metteva un altro, come Mosè la mise al figlio di suo fratello dopo la morte di questi? Se dunque veniva vestito da un altro sarebbe potuto essere forse sommo sacerdote chi veniva vestito da un sacerdote di secondo rango? Soprattutto poiché la veste era fatta in modo tale che per indossarla era necessario che fosse aiutato da un’altra persona. Ci si vestiva forse così prima come anche dopo? Effettivamente non è che una volta indossata quella veste [poi] non se la togliesse o che, dopo essersela tolta, non tornasse poi ad indossarla. Poteva dunque forse accadere che i sacerdoti di secondo rango vestissero quello di primo grado a titolo di ossequio, non di superiorità. Ma da che cosa appariva chi dei figli doveva succedere al sommo sacerdote? In realtà la Scrittura non ha determinato che fosse il primogenito o il maggiore, salvo il credere che la designazione soleva avvenire in base alla decisione di Dio, manifestata mediante un Profeta o in qualunque altro modo in cui si suole consultare Dio. Sennonché sembra che la faccenda non risultasse priva di discussioni, sicché in seguito parecchi furono i sommi sacerdoti poiché nella disputa del potere supremo fra gli eccellenti, allo scopo di dirimere la contesa, si conferiva a molti quell’onore.
La locuzione stare seduti nell’uso delle Scritture.
24.
(8, 35) Che cosa significa ciò che dice Mosè ad Aronne e ai suoi figli quando vengono consacrati per iniziare il loro servizio sacerdotale: Per sette giorni starete seduti giorno e notte all’ingresso della Tenda della Testimonianza, altrimenti morirete. È forse credibile che sia stato prescritto loro di rimanere seduti giorno e notte per sette giorni in un solo luogo, in una posizione, dalla quale non si sarebbero dovuti muovere affatto? Da questo testo non segue tuttavia che siamo obbligati a pensare che sia indicato in senso allegorico qualcosa che non si debba fare ma solo capire; ma che piuttosto dobbiamo riconoscere un modo di esprimersi proprio delle Scritture quando usano la locuzione stare seduti invece di " abitare; trattenersi in un luogo ". Così, per esempio, non per il fatto che la Scrittura dice che Semei sedette tre anni in Gerusalemme 50 si deve credere che per tutto quel tempo restò seduto sopra una sedia senza alzarsi mai. Per questo motivo si chiamano " sedi " anche i luoghi in cui dimorano coloro che vi risiedono; con questo nome fu denotata infatti l’abitazione.Il termine senatus.
25.
(9, 1) E avvenne che Mosè nell’ottavo giorno chiamò Aronne e i suoi figli, e il senato d’Israele. Quello, che alcuni nostri scrittori tradussero con il termine senato, il testo lo chiamaTre specie di sacrifici.
26.
1. (9, 3-4) Mosè dice ad Aronne: E al consiglio degli anziani d’Israele parla in questi termini: prendi tra le capre un capro [da offrire in sacrificio] per il peccato, e un montone e un vitello e un agnello di un anno, senza difetto, per l’olocausto, e un vitello e un ariete per il sacrificio di salvezza davanti al Signore, e del fior di farina impastato con l’olio, poiché oggi il Signore si farà vedere in mezzo a voi. In precedenza sono ricordate 51 quattro specie di sacrifici di animali: l’olocausto, il sacrificio per il perdono dei peccati, il sacrificio per la salvezza e il sacrificio della perfezione; ma il sacrificio della perfezione era quello offerto per la consacrazione del sacerdote. Qui dunque si prescrive che vengano offerte le tre rimanenti specie di sacrifici e ciò viene detto agli anziani d’Israele affinché arrivasse a tutto il popolo. In questo passo però, al sacrificio per il perdono dei peccati sono destinati tre animali: un capro, un montone e un vitello; all’olocausto invece è destinato un agnello, e al sacrificio della salvezza il vitello e l’ariete. Non si devono perciò separare [le parole del passo] in modo da intendersi destinato al sacrificio per il peccato solo il capro, e invece le rimanenti tre specie di animali, cioè il montone, il vitello e l’agnello destinate per l’olocausto, ma piuttosto le prime tre specie riservate per il peccato, in modo che nell’espressione: Prendete un capro tra le capre per il peccato e un ariete e un vitello, si sottintenda per il peccato, rimanendo così l’agnello per l’olocarposi, cioè per l’olocausto. Ci è parso doveroso fare questa osservazione poiché le parole della frase potrebbero essere separate anche in modo che, dopo l’espressione: prendete un capro tra le capre per il perdono dei peccati, il resto della frase potrebbe riguardare solamente l’olocausto. Al contrario l’espressione aggiunta: senza difetto, potrebbe riferirsi a tutti gli animali. Siccome dunque non è sicuro quale sia il modo migliore di dividere le parole della frase, i primi tre animali ci sembrano destinati al sacrificio per il peccato, dato che prima è comandato di offrire un capro per il peccato d’un capo 52, ma per il peccato personale di ciascuno, fatto al cospetto del Signore, cioè un’azione di quelle proibite, il Signore comandò di offrire un montone 53, mentre per il peccato di tutta la comunità un vitello 54. Era pertanto conveniente che, dicendo Aronne agli anziani che cosa tutto il popolo dovesse offrire, fosse ordinato di offrire un capro per i capi, un montone per il peccato personale di ciascuno e un vitello per il peccato di tutta la comunità. Infatti una cosa è che ciascun membro del popolo abbia un suo peccato personale - e tutti possono avere peccati personali - un’altra cosa è quando il peccato è comune e si commette con la stessa intenzione e con il medesimo sentimento da una folla adunata insieme.26. 2. Quanto invece al fatto che Mosè ordina di offrire un vitello e un montone come sacrifici di salvezza, ordina di offrire gli animali più importanti poiché si tratta di tutto quanto il popolo. In precedenza però, parlando dei sacrifici di salvezza, comandò di offrire animali di qualsiasi specie, sia maschi che femmine, purché fossero offerti bovini, ovini o caprini
55. Se però si cerca di sapere il motivo per il quale sia prescritto di offrire due animali, un vitello e un montone, è difficile trovarlo, salvo forse pensare che fu prescritto di offrire un vitello come sacrificio di salvezza di tutto quanto il popolo; il montone invece per ciascun individuo in particolare come se si trattasse di tutti, presi singolarmente; poiché sembra che anche prima era stato comandato di offrire - per così dire - due specie di sacrifici di salvezza: uno che in un certo senso fosse di tutti quanti, e lo chiamò sacrificio di salvezza 56, e un altro quando disse: Se uno offrirà il sacrificio della propria salvezza 57. In questo testo notavamo anche una differenza, poiché in quel passo in cui si parla del sacrificio di salvezza, non si accenna che il grasso del petto della vittima dev’essere offerto al Signore e che lo stesso petto e il braccio destro devono darsi al sacerdote 58; ma in quel passo è ordinato di fare ciò che poi è chiamato sacrificio della propria salvezza 59, che forse si pensa essere un sacrificio privato, offerto dalle singole persone, non pubblico, di tutti quanti. Poiché anche Mosè offrì sacrifici di salvezza - ma allora non erano qualificati come della propria salvezza - credo che li offrì per tutto il popolo, poiché dove sono tutti c’è anche ciascuno, dove però è ciascuno non ne segue senz’altro che ci siano tutti quanti. Poiché le singole persone possono esistere senza la totalità, mentre la totalità non può non essere composta delle singole persone, in quanto le singole persone radunate insieme o contate nella somma fanno la totalità.26. 3. Naturalmente si deve osservare che, quando si offrono i sacrifici per il popolo viene ordinato anche di offrire sacrifici per il peccato, l’olocausto e i sacrifici di salvezza; per il sacerdote invece è offerto il sacrificio per il peccato, l’olocausto e il sacrificio della consacrazione rituale, ma non quello di salvezza. Il sacrificio della consacrazione però veniva offerto quando i sacerdoti venivano consacrati perché esercitassero il sacerdozio e questi sono i sacrifici offerti da Mosè per Aronne e i suoi figli
60. In seguito però allo stesso Aronne, già consacrato e nell’esercizio del sacerdozio, fu ordinato di offrire per se stesso un vitello per il peccato e un montone per l’olocausto, ma non gli fu comandato di offrire il sacrificio della consacrazione rituale, perché questo era stato offerto per essere consacrato sacerdote e potere esercitare il sacerdozio; ma, poiché già lo esercitava, non era necessario che fosse consacrato di nuovo.Prima si deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l’olocausto.
27.
1. (9, 7-21) E Mosè disse ad Aronne: " Accóstati all’altare e offri il sacrificio per il tuo peccato e il tuo olocausto e compi il rito di espiazione per te e per il tuo casato ". È sorprendente come l’agiografo prima dice che si deve fare il sacrificio per il peccato e poi l’olocausto, dal momento che poco prima è prescritto di porre le cose da sacrificare per i peccati al di sopra degli olocausti 61, eccetto quando si ordina di offrire degli uccelli 62. Oppure forse l’agiografo qui menziona dopo il sacrificio che si offriva prima cioè l’olocausto? Non dice infatti qui come aveva detto degli uccelli: fa’ prima questo e poi quello, ma: fa’ questo e quello. Che cosa, d’altra parte, si debba far prima lo indica l’istruzione esposta più sopra, ove si dice che ciò che si offre per il sacrificio per espiare i peccati si deve porre sopra l’olocausto. Sennonché suscita un grande imbarazzo il fatto che la Scrittura dice che anche Aronne fece così come aveva udito di dover fare, ricordando che prima deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l’olocausto. Non si potrebbe ritenere come un fatto sicuro che facesse anche lui prima quel sacrificio o se la Scrittura ha detto prima ciò che fu fatto dopo, come è solita fare in molti casi, se ciò che ho detto non si leggesse prima, quando essa tratta del sacrificio per il peccato. In realtà vi si legge così: E il sacerdote porrà l’offerta sull’altare al di sopra dell’olocausto del Signore e il sacerdote farà l’espiazione per il peccato commesso da lui e gli sarà perdonato 63. In qual modo dunque potrebbe ciò essere posto sopra l’olocausto, se prima non vi fosse posto l’olocausto? Ma anche a proposito del sacrificio per la salvezza era prescritto che fosse posto sopra l’olocausto 64. Ma siccome ciò non si dice in tutti i passi né per tutti i sacrifici di salvezza, né per tutti i sacrifici per l’espiazione del peccato, si può forse affermare che ciò non era comandato come una regola generale, ma è detto che si facesse in quel modo soltanto in quell’occasione, vale a dire nel sacrificio di salvezza, quando si sacrifica un giovenco - poiché così era ordinato per quel caso - e nel sacrificio per il peccato, quando si sacrifica una femmina degli ovini; non è invece necessario che siano poste sopra l’olocausto tutte le altre vittime da sacrificare sia per il sacrificio di salvezza, sia per il peccato.27. 2. Si rimane imbarazzati anche dal fatto che quando Aronne fa l’offerta per il popolo, menzionata più sopra, non viene ricordato che furono immolate tutte le vittime che erano prescritte, ma solo il capro per il peccato e l’olocausto, e tuttavia in quel caso non si parla chiaramente dell’agnello, e al contrario non si parlò di altre due vittime che abbiamo detto
65 appartenere al sacrificio per il peccato piuttosto che all’olocausto, cioè il montone e il vitello, salvo che per caso l’agiografo volesse intendere la parte per il tutto e così, parlando solo del capro, capissimo che erano state immolate anche quelle altre vittime.27. 3. L’agiografo, raccontando in qual modo Aronne compì i sacrifici di salvezza del popolo, a proposito del vitello e dell’ariete dice: E sgozzò il vitello e il montone per il sacrificio di salvezza del popolo e i figli di Aronne gli portarono il sangue ed egli lo sparse intorno all’altare, poi il grasso preso dal vitello e dal montone, il lombo e il grasso che ricopre il ventre e i due rognoni e il grasso che li ricopre e il lobo del fegato; e pose quei grassi sopra il petto [delle vittime] e fece porre quei grassi sull’altare; e Aronne prelevò il petto e la spalla destra, come prelevamento davanti al Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosè. L’agiografo, parlando dei due animali, il vitello e il montone, parla talora al singolare, tal’altra al plurale. Quando dunque parla di due rognoni si deve intendere presi da ambedue gli animali e perciò i rognoni sono quattro; e così è di tutti gli altri. Che significa però la frase: e pose quei grassi sopra il petto [delle vittime], dal momento che [Aronne] non pose i petti sull’altare, poiché erano dovuti al sacerdote con le spalle destre
66? Si deve forse intenderla nel senso seguente: e pose i pannicoli adiposi che sono sul petto [degli animali]? In effetti furono essi quelli che egli pose per collocarli sull’altare dopo averli tolti dai petti. Così infatti era stato comandato anche prima. L’agiografo poi continua dicendo: e pose i pannicoli adiposi sull’altare e Aronne prelevò il petto e la spalla destra come un prelevamento davanti al Signore, introducendo ora al singolare e dicendo appunto il petto dei due animali, mentre prima aveva detto i petti.Come celebrare il culto divino all’altare.
28.
(9, 22) L’agiografo poi dice: E Aronne, elevate le mani sul popolo li benedisse, e discese dopo aver sacrificato la vittima per il peccato, gli olocausti e gli animali della salvezza. Che significa ciò? Dove compì quei riti se non sull’altare? Cioè stando in piedi presso l’altare e servendo all’altare? Discese dunque da dove stava. Questo testo sembra senza dubbio confermare la soluzione del quesito posto da noi a proposito di un passo dell’Esodo, in cui ci chiedevamo come si potesse celebrare il culto divino all’altare che era alto tre cubiti. In quel passo non ci era lecito ammettere che [all’altare] fosse annesso un gradino poiché Dio lo aveva vietato, affinché sopra l’altare non rimanessero scoperte le parti vergognose del celebrante, cosa che sarebbe potuta accadere se ci fossero stati dei gradini facenti corpo con l’altare, se cioè con esso fossero stati saldamente uniti 67. Ciò fu proibito quando si parlava d’un altare composto di varie parti, poiché l’altare sarebbe risultato una sola cosa con i gradini, che ne sarebbero stati una parte e perciò furono proibiti. Al contrario, dove l’altare era tanto elevato che, se il sacerdote non fosse potuto stare in piedi su qualche supporto, non avrebbe potuto officiare convenientemente, si deve intendere che qualunque supporto si poneva e si toglieva durante l’officiatura rituale, non era parte dell’altare e non era quindi contro il comandamento con cui era proibito che l’altare avesse il gradino; la Scrittura però non indicò quel particolare - qualunque cosa fosse - e perciò è sorto il problema. Ma ora quando la Scrittura dice che il sacerdote discese dopo aver compiuto i sacrifici, cioè dopo aver posto sull’altare le vittime immolate, senza dubbio dice apertamente che egli era rimasto ritto in piedi su qualche sostegno dal quale era disceso e, poiché era stato lì in piedi, aveva potuto quindi servire all’altare di tre cubiti officiando il rito sacro.Significato di estasi.
29.
(9, 24) E tutto il popolo vide e divenne come dissennato; altri traduttori hanno detto: si spaventò, cercando di trasportare dal greco in latino la forma verbaleIl Signore è in ogni luogo.
30.
(9, 24) E uscì un fuoco proveniente dal Signore e divorò ciò che era sull’altare, gli olocausti e i pannicoli adiposi; possiamo chiederci che cosa vuol dire l’espressione dal Signore, se ciò avvenne per un segno e per volontà del Signore o se il fuoco uscì dal luogo dov’era l’Arca dell’alleanza. Di certo il Signore non sta solamente in un luogo particolare, come se non stesse anche in un altro.Non è stato scritto tutto ciò che Dio disse agli scrittori sacri.
31.
(10, 1-3) Dopo che erano morti i due figli di Aronne arsi da un fuoco, mandato dal Signore, per aver osato servirsi di un fuoco profano e porre così nei loro incensieri l’incenso per il Signore - azione illecita, perché tutto ciò che occorreva accendere nella tenda-santuario doveva accendersi con il fuoco divampato per volontà di Dio sull’altare e poi custodito - dopo dunque che essi erano morti, Mosè disse: Ecco ciò che aveva detto il Signore nei seguenti termini: Tra coloro che si avvicinano a me io mi farò riconoscere santo e in mezzo a tutta la comunità io mi farò glorificare, volendo far capire che si avvicinano al Signore coloro che esercitano il sacerdozio nella tenda-santuario, e che egli si fa riconoscere santo tra loro anche castigando, come infatti era avvenuto. Disse Dio così forse perché si sapesse quanto meno perdona agli altri se non perdona ad essi - nel qual senso la Scrittura dice: Se il giusto sarà salvato a stento, dove compariranno l’empio e il peccatore? 68 - non è forse nel senso di quest’altro testo: tanto più sarà richiesto a colui al quale più è stato dato 69, o di quest’altro passo: Chi non sa quel che vuole il proprio padrone e farà cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche, mentre il servo che, pur conoscendo la volontà del proprio padrone, farà cose degne di percosse, ne riceverà molte 70, e nel senso dell’altro passo: Poiché al piccolo sarà concessa misericordia, ma i potenti subiranno tormenti più gravi 71? Ma nei passi precedenti della Sacra Scrittura non si trova dove il Signore disse ciò che Mosè menziona detto da lui. Un caso simile a questo è quello dell’Esodo in cui [Mosè] dice al Signore: Tu hai detto: Io ti conosco meglio di tutti 72, cosa che troviamo scritta essere stata detta dal Signore, ma in seguito. Orbene, poiché Mosè non avrebbe mai detto una bugia simile, si comprende che il Signore gli aveva detto ciò anche prima, sebbene non sia stato scritto : anche qui succede la stessa cosa. Da quanto detto si dimostra che non è stato scritto tutto ciò che Dio disse a coloro per mezzo dei quali ci è stata tramandata la Sacra Scrittura.Mosè vietò di piangere coloro che Dio castigò.
32.
(10, 6-7) Che significa ciò che [Mosè] dice quando proibisce ad Aronne e ai figli rimastigli di piangere la morte dei due figli: Non togliete la tiara dalla vostra testa, ove mostra senza dubbio che le tiare erano coperture del capo? Il divieto è spiegato solo dal fatto che coloro, che facevano il lutto, facevano ciò che era contrario all’ornamento consueto. Allo stesso modo che, secondo la nostra abitudine, siamo soliti avere la testa scoperta e la copriamo a causa d’un lutto, così dovevano tenerla scoperta coloro che piangevano, poiché era per loro un ornamento tenerla coperta. Mosè vietò di piangere coloro con il castigo dei quali era stato riconosciuto santo il Signore, cioè era stato messo in rilievo il timore a lui dovuto. Il motivo di quel divieto non era perché quei [due figli di Aronne] non dovessero essere compianti - Mosè infatti permise che essi fossero compianti dagli altri - ma perché essi non dovevano far lutto allora dato che stavano celebrando i giorni della loro consacrazione, non essendo ancora passati i sette giorni nei quali era stato comandato loro di non allontanarsi dalla tenda-santuario. Comunque sia, essendo stati quelli consacrati con l’olio, potrebbe sembrare che ciò fu detto perché non avrebbero dovuto mai piangere alcuno. Mosè infatti dice così: I vostri fratelli però, tutta la casa d’Israele, piangeranno la morte di essi arsi dal fuoco inviato su di loro dal Signore. Ma dalla porta della tenda della testimonianza voi non dovrete uscire per evitare di morire, poiché su di voi è l’olio dell’unzione proveniente dal Signore.La proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti.
33.
(10, 8-11) E il Signore parlò ad Aronne nei termini seguenti: "Tu e i tuoi figli con te non berrete né vino né altre bevande inebrianti quando entrerete nella tenda della testimonianza o quando vi avvicinerete all’altare, e così non morrete". Quando mai dunque era lecito loro di bere, dal momento che dovevano entrare ogni giorno nella tenda-santuario e accostarsi all’altare per il continuo servizio? Se invece uno dirà che non si solevano imporre sacrifici ogni giorno, che cosa dirà del fatto dell’entrare nella tenda-santuario che avveniva ogni giorno a causa del candelabro e per portare i pani dell’offerta sull’altare? Se poi si risponde che per la tenda della testimonianza di cui si parla ora deve intendersi quella ov’era l’arca dell’alleanza, [si deve ribattere che] anche là doveva entrare il sommo sacerdote per non fare spegnere l’incenso. Egli non entrava una volta sola all’anno, ma una volta sola all’anno con il sangue della purificazione, mentre per l’incenso vi entrava ogni giorno. O forse si deve intendere che Dio comandò che non bevessero vino in alcun modo. Perché dunque non formulò piuttosto il comando in modo da dire brevemente: Non dovrete bere vino, ma aggiunse: quando entrerete nella tenda o quando vi accosterete all’altare? Forse perché non c’era ragione di passare sotto silenzio il motivo di non bere, soprattutto perché Dio sapeva che in seguito ci sarebbero stati anche tanti sommi sacerdoti contemporaneamente, cioè non risultanti per via di successione, i quali avrebbero svolto a turno l’officiatura per la tenda, per i sacrifici e per l’incenso, e per tutto ciò che era richiesto dal culto, quando certamente non bevevano quelli dei quali era il turno di officiare, mentre gli altri bevevano? O che cos’altro si deve intendere in base a questo testo? Poiché, dopo la proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti, il testo aggiunge: regola eterna per le vostre generazioni. È incerto se questa espressione sia connessa con la frase precedente, cioè al divieto di bere vino, o alla seguente ove è detto: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra le pure e le impure, e insegnare ai figli d’Israele tutte le regole che il Signore ha enunciato loro per mezzo di Mosè, affinché questa sia una legge eterna per il ministero dei sacerdoti e dei loro discendenti. In qual senso poi quella regola è detta eterna, lo abbiamo spiegato già numerose volte. Ambiguo è pure il senso della frase seguente: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra quelle pure e quelle impure, se per il fatto che ci sono cose sante e cose pure o profane e impure, o per il fatto che ci sono santi e puri o corrotti e impuri, cioè se Dio volle che i sacerdoti distinguessero tra le azioni fatte secondo le debite cerimonie o no, oppure tra le stesse persone lodevoli o riprovevoli o piuttosto il comando si deve riferire a tutte e due le specie [di realtà], cioè sia alle persone che alle cose sacre.Il petto e la spalla delle vittime separate per il sacerdote.
34.
(10, 14) Il petto della parte separata e la spalla del prelevamento le mangerete in un luogo santo. Sebbene ciascuna cosa sia data a ogni sacerdote, tuttavia è evidente che ambedue le cose si potrebbero dire separate, poiché l’una e l’altra cosa viene separata per essere data al sacerdote e l’una e l’altra potrebbe dirsi di prelevamento oppure oggetto detratto, che in greco si diceI sacrifici della salvezza.
35.
(10, 14) Che cosa significa l’espressione: [prelevata] dai sacrifici delle salvazioni, quando in un altro passo sono chiamati sacrifici di salvezza e al singolare è detto sacrificio di salvezza sebbene si parli della stessa cosa? In questo passo dove è detto: Dai sacrifici delle salvazioni si sarebbe forse dovuto dire: delle sanità? Infatti nel Salmo ove si dice: Ascoltaci o Dio, nostra salvezza 74, il greco ha questa medesima parola che ha in questo passo, cioèAlle donne è vietato cibarsi del vitto dei sacerdoti.
36.
1. (10, 15-20) E ciò sarà per te, per i tuoi figli e le tue figlie una regola per sempre. Non senza ragione è stato aggiunto: per le figlie, poiché alle donne è vietato cibarsi di alcune cose relative al vitto dei sacerdoti, che invece è comandato agli uomini.36. 2. Mosè s’era informato circa il capro offerto [in sacrificio] per i peccati della comunità ma, non avendolo trovato - perché era stato bruciato - si adirò, poiché il Signore aveva ordinato che le vittime offerte dal popolo [in sacrificio] per il peccato dovevano essere mangiate dai sacerdoti dopo esserne stati offerti [al Signore] i pannicoli adiposi e i rognoni; Mosè però non s’era adirato contro suo fratello ma contro i figli di questi, cosa - credo io - attinente al suo ufficio di ammonirli. Aronne gli rispose in questi termini: Oggi essi hanno offerto le vittime per il loro peccato e i loro olocausti al cospetto del Signore e mi sono capitate queste cose; e io mangerò oggi la vittima destinata al sacrificio per il peccato; ciò sarà forse gradito dal Signore? Mosè udì queste parole e ne restò soddisfatto. Pare che Aronne disse così poiché nel giorno che i figli d’Israele avevano offerto per la prima volta il sacrificio per il loro peccato, quel sacrificio non s’era dovuto mangiare dai sacerdoti, ma bruciato totalmente senza farne tuttavia una regola per gli altri sacrifici, poiché in seguito i sacerdoti mangiavano le vittime sacrificate per i peccati. Ma poiché quello fu offerto la prima volta il primo giorno, si deve pensare che il sacerdote Aronne disse ciò per ispirazione divina, affinché in seguito i sacerdoti osservassero il comando impartito da Dio a Mosè e che quanto aveva detto Aronne, come ispirato da Dio, fu approvato da Mosè. Che cosa dire dunque degli altri sacrifici di quel giorno, cioè del montone e del vitello, i quali abbiamo detto doversi intendere offerti per il peccato? Forse non c’è alcun problema a proposito del sacrificio del vitello, dato che doveva essere compiuto come era stato ordinato, in modo che fosse introdotta [nella tenda-santuario] parte del suo sangue, con il quale ungere i corni dell’altare dell’incenso ed era naturale che la vittima bruciasse completamente? Che dire quindi del sacrificio del montone? Poiché Mosè dapprima s’era informato del capro, si deve intendere anche del montone ciò che gli era stato risposto a proposito del capro, sul quale si sarebbe informato successivamente qualora non gli fosse piaciuta la risposta del sacerdote? Ma a proposito del [sacrificio del] vitello quali informazioni avrebbe potuto chiedere, dal momento che poteva essere stato compiuto secondo la legge stabilita da Dio riguardo al vitello da sacrificare per il peccato del sacerdote, che cioè doveva essere bruciato interamente fuori dell’accampamento 77? Queste infatti sono le parole rivolte da Mosè ai figli di suo fratello, sdegnato per non aver trovato il capro da lui richiesto per il peccato, essendo stato completamente consumato dal fuoco: Per qual motivo non avete mangiato nel luogo santo l’animale che era [la vittima] per il peccato? In effetti, essendo cose santissime, il Signore vi ha dato di mangiarne affinché eliminiate il peccato delle comunità e lo espiate davanti al Signore. Poiché nulla del suo sangue è stato introdotto nella tenda-santuario, nell’interno, alla presenza [del Signore], lo mangerete nel santuario, come ha ordinato il Signore. Comunque sia, quando si dice: Poiché nulla del suo sangue fu introdotto alla presenza del Signore nell’interno del santuario, senza dubbio distingue ciò che si compie così per il peccato del sacerdote o per il peccato di tutta la comunità, non riguardo al capro che non doveva essere bruciato interamente in quanto non era stato ordinato che il suo sangue fosse introdotto all’interno [del santuario] per ungere i corni dell’altare dell’incenso, ma che fosse mangiato dai sacerdoti. Il motivo perché avvenne in quel modo, cioè che fosse anch’esso bruciato per intero, fu esposto da Aronne nella sua risposta e Mosè ne fu soddisfatto.
