LA CITTA’ DI DIO

Sant’Agostino

[Libri XVII-XVIII]

 

LIBRO XVII

SOMMARIO

1. Periodo dei Profeti.

2. In qual tempo si è adempiuta la promessa di Dio sulla terra di Canaan che anche Israele secondo la razza ebbe in possesso?

3. Tripartito simbolismo dei Profeti perché ora si riferisce alla Gerusalemme terrena, ora alla celeste, ora a tutte e due.

4. Mutamento profeticamente allegorizzato del regno e del sacerdozio d'Israele. Eventi che Anna, madre di Samuele, rappresentando la Chiesa, ha previsto profeticamente.

5. Avvenimenti che un uomo di Dio ha rivelato con ispirazione profetica al sacerdote Eli prevedendo con simboli che il sacerdozio istituito secondo Aronne avrebbe avuto termine.

6. Il sacerdozio e il regno giudaico, sebbene si dica che sono stabiliti per sempre, non rimangono affinché si prendano in considerazione altri di cui si promette la perennità.

7. Con lo smembramento del regno d'Israele viene allegorizzata profeticamente la perpetua divisione dell'Israele dello spirito dall'Israele della razza.

8. Le promesse a Davide nel suo figlio non si hanno in Salomone ma con pieno significato nel Cristo.

9. La profezia sul Cristo nel Salmo ottantotto si rassomiglia ai fatti che nel libro dei Re sono preannunziati col profetismo di Natan?

10. Sono diversi gli eventi nel regno della Gerusalemme terrena da quelli promessi da Dio affinché si capisse che la verità della promessa riguardava un altro re e un altro regno.

11. Vera realtà del popolo di Dio che si ha mediante l'assunzione della carne nel Cristo perché egli soltanto ebbe il potere di sottrarre la propria anima dal regno dei morti.

12. A quale persona si deve attribuire la richiesta delle promesse, delle quali si dice in un Salmo: Dov'è la tua benignità d'un tempo, Signore?

13. La vera pace promessa si può forse assegnare al tempo che trascorse durante il regno di Salomone?

14. Intelligenza di Davide nella disposizione e nel significato misterico dei Salmi.

15. Tutti i significati che nei Salmi si prevedono sul Cristo e sulla Chiesa devono contribuire allo svolgimento di questa opera?

16. Verità che nel Salmo quarantaquattro si applicano a Cristo e alla Chiesa esplicitamente o metaforicamente.

17. Verità che nel Salmo centonove riguardano il sacerdozio del Cristo e nel Salmo ventuno la sua passione.

18. Nei Salmi tre, quaranta, quindici, e sessantasette si preannunziano la morte e la risurrezione del Signore.

19. Nel Salmo sessantotto si denunziano la mancanza di fede e l'ostinazione dei Giudei.

20. Regno e buone opere di Davide. Il figlio Salomone e la sua profezia che si ritiene relativa al Cristo tanto nei libri che gli si attribuiscono come in quelli d'indubbia autenticità.

21. I re dopo Salomone tanto nel regno di Giuda che d'Israele.

22. Geroboamo costrinse all'empio culto idolatrico il popolo soggetto, in cui tuttavia Dio non desistette d'ispirare i Profeti e di difendere molti dal delitto dell'idolatria.

23. Differente condizione dei due regni degli Ebrei finché tutti e due i popoli furono condotti in schiavitù in periodi diversi, anche perché in seguito Giuda tornò in patria, sebbene anche esso infine passasse sotto il dominio di Roma.

24. Ultimi Profeti dei Giudei e anche quelli che la narrazione evangelica presenta al tempo della nascita del Cristo.

Libro diciassettesimo

LA CITTÀ DI DIO NEL PROFETISMO EBRAICO

Teorie sulle forme di profetismo [1-3]

Epoca dei profeti da Samuele a Geremia.
1.
La città di Dio, che si evolve nella serie dei tempi, indicherà come si adempiano le promesse di Dio rivolte ad Abramo giacché abbiamo appreso che, per garanzia di Dio stesso, sono dovuti alla sua discendenza il popolo d'Israele secondo la razza e tutti i popoli secondo la fede. Poiché dunque l'epilogo del libro precedente è approdato al regno di Davide, ora da quel regno esponiamo gli eventi che seguono nel limite che si ritiene sufficiente all'opera intrapresa. Il periodo che va da quando Samuele cominciò a profetare fino a quando il popolo d'Israele fu condotto prigioniero in Babilonia e, al ritorno degli Israeliti dopo settant'anni secondo la profezia del santo Geremia 1, fu riedificato il tempio, è complessivamente il periodo dei Profeti. Tuttavia non senza ragione possiamo considerare Profeti lo stesso patriarca Noè, durante la cui vita la terra intera fu sterminata dal diluvio, e gli altri prima e dopo l'epoca in cui nel popolo di Dio cominciarono a dominare i re perché alcuni avvenimenti futuri, che appartenevano alla città di Dio e al regno dei cieli, in qualche modo furono da loro simboleggiati o previsti. Di alcuni di loro soprattutto leggiamo che più esplicitamente sono stati considerati tali, come Abramo 2 e Mosè 3. Tuttavia epoca dei Profeti è stata considerata particolarmente e superlativamente quella in cui cominciò a profetare Samuele 4 che, per comando di Dio, unse come re dapprima Saul 5 e, dopo che egli fu destituito, lo stesso Davide 6 perché avesse successori della sua stirpe fino a quando fu opportuno avere successori in quella forma. Se dunque volessi passare in rassegna tutte le cose che sono state predette dai Profeti sul Cristo, quando la città di Dio attraversava questo periodo con l'avvicendarsi della morte e nascita dei suoi adepti, si sconfina nello sterminato. Prima di tutto la Scrittura stessa che, distribuendo nella serie i re, le loro imprese e avvenimenti, sembra quasi interessata a narrare i fatti con precisione storica, se si esaminasse con un certo criterio nel sussidio di una ispirazione divina, si scorgerebbe intenta, se non più, certo non meno, a preannunciare eventi futuri che a narrare i passati. Ed anche chi, pur di sfuggita, esaminasse questi aspetti, non ignorerebbe come sia faticosa, lunga e bisognosa di parecchi volumi l'indagine approfondita e l'esposizione ragionata dell'argomento. Poi anche i temi, che fuor di dubbio appartengono alla profezia, sono così numerosi sul Cristo e il regno dei cieli, cioè la città di Dio, che per l'esposizione si richiede una trattazione più lunga di quanto il criterio di questa opera richiede. Quindi, se potrò, col mio metodo la disporrò in modo da non dire cose superflue e non tralasciare quelle che sono indispensabili a questa opera da condurre a termine nella volontà di Dio.

Realizzazione della promessa alla razza.
2.
Nel libro precedente abbiamo detto che dall'inizio delle promesse ad Abramo due cose gli furono assicurate. La prima è che la sua discendenza avrebbe avuto il possesso del paese di Canaan ed è indicata con le parole: Va' nel paese che io ti indicherò e ti renderò un grande popolo 7. L'altra molto più importante non è relativa a una discendenza razziale ma spirituale, per cui è padre non del solo popolo d'Israele ma di tutti i popoli che seguono le orme della sua fede. La promessa ebbe inizio con queste parole: In te saranno benedetti tutti i popoli della terra 8. Abbiamo esposto che in seguito queste due promesse furono confermate da molte altre attestazioni. Era dunque nella Terra promessa la discendenza di Abramo secondo la razza, cioè il popolo d'Israele, e in essa aveva già iniziato a dominare non solo perché aveva in possesso le città dei nemici ma anche perché aveva i re. Si erano così in gran parte adempiute le promesse di Dio su questo popolo, non solo quelle che erano state rivolte ai tre patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e tutte le altre nella loro epoca, ma anche quelle fatte per mezzo dello stesso Mosè. Da lui il popolo era stato liberato dalla schiavitù d'Egitto ed erano stati manifestati tutti gli eventi passati verificatisi alla sua epoca, mentre guidava il popolo per il deserto. Dal valente condottiero Giosuè di Nun il popolo, con la sconfitta delle varie popolazioni, fu introdotto nella Terra promessa ed egli, prima di morire, la distribuì alle dodici tribù, alle quali Dio l'aveva assegnata. Eppure né con lui né dopo di lui, durante l'intero periodo dei Giudici, s'era adempiuta la promessa di Dio relativa alla terra di Canaan da un certo fiume d'Egitto fino al grande fiume Eufrate 9. Tuttavia non si profetizzava più un fatto che sarebbe avvenuto, si attendeva che si adempisse. Si adempì per mezzo di Davide e del figlio Salomone, il cui regno si allargò in estensione secondo quanto era stato promesso perché assoggettarono i popoli vicini e li resero tributari 10. Così dunque la discendenza di Abramo era stata organizzata politicamente nella terra della promessa secondo la razza, cioè nella terra di Canaan, alla dipendenza di re, sicché non mancava nulla perché si adempisse la promessa di Dio. Restava soltanto che il popolo ebraico rimanesse nella medesima terra in una condizione stabile per l'avvenire, per quanto attiene alla prosperità temporale sino alla fine dei tempi, se obbediva alle leggi di Dio. Ma siccome Dio sapeva che non l'avrebbe fatto, pose in atto le sue pene temporali per stimolare i pochi a lui fedeli in quel popolo e ammaestrare quelli che sarebbero stati tali in tutti i popoli in ciò che era necessario fossero ammaestrati perché in essi avrebbe adempiuto l'altra promessa mediante l'incarnazione del Cristo con la formulazione della Nuova Alleanza.

Due o tre forme di profetismo.
3.
1. Perciò le divine predizioni ad Abramo, Isacco e Giacobbe e tutte le altre indicazioni o parole profetiche che si sono avute nei precedenti libri della sacra Scrittura come pure le altre profezie del periodo dei re in parte appartengono alla razza di Abramo, in parte a quella sua discendenza nella quale sono benedetti tutti i popoli coeredi di Cristo nella Nuova Alleanza per possedere la vita eterna e il regno dei cieli. In parte dunque spettano alla schiava che genera alla schiavitù, cioè alla Gerusalemme terrena che è schiava con i suoi figli, in parte alla libera città di Dio, cioè alla vera Gerusalemme eterna nei cieli i cui figli appartenenti all'umanità, pur vivendo secondo Dio, sono esuli sulla terra 11. Vi sono però in quelle profezie alcuni dati che si avvertono di pertinenza dell'una e dell'altra, cioè propriamente della schiava, allegoricamente della libera.

Profetismo storico simbolico e mistico.
3.
2. Si danno dunque tre diverse forme dei modi di esprimersi dei Profeti poiché alcuni sono pertinenti alla Gerusalemme terrena, alcuni alla celeste, parecchi all'una e all'altra. Noto che il mio assunto si deve dimostrare con esempi. Il profeta Natan fu mandato a rimproverare d'un grave peccato il re Davide e a preavvisarlo dei gravi mali che ne sarebbero a lui derivati 12. Non si può dubitare che queste parole divine e simili che sono svelate tanto a vantaggio dello Stato, cioè per il benessere ed utilità del popolo, quanto a privato vantaggio, cioè per i propri personali interessi, riguardano la città terrena perché con esse si conosce qualcosa che deve avvenire in vista di qualche temporale esigenza. Ad esempio, si legge in un passo: Verranno giorni, dice il Signore, in cui io concluderò con il popolo d'Israele e con il popolo di Giuda una nuova alleanza diversa da quella che ho stabilito con i loro antenati nel giorno in cui ho preso la loro mano per farli uscire dall'Egitto, perché essi non hanno perseverato nella mia alleanza ed io non ho dato loro ascolto, dice il Signore. Questa è l'alleanza che io concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni, dice il Signore, perché metterò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori e veglierò su di loro e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo 13. Nel brano è senza dubbio preannunciata la Gerusalemme celeste, il cui premio è Dio stesso e averlo e a lui appartenere è il bene sommo e ultimo. All'una e all'altra città sono relative l'affermazione che Gerusalemme è la città di Dio e la predizione che in essa vi sarà la casa di Dio. Sembra che questa predizione si sia avverata quando il re Salomone edificò il magnifico tempio 14. Questi fatti appunto avvennero storicamente nella Gerusalemme terrena e furono allegorie di quella celeste. Un terzo tipo di profezia perciò, quasi risultante dalla coordinazione dei primi due, ha grandissima importanza nei libri dell'Antico Testamento, in cui è contenuta la narrazione di avvenimenti storici, e ha molto stimolato e stimola l'ingegno degli esegeti della sacra Scrittura. Ne consegue che ciò che si legge preannunciato e adempiuto dalla prospettiva storica nella discendenza di Abramo secondo la razza si deve esaminare da una prospettiva allegorica come simbolo di ciò che si dovrà adempiere nella discendenza di Abramo secondo la fede. Alcuni propongono perfino l'ipotesi che non v'è nulla nei libri della Scrittura di preannunciato e di avvenuto o di avvenuto, sebbene non preannunciato, che non suggerisca per allegoria un concetto relativo alla celeste città di Dio e ai suoi cittadini esuli in questa vita 15. Ma se è così, non sono di due ma di tre forme i vari modi di esprimersi dei Profeti o meglio di tutti i libri della Scrittura che sono registrati con l'appellativo di Antico Testamento. In essi infatti non v'è nulla che riguardi soltanto la città terrena se tutto ciò che di essa si riferisce o per essa si adempie simboleggia qualcosa che per allegoria si può riferire anche alla Gerusalemme celeste. Saranno quindi due forme soltanto, una che riguarda la libera Gerusalemme, l'altra che riguarda entrambe. Io sono dell'opinione che come sbagliano di grosso quelli i quali ritengono che in quel genere letterario gli avvenimenti storici simboleggiano semplicemente che sono avvenuti in quella circostanza, così sono troppo audaci quelli i quali polemizzano che in quei libri tutti i contenuti sono avviluppati di significati allegorici. Per questo ho detto che sono di tre forme, non di due. La penso così, però senza incolpare coloro che da qualsiasi avvenimento hanno potuto configurare una nozione di significato spirituale, sempre nel rispetto della verità storica. Del resto nessun credente può dire che sono formulati senza scopo i discorsi che possono esser riferiti ad eventi avveratisi e da avverarsi da una prospettiva umana o divina. Ognuno, se può, li riferisca a un significato spirituale e se non può, consenta che vi siano riferiti da chi lo sa fare.

Il profetismo prima di Davide [4-7]

Il cantico di Anna.
4.
1. L'evoluzione della città di Dio offrì un simbolo appena giunse all'epoca dei re, quando Davide, con la destituzione di Saul, ottenne per primo il potere regio così saldamente che i suoi discendenti regnarono in una lunga successione nella Gerusalemme terrena 16. Difatti con questo avvenimento essa simboleggiò, con preannuncio sulla mutazione degli avvenimenti futuri, qualcosa che non si può passare sotto silenzio perché è attinente alle due Alleanze, l'Antica e la Nuova. Con questa il potere sacerdotale e regio cambiò significato nel sacerdote ed anche re nuovo ed eterno che è Cristo Gesù. Infatti, dopo la destituzione del sacerdote Eli, Samuele, sostituito nel culto a Dio per l'esercizio abbinato di giudice e sacerdote 17, e dopo la degradazione di Saul, Davide, costituito nel potere regio 18, rappresentarono allegoricamente ciò che sto dicendo. Sembra che anche Anna, la madre di Samuele, la quale prima era stata sterile e poi era stata allietata da una tardiva fecondità, non annunci profeticamente altro quando rivolge con gioia il suo ringraziamento a Dio nell'offrire, con la medesima devozione con cui l'aveva consacrato, il bambino nato e divezzato. Dice infatti: Ha gioito il mio cuore nel Signore e la mia fronte si è levata nel mio Dio. La mia bocca si è aperta al sorriso contro i miei avversari, mi sono allietata nella tua salvezza. Non v'è santo come il Signore e non v'è giusto come il nostro Dio, anzi non v'è santo fuori di te. Non vi vantate e non usate parole superbe e non esca dalla vostra bocca la millanteria, perché il Signore è il Dio che tutto conosce e che eseguisce i suoi disegni. Rese debole l'arco dei potenti e i deboli si cinsero di vigore, quelli che abbondavano di pane si ridussero a una condizione inferiore e gli affamati si elevarono sulla terra, perché la sterile ne ha partoriti sette e quella che aveva molti figli è appassita. Il Signore fa morire e fa vivere, fa scendere e riconduce dal regno dei morti. Il Signore rende poveri e arricchisce, umilia ed esalta, solleva dal suolo il povero e rialza dall'immondezza il bisognoso per farlo sedere con i potenti del popolo, dando loro l'eredità della fama. Egli dà l'offerta a chi offre e ha benedetto gli anni dell'uomo onesto perché l'uomo non è potente col proprio valore. Il Signore renderà debole il proprio avversario perché il Signore è santo. Non si vantino il prudente della propria prudenza, il forte della propria fortezza e il ricco delle proprie ricchezze, ma chi si vuol vantare si vanti di conoscere e comprendere il Signore e di operare in mezzo alla terra quel che è onesto e giusto. Il Signore è asceso nei cieli e ha fatto udire il tuono, Egli giudicherà i confini della terra perché è giusto e dà valore ai nostri re ed eleverà la fronte del suo Cristo 19.

Tono profetico del cantico.
4.
2. Non si può pensare che queste parole siano di un'umile donna che si rallegra della nascita di un figlio. E la mente degli uomini non è così distolta dalla evidenza della verità da non avvertire che i concetti, in cui si è profusa, oltrepassano la capacità di questa donna. Certo chi è convenientemente attento ai fatti stessi, che avevano già cominciato a verificarsi anche in questo esilio terreno, fissa lo sguardo, osserva e riconosce che per mezzo di questa donna, il cui nome perfino, cioè Anna, significa "la grazia di lui" 20, hanno parlato con spirito profetico la stessa religione cristiana, la stessa città di Dio, il cui re e fondatore è Cristo, e infine la stessa grazia di Dio da cui i superbi sono stati abbandonati affinché cadano, gli umili sorretti affinché si rialzino. Il cantico ha evidenziato soprattutto questo significato. Però eventualmente qualcuno potrebbe dire che la donna non ha profeticamente preannunciato nulla ma che con espressione d'esultanza ha soltanto lodato Dio per il figlio che aveva ottenuto con la preghiera. In tal caso non avrebbe significato quel che ha detto: Rese debole l'arco dei potenti e i deboli si cinsero di vigore, quelli che abbondavano di pane si ridussero a una condizione inferiore e gli affamati si elevarono sulla terra, poiché la sterile ne partorì sette e quella che aveva molti figli è appassita 21. Ma allora aveva partorito sette figli sebbene fosse sterile? Ne aveva uno soltanto, quando diceva quelle parole e anche dopo non ne partorì sette o sei in modo che lo stesso Samuele fosse uno dei sette, ma ebbe tre maschi e due femmine 22. Poi sebbene ancora nessuno fosse re in quel popolo soggiunse: Dà potenza ai nostri re ed esalterà la fronte del suo Cristo 23. Come faceva a dirlo se non profetava?

Parafrasi del cantico su Dio.
4.
3. Lo dica dunque la Chiesa di Cristo, città del grande re 24, piena di grazia, feconda di prole, dica ciò che riconosce preannunciato profeticamente di sé tanto tempo prima con le parole di questa madre devota: Ha gioito il mio cuore nel Signore e la mia fronte si è elevata nel mio Dio. Veramente ha gioito il cuore e si è elevata la mente, perché non in sé ma nel suo Dio. La mia bocca si è aperta al sorriso davanti ai miei nemici 25, perché perfino negli affanni delle tribolazioni la parola di Dio non è imprigionata 26 neanche in coloro che la bandiscono imprigionati. Mi sono allietata, soggiunge, nella tua salvezza. Questa salvezza è Gesù Cristo, di cui, come si legge nel Vangelo, il vecchio Simeone, abbracciandolo piccolo ma riconoscendolo grande, dice: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi han visto la tua salvezza 27. Dica dunque la Chiesa: Mi sono allietata nella tua salvezza poiché non v'è santo come il Signore e non v'è giusto come il nostro Dio, in quanto santo e datore di santità, giusto e datore di giustizia. Non v'è santo fuor di te, perché non si diviene tale senza di te. Poi continua: Non vi vantate e non usate parole superbe e non esca dalla vostra bocca la millanteria, poiché il Signore è il Dio che tutto conosce 28. Egli vi conosce anche nella dimensione in cui nessuno conosce perché: Chi pensa di essere qualcosa, sebbene sia un nulla, inganna se stesso 29. Si dicono queste verità ai nemici della città di Dio, che appartengono a Babilonia, perché presumono della propria dignità e non traggono vanto da Dio ma da sé. Sono del numero anche gli Israeliti carnali, cittadini originati dalla terra della Gerusalemme terrestre. Essi, come dice l'Apostolo, ignorando la giustizia di Dio, cioè quella che Dio, il solo giusto e datore di giustizia, dà all'uomo, e volendo imporre la propria, come se fosse da loro prodotta e non partecipata da Lui, non sono sottomessi alla giustizia di Dio 30. Lo fanno perché sono superbi e pensano che per un proprio merito e non per dono di Dio possono piacere a Dio che è il Dio che tutto conosce e quindi anche giudice delle coscienze, perché scruta in esse i pensieri degli uomini che sono vuoti 31 se sono dagli uomini e non da Lui. Che esegue, continua Anna, i propri disegni. Dobbiamo ritenere che questi disegni richiedono soltanto che i superbi cadano e gli umili si rialzino. Espone infatti questi disegni con le parole: L'arco dei potenti fu reso debole e i deboli si cinsero di vigore 32. Fu reso debole il loro arco, cioè lo sforzo di coloro che si reputano tanto forti da poter adempiere i comandamenti di Dio con l'umana capacità, senza il dono e l'aiuto di Lui, mentre al contrario si cingono di vigore quelli in cui v'è la voce della coscienza: Abbi pietà di me, o Signore, perché sono debole 33.

Parafrasi del cantico sulla Chiesa.
4.
4. Quelli che abbondavano di pane, dice, si ridussero a una condizione inferiore e gli affamati si elevarono sulla terra 34. Per coloro che abbondavano di pane si devono intendere quelli che si credono potenti, cioè gli Israeliti, ai quali sono state affidate le parole di Dio 35. Però in quel popolo i figli della schiava si ridussero a una condizione inferiore. Col verbo minorare, meno bene in latino, è stato tuttavia bene espresso che da una condizione superiore si ridussero a una inferiore. Difatti provano un gusto terreno anche in quei pani, cioè le parole di Dio che anticamente soltanto gli Israeliti fra tutti i popoli ricevettero. Invece gli altri popoli, ai quali non era stata data la legge, dopo che mediante la Nuova Alleanza accolsero quelle parole, avendone molta fame, si elevarono sulla terra perché in essa non provarono il gusto delle cose terrene ma celesti. E come se si richiedesse il motivo per cui è avvenuto, soggiunge: Perché la sterile ne ha partoriti sette e quella che aveva molti figli è appassita 36. A questo punto tutto ciò che veniva previsto profeticamente si è rivelato a coloro che conoscono il significato del numero sette, perché con esso è stata simboleggiata la perfezione della Chiesa universale. Per questo anche l'apostolo Giovanni si rivolge alle sette chiese, mostrando così di rivolgersi alla interezza dell'unica Chiesa 37. Nei Proverbi di Salomone la Sapienza, che era allegoria di questo significato, si costruì una casa e innalzò sette colonne 38. La città di Dio era sterile presso tutti i popoli prima che sorgesse questo frutto del parto che ora osserviamo. Osserviamo anche che attualmente è resa debole la Gerusalemme terrena, la quale abbondava di figli. Difatti tutti i figli della libera, che erano in essa, costituivano il suo vigore, ora invece, poiché in essa v'è la lettera e non lo spirito, perduto il vigore è divenuta debole.

Parafrasi su Cristo morto e risorto.
4.
5. Il Signore fa morire e fa vivere: ha fatto morire quella che abbondava di figli e ha fatto vivere questa sterile che ne ha partoriti sette. Si potrebbe però più convenientemente intendere che ha fatto vivere gli stessi che avrebbe fatto morire. Difatti lo ha quasi ripetuto soggiungendo: Fa scendere e riconduce dal regno dei morti 39. L'Apostolo dice ai fedeli: Se siete morti con Cristo 40 cercate i valori di lassù dove Cristo siede alla destra di Dio 41. Essi sono certamente fatti morire per la loro guarigione, difatti soggiunge ad essi: Provate il gusto delle cose di lassù e non di quelle della terra, affinché anche essi siano coloro che affamati si sono sollevati dalla terra. Infatti siete morti, dice, ed ecco in qual senso Dio fa morire per la guarigione; e continua: E la vita vostra è ormai nascosta con Cristo in Dio 42, ed ecco in qual senso Dio fa vivere quegli stessi 43. Ma davvero li ha fatti scendere e ricondotti dal regno dei morti? Notiamo senza alcuna polemica da parte dei fedeli, che l'uno e l'altro significato si è adempiuto in Lui, cioè nel nostro Capo col quale, secondo l'Apostolo, la nostra vita è nascosta in Dio. Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha dato per tutti noi 44, in questo senso certamente lo ha fatto morire e poiché lo ha risuscitato dai morti, lo ha fatto rivivere. E poiché si avverte la sua voce nella profezia: Non abbandonerai la mia vita nel regno dei morti 45, lo fece scendere e lo ricondusse dal regno dei morti 46. Da questa sua povertà siamo stati arricchiti 47. Infatti: Il Signore rende poveri e arricchisce. Per comprenderlo ascoltiamo ciò che segue: Umilia ed esalta 48, certamente umilia i superbi ed esalta gli umili. Il concetto che si nota in questo altro passo: Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili 49 è un discorso completo sul dono, il cui nome è "grazia".

Sulla elevazione dei credenti.
4.
6. Io interpreto la frase che segue: Solleva dal suolo il povero con riferimento a nessun altro che a colui che si è reso povero per noi, pur essendo ricco, affinché della sua povertà, come poco fa è stato detto, noi diventassimo ricchi 50. Lo sollevò dal suolo così presto che il suo corpo non patì la soggezione alla morte. E non darei altro significato a quel che è stato aggiunto: E dall'immondezza innalza il bisognoso. Bisognoso è la medesima cosa che povero. Per immondezza, da cui è stato rialzato, molto convenientemente s'intendono i Giudei persecutori. L'Apostolo, dopo aver confessato che, essendo uno di loro, aveva perseguitato la Chiesa, soggiunse: A motivo di Cristo ho stimato danni quelli che mi sembravano guadagni e non solo li ho considerati perdite ma immondezze per guadagnare Cristo 51. Dunque quel povero fu sollevato dal suolo sopra tutti i ricchi e quel bisognoso è stato rialzato dall'immondezza sopra tutti i facoltosi per farlo sedere con i potenti del popolo. Ad essi aveva detto: Sederete su dodici troni 52, e altrove: Dando loro in eredità il trono della gloria 53. Infatti quei potenti avevano detto: Ormai abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito 54. Avevano fatto un'offerta con grande potenza di spirito.

Grazia e fortezza.
4.
7. Ma questo potere certamente proveniva da colui, del quale nel seguito del cantico si dice: Che dà l'offerta a chi offre 55. Altrimenti sarebbero della risma di quei potenti, il cui arco è stato reso debole. Dice: Che dà l'offerta a chi offre. Infatti ha possibilità di offrire qualche buona azione al Signore soltanto chi da lui abbia ricevuto ciò che offre. Continua: E ha benedetto gli anni dell'uomo giusto, cioè affinché senza fine viva con colui al quale è stato detto: I tuoi anni non avranno fine 56. Là gli anni stanno fermi, qui passano, anzi vanno perduti, prima che giungano infatti non sono, quando giungeranno non saranno poiché giungono con la propria fine. Di questi due significati: Che dà l'offerta a chi offre e: Ha benedetto gli anni dell'uomo giusto l'uno riguarda ciò che facciamo, l'altro ciò che riceviamo. Ma il secondo non si riceve per dono di Dio, se non si compie il primo con il suo aiuto, poiché l'uomo non è potente col proprio valore. Il Signore renderà debole il suo avversario, quello cioè che invidia e resiste all'uomo che offre affinché non riesca a compiere ciò che ha offerto. Dal termine greco di doppio significato si può intendere anche: il proprio avversario. Infatti quando il Signore comincerà a entrare in noi, certamente quello che era il nostro avversario diventa suo e sarà vinto da noi, ma non con le nostre forze, perché l'uomo non è potente del proprio valore. Quindi il Signore renderà debole il proprio avversario, Egli il Signore santo 57 affinché l'avversario sia vinto dai santi, che il Signore, santo dei santi, rende santi.

Onestà e giustizia in noi e non da noi.
4.
8. Perciò: non si vantino il prudente della propria prudenza, il potente della propria potenza e il ricco delle proprie ricchezze, ma chi si vuol vantare si vanti di conoscere e comprendere il Signore e di operare in mezzo alla terra quel che è onesto e giusto 58. Non in piccola parte conosce e comprende il Signore chi conosce e comprende che dal Signore gli è concesso anche di conoscerlo e comprenderlo. Che cosa hai, dice l'Apostolo, che non hai ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? 59, cioè come se provenga da te ciò per cui ti vanti. Opera quel che è onesto e giusto chi vive rettamente. Vive rettamente chi obbedisce ai comandamenti di Dio e fine del comandamento, cioè il valore al quale è relativo il comandamento, è la carità proveniente da un cuore puro, da una buona coscienza e dalla fede non simulata 60. Certamente questa carità è da Dio, come afferma l'apostolo Giovanni 61. Dunque operare quel che è onesto e giusto è da Dio. Ma che significa: In mezzo alla terra? Non è che coloro i quali abitano ai confini del mondo non devono operare quel che è onesto e giusto. Chi potrebbe dirlo? Perché allora è stata aggiunta la postilla: In mezzo alla terra? Se non era aggiunta e si diceva soltanto: Operare quel che è onesto e giusto 62, questo comando riguardava tutte e due le categorie di uomini, quelli che abitano all'interno e quelli lungo il mare. Ma affinché qualcuno non pensasse che dopo la fine della vita, che si trascorre nel corpo, rimanesse del tempo per operare ciò che è onesto e giusto, perché non lo operò mentre era in vita, e così avesse la possibilità di sfuggire al giudizio divino, a me pare che in mezzo alla terra significhi mentre si vive nel corpo. In questa vita ciascuno porta in giro la propria terra, che alla morte dell'individuo la terra di tutti riassume per restituirla quando risorge. Perciò in mezzo alla terra, cioè mentre la nostra anima è rinchiusa in questo corpo di terra si deve operare quel che è onesto e giusto perché ci giovi in seguito, quando ciascuno riceve secondo le opere che ha compiuto attraverso il corpo, tanto il bene come il male 63. L'Apostolo con attraverso il corpo ha inteso dire attraverso il tempo in cui è vissuto. E se qualcuno insulta con coscienza disonesta e con pensiero irreligioso senza agire con gli apparati fisiologici, non per questo non è colpevole per il fatto che non ha agito mediante una funzione fisiologica perché ha agito attraverso quel tempo in cui ha agito anche il corpo. In questo senso si può convenientemente interpretare ciò che si legge in un Salmo: Dio nostro re ha operato prima del tempo la salvezza in mezzo alla terra 64. S'intenda che il Signore Gesù è il nostro Dio, che è prima del tempo, poiché per la sua mediazione si è avuto il tempo, ed ha operato la nostra salvezza in mezzo alla terra quando il Verbo si è fatto carne 65 e ha abitato in un corpo di terra.

Giudizio finale in Cristo.
4.
9. Dopo che con queste parole di Anna è stato preannunciato in quale senso chi si vanta si deve vantare, non in sé appunto ma nel Signore 66, in ordine alla ricompensa che avverrà nel giorno del giudizio, continua: Il Signore è asceso nei cieli e ha fatto udire un tuono, Egli giudicherà i confini della terra perché è giusto 67. Ha proprio rispettato la disposizione dell'atto di fede dei credenti. Difatti Cristo Signore è asceso in cielo e di là verrà a giudicare i vivi e i morti. In proposito dice l'Apostolo: Chi è asceso se non colui che è anche disceso in basso sulla terra? Colui che è disceso è lo stesso che è asceso sopra i cieli per portare a compimento tutte le cose 68. Fece dunque udire il tuono attraverso le sue nubi che, dopo che era asceso, riempì di Spirito Santo. Riguardo alle nubi, nel profeta Isaia, ha minacciato la Gerusalemme schiava, cioè la vigna ingrata, che non piovano su di essa 69. Si dice ancora nel cantico: Egli giudicherà i confini della terra, come se fosse espresso: "anche i confini della terra". Non significa infatti che non giudicherà le altre parti, perché certamente giudicherà tutti gli uomini. Ma i confini della terra sono intesi più logicamente come i confini dell'uomo perché non saranno giudicate le opere che in meglio o in peggio si susseguono nell'età di mezzo, ma quelle al confine nelle quali sarà sorpreso colui che sarà giudicato. È stato detto appunto: Sarà salvo chi persevererà sino alla fine 70. Chi dunque con perseveranza opera in mezzo alla terra quel che è onesto e giusto, non sarà condannato quando saranno giudicati i confini della terra. Continua: E dà valore ai nostri re per non condannarli nel giudizio. Dà loro valore per dominare da re la carne e vincere il mondo in colui che per loro ha versato il sangue. Ed eleverà la fronte del suo cristo 71. In qual modo Cristo eleverà la fronte del suo cristo? In colui, di cui precedentemente è stato detto: Il Signore è asceso nei cieli, fu ravvisato Cristo Signore ed Egli stesso, come si afferma in questo passo, eleverà la fronte del suo cristo. Chi è dunque il cristo di Cristo? Ovvero eleverà la fronte di ogni suo fedele, come Anna stessa all'inizio del cantico ha affermato: Si è levata la mia fronte nel mio Dio 72? Possiamo giustamente considerare cristi tutti gli unti col suo crisma e tutto questo corpo assieme al suo Capo, l'unico Cristo. Dunque ha preannunciato profeticamente questi significati Anna, madre di Samuele, uomo santo e molto lodato. In lui al suo tempo è stato previsto allegoricamente il cambiamento del vecchio sacerdozio che è avvenuto al nostro tempo, poiché è appassita colei che aveva molti figli affinché la sterile, che ne ha partoriti sette, avesse in Cristo il nuovo sacerdozio 73.

La profezia ad Eli.
5.
1. Ma di questo cambiamento con maggiore evidenza parla un uomo di Dio mandato al sacerdote Eli. Se ne tace il nome ma si comprende senza ombra di dubbio dall'incarico e commissione che era un profeta. Si ha dunque nella Scrittura: Andò un uomo di Dio da Eli e gli disse: Queste cose dice il Signore: Mi sono manifestato apertamente alla casa di tuo padre quando erano schiavi in Egitto nella casa del faraone ed ho scelto la casa di tuo padre fra tutte le tribù d'Israele ad esercitare il sacerdozio per me in modo che salissero sul mio altare, bruciassero l'incenso e portassero l'efod e ho dato in cibo alla casa di tuo padre tutti i sacrifici dei figli d'Israele consumati col fuoco. Perché dunque hai guardato con occhio sfrontato la mia vittima bruciata e il mio sacrificio ed hai maggior riguardo per i tuoi figli che per me nell'erogarvi alla mia presenza tutte le primizie d'ogni sacrificio in Israele? Perciò dice il Signore Dio d'Israele: Avevo promesso che la tua casa e la casa di tuo padre passassero in eterno davanti a me. Ma ora dice il Signore: Niente affatto, io onorerò coloro che mi onorano e chi mi disprezza sarà disprezzato. Verranno giorni ed io allontanerò la tua discendenza e la discendenza della casa di tuo padre e non rimarrà per te un anziano nella mia casa per sempre e allontanerò ogni tuo uomo dal mio altare affinché i suoi occhi si struggano nel pianto e si strazi la sua anima ed ogni individuo della tua casa, che sopravviverà, lo abbatteranno con la spada degli uomini. Sarà per te un segno quel che avverrà ai tuoi due figli, Ofni e Finees, in un solo giorno morranno entrambi. Dopo susciterò un sacerdote a me fedele che esegua tutto ciò che ho nel cuore e nell'anima, gli edificherò una casa stabile e presterà servizio davanti al mio Cristo tutti i giorni. E avverrà che chi è superstite nella tua casa verrà a prostrarsi a lui per una moneta d'argento dicendo: Accettami in un servizio del tuo sacerdozio per poter mangiare un pane 74.

Vecchio e nuovo sacerdozio.
5.
2. Non v'è ragione di dire che questa profezia, in cui con tanta evidenza è stato preannunciato il cambiamento dell'antico sacerdozio, si sia adempiuta in Samuele. Egli non era di una tribù diversa da quella che era stata incaricata dal Signore al ministero dell'altare, tuttavia non era dei discendenti di Aronne, la cui stirpe era stata designata perché da essa si eleggessero i sacerdoti 75. Perciò anche in questo avvenimento è stato simboleggiato vagamente il cambiamento che doveva avvenire mediante Cristo Gesù. Quindi in senso proprio apparteneva all'Antica Alleanza ed allegoricamente alla Nuova anche la stessa profezia del fatto, non della parola, in quanto simboleggiava col fatto quel che con la parola era stato detto dal Profeta al sacerdote Eli. Difatti vi furono in seguito dei sacerdoti della stirpe di Aronne come, durante il regno di Davide, Sadoc e Abiatar 76 e altri dopo, prima che giungesse il tempo in cui dovevano avverarsi nel Cristo i fatti che erano stati preannunciati molto prima sul cambiamento del sacerdozio. Ma chi esamina i fatti con l'occhio della fede avverte che essi si sono avverati quando non rimasero né tenda né tempio né altare né sacrificio e quindi neanche alcun sacerdote per i Giudei, sebbene nella Legge di Dio era prescritto che egli fosse scelto per loro dalla discendenza di Aronne. E questo fatto è stato citato nel testo con le parole di quel Profeta: Dice il Signore Dio d'Israele: Avevo promesso che la tua casa e la casa di tuo padre camminassero per sempre alla mia presenza. Ma ora dice il Signore: Niente affatto, io onorerò coloro che mi onorano e chi mi disprezza sarà disprezzato. Per quanto attiene al fatto che nomina la casa del padre di Eli, le parole precedenti dimostrano che non parlava del padre immediato ma di Aronne che per primo fu costituito sacerdote e gli altri dovevano discendere dalla sua stirpe. Dice infatti: Mi sono manifestato alla casa di tuo padre quando erano schiavi in Egitto nella casa del faraone e ho scelto la casa di tuo padre fra tutte le tribù d'Israele ad esercitare il sacerdozio per me. Fra i padri di Eli soltanto Aronne fu eletto al sacerdozio dopo che furono liberati dalla schiavitù in Egitto. Sarebbe avvenuto, ha detto il Profeta in questo brano, che da quella stirpe non si sarebbero più avuti sacerdoti e costatiamo che si è avverato. Stia all'erta la fede, i fatti sono alla portata, si vedono, si toccano e sono scagliati sotto gli occhi di coloro che non vogliono credere. Ecco, dice, verranno giorni ed io allontanerò la tua discendenza e la discendenza della casa di tuo padre e non rimarrà per te un anziano nella mia casa per sempre e allontanerò ogni tuo uomo dal mio altare affinché i suoi occhi si struggano nel pianto e si strazi la sua anima 77. I giorni che erano stati preannunciati sono giunti. Non v'è più un sacerdote secondo l'ordine di Aronne. E quando qualsiasi individuo della sua razza osserva che il sacrificio dei cristiani è in vigore in tutto il mondo e che a lui questa grazia incomparabile è stata sottratta, i suoi occhi si struggono nel pianto e la sua anima si strazia nello sfinimento della tristezza.

Il sacerdozio di Cristo.
5.
3. In senso proprio riguardano la famiglia di Eli, al quale venivano svelati questi fatti, le parole che seguono: Ogni individuo della tua casa, che sopravviverà, sarà abbattuto con la spada degli uomini. Sarà per te un segno quel che avverrà ai tuoi due figli, Ofni e Finees; in un solo giorno morranno entrambi. Quindi il fatto di abolire il sacerdozio dalla casa di questo individuo è divenuto un simbolo, difatti con esso è stato simboleggiato che doveva essere abolito il sacerdozio dalla casa di Aronne. La morte dei figli di Eli ha simboleggiato la morte non di uomini, ma dello stesso sacerdozio dei discendenti di Aronne. Ciò che segue pertanto riguarda già quel sacerdote, di cui Samuele, succedendo ad Eli, rappresentò l'allegoria. Quindi i concetti che seguono riguardano Cristo Gesù, vero sacerdote della Nuova Alleanza. Susciterò un sacerdote a me fedele che esegua tutto ciò che ho nel cuore e nell'anima, gli edificherò una casa stabile. È essa la Gerusalemme al di là del tempo e dello spazio. E passerà, dice ancora, davanti al mio Cristo per tutti i giorni. Con passerà ha inteso dire "frequenterà", come precedentemente aveva detto della casa di Aronne: Avevo promesso che la tua casa e la casa di tuo padre passeranno per sempre davanti a me 78. La frase: Passerà davanti al mio Cristo si deve intendere della casa e non del sacerdote che è lo stesso Cristo Mediatore e Salvatore. La sua casa dunque passerà davanti a Lui. È possibile che il passerà intenda dalla morte alla vita, tutti i giorni, nei quali si tira avanti la soggezione alla morte sino alla fine del tempo. Dal fatto che Dio dice: Che esegua tutto ciò che ho nel cuore e nell'anima non dobbiamo supporre che Dio abbia un'anima, ché anzi ne è il creatore. Si dice di Dio metaforicamente e non in senso proprio, come la mano, il piede e le altre parti del corpo. E affinché non si ritenga che secondo questo senso l'uomo è stato creato a immagine di Dio nell'aspetto del suo essere fisico si aggiungono le ali che l'uomo non ha e si dice a Dio: Mi proteggerai all'ombra delle tue ali 79. Gli uomini debbono così capire che questi concetti si esprimono di quella ineffabile essenza non con il linguaggio proprio ma figurato.

Superstiti e residui.
5.
4. Il seguito: E avverrà che chi sarà superstite nella tua casa verrà a prostrarsi a lui in senso proprio non riguarda la casa di Eli, ma di Aronne di cui sono rimasti discendenti fino alla venuta di Cristo e fino ad oggi non mancano individui di quella razza. Infatti della casa di Eli era già stato detto precedentemente: Ed ogni individuo della tua casa, che sopravviverà, lo abbatteranno con la spada degli uomini 80. In qual senso quindi ha potuto dire con verità: E avverrà che chi sarà superstite nella tua casa verrà a prostrarsi a lui se è vero che nessuno di essa sarà superstite a causa della spada vendicatrice? Ha voluto quindi certamente che s'intendessero gli appartenenti alla razza ma di tutto il sacerdozio secondo l'ordine di Aronne. Supponiamo che questo superstite sia di quei residui predestinati, di cui un altro Profeta ha detto: I residui diverranno salvi 81 e perciò anche l'Apostolo afferma: Così dunque anche in questo tempo i residui si sono salvati per una selezione operata dalla grazia 82. S'intende rettamente inoltre che appartenga a simili residui colui di cui è stato detto: Chi sarà superstite nella tua casa. Certamente costui crede in Cristo come al tempo degli Apostoli moltissimi di quel popolo credettero ed anche adesso non mancano alcuni che, sebbene piuttosto di rado, credono. Si adempie così in lui quel che l'uomo di Dio subito dopo ha soggiunto: Verrà a prostrarsi a lui per una monetina d'argento 83. Certamente il prostrarsi riguarda il sommo sacerdote che è anche Dio. Difatti nel sacerdozio secondo l'ordine di Aronne le persone non andavano al tempio o all'altare di Dio con lo scopo di prostrarsi al sacerdote. E nel dire per una monetina d'argento ha inteso parlare certamente della concisione della parola della fede, sulla quale l'Apostolo afferma: Il Signore opererà sulla terra una parola di grande perfezione e concisione 84. Un Salmo attesta poi che argento si usa per discorso e in esso si canta: I discorsi del Signore sono discorsi casti, argento raffinato nel fuoco 85.