36. 3. Certamente, agli anziani del popolo era stato ordinato che fossero offerti per il popolo sei animali: di questi sono menzionati prima quattro: il capro, il montone, il vitello e l’agnello di un anno; di essi evidentemente il capro era da offrirsi per il peccato, mentre l’agnello di un anno - come è anche evidente - era per l’olocausto. Avevamo visto, al contrario, che era incerto se i due animali elencati in mezzo, cioè tra il montone e il vitello, servissero per il sacrificio offerto per il peccato e fossero aggiunti al capro o piuttosto all’agnello perché fossero offerti per l’olocausto, problema su cui a suo luogo abbiamo esposto la nostra opinione. In seguito, infatti, perché si completasse il numero di sei animali, ha commemorato il vitello e il montone nel sacrificio di salvezza, e tuttavia, quando sono stati immolati e parimenti menzionati, non si fa menzione degli stessi animali, il montone e il vitello, che erano stati inseriti tra il capro e l’agnello, ma sono nominati solo il vitello e il montone che era stato ordinato fossero offerti per il sacrificio di salvezza; di conseguenza si può pensare che non si trattasse più di sei, ma piuttosto di quattro animali 78; si potrebbe forse pensare che i due animali nominati prima tra il capro e l’agnello sono menzionati di nuovo e che non è un altro vitello o un altro montone per il sacrificio di salvezza, e così l’agiografo, avendo spiegato che il capro era destinato al sacrificio per il peccato, ma non per che cosa, cioè per quale sacrificio erano destinati il montone e il vitello, mentre indica l’agnello destinato all’olocausto, in seguito avrebbe voluto dire che cosa dovesse farsi del vitello e del montone, cioè che era comandato di non offrirli né per il peccato come il capro, né per l’olocausto come l’agnello, ma per il sacrificio di salvezza. Se però intenderemo la cosa in questo senso, rimarrà il problema di sapere per qual motivo per il peccato della comunità fu offerto un capro, dal momento che, parlando fin dal principio dei sacrifici che si dovevano offrire per i peccati, il Signore aveva comandato che per il peccato della comunità si offrisse un vitello, così come per il peccato del sacerdote aveva comandato si offrisse non un capro ma un vitello - a proposito del quale vitello comandò che s’introducesse nel santuario anche il sangue, così come per il peccato del sacerdote, per ungere i corni dell’altare dell’incenso 79 - [rimane inoltre il quesito] per quale motivo sia Mosè offrì un vitello per il peccato di Aronne 80, sia lo stesso Aronne offrì un altro vitello 81, come dovevano essere offerti per il peccato del sacerdote secondo il precetto di Dio, mentre per il peccato del popolo non si offriva un vitello - com’era stato comandato - ma piuttosto un capro 82. Poiché incontravamo difficoltà in questo problema, ci sembrò - come abbiamo detto in precedenza - che si comandava di offrire non solo un capro per il peccato del popolo, ma anche un montone e un vitello, solo che per questi tre sacrifici si sottintenda lo scopo, cioè " per il peccato ", poiché non solo facevano parte del popolo anche i capi, per i quali si doveva offrire il capro, ma anche le singole persone potevano avere peccati, per i quali si doveva offrire un montone, e poiché avevano tutti un qualche peccato, per il quale veniva offerto un vitello, per il peccato di tutta la comunità si doveva offrire un vitello, come era stato comandato fin dal principio 83. Perciò infatti, quando si facevano sacrifici viene nominato soltanto il capro perché gli altri animali, anche se non nominati, erano sottintesi mediante la metafora con la quale si esprime la parte per il tutto, poiché tutti quegli animali erano offerti per il peccato.
Recipiente d’acqua reso immondo da carogne immonde.
37.
(11, 33-34) Trattando delle carogne degli animali immondi il testo sacro dice: Se una di quelle carogne cadrà in un recipiente di argilla tutto ciò che vi si trova all’interno sarà immondo e anche quello sarà rotto, vale a dire il recipiente. E ogni specie di alimento commestibile sul quale sarà caduta dell’acqua sarà impuro per voi. Non deve intendersi di qualunque acqua che, se sarà caduta sull’alimento, lo rende immondo, ma di quella che fosse contenuta eventualmente nel recipiente reso immondo da carogne immonde e cadesse da quello.Gli animali generanti esseri vivi.
38.
(11, 47) Per insegnare ai figli d’Israele [a distinguere ] tra gli animali generanti esseri vivi, che si possono mangiare, e animali generanti esseri vivi che non si possono mangiare, alcuni nostri autori preferirono tradurre la parola grecaDove potevano entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull’altare.
39.
(12, 4) Che cosa significa ciò che dice il testo sacro a proposito della donna che ha partorito: Non toccherà alcunché di santo e non entrerà nel santuario ? Qual santuario vuole che s’intenda, dal momento che leggiamo nella Scrittura che nella tenda-santuario solevano entrare solo i sacerdoti e solo fino al secondo velo interno, mentre oltre quello dov’era l’Arca dell’alleanza poteva entrare solo il sommo sacerdote? Si poteva forse chiamare santuario anche il locale davanti alla tenda-santuario ov’era l’altare dei sacrifici? Spesso infatti è chiamato luogo santo anche lo stesso atrio, quando si dice: Le mangeranno nel luogo santo 84. Là solevano forse entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull’altare.I giorni dell’isolamento della purificazione della donna.
40.
1. (12, 2-8) Che significa il seguente testo: Se una donna partorirà un maschio sarà impura per sette giorni; conforme ai giorni d’isolamento [della sua indisposizione] sarà immonda; l’ottavo giorno, poi, farà circoncidere la carne del prepuzio di lui; e durante trentatré giorni resterà seduta nel suo sangue. Non toccherà nulla di ciò che è santo e non entrerà nel santuario? Quale differenza c’è tra quei sette giorni nel corso dei quali è dichiarata impura e i trentatré giorni in cui resterà seduta nel suo sangue puro? Poiché, se non è più impura per trentatré giorni, per qual motivo non può toccare ciò che è santo? C’è forse la differenza ch’essa si trova [inattiva] sebbene con il sangue puro? Ci sarebbe così la differenza che, quando è impura, rende impuro anche qualsiasi luogo in cui starà seduta, mentre, quando ormai sta seduta con il sangue puro non le è lecito toccare solo ciò che è santo ed entrare nel santuario? Questo infatti significa l’espressione: conforme ai giorni dell’isolamento della sua purificazione, poiché in un altro passo è detto che l’impurità della donna, la quale si purifica delle mestruazioni, dura sette giorni, durante i quali tutto ciò su cui starà seduta sarà immondo 85. L’agiografo inoltre dice: dell’isolamento, poiché la donna restava alquanto in disparte per non contaminare ogni cosa mentre trascorreva quei giorni. La legge raddoppiava quei giorni dell’impurità della donna se avesse partorito una femmina e ne fissava quattordici; la legge poi aveva anche ordinato che degli altri giorni che la donna restava con il proprio sangue puro fossero osservati il doppio, cioè sessantasei, in modo che, nel caso che la donna avesse partorito un maschio, i giorni in totale fossero quaranta e, nel caso avesse partorito una femmina, fossero ottanta. Alcuni manoscritti greci non portano la lezione: nel suo sangue puro, ma: nel suo sangue impuro.40. 2. E quando saranno terminati i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia, essa porterà [al sacerdote] un agnello d’un anno, senza difetto, per l’olocausto, e il piccolo di un piccione o d’una tortora per il peccato all’ingresso della Tenda della testimonianza. Il sacerdote lo offrirà davanti al Signore e farà il sacrificio espiatorio per essa e la purificherà dal flusso del suo sangue. Ecco la legge riguardante colei che partorisce un maschio o una femmina. Se però la sua mano non ha trovato il sufficiente per [offrire] un agnello, prenderà due tortore o due piccoli d’un piccione, uno per l’olocausto e l’altro per il peccato, e il sacerdote farà il sacrificio espiatorio per essa ed essa resterà purificata. Pertanto la lezione corretta della frase precedente non è: offrirà un agnello d’un anno, senza difetto, per l’olocausto "
oppure " il piccolo d’un piccione o una tortora per il peccato, come hanno alcuni manoscritti ma, come abbiamo detto: e il piccolo d’un piccione o una tortora per il peccato, dal momento che poi il testo dice: se la sua mano non ha trovato i mezzi sufficienti per [offrire] un agnello, prenderà due tortore, dove pare che il testo ha in più la congiunzione e, tolta la quale la frase continua in modo corretto: prenderà due tortore o due piccoli d’un piccione, cioè un uccello per l’olocausto e un altro per il peccato.40. 3. Ma per quale peccato? Forse qui si mostra la discendenza da Adamo, della quale l’Apostolo dice: Da uno per la condanna
86 e poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo d’un solo uomo e attraverso il peccato la morte e così la morte passò su tutti gli uomini 87. Anche in questo testo appare assai chiaramente il senso espresso nelle parole: Io infatti nella colpa sono stato concepito e nei peccati mia madre nel suo ventre mi ha fatto crescere 88. Perché dunque la Scrittura dice che mediante questo sacrificio viene purificato non il figlio nato ma la madre che lo ha partorito? La purificazione è stata forse riferita, a causa del flusso del sangue, proprio a colei dalla quale proveniva quella sorgente? Tuttavia tale purificazione non poteva avvenire senza quella dello stesso feto nato dallo stesso sangue? A che cosa infatti si riferisce la frase precedente: Per un figlio o per una figlia essa porterà un agnello d’un anno, senza difetti, per l’olocausto e il piccolo d’un piccione o una tortora per il peccato, se con questo sacrificio non si procurava alcun beneficio alle creature che nascevano?40. 4. Se poi uno cercherà di punteggiare il periodo del testo in modo da affermare che la frase non deve unirsi così: Per un figlio o per una figlia offrirà un agnello d’un anno, senza difetti, per l’olocausto e il piccolo d’un piccione per il peccato, ma si deve leggere piuttosto nel modo seguente: e quando saranno compiuti i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia, cioè si saranno compiuti i giorni della purificazione per quello o per quella, vale a dire per il figlio o per la figlia, in modo che il testo poi continui con un altro senso: offrirà un agnello d’un anno, senza difetti, per l’olocausto e il piccolo d’un piccione per il peccato, cioè per il suo peccato, allorché saranno terminati i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia. Se uno cercherà di punteggiare la frase in questo modo, sarà convinto d’errore dal Vangelo, in cui, quando fu compiuta una simile cerimonia religiosa per il Signore nato dalla Vergine, più per accondiscendenza a un’abitudine della legge che per la necessità di espiare e purificare alcun peccato in Lui, si legge così: Quando i genitori portarono il bambino Gesù nel tempio per compiere a suo riguardo quanto era consueto farsi secondo la legge
89. L’agiografo non dice: " riguardo a sua madre ", ma: riguardo a lui, sebbene fossero compiute le prescrizioni che in questo passo erano state ordinate a proposito delle due tortore o dei due piccoli piccioni. Così infatti si degnò di essere battezzato anche Lui con il battesimo di Giovanni, che era un battesimo di " penitenza " per la remissione dei peccati 90, sebbene egli non avesse alcun peccato. Giustamente quindi alcuni nostri scrittori tradussero questo passo del Levitico in modo da dire non: " a proposito " del figlio o della figlia, ma: per il figlio o per la figlia. Essi infatti avevano compreso che questo è il significato della proposizione super in questo passo, ove il greco dice:La cicatrice indica un difetto del colore.
41.
(13, 2) Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice di un segno, chiara, e sulla pelle di quel colore sarà apparso un altro attacco di lebbra. L’agiografo poi, a modo di spiegazione, espone più avanti come si debba intendere ciò che aveva detto prima, poiché aveva detto: Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice chiara, perché non intendessimo la cicatrice come suol essere il segno di una ferita rimarginata, e spiega che, quando aggiunge: e sarà sulla pelle del suo colore un attacco di lebbra, dice ciò riguardo al colore. Qualunque cosa sia ciò che l’agiografo chiama cicatrice, è un difetto del colore. Quanto a ciò che invece chiama attacco di lebbra, non [si deve pensare] che quel colore si senta con il tatto, ma si chiama attacco di lebbra come se la persona o il suo corpo venisse toccato dalla lebbra, cioè coperto di macchie ed infettato. Così per esempio si suol dire: " Ha avuto o non ha avuto un attacco di febbre ". Così l’agiografo chiama la stessa macchia attacco [della lebbra] e la chiama sempre con questo nome. Per questo motivo alcuni dei nostri [traduttori] non hanno tradotto attacco, ma macchia. Per la verità con questo vocabolo sembra più chiaro il senso di ciò che si legge; ma anche il testo greco avrebbe potuto dire nonL’inquinamento della lebbra.
42.
(13, 3) Che significa la frase: E lo esaminerà e lo inquinerà il sacerdote, dal quale andrà [il malato] per essere mondato? Ma inquinerà è detto nel senso " lo dichiarerà inquinato " se il sacerdote vedrà in lui gli indizi indicati dalla Scrittura a proposito della macchia della lebbra.La macchia di colore della lebbra.
43.
(13, 4. 7. 2) Se però nella pelle del suo colore ci sarà un bianco lucente e ciò che si vede non sarà incavato rispetto alla pelle. Nell’espressione bianco lucente si sottintende " l’attacco ", cioè la macchia di colore, non i peli. Riguardo poi all’espressione che segue: Se però è cambiata la significazione sulla pelle, ora l’agiografo chiama significazione ciò che prima nel testo latino si legge signum [segno]. Il testo greco infatti tanto prima che qui usa il medesimo vocabolo, cioèSegregazione del lebbroso.
44.
(13, 5-6) E il sacerdote lo isolerà di nuovo per sette giorni; e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco che [la macchia] del contagio sarà di colore oscuro e sulla pelle non si sarà cambiata; il sacerdote lo purificherà, poiché si tratta di un segno, cioè lo dichiarerà purificato, poiché non è la lebbra, ma un segno.Il sacerdote esamini il colore della lebbra.
45.
(13, 7-8) Ma se nella sua evoluzione la significazione nella pelle si sarà cambiata dopo che lo aveva esaminato il sacerdote per purificarlo e l’uomo si farà visitare di nuovo dal sacerdote e questi lo esaminerà ed ecco che la significazione nella pelle è cambiata e il sacerdote lo inquinerà: è lebbra. Anche qui è detto lo inquinerà, cioè " lo dichiarerà impuro "; il testo ha in più la congiunzione e, secondo l’esprimersi della Scrittura. Pare quindi che l’agiografo ammonisca che quando si è visto solo il colore bianco e lucido dissimile dal colore sano, il sacerdote esamini il malato di nuovo affinché, se vedrà mutato nel colore bianco anche il pelo e divenuta più profonda la cavità della pelle in cui si trova il colore bianco, solo allora dichiari che si tratta di lebbra, giudichi impuro l’uomo dichiarandolo lebbroso. Se però - è detto - nella pelle del suo colore ci sarà il bianco lucido - sarà cioè bianco lucido il contagio, nome con cui il testo denota la medesima macchia - e non apparirà profonda la cavità nella pelle e il pelo non si sarà cambiato in bianco, ma è scuro - cioè che lo stesso pelo non è bianco e il sacerdote terrà segregata la persona affetta per sette giorni. E il sacerdote esaminerà il settimo giorno quell’attacco [del contagio] - vale a dire quella macchia - ed ecco, l’attacco rimane davanti a lui, ma non si è esteso nella pelle, cioè non si è trovato dissimile e di colore diverso da quello della pelle. Era dunque tornata sana la parte che prima era malata. È comandato però che la guarigione sia controllata ancora per altri sette giorni e perciò la Scrittura continua dicendo: E il sacerdote terrà l’uomo di nuovo isolato durante sette giorni - cioè per altri sette giorni - e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco il gonfiore [diventato] oscuro - vale a dire che non è bianco e lucido e perciò dello stesso colore del colore sano - l’attacco nella pelle non si è cambiato - come aveva detto poco prima, cioè non è diverso dal colore di tutta l’altra pelle - e il sacerdote lo purificherà, cioè lo dichiarerà libero dal sospetto di lebbra non perché abbia avuto la lebbra che ormai non ha, ma perché la lebbra non c’è stata per il fatto che nel colore lucido e bianco del contagio, cioè della macchia ch’era apparsa, allorché si aspettava per vedere se la cavità [sulla pelle] divenisse più profonda e il pelo in quel punto si cambiasse in bianco, non avvenne così, ma piuttosto quel contatto che prima era lucido e bianco, fu trovato scuro, cioè simile a tutto il restante colore non lucido. Non era dunque la lebbra; infatti ciò che appariva lebbra non lo era, ma solo un segno. Tuttavia, sebbene liberato per questo motivo dal sospetto della lebbra, dovrà lavare le sue vesti, poiché in quel segno c’era qualcosa per cui si dovevano lavare gli abiti, e sarà puro.La lebbra consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore.
46.
(13, 7-8) Il testo infine continua: Se però sulla pelle il segno si sarà cambiato dopo che il malato era stato esaminato dal sacerdote per essere purificato - cioè dopo che il sacerdote lo aveva esaminato prima il settimo giorno trovandolo sano per purificarlo, quella significazione, cioè quel segno sulla pelle, era cambiata - e sarà stato esaminato di nuovo dal sacerdote - cioè dopo altri sette giorni - e il sacerdote lo avrà esaminato, ed ecco il segno sulla pelle è cambiato - cioè non perdurò nello stato di salute in cui lo aveva visto dopo i primi sette giorni - e il sacerdote lo dichiarerà impuro: è lebbra. Orbene in questo caso, poiché ciò che era apparso sano dopo i primi sette giorni non era continuato a rimanere nel suo stato, ma si era mutato nel male di prima, viene dichiarato lebbra: di conseguenza in quel caso non si deve aspettare né che la cavità [sulla pelle] sia più incavata, né che il pelo sia mutato in bianco. Poiché la lebbra non è percettibile e non si presenta come un male ma consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore, il fatto stesso di tornare da un colore malsano a quello naturale e da quello naturale a quello malsano è tanto percettibile che non c’è bisogno di aspettare ciò che nel primo caso era stato ordinato di aspettare circa la cavità più fonda e circa la bianchezza del pelo, ma dal solo fatto del cambiamento viene considerata sicuramente lebbra.La carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco.
47.
(13, 9-17) L’agiografo poi continua così: Nel caso che in un uomo ci sarà un attacco di lebbra lo si condurrà dal sacerdote. E il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca sulla pelle ed essa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco e da quello sano della carne viva nella cicatrice. Se toglieremo e da questa frase, aggiunto secondo il modo di esprimersi delle Scritture, il senso della frase sarà il seguente: Il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca nella pelle e questa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco da sano che è quello della carne viva nella cicatrice. La costruzione diretta della frase è la seguente: ha fatto cambiare il colore del pelo in bianco sulla cicatrice da quello sano della carne viva, cioè: mentre la carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco : È lebbra inveterata nella pelle del suo colore; e il sacerdote lo condannerà - cioè lo dichiarerà impuro - non lo isolerà perché è impuro. L’agiografo pare voglia dire che quando si trova il pelo mutato in bianco, un pelo del medesimo colore del pelo bianco per la malattia della carne, non s’isolerà più il malato per esaminarlo né si aspetta per vedere se la cavità diventi più profonda, ma per il solo fatto che la pelle è bianca di colore diverso dal restante, ed ha il pelo bianco di colore diverso da quello degli altri che sono nella carne viva e sana, si dichiara che c’è la lebbra inveterata; inveterata poiché non dev’essere verificata più durante i suddetti quattordici giorni. Se invece sarà restituito il colore naturale e si sarà cambiato in bianco - [l’agiografo dice così] poiché aveva detto che tutto il colore bianco esteso su tutta la pelle era già puro per il fatto stesso che non c’era più il cambio di colore -. Continua poi dicendo: Ma in qualunque giorno sarà visto in lui il color vivo, verrà dichiarato impuro. Da questa frase appare in modo assai chiaro che si disapprova il cambiamento di colore. E perciò riguardo a quanto ha detto poco prima l’agiografo, cioè: Se invece sarà restituito il colore sano e si sarà cambiato in bianco, [il malato] si recherà dal sacerdote. E il sacerdote lo esaminerà ed ecco l’attacco rimutato in bianco e il sacerdote purificherà l’uomo colpito dall’attacco: è puro, non dobbiamo pensare che il colore sano ritornò perché risultasse sano, poiché era già sano il colore ma per caso tuttavia diventava impuro a causa del suo cambiamento. Dice che tornò sano il colore in modo che tornò ad essere quel che era stato, cioè colore bianco scomparendo quello sano. Poiché allora sarà di nuovo puro, quando sarà tutto bianco poiché non ci sarà nessun cambiamento. Ma prendere restituito nel senso di "scomparso " sarebbe un modo di esprimersi troppo inusitato. Pare infatti che si sarebbe dovuto dire piuttosto: se però sarà restituito il colore bianco. Ora, al contrario, si dice: sarà stato restituito sano e si sarà cambiato in bianco come se dicesse: se sarà stato restituito in bianco il colore sano.La lebbra della testa.
48.
(13, 30) Per qual motivo, quando la Scrittura parla della lebbra della testa, la chiama anche una percossa, dal momento ch’essa consiste solo nel colore della cute e dei capelli e dal fatto che appare più incavata rispetto al resto della pelle, tuttavia senza alcun dolore o scossa? Ha forse l’agiografo preferito chiamare colpo invece di " piaga " ciò che è impuro, come se uno fosse percosso da tale impurità?La lebbra dei vestiti.
49.
(13, 47-48) Che cosa vuol dire la Scrittura quando, parlando della lebbra dei vestiti o di altre cose attinenti ai bisogni umani dice: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa o di canapa o nella lana e nelle cose di lino o di lana, dal momento che già prima aveva detto: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa? Poiché una cosa di stoppa è certamente [anche] di lino. O forse l’agiografo lì volle fare intendere i vestiti, qui invece qualunque oggetto di lana o di lino? Poiché non sono vestiti le coperte dei giumenti, pur essendo di lana, o sono vestiti le reti pur essendo di lino. Prima dunque volle parlare in particolare dei vestiti e poi in genere di tutti gli oggetti di lana e di lino.Il pellame lavorato.
50.
(13, 48) Si pone il presente quesito: perché l’agiografo dice: in ogni specie di pellame di lavoro. Ma alcuni hanno tradotto: in ogni sorta di pellame lavorato. Il testo greco però non diceIl termine vas indicante qualsiasi utensile.
51.
(13, 49) Che cosa vuol dire l’espressione: In qualsiasi oggetto di lavoro di pelle, se non quello fatto di pelle, cioè un qualsiasi oggetto di pelle? D’altra parte l’agiografo in questo passo chiama ciò vas [arnese], che in greco si chiamaIl malato ha il dovere di lavarsi le mani..
52.
(15, 11) Che cosa significano le seguenti espressioni: Qualunque persona che il malato di gonorrea toccherà, senza essersi lavato le mani nell’acqua, laverà le sue vesti e bagnerà il suo corpo nell’acqua, e sarà impuro fino alla sera? Poiché l’espressione: senza essersi lavato le mani nell’acqua è formulata in modo ambiguo, quasi volesse dire: " dopo averlo toccato ". Si deve invece intendere così: qualunque persona che [il malato] toccherà senza essersi lavate prima le mani, la stessa persona ch’egli avrà toccato dovrà lavarsi le vesti, ecc.In qual modo si dovrà fare l’espiazione per i santi.
53.
1. (16, 16. 19). Che significa ciò che l’agiografo, a proposito del comando [dato dal Signore] al sommo sacerdote quando deve entrare nel " Santo ", situato dietro il velo, tra l’altro dice: Farà l’espiazione per purificare i santi dalle impurità dei figli d’Israele e dalle loro ingiustizie [e] da tutti i loro peccati ? In qual modo farà l’espiazione per i santi, se sarà fatta per togliere le impurità dei figli d’Israele e le ingiustizie dei loro peccati? Forse, perché non dice: " in favore [pro] delle impurità ", ma dalle [ab] impurità dei figli d’Israele, si deve intendere: farà l’espiazione per i santi dalle impurità dei figli d’Israele? Vale a dire per coloro che sono santi esenti dalle impurità dei figli d’Israele in quanto non acconsentono alle loro impurità, non perché si dovesse fare l’espiazione solo per essi, ma anche per essi, affinché non si pensasse che fossero talmente santi da non aver nulla per cui si dovesse fare l’espiazione per essi, sebbene fossero estranei dalle impurità dei figli d’Israele e dalle loro ingiustizie. Da tutti i loro peccati, cioè dalle ingiustizie derivanti da tutti i loro peccati.53. 2. Il senso della frase: Farà l’espiazione dalle impurità dei figli d’Israele potrebbe essere anche questo altro, che cioè si fa l’espiazione per essi, affinché fossero al riparo dalle impurità dei figli d’Israele. Ma farà l’espiazione non può intendersi se non nel senso espresso dall’altro verbo farà propizio. Si chiama perciò anche "
propiziatorio " quello che altri traducono con " offerta espiatoria ", e in greco si chiama53. 3. Per la verità in un manoscritto greco troviamo: Ed espierà il Santo, non "
a favore dei santi " e il termine il Santo è in verità di genere neutro, cioèSe santificherà in modo perfetto ciò che santifica.
54.
(16, 20) Porterà a termine purificando il Santo. Compirà forse il Santo? Oppure facendo espiazione per il santo, come abbiamo detto più sopra? Poiché anche qui in greco è dettoI due capri, l’uno destinato ad essere immolato e l’altro a essere allontanato.
55.
(16, 8-10. 26-33) A proposito dei due capri, l’uno destinato ad essere immolato e l’altro a essere allontanato nel deserto, chiamato dai GreciProibiti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso.
56.
(17, 3-4) C’è un testo che dice: Chiunque ucciderà un vitello, un montone o una capra nell’accampamento e chi li ucciderà fuori dell’accampamento e non li porterà alla porta della tenda della testimonianza; in questo testo si stabilisce un peccato e si minaccia chi lo commette, ma non si parla degli animali che vengono uccisi per la necessità di nutrirsi o per altre necessità, ma di quelli destinati ai sacrifici. Il testo proibisce infatti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso, ma porti [le vittime] dove siano offerte a Dio per mezzo del sacerdote. In questo modo non offriranno nemmeno sacrifici ai falsi idoli; poiché il testo precedentemente aveva ammonito anche di guardarsi da ciò in quella consuetudine. Il fatto che non era lecito offrire sacrifici se non nella tenda-santuario, alla quale in seguito successe il tempio, valse di conseguenza quando anche Geroboamo, re d’Israele, osò fare erigere due vitelli, ai quali il popolo doveva sacrificare, affinché dietro l’obbligo di questa legge, coloro che erano sotto il suo regno non venissero sviati da lui mentre andavano a Gerusalemme per offrire i loro sacrifici nel tempio e per questa sua azione fu condannato dal Signore 95. Si pone perciò con ragione il quesito in qual modo sacrificò lecitamente Elia fuori del tempio di Dio, quando con le preghiere ottenne [di fare scendere] il fuoco dal cielo e confutò vittoriosamente i profeti dei demoni 96. Mi pare che questo fatto non si giustifichi con nessun’altra ragione che quella con cui si giustifica anche l’azione di Abramo perché volle immolare il figlio per suo ordine 97. Quando colui che stabilisce la legge ordina di fare qualcosa che è proibita nella [sua] legge lo stesso comando è considerato legge poiché è l’autore della legge [che lo dà]. Oltre al sacrificio non potrebbero mancare altre situazioni strane con cui sarebbero vinti e confutati i profeti dei boschi sacri; ma qualsiasi cosa lo Spirito di Dio, che era in Elia, abbia operato in questa circostanza, non può essere contro la legge, poiché è lui il datore della legge.Il senso della proibizione di mangiare il sangue.