Sacerdozio e pane.
5.
5. Che dice dunque costui che è venuto a prostrarsi al sacerdote di Dio e a Dio sacerdote? Accettami in un servizio del tuo sacerdozio per poter mangiare un pane 86. Non voglio essere sistemato nella carica onorifica dei miei antenati perché non esiste, accettami in un servizio del tuo sacerdozio. Infatti ho scelto di essere spregevole nella casa di Dio 87; desidero di essere un gregario qualsiasi e di qualsiasi rango del tuo sacerdozio. In questo passo il testo indica col sacerdozio il popolo stesso, di cui sacerdote è il mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 88. A questo popolo dice l'apostolo Pietro: Popolo santo, sacerdozio regale 89. Sebbene alcuni abbiano tradotto del tuo sacrificio 90 non del tuo sacerdozio, tuttavia il termine significa sempre il popolo cristiano. Per questo dice l'apostolo Paolo: Un solo pane, un solo corpo sebbene siamo molti 91. Soggiungendo: Mangiare un pane ha espresso con finezza lo stesso tipo di sacrificio di cui afferma il Sacerdote stesso: Il pane che io darò è la mia carne per la vita dell'umanità 92. Questo è il sacrificio non secondo l'ordine di Aronne, ma secondo l'ordine di Melchisedec 93. Chi legge intenda. È breve dunque e salutarmente umile il riconoscimento per cui si afferma: Accettami in un servizio del tuo sacerdozio per poter mangiare un pane. È la stessa monetina di argento perché è concisa ed è il discorso del Signore che abita nel cuore del credente. Aveva affermato precedentemente che aveva dato alla casa di Aronne cibi dalle vittime dell'Antica Alleanza con le parole: Ho dato in cibo alla casa di tuo padre tutti i sacrifici dei figli d'Israele consumati col fuoco 94. Erano questi i sacrifici dei Giudei. Qui perciò ha detto: Mangiare un pane che è nella Nuova Alleanza il sacrificio dei cristiani.

Il sacerdozio di Aronne è simbolo del futuro.
6.
1. Sebbene questi eventi siano stati preannunciati con tanta autorevolezza e realizzati con tanta evidenza, non senza ragione si potrebbe esser turbati dal dubbio e dire: Come possiamo fidarci che si avverino quei fatti i quali, stando al preannuncio della Bibbia, si dovrebbero avverare se il preannuncio, suggerito dalla divina ispirazione: La tua casa e la casa di tuo padre passeranno in eterno davanti a me 95 non ha potuto avere effettuazione? Vediamo infatti che il vecchio sacerdozio è stato trasformato e non si può attendere che un giorno si avveri ciò che è stato promesso alla casa di Aronne perché si afferma come eterno quel sacerdozio che succede all'altro ormai respinto e modificato. Chi la pensa così non capisce ancora o non riflette che anche lo stesso sacerdozio di Aronne fu costituito come ombra del futuro eterno sacerdozio. Quindi allorché gli fu promessa la perennità non fu una promessa rivolta all'ombra o allegoria, ma a quel sacerdozio che era adombrato e allegorizzato mediante tale perennità. Ma affinché non si pensasse che sarebbe rimasta anche la figura, si dovette preannunciare profeticamente anche la sua trasformazione.

Simbologia del regno di Saul.
6.
2. Anche il regno dello stesso Saul, che certamente fu respinto e disdegnato, era ombra del regno che rimarrà in eterno. L'olio con cui fu consacrato e da quel crisma fu considerato un cristo 96, si deve spiegare simbolicamente e intendere come un grande valore sacrale. Lo stesso Davide rispettò questo significato in Saul sicché col cuore sconvolto tremò allorché, nascosto in una spelonca buia in cui anche Saul era entrato perché ve lo spingeva un bisogno naturale, senza svelarsi gli aveva tagliato dietro una piccola parte del mantello. Con essa poteva mostrargli in quale occasione lo aveva risparmiato, sebbene potesse ucciderlo, e così strappare dall'animo di lui il sospetto per cui perseguitava il santo Davide perché lo credeva un suo nemico. Temette perfino di essere colpevole della violazione di un valore sacrale così alto perché con quell'atto aveva profanato per lo meno il suo vestito. È stato scritto infatti: Il cuore di Davide batté violentemente perché aveva asportato un lembo del suo mantello. Agli uomini che erano con lui e lo consigliavano di uccidere Saul consegnato nelle sue mani, disse: Non mi sia consentito dal Signore di fare una cosa simile al mio re, il consacrato del Signore, di stendere la mia mano su di lui perché è il consacrato del Signore 97. Dunque si offriva tanto ossequio a questa ombra del futuro ma per ciò che preannunciava allegoricamente. Samuele aveva detto a Saul: Tu non hai osservato il comando che il Signore ti aveva imposto perché in quel modo il Signore aveva reso stabile il tuo regno su Israele per sempre; e ora il tuo regno non rimarrà a te e il Signore cercherà per sé un uomo secondo il suo cuore e gli ordinerà di essere capo del suo popolo perché non hai osservato quanto il Signore ti aveva comandato 98. Queste parole non si devono interpretare come se Dio avesse stabilito che Saul avesse un regno eterno e che poi non volle conservare per lui perché aveva peccato. Dio non ignorava che avrebbe peccato, ma aveva predisposto il suo regno perché in esso fosse l'allegoria del regno eterno. Per questo soggiunse: Ed ora il tuo regno non rimarrà a te. Fu stabile dunque e sarà stabile quel regno che con esso è stato simboleggiato, ma non sarà stabile per quest'uomo perché non doveva regnare per sempre né lui né la sua stirpe, sicché almeno attraverso i discendenti, che si succedevano, sembrasse adempiuto l'inciso: Per sempre. Continua: Il Signore cercherà per sé un uomo, per simboleggiare tanto Davide quanto il Mediatore della Nuova Alleanza che veniva indicato allegoricamente nell'olio con cui furono consacrati Davide e la sua discendenza. Dio non cerca per sé un uomo come se non sappia dove si trova, ma parla da uomo mediante un uomo perché ci cerca così parlando. Eravamo noti non solo a Dio Padre ma anche al suo Unigenito, che era venuto a cercare ciò che si era perduto 99 al punto che in lui siamo stati scelti prima della creazione del mondo 100. Quindi con l'inciso: Cercherà per sé ha inteso dire "avrà come suo". Perciò nella lingua latina questo verbo si unisce a una preposizione e diviene "acquisisce". Così è abbastanza chiaro il suo significato. Tuttavia anche senza l'aggiunta il cercare può essere inteso come acquisire. Da ciò i guadagni si dicono anche acquisti.

Saul è rifiutato come re.
7.
1. Saul peccò di nuovo con la disubbidienza e di nuovo Samuele gli disse nell'oracolo del Signore: Perché hai rifiutato la parola del Signore, il Signore ti ha rifiutato affinché tu non sia re in Israele 101. E ancora riguardo al medesimo peccato, poiché Saul lo ammetteva, ne chiedeva perdono e pregava Samuele che tornasse con lui per raccomandarsi a Dio, Samuele disse: Non tornerò con te perché hai rifiutato la parola del Signore e il Signore ti rifiuterà affinché tu non sia re in Israele. Samuele si voltò per andarsene e Saul afferrò il lembo del suo mantello e lo strappò. Gli disse Samuele: Il Signore dalla tua mano ha strappato oggi il regno da Israele e lo ha dato a un tuo conterraneo buono sopra di te e Israele si scinderà in due parti. Il Signore non si convertirà e non si pentirà, non è da lui il pentirsi perché non è come un uomo che promette e poi non mantiene 102. Vien detto a quest'uomo: Il Signore ti rifiuterà affinché tu non sia re in Israele; ed anche: Il Signore dalla tua mano ha strappato oggi il regno da Israele. Eppure regnò in Israele per quaranta anni 103, cioè tanto tempo quanto lo stesso Davide e aveva udito quel biasimo nei primi anni del suo regno affinché comprendiamo che è stato espresso perché nessuno della sua stirpe avrebbe regnato e ci volgiamo a guardare alla stirpe di Davide da cui provenne secondo la razza il Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 104.

Simbolismo della condanna di Saul.
7.
2. La Scrittura non ha il brano che si legge in parecchi codici latini: Il Signore ha strappato il regno d'Israele dalla tua mano, ma quello scelto da me è derivato dai codici greci: Il Signore dalla tua mano ha strappato il regno da Israele affinché si comprenda che è il medesimo concetto: Dalla tua mano e: Da Israele. Quindi questo individuo rappresentava allegoricamente l'immagine del popolo d'Israele che doveva perdere il regno, poiché Cristo Gesù nostro Signore avrebbe regnato mediante la Nuova Alleanza non secondo la razza ma secondo lo spirito. Poiché a lui si allude con le parole: Lo darò a un tuo conterraneo, il passo si riferisce all'attinenza della razza, poiché Cristo secondo la razza proviene da Israele come Saul. L'aggiunta: Buono sopra di te 105 si può intendere più buono di te; così infatti hanno interpretato anche altri; ma Buono sopra di te si può meglio intendere in questi termini: poiché egli è buono, perciò è sopra di te, come in quell'altro passo profetico: Fino a quando porrò tutti i tuoi nemici sotto i tuoi piedi 106. Fra essi v'è anche un Israele al quale, perché suo persecutore, Cristo ha tolto il regno. Però nella razza vi fu anche un Israele, in cui non v'era inganno 107 quasi frumento di quella paglia, perché della razza erano gli Apostoli, tanti martiri dei quali il primo fu Stefano, di essa tante Chiese che l'apostolo Paolo ricorda 108 perché esaltavano Dio per la sua conversione.

I due popoli d'Israele.
7.
3. Non dubito che in relazione a questo significato si deve intendere ciò che segue: Israele sarà diviso in due parti 109, cioè nell'Israele nemico di Cristo e nell'Israele che si rende cristiano, nell'Israele che appartiene alla schiava e nell'Israele che appartiene alla libera 110. Dapprima questi due tipi erano insieme come se Abramo fosse ancora unito alla schiava fino a quando la sterile, resa feconda mediante la grazia di Cristo, gridò: Manda via la schiava e suo figlio 111. Sappiamo che a causa del peccato di Salomone, durante il regno del figlio Roboamo, Israele fu scisso in due Stati e che così continuò, poiché ogni parte aveva il suo re, fino a che tutto il popolo fu desolato dai Caldei con un rovinoso saccheggio e condotto in esilio. Evidentemente il fatto non riguarda Saul poiché, se un simile castigo doveva essere comminato, doveva essere comminato a Davide, dato che Salomone era suo figlio. Infine ora il popolo ebraico non è in sé diviso ma è indiscriminatamente sparso per il mondo nella comunanza del medesimo errore. La divisione, che Dio ha minacciato al regno e al popolo ebraico nella persona di Saul, che rappresentava allegoricamente il regno e il popolo, è stata simboleggiata, in quanto eterna nella sua immutabilità, con i concetti che sono stati aggiunti: Non si convertirà e non si pentirà, non è di lui il pentirsi perché non è come l'uomo che promette e poi non mantiene 112. È l'uomo che promette e non mantiene, non Dio che non si pente come l'uomo. Nei passi in cui si legge che si pente viene indicato il divenire delle cose mentre la prescienza divina rimane fuori del divenire. Dove dunque si dice che non si pente, s'intende che non è nel divenire.

I due ordini di credenti.
7.
4. Notiamo dunque da queste parole che da Dio fu pronunciata una sentenza irrevocabile e assolutamente indefettibile sulla distinzione del popolo d'Israele. Tutti coloro infatti che da esso sono passati, passano o passeranno a Cristo non provenivano da esso secondo la prescienza di Dio, non ne provenivano secondo l'unica e medesima natura dell'uman genere. Certamente tutti gli Israeliti che, divenuti seguaci di Cristo, persistono in lui, giammai saranno con quegli Israeliti che permangono suoi nemici sino alla fine di questa vita, ma rimarranno per sempre in quella divisione che è stata prevista dal passo citato. Non giova l'Antica Alleanza, che dal monte Sinai genera alla schiavitù 113, se non offre una testimonianza alla Nuova Alleanza. Del resto finché si ascolta Mosè un velo è posto sui loro occhi, quando da lui si passa a Cristo, il velo viene tolto 114. Difatti il punto di vista di coloro che fanno il passaggio cambia dall'Antica alla Nuova Alleanza, sicché non s'intende più avere l'appagamento della carne ma dello spirito. Allorché il grande profeta Samuele, prima di consacrare re Saul, gridò al Signore a favore d'Israele e il Signore lo ascoltò e quando compiva l'offerta di un sacrificio, mentre gli stranieri si preparavano al combattimento contro il popolo di Dio, il Signore fece udire un tuono sopra di loro ed essi si scompigliarono, andarono a cozzare con Israele e furono sconfitti. Egli prese una pietra e la collocò fra la nuova e la vecchia Massefat e la denominò Abennezer che significa "la pietra di Colui che soccorre" e disse: Fino a questo punto ci ha soccorso il Signore 115. Massefat si traduce "punto di vista" 116. La pietra di Colui che soccorre è la posizione di mezzo del Salvatore, attraverso il quale si deve passare dalla vecchia Massefat alla nuova, cioè dal punto di vista con cui nel regno carnale si attendeva la falsa felicità della carne al punto di vista con cui mediante la Nuova Alleanza si attende nel regno dei cieli la felicità dello spirito sommamente vera. Il Signore ci ha soccorso fino a questo punto perché nessun bene è ad essa superiore.

Profetismo in Davide e nei Salmi [8-19]

Promessa di un regno eterno a Davide...
8.
1. Noto che ora si deve trasferire l'indagine, per quanto attiene all'argomento che sto trattando, sull'oggetto della promessa di Dio a Davide, successore di Saul nel regno, dalla cui trasformazione è stata allegorizzata la trasformazione definitiva, in riferimento alla quale per divina ispirazione sono stati espressi e trasmessi tutti questi concetti. Poiché si verificarono parecchi avvenimenti favorevoli al re Davide, egli decise di costruire a Dio una casa, cioè il magnifico e rinomato tempio che in seguito fu edificato dal figlio Salomone. Mentre rifletteva sulla cosa, al profeta Natan fu rivolta la parola del Signore perché la riferisse al re. Dio, dopo avergli manifestato che la sua casa non doveva essergli edificata da Davide e che per lungo tempo non aveva incaricato qualcuno perché gli fosse eretta una casa di cedro, soggiunse: Ora dirai al mio servo Davide: Dice il Signore onnipotente: Ti ho preso dal pascolo del gregge affinché tu fossi capo del mio popolo Israele ed ero con te in tutti i luoghi in cui andavi e ho sterminato davanti a te tutti i tuoi nemici e ti ho reso famoso fra i grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo al mio popolo Israele, ve lo stabilirò ed esso abiterà nella propria casa, non sarà più turbato e l'iniquo non oserà più opprimerlo come in passato quando ho dovuto stabilire i Giudici sul mio popolo Israele, ti darò pace liberandoti da tutti i tuoi nemici e il Signore ti avvertirà di edificargli una casa. Avverrà quando i tuoi giorni saranno al completo e ti addormenterai con i tuoi antenati, farò sorgere dopo di te la tua discendenza che proverrà dalle tue viscere e allestirò il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò sicuro il suo trono in eterno. Io sarò per lui come un padre ed egli per me come un figlio. E se agirà male, lo castigherò con lo scudiscio degli uomini e con i colpi che assestano i figli degli uomini ma non ritirerò da lui il mio favore come l'ho ritirato da coloro che ho rimosso dal mio viso. La sua casa e il suo regno saranno fedeli in eterno a me e il suo trono sarà reso stabile in eterno 117.

... che non si realizza in Salomone...
8.
2. Sbaglia di grosso chi ritiene che si adempì in Salomone una promessa così sublime. Volge l'attenzione all'inciso: Mi edificherà una casa, perché Salomone fece costruire il tempio assai celebre, ma non tiene presente l'altro: La sua casa e il suo regno saranno fedeli in eterno a me 118. Tenga presente dunque e consideri la casa di Salomone piena di donne straniere che adoravano falsi dèi e che da esse il re stesso, una volta tanto sapiente, fu trascinato e fatto precipitare nella medesima idolatria 119, non osi giudicare o che Dio fece una promessa menzognera o che non poté aver prescienza che Salomone e la sua casa divenissero così abietti. Non dovremmo essere messi in dubbio da quelle parole anche se non fossimo consapevoli che si sono adempiute in Cristo Signore nostro, venuto al mondo dalla discendenza di Davide secondo la razza 120 e che per ingannevole illusione ne attendessimo un altro come i Giudei fedeli alla razza. Anche essi comprendono, nel leggere il passo, che non è stato Salomone il figlio promesso al re Davide al punto che con singolare accecamento dicono di aspettarne ancora uno diverso da quello che si è rivelato con tanta evidenza per quello che è stato promesso. Si è avuta una certa allusione a un evento futuro in Salomone per il fatto che costruì il tempio e realizzò la pace in aderenza al proprio nome, perché Salomone in un idioma latino significa "operatore di pace" e all'inizio del suo regno fu meravigliosamente degno d'encomio. Ma anche egli, con la sua personalità attraverso l'adombramento del futuro, preannunciava, non rappresentava Cristo Signore. Quindi sono state tramandate di lui alcune notizie, come se le parole citate fossero una predizione sulla sua persona, mentre la Scrittura santa, anche quando profetizza mediante fatti avvenuti, configura in qualche modo in lui l'allegoria di avvenimenti futuri. Infatti, oltre i libri storici della Bibbia, in cui si narra che fu re, anche il Salmo settantuno è intestato al suo nome. In esso sono esposte tante idee che non è assolutamente possibile applicare a lui e al contrario con luminosa chiarezza si applicano a Cristo Signore, sicché appare con evidenza che in Salomone è stata accennata una certa allegoria e in Cristo è stata manifestata la stessa verità dei fatti. È noto da quali confini era limitato il regno di Salomone, eppure in quel Salmo si legge, per non parlare d'altro: Sarà signore da un mare all'altro e dal fiume fino ai confini della terra 121. Comprendiamo che questa predizione si è realizzata in Cristo. Iniziò ad esser signore dal fiume quando, battezzato da Giovanni, dietro la sua segnalazione iniziò ad essere conosciuto dai discepoli che lo chiamarono non solo Maestro ma anche Signore 122.

... ma in Cristo.
8.
3. Salomone cominciò a regnare mentre il padre era ancora in vita, privilegio che non capitò a nessun altro di quei re per il solo motivo che da questa evenienza risulti chiaro che non è lui a essere preannunciato nella suddetta profezia. Essa è rivolta al padre con le parole: Avverrà quando i tuoi giorni saranno al completo e ti addormenterai con i tuoi antenati, farò sorgere dopo di te la tua discendenza che proverrà dalle tue viscere e allestirò il suo regno 123. Ci chiediamo in qual senso sia possibile pensare che con le parole che seguono: Mi edificherà una casa sia stato predetto Salomone e non piuttosto che con quelle che precedono e cioè: quando i tuoi giorni saranno al completo e ti addormenterai con i tuoi antenati, farò sorgere dopo di te la tua discendenza s'intenda promesso un diverso operatore di pace. Si preannuncia infatti che egli sarebbe venuto al mondo non prima, come Salomone, ma dopo la morte di Davide. Anche se Gesù Cristo doveva venire dopo molto tempo, era senza dubbio conveniente che venisse dopo la morte di Davide, al quale era stato promesso in quei termini affinché erigesse a Dio la dimora non di travi e pietre ma di uomini, quale appunto noi ci allietiamo di erigere. A questa casa, cioè ai credenti in Cristo, dice l'Apostolo: È santo il tempio di Dio che siete voi 124.

Nel Salmo 88 promessa a Davide di un regno eterno...
9.
Perciò anche nel Salmo ottantotto dal titolo: Avvertimenti allo stesso Etan l'Israelita si ricordano le promesse di Dio rivolte al re Davide. Alcune sue espressioni sono simili a quelle citate che si leggono nel Libro dei Re, come questa: Ho giurato a Davide mio servo: renderò stabile in eterno la tua discendenza 125. E ancora: Allora parlasti in visione ai tuoi figli e hai detto: Ho portato aiuto a un forte, ho innalzato un eletto tra il mio popolo. Ho trovato Davide mio servo, con il mio santo olio l'ho consacrato, la mia mano lo sosterrà e il mio braccio lo renderà forte. Su di lui non trionferà il nemico né l'opprimerà il disonesto. Abbatterò davanti a lui i suoi nemici e metterò in fuga quelli che lo odiano. La mia fedeltà e il mio aiuto saranno con lui e nel mio nome s'innalzerà la sua fronte. Stenderò sul mare la sua mano e sui fiumi la sua destra. Egli m'invocherà: Tu sei mio padre, mio Dio e operatore della mia salvezza. Io lo costituirò mio primogenito, il più alto fra i re della terra. Gli conserverò in eterno il mio aiuto e la mia alleanza gli sarà fedele. Stabilirò per sempre la sua discendenza e il suo trono come i giorni del cielo 126. Tutte queste prerogative si rivelano in Gesù Signore allorché si rilevano con esattezza in riferimento al nome di Davide a causa dell'aspetto di servo che egli, il Mediatore, ha assunto dalla Vergine nella stirpe di Davide. In seguito si fa un rilievo sulle colpe dei figli, simile a quello esposto nel Libro dei Re e che quasi con immediatezza si riferisce a Salomone. In esso infatti, cioè nel Libro dei Re, la Scrittura dice: E se agirà male, lo castigherò con lo scudiscio degli uomini e con i colpi che assestano i figli degli uomini, ma non ritirerò da lui il mio aiuto 127. Con i colpi voleva indicare le percosse della riprensione. Quindi l'espressione: Non toccate i miei consacrati 128 significa certamente "Non offendeteli". Anche nel Salmo citato, come se il soggetto fosse Davide, poteva dire qualcosa di simile: Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non seguiranno i miei decreti, se violeranno i miei ordinamenti e non osserveranno i miei comandi, punirò con lo scudiscio il loro peccato e con le percosse la loro colpa ma non toglierò a lui il mio aiuto 129. Non ha detto: "A loro", eppure parlava dei suoi figli, non di lui, ma ha detto: A lui, inciso che ben inteso significa la medesima cosa. Non è possibile infatti che di Cristo stesso, capo della Chiesa, siano le colpe che occorre frenare con la riprensione mediante l'aiuto accordato da Dio. Sono nel suo corpo e nei seguaci che sono il suo popolo. Quindi nel Libro dei Re si ha l'inciso: La sua iniquità e nel Salmo l'altro: Dei suoi figli per farci capire che per traslato si dice di lui quel che riguarda il suo corpo. Anche egli dal cielo, quando Saulo perseguitava il suo corpo, cioè i credenti in lui, disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 130. Nei versicoli successivi del Salmo dice: Nella mia lealtà non recherò offesa, né violerò la mia alleanza e non disdirò le parole che escono dalla mia bocca. Ho giurato una volta per sempre nella mia santità: Se mentirò a Davide 131, cioè: Mai mentirò a Davide. La Bibbia spesso si esprime così. Soggiunge l'oggetto sul quale non mentisce con le parole: In eterno rimane la sua discendenza; il suo trono davanti a me come il sole, sempre saldo come la luna, testimone fedele nel cielo 132.

... che simboleggia il Cristo...
10.
Dopo queste energiche conferme di una promessa così solenne, affinché non si ritenessero compiute in Salomone, come se si fosse atteso e non raggiunto un intento, il Salmo soggiunge: Ma tu, Signore, lo hai respinto e abbattuto 133. Questo destino si avverò riguardo al regno di Salomone nei suoi successori fino alla eversione della Gerusalemme terrena, che fu la metropoli del regno, e soprattutto dopo la distruzione del tempio che era stato eretto da Salomone 134. Ma affinché non si pensasse che Dio aveva agito contro le sue promesse, subito aggiunse: Hai rinviato il tuo cristo 135. Dunque non è Salomone né Davide se il Cristo del Signore è stato rinviato. Erano chiamati cristi tutti i re consacrati col crisma sacrale, non solo da Davide in poi, ma anche da Saul che fu unto come primo re per il medesimo popolo perché anche Davide lo chiama cristo del Signore 136. Tuttavia uno solo era il vero Cristo, di cui essi rappresentavano l'allegoria con la consacrazione profetica. Egli, secondo l'opinione degli uomini i quali ritenevano che si dovesse ravvisare in Davide o in Salomone, era rinviato troppo a lungo, invece secondo l'ordinamento di Dio si disponeva che venisse a suo tempo. Mentre egli frattanto viene rinviato, il Salmo citato di seguito soggiunge ciò che sarebbe avvenuto del regno della Gerusalemme terrena, in cui si attendeva che egli avrebbe senz'altro regnato; afferma: Hai rotto l'alleanza col tuo servo, hai profanato nel fango la sua consacrazione, hai abbattuto tutte le sue mura e hai volto al terrore le sue trincee, tutti quelli che passavano per la strada lo hanno depredato, è divenuto la beffa dei suoi vicini, hai fatto trionfare la destra dei suoi rivali, hai fatto gioire tutti i suoi nemici, hai sottratto la capacità di difesa della sua spada e non lo hai sorretto nella guerra, l'hai ostacolato nel procacciarsi gloria, hai rovesciato a terra il suo trono, hai abbreviato i giorni del suo regno e lo hai coperto di vergogna 137. Tutte queste sventure piombarono sopra la Gerusalemme schiava, in cui regnarono anche alcuni figli della libera che tennero il regno terreno in gestione temporanea, che valutavano con la fede verace il regno della Gerusalemme celeste di cui erano figli, che attendevano il vero Cristo. La storia poi, basta leggerla, è segnalatrice degli avvenimenti in riferimento alle sventure che caddero sopra quel regno.

... Redentore dell'umanità.
11.
Dopo questi contenuti profetici il Profeta si volge a pregare Dio ma anche la sua preghiera è una profezia: Fino a quando o Signore volgi altrove, alla fine? 138. È sottinteso il tuo viso, come si dice in un altro Salmo: Fino a quando da me volgi altrove il tuo viso? 139. Per questo alcuni codici a questo punto non hanno: Volgi altrove, ma: "ti volgi altrove", sebbene si possa intendere: volgi altrove il tuo aiuto che hai promesso a Davide. L'inciso: Alla fine non significa altro che sino alla fine. In questa fine si deve ravvisare l'ultimo tempo quando anche il popolo giudaico crederà in Cristo Gesù. Era indispensabile che prima di quella fine avvenissero tutti i fatti che precedentemente il Salmo aveva deplorato come calamitosi. In riferimento ad essi soggiunge: La tua ira divampa come fuoco, ricordati qual è la mia essenza. In questo passo nulla di più appropriato s'intende che lo stesso Gesù come essenza del suo popolo, perché da esso proviene l'esistenza del suo essere fisico. Poiché non inutilmente, soggiunge, hai dato all'esistenza tutti i figli degli uomini 140. Se un solo figlio dell'uomo non fosse l'essenza d'Israele, affinché in questo figlio dell'uomo fossero riscattati molti figli degli uomini, senz'altro inutilmente sarebbero dati all'esistenza tutti i figli degli uomini. Ora ogni esistenza umana a causa del peccato del primo uomo è caduta dal vero essere all'inutilità dell'essere e per questo dice un altro Salmo: L'uomo è diventato tanto simile a una cosa inutile, i suoi giorni trascorrono come un'ombra 141. Però non inutilmente Dio ha dato all'esistenza tutti i figli degli uomini, perché ne riscatta molti dall'inutilità per opera di Gesù mediatore. E ha dato all'esistenza anche coloro di cui ha avuto prescienza che non sarebbero riscattati, senz'altro non inutilmente, nel sublime e giustissimo ordinamento della creatura ragionevole, per utilità dei riscattati e nel confronto per reciproca opposizione delle due città. Il Salmo soggiunge: Qual è l'uomo che vivrà e non vedrà la morte, trarrà fuori la propria anima dal potere dell'oltretomba? 142. Può essere soltanto Egli, che è essenza d'Israele dalla discendenza di Davide, Cristo Gesù. Di lui dice l'Apostolo che risorgendo dai morti più non muore e la morte non avrà più potere su di lui 143. Così vivrà e non vedrà più la morte, ma nel senso che è morto e ha tratto fuori la propria anima dal potere dell'oltretomba, in cui era disceso per sciogliere i lacci mortali di alcuni e se n'è tratto fuori con quel potere di cui dice nel Vangelo: Ho il potere di offrire la mia anima e il potere di riprenderla 144.

Il suo popolo casa di Dio è ingiuriato.
12.
I rimanenti concetti di questo Salmo sono così espressi: Dov'è, Signore, la tua benignità d'un tempo che nella tua fedeltà hai giurato a Davide? Ricordati, Signore, dell'insulto ai tuoi servi, perché ho represso nel cuore quello di molti popoli, perché i tuoi nemici, Signore, hanno oltraggiato, hanno oltraggiato la trasformazione del tuo Cristo 145. Si può ragionevolmente porre il problema se questi concetti sono stati espressi dalla prospettiva degli Israeliti, i quali desideravano che si adempisse per loro la promessa rivolta a Davide, o piuttosto dei cristiani i quali non sono Israeliti secondo la razza ma secondo lo spirito. Infatti sono stati espressi o scritti al tempo in cui visse Etan al cui nome è intestato il Salmo ed era pure il tempo del regno di Davide. Perciò non si avrebbe questa espressione: Dov'è, Signore, la tua benignità di un tempo che nella tua fedeltà hai promesso a Davide?, se la profezia di per sé non indicasse metaforicamente il modo di pensare di individui che sarebbero esistiti molto tempo dopo e per i quali era antico il tempo in cui furono fatte simili promesse a Davide. Si può intendere così che molti popoli pagani, quando perseguitavano i cristiani, rinfacciavano a loro la passione di Cristo che la Scrittura considera trasformazione, perché morendo divenne immortale. Si può anche intendere, stando a questa interpretazione, che la trasformazione di Cristo fu rimproverata ai Giudei perché, mentre si attendeva che fosse il loro Cristo, lo divenne dei popoli pagani. Ora infatti molti popoli pagani lo rinfacciano ad essi perché hanno creduto in lui mediante la Nuova Alleanza, mentre essi sono rimasti alla vecchia età. Quindi è possibile anche in questo caso dire: Ricordati, Signore, dell'insulto ai tuoi servi, giacché, dal momento che non li dimentica ma ne ha pietà, dopo questo insulto anche essi crederanno. Ma l'interpretazione, che ho indicato, mi sembra la più genuina. Infatti ai nemici di Cristo, ai quali si rimprovera che egli li ha abbandonati per passare ai popoli pagani, si adatta male l'espressione: Ricordati, Signore, dell'insulto ai tuoi servi. Non devono essere considerati servi del Signore simili Giudei ma queste parole riguardano coloro i quali, poiché subivano per il nome di Cristo le gravi umiliazioni delle persecuzioni, hanno potuto richiamare alla memoria che un regno nell'alto fu promesso alla discendenza di Davide. Nell'aspirazione ad esso han potuto dire non disperando ma chiedendo, attendendo, picchiando: Dov'è, Signore, la tua benignità di un tempo che nella tua fedeltà hai giurato a Davide? Ricordati, Signore, dell'insulto ai tuoi servi perché ho represso nel cuore (cioè ho pazientemente sopportato nella mia coscienza) quello di molti popoli pagani, perché i tuoi nemici hanno oltraggiato, Signore, hanno oltraggiato la trasformazione del tuo Cristo, perché non pensavano che fosse una trasformazione ma un annientamento. Poi l'inciso: Ricordati, Signore, significa certamente: Abbi pietà e al posto della mia bassezza, sopportata pazientemente, concedimi l'altezza che hai giurato a Davide nella tua fedeltà. Se vogliamo attribuire ai Giudei queste parole, han potuto dirle quei servi di Dio che, saccheggiata la Gerusalemme terrena, prima che Cristo venisse nel mondo, furono condotti in prigionia, se capivano la trasformazione di Cristo perché da lui si doveva attendere con fede non la felicità terrena e carnale, quale si ebbe nei pochi anni del re Salomone, ma la felicità celeste e spirituale. Quando, ignorandola, la miscredenza dei popoli pagani rinfacciava con insolenza che il popolo di Dio era prigioniero, non faceva altro che insultare la trasformazione del Cristo perché la ignorava ed essi la conoscevano. Quindi il pensiero che segue a conclusione del Salmo: La benedizione del Signore per sempre, amen, amen 146, conviene assai a tutto il popolo di Dio che appartiene alla celeste Gerusalemme, tanto in coloro che erano occulti nell'Antica Alleanza prima che fosse rivelata la Nuova, come in quelli che, ormai rivelata la Nuova Alleanza, appartengono apertamente al Cristo, come si può osservare. Non si deve attendere una benedizione del Signore che duri per un periodo di tempo, come si manifestò al tempo di Salomone, ma che duri in eterno e in questa infallibile attesa s'invoca: Amen, amen. È conferma di una simile attesa la ripetizione della parola. Davide, che capiva questa verità, dice nel Secondo Libro dei Re da cui son passato al Salmo citato: Tu hai parlato a favore della casa del tuo servo per un lontano avvenire 147. Perciò poco dopo soggiunge: Comincia adesso e benedici la casa del tuo servo fino all'eternità 148 e il resto. Davide appunto stava per generare un figlio, dal quale la sua posterità doveva giungere a Cristo, per la cui mediazione la sua casa sarebbe diventata eterna perché era anche la casa di Dio. Casa di Davide a motivo della stirpe di Davide ed anche casa di Dio a motivo del tempio di Dio, strutturato di uomini e non di pietre, in cui deve abitare in eterno il popolo con Dio, nel suo Dio, e Dio con il popolo, nel suo popolo. Così Dio appaga il suo popolo e il popolo è appagato dal suo Dio quando Dio sarà tutto in tutti 149, Egli premio nella pace perché coraggio nella battaglia. Quindi poiché con parole di Natan si dice: Il Signore ti avvertirà di edificargli una casa 150, poco dopo con parole di Davide: Tu, Signore onnipotente, Dio d'Israele, hai rivelato al tuo servo: ti edificherò una casa 151. Anche noi edifichiamo questa casa vivendo onestamente, aiutandoci Dio affinché viviamo onestamente perché se il Signore non edificherà la casa, invano hanno lavorato quelli che la edificavano 152. Quando avverrà l'ultima inaugurazione di questa casa, allora si avvererà ciò di cui ha parlato il Signore mediante Natan con le parole: Fisserò un luogo al mio popolo Israele, ve lo stabilirò ed esso abiterà nella propria casa, non sarà più turbato e l'iniquo non oserà più opprimerlo come in passato quando ho dovuto stabilire i Giudici sul mio popolo Israele 153.

La pace vera.
13.
Chi attende un bene così grande nel tempo e nel mondo ragiona da sciocco. Non si penserà certo che esso sia stato conseguito nella pace del regno di Salomone. La Scrittura, sia pure con linguaggio meraviglioso, addita la pace vera nell'ombra del futuro. Però con attenzione è stata da lei evitata questa falsa supposizione poiché, dopo aver detto: E l'iniquo non oserà più opprimerlo, si ha subito l'aggiunta: Come in passato quando ho dovuto stabilire i Giudici sul mio popolo Israele 154. I Giudici, prima che dominassero i re, erano stati costituiti sopra il popolo da quando esso aveva occupato la Terra promessa. Lo opprimeva l'iniquo, cioè lo straniero nemico, in quegli intervalli di tempo in cui, come è scritto 155, la pace si avvicendava con la guerra e in quell'epoca si riscontrano periodi di pace più lunghi di quelli che ottenne Salomone, il quale regnò quarant'anni 156. Difatti sotto il giudice Eud si ebbero ottant'anni di pace 157. Non si deve quindi affatto ritenere che in quella predizione sia designata l'età di Salomone e molto meno di qualsiasi altro re. Nessuno di loro regnò in una continua pace come lui e assolutamente mai quel popolo ebbe un regno tale da non preoccuparsi di venire assoggettato dai nemici. Infatti nell'incessante crisi delle cose umane a nessun popolo fu consentita tanta sicurezza da non temere gli attacchi che amareggiano questa esistenza. Il luogo dunque che viene promesso per una dimora tanto serena e tranquilla è eterno ed è destinato agli eterni nella libera madre Gerusalemme in cui esisterà secondo verità il popolo d'Israele. Questo nome si traduce: "colui che vede Dio" 158. Nell'aspirazione a questo premio si deve condurre in questo travagliato esilio una vita devota mediante la fede.

Davide e i Salmi.
14.
Dunque Davide regnò mentre la città di Dio si evolveva attraverso il tempo, dapprima nell'ombra del futuro, cioè nella Gerusalemme terrena. Davide era un uomo competente nei versi destinati al canto, egli amò il ritmo musicale non per un diletto che è di tutti, ma per religiosa aspirazione, e consacrò quei versi al suo Dio, che è il vero Dio, nella mistica allegoria di un grande avvenimento. Difatti l'accordo, dovuto alla misura razionale e alla modulazione di suoni diversi, fa pensare all'unità, ottenuta con armonica varietà, di una città bene ordinata. Poi quasi tutta la sua produzione profetica è nei Salmi, il Libro che definiamo dei Salmi ne contiene centocinquanta. Alcuni sostengono che sono stati composti da Davide quelli di essi che sono intestati al suo nome. Vi sono anche alcuni i quali ritengono che non sono stati composti da Davide se non quelli che sono intitolati: Dello stesso Davide, quelli invece che hanno nel titolo: Allo stesso Davide, composti da altri, sarebbero stati adattati al suo modo di esprimersi. Questa ipotesi è confutata dalla parola dello stesso Salvatore, contenuta nel Vangelo, in cui egli dice che Davide sotto ispirazione ha chiamato il Cristo suo Signore 159. Il Salmo centonove appunto comincia: Oracolo del Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi 160. E certamente questo Salmo non ha nel titolo: Dello stesso Davide, ma: Allo stesso Davide, come parecchi altri. A me personalmente sembra che giudichino con maggiore attendibilità coloro i quali attribuiscono alla sua produzione tutti i centocinquanta Salmi e che egli ne intestò alcuni col nome di altre persone le quali erano allegoria di un qualche significato attinente all'argomento trattato e non volle che i rimanenti avessero nella intestazione il nome di un uomo. Agì, cioè, come il Signore gli indicò per ispirazione di comporre la disposizione, certamente misteriosa ma non inutile, della varia attribuzione. Non deve spingere a rifiutare questa ipotesi il fatto che nel libro ad alcuni Salmi sono assegnati nomi di Profeti che vissero molto tempo dopo l'età del re Davide e che danno l'impressione di parlare a nome proprio 161. L'ispirazione profetica ha potuto suggerire al re Davide, mentre profetava, i nomi di futuri Profeti in modo che si salmodiasse in tono di profezia un argomento che si addiceva alla loro personalità. Ad esempio il re Giosia, che doveva venire al mondo e regnare dopo più di trecento anni, fu palesato assieme al nome a un Profeta che predisse anche la sua attività avvenire 162.

Prolusione critica sui Salmi.
15.
Ora si attende da me, me ne accorgo, che a questo punto del libro esprima che cosa nei Salmi Davide ha previsto del Signore Gesù Cristo e della sua Chiesa. Per non farmi eseguire questa operazione, come pare che l'attesa stia chiedendo, sebbene l'ho già fatto per un Salmo, sono ostacolato più dall'eccedenza che dalla scarsità. Mi sento inibito dal parafrasarli tutti a motivo della prolissità. Se ne sceglierò alcuni, può sembrare, come temo, a molti i quali conoscono che ho omesso i più necessari. Poi la documentazione che si offre deve avere la conferma dal contesto di tutto il Salmo in modo che eventualmente non vi sia qualche elemento che disdice, anche se tutti non confermano. Non deve sembrare che alla maniera dei centoni vado spiccando dei versetti, attinenti all'argomento che intendo trattare, da un grande componimento poetico che appare svolto non sull'argomento voluto ma su uno molto diverso. Affinché questo intento critico possa esser rilevato in qualsiasi Salmo, lo si deve esporre integralmente. I libri degli altri e miei, in cui ho trattato così l'assunto, indicano sufficientemente quale impegno richiedono. Chi vuole e può li legga dunque, vi troverà quante e quanto grandi verità il re e profeta Davide ha profetato del Cristo e della sua Chiesa, cioè del re e della città da lui fondata.

Salmo 44, prima parte: Cristo re.
16.
1. Sebbene su qualsiasi argomento si abbiano discorsi profetici palesemente specifici, è indispensabile che vi siano inseriti anche quelli metaforici i quali, soprattutto nei più lenti a capire, comportano per gli insegnanti un faticoso impegno nel dimostrare e spiegare. Alcuni discorsi però a prima vista appena si enunciano, lasciano intravedere Cristo e la Chiesa, sebbene rimangono da esaminare a tempo libero brani che meno si comprendono. Di questo stampo è uno dei Salmi: Ha proferito il mio cuore una lieta parola, io narro le mie imprese al re. La mia lingua è come lo stilo di scriba veloce. Sei il più bello tra i figli degli uomini, sulle tue labbra è diffusa la leggiadria, per questo ti ha benedetto Dio in eterno. Cingi la tua spada al fianco, o valoroso, nel tuo splendore e bellezza e aspira, procedi felicemente e regna per la verità, la mitezza e la giustizia e la tua destra ti farà avanzare meravigliosamente. Le tue frecce acute, o valoroso, poiché i popoli cadono sotto di te, colpiscono al cuore i nemici del re. Il tuo trono, o Dio, dura per sempre, lo scettro della rettitudine è lo scettro del tuo regno. Hai amato la giustizia e hai detestato l'empietà, perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio d'esultanza nel rapporto con i tuoi seguaci. Mirra, aloe e cassia dalle tue vesti e dai palazzi d'avorio, dai quali le figlie dei re ti hanno sorriso nella tua carica onorifica 163. Ogni individuo, anche se lento nel capire, può ravvisare nel brano il Cristo che annunciamo e in cui crediamo quando apprende che è Dio perché il suo trono è per sempre ed è consacrato da Dio, evidentemente come consacra Dio, cioè con un crisma non visibile ma spirituale e del mondo intelligibile. Non v'è certamente una persona tanto ignorante in questa religione ovvero così insensibile alla sua celebrità ampiamente diffusa, la quale non sappia che Cristo è denominato da crisma, quanto dire dall'unzione. Dopo aver riconosciuto che Cristo è re, questa persona, ormai sottomessa a lui, che regna per la verità, la mitezza e la giustizia, esamini a tempo libero gli altri significati che nel brano sono stati espressi per metafora, cioè in che senso sia il più bello tra i figli degli uomini, di una singolare bellezza tanto più degna di amore e ammirazione quanto meno sensibile, cosa significano la spada, le frecce e gli altri concetti che sono così espressi, non con significato specifico ma metaforico.