57.
1. (17, 10-12) Che significa ciò che dice l’agiografo quando parla della proibizione di mangiare il sangue: l’anima di ogni carne è il suo sangue? Tutto questo passo lo spiega nel modo seguente: E ogni uomo o dei figli d’Israele o degli immigrati stabilitisi tra voi che mangerà qualsiasi tipo di sangue, volgerò la mia faccia a colui che mangia il sangue e lo radierò dal suo popolo. Poiché l’anima d’ogni carne è il suo sangue. Ed io ve l’ho concesso per fare il rito dell’espiazione per le anime vostre, poiché il suo sangue servirà di espiazione per l’anima. Ecco perché ho detto ai figli d’Israele: " Nessuno tra di voi mangerà del sangue, neppure l’immigrato stabilitosi tra voi mangerà del sangue ". Se dunque diciamo che il sangue è l’anima di un animale, si deve forse credere che il sangue è anche l’anima dell’uomo? Niente affatto! Perché allora l’agiografo non dice: L’anima di ogni carne di animale è il suo sangue, ma dice: l’anima di ogni carne è il suo sangue? Tra tutte le specie di carne è considerata senz’altro anche la carne dell’uomo. Oppure, forse perché c’è qualcosa di vitale nel sangue, dato che soprattutto per mezzo di questo stesso c’è vita nella carne dal momento che mediante tutte le vene si diffonde in tutte le parti del corpo, per questo viene chiamata anima la vita stessa del corpo, non la vita che abbandona il corpo, ma quella che termina con la morte? Con questa espressione diciamo che questa vita è temporale, non è eterna, è mortale, non immortale, poiché è immortale la natura dell’anima, che fu portata via dagli angeli nel seno di Abramo 98, e alla quale è detto: Oggi sarai con me in paradiso 99, e che soffriva terribili tormenti nell’inferno 100. Così secondo questo significato per il quale è chiamata anima anche la vita temporale, l’apostolo Paolo disse: Non ritengo la mia vita meritevole di nulla 101, frase con la quale voleva mostrare d’essere pronto anche a morire per il Vangelo, poiché secondo il significato per cui si chiama " anima " quella che va via dal corpo, egli considerava più preziosa quella la quale acquistava un sì gran merito. Ci sono anche altre espressioni idiomatiche di tal genere. E così questa nostra vita temporale è mantenuta nel corpo soprattutto dal sangue. Ma che significa l’espressione: Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare in espiazione per le vostre anime: come se l’anima facesse l’espiazione per l’anima? Può forse il sangue espiare per il sangue, come se noi fossimo preoccupati per il nostro sangue, quando cerchiamo espiazione per la nostra anima? Ciò è una cosa illogica.57. 2. È però ancora più assurdo pensare che il sangue di un animale possa fare l’espiazione per l’anima dell’uomo, la quale non può morire: quando la Scrittura nella Lettera agli Ebrei afferma chiaramente che il sangue delle vittime non serviva a nulla per fare l’espiazione a Dio per i peccati degli uomini, ma prefigurava qualcosa che avrebbe arrecato vantaggio. La Lettera infatti afferma: È impossibile che il sangue dei tori e dei capri cancelli i peccati
102. Ne consegue perciò che, poiché per l’anima nostra fa l’espiazione quel Mediatore che era prefigurato da tutti quei sacrifici che allora si offrivano per i peccati, si chiama anima ciò che simboleggia l’anima.57. 3. La cosa, che è simbolo, suole infatti denotarsi con il nome di quella simboleggiata; in questo modo la Scrittura dice: Le sette spighe sono sette anni - non dice: simboleggiano sette anni - e le sette vacche sono sette anni
103, e molte altre espressioni del genere. A questo proposito la Scrittura dice: quella roccia era Cristo 104; non è detto: " la roccia rappresentava Cristo ", ma [è detto così] come se fosse ciò che evidentemente non era quanto alla sua natura, ma quanto al simbolo. Così anche il sangue, poiché a causa d’una certa costituzione fisica vitale, rappresenta l’anima, nei riti sacri è chiamato "anima ". Se però uno crede che l’anima di un animale è il sangue, non ci si deve occupare di tale questione, ma si deve evitare assolutamente di ritenere che il sangue sia l’anima dell’uomo, quella che dà la vita alla carne umana ed è razionale; questo errore dev’essere rigettato. Vanno anche ricercate le espressioni in cui con il contenente viene indicato il contenuto, cosicché, dato che l’anima è contenuta nel corpo per mezzo del sangue - tant’è vero che, se il sangue viene sparso, essa esce dal corpo - per mezzo di questo stesso venga meglio indicata l’anima, e in tal modo il sangue acquisti il nome di essa. Così viene chiamato " chiesa " il luogo ove si raduna la Chiesa; Chiesa infatti sono le persone, della quale è detto: Per far comparire davanti a lui la Chiesa splendente di gloria 105. Tuttavia che si chiami con questo nome la casa delle preghiere lo attesta il medesimo Apostolo nel passo ove dice: Per mangiare e per bere non avete forse la vostra casa? Disprezzate forse la Chiesa di Dio? 106 L’usanza del parlare quotidiano è invalsa a far sì che si dice: " andare in chiesa ", o " rifugiarsi nella chiesa " solo di uno che sia andato o si sia rifugiato in quel luogo e nelle sue pareti in cui è contenuta la comunità della Chiesa. Sta scritto anche: e versa sangue chi sottrae la mercede dell’operaio 107. Qui è detto sangue la mercede, poiché con la mercede viene sostentata la vita, che viene denotata con la parola sangue.57. 4. Però, mentre il Signore dice: Se non mangerete la mia carne e berrete il mio sangue non avrete in voi la vita
108, che cosa significa il fatto che al popolo viene proibito con tanta insistenza di nutrirsi del sangue dei sacrifici che sono offerti per i peccati, se da quei sacrifici era prefigurato l’unico sacrificio mediante il quale si effettua la vera remissione dei peccati; tuttavia non solo a nessuno viene proibito di assumere come alimento il sangue di questo sacrificio ma anzi sono esortati a berlo tutti coloro che desiderano avere la vita? Si deve quindi ricercare che cosa significa il fatto che all’uomo è proibito dalla legge di nutrirsi del sangue e gli viene comandato di versarlo per Dio. Sulla natura dell’anima, perché sia denotata con il termine "sangue ", abbiamo già detto quanto per ora ci pare che basti.In che consiste l’indecenza del padre e della madre.
58.
(18, 7-8) Non scoprirai la nudità di tuo padre né quella di tua madre [poiché] è la loro vergogna. È proibito il rapporto sessuale con la madre; in questo consiste l’indecenza del padre e della madre. Più avanti infatti è proibito il rapporto anche con la matrigna, ove è detto: Non scoprirai la nudità della moglie di tuo padre, poiché è la vergogna di tuo padre. In questo passo è spiegato come nella madre c’è la vergogna d’ambedue, cioè del padre e della madre, nella matrigna invece c’è solo la vergogna del padre.Non è lecito scoprire la nudità di una sorella.
59.
(18, 9. 11) Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o di tua madre, nata in casa o fuori casa; non scoprirai la nudità di lei. Per colei che è nata in casa s’intende quella nata dal padre; per quella nata fuori casa s’intende quella nata dalla madre nel caso che l’avesse avuta da un precedente marito e fosse venuta con lei in casa quando sposò il padre del figliastro: è questi che la Scrittura ammonisce di non scoprire la nudità della propria sorellastra. In questo passo sembra che non fosse stato proibito e quasi passato sotto silenzio il rapporto sessuale con la sorella nata da entrambi i genitori, poiché non è detto: " non scoprirai l’indecenza di tua sorella, figlia di tuo padre e di tua madre ", ma di tuo padre o di tua madre. Chi però non vede che a maggior ragione è proibito quell’altro rapporto sessuale? Se infatti non è lecito scoprire la nudità di una sorella figlia di uno qualunque dei due genitori, quanto meno è lecita una tale azione con la figlia di entrambi i genitori? Ma perché, dopo aver riferito la proibizione del concubito anche con le proprie nipoti sia da parte del figlio che della figlia, il testo continua e dice: Non scoprirai la nudità della figlia della moglie di tuo padre? Poiché, se la Scrittura, arrivata a questo punto, non avesse aggiunto altre parole, comprenderemmo che fosse proibito il rapporto sessuale con la figlia della matrigna, messa al mondo da questa con il precedente marito e non sarebbe la sorella - per parte del padre e della madre - di colui al quale è fatta la proibizione; siccome però aggiunge: è una tua sorella, figlia del medesimo tuo padre, non scoprirai la sua nudità, è chiaro che questa proibizione è fatta relativamente alla sorella in quanto era figlia del padre e della matrigna, di cui si era parlato già in precedenza. Ha voluto forse l’agiografo ripetere con maggior chiarezza detta proibizione, poiché prima non era molto chiara? Così infatti fa spesso la Scrittura.Non scoprire la vergogna di uno zio.
60.
(18, 14) Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre e non ti accosterai alla moglie di lui. Si spiega qui che cosa significa: Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre, cioè del tuo zio paterno; perché ciò vuol dire: non ti accosterai alla moglie di lui, in quanto l’autore sacro volle che si distinguesse la vergogna dello zio paterno nella moglie dello zio, così come nella moglie del padre volle s’intendesse la vergogna del padre.Proibito accostarsi alla moglie del proprio fratello.
61.
(18, 16) Non dovrai scoprire l’indecenza della moglie di tuo fratello; è la vergogna di tuo fratello. Ci domandiamo se questo atto è proibito durante la vita del fratello o dopo la sua morte: e il quesito non è di poca importanza. Se infatti diremo che la Scrittura parla della moglie del fratello vivente in un unico precetto generale con cui è proibito all’uomo di accostarsi alla moglie altrui, vi è incluso certamente anche questo 109. Perché dunque la Scrittura in un modo così diligente distingue dalle altre con proibizioni particolari queste persone chiamate domestiche? Poiché l’atto che si proibisce riguardo alla moglie del padre, cioè della matrigna, si deve intendere quello compiuto essendo vivo il padre e non dopo la sua morte. Infatti chi non vede che quell’atto è proibito molto più severamente essendo vivo il padre, se è proibito di disonorare con l’adulterio la moglie altrui, di qualsiasi uomo si tratti? Sembra dunque che parli di quelle persone che non avendo marito possono unirsi in matrimonio, salvo che fosse loro proibito dalla legge, come si dice essere consuetudine dei persiani. Ma d’altra parte, se intenderemo che era proibito di sposare la moglie del fratello dopo che questi fosse morto, ci si presenta l’obbligo che la Scrittura prescrive di osservare al fine di procurare un discendente al fratello, se questi sia morto senza lasciare figli 110. E perciò, confrontando questo divieto con quel comando, affinché non siano in contraddizione tra loro, si deve pensare a un’eccezione, cioè che non è lecito ad alcuno sposare la moglie del fratello defunto, se il defunto lasciò dei discendenti, oppure pensare che quell’atto fu proibito anche al fine che non fosse lecito sposare la moglie del fratello, compresa quella che a causa del ripudio si fosse separata dal fratello ancora vivente. Poiché a quel tempo - come dice il Signore - Mosè aveva permesso di dare la dichiarazione scritta di divorzio 111, e a causa di questo ripudio si poté pensare che chiunque potesse sposare lecitamente la moglie del proprio fratello dal momento che non avrebbe avuto paura di commettere adulterio, poiché quella si era separata a cagione del ripudio.Proibito il rapporto con la madre e con la figlia di lei.
62.
(18, 17) Non scoprirai la nudità di una donna e quella di sua figlia, vale a dire nessuno pensi che gli sia lecito sposare la figlia di sua moglie. Poiché non è lecito scoprire insieme la nudità d’una donna e di sua figlia, cioè aver relazione sessuale con ambedue, con la madre e con la figlia di lei.Proibito sposare la figlia dei propri figli.
63.
(18, 17-18) Non prenderai la figlia del figlio di quella donna né la figlia di sua figlia. La Scrittura proibisce anche di sposare la nipote della donna, cioè la figlia di un suo figlio o d’una sua figlia. Non prenderai in moglie una donna e in più sua sorella per provocarne la gelosia. Qui non è proibito di sposare più di una donna, come era lecito fare agli uomini del tempo passato al fine di propagare un’abbondante discendenza, ma è proibito di avere per mogli due sorelle allo stesso tempo. Ciò pare che avesse fatto Giacobbe 112 o perché ancora non era stato proibito dalla legge o perché era stato ingannato, essendogli stata data in moglie un’altra e dopo che ebbe in moglie colei che a maggior diritto gli toccava in base all’impegno, ma sarebbe stato ingiusto mandar via la prima, per evitarle di farle commettere adulterio. Quanto poi all’espressione: per provocarne la gelosia, è usata forse nel senso che non ci sia gelosia tra le sorelle, gelosia di cui non si sarebbe dovuto fare alcun caso se fosse stata tra persone che non fossero sorelle? Oppure è usata piuttosto perché non si faccia per questo motivo, cioè che il matrimonio con due sorelle non si faccia con l’intenzione di provocare gelosia tra di loro?.Rispettare una donna durante la mestruazione.
64.
(18, 19) Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l’immondezza mestruale, cioè non ti accosterai ad una donna durante la mestruazione, poiché veniva segregata secondo la legge, a causa dell’impurità. Che significa il fatto che l’autore ha voluto aggiungere qui questo caso [d’impurità sessuale] con i medesimi precetti con i quali lo aveva proibito assai sufficientemente più sopra 113? O forse, avendo l’autore parlato di ciò in precedenza, per evitare che fosse preso in senso figurato, è stato ripetuto anche in questo passo in cui sono elencate le proibizioni di azioni di tal genere, proibizioni che senza dubbio devono essere osservate anche al tempo del Nuovo Testamento, eliminando l’osservanza delle ombre antiche? Sembra che la Scrittura abbia indicato questa cosa per mezzo del profeta Ezechiele che, tra i peccati che non sono simbolo ma chiaramente contrari alla legge di Dio, menziona anche questo di accostarsi a una donna durante la sua mestruazione, e tra i meriti della giustizia menziona quello di non accostarsi 114. In questo caso non si condanna la natura, ma si mostra il danno che si arreca al concepimento della prole.Proibito l’adulterio.
65.
(18, 20) Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei. Ecco, qui si torna a proibire l’adulterio che si commette con la moglie di un altro ed è proibito anche nel decalogo115. Di qui è chiaro che quelle cose vengono proibite in modo che, anche dopo la morte dei loro mariti non devono sposare le donne delle quali è proibito scoprire la nudità.Proibito servire gli uomini come se fossero dèi.
66.
(18, 21) Non permetterai che nessuno della tua discendenza serva il principe. Qui non vedo in che senso possa prendersi [servire] il principe, se non il principe che viene adorato invece di Dio. In greco infatti non è dettoLa terra inorridisce, perché inorridiscono gli uomini.
67.
(18, 25) E la terra è inorridita per coloro che vi si sono stabiliti. [Inorridì] per le cattive azioni menzionate prima; non si deve pensare però che la terra abbia il senso con il quale avere la sensazione di queste azioni e inorridirne, ma con il nome di terra sono indicati gli uomini che vivono sulla terra. Perciò quando gli uomini compiono queste cattive azioni inquinano la terra, poiché si contaminano coloro che le imitano e la terra inorridisce, perché inorridiscono gli uomini che non le fanno né le imitano.Se si può peccare in vista di un bene.
68.
(19, 11) Non ruberete, non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo. Il precetto di non rubare si trova nel decalogo 118. Quanto poi a ciò che segue: Non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo, sarebbe strano se non fosse contenuto nel precetto scritto nello stesso decalogo: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo 119, poiché non si può calunniare senza mentire, cosa che è inclusa nel precetto generale della falsa testimonianza. Ma un problema difficile è quello di sapere se questi peccati si possono commettere in vista di un compenso [di bene], come sembra quasi a tutti a proposito della menzogna, che si possa mentire per salvare qualcuno quando non si reca danno a nessuno. Si può forse dire la stessa cosa a proposito del furto? Oppure non si può fare un furto quando non si danneggia nessuno? Anzi, al contrario, può farsi anche quando si viene in aiuto a qualcuno al quale si ruba, come se uno rubasse la spada a uno che volesse uccidersi. Quanto invece alla calunnia io non so se uno può essere calunniato perché gli sia di giovamento. A meno che il fatto che Giuseppe aveva incolpato falsamente del furto della coppa i suoi fratelli - contro i quali aveva mosso anche la falsa accusa di essere delle spie 120 -, tendeva ad aumentare la gioia che avrebbero goduto in seguito. Sennonché se tentassimo di precisare queste cose entro determinati limiti, forse non si commette furto se non quando si danneggia il prossimo con il sottrarre di nascosto la roba altrui, e non c’è calunnia se non quando si danneggia il prossimo con l’accusa di una colpa falsa; quanto alla menzogna però non possiamo dire che ci sia solo quando si danneggia il prossimo, poiché quando si dice il falso coscientemente, senza dubbio è una menzogna sia che venga danneggiato qualcuno o nessuno. Perciò il difficile problema della menzogna, se talora cioè possa essere giusta la bugia, forse si risolverebbe facilmente se considerassimo solo i precetti e non anche gli esempi. In effetti quale comandamento è più tassativo di questo, essendo enunciato come il precetto non ti fabbricherai nessun idolo - azione, questa, che non può essere mai lecita - e allo stesso modo che è enunciato: non commettere adulterio - chi oserebbe infatti dire che l’adulterio talora può essere lecito? - e: non rubare - che secondo la precedente definizione del furto non può mai essere lecito - e: non uccidere 121, poiché quando viene uccisa giustamente una persona, la uccide la legge, non sei tu ad ucciderla. Si può forse dire che quando uno mentisce lecitamente, mentisce la legge? Ma gli esempi complicano estremamente il problema. Le ostetriche egiziane avevano mentito e Dio le ricompensò con benefici 122; Raab aveva mentito in favore degli esploratori del paese e per questo fu liberata 123. Per il fatto che nella legge è detto: Non mentirete, si deve forse concludere che non è lecito mentire nemmeno in un caso simile a quello in cui si legge che Raab disse una menzogna? Possiamo invece pensare piuttosto che la menzogna era proibita per il fatto che era illecita, anziché pensare che divenne ingiusto perché era proibito. Forse dunque, come abbiamo detto delle levatrici, non furono ricompensate per il fatto che avevano mentito, ma perché avevano salvato dei bambini ebrei, e così quell’atto di misericordia rese veniale quel peccato, ma tuttavia non si deve pensare che non fosse un peccato; così anche a proposito di Raab si deve pensare che fu ricompensata per aver salvato gli esploratori, di modo che le fu perdonata la menzogna per aver procurato loro la salvezza. Nel caso infatti che si concede il perdono è chiaro che c’è il peccato. Si deve però evitare di pensare così, cioè che si possa concedere il perdono agli altri peccati qualora vengano commessi per la salvezza delle persone. Poiché da questo errore derivano molti mali intollerabili e molto detestabili.Che cosa vuol dire recar danno.
69.
(19, 13) Non recherai danno al tuo prossimo. Se tutti comprendessero chiaramente che cosa vuol dire " recar danno " o " non recar danno ", forse questo precetto sarebbe sufficiente a conservare l’innocuità. Poiché tutto ciò che è proibito fare al prossimo si può ridurre all’unico precetto espresso con le parole: Non recherai danno al tuo prossimo. Infatti il seguito: Non sottrargli [la sua roba] ha il senso di non danneggiarlo con il rubare; alle volte accade che uno danneggi il prossimo astenendosi dal sottrargli qualcosa. Infatti a uno che si comporta da pazzo si deve sottrarre la spada e, se uno non lo facesse quando fosse necessario, gli recherebbe un danno maggiore.La volontà di correggere o di vendicarsi.
70.
(19, 17-18) Che cosa significa il fatto che, avendo detto prima: Non avrai odio per il tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera apertamente il tuo prossimo e così non incorrerai in un peccato a causa di lui, l’autore sacro soggiunge subito dopo: e la tua mano non sarà vendicata? Vindicatur sta forse per " non sarà punita "? Poiché fai con sentimento ben disposto verso di lui la correzione al tuo prossimo che commette un peccato, per non incorrere nel suo peccato trascurando di rimproverarlo. A ciò si riferisce la frase precedente: Non coverai odio contro il tuo prossimo nel tuo cuore. Poiché a colui che viene rimproverato può sembrare che tu lo abbia in odio sebbene questo non sia nel tuo cuore. O forse la frase: la tua mano non si vendicherà significa piuttosto: " non cercare che la tua mano sia vendicata e non lasciarti trascinare dalla passione della vendetta ". Che cos’altro infatti vuol dire " volersi vendicare " se non rallegrarsi e compiacersi del male altrui? Ecco perché la Scrittura dice: Non ti adirerai con i figli del tuo popolo. L’ira infatti è stata definita giustamente la passione della vendetta. Alcuni manoscritti al contrario hanno: e non si vendicherà la tua mano, cioè: non vendicarti rimproverando, ma piuttosto cerca di fare il bene di colui che rimproveri.Proibito di farsi incisioni sul corpo a causa di un lutto.
71.
(19, 28) E non farete incisioni sul vostro corpo per un’anima. Per un’anima vuol dire " per il cadavere di un morto "; in realtà si soffre per la dipartita di una persona. Di questo dolore fa parte il lutto a causa del quale alcuni popoli hanno l’abitudine di farsi incisioni sul corpo. È questo ciò che Dio proibisce di fare.Non idolatrare gli uomini.
72.
(20, 5) Affinché quelli del suo popolo fórnichino per i prìncipi. Il testo non vuol dire " prìncipi del suo popolo ", ma " fórnichino quelli del suo popolo ". L’agiografo vuol fare intendere qui per " prìncipi " quelli ch’erano adorati come dèi, come dice l’Apostolo: Seguendo il principe dell’impero dell’aria 124, e nel Vangelo il Signore dice: Ora il principe di questo mondo è stato cacciato fuori 125, e: Ecco, verrà il principe del mondo, ma in me non troverà nulla 126.Una certa differenza tra un uomo quale che sia e il prossimo.
73.
(20, 10) Qualunque uomo che commetta adulterio con la moglie di un altro o chiunque commetterà adulterio con la moglie del suo prossimo devono morire assolutamente. Si dice al plurale: Devono morire assolutamente, cioè tanto l’adultero quanto l’adultera. Qui l’autore ha voluto indicare una certa differenza tra un uomo quale che sia e il prossimo, sebbene la Scrittura in molti passi usi il termine prossimo per indicare un uomo qualsiasi. Ma che vuol dire questo modo di esprimersi che, avendo già parlato di un uomo qualsiasi, ripete la medesima cosa a proposito del prossimo, pur essendo naturale che, se ci si deve astenere dalla moglie di un qualsiasi uomo, molto di più ci si deve astenere dalla moglie del prossimo? Se infatti prima l’Autore avesse parlato del prossimo, avrebbe dovuto aggiungere il riferimento a un uomo qualsiasi, perché non si pensasse che fosse lecito commettere adulterio con la moglie di chi non fosse prossimo; ora, al contrario, se non è lecito il male minore, quanto meno è lecito il male più grave. Poiché se non è lecito non commettere adulterio con la moglie di qualsiasi uomo, quanto meno lecito sarà commetterlo con la moglie del prossimo! O forse questa ripetizione spiega - per così dire - che cosa fu detto prima, affinché si comprendesse quanto male sia commettere adulterio con la moglie di [qualsiasi uomo] poiché, se lo si facesse, si commetterebbe adulterio con la moglie del prossimo? In effetti ogni uomo è prossimo rispetto a qualunque altro uomo.In qual modo è colpevole una bestia.
74.
(20, 16) Se una donna si accosta a una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte, sono colpevoli. Sorge il problema in qual modo è colpevole una bestia, dato che è irrazionale e non è in alcun modo capace d’intendere e osservare la legge. O forse, come nella figura retorica, chiamata in grecoVedere nel senso di conoscere.
75.
(20, 17) Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei, e lei quelle di lui, è un’infamia; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; si addosseranno il loro peccato. Che cosa vuol dire vede, se non " la conoscerà mediante l’accoppiamento "? Così è detto nella legge: conobbe sua moglie 127, che sta per: " si accoppiò con lei ". E che cosa vuol dire: si addosseranno il loro peccato, mentre l’autore parla del loro castigo, se non che vuole chiamare " peccato " il castigo del peccato?.Proibito il matrimonio fra parenti.
76.
1. (20, 20. 25) Chi si coricherà con una sua parente, scopre l’indecenza della sua parentela: morranno senza figli. Ci chiediamo fino a qual grado si deve intendere questa parentela, dal momento che è certamente lecito prendere moglie dal grado lontano. Si deve però intendere che non è lecito prenderla dai gradi proibiti conforme a quanto è detto: Chi si coricherà con una sua parente. Qui l’autore ha passato sotto silenzio anche alcuni membri da considerarsi componenti una parentela, come una sorella, figlia di ambedue i genitori, come la moglie del fratello della madre, cioè dello zio materno. Prima infatti il testo sacro proibisce di sposarsi con la moglie dello zio paterno, sebbene questa non si chiami parentela ma affinità. Ma che vuol dire: morranno senza figli, dato che da tal genere di unioni sono nati figli prima e nascono ancor oggi? Si deve forse pensare che è stato stabilito dalla legge di Dio che i nati da tali unioni non siano considerati come figli, cioè non succedono con alcun diritto ai loro genitori?76. 2. Non renderete le vostre vite abominevoli a causa delle bestie, degli uccelli e di tutti gli animali che strisciano per terra che io vi ho fatto distinguere come immondi. Sembra che qui il testo voglia dire che gli animali menzionati sono impuri non per natura, ma in quanto sono prefigurazione d’una verità religiosa profonda, dal momento che il testo dice: che io vi ho fatto distinguere come immondi, come per dire che per gli Israeliti non sarebbero impuri, se non fossero separati per loro.
Lapidato chi sposa un indovino.
77.
(20, 27) Se uno, uomo o donna, avrà un ventriloquo o un incantatore, devono morire ambedue; li lapiderete con le pietre, sono colpevoli. Saranno lapidati forse l’uomo e la donna oppure l’uomo e il ventriloquo o la donna e il ventriloquo o indovino? L’ipotesi più probabile però sembra questa: non solo la persona che ha l’indovino, ma anche l’indovino che essa ha.Poiché è santo
è un’espressione che suole usare la Scrittura.78.
(21, 7-8) Non prenderanno in moglie una prostituta o profanata, e una donna ripudiata dal marito; poiché è santo per il Signore suo Dio. L’agiografo prima aveva detto: non prenderanno in moglie, ora invece dice: poiché è santo, e non " poiché sono santi ". Parlava di più persone che sono sacerdoti nello stesso tempo e di ciascuno di loro dice: poiché è santo, con un’espressione che suole usare la Scrittura. Dopo infatti menziona l’unico sommo sacerdote che entrava nel luogo più santo [della tenda-santuario], ma conclude il discorso dicendo: E lo si riterrà santo: è lui che offre i doni del Signore vostro Dio; è santo poiché sono santo io, il Signore che li santifico. Quanto poi si riferisce ai doni, poiché dice: È lui che offre i doni del Signore vostro Dio, non li offrivano solo il sommo sacerdote ma anche i sacerdoti inferiori. Perciò la proibizione formulata con le parole: Non prenderanno in moglie una prostituta e già disonorata né una donna ripudiata dal marito, si riferisce anche ai sacerdoti di secondo grado, poiché si parla poi del sommo sacerdote e si dice che ha l’obbligo di prendere in moglie solo una vergine 128.La Scrittura chiama cristo l’olio.
79.
(21, 10) E il sacerdote, il grande tra i suoi fratelli cioè quello che per l’appunto è grande tra i suoi fratelli, colui - s’intende - che è l’unico sommo sacerdote. Sulla testa del quale è stato versato l’olio santo, la Scrittura chiama unto l’olio.L’abilitato a indossare i paramenti.
80.
(21, 10) Che è stato abilitato per indossare i paramenti, precisamente quelli che sono descritti con molta esattezza a proposito delle vesti sacerdotali 129.Ciò che è proibito al sacerdote.
81.
(21, 10-11) Non scoprirà il capo togliendosi la tiara e non si straccerà le vesti né si avvicinerà ad alcuna anima morta. S’intende che gli era proibito di fare ciò che più sopra era detto a proposito del lutto, cioè scoprire il capo togliendo la tiara e stracciandosi le vesti. Poiché stracciarsi le vesti era un costume proprio degli antichi, come la Scrittura dice di Giobbe quando gli fu annunciato che i suoi figli erano stati schiacciati sotto la caduta della casa 130. Scoprire la testa togliendo la tiara poté invece essere un segno di lutto per il fatto ch’era il togliersi un ornamento. Quanto all’espressione: non si avvicinerà ad alcuna anima morta, è al contrario difficile comprendere il senso in cui si dice anima morta, il corpo morto. Esso è tuttavia un modo di esprimersi usuale delle Scritture, mentre per noi è assai insolito. In realtà il corpo privo dell’anima riceve anche il nome di essa che lo governava, poiché dev’essere restituito ad essa nella risurrezione; così l’edificio chiamato " chiesa ", anche quando esce da essa l’assemblea [dei fedeli] che sono uomini, tuttavia si chiama chiesa. Ma siccome il corpo non riceve il nome di anima in una persona vivente, è strano che venga chiamato " anima " quando è rimasto privo dell’anima. D’altra parte se intenderemo come anima morta quella separata dal corpo, cosicché sembri che l’agiografo abbia chiamato " morte " quella separazione, cioè che sia morta l’anima una volta che si sia separata dal corpo senza perdere la sua natura - poiché nemmeno quando si dice che siamo morti al peccato 131, si afferma che sia morta la natura, ma che non viviamo più nel peccato, di modo che in questo senso s’intenda " morta " l’anima, cioè morta al peccato poiché ha cessato di vivere nel peccato, sebbene viva nella sua natura - in che modo può uno accostarsi a un’anima morta, azione proibita al sacerdote, in quanto chi vi si accosta, si accosta a un corpo morto e non a un’anima ch’è uscita dal corpo? O forse ciò che l’agiografo chiama con il nome di " anima " denota la vita temporale, che di certo è morta in un corpo defunto dopo la dipartita dell’anima, che non può morire? Non che l’anima fosse la vita ma che per la presenza dell’anima dalla quale sussisteva prese il nome di essa, come abbiamo distinto quando parlavamo del sangue 132, per qual motivo l’autore sacro disse: L’unione di ogni carne è il suo sangue 133. Poiché anche il sangue è morto in un corpo morto, e non se ne allontana con l’anima che se ne diparte. La Scrittura dunque proibì al sommo sacerdote di avvicinarsi al cadavere di suo padre o di sua madre, cosa che non proibì ai sacerdoti di rango inferiore. L’autore infatti continua dicendo: Non si contaminerà né per suo padre né per sua madre; la disposizione ordinata delle parole è però la seguente: per suo padre non si contaminerà né per sua madre.Quando il sacerdote non deve uscire dai luoghi santi.
82.
(21, 12) E non uscirà dai [luoghi] sacri. Senza dubbio non doveva uscirne durante il tempo in cui si celebravano i funerali dei suoi come gli era vietato di uscire dai luoghi sacri durante i sette giorni in cui veniva consacrato 134, però non sempre. Naturalmente se ai sommi sacerdoti non era proibito allora di sposarsi e di generare figli, sorge un grave problema. Poiché la legge dice che un uomo è impuro fino alla sera anche per il coito coniugale, pur dopo essersi lavato il corpo con l’acqua 135 e al sommo sacerdote è comandato di entrare due volte al giorno quotidianamente al di là del velo ov’era l’altare dell’incenso 136 perché l’incenso continuasse a bruciare e non era lecito ad alcuna persona impura avvicinarsi ai luoghi sacri, in qual modo poteva adempiere questo suo dovere ogni giorno il sommo sacerdote se generava figli? Se infatti uno chiedesse chi lo potesse supplire qualora si fosse ammalato, gli si potrebbe rispondere che per grazia di Dio non si ammalava. Per conseguenza o doveva essere continente o durante alcuni giorni si doveva interrompere il servizio dell’incenso oppure, se non poteva interrompersi quel servizio dell’incenso che solo il sommo sacerdote poteva porre, questi non sarebbe rimasto impuro per il coito coniugale grazie alla sua speciale condizione di consacrato. Oppure se si riferisce anche a lui ciò che è detto nel seguito a proposito dei figli di Aronne, che cioè nessuno di essi si avvicini ai luoghi sacri se gli capitasse di avere qualche impurità 137, resta certamente solo da pensare che in alcuni giorni non si poneva l’incenso.Vietato al sommo sacerdote avvicinarsi al cadavere di suo padre.
83.
(21, 11) Quanto al divieto fatto al sommo sacerdote di non avvicinarsi al cadavere di suo padre si può porre il quesito: in qual modo poteva già essere sommo sacerdote quando suo padre non era ancora morto, dal momento che la Scrittura ordina che i sommi sacerdoti succedano ai loro padri? Per mantenere sempre acceso l’incenso, che doveva essere messo ogni giorno dal sommo sacerdote [sul braciere dell’altare], era necessario che venisse sostituito il sacerdote al precedente sommo sacerdote anche se questo non fosse stato ancora sepolto. Sennonché resta irrisolto anche il problema della malattia del sommo sacerdote se avesse dovuto rimanere infermo alcuni giorni prima di morire, salvo che anche questo problema si possa risolvere dicendo che i sommi sacerdoti erano soliti morire improvvisamente, come di Aronne dice la Scrittura 138.La santificazione invisibile e i riti sacri.
84.
(21, 15) Si deve notare che la Scrittura molte volte dice: Sono io il Signore che lo santifico, parlando del sommo sacerdote e questa stessa cosa è detto [di farla] a Mosè: e lo santificherai 139. In qual modo allora santifica Mosè e il Signore? Mosè non lo fa in luogo del Signore, ma mediante il suo ministero celebrando i riti sacri visibili, il Signore invece lo fa mediante lo Spirito Santo con la grazia invisibile in cui sta tutta l’efficacia anche dei riti sacri visibili. In realtà senza tale santificazione prodotta dalla grazia invisibile a che cosa giovano i riti visibili? Giustamente quindi si pone il quesito se anche l’invisibile santificazione non giovi ugualmente per nulla senza i riti sacri visibili, con i quali l’uomo viene santificato visibilmente, cosa che è certamente illogica. Poiché più tollerabilmente uno potrebbe dire che la santificazione non esisterebbe senza quelli, anziché dire che non gioverebbe se ci fosse, in quanto è nella santificazione tutta l’utilità dei riti. Ma bisogna considerare attentamente come possa affermarsi con ragione che senza i riti non potrebbe esistere la santificazione. A nulla infatti giovò il battesimo visibile a Simon Mago al quale mancò la santificazione invisibile 140. Coloro però ai quali giovò la santificazione invisibile poiché l’avevano, avevano ricevuto anch’essi i riti visibili essendo stati battezzati ugualmente. Quanto a Mosè, che santificava visibilmente i sacerdoti, la Scrittura non fa vedere tuttavia ove fu santificato lui stesso con gli stessi sacrifici o con l’olio, ma chi oserebbe negare che fu santificato invisibilmente lui, che aveva la grazia in grado così elevato? Ciò può dirsi anche di Giovanni Battista, poiché apparve prima come battezzatore che come battezzato 141. Per conseguenza non possiamo negare assolutamente che fosse santificato. In nessun passo [della Scrittura] troviamo che questo fatto sia avvenuto in lui visibilmente prima che giungesse al ministero di battezzare. Lo stesso può dirsi anche del ladrone crocifisso con il Signore, che gli disse: Oggi sarai con me in paradiso 142; egli infatti non ricevette una sì grande felicità senza la santificazione invisibile. Logicamente perciò si può concludere che alcuni ebbero e giovò loro la santificazione invisibile senza i riti sacri che furono cambiati rispetto alle diverse epoche, di modo che allora erano diversi da quelli che sono adesso, ma la santificazione visibile, prodotta per mezzo dei riti visibili, può aversi ma può non giovare. Non per questo tuttavia dev’essere disprezzato il rito visibile, poiché se uno lo disprezza non può essere santificato in alcun modo. Di qui si deduce che Cornelio e coloro che erano con lui, sebbene apparissero già santificati invisibilmente per aver ricevuto lo Spirito Santo, tuttavia furono battezzati 143 e non fu giudicata inutile la santificazione visibile, sebbene fosse stata già preceduta da quella invisibile.Il sommo sacerdote deve accostarsi alle cose sante senza impurità.
85.
(22, 1-3) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Di’ ad Aronne e ai suoi figli: "E abbiano rispetto per le cose sante dei figli d’Israele - e non profaneranno il mio santo nome - tutte quelle che essi santificano per me; sono io il Signore". E dirai loro: "Per le vostre generazioni ogni uomo, chiunque egli sia, discendente da ogni vostro seme, quando si avvicinerà a qualsiasi cosa che i figli di Israele avranno santificato al Signore e l’impurità sarà in lui, quell’anima sarà sterminata da me; sono io il Signore vostro Dio" ". Viene eliminato ogni dubbio che nessuno dei sommi sacerdoti o di quelli inferiori doveva accostarsi alle cose sante qualora fosse in lui la sua impurità. Ne seguiva dunque il dovere della continenza imposto al sacerdote per evitare che per la procreazione dei figli non si continuasse in alcuni giorni a mettere l’incenso, che soleva essere messo due volte al giorno, al mattino e alla sera, dai sommi sacerdoti 144, dal momento che, dopo il coito coniugale e dopo essersi lavato il corpo, restava immondo fino alla sera il sacerdote dal quale era necessario che fosse posto l’incenso sull’altare 145. Quanto poi all’espressione: le cose che santificano i figli di Israele, deve intendersi ciò che offrendolo ai sacerdoti doveva essere offerto da essi al Signore. Si deve inoltre considerare il genere di consacrazione che si fa per un voto e per la devozione dell’offerente. Ma si deve considerare anche se la Scrittura dice che gli uomini consacrano se stessi nello stesso modo che vengono consacrate le cose da loro offerte, quando in qualche caso consacrano se stessi.Toccare un cadavere produce un’impurità.
86.
(22, 4) E chi toccherà qualunque impurità di anima, cioè qualche cadavere, il cui contatto produce un’impurità secondo quanto dice la legge.Differenza fra pronunciare e maledire il nome del Signore.
87.
(24, 15-16) Qualunque uomo che maledirà Dio prenderà su di sé il proprio peccato, ma chi avrà pronunciato il nome del Signore, muoia senza scampo, come se una cosa fosse il maledire il proprio Dio e un’altra aver pronunciato il nome del Signore e quello fosse un peccato e questo un sacrilegio così grave da meritare perfino la morte; sennonché in questo passo l’espressione nome del Signore si deve intendere nel senso che uno lo faccia con una maledizione, vale a dire pronunci il nome del Signore maledicendolo. Quale differenza c’è allora tra quel peccato e questa colpa di un sacrilegio così grave? Ripetendo la stessa cosa ha voluto forse la Scrittura mostrare che quello non era un peccato leggero ma un sacrilegio tanto grave da dover essere punito con la morte? L’espressione però risulta non molto chiara, poiché il testo introdusse il concetto con una distinzione; infatti non dice: nominans enim [chi pronuncia], ma: nominans autem [chi invece pronuncia]. Se, perciò, ciò s’intende bene, si deve considerare anche il genere del modo di esprimersi.L’espressione l’anima dell’uomo ferita.
88.
(24, 17) E l’ uomo che ferirà l’anima di un uomo e questi morirà, muoia inesorabilmente. Il testo non dice: " chiunque ferirà un uomo e questi morirà ", ma l’anima di un uomo, quando è piuttosto il corpo dell’uomo a essere ferito dall’assassino, come dice anche il Signore: Non temete coloro che uccidono il corpo 146. La Scrittura secondo il suo solito modo di esprimersi chiama anima la vita del corpo che gli è data dall’anima e in questo modo ha voluto far vedere che è omicida uno in quanto ferisce l’anima di un uomo, cioè priva della vita un uomo ferendolo a morte. Perché allora il testo aggiunge: e questi morirà se già si mostra l’omicidio con il fatto che ha ferito l’anima di un uomo, cioè un uomo è stato privato della vita dall’assassino? Si è voluto forse dire in qual senso deve intendersi l’espressione: " l’anima dell’uomo ferita " e perciò dice: morirà, come se dicesse: " cioè morirà "? È questo infatti ciò che significa il fatto che fu ferita l’anima di un uomo.Si spiega come riposa la terra.
89.
(25, 2-7) Quando entrerete nel paese che vi dò, la terra che vi dò riposerà il Sabato per il Signore. Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo frutto; nel settimo anno invece vi sarà un riposo per la terra, Sabato per il Signore. In qual senso deve intendersi la frase: Quando entrerete nel paese che vi dò, e la terra riposerà; per sei anni seminerai il tuo campo, ecc.? Poiché dà l’impressione che venga comandato di fare ciò quando la terra si sia riposata, mentre la terra riposa poiché è lasciata riposare. Il testo infatti vuole che il riposo della terra sia inteso naturalmente quello nel settimo anno, nel quale era stato comandato che nessuno lavorasse in essa compiendo le opere dell’agricoltura. Il lungo iperbato però rende oscuro il senso della frase. Sembra dunque che l’ordine delle parole sia il seguente: Quando entrerete nel paese che vi do e la terra che vi do si sarà riposata, è Sabato del Signore; i vegetali che spuntano spontaneamente dal tuo campo non li mieterai e l’uva della tua santificazione non la vendemmierai. Sarà l’anno del riposo per la terra. E il riposo della terra servirà da cibo per te, per il tuo servo, per la tua serva, per il tuo salariato e per il forestiero che risiede presso di te. E per le tue bestie e per gli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento tutto ciò che nascerà dal campo. Al fine di spiegare come riposa la terra l’autore interpose però le seguenti frasi: Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo prodotto, ma nel settimo anno ci sarà il Sabato: sarà il riposo della terra, il Sabato del Signore. Non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna. Inoltre dall’espressione: non poterai, dobbiamo intendere che in quell’anno era proibito ogni lavoro agricolo per coltivarla, poiché se non la si può potare non può essere arata né tenuta in ordine con sostegni né impiegare alcun altro mezzo necessario per coltivarla; ma allo stesso modo che suole prendersi la parte per il tutto, così con il termine " potatura " è indicata ogni altra specie di coltivazione. Così pure il campo e la vigna, ch’era proibito rispettivamente di seminare e di potare, devono essere presi per qualsiasi altro genere di terreno coltivabile, poiché non si deve compiere alcun lavoro né in oliveto né in qualsiasi altro genere di terreno tenuto a cultura. Quanto invece alla frase: e il Sabato della terra servirà da nutrimento per te, per il tuo servo, per la tua serva, ecc., fa capire bene che al padrone del campo non è proibito di mangiare i prodotti nati spontaneamente [nel suo campo] quell’anno ma di raccoglierne i frutti. Gli è permesso perciò di prenderne qualcosa per mangiarlo, come di passaggio, prendendo solo ciò che può consumare subito mangiandolo, non ciò che si raccoglie al fine di metterlo in serbo per i bisogni della vita.Nessuno osi vendere la terra, ricevuta da Dio, ai profani.
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(25, 23) E la terra non sarà venduta per la profanazione. Altri manoscritti hanno: per la confermazione; penso che questo errore negli uni o negli altri sia capitato prima nel testo greco a causa della somiglianza del suono della parola, poichéOgni uomo è un forestiero nel nascere e un abitante di passaggio nella vita.
91.
(25, 24) E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra. Altri manoscritti invece hanno: Darete il riscatto del terreno. Il senso dunque è il seguente: Il terreno non sarà venduto per la profanazione, vale a dire a coloro che lo userebbero per offendere il Creatore, oppure: in modo definitivo, cioè in modo che il compratore lo possieda per sempre né lo restituisca al venditore dopo un determinato intervallo di tempo, secondo il precetto di Dio. Poiché mia - è detto - è la terra, per conseguenza dovete servirvene secondo il mio precetto. E per dimostrare che è sua e non di essi e che cosa essi fossero nella terra, il testo aggiunge immediatamente dopo: Poiché per me voi siete degli immigrati e residenti di passaggio, cioè: sebbene per voi siano degli immigrati, vale a dire forestieri, coloro i quali, provenienti dagli stranieri, si uniscono al vostro popolo e quantunque siano residenti di passaggio, cioè non siano residenti nella propria terra, tuttavia anche voi per me siete immigrati e residenti di passaggio. Dio dice così non solo agli Israeliti in quanto diede loro la terra degli altri popoli che egli cacciò via, ma anche a ogni uomo, poiché agli occhi di Dio che rimane in eterno e, come sta scritto 147, riempie di certo il cielo e la terra con la sua presenza, ogni uomo è un forestiero nel nascere e un abitante di passaggio nella vita, poiché con la morte è costretto ad emigrare.Il riposo della terra come ricompensa per l’abitazione.
92.
(25, 24) Il testo poi aggiunge la frase seguente: E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra come inquilini, oppure il riscatto. Se non mi sbaglio l’agiografo vuole qui farci intendere ciò che, preso dalla terra, in certo qual modo le restituivano lasciandola incolta ogni sette anni e ogni cinquanta anni 148, scadenza che era chiamata " annata della remissione ", cosicché il riposo della terra come ricompensa per l’abitazione e il riscatto sarebbero derivati da colui che è il padrone della terra, cioè da Dio che l’ha creata.Dio è spirito e sempre lo stesso.
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(26, 11) Io porrò la mia tenda in mezzo a voi e l’anima mia non vi avrà in abominazione. Dio chiama anima la sua volontà. Poiché egli non è un essere vivente composto di corpo e di anima; e la sua sostanza non è come quella della sua creatura che si chiama anima, creata da lui, come attesta lui stesso per mezzo di Isaia dicendo: e ogni alito vitale l’ho creato io 149, cosa che dal seguito del testo si capisce bene che Dio lo dice dell’anima dell’uomo. Come dunque, allorché Dio si esprime parlando dei " suoi occhi " e delle " sue labbra " o usando gli altri vocaboli denotanti le membra del corpo, non pensiamo che egli sia delimitato dalla natura del corpo ma tutti quei termini denotanti le membra li consideriamo solo come effetti delle azioni e delle potenze di Dio, così anche quando Dio dice: l’anima mia dobbiamo intendere che vuol dire la sua volontà. In effetti la natura perfetta e semplice che si chiama Dio non risulta composta di corpo e di spirito e non è mutabile per lo spirito come lo è l’anima; Dio invece è spirito e sempre lo stesso, e in lui non c’è cambiamento150. Dal nostro passo presero il pretesto gli Apollinaristi, i quali affermano che il Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù 151, non avesse l’anima ma fosse unicamente Verbo e carne quando dice: L’anima mia è oppressa dalla tristezza fino a morirne 152. Ma dal suo modo di agire che a noi si manifesta chiaramente attraverso il racconto del Vangelo, le funzioni dell’anima umana appaiono così evidenti che dubitarne è proprio di chi è demente.I trasgressori della legge saranno annientati.
94.
(26, 33. 36) Che cosa significa il fatto che Dio, nel minacciare i castighi dovuti alla disubbidienza, tra il resto disse: Vi annienterà la spada che verrà all’improvviso, e poi aggiunge: e il vostro paese resterà deserto e le vostre città rimarranno deserte. Allora il paese accetterà i suoi Sabati per tutti i giorni della sua desolazione, e voi sarete nel paese dei vostri nemici? In che modo li annienterà la spada se saranno nel paese dei loro nemici? Li annienterà forse nello stesso paese in quanto dopo quella carneficina non esisteranno più in quel paese? Oppure dice: vi annienterà come se volesse dire: " vi ucciderà " di modo che appartengano a tale sterminio solo coloro che moriranno di spada, non tutti dal momento che poco dopo dice: e a quelli tra voi che rimarranno, introdurrò nel loro cuore il terrore? Oppure l’espressione vi annienterà è un’iperbole, secondo il quale modo di esprimersi è detto che il loro grande numero è come la sabbia del mare 153? Alla stregua di questo modo di parlare è detto anche ciò che segue: e li perseguiterà il fruscio di una foglia che cade, cioè saranno in preda a un terrore sì grande che avranno paura perfino delle cose più futili.Chiamati per il numero di uomini quelli che erano a capo.
1.
(1, 1-44) Che significa il fatto che viene comandato di scegliere dei capi da ogni tribù ed essi sono chiamati [capo di mille uomini]? Alcuni traduttori latini li hanno chiamati tribuni, ma sembra che il termine stia ad indicare capi di mille. Quando però Ietro, suocero di Mosè, diede al suo genero il consiglio, approvato anche da Dio, di organizzare il popolo sotto dei capi, in modo che non tutte le cause comuni gravassero sopra Mosè più in là delle sue forze, chiamò coloro che dovevano essere posti a capo di mille uomini, quelli a capo di cento, quelli a capo di cinquanta e quelli a capo di dieci, chiamati così per il numero di uomini dei quali erano a capo 1. Il termine deve forse prendersi nel senso che ciascuno di essi fosse a capo di mille uomini? No di certo. Poiché a quel tempo la totalità degli uomini del popolo d’Israele non era composta solo da dodicimila individui. In realtà ciascuno di questi furono scelti tra ciascuna tribù; quelle dodici tribù senza dubbio non contenevano mille uomini ciascuna ma molte migliaia. Il termine è dunque uguale a quello di coloro che sono chiamati così nell’Esodo, in quanto ciascuno di essi era a capo di mille uomini, mentre ciascuno di questi era a capo di migliaia di uomini, poiché la disposizione delle lettere che compongono il nome manda lo stesso suono sia che venga da " mille " che da " migliaia ".L’importanza del numero cinque.
2.
(1, 20-46) Con ragione si pone il quesito che cosa significhi il fatto che, per ciascuna delle tribù, dei figli di Israele in età adatta a fare il soldato, per ciascuna di esse si dice: Secondo le loro parentele, secondo i loro popoli, secondo il loro casato, secondo il numero delle loro persone, secondo le loro teste, e queste cinque formule sono ripetute in modo del tutto uguale fino a quando è terminato il censimento di tutte le tribù, come se una cosa fosse secondo le loro parentele, un’altra secondo i loro popoli, un’altra secondo le casate, un’altra secondo il numero delle persone, un’altra ancora secondo le teste, mentre pare piuttosto che venga indicata una medesima cosa con espressioni diverse. Ma desta la nostra riflessione il fatto che le medesime espressioni sono riportate per tutte le tribù con tanta diligenza che si può pensare che ciò non avviene senza uno scopo anche se non si capisce. Senza dubbio dunque lo stesso numero indica qualche mistero nel ripetere la medesima cosa cinque volte con diverse espressioni. L’importanza di questo numero, che è il medesimo dei cinque libri di Mosè, il numero cinque, è messa in risalto specialmente nell’Antico Testamento. Al contrario le altre quattro espressioni che poi sono concatenate tra loro, cioè i maschi da vent’anni in su, chiunque poteva andare in guerra, il censimento di essi, sebbene siano ripetute assolutamente allo stesso modo anch’esse per tutte le tribù, hanno una inevitabile differenza. Trattandosi infatti del numero di tutte quante le persone facenti parte d’una tribù, doveva distinguersi il sesso, e perciò si dice: tutti i maschi. Ma perché tra questi non fossero contati anche i ragazzi si aggiunge: dai venti anni in su. Invece perché non fossero computati i vecchi, inadatti alla guerra, si aggiunge: chiunque poteva andare in guerra. Tutte le espressioni si concludono con la frase denotante l’operazione che veniva svolta dicendo: il censimento di essi. Si faceva infatti il censimento per contare quelle migliaia di uomini. Orbene quelle cinque categorie: " parentele, clan, casati, numero delle persone, testa ", e di poi queste altre quattro: " sesso, età, esercito, censimento " con il loro numero insegnano qualcosa d’importante. Poiché se uno di questi due numeri, cioè il cinque e il quattro, si moltiplicasse per l’altro, vale a dire cinque per quattro, oppure quattro per cinque, si otterrebbe venti. Con questo numero si indica anche l’età degli adolescenti [atti alle armi]. Questo numero inoltre viene menzionato anche quando [gli Israeliti] entrano nella terra promessa e si afferma che quell’età di venti anni non si sarà piegata né a destra né a sinistra. In questo fatto mi pare che sono simboleggiati i santi fedeli d’ambedue i Testamenti che conservano la vera fede. Infatti l’Antico Testamento eccelle soprattutto nei cinque libri di Mosè e il Nuovo nei quattro Evangeli.Lo straniero cui era proibito toccare la tenda-santuario.
3.
(1, 51) Quando la Scrittura parla di spostare, di collocare al suo posto e di erigere la tenda-santuario dice: e lo straniero, che si avvicinerà, dovrà morire; questo straniero deve intendersi anche come uno degli Israeliti non appartenenti alla tribù che aveva l’obbligo di prestar servizio alla tenda-santuario, che cioè non era della tribù di Levi. È però strano che si chiami impropriamente straniero chi più propriamente significa una persona di un’altra stirpe, cioè e non più propriamente, che significa " una persona di un’altra tribù ". La Scrittura usa questo termine piuttosto per denotare individui di altri popoli, cosicché vengono chiamati " allofili " come se fossero individui di altre tribù.Le veglie o le guardie a difesa del tabernacolo.
4.
(3, 5-7) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prendi la tribù di Levi e mettila a disposizione del sacerdote Aronne e lo serviranno, e osserveranno le osservanze officiate da lui e le osservanze degli Israeliti, che non erano di quella tribù davanti alla tenda-santuario del Signore ". Quelle che il greco chiama, i nostri traduttori le chiamano alcuni custodias [guardie], altri excubias [sentinelle]. Ma molto probabilmente sarebbe meglio chiamarle vigilias [veglie], poiché avevano l’ufficio di vegliare a difesa dell’accampamento, a turno di tre ore ciascuno. Ecco perché la Scrittura dice: Alla quarta veglia della notte andò da essi camminando sulle acque 2, cioè dopo l’ora nona nove della notte, ossia dopo tre turni di veglia. Anche in molti altri passi della Scrittura i nostri autori hanno tradotto con vigiliae quelle che i Greci chiamano. Non c’è alcun dubbio che in quei passi sono indicati gli spazi del tempo della notte, come credo che si debba intendere anche qui. In qual modo infatti ai leviti è ordinato di osservare i turni di guardia di Aronne e degli Israeliti, cioè le, salvo forse che ciò è detto affinché essi non pensassero di dover essere esenti dall’osservare i turni di guardia, che propriamente si suole osservare nell’accampamento, a motivo dell’onore che avevano di prestare servizio per la tenda-santuario, quando invece anch’essi dovevano osservare a loro volta non meno degli altri, a motivo delle opere riguardanti la tenda-santuario, i turni di guardia negli altri accampamenti degli Israeliti posti tutto all’intorno?La morte a chi tocca il tabernacolo.