Salmo 44, seconda parte: la Chiesa regina.
16.
2. Poi ravvisi la sua Chiesa congiunta a uno sposo così grande con unione spirituale e amore divino. Di essa si dice nei versi che seguono: Alla tua destra si è fermata la regina con vestito tessuto d'oro e con vari ornamenti. Ascolta, o figlia, guarda e porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre, poiché il re ha desiderato ardentemente la tua bellezza: egli è il tuo Dio. Si prostreranno davanti a lui le giovinette di Tiro portando doni, i ricchi del popolo vorranno vedere il tuo volto. Tutto lo splendore della figlia del re è dall'interno, è rivestita in vari ornamenti in frange d'oro. Le fanciulle saranno condotte al re dopo di lei, le più vicine a lui saranno condotte a te. Saranno condotte in gioia ed esultanza, guidate nel palazzo del re. Al posto dei tuoi padri ti sono nati dei figli, li farai capi su tutta la terra. Si ricorderanno del tuo nome di generazione in generazione. Perciò i popoli ti loderanno in eterno, per sempre 164. Non penso che ci sia qualcuno tanto insensato da ritenere che nel testo venga esaltata nei vari tratti una povera donna qualsiasi, la moglie, cioè, di colui al quale sono state già rivolte le seguenti parole: Il tuo trono, o Dio, dura per sempre, lo scettro della rettitudine è lo scettro del tuo regno. Hai amato la giustizia e hai detestato l'empietà, perciò Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio d'esultanza nel rapporto con i tuoi seguaci, certamente Cristo in riferimento ai cristiani. Sono suoi seguaci coloro dalla cui concorde unità in tutti i popoli si pone nei fatti questa regina, come di lei si dice in un altro Salmo: La città del gran Re 165. È la Sion in senso spirituale. Questa parola tradotta in lingua latina significa "contemplazione" 166. Difatti ella contempla il grande bene della vita fuori del tempo poiché ad essa è rivolta la sua aspirazione. Ella è anche la Gerusalemme sempre in senso spirituale, della quale ho già parlato abbastanza 167. La sua nemica è la città del diavolo, Babilonia, che si traduce "confusione". Libera da questa Babilonia la regina in parola è affrancata in tutti i popoli mediante la rigenerazione e da un re molto cattivo passa a uno molto buono, cioè dal diavolo a Cristo. Le viene detto perciò: Dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre. Della città miscredente fanno parte anche gli Israeliti soltanto per razza e non per fede, perché anche essi sono nemici del gran Re e della sua Regina. Difatti venuto al mondo fra di loro e da loro ucciso, è divenuto capo di altri che non ha intravisto nella razza. In proposito, nella predizione di un Salmo, afferma lo stesso nostro re: Mi scamperai dalle rivolte del popolo, mi porrai a capo delle nazioni. Un popolo, che non conoscevo, mi ha servito, subito all'ascoltarmi mi ha ubbidito 168. Dunque questo popolo di nazioni pagane, che non ha conosciuto Cristo nella presenza fisica e che ha creduto nel Cristo annunciato, sicché giustamente di esso si dice: Subito nell'ascoltarmi mi ha ubbidito, poiché la fede proviene dall'ascolto 169, questo popolo, dico, aggiunto ai veri Israeliti nella natura umana e nella fede, è la città di Dio. Essa, quando era composta di soli Israeliti, ha generato lo stesso Cristo secondo l'umana natura. Le apparteneva infatti la Vergine Maria, nella quale il Cristo, per essere uomo, assunse l'umana natura. Della città un altro Salmo dice: Della metropoli Sion, si dirà, l'uomo è nato in essa e l'Altissimo le ha dato salde fondamenta 170. L'Altissimo è certamente Dio. E perciò Cristo Dio, prima che in quella città divenisse uomo in Maria, egli stesso le diede salde fondamenta nei Patriarchi e Profeti. Dunque a questa città di Dio regina tanto tempo prima è stato predetto mediante una profezia un evento che vediamo già avverato: Al posto dei tuoi padri ti sono nati dei figli, li farai capi su tutta la terra 171. Alcuni tra i suoi figli infatti sono stati eletti in tutta la terra anche come suoi padri quando la riconoscono i popoli giungendo insieme al riconoscimento di un ideale eterno per sempre. Senza dubbio tutto ciò che nel Salmo è stato espresso velatamente con discorsi metaforici, comunque s'interpreti deve essere applicato a questi significati tanto evidenti.

Cristologia dei Salmi 109 e 21.
17.
Anche nel Salmo in cui con assoluta evidenza il Cristo viene dichiarato sacerdote come è dichiarato re nel Salmo citato: Ha detto il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi 172, è oggetto di fede e non d'esperienza che Cristo siede alla destra del Padre. Non si manifesta ancora che i nemici saranno posti sotto i suoi piedi, sta avvenendo, ma si manifesterà alla fine. Anche questa verità ora è oggetto di fede, poi di conoscenza. Però il pensiero che segue: Il Signore stenderà da Sion lo scettro del tuo potere e tu domina in mezzo ai tuoi nemici 173 è talmente chiaro che sarebbe negato non solo per mancanza di fede e di correttezza ma perfino di pudore. Anche i nemici ammettono che da Sion fu promulgata la legge di Cristo, che noi chiamiamo Vangelo, e riconosciamo lo scettro del suo potere. Che poi domina in mezzo ai suoi nemici lo attestano essi stessi, in mezzo ai quali domina, perché digrignano i denti, sudano a freddo e non possono nulla contro di lui. Dopo poco il Salmo continua: Il Signore ha giurato e non si pentirà, e con queste parole attesta che sarà immutabile ciò che aggiunge: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedec 174. E poiché in nessun luogo ormai sono in vigore il sacerdozio e il sacrificio secondo l'ordine di Aronne e in ogni luogo si offre con Cristo sacerdote quello che offrì Melchisedec quando benedisse Abramo 175, nessuno può mettere in discussione chi sia colui di cui si parla. A questi evidenti significati si riferiscono quelli che nel medesimo Salmo sono stati espressi in forma un po' più oscura, se si interpretano bene. L'ho già fatto nei miei discorsi al popolo. V'è un altro Salmo in cui Cristo espone profeticamente l'abiezione della sua passione con le parole: Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi, hanno contato tutte le mie ossa, essi mi hanno guardato e osservato 176. Con queste parole ha indicato il corpo disteso sulla croce con le mani e i piedi confitti e trapassati dalla perforazione dei chiodi e che in questo modo si era offerto come qualcosa da vedere a coloro che guardavano e osservavano. Continua: Si sono divise le mie vesti e hanno gettato la sorte sulla mia tunica 177. Si narra nel Vangelo come si è adempiuta questa profezia 178, anche gli altri particolari, che nel Salmo sono stati esposti meno chiaramente, s'intendono nel vero significato se si accordano con quelli che sono segnalati per una verifica in atto. Questo soprattutto perché i fatti che, come possiamo notare, non appartengono ancora al passato ma li costatiamo presenti, si possono osservare nel loro verificarsi in tutto il mondo nei termini in cui nel Salmo sono stati preannunciati. Ad esempio poco dopo si dice nel Salmo: Ricorderanno e torneranno al Signore tutti i confini della terra e si prostreranno davanti a lui tutte le stirpi dei popoli, poiché il regno è del Signore, egli domina sui popoli 179.

I Salmi 3 e 40 sulla risurrezione.
18.
1. Le predizioni dei Salmi non hanno passato sotto silenzio la sua risurrezione. Nel Salmo tre viene esaltata questa verità con parole pronunciate in prima persona: Io mi sono coricato e mi sono addormentato, ma mi sono svegliato perché il Signore mi sorreggerà 180. Non si può vaneggiare al punto da credere che il Profeta ci ha voluto segnalare come grande avvenimento il fatto che si è addormentato e poi s'è svegliato, se questo sonno non fosse la morte e il risveglio la risurrezione che era conveniente predire di Cristo in questi termini. Nel Salmo quaranta molto più palesemente è esposta questa verità. In esso, sempre dalla prospettiva della persona dello stesso Mediatore, al solito fatti previsti come futuri sono narrati come passati poiché, se dovevano avvenire, erano come avvenuti in quanto certi nella predestinazione e prescienza di Dio. Egli dice: I nemici mi hanno augurato il male: quando morirà e scomparirà il suo nome? Se qualcuno è entrato per visitarmi, il suo cuore ha detto il falso e ha accumulato malizia. Usciva fuori e parlava assieme agli altri. Contro di me sussurravano tutti i miei nemici, pensavano il male contro di me. Hanno accolto contro di me un presagio malvagio: forseché chi dorme non ottiene di rialzarsi? 181. Queste parole hanno una intonazione tale da suggerire che quel tale intendeva dire: Forseché chi è morto non ottiene di risorgere? Le parole precedenti fanno comprendere che i nemici hanno augurato e predisposto la sua morte e che la congiura era stata organizzata da colui che era entrato per visitare ed era uscito per tradire. Ad ognuno a questo punto viene in mente Giuda, da discepolo diventato traditore. Poiché dunque stavano per eseguire ciò che complottavano, stavano cioè per ucciderlo, il Mediatore, mostrando che invano per sciocca malvagità stavano per uccidere uno che sarebbe risorto, ha aggiunto questa frase, come a dire: "Cosa fate, stupidi?". Il vostro delitto è per me un sonno: Forseché chi dorme non otterrà di rialzarsi? Tuttavia nelle frasi seguenti manifesta che non impunemente hanno commesso un così grande misfatto: Anche l'amico in cui ho sperato, egli che mangiava i miei pani, ha premuto il calcagno sopra di me, cioè mi ha calpestato. Ma tu, Signore, aggiunge, abbi pietà di me, fammi rialzare e io li ripagherò 182. Non può negare questa punizione chi sa che dopo la passione e risurrezione di Cristo i Giudei furono completamente sterminati dal loro paese in una devastazione e massacro dovuti alla guerra. Ucciso da loro è risorto e frattanto ha fornito loro una temporanea ammonizione, oltre ciò che riserva ai non pentiti, quando giudicherà i vivi e i morti. Il Signore stesso Gesù, nel rivelare agli Apostoli il traditore col porgergli un pezzo di pane, fece riferimento al versetto di questo Salmo e dichiarò che si era avverato in lui: Chi mangiava i miei pani ha premuto il calcagno sopra di me 183. L'inciso: In cui ho sperato non riguarda il capo ma il corpo. Il Salvatore non ignorava chi fosse perché aveva già detto di lui: Uno di voi mi tradirà e: Uno di voi è un demonio 184. Ma al solito trasferisce in sé la persona dei propri seguaci e aggiudica a sé una loro attribuzione perché capo e corpo sono il medesimo Cristo. Si ha quindi nel Vangelo: Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare 185. Esplicitando questa frase ha detto: Quando l'avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me 186. Ha detto che si attendeva quel che si attendevano i suoi discepoli quando Giuda fu accolto fra gli Apostoli.

I Salmi 15 e 67 sulla morte redentrice.
18.
2. I Giudei non attendono che dovrà morire il Cristo che attendono 187. Perciò sostengono che non sia il nostro quello che hanno predetto la Legge e i Profeti, ma un loro Cristo, non saprei quale, che essi farneticano immune dalla soggezione alla morte. Perciò con sorprendente superficialità e accecamento sostengono che le frasi da me allegate non indicano la morte e la risurrezione ma il sonno e il risveglio. Ma grida loro il Salmo quindici: Perciò si è rallegrato il mio cuore e ha gridato di gioia la mia lingua ed anche il mio corpo riposerà nella speranza, perché non abbandonerai la mia anima nell'oltretomba né lascerai che il tuo santo veda la corruzione 188. Soltanto chi è risorto al terzo giorno poteva dire che il suo corpo riposava nella speranza che la sua anima non fosse abbandonata nell'oltretomba ma, ritornando ben presto ad esso, lo facesse risuscitare affinché non si corrompesse come si corrompono tutti i cadaveri. Certo non lo possiamo dire del profeta e re Davide. Anche il Salmo sessantasette grida: Il nostro Dio è un Dio che rende salvi ed anche del Signore è il passaggio della morte 189. Nulla si poteva dire più chiaramente. Il Dio che rende salvi è Gesù Signore che si traduce: "Salvatore" o "Datore di salvezza" 190. Il significato è stato reso manifesto quando, prima che nascesse dalla Vergine, fu annunciato: Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai loro peccati 191. Poiché per la remissione di questi peccati è stato versato il suo sangue, era certamente indispensabile che da questa vita non avesse altro passaggio che quello della morte. Perciò dopo questa espressione: Il nostro Dio è un Dio che rende salvi immediatamente si soggiunge: Anche del Signore è il passaggio della morte per mostrare che ci avrebbe salvato morendo. Ma con una certa meraviglia si dice: Anche del Signore, come a dire: "È tale la vita dei mortali che anche il Signore non poteva passare da essa in altra maniera che attraverso la morte".

Il Salmo 68 sulla impenitenza dei Giudei.
19.
Dato che i Giudei non si arrendono affatto alle attestazioni così palesi di questo preannuncio profetico e anche perché i fatti hanno approdato a una realizzazione così chiara ed evidente, si adempie certamente in loro quel che è espresso nel Salmo successivo a quello citato. Poiché anche in esso nell'intervento della persona di Cristo si preannunciano particolari attinenti alla sua passione, si segnala una circostanza - narrata apertamente nel Vangelo -: Hanno messo nel mio cibo fiele e nella mia sete mi han dato per bevanda l'aceto 192. E come se si trattasse di un banchetto e di cibi di tal fatta a lui offerti, subito soggiunge: La loro tavola diventi per loro una trappola, un'insidia e un inciampo, i loro occhi si offuschino e non vedano e piega sempre di più la loro schiena 193 e altre cose che non sono dette per malaugurio ma, nell'apparenza del malaugurio, previste nella profezia. Non fa meraviglia che non vedano fatti così evidenti coloro i cui occhi sono offuscati affinché non vedano. Non fa meraviglia se non guardano in alto le cose del cielo coloro il cui dorso è sempre piegato affinché siano chinati verso le cose della terra. Con queste espressioni metaforiche desunte dal corpo sono designati i difetti dello spirito. Affinché si dia un limite, bastano questi rilievi dai Salmi, cioè dalla profezia del re Davide. Scusino coloro che li leggono e conoscono tutte quelle verità e non si lamentino di quelle che sanno o suppongono che io abbia omesso sebbene forse più valide.

Da Salomone all'ultimo profetismo [20-24]

I nemici di Cristo e loro vocazione nei libri sapienziali.
20.
1. Davide regnò nella Gerusalemme terrena, ma come figlio della Gerusalemme celeste, molto esaltato per divina attestazione perché i suoi delitti furono cancellati dalla sua grande pietà mediante la salutare contrizione del pentimento al punto da essere fra quelli, di cui egli stesso ha detto: Beati coloro cui sono rimesse le colpe e perdonati i peccati 194. Dopo di lui regnò su tutto il medesimo popolo il figlio Salomone che, come è stato detto precedentemente 195, cominciò a regnare quando il padre era ancora in vita. Egli a buoni inizi fece seguire cattivi risultati. Lo danneggiò infatti il successo, che mette in crisi la coscienza dei sapienti, più di quanto gli giovasse la sapienza ora e per sempre degna di ricordo e allora lodata in ogni luogo 196. Si riscontra che anche egli ha profetizzato nei suoi tre libri accolti nell'autenticità canonica, cioè i Proverbi, l'Ecclesiaste, il Cantico dei cantici. L'uso ha prevalso, per una certa conformità nell'espressione, nel far attribuire a Salomone altri due, la Sapienza e l'Ecclesiastico, tuttavia i più versati non dubitano che non siano suoi. Tuttavia soprattutto la Chiesa occidentale fin dal principio li ha accolti come autentici. In uno di essi, chiamato la Sapienza di Salomone, è molto apertamente preannunciata la passione di Cristo. Vengono presentati gli empi suoi carnefici mentre dicono: Tendiamo insidie al giusto perché ci è sgradito ed è contrario alle nostre azioni, ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara suo figlio. È diventato per noi lo scherno dei nostri sentimenti. Ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri e coerente il suo modo di avanzare. Siamo considerati da lui come buffoni, schiva le nostre abitudini come immondezze, proclama beata la fine dei giusti e si vanta di avere Dio come padre. Vediamo se le sue parole sono vere, proviamo ciò che gli accadrà e vedremo quale sarà la sua fine. Se il giusto è figlio di Dio, Egli l'assisterà e lo libererà dalle mani dei suoi avversari. Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti per conoscere la sua deferenza e saggiare la sua rassegnazione. Condanniamolo a una morte infame, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà. L'hanno pensata così ma si sono sbagliati, la loro malizia li ha accecati 197. Nell'Ecclesiastico si preannuncia in questi termini la fede dei popoli pagani: Abbi pietà di noi, Signore Dio dell'universo, e infondi il tuo timore su tutti i popoli, alza la tua mano sui popoli stranieri e vedano la tua potenza. Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi, così ai nostri occhi mostrati grande fra di loro e riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto, che non c'è un Dio fuor di te, o Signore 198. Osserviamo che si è adempiuta in Gesù Cristo questa profezia presentata nella fattispecie dell'imprecare e del pregare. Però questi libri non si adducono con tanta sicurezza contro i dissenzienti, perché non sono inseriti nel canone dei Giudei.

Cristo, la Chiesa e le due città nelle opere di Salomone.
20.
2. Per dimostrare che riguardano Cristo e la Chiesa contesti simili che si leggono nei tre libri attribuiti con certezza a Salomone e che i Giudei ritengono canonici è necessaria una travagliata polemica la quale, se si pone in atto al momento, ci impegna più del necessario. Comunque nei Proverbi si legge che uomini disonesti dicono: Nascondiamo ingiustamente nella terra l'uomo giusto, divoriamolo come l'oltretomba un essere vivente ed eliminiamo dalla terra il ricordo di lui e impadroniamoci della sua ricca proprietà 199. Il passo non è tanto oscuro da non potersi applicare senza una faticosa analisi al Cristo e alla sua proprietà, la Chiesa. Anche il Signore Gesù in una parabola del Vangelo ha lasciato intravedere che i contadini disonesti hanno ragionato in quel senso: Questo è l'erede, su, uccidiamolo e avremo noi l'eredità 200. Il passo del medesimo libro, passo al quale ho precedentemente accennato quando ho parlato della sterile che ha avuto sette figli 201, di solito fu interpretato come riferito a Cristo e alla Chiesa, appena istituita, dagli esegeti i quali sanno che Cristo è la sapienza di Dio: La sapienza si è costruita la casa e ha innalzato sette colonne, ha immolato le vittime, ha versato il vino nella coppa e ha imbandito la tavola. Ha mandato i suoi servitori per invitare con un bando dall'alto al banchetto con le parole: Chi è ignorante? Venga da me. E ai privi d'ingegno ha detto: Venite, mangiate i miei pani e bevete il vino che ho versato per voi 202. Nel passo ravvisiamo la Sapienza di Dio, cioè il Verbo coeterno al Padre che nel grembo della Vergine si costruì come casa il corpo umano e che ad esso unì la Chiesa come membra al Capo, che sacrificò come vittime i martiri, che preparò la mensa col pane e col vino, in cui si manifesta anche il sacerdozio secondo l'ordine di Melchisedec, che ha chiamato gli ignoranti e i privi d'ingegno perché, come dice l'Apostolo, ha scelto ciò che nel mondo è debole per far arrossire i forti 203. Ma ai deboli di tal fatta Salomone ha rivolto anche la frase che segue: Abbandonate l'ignoranza per vivere e procuratevi la prudenza per avere la vita 204. Partecipare alla sua mensa è lo stesso che avere la vita. Difatti nell'altro libro, intitolato l'Ecclesiaste, dice: Non v'è bene per l'uomo se non ciò che mangerà e berrà 205. Con maggiore attendibilità nel passo si ravvisa ciò che riguarda la partecipazione alla mensa che lo stesso sacerdote Mediatore della Nuova Alleanza 206 offre secondo l'ordine di Melchisedech dal suo corpo e dal suo sangue. Questo sacrificio sottentrò a tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza che erano offerti come adombramento del futuro. Perciò anche nel Salmo trentanove ravvisiamo la voce del Mediatore che parla profeticamente: Non hai gradito sacrificio e offerta, ma mi hai dato un corpo 207, perché in luogo di tutti i sacrifici e offerte, si offre il suo corpo e si dispensa ai partecipanti. Che l'Ecclesiaste nel concetto del mangiare e del bere, che spesso ripete e raccomanda vivamente, non intenda il banchetto del piacere sensibile, lo dimostra la frase: È meglio andare in una casa in cui si piange che andare in una casa in cui si gozzoviglia; e poco dopo: Il cuore dei saggi nella casa in cui si piange e il cuore degli stolti nella casa in cui si fa baldoria 208. Ma penso che di questo libro si debba soprattutto richiamare ciò che riguarda le due città, una del diavolo e l'altra di Cristo e i rispettivi re, il diavolo e Cristo: Guai a te, dice, o paese che hai per re un ragazzo e i cui principi banchettano fin dal mattino. Felice te, o paese, il cui re è figlio di persone nate libere e i cui principi mangiano a tempo dovuto nel coraggio e non nella delusione 209. Ha paragonato il diavolo a un ragazzo a causa dell'avventatezza, dell'orgoglio, della leggerezza e impudenza e altri difetti che di solito sono in gran numero in questa età e ha assimilato Cristo a un figlio di uomini nati liberi, cioè dei santi Patriarchi che appartengono alla libera città, perché da essi discende secondo la razza 210. I principi della città terrena mangiano fin dal mattino, cioè prima dell'ora propizia perché non attendono la felicità autentica, che è la vera, nella vita d'oltre tempo, in quanto ambiscono bearsi alla svelta dell'incessante vicenda del tempo. Invece i principi della città di Cristo attendono con pazienza il tempo della felicità che non delude. Questo significa: Nel coraggio e non nella delusione, perché non inganna la speranza di cui l'Apostolo ha detto: La speranza non delude 211 e un Salmo dice: Coloro che ti attendono non saranno delusi 212. Infine il Cantico dei cantici è un vero e proprio diletto spirituale di pure intelligenze in occasione del connubio del Re e della Regina della città, cioè di Cristo e la Chiesa. Ma questo diletto è avvolto di rivestimenti allegorici affinché sia desiderato con maggiore ardore, sia scoperto con gioia più grande e appaia lo Sposo, cui si dice nel Cantico: La giustizia ti ha amato 213, e la Sposa che in esso ascolta: La carità nella tua tenerezza 214. Passo molte cose sotto silenzio per la sollecitudine di giungere alla fine di questa opera.