5.
(3, 10. 38) Lo straniero che avrà toccato morirà. Dobbiamo chiederci perché nel Levitico 3 si dice: Chi avrà toccato la tenda-santuario sarà santificato, mentre qui si dice: Lo straniero che avrà toccato morirà, ove con lo straniero si vuol fare intendere coloro che non erano della tribù di Levi. Toccherà si riferisce forse, qui, al servizio del culto di Dio che per comando [del Signore] doveva essere prestato dai soli leviti? Di ciò parla infatti l’agiografo.Dio si riserva i leviti al posto dei primogeniti dei figli d’Israele.
6.
(3, 12-14. 41-47) Che vuol dire il fatto che Dio si riserva i leviti al posto dei primogeniti dei figli d’Israele, cosicché, fatto il computo dei primogeniti del popolo, quelli che superavano il numero dei leviti dovevano essere riscattati con il denaro in ragione di cinque sicli per ciascuno? Ciò non si effettuò con il bestiame minuto perché Dio volle che il bestiame dei leviti fosse riservato a lui al posto del bestiame dei figli di Israele. Di conseguenza come potrebbero appartenere a Dio i loro primogeniti o quelli del loro bestiame, dal momento che comandò che i primogeniti impuri anche degli uomini fossero riscattati con pecore? Come mai in seguito non si contavano anche per questi primogeniti i figli dei leviti, dato che nei posteri perdurava la medesima tribù, che avrebbe potuto computarsi per i primogeniti venuti dopo? Ciò non si spiega forse perché era giusto che i figli che sarebbero nati da coloro che già appartenevano alla porzione del Signore, assegnatagli in ragione dei primogeniti ch’erano usciti dall’Egitto, Dio li possedeva già come suoi, discendenti dai suoi e non avrebbero potuto essere computati giustamente per coloro che in seguito avrebbero dovuto essere dati come primogeniti? Poiché da tutto quanto il popolo e da tutti quanti i bestiami minuti del popolo era stata data a Dio una parte in ragione dei primogeniti. E questa parte erano i leviti e il loro bestiame. Tutto ciò che avessero generato apparteneva a Dio; ma ciò non poteva darsi come se fosse dato dal popolo poiché non era sua proprietà. E perciò i primogeniti in seguito dovevano essere offerti a Dio e al loro posto non potevano contarsi i posteri dei leviti né quelli del loro bestiame .Continua la presenza dei pani sulla mensa.
7.
(4, 7) Quando il Signore diede l’ordine di togliere la tavola, comandò di levare con essa anche i pani dicendo: e anche i pani che saranno sempre sopra di essa. Evidentemente l’espressione: sopra di essa saranno non indica i medesimi pani ma altri simili, poiché quelli venivano tolti e ogni giorno se ne mettevano di freschi, purché tuttavia la tavola non restasse senza pani. Ecco perché è detto: i quali saranno sempre su di essa, cioè: vi saranno sempre i pani, ma non i medesimi pani.La copertura stesa sul tavolo della mensa.
8.
(4, 11) E sull’altare d’oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola e lo copriranno con una coperta di pelle di colore viola. Potrebbe sembrare solo un modo di dire la frase: E sull’altare d’oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola, che i traduttori latini non vollero tradurre quasi fosse senza senso e non completa, come per dire: " copriranno l’altare d’oro con un drappo di colore viola ". Infatti copriranno il drappo di color viola sembra voler dire che il drappo doveva essere coperto con un drappo diverso, non che l’altare doveva essere coperto con lo stesso drappo. A me però sembra che non si tratti tanto di un tipo di espressione quanto d’un senso non molto chiaro [della frase]. La frase: E sull’altare d’oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola può infatti essere inteso nel senso che il Signore comanda di coprire il drappo di stoffa viola con un’altra copertura, ch’era già sull’altare; in tal modo con una brachilogia si indicherebbero entrambe le coperture: il drappo di stoffa violacea con cui si doveva coprire l’altare e l’altra copertura per coprire quel drappo di stoffa violacea. Per conseguenza il testo soggiunge con che cosa si doveva coprire il drappo di stoffa violacea dicendo: e lo copriranno con una coperta di pelle violacea.Non rimanga impunito il peccato commesso.
9.
(5, 6-8) Chiunque, uomo o donna, avrà commesso qualunque peccato umano e non curandosi avrà trascurato e peccato, quell’anima dovrà riconoscere il peccato commesso e dovrà restituire il peccato per intero e vi aggiungerà il quinto di esso e lo restituirà a colui contro il quale ha peccato. Se però quella persona non avrà un prossimo a cui rendere il peccato, il peccato che si restituisce al Signore sarà del sacerdote, oltre all’ariete dell’espiazione con il quale [il sacerdote] offrirà per lui il sacrificio del perdono. Qui sono da intendersi i peccati commessi in relazione a oggetti che possono restituirsi con denaro, altrimenti non si vedrebbe in qual modo si devono restituire se non si tratti di un danno pecuniario. È comandato infatti di restituire l’intero e il quinto cioè l’intero oggetto, quale che esso sia, e un quinto di esso oltre al capro, che si sarebbe dovuto offrire per il sacrificio per espiare il peccato. Si comanda poi che ciò che si restituisce sia del sacerdote, cioè l’intero più un quinto, se non ha parenti stretti colui contro il quale fu commesso il peccato. Con ciò s’intende che si deve rendere al Signore quanto è del sacerdote, se non sopravvive la persona che patì il danno né un suo prossimo, che penso debba intendersi l’erede. La Scrittura però non dice nulla di questa persona; tuttavia quando dice: se non avrà un prossimo, con questa brachilogia fa capire che allora si deve ricercare il suo prossimo se non vive più il derubato. Se poi non si trova neppure il suo erede, la refurtiva sarà restituita al Signore perché non rimanga impunito il peccato commesso, essa tuttavia non deve andare per il sacrificio, ma dev’essere del sacerdote. La frase della Scrittura deve avere di certo la seguente interpunzione: Se però la persona non avrà un prossimo, per restituire il peccato a lui stesso; l’aggiunta a lui stesso è un idiomatismo proprio della Scrittura; o forse si dice a lui stesso perché appartiene a lui, cioè è suo possesso. Il testo poi continua dicendo: Il peccato che viene restituito al Signore sarà del sacerdote. È chiamata peccato la cosa tolta commettendo un peccato e poi viene restituita.Differenza fra l’Esodo e i Numeri.
10.
(5, 6-7) Possiamo chiederci inoltre come mai nell’Esodo si dice che chi avrà rubato un bue o una pecora deve restituire cinque buoi o quattro pecore, se li uccise o li vendette; se però la refurtiva si trovi in suo possesso salva e sana, si deve restituire il doppio 4, mentre qui si comanda di restituire l’oggetto per intero e un quinto in più che è lontano finanche dal doppio, che è più lontano dal quadruplo e ancor più dal quintuplo. Sennonché forse, poiché qui si dice: qualunque uomo o donna avrà commesso qualsiasi peccato umano, per " peccati umani " si debbono intendere i peccati commessi per ignoranza. Può infatti avvenire che uno, prestando poca attenzione, per negligenza si appropri di un oggetto altrui: questo è un peccato poiché, se uno prestasse la debita attenzione, non lo commetterebbe. Il Signore inoltre volle che di quegli oggetti fosse restituita la totalità e un quinto, ma non volle che le relative appropriazioni fossero punite come furti. Poiché se penseremo che in questo passo si trattasse di furti e di frodi che si commettono non per ignoranza dovuta a negligenza, ma con l’intenzione di rubare e di frodare e sono quindi chiamati umani perché sono commessi contro uomini, la soluzione di questo quesito consisterà - se non mi sbaglio - nel fatto che colui il quale commise il peccato non dovrebbe restituire neppure il doppio, poiché non viene sorpreso e non viene convinto irrefutabilmente della sua colpa, ma egli stesso confessa il proprio peccato a coloro che non sanno da chi fu commesso o se fu commesso. La Scrittura infatti, dopo aver detto: Chiunque, uomo o donna, avrà commesso uno qualunque dei peccati umani e non curandosene avrà trascurato e peccherà, cioè avrà commesso tali azioni per trascuratezza, soggiunge: quella persona farà conoscere il peccato da lei commesso e restituirà il maltolto per intero più un quinto di quello. Forse dunque è irrogata solo questa punizione poiché quell’individuo confessò da se stesso la propria azione e perciò non doveva essere punito con lo stesso castigo con cui doveva essere punito il ladro sorpreso in flagrante o convinto della propria colpa.Giuramento per esecrazione.
11.
(5, 21) Ecco le parole che la Scrittura ordina al sacerdote di dire alla donna quando il marito la conduce per il sospetto di adulterio: Il Signore ti dia alla maledizione e all’esecrazione; il testo greco ha, parola che sembra significhi: " giuramento per esecrazione ", come se uno dicesse: Così non mi succeda questo o quello, o come se giurasse così: " non avvenga questo o quello se farò o non farò [questo e quello] ". In questo modo si dice qui: Il Signore ti dia in maledizione e in esecrazione, come se si dicesse: come giurano riguardo a te ciò che giureranno per esecrazione, così ciò non avvenga loro o avvenga loro se non faranno quello.L’agnello offerto per l’olocausto.
12.
(6, 14-17) E presenterà come suo dono al Signore un agnello di un anno, senza difetti, per l’olocausto, e un’agnella di un anno come peccato. Alcuni nostri traduttori non vollero tradurre così, per evitare un’espressione da loro ritenuta inusitata e dissero pro peccato [in sacrificio espiatorio del peccato] e non in peccatum [come peccato], pur essendo questo il senso che non doveva essere alterato in quella espressione. In effetti è detto come peccato poiché ciò che si presentava per il peccato si chiamava peccato. Ecco perché l’Apostolo così si esprime a proposito di Cristo Signore: Colui che non aveva conosciuto il peccato lo fece peccato per noi 5, cioè Dio Padre fece peccato per noi Dio Figlio, vale a dire " sacrificio per il peccato ". Quindi, come l’agnello [era offerto] per l’olocausto, di modo che quell’animale era olocausto, così anche l’agnella era offerta come peccato, di modo che lo stesso animale fosse peccato, diventasse cioè sacrificio per il peccato, allo stesso modo che nel seguito il testo dice del montone che sarà per la salvezza, come se esso fosse la salvezza, mentre era sacrificio di salvezza. La Scrittura di poi rende ciò chiaro ripetendo [le due espressioni] poiché chiama sacrificio pro peccato [in espiazione del peccato] quello che prima aveva chiamato in peccatum [come peccato] e sacrificio di salvezza questo che prima aveva chiamato sacrificio per la salvezza.La legge riguardo ai leviti.
13.
(8, 23-24) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Questo riguarda i leviti ". Altri hanno tradotto la frase così: Questa è la legge riguardo ai leviti, ma la frase: Questo riguarda i leviti, vuol dire: " Questo io stabilisco riguardo ai leviti ".L’iperbato rende oscuro il senso.
14.
(8, 24-26) Di poi segue: [I leviti] entreranno a prestare servizio nelle attività della tenda della testimonianza da venticinque anni in su; ma a partire da cinquant’anni si ritirerà dal servizio e non lavorerà più, e presterà servizio suo fratello, nella tenda della testimonianza per osservare le osservanze del Signore ma non dovrà compiere alcun lavoro. Il senso di questo passo è reso oscuro dall’ [ipèrbato] il quale così risulta confuso, come se si riferisse al fratello l’espressione osservare le osservanze, mentre si riferisce a colui che cesserà di servire [nella Tenda], ma gli resterà il compito di osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza, ma non dovrà accudire alle occupazioni del suo ministero, che saranno invece svolte dal fratello che, incominciando il suo servizio a partire dall’età di venticinque anni, non è ancora giunto al cinquantesimo. Il testo del passo deve quindi essere diviso nel modo seguente: A partire dai cinquanta anni cesserà dal suo servizio cultuale e non dovrà accudire più alle occupazioni del suo ministero e le compirà il fratello di lui. Di poi torna a parlare del levita cinquantenne, del quale parlava prima e di cui espone gli altri compiti: osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza ma non accudirà alle fatiche del suo servizio cultuale. Quanto all’infinito osservare è sottinteso " comincerà "; è come se con un solo verbo si dicesse: " osservare i precetti cultuali ", poiché anche nelle frasi latine suole usarsi abitualmente un verbo all’infinito invece di un tempo finito.L’obbligo della celebrazione della Pasqua.
15.
(9, 6-12) Siccome nel tempo della Pasqua alcuni che erano diventati impuri a causa dell’anima di un uomo, cioè a causa del contatto con un cadavere, chiesero in che modo avrebbero potuto celebrare la Pasqua, poiché secondo la legge dovevano purificarsi dalle impurità per sette giorni, Mosè consultò il Signore e ricevette in risposta che chiunque al quale fosse accaduto qualcosa di simile o si fosse trovato in un viaggio tanto lungo da non poter arrivare in tempo, deve celebrare la Pasqua in un altro mese per attenersi al 14 del mese, in cui si osservava quel numero della luna. Ma se fosse stato chiesto che cosa fare qualora per caso una tale impurità si fosse presentata verso il secondo mese, penso che si sarebbe dovuto ritenere come norma ciò che era stato detto del secondo mese, che si osservasse il precetto della Pasqua nel terzo mese oppure che non ci sarebbe stata colpa nel non celebrare la Pasqua a causa di un ostacolo derivante da una tale necessità.Un passo reso oscuro da inusitate specie di locuzioni.
16.
1. (9, 15-23) E nel giorno in cui si finì di erigere la tenda-santuario, una nuvola coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c’era sulla tenda come l’aspetto di un fuoco, fino al mattino. Così avveniva sempre: la nube la copriva di giorno e l’aspetto di fuoco durante la notte. Quando la nube si alzava dalla tenda i figli di Israele si mettevano in marcia e in qualunque luogo ove la nube si fermava lì ponevano l’accampamento i figli d’Israele. All’ordine del Signore i figli di Israele erigeranno l’accampamento e all’ordine del Signore si rimetteranno in marcia. Tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda i figli di Israele rimarranno accampati. E quando la nube si attarderà per più giorni sulla tenda i figli di Israele osserveranno l’osservanza del Signore e non si metteranno in marcia. E accadrà che quando la nube coprirà per pochi giorni la tenda, alla voce del Signore rimarranno accampati e alla voce del Signore si metteranno in marcia. E avverrà che quando la nube sarà stata dalla sera fino alla mattina e nella mattina la nube sarà salita, si metteranno in marcia di giorno e partiranno di notte se la nube sarà salita; durante il giorno o il mese del giorno quando la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda, i figli di Israele resteranno accampati e non partiranno, poiché partiranno all’ordine del Signore. Osserveranno l’osservanza del Signore per mezzo di Mosè.16. 2. Tutto questo passo dev’essere spiegato diligentemente, poiché è reso oscuro da inusitate specie di locuzioni. E il giorno - è detto - in cui si finì di erigere la tenda-santuario una nube coprì la tenda, la dimora della testimonianza; la tenda è chiamata anche la dimora della testimonianza. E la sera c’era sulla tenda come l’aspetto di un fuoco, fino al mattino. Così avveniva sempre. Di poi si espone precisamente che cosa avveniva sempre. La nube - è detto - coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c’era sulla tenda come l’aspetto di un fuoco, fino al mattino. E la nube si alzava al mattino e i figli di Israele si mettevano in marcia. Questa frase è oscura solo a causa dell’espressione idiomatica nella quale è messa in più la congiunzione e. La successione ordinata delle parole procederebbe compiuta anche se mancasse la stessa congiunzione e il discorso risulterebbe così: ed una volta alzatasi la nube dalla tenda, dopo i figli di Israele si mettevano in marcia, quantunque il senso della frase potrebbe risultare compiuto se mancasse anche lo stesso avverbio dopo. Il testo poi continua dicendo: in qualsiasi luogo si fermava la nube i figli di Israele si accampavano.
16. 3. Narrando poi tutto ciò che gli Israeliti facevano secondo il precetto del Signore, il testo lo riassume così: All’ordine del Signore - dice - i figli d’Israele costruiranno l’accampamento e all’ordine del Signore si metteranno in marcia. Viene chiamato ordine del Signore il segnale dato dalla nube sia quando rimaneva ferma coprendo con la sua ombra la tenda, affinché anche l’accampamento restasse fermo, sia quando si era alzata spostandosi altrove affinché [gli Israeliti] levassero il campo e la seguissero. In quest’ultima frase è cambiato certamente il modo di narrare dell’agiografo e, come uno che predice e preannunzia, comincia ad usare i verbi del tempo futuro. Poiché non dice: All’ordine del Signore i figli di Israele " si accampavano ", ma s’accamperanno; e non dice: All’ordine del Signore " si mettevano in marcia ", ma si metteranno in marcia. Anche nelle frasi seguenti conserva questo modo di narrare, che è quanto mai inconsueto nelle Scritture. Sappiamo infatti che spesso [nelle Scritture] sono stati predetti avvenimenti futuri con verbi del tempo passato, come per esempio: Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi 6, e: È stato condotto per essere immolato 7, e altre innumerevoli frasi di tal genere; ma è assai difficile trovare nelle Scritture che un narratore di avvenimenti passati usi verbi del tempo futuro.
16. 4. L’agiografo quindi, dopo aver detto a quale segnale del giorno o della notte il popolo si metteva in marcia o rimaneva fermo, affinché non si pensasse che erano soliti marciare di notte e restare fermi durante il giorno e fare così ogni giorno, prosegue dicendo: In tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda, i figli d’Israele rimarranno accampati. E quando la nube rimarrà per più giorni sulla tenda. Richiamando poi alla mente che ciò non avveniva in forza delle loro condizioni critiche ma per volontà di Dio, e i figli d’Israele - dice - osserveranno l’osservanza di Dio, cioè il precetto dato da Dio, e non si metteranno in marcia. E come se uno avesse chiesto: " Quando dunque si metteranno in marcia? ", è detto: E avverrà quando la nube coprirà la tenda un numero di giorni - cioè per un determinato numero di giorni, un numero che di certo piace a Dio - alla voce del Signore rimarranno nell’accampamento e all’ordine del Signore si metteranno in marcia. Sembra che l’agiografo chiami voce del Signore il segnale dato mediante il sostare e il muoversi della nube, poiché anche la voce di chi parla è senza dubbio della volontà. Quanto dunque all’espressione e all’ordine credo sia da intendere come il medesimo segnale. Sennonché l’espressione potrebbe prendersi anche nel senso di " parlò a Mosè " - come suole esprimersi la Scrittura - e " ordinò si facesse così ". Poiché [gli Israeliti] non avrebbero potuto sapere che dovevano partire al muoversi della nube e dovevano restare accampati al sostare della nube se non fosse stato ordinato loro in precedenza.
16. 5. Da quanto abbiamo detto non è ancora chiaro se gli Israeliti marciassero solo durante il giorno o anche durante la notte a seconda del segnale che la nube dava con il suo movimento. Sebbene infatti rimanessero nell’accampamento per più giorni, se la nube non si muoveva, tuttavia potevano forse pensare che la nube non era solita alzarsi dall’accampamento e dare il segnale di mettersi in viaggio se non durante il giorno. L’agiografo dunque seguita dicendo: E avverrà che quando la nube sarà rimasta dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, e partiranno di giorno. Qui è usata la congiunzione copulativa e, secondo l’usanza della Scrittura; una volta che sia tolta si ha un senso perfetto del seguente tenore: "E avverrà che, quando la nube rimarrà dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, si metteranno in marcia di giorno ". Di conseguenza, poiché partivano anche di notte se la nube s’innalzava ed effettuavano il viaggio di notte, se ricevevano quel segnale, il testo aggiunge quanto segue: oppure partiranno di notte se la nube s’innalzerà. Ma questa è un’espressione più inconsueta, poiché non solo è inserita una e, ma nel modo che non è abituale. Mi sembra perciò che l’ordine delle parole sia invertito come suole accadere spesso anche nelle espressioni latine e questo modo di esprimersi si chiama antistrofe. Pertanto il senso risulterebbe assai chiaro se si dicesse così: " oppure si metteranno in marcia se la nube si sarà innalzata ", o per lo meno si dicesse così: " se anche di notte si sarà innalzata la nube, si metteranno in marcia ".
16. 6. Tuttavia ancora un altro quesito si presentava allo spirito desideroso di maggior conoscenza. Come si sa che gli Israeliti erano soliti marciare di giorno o di notte o restare accampati di giorno e di notte a seconda del segnale della nube, così erano soliti restare accampati solo nei giorni nelle cui notti essi marciavano; io penso che la Scrittura faccia intendere ciò quando dice: I figli d’Israele rimarranno nell’accampamento e non si metteranno in marcia nel giorno o nel mese del giorno mentre la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda. Poiché aveva detto: anche di notte, e se s’innalzerà la nube si metteranno in viaggio, come se restasse da dire: " ma di giorno non si metteranno in cammino se non si alzerà " quando pareva come se dovessero mettersi in marcia. Ma siccome poteva accadere anche per parecchi giorni che potevano marciare di notte, quando la nube si alzava, e non si mettevano in cammino nei giorni in cui essa restava ferma [sulla tenda], perciò si dice: durante il giorno o durante il mese del giorno. Non è detto: " durante il mese " perché non s’intendesse che in quella frase fossero incluse anche le notti dello stesso mese, ma è detto: durante il mese del giorno, cioè durante il mese per la parte relativa ai suoi giorni, non per la parte relativa alla notte. Nel giorno, dunque, o nel mese del giorno, quando la nube la copre abbondantemente - cioè quando abbonda nel coprirla con la sua ombra o quando la copre più abbondantemente con la sua ombra - al di sopra di essa - vale a dire al di sopra della tenda - i figli d’Israele resteranno accampati e non si metteranno in marcia. Alla fine la Scrittura ripete che tutto quello [che racconta] fu compiuto per la volontà di Dio, alla quale naturalmente non doveva essere opposta resistenza e aggiunge: poiché si metteranno in cammino all’ordine del Signore. Osservarono l’osservanza del Signore secondo il comando del Signore per mano di Mosè. Qui l’agiografo torna al verbo usato nel tempo passato, dicendo osservarono. L’espressione usata alla fine: per mano di Mosè è un idiomatismo assai usato nella Scrittura, poiché Dio comandava queste cose " per mezzo di Mosè ".
Il suono della tromba non come segnale.
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(10, 7) E quando adunerete l’assemblea, sonerete la tromba, ma non come segnale. Non fu dunque comandato di sonare la tromba per adunare l’assemblea - poiché se viene sonata a questo scopo è un segnale - ma è comandato di sonare la tromba dopo che l’assemblea è stata già radunata, come se facesse parte del canto e non per dare un segnale, con il quale si avverte di fare qualcosa. Quando perciò il fatto che sonavano le trombe dopo che era già stata riunita l’assemblea, qualsiasi persona del Nuovo Testamento lo interpreta in un senso spirituale, è un segnale per lui che intende per quale scopo ciò avviene, non per coloro che non lo comprendevano se non quando si faceva allo scopo d’indicare qualche opera [da compiere].Diverso è lo Spirito di Dio, di cui lo spirito dell’uomo diventa partecipe.
18.
(11, 17) Io prenderò un po’ dello spirito che è su di te e lo porrò su di loro; e porteranno con te il peso del popolo e non li porterai da solo. Un gran numero di traduttori latini non tradussero come il testo riporta nel greco, ma lo resero esprimendosi così: prenderò del tuo spirito che è in te e lo porrò su di essi, oppure in essi, e così formarono un’espressione dal senso difficile a comprendersi. Poiché si potrebbe pensare che si trattasse dello spirito dell’uomo di cui insieme al corpo risulta formata la natura umana, che è composta di corpo e di spirito, detto anche anima; di questo spirito anche l’Apostolo dice: Poiché tra gli uomini chi mai conosce i pensieri dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Allo stesso modo nessuno conosce le proprietà di Dio, se non lo Spirito di Dio. E quanto aggiunge e dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio 8, mostra senz’altro che diverso è lo Spirito di Dio, di cui lo spirito dell’uomo diventa partecipe per grazia di Dio. Tuttavia nell’espressione: Dello spirito tuo che è in te - come l’hanno tradotta altri - si potrebbe intendere anche lo Spirito di Dio; l’agiografo avrebbe detto tuo in quanto diventa anche nostro quello che è di Dio, quando lo riceviamo, come la Scrittura dice a proposito di Giovanni: [camminerà] con lo spirito e la potenza di Elia 9. Evidentemente non era trasmigrata in lui l’anima di Elia. Se taluni la pensano così con una perversità eretica, che cosa diranno a proposito della seguente affermazione della Scrittura: Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo 10, quando costui era già in possesso sicuramente della propria anima? La Scrittura parla quindi dello Spirito di Dio, che anche per mezzo di lui compiva azioni come quelle che compiva per mezzo di Elia, senza allontanarsi da lui al fine di poter riempire costui e senza essere minore in Elia dopo essere stato diviso, per poter essere in qualche misura anche in Eliseo? Dio infatti è tanto grande da poter essere in tutti coloro in cui vorrà essere per sua grazia. Ora però, poiché la Scrittura dice: Prenderò una parte dello spirito che è su di te, e non " del tuo spirito ", più facile è la soluzione del nostro problema, in quanto comprendiamo che Dio volle indicare solo che anche quegli altri avrebbero ricevuto l’aiuto della grazia dal medesimo Spirito dal quale lo aveva Mosè, di modo che anch’essi ne avessero quanto Dio avrebbe voluto senza che Mosè ne avesse di meno.Dio giudica non secondo le parole ma secondo i sentimenti intimi.
19.