Il regno di Giuda e d'Israele.
21.
A stento si ha notizia che gli altri re degli Ebrei dopo Salomone abbiano preannunciato attraverso alcune velate allegorie delle loro parole o delle loro opere qualche significato attinente a Cristo e alla Chiesa, e questo sia in Giuda che in Israele. Così sono stati definiti gli stati di quel popolo da quando a causa della colpa di Salomone, al tempo del figlio Roboamo, che successe nel regno al padre, fu diviso per castigo di Dio. In particolare le dieci tribù che si aggiudicò Geroboamo, servo di Salomone, insediato re in Samaria, si chiamarono Israele, sebbene questo fosse il nome di tutto il popolo. Due tribù, cioè di Giuda e di Beniamino che per riguardo a Davide, affinché il regno della sua stirpe non fosse completamente eliminato, erano rimaste soggette a Gerusalemme, ebbero il nome di Giuda perché questa era la tribù originaria di Davide. L'altra tribù che apparteneva al medesimo regno, come ho detto, era quella di Beniamino, da cui proveniva Saul, re prima di Davide. Insieme le due tribù, come è stato detto, si denominavano Giuda e con questo appellativo si distinguevano da Israele che era in particolare l'appellativo delle dieci tribù che avevano un proprio re. Si aggiungeva come decimaterza la tribù di Levi perché era sacerdotale e addetta al servizio di Dio e non dei re. Giuseppe infatti, uno dei dodici figli d'Israele, costituì non una, come gli altri una per ognuno, ma due tribù, Efraim e Manasse. Tuttavia anche la tribù di Levi apparteneva piuttosto al regno di Gerusalemme perché vi era il tempio di Dio al quale si dedicava. Distribuito così il popolo, primo a regnare in Gerusalemme fu Roboamo, figlio di Salomone, e in Samaria Geroboamo, re d'Israele, servo di Salomone. E poiché Roboamo voleva vendicare con la guerra la quasi usurpazione della spartizione dello Stato, si proibì al popolo di combattere contro i fratelli perché Dio svelò, tramite un profeta, che era opera sua. Apparve quindi che nel fatto non v'era una colpa del re d'Israele o del popolo, ma che si era adempiuto il volere di Dio che puniva 215. Conosciuto questo suo volere, l'uno e l'altro Stato convissero in pace perché non era avvenuta una separazione della religione ma del regno.

Elia e l'idolatria nel regno d'Israele.
22.
Il re d'Israele Geroboamo non credette, a causa della perversa coscienza, in Dio che pure aveva riconosciuto veritiero nel promettergli e concedergli il regno. Temeva se si recava al tempio di Dio, che era in Gerusalemme, al quale tutta la nazione doveva recarsi per offrire il sacrificio secondo la Legge divina, che il popolo si distaccasse da lui e si restituisse alla stirpe di Davide in quanto discendenza regale 216. Quindi introdusse l'idolatria nel suo regno e con abominevole empietà trasse in errore il popolo di Dio vincolato con lui al culto degli idoli. Tuttavia Dio non cessò di rimproverare del tutto mediante Profeti non solo quel re, ma anche i successori e continuatori dell'empio culto e il popolo stesso. Vi furono infatti i grandi e insigni Profeti Elia e il discepolo Eliseo che compirono anche molti prodigi. A Elia che lamentava: Signore, hanno ucciso i tuoi Profeti, hanno demolito i tuoi altari, io son rimasto solo e tentano di togliermi la vita fu risposto che vi erano settemila persone che non avevano piegato il ginocchio a Baal 217.

Israele e Giuda nella storia.
23.
Anche nel regno di Giuda che apparteneva a Gerusalemme, nei vari tempi del succedersi dei re, non mancarono Profeti, come Dio disponeva d'inviarli o a preannunciare ciò che era opportuno o a biasimare le colpe e promuovere la giustizia. Anche in esso, sebbene molto meno che in Israele, vi furono re che offesero gravemente il Signore con i culti idolatrici e furono colpiti, assieme al popolo che loro si somigliava, di castighi appropriati. Tuttavia sono ricordate le non scarse benemerenze di re virtuosi, mentre siamo informati che in Israele tutti i re, chi più chi meno, furono disonesti. L'uno e l'altro Stato dunque, a seconda di come ordinava o permetteva la divina provvidenza, erano rinfrancati da avvenimenti favorevoli e depressi dalle sventure e in tal modo erano danneggiati non solo da guerre con lo straniero ma anche da guerre civili. Così, poiché esistevano determinate cause, si manifestavano la bontà o l'ira del Signore finché, crescendo il suo sdegno, tutta la popolazione non solo fu sgominata nel proprio territorio dai Caldei, che l'avevano debellata, ma anche in gran parte trasferita nelle regioni dell'Assiria, prima lo Stato denominato d'Israele in dieci tribù 218, poi quello di Giuda dopo la distruzione di Gerusalemme e la demolizione del suo magnifico tempio. In quelle regioni il popolo per settanta anni subì l'inazione dei prigionieri di guerra 219. Dopo quegli anni rimandato in patria, ricostruì il tempio che era stato demolito 220 e, sebbene molti di essi vivessero in terre straniere, la nazione non ebbe in seguito due Stati e due re nei singoli Stati, ma vi era un solo loro capo in Gerusalemme e tutti da ogni parte, dovunque e da dove fosse consentito, in tempi stabiliti si recavano al tempio di Dio che era nella città. Ma anche allora, non mancarono nemici da altri popoli e conquistatori. Cristo li trovò già tributari dei Romani.

Il profetismo fino a Giovanni.
24.
In tutto il periodo da quando ritornarono da Babilonia, dopo Malachia, Aggeo e Zaccaria, che profetarono in quel tempo, ed Esdra, i Giudei non ebbero più Profeti fino alla venuta del Salvatore se non un secondo Zaccaria, padre di Giovanni 221 e la moglie Elisabetta 222, quando era vicina la nascita di Cristo e, dopo la sua nascita, il vecchio Simeone 223 e la vedova assai anziana Anna 224 e ultimo lo stesso Giovanni 225. Egli giovane non predisse che sarebbe venuto il Cristo, ma con profetica conoscenza 226 lo mostrò ormai giovane ma sconosciuto. Perciò il Signore stesso ha detto: La Legge e i Profeti fino a Giovanni 227. Dal Vangelo ci sono note le parole profetiche di questi cinque e si legge in esso che prima di Giovanni anche la Vergine Madre 228 del Signore si espresse profeticamente. I Giudei non convertiti non accettano la profezia di questi ultimi, l'hanno accettata però i moltissimi di loro che hanno creduto al Vangelo. Allora realmente Israele è stato diviso in due parti con quella divisione che fu preannunciata dal profeta Samuele al re Saul come definitiva 229. Anche i Giudei non convertiti hanno accolto per ultimi nell'autenticità dell'ispirazione divina Malachia, Aggeo, Zaccaria ed Esdra. Anche i loro scritti sono come quelli di altri che, sebbene assai pochi in un numero tanto grande di Profeti, hanno lasciato scritti che meritano l'autenticità del canone. Ritengo che alcune delle loro predizioni, riguardanti Cristo e la sua Chiesa, si devono esaminare in questa opera. Però più opportunamente si farà, con l'aiuto del Signore, nel libro seguente per non gravare ulteriormente questo già abbastanza esteso.

 

LIBRO XVIII

SOMMARIO

1. Argomenti trattati nei diciassette libri fino alla venuta del Salvatore.

2. Re e periodi della città terrena, ai quali dalla nascita di Abramo sono riferiti i periodi dei santi d'Israele.

3. Quali sovrani regnavano in Assiria e a Sicione quando ad Abramo centenario nacque secondo la promessa Isacco e quando allo stesso Isacco sessantenne nacquero da Rebecca i gemelli Esaù e Giacobbe.

4. L'epoca di Giacobbe e del figlio Giuseppe.

5. Api fu re di Argo e gli Egiziani lo onorarono come dio dopo averlo denominato Serapide.

6. Chi regnava ad Argo e chi in Assiria quando Giacobbe morì in Egitto?

7. Sotto quali re Giuseppe morì in Egitto?

8. I re sotto i quali nacque Mosè e divinità di cui in quel tempo si affermò il culto.

9. Periodo in cui fu fondata Atene e motivo del nome secondo Varrone.

10. Opinione di Varrone sulla denominazione dell'Areopago e sul diluvio di Deucalione.

11. Tempo in cui Mosè fece uscire il popolo di Dio dall'Egitto e re durante il cui regno morì Giosuè di Nun che gli successe.

12. Feste di falsi dèi che i re di Grecia istituirono negli anni che si calcolano dall'uscita d'Israele dall'Egitto alla morte di Giosuè di Nun.

13. Mitologia sorta nel periodo in cui i Giudici cominciarono a governare gli Ebrei.

14. I poeti teologi.

15. Fine del regno di Argo. Tempo in cui a Laurento Pico, figlio di Saturno, per primo ebbe il regno di suo padre.

16. Diomede dopo la distruzione di Troia fu annoverato fra gli dèi e si credette che i suoi compagni fossero cambiati in uccelli.

17. Il pensiero di Varrone sulle incredibili metamorfosi umane.

18. Che cosa si deve pensare delle metamorfosi che con l'arte dei demoni, come sembra, capitano agli uomini?

19. Enea venne in Italia nel tempo in cui il giudice Labdon dirigeva gli Ebrei.

20. Successione del potere regio in Israele dopo il periodo dei Giudici.

21. Re del Lazio, dei quali il primo Enea e il dodicesimo Aventino divennero dèi.

22. Roma fu fondata nel periodo in cui cadde il regno d'Assiria ed Ezechia era re nel regno di Giuda.

23. Della Sibilla Eritrea, a preferenza delle altre Sibille, si sa che ha preannunziato molti avvenimenti sul Cristo.

24. Durante il regno di Romolo furono famosi i sette sapienti e nel medesimo tempo le dieci tribù denominate d'Israele furono condotte in schiavitù dai Caldei. Romolo dopo la morte fu celebrato col culto dovuto a un dio.

25. Quali filosofi si segnalarono mentre a Roma regnava Tarquinio Prisco, presso gli Ebrei Sedecia, quando Gerusalemme fu occupata e il tempio distrutto.

26. Nel tempo in cui, dopo settant'anni, terminò la schiavitù dei Giudei, anche i Romani furono liberati dal dominio dei re.

27. Cominciò il periodo dei Profeti, che consegnarono ai libri le proprie predizioni e che previdero molte cose sulla vocazione dei pagani, quando iniziò il regno di Roma e terminò quello d'Assiria.

28. Che cosa Osea ed Amos hanno profetato sugli avvenimenti relativi al Vangelo del Cristo?

29. Verità che Isaia ha predetto sul Cristo e sulla Chiesa.

30. Verità conformi al Nuovo Testamento che Michea, Giona e Gioele hanno predetto.

31. Quali preannunzi sulla salvezza dell'uomo si trovano in Abdia, Naum ed Abacuc.

32. Profezia contenuta nella preghiera e cantico di Abacuc.

33. Eventi che con ispirazione profetica Geremia e Sofonia hanno previsto sul Cristo e sulla vocazione dei pagani.

34. Le profezie sul Cristo e sulla Chiesa di Ezechiele e Daniele concordano.

35. Predizione dei tre profeti Aggeo, Zaccaria e Malachia.

36. Esdra e i libri dei Maccabei.

37. Si dimostra che l'attestazione profetica è anteriore a qualsiasi prima affermazione della filosofia pagana.

38. Il canone della Chiesa non ha accolto, a causa della eccessiva antichità, alcuni scritti dei santi affinché, con il ricorso a loro, non s'inserissero libri apocrifi fra gli autentici.

39. La letteratura ebraica ebbe sempre una propria lingua.

40. Menzognera presunzione degli Egiziani che attribuiscono all'antichità della propria cultura centomila anni.

41. Dissensi dei sistemi di filosofia e concordia delle Scritture canoniche nella Chiesa.

42. Disposizione della provvidenza di Dio per cui la Bibbia fu tradotta dall'ebraico al greco affinché fosse conosciuta dai pagani.

43. Autorità dei Settanta che, salvo l'onore dovuto al modo d'esprimersi dell'ebraico, è da preferire a tutti i traduttori.

44. Criterio per interpretare l'avvertimento della distruzione di Ninive che nel testo ebraico ha lo spazio di quaranta giorni e nei Settanta si annunzia nello spazio di tre giorni.

45. Dopo la distruzione del tempio i Giudei cessarono dall'aver profeti e in seguito, fino alla venuta del Cristo, sono stati tormentati da continui disastri, affinché si comprendesse che con le parole dei Profeti era stata promessa la costruzione di un altro tempio.

46. Nascita del nostro Salvatore secondo le parole che il Verbo è divenuto uomo. Dispersione dei Giudei fra tutti i popoli come era stato profetizzato.

47. Prima del cristianesimo vi furono alcuni fuori della razza ebraica che appartennero al consorzio della città del cielo?

48. La predizione di Aggeo che in seguito la gloria della casa di Dio sarebbe più grande di come era stata si è adempiuta non con la riedificazione del tempio ma nella Chiesa del Cristo.

49. In un indeterminato accrescimento della Chiesa in questo mondo molti reprobi si frammischiano agli eletti.

50. La predicazione del Vangelo è divenuta più insigne mediante il martirio di coloro che lo annunziavano.

51. La fede cattolica è confermata anche dai dissensi degli eretici.

52. Si deve forse ammettere, come alcuni pensano, che terminate le dieci persecuzioni già trascorse, non ve ne sarà nessun'altra oltre l'undicesima che avverrà al tempo dell'Anticristo?

53. Il tempo dell'ultima persecuzione non è stato manifestato all'uomo.

54. È molto sciocca la menzogna dei pagani, i quali hanno inventato che la religione cristiana non rimarrà oltre i trecentosessantacinque anni.

Libro diciottesimo

CONFRONTO DELLE DUE CITTÀ NELL'EVOLUZIONE STORICA

Confronto sincronistico delle due città nell'evoluzione storica [1-26]

Gli argomenti già trattati.
1.
Mi sono impegnato a scrivere sull'origine, il progresso e le rispettive competenze delle due città, una di Dio, l'altra del tempo, in cui convive, per quanto attiene al genere umano, anche la celeste in esilio. Ho prima confutato, nella misura in cui mi ha aiutato la grazia di Dio, i nemici della sua città che preferiscono i propri dèi a Cristo, suo fondatore, e con astio a loro funesto avversano spietatamente i cristiani. Ho trattato questo argomento nei primi dieci libri. Riguardo al triplice mio intento, che poco fa ho ricordato, è stata trattata l'origine di tutte e due le città nei quattro libri che seguono al decimo e la loro evoluzione dal primo uomo fino al diluvio in un unico libro, che è il decimoquinto di questa opera, e da quell'evento fino ad Abramo di nuovo tutte e due le città hanno progredito tanto nel tempo come nella mia trattazione. Ma dal patriarca Abramo fino all'epoca dei re d'Israele, argomento con cui ho condotto a termine il libro decimosesto, e da lì alla venuta del Salvatore del mondo, fino alla quale si svolge il libro decimosettimo, dal mio modo di trattare sembra che abbia progredito soltanto la città di Dio, sebbene non da sola sia progredita nel tempo ma l'una e l'altra, evidentemente nel genere umano, come dal principio, con il loro evolversi hanno differenziato le varie epoche. Ho agito così affinché, senza l'interruzione dovuta all'antitesi con l'altra città, la città di Dio apparisse più distintamente nel suo evolversi da quando cominciarono ad essere più manifeste le promesse di Dio fino alla nascita di Gesù dalla Vergine, perché in lui si dovevano verificare gli eventi preannunciati dal principio. Essa però fino alla rivelazione della Nuova Alleanza progredì non nella luce ma nell'ombra. Ora, noto che si deve eseguire ciò che avevo omesso, trattare cioè nella misura adeguata come abbia progredito dal tempo di Abramo anche la città terrena, affinché le due città si possano confrontare nella riflessione dei lettori.

Economia della città terrena.
2.
1. L'umana collettività, diffusa in ogni parte del mondo e in ambienti assai diversi, è tuttavia legata da una determinata comunanza d'un medesimo istinto naturale poiché tutti si assicurano l'utile e il dilettevole. Difatti l'oggetto che si appetisce non basta a nessuno o per lo meno non a tutti perché non è sempre lo stesso. Quindi la collettività spesso è divisa da un interno dissidio e la parte che prevale opprime l'altra. La vinta si sottomette alla vincitrice perché preferisce al potere e perfino alla libertà una tranquillità qualsiasi e la conservazione dell'esistenza 1 al punto che sono stati di grande ammirazione coloro che preferirono morire che essere schiavi 2. Difatti in quasi tutti i popoli si è fatto udire l'appello del naturale istinto sicché i vinti in quel frangente preferirono sottomettersi ai vincitori anziché essere completamente sterminati da una devastazione militare. Da ciò è avvenuto, non senza la provvidenza di Dio da cui dipende che un popolo con la guerra sia soggiogato e un altro soggioghi, che alcuni furono insigniti di dominio e altri soggetti a dominatori. Ma fra i numerosi imperi del mondo, nei quali fu distribuita la collettività dell'utile o dilettevole terreno, che con termine generico definiamo la città di questo mondo, possiamo notare che due imperi, molto più famosi degli altri, hanno avuto buon esito, prima quello di Assiria poi quello di Roma, ben collocati e distinti fra di sé nel tempo e nello spazio. Infatti come quello si è segnalato prima e questo dopo, così quello in Oriente e questo in Occidente. Inoltre alla fine del primo impero immediatamente si ebbe l'inizio del secondo 3. Considererei gli altri imperi e sovrani come appendici di questi due.

Gli imperi e le due metropoli.
2.
2. Nino fu il secondo re dell'Assiria e successe a suo padre Belo, primo sovrano di quell'impero, quando nella Caldea nacque Abramo 4. Vi era in quel tempo anche il regno assai piccolo di Sicione dal quale Marco Varrone, nell'opera La razza del popolo romano, come da un evo antico ha fatto derivare i Romani. Dai re di Sicione infatti la razza è giunta agli Ateniesi, da essi ai Latini e poi ai Romani 5. Ma prima della fondazione di Roma, nel confronto con l'impero di Assiria, questi sono fatti di poco rilievo, sebbene anche Sallustio, storico romano, ammette che in Grecia Atene si distinse, però più nella fama che nella realtà storica. Parlando di essa dice: Le conquiste civili di Atene, come io ritengo, furono rilevanti e illustri, ma meno importanti di come sono celebrate dalla fama. Ma poiché in essa fiorirono letterati di grande ingegno, in tutto il mondo la civiltà di Atene viene considerata fra le più grandi. Così il pregio di coloro che l'hanno realizzata è considerato eccellente in proporzione al modo con cui l'hanno potuto esaltare singolari capacità mentali 6. Si aggiudica a questa città la non piccola gloria anche da parte della letteratura e filosofia perché vi fiorirono in modo singolare queste attività. Per quanto riguarda l'impero, nell'evo antico non ve ne fu alcuno più grande di quello dell'Assiria né così esteso di territorio. Si dice che il re Nino, figlio di Belo, aveva assoggettato fino ai confini della Libia tutta l'Asia, che per numero è una delle tre parti del mondo, ma in estensione la metà 7. Verso Oriente soltanto sull'India non dominava, tuttavia alla morte di Nino la moglie Semiramide l'assoggettò con una guerra 8. Avvenne così che in quelle parti ogni popolo e re erano sottomessi all'impero e alla giurisdizione dell'Assiria e ne eseguivano ogni ordine. Abramo nacque in quell'impero nella Caldea al tempo di Nino. Però la storia della Grecia ci è molto più nota di quella dell'Assiria e quelli che hanno eseguito ricerche sulla razza del popolo romano nella sua prima origine hanno fatto derivare la cronologia dei fatti dai Greci ai Latini e poi ai Romani, che anche essi sono Latini. Devo dunque, quando è necessario, fare i nomi dei sovrani d'Assiria affinché sia evidente come Babilonia, quasi prima Roma, si evolva assieme alla città di Dio in esilio in questo mondo. Tuttavia soprattutto dalla Grecia e dal mondo latino in cui è Roma come una seconda Babilonia 9, devo scegliere i fatti che è opportuno inserire in questa opera per un confronto fra le due città, la terrena e la celeste.

Abramo e i re d'Assiria e di Sicione.
2.
3. Quando dunque nacque Abramo, come secondo re in Assiria era Nino e a Sicione Europe, primi furono rispettivamente Belo ed Egialeo. Quando dopo l'uscita di Abramo da Babilonia Dio gli promise un grande popolo della sua stirpe e la benedizione di tutti i popoli nella sua discendenza, l'Assiria aveva il quarto re, Sicione il quinto. In Assiria regnava il figlio di Nino successo alla madre Semiramide che, come si narra, era stata da lui uccisa perché, pur essendo madre, aveva osato contaminare il figlio con amore incestuoso 10. Alcuni ritengono che ella fondò Babilonia, più esattamente si può dire che ebbe la possibilità di ricostruirla 11. Ho esposto nel libro sedicesimo come e quando fu costruita 12. Alcuni storici dicono che anche il figlio di Nino e di Semiramide, che succedette alla madre nel regno, si chiamasse Nino, altri invece con un termine derivato dal padre lo chiamano Ninian 13. Contemporaneamente Telsion reggeva il regno di Sicione. Durante il suo regno vi fu un periodo di prosperità e di pace sicché dopo la sua morte lo onorarono come dio con sacrifici e con la celebrazione di giuochi pubblici che ebbero inizio, come narrano, con quelli dedicati a lui.

Gli imperi pagani da Abramo a Giacobbe.
3.
In questo tempo nacque Isacco in seguito a una promessa di Dio al centenario padre Abramo dalla moglie Sara che, sterile e anziana, aveva perduto la speranza di aver figli. Allora quinto re di Assiria era Arrio. Quando Isacco aveva sessant'anni gli nacquero i gemelli Esaù e Giacobbe che aveva messo al mondo la moglie Rebecca, quando il loro nonno Abramo era ancora in vita ed aveva centosessanta anni. Egli morì quando ebbe compiuto centosettantacinque anni, mentre regnavano, al settimo posto nell'elenco, in Assiria Serse primo, che si chiamava anche Baleo, e a Sicione Turiaco, che alcuni denominano Turimaco. Il regno di Argo, in cui per primo regnò Inaco, ha avuto origine al tempo dei nipoti di Abramo. Varrone narra, ed è una notizia che non si può trascurare, che gli abitanti di Sicione erano soliti offrire sacrifici anche vicino alla tomba del settimo re Turiaco 14. Mentre regnavano, all'ottavo posto nella serie, Armamitre di Assiria e Leucippo di Sicione e il primo re di Argo Inaco, Dio parlò ad Isacco 15 e anche a lui rivolse le due promesse, che aveva rivolto ad Abramo, e cioè il paese di Canaan alla sua discendenza e la benedizione di tutti i popoli nella sua discendenza. Queste promesse furono rivolte pure al figlio di lui e nipote di Abramo che dapprima fu chiamato Giacobbe e poi Israele quando già regnavano Beloco, nono re di Assiria, e Foroneo figlio di Inaco e secondo re di Argo, mentre a Sicione sopravviveva ancora Leucippo. In questo periodo la Grecia sotto Foroneo, re di Argo, divenne più famosa per varie istituzioni di diritto e di amministrazione della giustizia. Però essendo morto Fegoo, fratello più giovane di Foroneo, fu edificato un tempio sulla sua tomba, in cui doveva essere onorato come dio con l'immolazione di buoi. Penso che lo ritennero degno di sì grande onore per il seguente motivo. Il padre aveva assegnato loro alcuni territori in cui potessero regnare mentre egli era ancora in vita. Fegoo aveva fatto costruire in essi dei tempietti per onorare gli dèi e aveva insegnato che fossero osservati determinati periodi di tempo durante i mesi e gli anni in termini di durata e di numerazione. Uomini ancora incolti, meravigliati di queste novità, avvenuta la morte, immaginarono o decisero che fosse diventato un dio. Si ritiene che anche Io fosse figlia di Inaco. Ella, chiamata più tardi Isis, fu onorata come grande dèa in Egitto. Alcuni invece narrano che dall'Etiopia venne in Egitto come regina e che governò con liberalità e giustizia, che a favore dei sudditi introdusse parecchi vantaggi economici e culturali, che le fu attribuito ossequio divino dopo la morte e un ossequio così grande che incorreva nella pena di morte chi avesse affermato che era una creatura umana 16.

Giacobbe e Giuseppe in Egitto.
4.
Mentre regnavano il decimo re di Assiria Baleo e il nono di Sicione Messapo, da alcuni consegnato alla storia col nome di Cefiso (posto che fosse un unico personaggio con due nomi e non piuttosto che lo considerarono un altro individuo coloro che nelle proprie opere usarono il secondo nome) e mentre Apis era terzo re di Argo, morì Isacco a centottanta anni e lasciò i suoi gemelli che ne avevano centoventi. Il minore di essi, appartenente alla città di Dio della quale sto trattando, perché il maggiore era stato rifiutato, aveva dodici figli. Mentre viveva ancora il nonno Isacco, i fratelli avevano venduto quello di loro che si chiamava Giuseppe a mercanti che passavano per andare in Egitto. Giuseppe fu presentato al faraone quando all'età di trenta anni si riscattò dall'umiliazione che aveva subito. Aveva predetto, interpretando i sogni del sovrano, che erano in arrivo sette anni di abbondanza. Altri sette anni di penuria che seguivano avrebbero esaurito l'abbondanza preponderante dei primi. Per questo il faraone, dopo averlo liberato dal carcere, lo pose a capo del governo d'Egitto. Ve lo aveva confinato l'interezza della castità. Per custodirla con virilità e per sfuggire alla padrona, che l'amava di cattivo amore e avrebbe mentito al padrone credulone, non consentì all'atto di violenza carnale perfino con l'abbandonare la veste nelle mani di lei che l'aveva afferrato 17. Nel secondo dei sette anni di carestia Giacobbe andò in Egitto dal figlio con tutti i suoi familiari all'età di centotrenta anni, come egli stesso denunziò al faraone che lo interrogava 18. Giuseppe ne aveva trentanove, perché s'erano aggiunti ai trenta, che aveva quando fu onorato dal faraone, i sette di abbondanza e i due di carestia.

Culti pagani in Egitto.
5.
In quegli anni Apis, re di Argo, essendo morto in Egitto dove si era trasferito con navi, divenne Serapide, il dio massimo degli Egiziani. Varrone propone una spiegazione molto semplice di questo nome, del fatto, cioè, per cui non sia stato chiamato Apis anche dopo la morte ma Serapide. L'urna sepolcrale, in cui si ripone il cadavere, da tutti ormai denominata sarcofago, in greco si chiama . Iniziarono a venerarlo mentre era sepolto in essa prima che fosse edificato il suo tempio. Come a unire Sòrose e Apis prima fu chiamato Sorapide e poi Serapide col cambiamento di una lettera come si suol fare. Ed anche riguardo a lui si decise che chi lo considerava un uomo subisse la pena capitale. E poiché in quasi tutti i templi, in cui si onoravano Iside e Serapide, v'era una statua che col dito premuto sulle labbra sembrava intimare il silenzio, il gesto, come ritiene Varrone, ingiungeva di non dire che erano stati esseri umani. Invece il bue, che l'Egitto, ingannato da un'incredibile leggerezza, nutriva in suo onore con cibi raffinati, poiché lo veneravano vivo senza sarcofago, era chiamato Apis e non Serapide. Morto quel bue, poiché se ne cercava e trovava un altro del medesimo colore, cioè egualmente screziato con alcune macchie bianche, credevano che fosse un fatto prodigioso a loro concesso dal dio 19. Al contrario non era difficile ai demoni, per ingannarli, mostrare alla vacca, mentre concepiva e s'ingravidava, l'immagine di un toro simile che, mentre era sola, potesse guardare in modo che l'impulso della madre convogliasse la caratteristica che poi doveva fisicamente apparire nel feto, come fece Giacobbe con ramoscelli diversamente colorati in modo che nascessero pecore e capre di diverso colore 20. Infatti ciò che gli uomini possono mostrare con colori e oggetti veri, i demoni possono mostrarlo molto facilmente con immagini fittizie agli animali che concepiscono.

Argo alla morte di Giacobbe.
6.
Dunque Apis, re di Argo e non d'Egitto, morì in Egitto. Gli successe il figlio Argo, dal cui nome sono denominati Argi e quindi gli Argivi. Né i re precedenti né la regione né il popolo avevano questo nome. Mentre egli regnava ad Argo ed Erato a Sicione e nell'Assiria sopravviveva ancora Baleo, Giacobbe morì in Egitto all'età di centoquarantasette anni. Vicino a morire benedisse i figli e i nipoti, figli di Giuseppe, e con grande evidenza predisse il Cristo dicendo nella benedizione a Giuda: Non cesseranno i principi da Giuda e il comando dai suoi fianchi, finché non giunga il destino che gli è riservato ed egli sarà l'attesa dei popoli 21. Durante il regno di Argo, la Grecia cominciò ad usare i propri prodotti dei campi e ad avere i raccolti nell'agricoltura con semi trasportati dall'estero. Anche Argo dopo la morte fu considerato un dio e onorato con tempio e sacrifici. Mentre egli regnava, questo culto fu deferito a un semplice cittadino morto fulminato, un certo Omogiro, perché per primo aveva attaccato i buoi all'aratro.

I regni pagani e Israele dopo la morte di Giuseppe.
7.
Mentre regnavano il dodicesimo re di Assiria Mamito e l'undicesimo di Sicione Plemmeo e ad Argo era ancora re Argo, morì in Egitto Giuseppe a centodieci anni 22. Dopo la sua morte il popolo di Dio, che cresceva in modo straordinario, rimase in Egitto per centoquarantacinque anni, dapprima in pace fino a quando morirono coloro cui era noto Giuseppe. In seguito, poiché era invidiato per il suo accrescimento e v'erano delle prevenzioni, finché non venne liberato fu angustiato da ostilità, nonostante le quali cresceva di numero con un aumento favorito da Dio, ed era anche oppresso dalle fatiche di un'insopportabile schiavitù 23. In Assiria e in Grecia rimanevano durante quel periodo i medesimi regni.

Mosè e i regni pagani.
8.
Mentre in Assiria regnava il quattordicesimo re Safro e a Sicione il dodicesimo re Ortopoli e il quinto re Criaso ad Argo, in Egitto nacque Mosè. Da lui il popolo di Dio fu liberato dalla schiavitù d'Egitto, nella quale era opportuno che si esercitasse nel rimpiangere l'aiuto del suo Creatore. Da alcuni si ritiene che, mentre dominavano i re suddetti, esisteva Prometeo, di cui si dice che foggiò gli uomini dal fango, appunto perché si tramanda che fosse un eccellente maestro di filosofia, tuttavia non si precisa quali fossero i filosofi al suo tempo. Si dice anche che il fratello Atlante fosse un grande osservatore delle stelle, per questo la leggenda trovò il pretesto per inventare che sostiene il cielo. V'è però un monte che ha il suo nome e dalla sua altezza può sembrare che sia affiorato nel modo di pensare del popolino il mito del sorreggere il cielo 24. Da quel tempo si iniziò in Grecia a inventare molte leggende. Fino a Cecrope, re di Atene, durante il cui regno la città ebbe quel nome 25 e Dio fece uscire dall'Egitto il suo popolo guidato da Mosè, per una cieca e frivola consuetudine dei Greci furono inseriti nel numero degli dèi alcuni morti. Fra di essi v'erano Melantomice, moglie del re Criaso, e Forba, loro figlio e, in successione al padre, sesto re di Argo, Iaso, figlio del settimo re Criopa e il nono re Stenelas o Stenelao o Stenelo, perché è denominato diversamente nei vari autori. È tradizione che in questo tempo venne all'esistenza anche Mercurio, nipote di Atlante dalla figlia Maia, mito che esaltano anche le opere letterarie più celebri 26. Si rese famoso come esperto di molte conoscenze tecniche che trasmise all'umanità e per questa benemerenza decisero o anche credettero che fosse un dio. Si dice che Ercole sia esistito dopo, ma contemporaneamente all'epoca degli Argivi, sebbene alcuni lo ritengano anteriore nel tempo a Mercurio, ma io penso che prendano abbaglio. In qualsiasi tempo siano nati, è pacifico per gli storici seri, intenditori di archeologia, che tutti e due furono uomini e, poiché procurarono molti vantaggi all'umanità sofferente per trascorrere la vita più dignitosamente, meritarono da essi gli onori divini. Minerva è molto più antica di loro. È tradizione che ai tempi di Ogigo apparve in età da giovinetta presso il lago detto del Tritone e per questo è stata soprannominata la Tritonia. È ritenuta ideatrice di tante attività e tanto più facilmente fu creduta una dèa quanto meno nota fu la sua nascita. La credenza che sia nata dalla testa di Giove si deve attribuire ai poeti e alle leggende e non alla realtà storica 27. Fra gli storici non c'è accordo sul tempo in cui visse Ogigo, perché anche allora avvenne un gran diluvio, non quello più esteso al quale non sopravvissero uomini se non quelli che poterono rifugiarsi nell'arca 28, che peraltro la storiografia pagana, greca e latina, non conosce, più esteso però di quello che avvenne quando viveva Deucalione. Infatti Varrone da esso inizia il libro, che precedentemente ho citato 29, e per giungere alla storia di Roma non si prefigge un avvenimento più remoto del diluvio di Ogigo, cioè avvenuto quando viveva Ogigo 30. Gli autori cristiani, che hanno compilato una cronologia, prima Eusebio poi Girolamo, che in questa ipotesi hanno seguito gli storici precedenti, sostengono che il diluvio di Ogigo avvenne più di trecento anni dopo, mentre regnava il secondo re di Argo Foroneo. Ma in qualunque tempo avvenne, già Minerva era onorata come dèa, mentre regnava ad Atene Cecrope. Sostengono che mentre regnava anche la città fu ripristinata o fondata 31.

Atene fra Minerva e Nettuno.
9.
Dall'etimologia di Atene, nome che certamente deriva da Minerva che in greco è , Varrone dà la seguente spiegazione. In quel luogo spuntò all'improvviso un ulivo e sgorgò dell'acqua. Questi fatti straordinari impressionarono il re che inviò all'Apollo di Delfi per consultare sul significato e sul da farsi. Egli rispose che l'ulivo simboleggiava Minerva e la polla Nettuno e che era in potere dei cittadini scegliere il nome di una delle due divinità, di cui erano quei simboli, con la quale denominare la città. Ricevuto questo responso Cecrope convocò a dare il voto tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso, poiché era abitudine in quei luoghi che anche le donne partecipassero alle pubbliche deliberazioni. Nella delibera popolare dunque i maschi votarono per Nettuno, le donne per Minerva. Vinse Minerva perché si ebbe un voto in più delle donne. Allora Nettuno arrabbiato devastò i campi di Atene con ondate che si frangevano schiumando, poiché non rimane difficile ai diavoli riversare diffusamente ogni sorta di acque. Il medesimo scrittore dice che per placarne l'ira le donne furono colpite da tre pene, cioè, che d'allora in poi non votassero, che nessun figlio prendesse il nome della mamma, che non fossero chiamate Minervie 32. Così quella città, madre e nutrice delle discipline liberali e di tanti grandi filosofi, il vanto più famoso e illustre della Grecia, per una burla dei demoni, ebbe il nome da un litigio dei suoi dèi, maschio e femmina, e dalla vittoria attribuita dalle donne alla donna Atena e, danneggiata dal vinto, è stata costretta a punire la vittoria della vincitrice perché temeva di più le acque di Nettuno che i giavellotti di Minerva. Così nelle donne che furono punite in tal modo anche Minerva, pur avendo vinto, fu vinta. Infatti ella non protesse le donne che avevano dato il voto affinché, avendone perduto il diritto ed essendo stato proibito che i figli prendessero il nome dalle mamme, fosse per lo meno lecito a loro essere chiamate Minervie e meritare la denominazione della dèa che, dandole il voto, avevano reso vincitrice del dio maschio. Si potrebbero dire sull'argomento tante e belle cose se la trattazione non sollecitasse ad altri argomenti.

Marte, l'areopago e il diluvio di Deucalione.
10.
Tuttavia Marco Varrone non gradisce prestar fede alle leggendarie fantasie contro gli dèi per non accreditare qualcosa d'indegno dell'onore dovuto alla loro grandezza. Quindi non accetta che l'areopago, dove l'apostolo Paolo discusse con gli Ateniesi 33 e da cui sono stati denominati areopagiti i magistrati della città, abbia la seguente spiegazione etimologica. Marte, che in greco è , essendosi reso colpevole di omicidio, sottoposto al giudizio di dodici dèi, fu assolto in quel quartiere con sei voti favorevoli, poiché quando i voti erano pari, era abitudine preferire il proscioglimento dalla condanna. Ma Varrone tenta di accreditare contro la suddetta versione, ripetuta molto più frequentemente, un'altra spiegazione etimologica da informazione di fonti letterarie meno note. Non si dovrebbe credere, cioè, che gli Ateniesi abbiano voluto denominare l'areopago dal nome di Marte e del quartiere, come fosse il quartiere di Marte, come per un insulto contro gli dèi, perché Varrone ritiene non attribuibili a loro contestazioni e processi. Egli sostiene che quel che si dice di Marte non è meno falso di quel che si dice delle tre dee, cioè Giunone, Minerva e Venere, delle quali si narra che per guadagnare la mela d'oro hanno gareggiato davanti a Paride, scelto come giudice, sulla superiorità della propria bellezza. E quasi a calmare con i giuochi gli dèi, che si compiacciono di questi loro delitti, veri o falsi, esse sono onorate con canti e danze fra gli applausi del teatro. Varrone non ammette questi fatti per non ammettere cose sconvenienti alla natura e al comportamento degli dèi 34. Tuttavia, dando una spiegazione storica non mitologica della parola Atene, inserisce nei suoi libri la contesa di Nettuno e Minerva così importante perché riguardava il dio dal cui nome doveva essere denominata la città. Però mentre gareggiavano con la messa in mostra di avvenimenti straordinari, neanche Apollo interrogato osò giudicare fra i due ma, come Giove mandò Paride per l'alterco delle tre dèe suddette, così costui rinviò ai cittadini la cessazione dell'alterco degli dèi. In tal modo Minerva vinceva ai voti ma fu vinta nel castigo delle sue votanti poiché lei, che poteva dare il nome ad Atene, malgrado gli uomini sfavorevoli, non poté dare il nome di Minervie alle donne a lei favorevoli. In quel periodo, come scrive Varrone, mentre ad Atene regnava Cranao, successore di Cecrope o, come affermano i nostri Eusebio e Girolamo, mentre perdurava ancora Cecrope, si ebbe il diluvio chiamato di Deucalione, poiché egli regnava in quelle regioni in cui avvenne in una maggiore estensione. Difatti questo diluvio non raggiunse l'Egitto e i territori limitrofi 35.

Mosè, Giosuè e gli imperi pagani.
11.
Dunque Mosè fece uscire il popolo di Dio dall'Egitto verso la fine del regno di Cecrope, re di Atene, mentre in Assiria regnava Ascatade, a Sicione Marato, ad Argo Triopa. Al popolo liberato consegnò la legge ricevuta da Dio sul monte Sinai. Essa è definita l'Antica Alleanza, perché contiene promesse relative alla terra e per la mediazione di Gesù Cristo doveva avverarsi la Nuova Alleanza con cui si prometteva il regno dei cieli. Era opportuno che si osservasse questo ordinamento, come si verifica in qualsiasi persona che si muove a Dio. Lo dice l'Apostolo che prima non si ha ciò che è spirituale, ma animale, poi lo spirituale, poiché, come dice, ed è vero, il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo 36. Mosè guidò il popolo per quaranta anni nel deserto e morì a centoventi anni 37, dopo aver preannunziato profeticamente il Cristo mediante le allegorie delle osservanze esteriori nella tenda, nel sacerdozio, nei sacrifici e in molte altre istituzioni sacrali. A Mosè successe Giosuè di Nun che sistemò la popolazione introdotta nella Terra promessa dopo avere sconfitto, per ordine di Dio, i popoli, dai quali era occupata la regione. Avendo governato il popolo dopo la morte di Mosè per ventisette anni, egli morì, mentre regnavano in Assiria il decimottavo re Aminta, a Sicione il decimosesto Corace, ad Argo il decimo Danao, ad Atene il quarto Erittonio.

Mitologia ai tempi di Giosuè.
12.
Durante quel periodo, cioè dall'uscita del popolo d'Israele dall'Egitto, fino alla morte di Giosuè di Nun, con il quale il popolo occupò la Terra promessa, furono istituiti ai falsi dèi dai re di Grecia riti sacri. Questi riti rievocavano con una solenne cerimonia il ricordo del diluvio, della liberazione da esso e della vita affannosa di uomini costretti a spostarsi ora ai monti ora alle pianure. Interpretano in tal senso anche l'ascesa e la discesa dei Luperci per la via sacra, dicono perciò che da essi sono simboleggiati gli uomini che a causa dell'inondazione dell'acqua raggiunsero la vetta dei monti e quando si abbassava tornavano in basso. Narrano che in quel periodo Dioniso, che è stato chiamato anche Libero padre e dopo la morte considerato un dio, mostrò la vite a un suo ospite nell'Attica. Sempre in quel tempo furono istituiti giuochi musicali all'Apollo di Delfi, affinché si placasse il suo sdegno, a causa del quale, come credevano, sarebbero stati colpiti da sterilità i territori della Grecia, perché non avevano difeso il suo tempio, che il re Danao incendiò quando assalì con la guerra quelle regioni. Furono avvertiti da un suo oracolo che approntassero quei giuochi. Il re Erittonio per primo istituì in Attica giuochi ad Apollo, e non solo a lui, ma anche a Minerva. In essi come premio ai vincitori veniva offerto olio, perché ritenevano Minerva inventrice di quel prodotto come Libero del vino. Si tramanda che in quegli anni Europa fu rapita da Csanto, re di Creta, che in altri scrittori riscontriamo con un nome diverso. Dal connubio nacquero Radamanto, Sarpèdone e Minosse che peraltro, secondo l'opinione più diffusa, sarebbero figli di Giove dalla medesima donna. Ma quelli che adorano tali dèi attribuiscono alla verità storica quel che abbiamo detto del re di Creta, invece quel che i poeti cantano di Giove e ne strepitano i teatri e ne spettegolano le folle lo attribuiscono alla frivolezza della mitologia, la base, cioè, da cui approntare i giuochi per calmare i numi anche con le loro false colpe. In questi tempi un Ercole era rinomato in Siria, ma certamente un altro, non quello di cui abbiamo parlato in precedenza 38. Nella tradizione esoterica infatti si dice che vi furono parecchi Liberi padri e parecchi Ercoli. Gli autori nelle proprie opere tramandano che l'Ercole, di cui narrano le straordinarie dodici fatiche, fra cui non assegnano l'uccisione dell'africano Anteo perché è un'impresa che appartiene all'altro Ercole, salì da sé sul rogo nel monte Eta poiché col coraggio con cui aveva superato tante difficoltà non riusciva a sopportare il male, da cui era colpito. In quel tempo il re o meglio il tiranno Busiride immolava i propri ospiti agli dèi. Dicono che fosse figlio di Nettuno dalla madre Libia, figlia di Epafo. Non si pensi che Nettuno commise questo stupro affinché gli dèi non siano accusati, ma queste favole si attribuiscono ai poeti e ai teatri per placarli. Si mormora che Vulcano e Minerva siano i genitori di Erittonio re di Atene, agli ultimi anni del quale si costata che morì Giosuè di Nun. Ma poiché desiderano una Minerva vergine, affermano che nel loro contrasto, Vulcano eccitato versò il seme in terra e per questo motivo al bimbo nato dalla terra è stato dato quel nome. In greco infatti significa contrasto e terra e da essi è stato composto il nome di Erittonio. I più dotti, bisogna ammetterlo, ribattono e respingono dai loro dèi simili vicende. Dicono che questa diceria leggendaria è nata perché nel tempio di Vulcano e di Minerva, che avevano in comune ad Atene, fu trovato esposto un bambino avviluppato in un serpente, il quale simboleggiava che sarebbe diventato grande. A causa del tempio in comune poiché non si conoscevano i genitori, sarebbe stato considerato figlio di Vulcano e di Minerva. Ma dell'etimo del suo nome dà una spiegazione più quella leggenda che questa notizia storica. Ma a noi che importa? La storia informi con libri che dicono il vero gli uomini rispettosi, il mito delizi i diavoli impuri con giuochi fondati sul falso. Tuttavia gli uomini religiosi li onorano come dèi e sebbene negano di loro certi falli, non li possono scagionare da ogni colpa poiché per essi, che li richiedono, istituiscono giuochi, in cui sconciamente si eseguono trame, che poi con l'orpello della saggezza si rinnegano e gli dèi si placano con queste esecuzioni che sono false e sconce perché, sebbene il mito celebri una falsa colpa degli dèi, è tuttavia una vera colpa deliziarsi di una falsa colpa.