(11, 21-23) E Mosè disse: Seicentomila soldati a piedi in mezzo ai quali io sono e tu mi hai detto: Darò loro carni e ne mangeranno per un mese di giorni. Si ammazzeranno forse per loro pecore e buoi e basteranno a loro? Oppure si raccoglieranno per essi tutti i pesci e saranno loro sufficienti? Si è soliti porre il quesito se Mosè disse ciò non avendo fiducia o cercando di sapere. Ma se penseremo che Mosè disse ciò non avendo fiducia, sorge il problema perché il Signore non lo rimproverò di ciò come lo rimproverò per il fatto che presso la roccia, da cui sgorgò l’acqua, sembra che dubitò del potere del Signore 11. Se invece diremo che disse così volendo sapere in qual modo si sarebbe avverata la risposta del Signore quando gli disse: La mano del Signore non sarà forse capace? sembra quella con cui il Signore lo rimprovera per il fatto di non aver creduto alle sue parole. Io però penso che sia meglio intendere che il Signore rispose così come se non avesse voluto dire il modo in cui si sarebbe svolto il fatto, che Mosè cercava di conoscere, ma piuttosto mostrare la sua potenza col compiere l’azione. Anche a Maria quando disse: In qual modo avverrà ciò, poiché non conosco uomo? 12 si sarebbe potuto obiettare da parte dei calunniatori che avesse poca fede, mentre essa cercava di conoscere il modo ma non dubitava affatto della potenza di Dio. Quanto alla risposta che le fu data: Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti avvolgerà con la sua ombra 13, poteva essere formulata come quella data a Mosè: " È forse impossibile allo Spirito Santo, che verrà su di te? ". In questo modo si sarebbe conservato lo stesso senso. Inoltre d’altra parte Zaccaria, dicendo qualcosa di simile, viene rimproverato d’incredulità e viene punito con il restar privo della parola 14. Per qual motivo, se non perché Dio giudica non secondo le parole ma secondo i sentimenti intimi [delle persone]. Altrimenti si sarebbero potute scusare le parole di Mosè anche presso la roccia da cui sgorgò l’acqua, se non fosse stata chiara la sentenza di Dio contro di lui nel senso che aveva detto quelle parole perché non aveva avuto fiducia. In realtà le parole [di Mosè] suonano così: Ascoltatemi, increduli, potremo forse far uscire da questa roccia dell’acqua per voi? Il testo poi continua: E Mosè alzando la sua mano colpì due volte la roccia con il suo bastone e ne uscì molta acqua e ne bevve la comunità e il suo bestiame 15. Certamente per questo aveva radunato il popolo e per questo aveva preso il bastone con cui aveva compiuto tanti prodigi e con esso colpì la roccia e ne seguì l’effetto del solito potere. Di conseguenza le parole con cui disse: Potremo forse far uscire per voi dell’acqua da questa roccia? si potrebbero intendere come se fosse stato detto nel seguente senso: " secondo la vostra incredulità non può farsi uscire acqua da questa roccia ", per dimostrare alla fine, colpendola, che era stato possibile per l’intervento di Dio, cosa che quelli non credevano possibile a causa della loro incredulità, soprattutto perché aveva detto: Ascoltatemi, increduli. Queste parole si potrebbero, sì, intendere in questo senso, se Dio, che scruta i cuori 16, non indicasse con quale sentimento furono dette. La Scrittura infatti seguita dicendo: E il Signore disse a Mosè e ad Aronne: " Perché non avete creduto [in me], manifestando la mia santità al cospetto dei figli d’Israele, non sarete voi a introdurre questa comunità nel paese che ho dato loro " 17. Si comprende perciò che Mosè disse quelle parole come se colpisse la roccia senza avere la certezza del risultato, di modo che se questo non fosse seguito, si sarebbe potuto pensare che egli lo aveva predetto quando disse: Potremo forse fare sgorgare dell’acqua per voi da questa roccia? Questa sua diffidenza sarebbe rimasta totalmente nascosta nel suo animo, se non fosse stata svelata dalla sentenza di Dio. In questo passo, al contrario, le parole relative alla promessa delle carni dobbiamo intenderle piuttosto nel senso che furono dette al fine di conoscere in qual modo quella promessa si sarebbe potuta adempiere, anziché pronunciate per diffidenza, dal momento che a esse non seguì alcuna sentenza del Signore diretta a punirlo ma piuttosto ad istruirlo.Se la moglie di Mosè è la stessa figlia di Ietro.
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(12, 1) A proposito della moglie etiope di Mosè si è soliti porre il quesito se era la stessa figlia di Ietro 18 o se aveva sposato una seconda donna o più d’una. È però probabile che fosse la stessa donna, poiché era della stirpe dei Madianiti, che nel libro dei Paralipomeni sono chiamati Etiopi 19 quando Giosafat combatté contro di loro. Nei passi di questo libro si dice che il popolo d’Israele li perseguitò dove abitano i Madianiti, che ora sono chiamati Saraceni. Adesso però quasi nessuno li chiama Etiopi, come spesso i nomi dei luoghi e dei popoli sono soliti cambiare con il lungo passare del tempo.Non sono spie gli esploratori di Mosè.
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(13, 18-26) E disse loro: " Salite attraverso il deserto e salirete sul monte e vedrete com’è la terra e il popolo che l’abita se è forte o debole, se sono pochi o molti ". Si capisce che cosa esprime dicendo: se sono forti o deboli, cioè se sono pochi o molti. Poiché in che modo guardando dall’alto di un monte avrebbero potuto conoscere l’energia delle forze umane? La frase potrebbe avere anche un altro senso molto più appropriato alla realtà. Quando la Scrittura dice: salirete sul monte, vuol dire " nella terra " che volevano esplorare. Perché non avrebbero potuto facilmente essere considerati spie individui che s’informavano d’ogni cosa con esattezza come forestieri. Ora, se pensassimo che essi avessero osservato ed esaminato attentamente il paese dalla cima di una montagna, in qual modo avrebbero potuto indagare tutto ciò che Mosè aveva ordinato d’indagare? Come sarebbero potuti entrare nelle città in cui la Scrittura dice che dovevano entrare? Come avrebbero potuto portar via da quella valle un grappolo d’uva a motivo del quale fu dato il nome anche alla località la quale fu chiamata perciò " la Valle del Grappolo ".Il terrore del paese esplorato.
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(13, 33) E divulgarono il terrore del paese che avevano esplorato. L’espressione terrore del paese non indica il terrore da cui era colpito lo stesso paese, ma quello che gli Israeliti sentivano in sé a causa di quel paese.Anche agli empi la Provvidenza concede un tempo favorevole.
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(14, 9) Caleb e Giosuè, figlio di Nun, parlando al popolo d’Israele perché non temessero di entrare nella terra promessa, tra l’altro dissero: Voi però non dovete temere il popolo di quella terra, poiché essi sono pane per noi. Da loro infatti si è allontanata l’epoca favorevole, il Signore invece è con noi, non abbiate paura di loro. Con la frase: sono pane per noi, vollero intendere: " li distruggeremo ". Quanto alla frase che segue: da loro infatti si è allontanato il tempo favorevole, è da notare che con molta circospezione non dissero: " Il Signore si è allontanato da loro " - poiché erano empi sin dal tempo antico - ma, poiché anche agli empi per una misteriosa disposizione della divina Provvidenza è concesso un tempo favorevole di prosperare e di regnare, dissero: si è allontanato da loro il tempo favorevole, ma il Signore è con noi. Non dissero: " s’è allontanato da loro il tempo favorevole ed è subentrato il nostro ", ma: è con noi il Signore, non il tempo. Quelli ebbero il loro tempo favorevole, questi hanno il Signore Dio, creatore e ordinatore dei tempi, che li distribuisce a chiunque gli piace.Quali sono i peccati involontari.
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(15, 24-29) Quanto al fatto che si ordina in qual modo si devono espiare i peccati commessi involontariamente, a buon diritto ci chiediamo quali siano i peccati involontari: se quelli che si commettono inconsciamente, oppure se può chiamarsi involontario un peccato che uno è costretto a commettere; poiché si suole dire che anche questo peccato lo si fa contro la volontà. Ma in ogni caso uno vuole ciò per cui fa qualcosa; come, per esempio, se uno non volesse giurare il falso, ma lo fa poiché desidera conservare la vita se uno lo minaccia di morte, se non lo farà. Vuole dunque fare quel giuramento poiché vuole vivere e perciò senza desiderare di per se stesso di giurare il falso ma di vivere giurando il falso. Se le cose stanno così, non so se peccati di questa specie possano chiamarsi involontari come quelli che qui si dice che devono essere espiati. Poiché se si considera attentamente la cosa, forse nessuno vorrebbe proprio peccare, ma si commette il peccato in vista di un’altra cosa voluta da chi pecca. In realtà tutti gli uomini, che consapevolmente fanno ciò che è illecito, vorrebbero che fosse lecito; tanto è vero che nessuno vuole proprio peccare per il peccato in se stesso, ma per ciò che ne deriva. Se le cose stanno così, non ci sono peccati involontari ma solo commessi per ignoranza, distinti dai peccati volontari.Quali sono i peccati commessi con superbia.
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(15, 30-31) Qualunque anima tanto degli indigeni quanto dei forestieri, che avrà peccato con mano di superbia, esacerba Dio e quell’anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo, poiché disprezzò la parola del Signore e infranse i suoi precetti. Quell’anima sarà distrutta totalmente: il suo peccato è in essa. Quali siano i peccati commessi con mano di superbia, cioè con superbia la Scrittura lo spiega molto chiaramente nel seguito in cui dice: poiché disprezzò le parole del Signore. Una cosa è dunque disprezzare i precetti e un’altra stimarli molto ma poi agire contro di essi o per ignoranza o per debolezza. Queste due specie di peccati appartengono forse ai peccati che si commettono involontariamente: come questi peccati si espiassero placando Dio con i sacrifici l’ha esposto la Scrittura più sopra e di poi continua parlando dei peccati di superbia quando uno agisce male montando in superbia, cioè disprezzando il precetto. Quanto a questa specie di peccato la Scrittura non dice che si debba espiare con alcuna specie di sacrificio, giudicandolo incurabile solo con il trattamento che veniva compiuto per mezzo dei sacrifici che la Scrittura qui prescrive di fare. Tali sacrifici, considerati in se stessi, non possono espiare nessun peccato; se però si esaminano le cose di cui questi sono prefigurazioni, potrà trovarsi in essi l’espiazione dei peccati. Perciò nell’espressione della Scrittura: quando il peccatore è caduto nel profondo dei mali, disprezza 20, è prefigurato simbolicamente colui - come in questo passo dice la Scrittura - che pecca con la mano della superbia. Questo peccato perciò non può essere cancellato senza la pena di colui che lo commette; e pertanto non può restare impunito e si espia con la penitenza. Poiché l’afflizione del penitente è una pena del peccato sebbene sia medicinale e salubre. Giustamente quindi si giudica grave il peccato commesso da chi disprezza con superbia il precetto; ma, al contrario, affinché possa essere perdonato, Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato 21. Tuttavia, poiché ciò non avviene senza pena, per conseguenza sono dette tali cose. Costui - dice la Scrittura - esarceba Dio, poiché Dio resiste ai superbi 22. E quell’anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo - poiché un tale individuo non è affatto del numero di coloro che appartengono a Dio - in quanto disprezzò la parola di Dio e infranse i suoi precetti; quell’anima sarà totalmente distrutta. Il motivo per cui sarà totalmente distrutta la Scrittura lo dice subito dopo: il suo peccato è in essa. Se perciò il peccatore applicherà da sé a se stesso la debita contrizione per tale peccato pentendosi, Dio non disprezza un cuore contrito, come è stato già detto. Sennonché in questo passo il testo greco non dice: quell’anima sarà totalmente distrutta, ma: sarà completamente consumata; espressione, questa, che può prendersi nel senso che quell’anima, a forza di venir logorata, si consuma fino a cessare di esistere. Ma a questo senso si oppone anzitutto la natura dell’anima che è immortale; in secondo luogo, se ciò che si consuma si consumasse totalmente fino a cessare di esistere, la Scrittura non direbbe del sapiente: il tuo piede consumi i gradini della sua porta 23. Nondimeno si deve considerare sempre più la distinzione da fare per sapere se si pecca solo per ignoranza o perché si cede alla passione o per disprezzo; ma di ciò ora sarebbe troppo lungo discutere.Le parole di superbia di Datan e Abiron.
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(16, 12-14) Che significa ciò che dissero Datan e Abiron quando, essendo insorti alla sommossa [contro Mosè], furono chiamati da Mosè e gli risposero con superbia e con ingiurie: È forse poco averci fatto uscire in una terra ove scorre latte e miele per farci morire nel deserto, perché tu domini su di noi e sei il nostro capo? E tu ci hai condotti in una terra dove scorre latte e miele e ci hai dato in possesso campi e vigne. E di poi aggiunsero: Avresti cavato gli occhi di quegli uomini; noi ci rifiutiamo di salire. Degli occhi di quali uomini parlavano? Forse di quelli del popolo d’Israele, come se volessero dire: " Se tu avessi dato queste cose, avresti cavato gli occhi di quegli uomini, cioè ti avrebbero voluto tanto bene che si sarebbero cavati gli occhi e li avrebbero dati a te "? Anche l’Apostolo dice che questa sia una grande prova d’amore: Poiché, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi per darli a me 24. Di poi, al colmo dell’arroganza, aggiunsero: Noi ci rifiutiamo di salire, cioè " noi non verremo ", poiché li aveva chiamati. Oppure chiama occhi di quegli uomini gli occhi dei nemici, che gli esploratori avevano riferito essere assai crudeli e terribili? Come se dicessero: Anche se tu avessi fatto una cosa simile, non ti ubbidiremmo; sennonché qui è usato un modo del verbo invece di un altro modo, e perciò non avrebbe detto: non saliremo, ma " Non saliamo ", esprimendosi così con una specie di idiomatismo.Mosè e Aronne separati dalla comunità di Core.
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(16, 20-21) E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Separatevi di mezzo alla comunità di costui ". Si deve osservare che il Signore comanda di fare la separazione fisica allorché sui malvagi incombe di già il castigo. Così Noè con la sua famiglia viene separato da tutti gli altri destinati a perire nel diluvio 25; così Lot con i suoi viene separato da Sodoma che sarebbe stata distrutta dal fuoco sceso dal cielo 26; così lo stesso popolo [d’Israele] fu separato dagli Egiziani che sarebbero stati sommersi dalle acque del mare 27. Così ora questi vengono separati dalla comunità di Core, Abiron e Datan, che prima avevano voluto separarsi mediante una sommossa. Ma i fedeli servi di Dio, che prima vivevano ed avevano rapporti con essi e con tutti gli altri biasimati da Dio secondo le parole che dice rimproverandoli, non poterono affatto essere contaminati da essi: e nemmeno fu loro ordinato di separarsi da quelli quando il Signore differiva il castigo oppure ne infliggeva un altro, in cui non avrebbero potuto correre pericolo né venir danneggiati gli innocenti, come i morsi dei serpenti o le stragi che causavano la morte, con le quali Dio colpiva chi voleva e come voleva lasciandone immuni altri: non come accadde con l’acqua del diluvio e con la pioggia di fuoco o con l’acqua del mare o con la spaccatura della terra che poteva sterminare tutti, buoni e cattivi, allo stesso modo; e non perché Dio non avrebbe potuto anche in quel caso salvare i suoi, ma che bisogno c’era di attendersi da Dio un miracolo, quando si poteva fare la separazione in modo che l’acqua o il fuoco o la spaccatura della terra potesse sottrarre alla morte coloro che avesse incontrato? Così anche alla fine del mondo il grano sarà separato dalla zizzania, affinché con le fiamme mentre bruciano i malvagi brillino i giusti come il sole nel regno del Padre suo 28.Significato di visione, fantasma.
28.
(16, 30) Ciò che Mosè dice di Core, Abiron e Datan: Il Signore lo manifesterà in una visione, e la terra, aprendo la sua bocca, li inghiottirà, alcuni l’hanno tradotto così: Il Signore lo manifesterà con l’apertura 29, credendo - a mio parere - che il testo dica, mentre nel greco si dice, espressione corrispondente a quella latina in manifestatione [con la manifestazione] perché apparirà chiaramente agli occhi. In effetti l’espressione in visione non denota una " visione " come quella dei sogni o di qualunque altra immagine vista nell’estasi, ma, come ho detto, una " manifestazione ". Alcuni poi, che hanno un’opinione diversa, hanno voluto tradurre con un fantasma, ma questa versione è assolutamente incompatibile con il nostro consueto modo di esprimerci e perciò quasi mai si dice " fantasma " se non quando i nostri sensi sono ingannati dalla falsità delle cose viste. Tuttavia, anche questo può dirsi della visione, ma - come ho detto - s’oppone a quel senso il modo ordinario d’esprimerci.Molteplici significati del termine inferi.
29.
(16, 33) Ed essi con tutti i loro averi scesero vivi negli inferi. Bisogna osservare che si parla degli inferi riguardo a un luogo terreno, cioè alle parti inferiori della terra. Poiché il termine inferi nelle Scritture ha diverse accezioni e molteplici significati, come esige il senso delle cose di cui si tratta ed esso suole essere usato soprattutto a proposito di morti. Ma siccome è detto che quegli individui scesero vivi agli inferi e dal racconto appare assai chiaramente che cosa successe, è manifesto - come ho detto - che con il termine inferi sono chiamate le parti inferiori della terra paragonate con la parte superiore, sulla superficie della quale noi viviamo. Allo stesso modo la Scrittura dice che gli angeli peccatori, scacciati giù nell’oscurità dell’atmosfera terrestre, sono riservati per essere puniti, come nel carcere degli inferi, paragonati con il cielo superiore ove dimorano gli angeli santi. Poiché - dice la Scrittura - se Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma precipitandoli nel carcere tenebroso degli inferi sono riservati per essere puniti nel giudizio 30, e l’apostolo Paolo chiama il diavolo principe dell’impero dell’aria che opera negli uomini ribelli 31.Perché il Signore parlò non a Mosè e ad Aronne, ma a Mosè e ad Eleazaro.
30.
(16, 36-40) E il Signore disse a Mosè e al sacerdote Eleazaro, figlio di Aronne: " Levate gli incensieri di bronzo di mezzo agli incendiati e semina lì il fuoco profano, poiché hanno santificato gli incensieri di questi peccatori nelle loro anime; fanne delle lamine flessibili da porre attorno all’altare, poiché sono stati presentati al Signore e sono divenuti un segno per i figli di Israele ". Perché in questo passo il Signore parlò non a Mosè e ad Aronne come nei passi precedenti, ma a Mosè e ad Eleazaro, figlio di Aronne? Il motivo che per ora mi si presenta alla mente è questo: poiché si trattava di un problema relativo alla parentela dei sacerdoti, cioè di quale famiglia dovevano essere - per questo motivo perirono, puniti con un castigo tanto orrendo e singolare, quegli uomini di un’altra famiglia poiché avevano osato appropriarsi del sacerdozio - Dio volle parlare non ad Aronne, che era già sommo sacerdote, ma ad Eleazaro che gli doveva succedere e già esercitava le funzioni di sacerdote di secondo rango, per mettere in risalto, in quel modo la serie dei discendenti che sarebbe dovuta aversi nella successione dei sacerdoti. Perciò anche nel seguito il testo dice: Ed Eleazaro, figlio del sacerdote Aronne, prese tutti gli incensieri d’oro che avevano presentato [al Signore] coloro che erano stati bruciati e li aggiunse ponendoli intorno all’altare come ricordo per i figli di Israele, affinché non si avvicini alcun estraneo, non facente parte della stirpe di Aronne, per offrire l’incenso davanti al Signore; e non dovrà essere come Core e come la sua banda, come [gli] aveva parlato il Signore per mezzo di Mosè. In questa maniera volle dunque Dio porre in risalto, per mezzo di Eleazaro, non il sacerdozio già conferito ad Aronne, ma la stirpe della successione sacerdotale. Quanto invece all’espressione: e il fuoco profano seminalo lì, si deve intendere nel senso di " spargilo ". E l’espressione con cui il testo prosegue: poiché hanno santificato i turiboli di quei peccatori nelle loro anime, è una frase espressa con un modo di dire inusitato - è vero - ma si deve osservare che il castigo di coloro che avevano commesso quel peccato è detto - in un modo insolito - santificato, poiché per loro mezzo si diede un esempio agli altri affinché avessero paura. Inoltre, per spiegare perché Dio ordinò che di quegli incensieri si facesse un rivestimento [metallico] attorno all’altare, l’agiografo prosegue dicendo: Poiché furono offerti davanti al Signore e furono santificati e sono diventati un segno tra i figli di Israele. Dio dunque non volle che fossero riprovati perché erano stati offerti da quegli uomini, ma che piuttosto si pensasse e si riflettesse seriamente davanti a chi erano stati offerti - cioè che erano stati offerti davanti al Signore - e che, rispetto ad essi il nome del Signore, davanti al quale erano stati offerti, valeva molto di più che la gravissima colpa di coloro che li avevano offerti. Ciò la Scrittura lo aveva già ricordato anche nell’Esodo quando parla della costruzione dell’altare 32. Da ciò si comprende che i vari avvenimenti sono distribuiti nei diversi libri sacri ma senza l’ordine cronologico in cui erano succeduti. Poiché anche a proposito del bastone di Aronne la Scrittura in questo libro narra in qual modo successe che esso con il suo germogliare e con il produrre fiori rivelò per volontà di Dio che Aronne era stato scelto come sacerdote 33. E tuttavia a proposito dello stesso bastone nell’Esodo si dice che si doveva riporre con la manna nel Santo dei Santi dentro l’Arca dell’alleanza, quando il Signore comandò di costruire la tenda-santuario 34 e quest’ordine fu dato, naturalmente, molto prima che la stessa tenda-santuario fosse costruita e terminata completamente. Fu terminata il primo mese del secondo anno dopo l’esodo dall’Egitto 35 e questo libro comincia il primo giorno del secondo mese del medesimo secondo anno 36. È quindi chiaro che questi fatti, se consideriamo l’ordine dei libri, vengono ricordati per ricapitolazione, cioè per ricordo dei fatti passati, fatti che da chi presta meno attenzione si crede siano avvenuti nello stesso ordine in cui sono raccontati.I sacrifici per i peccati sono santi.
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(18, 1) E il Signore disse ad Aronne: " Tu e i tuoi figli e la casa di tuo padre porterete i peccati dei santi e tu e i tuoi figli porterete i peccati del vostro sacerdozio ". Questi peccati sono quelli chiamati sacrifici per i peccati. Perciò non sono chiamati peccati dei santi quelli che commettono i santi ma, poiché i sacrifici per i peccati sono santi, la Scrittura li chiama [peccati] dei santi. Poiché i sacrifici si offrono nel santuario e son detti peccati i sacrifici per i peccati, perciò sono chiamati peccati dei santi. E i peccati del vostro sacerdozio, cioè gli stessi sacrifici che si offrono per i peccati; come la Scrittura ci dà a conoscere chiaramente anche nel Levitico e dice che devono appartenere al sacerdote 37.Quali sono i primogeniti da offrire al Signore.
32.
(18, 13) Tutti quanti i primogeniti di tutte le cose che saranno sulla terra e che offriranno al Signore saranno tuoi. Qui non sono chiamati primogeniti i primogeniti del bestiame, poiché questi in greco sono chiamati [i primogeniti], mentre qui sono chiamati. Ma in latino non si sono trovate due parole diverse per queste cose. Ecco perché alcuni tradussero il termine con primitias [le primizie], ma le primizie in greco si dicono e sono un’altra cosa. Queste tre cose si distinguono nel modo seguente: sono i primogeniti degli animali, compresi quelli degli uomini, sono al contrario i primi frutti presi dalla terra o dagli alberi o dalle viti; le primizie invece sono i primi frutti - è vero - ma già raccolti dai campi, come ciò che per la prima volta veniva preso dalla pasta di farina, dalla tinozza sotto il torchio del vino, dalla botte, dal tino.La vacca rossa.
33.
1. (19, 1-22) A proposito della vacca rossa, la cenere della quale la legge ordinò che servisse per l’acqua dell’aspersione e per purificare coloro che avessero toccato un cadavere non c’è permesso di tacere - poiché c’è in essa un’evidentissima prefigurazione simbolica del Nuovo Testamento - né siamo capaci di parlare in modo abbastanza degno di un sì grande mistero data la fretta che abbiamo di terminare. Poiché il fatto che la Scrittura per la prima volta prese a parlare di questa cosa, a chi non farebbe impressione e non lo renderebbe quanto mai attento alla profondità del mistero? La Scrittura dice: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Questa è la distinzione della legge riguardo a tutto ciò che ha stabilito il Signore ". Senza dubbio non c’è una distinzione se non tra due o più cose, poiché nell’unità si cerca invano la distinzione. Qui non è menzionata la distinzione d’una cosa qualsiasi, ma il Signore aggiunge: della legge, e non d’una legge qualunque. Nella Scrittura infatti, di ciascuna cosa legittimamente comandata, si dice ripetutamente: " Questa è la legge relativa a questa o a quella cosa ". Qui invece il testo, dopo aver detto: Questa è la distinzione della legge, aggiunse di seguito: per tutto ciò che ha stabilito il Signore, comandando, non creando. Infatti anche alcuni interpreti hanno tradotto: tutto ciò che ordinò il Signore. Se dunque è questa la distinzione della legge, tutto ciò che comandò il Signore, questa distinzione è senza dubbio importante; e si comprende bene che qui si distinguono i due Testamenti. Poiché le medesime cose sono nell’Antico e nel Nuovo Testamento: lì velate, qui rivelate, lì prefigurate, qui manifestate. Poiché sono diversi non solo i misteri ma anche le realtà promesse. Lì pare che sono proposti beni temporali con i quali è indicato simbolicamente il premio spirituale, avvolto nel mistero; qui invece vengono promessi in modo assai chiaro beni spirituali ed eterni. E quale distinzione è più splendida e più sicura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo? Nella sua morte risultò evidente che non questa felicità terrena e transitoria dobbiamo sperare e desiderare come un gran dono del Signore, dal momento che mediante una distinzione assai chiara, per mezzo del suo Figlio unigenito, che volle sopportasse patimenti tanto acerbi, manifestò che gli si deve chiedere un bene totalmente diverso. Insomma ciò che si narra del sacrificio della giovenca rossa prefigura in modo assai conveniente la Passione di nostro Signore Gesù Cristo come distinzione dei due Testamenti.33. 2. E il Signore parlò a Mosè e Aronne dicendo: "
Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che ha stabilito il Signore ". E di poi comincia a dare i precetti continuando a dire: Di’ ai figli d’Israele. Il testo può avere qui anche la seguente punteggiatura: E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: " Questa è la distinzione della legge per tutto ciò che il Signore ha stabilito dicendo ", non tutto ciò che il Signore ha stabilito creando, come il cielo e la terra e tutto ciò che si trova in essi, ma tutto ciò che il Signore ha stabilito, dicendolo naturalmente nei due Testamenti, continuando poi così di seguito: Di’ ai figli d’Israele, e prendano per te una giovenca rossa senza difetto. La giovenca rossa è simbolo della carne di Cristo; è di sesso femminile a causa della debolezza della carne, è rossa a causa della passione cruenta. Quanto all’espressione: prendano per te, essa dimostra nello stesso Mosè la figura della legge, poiché gli Israeliti credettero di uccidere Cristo secondo la legge in quanto, secondo loro, trasgrediva il Sabato e, come essi pensavano, violava le osservanze legittime. Non è dunque strano che si dica che la giovenca sia senza difetti, poiché anche le altre vittime prefiguravano questa carne dal momento che è prescritto che siano ugualmente senza difetti gli animali da immolare. Quella carne infatti era a somiglianza della carne di peccato 38, ma non carne del peccato. Tuttavia qui ove Dio volle far risaltare con maggiore evidenza la distinzione della legge non bastava che dicesse senza difetto, se non avesse detto: che non ha in sé alcun difetto. Questa espressione, se fu detta per ripetere lo stesso concetto, forse non fu detta inutilmente, poiché è proprio la ripetizione a mettere in più forte risalto quel concetto. Sennonché non è incompatibile con la verità se si pensa che è aggiunta la frase: la quale non abbia in sé alcun difetto, pur essendo già stato detto: una giovenca senza difetto, per il fatto che non lo ebbe in sé la carne di Cristo, mentre lo ebbe in altri che sono sue membra. Quale carne infatti è senza peccato in questa vita se non quella che non ha in sé alcun difetto?. E su di essa non sia stato posto il giogo. Poiché non è stata soggiogata all’iniquità, dalla quale liberò coloro che trovò assoggettati ad essa e spezzò le loro catene, affinché gli si possa dire: Tu hai spezzato le mie catene; io ti offrirò un sacrificio di lode39. In effetti non fu posto il giogo sopra la carne di lui, che ebbe il potere di offrire la propria vita e di riprenderla 40.33. 3. E la darai - è detto - al sacerdote Eleazaro. Perché non ad Aronne, se non forse perché ciò era un annuncio prefigurativo che la Passione del Signore sarebbe arrivata non in quel tempo là ma ai successori di quel sacerdozio? E la cacceranno fuori dell’accampamento; allo stesso modo fu cacciato fuori della città il Signore perché soffrisse la Passione. Quanto poi all’espressione: in un luogo puro, essa significa che il Signore non aveva un capo d’accusa infamante. E la immoleranno alla sua presenza, come fu immolata la carne di Cristo alla presenza di coloro che presto sarebbero stati sacerdoti del Signore nel Nuovo Testamento.
33. 4. Ed Eleazaro prenderà un po’ del suo sangue e con il suo sangue spruzzerà sette volte verso la facciata della tenda dell’alleanza. Ciò costituisce una testimonianza che Cristo, secondo le Scritture, versò il suo sangue per la remissione dei peccati
41. Doveva spruzzare il sangue verso la facciata della tenda dell’alleanza, poiché non fu manifestato diversamente da come era stato preannunciato dalla parola di Dio, e fu spruzzato sette volte, poiché lo stesso numero è in relazione con la purificazione spirituale.33. 5. E la bruceranno alla sua presenza. Penso che la cremazione sia un simbolo della risurrezione, poiché la natura del fuoco è di sollevarsi in alto, e ciò che si brucia si cambia in esso. Lo stesso verbo cremare introdotto dal greco in latino deriva dal verbo che vuol dire "
sospendere ". Al contrario con l’espressione che segue: alla presenza di lui, cioè alla presenza del sacerdote, mi pare che sia indicato che la risurrezione di Cristo apparve a coloro che sarebbero divenuti un sacerdozio regale. Inoltre la frase: e la sua pelle, le carni e il sangue di essa saranno bruciati con il suo sterco spiega in qual modo la giovenca dovrà essere bruciata e indica simbolicamente che non solo la sostanza del corpo mortale di Cristo, indicata con la menzione della pelle, delle carni e del sangue, ma anche l’oltraggio e il disprezzo del popolo, indicati - a mio parere - con la parola sterco, si cambieranno nella gloria indicata dalla fiamma della combustione.33. 6. Il sacerdote prenderà allora del legno di cedro, dell’issopo e dello scarlatto e li getterà in mezzo al fuoco in cui brucia la giovenca. Il legno di cedro è simbolo della speranza, che deve dimorare saldamente in cielo; l’issopo è simbolo della fede, poiché essendo un’erba umile, si attacca con le radici alla roccia; lo scarlatto è simbolo della carità, poiché con il suo colore di fuoco attesta il fervore dello spirito. Queste tre cose dobbiamo gettarle nella risurrezione di Cristo come in mezzo al fuoco della sua combustione affinché la nostra vita sia nascosta con lui, come dice l’Apostolo: E la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio
42.33. 7. Il sacerdote laverà poi i suoi vestiti, laverà il suo corpo con l’acqua e dopo rientrerà nell’accampamento; il sacerdote sarà impuro fino alla sera. Di che cosa è simbolo la lavanda dei vestiti e del corpo se non la purificazione dell’esterno e dell’interno? Di poi continua dicendo: E chi la brucerà, laverà i suoi vestiti, laverà il proprio corpo e sarà impuro fino a sera. Io penso che in colui che brucia la giovenca sono simboleggiati coloro che seppellirono la carne di Cristo affidandola alla risurrezione, come a una specie di combustione.
33. 8. Uno, che sia puro, raccoglierà la cenere della giovenca e la porrà fuori dell’accampamento in un luogo puro. Che cosa diremo della cenere della giovenca, cioè dei resti di quel sacrificio e di quella combustione, se non che simboleggiano la fama che seguì alla Passione e alla risurrezione di Cristo? Poiché l’uomo che ama la pace avrà i beni che restano alla fine
43. Era infatti anche cenere poiché era disprezzato dagli infedeli come un morto e tuttavia purificava, poiché i fedeli tenevano per certo che egli era risorto. E poiché questa fama rifulse soprattutto presso coloro che erano tra tutti gli altri popoli e non appartenevano alla comunità dei Giudei, per questo io penso che sia detto: E uno che sia puro raccoglierà la cenere della giovenca, uno che non sia macchiato dell’uccisione del Cristo, della quale si erano resi colpevoli i Giudei. E la porrà in un luogo puro, cioè la tratterà con l’onore dovuto, ma tuttavia fuori dell’accampamento, poiché la dignità del Vangelo risplendette al di fuori delle celebrazioni delle osservanze consuete dei Giudei. E per la comunità dei figli d’Israele quella cenere sarà conservata come l’acqua dell’aspersione: è una purificazione. Di poi spiega più chiaramente in qual modo con quella cenere si faceva l’acqua lustrale con la quale si veniva purificati dal contatto dei morti: rito che comunque era simbolo della purificazione dei peccati di questa vita votata alla morte e mortale.33. 9. È però strana la frase che segue: E chi raccoglie la cenere della giovenca laverà i suoi vestiti e sarà impuro fino alla sera. In qual modo potrà essere immondo a causa di ciò uno che s’era avvicinato, se non perché anche coloro, i quali si credono puri, mediante la fede cristiana riconoscono che tutti hanno peccato e hanno bisogno della gloria di Dio, e sono giustificati gratuitamente
44 mediante il suo sangue? Tuttavia è detto che quella persona deve lavare i suoi vestiti ma non anche il suo corpo; io credo che la Scrittura ci voglia fare intendere che quell’uomo, raccogliendo la cenere e ponendola in un luogo puro, fosse già purificato interiormente, se la cosa la s’intende in senso spirituale. Allo stesso modo Cornelio, ascoltando e prestando fede a ciò che aveva predicato Pietro, fu purificato in modo che, prima di ricevere il battesimo visibile, con i suoi familiari che erano presenti, ricevette il dono dello Spirito Santo 45; tuttavia non fu rifiutato neppure il sacramento visibile, cosicché in un certo qual modo lavò esteriormente i suoi vestiti. E sarà una prescrizione perenne per i figli di Israele e per i proseliti residenti presso di loro. Che cos’altro dimostra ciò se non che il battesimo di Cristo, simboleggiato dall’acqua lustrale, sarebbe giovato sia ai Giudei che ai pagani, cioè ai figli d’Israele e agli stranieri, come a rami naturali e a un olivo selvatico inserito nella linfa della radice 46? Di chi poi non richiamerà l’attenzione il fatto che, dopo la lavanda, si dica di ciascuno: e sarà impuro fino alla sera? Inoltre non è detto solo qui ma in tutte o quasi tutte le purificazioni di tal genere. A proposito di ciò non so se potrebbe intendersi altro se non che ognuno, dopo il pieno e completo perdono dei peccati, restando in questa vita contrae qualche impurità a causa della quale resta impuro fino alla fine della sua vita, quando per lui in certo qual modo si compie il giorno terreno; cosa, questa, che simboleggia la sera.33. 10. La Scrittura prende poi a dire ed espone distintamente in qual modo le persone divenute impure vengono purificate con quell’acqua lustrale. Chi avrà toccato - è detto - un morto, ogni anima di uomo sarà impura per sette giorni; si purificherà il terzo giorno e il settimo giorno, e diverrà puro. Anche qui vedo che non si deve intendere null’altro se non che il contatto con un morto è un peccato dell’uomo. Penso invece che è detta impurità di sette giorni a motivo dell’anima e del corpo; a motivo dell’anima per il numero tre, a motivo del corpo per il numero quattro. Sarebbe troppo lungo esporre esattamente perché è così. Io penso che conforme a questa espressione il profeta dica: Per tre o quattro empietà non mi distoglierò [dal punire]
47. Il testo poi soggiunge e dice: Se però non si sarà purificato nel terzo giorno e nel settimo giorno, resterà impuro. Chiunque avrà toccato un morto, se è un morto di qualsiasi anima di uomo e non si sarà purificato - cioè se, dopo aver toccato un morto, morirà prima d’essersi purificato - contamina la tenda-santuario del Signore; quell’anima verrà tagliata fuori da Israele. Si deve osservare che assai difficilmente nei libri sacri si trova scritta una dichiarazione più chiara sulla vita dell’anima dopo la morte. Qui, dunque, la frase che dice: " se uno morirà prima della purificazione, resta impuro e quell’anima dev’essere tagliata via da Israele, cioè dalla comunità del popolo di Dio ", che cos’altro vuol farci intendere se non che il castigo dell’anima rimane anche dopo la morte se, mentre vive, non viene purificata con questo rito simbolico, con il quale è prefigurato il battesimo di Cristo?. Poiché - si dice - non si è sparsa su di lui l’acqua lustrale, resta impuro; resta ancora in lui la sua impurità. Ancora vuol dire: " anche dopo la morte ". Quanto all’espressione precedente: contamina la dimora del Signore, essa vuol dire che la contamina per quanto sta in lui; è come quando anche l’Apostolo dice: Non spegnete lo spirito 48, sebbene lo Spirito non possa spegnersi. Poiché se il Signore avesse voluto che la tenda-santuario fosse contaminata da quell’azione, certamente avrebbe ordinato di purificarla.33. 11. Il Signore però ordina poi che si purifichino quanti si sono resi impuri a causa dei morti, cioè a causa delle opere morte, dicendo: Per l’impuro prenderanno della cenere della giovenca bruciata col fuoco della purificazione e sopra di essa - cioè sopra la medesima cenere - verseranno acqua viva in un vaso; e un uomo puro, prendendo dell’issopo, lo getterà nell’acqua e la spargerà attorno sulla dimora sulle suppellettili e su tutte le persone che vi si troveranno, su chi avrà toccato ossa umane, un ferito o un morto o un sepolcro; e un uomo puro aspergerà l’impuro nel terzo giorno e nel settimo giorno, e sarà purificato il settimo giorno e laverà i suoi vestiti e si laverà con l’acqua e sarà impuro fino alla sera. Una cosa è l’acqua lustrale e certamente un’altra l’acqua con la quale l’impuro laverà i propri vestiti. E si laverà con l’acqua, che io penso debba essere quella spirituale nel senso allegorico, non in quello proprio. Poiché era senza dubbio acqua visibile come tutte le ombre delle realtà future. Per conseguenza chi viene purificato nel modo debito con il sacramento del battesimo, prefigurato da quell’acqua lustrale, viene purificato anche spiritualmente, cioè in modo invisibile sia nella carne che nell’anima, cosicché resta puro tanto nel corpo che nello spirito. Riguardo invece a quanto si dice che l’acqua dell’aspersione veniva spruzzata con l’issopo - erba da cui più sopra abbiamo detto che viene prefigurata la fede - che cosa può venire in mente se non la frase della Scrittura: Purificando i loro cuori con la fede
49? Poiché a nulla serve il battesimo se manca la fede. La Scrittura dice poi che quella lavanda dev’essere compiuta da una persona pura, e con ciò sono simboleggiati i ministri, che rappresentano la persona del loro Signore, il quale è la persona pura nel senso proprio della parola. Nel seguito del testo, infatti, a proposito di questi ministri è detto: Chi spargerà tutto intorno l’acqua lustrale resterà impuro fino alla sera. E tutto ciò che l’impuro toccherà sarà impuro, e la persona che lo toccherà, sarà impura sino alla sera. Ho già detto più sopra di che cosa mi pare sia simbolo l’espressione: fino alla sera.Significato di un uomo ferito con un’arma o un morto.
34.
(19, 16) Chiunque avrà toccato in aperta campagna un uomo ferito con un’arma o un morto, oppure ossa d’uomo o un sepolcro. Possiamo chiederci che cosa vuol dire l’espressione: un uomo ferito con un’arma o un morto. Se infatti l’agiografo ha voluto che per ferito con un’arma s’intendesse una cosa e per morto un’altra cosa, dovremmo badare a non pensare che è impuro anche colui che avrà toccato un ferito vivo, poiché ciò sarebbe illogico. Ma poiché ci possono essere anche morti feriti con un’arma, s’intende che l’agiografo distingue tra i morti in modo che s’intenda trattarsi anche di un morto, ferito con un’arma, cioè di un morto ch’era stato ucciso con un’arma o di un morto senz’essere colpito con un’arma.La grazia disseta la sete interiore.
35.
(20, 11) L’apostolo Paolo spiega di che cosa fosse simbolo l’acqua fatta sgorgare dalla roccia quando dice: E tutti bevvero la medesima bevanda spirituale, poiché bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava: quella roccia era il Cristo 50. [Con queste parole] viene dunque simboleggiata la grazia spirituale che sgorga da Cristo, con la quale viene dato refrigerio alla sete interiore. Ma il fatto che la roccia è percossa con la verga raffigura la croce di Cristo, poiché questa grazia sgorgò dalla roccia quando fu colpita dal legno [della verga] e il fatto che la roccia viene percossa due volte simboleggia la croce, poiché la croce risulta di due legni.L’acqua che scaturì dalla roccia.
36.
(20, 13) Dell’acqua che scaturì dalla roccia è detto: Questa è l’acqua della contraddizione poiché i figli di Israele parlarono male al cospetto del Signore e si fece santo con loro. A proposito di questo fatto l’agiografo prima dice che gli Israeliti parlarono male, quando parlarono contro il dono del Signore con cui erano stati condotti fuori dall’Egitto, e dopo dice che si fece santo con loro quando la sua santità si manifestò chiaramente nel miracolo dell’acqua scaturita [dalla roccia]. Si tratta forse di due specie di persone, cioè di coloro che rifiutano la grazia di Cristo e di coloro che l’accolgono, di modo che per quelli è acqua di contestazione, per questi invece acqua di santificazione? Poiché finanche a proposito del Signore si legge nel Vangelo: Egli è quale segno di contraddizione 51.Messaggio inviato da Mosè al re di Edom.
37.
(20, 17. 19) Tra gli altri messaggi inviati da Mosè al re di Edom uno dice: Noi non berremo l’acqua del tuo pozzo; nel senso che è sottinteso " gratis ", cioè: " non berremo gratis l’acqua ", come di poi appare chiaramente quando è detto: ma se io e il mio bestiame berremo della tua acqua, te ne pagherò il prezzo.Le cose che si trovano alla destra o alla sinistra.
38.
(20, 17) Non devieremo né verso le cose della destra né verso quelle della sinistra; è detto al plurale: verso le cose che si trovano alla destra o alla sinistra.L’acqua della contraddizione.
39.
(20, 24) Non entrerete nella terra che ho dato in possesso ai figli di Israele, poiché mi avete irritato all’acqua della maledizione. Quella che prima l’agiografo aveva chiamato acqua della contraddizione qui la chiama della maledizione. Il testo greco non dice:, ma:.Di solito si usa il termine anatema nel senso di imprecazione.
40.
(21, 2) E Israele fece un voto al Signore e disse: " Se mi consegnerai sottomesso questo popolo - cioè: se me lo assoggetterai consegnandolo a me - anatemizzerò lui e le sue città. Qui si deve osservare in che senso dica anatemizzerò ciò che si promette in un voto e tuttavia si esprime come un oggetto maledetto, così come si dice di questo popolo. Ecco perché Paolo asserisce: Se uno vi predicherà un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema 52. Di qui viene il fatto che di solito si usa il termine anatema nel senso di " imprecazione ", poiché quasi nessuno dice di votare al male qualcosa se non con una formula di maledizione.Anatema
indica qualcosa di esecrabile e di abominevole.41.
(21, 3) E anatemizzò lui e le sue città e il nome di quel luogo fu chiamato " Anatema ". Di qui è derivato che anatema pare indicare qualcosa di esecrabile e di abominevole. Poiché anatematizzare, o, come comunemente si dice, imprecare viene dal fatto che il vincitore non portava via nulla dalla città [conquistata] per il suo personale profitto, ma la votava interamente a scontare il castigo. L’etimologia della parola greca anatema deriva dal fatto che le cose consacrate con voto e poi offerte [alla divinità] venivano appese in alto nei templi, vale a dire " dal porre in alto " col fissarle o con l’appenderle.È lecito alla divina autorità prendere da dovunque vorrà una testimonianza che troverà verace.
42.
(21, 13-15) A proposito del viaggio dei figli di Israele durante il quale trasportavano l’accampamento e lo fissavano, tra l’altro sta scritto: E di lì [partirono e] posero il campo oltre l’Arnon che si trova nel deserto a partire dai confini degli Amorrei. Poiché l’Arnon è un confine di Moab, tra Moab e l’Amorreo. Perciò nel libro intitolato "Le guerre del Signore " si dice: Infiammò Zoob e i torrenti dell’Arnon. E fece abitare i torrenti in Er. Non si menziona in quale libro sta scritto ciò e non ce n’è alcuno chiamato così tra quelli della Sacra Scrittura che chiamiamo " canonici ". Da siffatti libri trovano pretesto coloro che tentano di fare entrare i libri apocrifi nelle orecchie degli incauti e dei curiosi per indurli a credere a empietà impastate di fandonie. Qui però mentre si dice che sta scritto nel libro, non si dice nel libro sacro di quale profeta o patriarca. Non si può negare tuttavia che già allora c’erano libri sia dei Caldei, dai quali uscì Abramo, sia degli Egiziani, presso i quali Mosè aveva appreso tutta la loro sapienza 53, sia di qualunque altro popolo, in qualcuno dei cui libri poteva stare scritto questo fatto; ma tuttavia non per questo un tale libro dovrebbe essere preso come le Scritture alle quali è riservata l’autorità di Dio. Allo stesso modo non ha questa autorità neppure quel profeta di Creta menzionato dall’Apostolo 54 né gli scrittori, filosofi o poeti, dei quali proprio il medesimo Apostolo, parlando agli Ateniesi, afferma che dissero qualche verità certamente importante e davvero evidente, e dice: Per mezzo di lui infatti noi viviamo, ci moviamo ed esistiamo 55. In effetti è lecito alla divina autorità prendere da dovunque vorrà una testimonianza che troverà verace, ma non per questo garantisce che si debba accogliere tutto ciò che vi sta scritto. Ma perché il fatto [qui citato] sia stato menzionato in questo passo non appare evidente, salvo che forse si sia trattato di stabilire lì i confini fra due popoli con una guerra, che la gente del medesimo luogo dissero essere una " guerra del Signore " a causa della sua importanza, di modo che in un loro libro si scrisse: La guerra del Signore infiammò Zoob o perché questa città bruciò nella stessa guerra o s’infiammò, cioè si eccitò per combattere, o qualunque altra cosa che rimane nascosta in questo passo oscuro.Il pozzo dove il popolo ha bevuto.
43.
(21, 16) Questo è il pozzo di cui il Signore aveva detto a Mosè: " Raduna il popolo e darò loro acqua da bere ". La Scrittura così menziona questo fatto, come se in qualche passo precedente si leggesse che il Signore avesse detto così a Mosè; ora, poiché non si trova in alcun altro passo, qui si deve intendere che anche lì bevve il popolo che si era lamentato della mancanza d’acqua.L’aiuto di Dio agli Israeliti.
44.
(21, 24-25) E Israele lo colpì a fil di spada; e furono padroni della sua terra da Arnon fino a Iaboc, fino ai figli di Ammon. Israele prese anche tutte quelle città, ed Israele dimorò in tutte le città degli Amorrei, in Esebon. Stando a queste parole Israele possedette certamente le città degli Amorrei conquistate in guerra, poiché non le aveva votate allo sterminio; se infatti le avesse votate allo sterminio non gli sarebbe stato lecito possederle né appropriarsi di alcunché del bottino per le sue necessità. Bisogna tener presente certamente in qual modo si facevano le guerre giuste. Poiché era stato negato il passaggio innocuo 56 che doveva essere accessibile secondo il diritto più che giusto della società umana. Ma subito Dio, per adempiere le sue promesse, venne in aiuto allora agli Israeliti, ai quali era conveniente fosse dato il paese degli Amorrei. Infatti, poiché Edom aveva ugualmente negato loro il passaggio, gli Israeliti non combatterono con quel popolo, cioè i figli di Giacobbe con i figli di Esaù, i due fratelli germani e gemelli, poiché Dio non aveva promesso agli Israeliti quel paese, ma deviarono da essi per un’altra strada 57.Chi sono gli enigmatisti.
45.
(21, 27-30) Perciò gli enigmatisti diranno: " Venite a Esebon ", ecc. Non appare chiaro chi siano gli enigmatisti, poiché non sono personaggi abituali della nostra letteratura e neppure nelle stesse divine Scritture questo nome si trova quasi mai in altri passi, ma poiché pare che cantino una specie di cantico in cui celebrano la guerra combattuta tra gli Amorrei e i Moabiti nella quale Seon, re degli Amorrei, vinse i Moabiti 58, non pare improbabile che allora furono chiamati enigmatisti coloro che noi chiamiamo poeti, per il fatto che è abitudine e licenza di mescolare nelle loro poesie enigmi propri della mitologia, mediante i quali si pensa che essi esprimano il simbolismo di qualcosa. Poiché altrimenti non sarebbero enigmi, se non ci fosse in essi un’espressione metaforica, spiegando la quale si giungerebbe a capire ciò che si cela nell’enigma.Non tutti i Moabiti s’erano assoggettati al dominio degli Amorrei.
46.
(22, 4-6) La Scrittura dice che dopo che Israele vinse gli Amorrei e s’impossessò di tutte le loro città, Balac, re dei Moabiti, inviò dei messaggeri affinché gli conducessero Balaam per far maledire da lui Israele; ciò dimostra assai chiaramente che non tutti i Moabiti s’erano assoggettati al dominio di Seon, re degli Amorrei, quando li vinse in guerra, dal momento che la nazione dei Moabiti rimase fino al tempo che regnava Balac, re di Moab. Quanto invece a ciò che Moab disse agli anziani dei Madianiti, vale a dire ciò che i Moabiti dissero agli anziani dei Madianiti, e cioè: Ora questa massa di gente divorerà tutti i nostri circonvicini, vuol dire che non formavano un popolo solo ma i vicini dissero ai loro vicini che dovevano guardarsi ugualmente da quel popolo [straniero]. Moab infatti era figlio di Lot per parte di una figlia di questi 59, mentre Madian era figlio di Abramo per parte di Cettura 60. Non era dunque un popolo solo ma due popoli vicini e confinanti.Dio e le divinazioni.
47.
(22, 7. 9. 13) Che significa l’espressione: E le divinazioni nelle loro mani, usata dalla Scrittura parlando di coloro che Balac aveva inviato perché conducessero Balaam a maledire Israele? Erano forse essi gli indovini? O portavano forse qualcosa con cui Balaam avrebbe potuto fare in modo di effettuare la divinazione, come certe cose che si bruciavano in sacrifici o s’impiegavano in qualsiasi altro modo, e perciò erano chiamate " divinazioni " poiché per mezzo di esse Balaam poteva compiere la divinazione? O che cos’altro poteva essere? In effetti è un’espressione oscura. Si deve poi osservare che Dio venne da Balaam e gli disse: " Chi sono quegli uomini che sono in casa tua? ", ecc. Non viene detto però se ciò avvenne in sogno, sebbene sia evidente che avvenne di notte, dal momento che in seguito, dopo ciò, si dice: E alzandosi Balaam di buon mattino. In realtà può suscitare imbarazzo il fatto che Dio parlasse con un pessimo individuo, perché anche se risultasse che ciò avvenne in sogno, non per questo non rimarrebbe il problema per il fatto che quello era indegno. Così anche nostro Signore Gesù Cristo, a proposito di quel ricco che si proponeva di distruggere i vecchi magazzini e riempirne dei nuovi più vasti, dice: Dio gli disse: " Stolto, questa notte la tua vita ti sarà tolta, e di chi saranno le ricchezze che hai messo in serbo? " 61. Nessuno deve vantarsi che Dio gli parli nel modo con cui sa di dover parlare con siffatti individui, dal momento che ciò può accadere anche ai reprobi, poiché è lui stesso che parla anche quando parla per mezzo di un angelo.Che cosa ha indotto Balaam a cambiare di sentimento.
48.
(22, 12-27) Ai messaggeri più ragguardevoli inviatigli Balaam disse: Anche se Balac mi desse la sua casa piena d’argento o d’oro non potrei trasgredire l’ordine del Signore mio Dio per fare una cosa piccola o grande secondo la mia mente. Questa risposta non contiene alcun peccato, ma ciò che segue non è privo di un grave peccato. Poiché Balaam avrebbe dovuto essere risoluto subito appena udito ciò che gli aveva detto il Signore: Non andare con loro e non maledire quel popolo perché è benedetto, e non avrebbe dovuto dar loro alcuna speranza che il Signore avrebbe potuto cambiare la propria disposizione contro il suo popolo, di cui aveva detto ch’era benedetto, come fece Balaam indotto a cambiare di sentimento con doni e onori. Egli dunque si mostrò vinto dalla sua cupidigia allorquando volle che il Signore gli parlasse di nuovo di ciò di cui già aveva conosciuto l’ordine [dello stesso Signore]. Che bisogno c’era infatti di aggiungere quanto segue: e adesso trattenetevi qui anche voi questa notte e io saprò che cosa ancora mi dirà il Signore? Di conseguenza il Signore, vedendo la sua cupidigia avvinta e completamente vinta dai doni, gli permise di andare per castigare la sua avidità per mezzo del giumento ch’egli cavalcava, confondendo la sua demenza con il fatto stesso che l’asina non avrebbe trasgredito la proibizione del Signore fattagli per mezzo dell’angelo e che egli cercava di trasgredire spinto dalla cupidigia, sebbene per paura cercasse di soffocare la medesima cupidigia. Venne infatti Dio da Balaam di notte e gli disse: " Se degli uomini sono venuti a chiamarti, àlzati e seguili, ma tu dovrai fare solo ciò che io ti dirò di fare. Balaam la mattina si alzò, sellò la sua asina e andò con i capi di Moab. Perché mai dopo questo permesso non consultò di nuovo Dio, mentre dopo la proibizione aveva pensato di consultarlo di nuovo, se non perché appariva la sua cattiva passione, sebbene fosse soffocata per paura del Signore? La Scrittura quindi seguita dicendo: Ma Dio si accese di sdegno poiché egli era andato, e l’angelo di Dio si pose contro di lui per sbarrargli il passo sulla via, e tutto ciò che segue, fino a quando l’asina si mise a parlare. Qui nulla di certo appare più strano del fatto che Balaam non rimase atterrito sentendo l’asina parlare, anzi, al contrario, come se fosse abituato a siffatti prodigi, perdurando la sua stizza rispose. Gli parla poi anche l’angelo denunciandolo come colpevole e disapprovando il suo viaggio; egli allora, atterrito, si prostrò con la faccia a terra. Di poi gli fu permesso di andare, affinché per mezzo di lui venisse proferita una profezia assai chiara. Poiché gli fu permesso di dire non ciò che voleva ma ciò che era costretto a dire dalla potenza dello Spirito. Egli inoltre veramente rimase un reprobo; infatti la Scrittura del Nuovo Testamento parla di lui, dicendo che alcuni individui biasimevoli e reprobi hanno seguito la condotta di Balaam: Hanno seguito - è detto - le orme di Balaam, figlio di Beor, il quale amò il guadagno ricavato da azioni inique 62.Dell’angelo che parlò a Balaam nella strada.
49.
(22, 22. 32) Dell’angelo che parlò a Balaam nella strada, quando l’asina al vederlo non osò proseguire, la Scrittura parla nei seguenti termini: Ma Dio si accese di sdegno, poiché quello andava, e l’angelo di Dio si pose contro di lui per ritardarlo nel suo cammino. Qui si deve considerare anzitutto come la Scrittura dice che Dio si accese di sdegno, e l’angelo di Dio si pose contro di lui, senza dire che Dio, sdegnato, inviò l’angelo, ma in un certo qual modo fa dell’angelo una figura simbolica di Dio sdegnato, poiché la verità è che la giustizia di Dio fece sì che l’angelo si sdegnasse. L’espressione insurrexit [gli si levò contro] deve intendersi nel senso di " una eccitazione violenta ". Di poi la frase: per ritardarlo nel suo cammino, il testo greco ha il verbo è quella che dice lo stesso angelo anche nel seguito del racconto: ed ecco, io sono uscito per [causare] il tuo ritardo, dove il testo greco ha. In questo caso il termine accusatio ha forse il senso più appropriato di accusa, e perciò l’espressione: per ritardarlo nel cammino significa: " al fine di accusarlo ". Da questo termine si crede sia derivato il nome " diavolo ", che in latino si dovrebbe dire " accusatore ", non perché nessuno potrebbe accusare opportunamente e rettamente, ma poiché il diavolo è avvezzo ad accusare, spinto solo dagli stimoli dell’invidia, come contro di lui si dà testimonianza nell’Apocalisse 63. Questo verbo è usato anche in una commedia e perciò non c’è dubbio che sia latino, con il medesimo o per lo meno simile significato del greco quando viene detto al figlio:Egli spera di aver trovato un discorso
per mezzo del quale riesca a sconcertarti
Qui infatti differat suole essere inteso come volesse dire, [in senso metaforico], "
ti trasporti qua e là mediante una tempesta di parole ", presso a poco come " ti sbrani e ti sparga qua e là ", cosa che sembrava sul punto di attuare accusandolo. Ma anche se la frase: ritardarlo nel viaggio la intenderemo nel senso che l’angelo fece attendere Balaam ritardando la sua fretta per mostrargli e dirgli ciò che doveva fare, non è illogico usare questo verbo nel suddetto significato.L’angelo in mezzo alla strada e l’asina di Balaam.
50.
(22, 23-29) E l’asina, avendo visto l’angelo di Dio che le si opponeva sulla strada con la spada sguainata nella sua mano, deviò dalla sua strada e andò per la campagna. Questa campagna era ancora fuori delle muricce delle vigne. E [Balaam] percosse l’asina con il bastone per farla ritornare sulla strada. Ma l’angelo di Dio le si parò davanti nei viottoli delle vigne con una muriccia da una parte e una muriccia dall’altra. Giustamente possiamo chiederci come mai la Scrittura dice che l’angelo stava ritto nei viottoli delle vigne se le muricce erano costruite lungo entrambi i lati della strada che vi passava nel mezzo - come si fa di solito - poiché i viottoli delle vigne non potevano essere sulla strada che si snodava tra i muretti. Ma l’ordine delle parole è il seguente: Per farla tornare sulla strada fiancheggiata da una muriccia da un lato e da un’altra muriccia dall’altro. Su questa strada dunque Balaam volle far ripiegare l’asina perché camminasse tra i muretti. Nel testo però l’agiografo ha intercalato, tra l’inizio e la fine della frase, le seguenti parole: E l’angelo di Dio si fermò nel mezzo dei viottoli delle vigne, cioè in una delle vigne che nel mezzo lasciavano passare la strada. E avendo visto l’angelo di Dio, l’asina si strinse contro la parete, cioè contro il muretto di quella vigna in cui non era l’angelo, poiché stava dall’altra parte in uno dei sentieri delle vigne. E strinse il piede di Balaam contro la parete ed egli la bastonò ancora una volta. E l’angelo di Dio tornò a sorpassarli e si fermò in un luogo assai stretto - non più in uno dei sentieri delle vigne, ma tra gli stessi muretti a secco, cioè sulla strada - in cui non si poteva deviare né a destra né a sinistra. E l’asina, veduto l’angelo di Dio, si accasciò sotto Balaam. Siccome l’asina, sebbene bastonata, non tornava indietro né si stringeva contro la parete in quanto non veniva spaventata da un’altra parte, ma l’angelo era fermo in un luogo stretto in mezzo alla strada, all’asina restava solo di accasciarsi. Balaam allora montò in collera e prese a colpire l’asina col bastone. Ma il signore aprì la bocca dell’asina che disse a Balaam: " che cosa ti ho fatto perché mi batti già per la terza volta? ". E Balaam rispose all’asina: " Perché ti sei presa gioco di me. E se avessi in mano una spada, già ti avrei ammazzata ". Costui era evidentemente trascinato da tanta avidità che non si era impaurito neppure per un prodigio tanto spaventoso e rispondeva come se parlasse a un uomo quando Dio di certo non aveva cambiato l’anima dell’asina in una natura ragionevole ma, come gli era piaciuto, da essa aveva fatto emettere un suono per reprimere la frenesia di Balaam, forse prefigurando il fatto che Dio ha scelto ciò che è stolto secondo il mondo per confondere i sapienti 65 in favore dell’Israele spirituale e autentico, cioè dei figli della promessa.Su lo spirito di Dio posato sopra Balaam.
51.
(23, 6) E lo spirito di Dio si fece su di lui, cioè su Balaam. Lo spirito di Dio non fu fatto, come se lo spirito di Dio fosse una creatura, ma l’espressione: lo spirito di Dio si fece su di lui vuol dire: avvenne che fosse su di lui. Così pure l’espressione: colui che viene dopo di me è stato fatto prima di me vuol dire: avvenne che fosse prima di me, e perciò fosse considerato superiore a me, poiché - è detto - esisteva prima di me 66. Simile a questa è anche l’espressione: Il Signore si è fatto mio aiuto 67; il Signore infatti non è un Essere fatto, ma l’espressione vuol dire: È avvenuto che il Signore mi aiutasse; e così l’espressione: Il Signore si è fatto rifugio dei poveri 68 vuol dire: È avvenuto che i poveri si siano rifugiati presso di lui; così l’espressione: La mano del Signore fu fatta su di me 69 vuol dire: Avvenne che la mano del Signore fosse su di me; e molti altri passi di tale genere si trovano nelle Scritture.La collera del Signore sugli adulteri.
52.
(25, 1-4) E il Signore disse a Mosè: " Prendi i capi del popolo ed esponili contro il sole per il Signore; e il furore e la collera del Signore si ritirerà da Israele. Il Signore sdegnato per le fornicazioni non solo carnali ma anche spirituali d’Israele - poiché non solo s’erano uniti in modo spudorato con le figlie di Moab, ma si erano anche consacrati agli idoli - disse a Mosè che presentasse al Signore i capi del popolo contro il sole. Questa frase ci fa intendere che Dio comandò che quelli fossero crocifissi; perciò la frase: esponili contro il sole per il Signore, cioè pubblicamente alla luce del giorno. Il testo greco infatti dice, che si potrebbe tradurre con il verbo exempla [punisci perché siano di esempio agli altri], poiché significa " esempio ". A eccezione dei Settanta si dice che Aquila tradusse: " inchiodali ", o meglio " inchiodali in alto ", corrispondente ad, e Simmaco invece lo traduce con un verbo ancora più espressivo, cioè " impiccali ". È davvero strano che la Scrittura abbia omesso di narrare se fu eseguito ciò che era stato ordinato dal Signore; io non credo che l’adempimento di quell’ordine potesse essere stato trascurato oppure, se fu trascurato, rimanesse impunito. Se però l’ordine fu eseguito e la Scrittura non lo dice, perché dice che il Signore fu placato e cessò il castigo per il fatto che Finees, figlio di Eleazaro, trafisse [i due] adulteri 70?. Sarebbe potuto sembrare che, una volta crocifissi i capi, come aveva ordinato il Signore e, continuando Dio ad essere sdegnato, si dovesse placare in un altro modo, non potendo di certo essere falso ciò che il Signore aveva preannunciato e promesso dicendo: Prendi i capi del popolo ed esponili per il Signore contro il sole; e il furore della collera del Signore si ritirerà da Israele. Se ciò era stato eseguito, chi potrebbe dubitare che la collera del Signore s’era allontanata da Israele? Che bisogno c’era, dunque, che Finees punisse ancora quegli adulteri in quel modo per placare Dio e che la Scrittura gli rendesse testimonianza di aver placato il Signore agendo a quel modo? A meno che non si voglia intendere che, mentre Mosè si proponeva di eseguire gli ordini del Signore, dati riguardo ai capi del popolo, egli avesse voluto punire anche secondo la legge tali azioni vituperevoli e quell’audace sacrilegio e, per conseguenza avesse ordinato che chiunque uccidesse il proprio prossimo consacrato empiamente agli dèi stranieri 71, e frattanto anche Finees facesse quell’azione e così, placata ormai la collera del Signore, non ci fosse più bisogno di crocifiggere i capi del popolo. Questa severità, confacente a quel tempo, mostra assai chiaramente ai fedeli sapienti quanto grave sia il peccato della fornicazione e dell’idolatria.La causa della morte di Mosè e Aronne.
53.
(27, 13-14) Il Signore assegna alla morte di Mosè la medesima causa della morte di suo fratello. A entrambi infatti aveva predetto ugualmente che non sarebbero entrati con il popolo di Dio nella terra promessa, poiché non avevano testimoniata la santità di Dio davanti al popolo presso l’acqua della contesa 72, vale a dire poiché avevano dubitato del suo dono, che cioè dalla roccia potesse sgorgare l’acqua come abbiamo spiegato nel passo relativo della Scrittura 73. Di questo fatto si può capire il significato allegorico, che cioè né il sacerdote istituito in precedenza, rappresentato da Aronne, né la legge rappresentata da Mosè, introducono il popolo di Dio nella terra dell’eredità eterna, ma Gesù [Giosuè] che era la figura di nostro Signore Gesù Cristo, cioè la grazia mediante la fede 74. Inoltre Aronne morì, è vero, prima che Israele entrasse in alcuna parte della terra promessa, ma il paese degli Amorrei fu conquistato e posseduto quando Mosè era ancora vivente, ma non gli fu permesso di passare il Giordano con gli Israeliti. La Legge infatti si trova osservata solo in qualche parte mediante la religione cristiana. In essa in realtà sono anche i precetti che a noi Cristiani è comandato di osservare anche adesso. Al contrario il sacerdozio e i sacrifici dell’Antico Testamento non hanno adesso alcuna relazione con la religione cristiana. Salvo che essi non siano, per essa, come le prefigurazioni delle realtà future. Quando invece ad ambedue i fratelli, cioè Aronne e Mosè, viene detto che si riuniranno al loro popolo, è evidente che non si tratta della collera di Dio contro di loro, collera che separa dalla pace dell’eterno consorzio dei santi; è perciò chiaro che non solo le loro funzioni ma anche la loro morte erano prefigurazioni delle realtà future, non castighi della collera di Dio.Lo Spirito Santo e lo spirito umano.
54.
(27, 18-19) E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prenditi Gesù, figlio di Nave, un uomo che ha in se stesso lo spirito, e imponi le tue mani su di lui; e lo farai stare davanti al sacerdote Eleazaro e gli darai gli ordini al cospetto di tutta la comunità, ecc. Si deve considerare che, avendo Gesù di Nave già in se stesso lo spirito, come testimonia la Scrittura - poiché di cos’altro dobbiamo pensare si trattasse se non dello Spirito Santo? Non avrebbe infatti detto ciò dello spirito umano giacché non c’era alcuno che non lo avesse - tuttavia Dio diede a Mosè l’ordine d’imporgli le mani, perché nessuno, sebbene superiore agli altri per i doni di Dio, osi rifiutare i riti della consacrazione.Dio diede a Mosè ordini relativi a Gesù di Nave.
55.
(27, 20) Che significa ciò che Dio, allorché dava a Mosè ordini relativi a Gesù di Nave, tra l’altro disse: E gli darai della tua gloria? Poiché nella lingua greca c’è:, che equivale a: della gloria, cioè. Alcuni traduttori latini hanno tradotto: gli darai la tua gloria, non della tua gloria. Ma anche se Dio avesse detto: la tua gloria, non per questo Mosè non l’avrebbe avuta, né, per il fatto che disse: della gloria, diminuì per questo la gloria che aveva. L’espressione deve intendersi così, come se dicesse: lo farai socio della tua gloria. Le cose di tal genere però non diminuiscono, come se fossero divise in parti uguali, ma le hanno intere tutti e intere le ha ciascuno di coloro che ne sono compartecipi.Voto fatto sotto giuramento.
56.
(30, 3) Chiunque avrà fatto un voto al Signore o si sarà obbligato con giuramento ad una astensione, non violi la sua parola, ma dia esecuzione a quanto ha promesso con la bocca. Questa legge divina non riguarda ogni specie di giuramento, ma quello col quale uno abbia fatto voto con la propria anima di privarsi di qualcosa che gli era lecito usare secondo la legge, ma di cui egli stesso con il voto se n’era reso illecito l’uso.Sul voto di verginità di una nubile.
57.
(30, 4-6) Quando una donna avrà fatto un voto al Signore e si sarà obbligata ad una obbligazione, mentre è ancora a casa del padre, durante la sua giovinezza, se il padre, avuta conoscenza del voto di lei e della astensione alla quale si è obbligata, non dice nulla, tutti i voti di lei saranno validi e saranno valide tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata. Ma se il padre, quando ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata non saranno valide; il Signore la perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione. Per il fatto che a mio modo di vedere, il testo parla della donna, che per la sua giovinezza si trova ancora nella casa paterna, qui possiamo a ragione porci anche il quesito se si tratta del voto di verginità; è infatti assai noto che nella Scrittura si suole chiamare donne anche le giovani non maritate. Sembra inoltre che anche l’Apostolo parli del padre quando dice: Conservi la sua vergine e dia in matrimonio la sua vergine 75 e il resto in questo modo. Alcuni in questo passo intesero l’espressione: la sua vergine, nel senso " della sua verginità "; essi tuttavia non dimostrano tale senso con un’altra simile locuzione delle Scritture essendo molto insolita. L’espressione contro la propria anima non deve intendersi come se con siffatti voti recasse danno all’animo; ma contro la propria anima vuol dire contro il suo piacere animale, come anche prima quando ordinò il digiuno disse: E affliggerete le vostre anime 76.Purificare vuol dire assolvere.
58.
(30, 6) Quanto poi alla frase: E il Signore la purificherà poiché non glielo ha consentito suo padre, la parola purificherà vuol dire " l’assolverà dal peccato di non aver adempiuto il voto ". Così pure in molti altri passi è detto: E il sacerdote lo purificherà 77, cioè lo riterrà puro, lo giudicherà puro; una simile espressione è la frase: Non purificherai affatto il reo, vale a dire: " non dichiarerai puro colui che è impuro ".Autorità del padre o del marito sui voti di una donna.
59.
1. (30, 7-19) Se invece la vergine sarà legata a un uomo e ha preso su di sé tutti i voti pronunciandoli con le sue labbra e ai quali si è obbligata con un vincolo, e viene a sentire ciò suo marito e non dirà nulla qualunque sia il giorno in cui lo sentirà e così resteranno validi i suoi voti e le obbligazioni prese da lei contro l’anima sua. Ma se suo marito non acconsentirà qualunque sia il giorno in cui ne verrà a conoscenza, tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni prese contro la propria anima non saranno validi perché suo marito non le ha dato il suo consenso, e il Signore la purificherà. Quanto alla donna sottoposta all’autorità del padre prima di maritarsi e all’autorità del marito dopo essersi sposata, la legge non volle che facesse voto di qualcosa a Dio contro la propria anima, cioè di rinunciare ad alcune cose lecite e permesse in modo che riguardo ai voti medesimi prevalesse l’autorità della donna, ma quella dell’uomo; per conseguenza qualora il padre avesse concesso alla figlia ancora nubile di adempiere i suoi voti, se si fosse sposata prima di averli adempiuti e il marito venutone a conoscenza non fosse stato d’accordo, la donna non avrebbe potuto adempierli e sarebbe stata del tutto esente dal peccato, poiché il Signore l’avrebbe purificata - come dice la Scrittura - l’avrebbe giudicata pura e non si sarebbe dovuto ritenere che l’inadempienza fosse contro Dio, dal momento che fu Dio a comandare così, a volere così.59. 2. Il testo continua parlando delle vedove o delle ripudiate, cioè delle donne che non sono sotto il potere del marito o del padre e dice che sono libere per adempiere i voti, esprimendosi così: Il voto di una vedova o d’una ripudiata, tutto ciò di cui ha fatto voto contro la propria anima rimarrà valido per lei. Di poi parla della maritata che, già stabilita nella casa del marito, avesse fatto voto di qualcosa di simile. Prima aveva parlato della donna che aveva fatto qualche voto nella casa paterna e poi s’era sposata prima di adempierlo. Di questa, dunque, che fece un voto in casa del marito, parla così: Se però fece un voto nella casa di suo marito o si obbligò a qualcosa contro la propria anima con giuramento e suo marito ne verrà a conoscenza e non le dirà nulla e non glielo impedirà e saranno validi tutti i suoi voti e tutte le obbligazioni di rinunce assunte da lei contro la propria anima saranno valide contro la sua anima. Se però suo marito li annulla del tutto, in qualunque giorno ne avrà sentito parlare non sarà valido nulla di ciò che sia uscito dalle labbra di lei relativamente ai suoi voti o alle obbligazioni di rinunce che si è assunte contro la propria anima; li ha annullati suo marito e il Signore la purificherà. Ogni voto e ogni giuramento è un legame per mortificarsi: suo marito lo rende valido e suo marito lo annulla. Se però il marito da un giorno all’altro non dirà nulla in proposito, ratificherà i voti di lei e gli obblighi di rinunce da lei assunti, poiché non disse nulla in proposito nel giorno in cui ne ebbe conoscenza. Se invece suo marito li annulla, li annulli il giorno dopo averne avuto conoscenza e prenderà su di sé il peccato di lei.
59. 3. In tal modo è chiaro che la legge ha voluto che la donna fosse sotto l’autorità del marito sicché non è obbligata ad adempiere alcun voto fatto da lei di rinunciare a qualcosa, se il marito non lo ratifichi con il permetterlo. Poiché, sebbene la legge abbia voluto che il peccato sia solo del marito se prima aveva permesso i voti ma poi li aveva proibiti, tuttavia anche in questo caso non dice che la donna adempia il voto che aveva fatto poiché ne aveva avuto il permesso dal marito. Il testo dice che il peccato è del marito perché rifiutò [di approvare] ciò che in precedenza aveva concesso; la legge tuttavia non permette, per questo, alla donna di non tener conto della proibizione di suo marito anche se prima aveva dato il consenso ma in seguito lo aveva negato.
59. 4. Giustamente inoltre si pone il quesito se quei voti concernono anche quelli dell’astinenza e dell’astensione dall’accoppiamento carnale, se per caso si dovessero intendere come voti solo quelli che si fanno contro l’anima riguardo ai cibi e alle bevande. Pare che indichi ciò la frase detta dal Signore: Non vale forse più l’anima che il cibo? 78 E quando si dà il comando riguardo al digiuno, viene dato in questi termini: affliggerete le anime vostre 79. Non so però se in alcun altro passo potrebbe leggersi l’affermazione che è un voto contro l’anima quello dell’astinenza dall’amplesso carnale soprattutto poiché la legge in questo caso dà l’autorità al marito, non alla donna sottoposta al marito, di modo che sono da adempiersi i voti di una donna solo se li avrà approvati il marito; se invece li avrà respinti non dovranno essere adempiuti. L’Apostolo tuttavia, parlando dell’amplesso delle donne sposate, non dà in quel passo più autorità al marito che alla donna, ma dice: Il marito deve rendere il debito alla moglie e ugualmente anche la moglie al marito. Padrona del suo corpo non è la moglie ma il marito, e ugualmente padrone del proprio corpo non è il marito ma la moglie 80. Dal momento dunque che in questo stato di fatto l’Apostolo ha voluto che il diritto di disporre del marito e della moglie fosse uguale, io non credo che la regola relativa al fatto di unirsi o non unirsi nell’amplesso carnale faccia parte dei voti riguardo ai quali non hanno uguale potere il marito e la moglie, ma che il potere maggiore e quasi esclusivo è del marito. La legge infatti non dice che il marito non deve adempiere i suoi voti qualora glielo proibisse la moglie, ma non deve adempierli la moglie se glielo proibirà il marito. Non mi pare quindi tra siffatti voti e legami e obbligazioni, che si fanno contro l’anima, si debbano comprendere anche quelli di mutuo accordo, relativi al coito o all’astenersene.
59. 5. D’altra parte, siccome anche queste norme sono chiamate precetti e ci ricordiamo che, tra i precetti che sono menzionati nell’Esodo 81, vengono prescritte sotto questo nome molte cose che non possono prendersi in senso proprio e non vengono osservate nel Nuovo Testamento - come quella di forare l’orecchio dello schiavo 82 e altri precetti di tal genere - non è illogico ritenere che anche in questo passo si dica qualcosa in senso figurato, e perciò, siccome ci sono molte astinenze rituali contrarie alla ragione e talora anche contrarie alla verità, forse la Scrittura ha voluto indicare qui che quelle rinunce sono state ratificate quando sono razionali, quando cioè sono approvate dalla ragione la quale, come un marito, deve guidare ogni moto che consiste non solo nel desiderare qualcosa ma anche nell’astenersi da qualche altra; in tal modo se l’impulso è determinato dallo spirito e dalla ragione, allora si attua; se invece è disapprovato dalla ragione deliberante non lo si lascia agire. Se poi la ragione, in seguito disapprova ciò che prima aveva rettamente deciso di fare, sarà un peccato di prudenza. Tuttavia anche in questo caso l’impulso dev’essere d’accordo con la ragione.
Sulle parole: la loro potenza.
60.
(31, 5-6) Che significa la frase: E Mosè ne spedì mille da una tribù e mille da un’altra con la loro potenza? La loro potenza vuol forse dire: " i loro prìncipi ", oppure la potenza data loro dal Signore, oppure ottenuta per essi da Mosè, oppure piuttosto si chiama forse la loro potenza quella mediante la quale veniva sorretto il loro potere?La morte di Balaam.
61.
(31, 8) Può essere esaminato il quesito come mai, quando gli Israeliti sconfissero i Madianiti, la Scrittura dice che fu ucciso Balaam, che era stato prezzolato per maledire il popolo d’Israele, dal momento che poco prima, quando Balaam s’era trovato costretto a benedirlo, la Scrittura aveva concluso il racconto di quel fatto con le seguenti parole: E Balaam si alzò e se ne tornò alla sua regione e Balac tornò a casa sua 83. Se dunque Balaam era tornato alla sua regione come mai fu ucciso qui, essendo venuto da tanto lontano, cioè dalla Mesopotamia? Tornò forse da Balac ma la Scrittura non lo dice? Sennonché potrebbe anche intendersi che tornò nella sua regione, poiché dalla località ove faceva i sacrifici tornò alla località da cui era partito, cioè ove aveva l’alloggio. Poiché il testo non dice: "[tornò] a casa sua " o " nella sua patria ", ma nel suo alloggio. Infatti anche qualsiasi forestiero ha un alloggio ove dimorare. Quanto invece a Balac, il quale lo aveva prezzolato, la Scrittura non dice: "tornò al suo luogo ", cioè al luogo ove dimorava, ma presso se stesso, cioè ove abitava come re. La Scrittura avrebbe potuto dire: " al suo luogo " tanto per il re che per il forestiero, ma non vedo come si sarebbe potuto dire che un forestiero era tornato presso se stesso se era tornato al proprio alloggio.I beni di sostentamento denominati il potere.
62.
(31, 9) E fecero prigioniere le donne di Madian e depredarono le loro suppellettili e i loro greggi e tutto ciò che possedevano e il loro potere. Avendo già menzionato le donne, la suppellettile, i greggi e tutto ciò che possedevano, perché dopo aggiunge: e depredarono il loro potere? Si tratta certamente del potere a proposito del quale anche prima era stato detto che Mosè aveva mandato mille uomini di ciascuna tribù con il loro potere 84. O forse è chiamato loro potere il cibo dal quale erano sostentati, somministrando il quale le forze restano integre ma, se esso viene a mancare, le forze vengono meno? Ecco perché Dio quando minaccia per mezzo del Profeta dice: Toglierò il sostentamento del pane e il sostentamento dell’acqua 85. Anche Mosè quindi aveva spedito con i viveri quei mille uomini [di ciascuna tribù] poiché la Scrittura dice: con il loro potere; e gli Israeliti, dopo aver sbaragliato i Madianiti, avevano depredato tra gli altri loro beni anche questo sostentamento.Quando Balaam diede il suo empio consiglio.
63.
(31, 15-16) Per quale motivo avete lasciato in vita tutte le femmine? Furono proprio esse per i figli d’Israele, per istigazione di Balaam, a farli allontanare [da Dio] e a disprezzare la parola del Signore per causa di Fogor. La Scrittura non dice quando Balaam diede loro questo empio consiglio, che cioè le donne attraendoli con le loro lusinghe si accoppiassero con essi per fornicare non solo fisicamente ma anche spiritualmente adorando il loro idolo, eppure è evidente che ciò accadde realmente dal momento che è ricordato in questo passo. Così pertanto poté tornare indietro lo stesso Balaam, che era già tornato nella sua casa 86 senza doverla intendere come l’alloggio di un forestiero, sebbene la Scrittura non lo dica.Le città-asilo.
64.
(35, 11-12) Che cosa significa: E [queste] saranno per voi città di rifugio contro il vendicatore del sangue, e l’omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato? Siccome qui la Scrittura parla di coloro che hanno commesso un omicidio involontariamente, e in un altro passo 87 dice che chiunque vi si rifugia in un siffatto caso esce libero dalla città allorquando sia morto il sommo sacerdote, perché dunque in questo passo dice: l’omicida non morrà fino a quando non starà davanti alla comunità per essere giudicato, se non perché lì viene giudicato affinché possa uscire libero dalla città se nel giudizio si dimostra chiaramente che ha commesso l’omicidio involontariamente?.Sul vendicatore del sangue.
65.
(35, 19. 12) Che significa: Sarà dovere del vendicatore del sangue uccidere l’omicida; quando lo incontrerà lo ucciderà? Questa sentenza, così formulata, a coloro che non la comprendono abbastanza può sembrare significhi che, senza distinzione di persone e senza giudizio, fosse data al vendicatore della morte del proprio congiunto la licenza di uccidere l’omicida. La Scrittura però volle far intendere che l’omicida, conforme a quanto è detto più sopra, si rifugiasse in una delle città-asilo fino a quando non comparirà in giudizio, per non essere ucciso dal parente [dell’assassinato] che lo incontrasse. Poiché, sebbene avesse commesso l’omicidio involontariamente, sarebbe stato ucciso se incontrato fuori di quelle città. Quando al contrario fosse comparso in giudizio in una di quelle città e fosse stato giudicato e condannato come omicida in una di quelle, nelle quali gli era concesso di rifugiarsi, non gli veniva permesso di rimanervi; allora solamente, ormai condannato, era lecito al parente di ucciderlo, ovunque lo incontrasse. Non occorreva più condurlo in giudizio, essendo già stato condannato come omicida e perciò espulso da quelle città-asilo.