Mitologia nel periodo dei Giudici.
13.
Dopo la morte di Giosuè di Nun il popolo di Dio ebbe i Giudici. In quel periodo si avvicendarono in loro l'abiezione delle sofferenze per i loro peccati e la felicità del conforto nella misericordia di Dio. Coevi a quel tempo furono inventati i miti di Trittolemo, che per ordine di Cerere, condotto da serpenti alati, portò volando i frumenti alle terre incolte; del Minotauro, che sarebbe stato una bestia chiusa nel labirinto e se in esso entravano gli uomini, a causa di un inestricabile sviamento, non potevano uscirne; dei Centauri, la cui natura era il congiungimento di cavalli e uomini; di Cerbero, che sarebbe stato un cane degli inferi a tre teste; di Frisso e della sorella Elle, che volarono trasportati da un ariete; della Gorgone, che aveva la chioma di serpenti e mutava in pietre quelli che la guardavano; di Bellerofonte, che era trasportato da un cavallo alato chiamato Pegaso; di Anfione, che con il suono magico della cetra ammansiva e spostava le pietre; dell'artigiano Dedalo e del figlio Icaro, che volarono con ali artefatte; di Edipo, che costrinse a gettarsi nel proprio abisso un essere mostruoso, che si chiamava la Sfinge, quadrupede con faccia umana, sciogliendo l'enigma insolubile che essa era solita proporre; di Anteo, ucciso da Ercole, che era figlio della Terra e perciò era abituato cadendo in terra a risollevarsi più robusto ed altri episodi se li ho omessi. Le leggende fino alla guerra di Troia, con cui Marco Varrone ha terminato il secondo libro su La razza del popolo romano, sono state ideate dall'intelligenza degli uomini in corrispondenza alla storia, che ha per contenuto fatti realmente avvenuti, in modo da non esser foggiate a ludibrio degli dèi 39. Però hanno inventato che per un atto di libidine di Giove fu involato il bellissimo giovinetto Ganimede, reato compiuto dal re Tantalo e dalla leggenda attribuito a Giove, oppure che abbia conseguito l'accoppiamento con Danae attraverso una pioggia d'oro, dove si capisce che il pudore della donna fu pervertito dall'oro. Ora non si può esprimere in quale maniera i fatti compiuti o immaginati in quel periodo, oppure compiuti dagli altri e attribuiti a Giove, abbiano preteso dal cuore degli uomini tanta malvagità perché potessero sopportare pazientemente queste fandonie, che tuttavia hanno accettato anche con piacere. Essi senz'altro, quanto più devotamente onorano Giove, tanto più severamente avrebbero dovuto punire coloro che osano dire di lui queste imposture. Invece non solo non si sono sdegnati con coloro che hanno inventato queste favole, che anzi per rappresentarle nei teatri, hanno temuto piuttosto di avere sdegnati gli stessi dèi. In quel periodo Latona partorì Apollo, non quello di cui si consultavano i responsi, come dicevo poco fa, ma quello che con Ercole fu servitore di Admeto, il quale tuttavia fu ritenuto un dio al punto che molti e quasi tutti ritengono che fosse un solo e medesimo Apollo. Allora anche Libero padre andò a far guerra in India ed ebbe nell'esercito molte donne, chiamate Baccanti, non note per il coraggio ma per la frenesia. Alcuni autori scrivono che Libero fu vinto e fatto prigioniero, altri che fu ucciso in battaglia da Perseo e dicono pure dove fu sepolto. Tuttavia al suo nome, come fosse un dio, con l'intervento di diavoli osceni, sono stati istituiti i riti sacri o meglio sacrileghi dei baccanali. Il senato dopo molti anni si vergognò tanto della loro forsennata oscenità che li proibì a Roma 40. Hanno ritenuto che sempre in quel periodo Perseo e la moglie Andromeda, dopo la loro morte, fossero accolti in cielo in modo tale che non arrossirono e non temettero di rappresentare la loro figura nelle costellazioni e di chiamarle con il loro nome.

Sincretismo poetico-religioso.
14.
Durante il medesimo periodo di tempo vi furono poeti, che potevano anche esser considerati teologi, perché componevano poesie sugli dèi, ma su dèi che, sebbene grandi uomini, furono uomini o che sono principi categoriali di questo mondo creato dal vero Dio o che sono costituiti in principati e potestà per la volontà del Creatore e per i loro meriti. Se fra i molti concetti insignificanti ed errati han detto poeticamente qualcosa sull'unico vero Dio, riconoscendo assieme a lui anche altri dèi, che non sono dèi e prestando un culto che si deve soltanto all'unico Dio, anche essi, Orfeo, Museo e Lino, non gli hanno prestato il culto nel debito modo né fu loro possibile rifiutare i miti sconvenienti dei loro dèi. Però questi teologi hanno venerato gli dèi ma non sono stati venerati come dèi, sebbene la città dei miscredenti abbia l'abitudine, non saprei in quali termini, di deputare Orfeo ai riti sacrali, o meglio sacrileghi, del culto dei morti. La moglie del re Atamante che si chiamava Ino e il figlio Melicerte morirono in mare gettandovisi spontaneamente e secondo il modo di pensare degli uomini furono annoverati fra gli dèi, come altri uomini di quel tempo, Castore e Polluce. I Greci hanno chiamato Leucotea la madre di Melicerte e i Latini Matuta, ma gli uni e gli altri la considerano una dèa.

Pico al tempo di Debora.
15.
Durante quel periodo di tempo ebbe fine il regno di Argo, trasferito a Micene, patria di Agamennone, ed ebbe inizio il regno di Laurento, di cui fu primo re Pico, figlio di Saturno, mentre presso gli Ebrei era giudice Debora, ma in lei operava lo Spirito di Dio, perché era anche profetessa. Il suo cantico profetico è poco chiaro sicché non si può, senza un lungo esame, decidere se sia riferibile al Cristo 41. Già dunque in Italia avevano un regno i Laurenti e la teoria più certa è che da essi, dopo i Greci, dipenda l'origine di Roma. Rimaneva ancora l'impero di Assiria, in cui regnava il ventitreesimo re Lampare, quando iniziava il regno di Pico, primo re di Laurento. Gli adoratori di tali dèi riflettano sulla concezione che hanno di Saturno, padre di Pico, perché negano che fosse un uomo. Altri hanno scritto che regnò in Italia prima del figlio Pico. Virgilio nella sua opera letteraria più nota dice: Egli radunò un popolo incivile e sparpagliato sulle alture, gli diede le leggi e volle che si chiamasse Lazio, perché era rimasto latitante con sicurezza in queste regioni. Dicono che durante il suo regno si ebbe l'età dell'oro 42. Ma si persuadano che queste sono fantasticherie poetiche e si convincano che padre di Pico fu Sterce e che da lui, abilissimo agricoltore, si ebbe la scoperta che i campi sono fertilizzati dal concime degli animali, che dal suo nome fu detto sterco. Anzi alcuni affermano che egli si chiamasse Stercuzio. Ma qualunque sia il motivo, per cui hanno preferito chiamarlo Saturno, certamente a buon diritto hanno considerato questo Sterce o Stercuzio dio dell'agricoltura. Allo stesso modo hanno inserito anche il figlio Pico nel numero di simili dèi perché affermano che fu un bravissimo indovino e guerriero. Pico ebbe per figlio Fauno, secondo re di Laurento, anche egli è o fu per loro un dio. Prima della guerra di Troia tributarono onori divini a individui scomparsi.

Il mito di Diomede e degli uccelli.
16.
Mentre veniva distrutta Troia con lo sterminio esaltato da ogni parte e notissimo ai ragazzi, perché per la sua importanza e per la sublime liricità dei poeti è in modo eccezionale conosciuto da tutti, regnava già Latino, figlio di Fauno, da cui ebbe inizio la denominazione del regno dei Latini e cessò quella di Laurento. I Greci vincitori, mentre, abbandonata Troia, tornavano ai propri paesi, furono colpiti e straziati da diverse orribili sventure. Ciò nonostante, anche in relazione ad esse, aumentarono il numero dei propri dèi. Considerarono dio perfino Diomede, sebbene non avesse fatto ritorno in patria per una pena inflittagli dagli dèi. Vorrebbero dare ad intendere che i suoi compagni, non in base a una immaginaria mistificazione poetica ma in base a una verifica storica, furono tramutati in uccelli. Egli, divenuto dio, come affermano, non riuscì a restituire a loro la natura umana né l'ottenne, sebbene novello abitatore del cielo, da Giove suo re. Dicono anzi che v'è un suo tempio nell'isola di Diomede, non lontano dal monte Gargano, che è nelle Puglie, e che questi uccelli volano attorno al tempio e vi sostano con tanta ammirevole venerazione che ingurgitano acqua e poi la spruzzano, e se capitano là Greci o discendenti di razza greca, non solo rimangono tranquilli, ma gorgheggiano lusinghieri, se invece scorgono uno straniero, volano in picchiata sulle teste e le feriscono con poderosi attacchi fino a uccidere. Si dice che sono forniti di duri e grandi becchi adatti a simili assalti.

Varie metamorfosi.
17.
Per dimostrarlo Varrone ricorda altri fatti, non meno incredibili, della famosissima maga Circe che mutò in belve i compagni di Ulisse 43, e degli Arcadi che, tratti a sorte, passavano a nuoto un laghetto e in esso venivano tramutati in lupi e vivevano con tali fiere nei deserti di quella regione. Se non si cibavano di carne umana, dopo nove anni, ripassato di nuovo a guado quel lago, tornavano a essere uomini. Poi fa anche il nome di un certo Demeneto il quale, avendo assaggiato dell'immolazione che gli Arcadi erano soliti fare con un fanciullo sacrificato al loro dio Liceo ed essendo trasformato in lupo e al decimo anno restituito nella propria forma, si esercitò nel pugilato e vinse alla gara olimpica. Lo storico citato suppone che l'appellativo a Pan Liceo e a Giove Liceo sia stato attribuito in Arcadia per il solo motivo della trasformazione di uomini in lupi, perché pensavano che potesse avvenire soltanto con un potere divino. Il lupo appunto in greco è , da cui evidentemente deriva il termine Liceo. Egli afferma che anche i Luperci romani derivano dal clan, per così dire, di questi miti 44.

Malefizi.
18
. 1. Coloro che leggeranno forse attendono il mio parere su questa madornale mistificazione diabolica. Dico soltanto che bisogna fuggire di mezzo a Babilonia 45. Questo avvertimento del profeta va inteso in senso spirituale per fuggire dalla città del tempo, che è la società degli angeli e degli uomini infedeli, per avviarci al Dio vero con l'incedere della fede che opera per mezzo dell'amore 46. Noi osserviamo che il potere dei demoni è tanto grande, quindi con tanto maggior fermezza dobbiamo unirci al Mediatore, perché con lui risaliamo dal basso in alto. Se diciamo che non si deve credere a questi pregiudizi, anche adesso non mancano persone le quali assicurano che hanno sentito parlare di alcuni fatti del genere o perfino che li hanno visti. Quando ero in Italia, udivo narrare simili aneddoti di una regione di quelle parti. Dicevano che alcune locandiere iniziate ai malefizi, davano nel formaggio ai viandanti, che volevano o potevano, qualcosa affinché all'istante si trasformassero in giumenti, caricassero la roba necessaria e, compiuto il servizio, tornassero in sé. Dicevano che tuttavia in loro non si aveva una percezione da bestie ma ragionevole e umana, come Apuleio nell'opera intitolata L'asino d'oro ha denunziato o immaginato che è avvenuto a lui, dopo aver bevuto un intruglio, di divenire asino ma con la coscienza umana.

Magia della doppia dimensione esistenziale.
18.
2. Questi fatti strepitosi sono o falsi o così strani che giustamente non si credono. Tuttavia si deve credere fermamente che Dio onnipotente può fare tutto ciò che vuole o per punire o per aiutare. I demoni quindi, se non lo permette Colui i cui ordinamenti occulti sono molti, ma nessuno ingiusto, non possono effettuare nulla col potere della propria natura perché anche essa, sebbene angelica, per quanto viziata dalla colpa, è creatura. I demoni certamente non creano una sostanza se ottengono gli effetti che sono oggetto di questo esame, ma trasformano soltanto nell'apparenza gli esseri creati dal Dio vero in modo che sembrino quel che non sono. Per nessun motivo vorrei ammettere che non solo l'anima ma neanche il corpo, con l'artifizio o il potere dei demoni, può essere realmente trasformato in membra e lineamenti belluini. È il contenuto della immaginazione umana che anche con la riflessione o col sogno sfuma in una serie infinita di oggetti e, sebbene non sia corpo, coglie le sembianze dei corpi con ammirevole prontezza e che, sopiti o sopraffatti gli altri sensi umani, può essere, mediante una forma corporea, non saprei in quale indicibile maniera, convogliata alla sensitività di altre persone. Il corpo degli uomini giace certamente da qualche parte, ancora in vita, ma con i sensi impediti più fortemente e violentemente che dal sonno. Così il contenuto dell'immaginazione, presa forma corporea, si mostra ai sensi degli altri nella figura di un determinato animale e anche all'uomo sembra di essere in quella forma, come potrebbe sembrargli di esserlo in sogno, e di caricare dei pesi. Questi pesi, se sono veramente corpi, sono caricati dai demoni per una burla agli uomini che scorgono in parte la massa reale dei pesi, in parte le falsi immagini dei giumenti. Un certo Prestanzo raccontava ciò che era accaduto a suo padre. Questi aveva sorbito a casa sua quell'intruglio magico attraverso il formaggio ed era rimasto a letto come se dormisse, tuttavia fu assolutamente impossibile destarlo. Diceva che dopo alcuni giorni fu come se si svegliasse e narrò i sogni illusori che aveva fatto per imposizione, cioè che divenuto un cavallo, assieme ad altri giumenti, aveva recato sul groppone per i soldati il vettovagliamento chiamato Retico poiché veniva trasportato nelle regioni della Rezia. Si appurò che era avvenuto come aveva narrato, tuttavia a lui sembravano sogni. Un altro narrò che, durante la notte, prima di dormire, vide venire a casa sua un filosofo da lui molto conosciuto, il quale gli spiegò alcune teorie platoniche che prima, sebbene supplicato, non aveva voluto spiegare. E quando fu chiesto al filosofo perché aveva fatto a casa di un altro quel che aveva negato a chi lo richiedeva di fare in casa propria, rispose: Non l'ho fatto, ho sognato di farlo. Perciò a chi vegliava è stato mostrato mediante un contenuto dell'immaginazione quel che l'altro vide in sogno.

Spiegazione.
18.
3. Queste notizie sono giunte a me non da una persona qualsiasi, cui sarebbe indecoroso prestar fede, ma da persone che hanno riferito cose viste e che, a mio avviso, non mi hanno mentito. Perciò riguardo al fatto che uomini, come si legge nelle opere letterarie, siano stati trasformati in lupi dagli dèi, o meglio da demoni Arcadi e che Circe con incantesimi trasformò i compagni di Ulisse 47, è possibile, come a me pare, che, se è avvenuto, è avvenuto nella forma sopra indicata. Ritengo poi che gli uccelli di Diomede, poiché si afferma che la loro specie persiste nel succedersi delle covate, non sono derivati dalla metamorfosi di uomini ma che furono sostituiti agli uomini allontanati segretamente, come la cerva ad Ifigenia, figlia del re Agamennone. Non furono certamente difficili ai demoni, lasciati liberi per divina ordinazione, simili gherminelle, ma poiché la ragazza in seguito fu trovata viva, si riseppe con facilità che a lei era stata sostituita una cerva. Dei compagni di Diomede invece, poiché sparirono all'istante e poi non si fecero più vedere da nessuna parte e i vendicativi angeli cattivi li perdettero di vista, si favoleggia che furono trasformati in quegli uccelli che di nascosto dai luoghi, dove vive questa razza, furono trasportati in quegli altri luoghi e subito sostituiti. Non c'è da meravigliarsi poi che portino col becco l'acqua e la spruzzino sul tempio di Diomede e che blandiscono gli oriundi Greci e strapazzano quelli di altra provenienza, perché il fatto avviene per istigazione dei demoni ai quali interessa persuadere, per ingannare gli uomini, che Diomede è divenuto un dio. Così questi, con oltraggio del vero Dio, adorano molti falsi dèi e cercano di cattivare uomini morti, che non vivevano nella verità neanche quando vivevano, con templi, altari, immolazioni, sacerdoti. Sono istituzioni queste che sono legittime perché dovute all'unico Dio vivo e vero.

Da Enea alla fine di Sicione.
19.
Nel periodo dopo la conquista e la distruzione di Troia Enea, con venti navi con le quali si trasferivano i superstiti di Troia, venne in Italia. Vi regnava Latino, ad Atene Menesteo, a Sicione Polifide, in Assiria Tautane, dagli Ebrei era giudice Labdon. Dopo la morte di Latino regnò Enea per tre anni e nei paesi menzionati rimanevano i medesimi, eccetto Pelasgo che era re di Sicione e Sansone che era giudice degli Ebrei e che, essendo straordinariamente forte, era considerato un Ercole. I Latini considerarono Enea un dio perché, appena morto, disparve. Anche i Sabini annoverarono fra gli dèi il loro primo re Sanco o, come alcuni dicono, Sacto. In quel tempo Codro, re di Atene, senza farsi riconoscere, si espose per essere ucciso dai Peloponnesi, nemici della città, e così avvenne. Vanno dicendo che in questo modo liberò la patria. I Peloponnesi avevano ricevuto un oracolo che avrebbero vinto se non uccidevano il re. Li ingannò dunque mostrandosi col vestito di un accattone e incitandoli con insulti alla propria morte. Per questo Virgilio ha detto: Anche gli insulti di Codro 48. Gli Ateniesi venerarono anche lui come dio mediante l'onoranza delle offerte. Mentre era quarto re del Lazio Silvio, figlio di Enea non da Creusa, dalla quale nacque il terzo re Ascanio, ma da Lavinia, figlia di Latino, la quale, come si narra, lo mise al mondo dopo la morte di Enea, e mentre in Assiria regnava il ventinovesimo re Oneo e il decimosesto di Atene Melanto ed era giudice degli Ebrei il sacerdote Eli, ebbe termine il regno di Sicione che, come si tramanda, era durato novecentocinquantanove anni.

Da Saul alla fondazione di Alba.
20.
Mentre nei paesi menzionati regnavano i medesimi sovrani, il regno d'Israele, terminata l'epoca dei Giudici, ebbe inizio col re Saul e Samuele era il profeta 49. Da quel tempo cominciarono a regnare i re del Lazio che soprannominavano i Silvii, perché avevano cominciato a regnare col figlio di Enea che per primo fu chiamato Silvio. A quelli che seguirono furono imposti altri nomi, ma non venne meno il soprannome 50, come molto tempo dopo furono soprannominati Cesari i successori di Cesare Augusto. Dopo la destituzione di Saul, per cui non si ebbe più un re della sua tribù, alla sua morte seguì nel regno Davide dopo quarant'anni del dominio di Saul. In quel tempo gli Ateniesi, dopo la uccisione di Codro, cessarono dall'avere un re e cominciarono, per l'amministrazione dello Stato, ad avere dei magistrati. Dopo Davide che, anche egli, regnò quarant'anni 51, fu re d'Israele il figlio Salomone, il quale fece costruire il meraviglioso tempio di Dio a Gerusalemme. Durante il suo regno nel Lazio fu fondata Alba. E da essa in seguito si cominciò a denominare i re di Alba, non più del Lazio, sebbene anche essa sia nel Lazio. A Salomone successe il figlio Roboamo, sotto il quale il popolo d'Israele fu diviso in due regni e i due Stati cominciarono ad avere un proprio re 52.

Dal tramonto dell'Assiria agli albori di Roma.
21.
Il Lazio dopo Enea, che considerarono dio, ebbe undici re, dei quali nessuno divenne dio. Invece Aventino, che è il dodicesimo dopo Enea, essendo stato ucciso in guerra e sepolto sul colle, che oggi ancora si designa col suo nome, fu aggiunto al numero degli dèi concepiti a modo loro. Altri non vollero ammettere che fosse ucciso in battaglia, ma han detto che era scomparso e che il colle non è stato denominato Aventino dal suo nome ma dalla venuta di certi uccelli. Dopo di lui nel Lazio non è stato considerato dio alcuno fuorché Romolo, fondatore di Roma. Fra lui e il suddetto si hanno due re. Il primo, tanto per usare un verso di Virgilio, fu l'immediato discendente Proca, gloria della stirpe troiana 53. Mentre viveva, poiché già in certo senso Roma era portata in grembo, l'impero di Assiria, il più grande di tutti, giunse al termine della sua lunga durata. Passò ai Medi dopo circa milletrecentocinque anni, tanto per calcolare anche il periodo di Belo, che fu padre di Nino e, pago di un dominio modesto, fu il primo re in quella regione. Proca fu re prima di Amulio. Ora Amulio aveva dichiarato vergine vestale la figlia del fratello Numitore di nome Rea, che si chiamava anche Ilia, madre di Romolo. Dicono che concepì i gemelli da Marte per nobilitare o scusare il suo disonore e per addurre una prova convincente che una lupa aveva allattato i bimbi esposti. Suppongono che questa razza di belve sia a servizio di Marte affinché si ammetta che la lupa porse le poppe ai piccoli perché riconobbe i figli di Marte suo signore. Però non mancano coloro i quali dicono che, mentre giacevano esposti e vagivano, furono prima raccolti da non saprei quale meretrice e le sue mammelle furono le prime che succhiarono. Difatti chiamavano lupe le meretrici e per questo i locali della loro prostituzione anche ora si chiamano lupanari. Aggiungono che in seguito furono condotti al pastore Faustolo e nutriti dalla moglie Acca. Sebbene non deve far meraviglia se, per rimproverare un re che aveva ordinato con efferatezza di gettarli in acqua, Dio, per mezzo di una fiera che allattava, volle soccorrere, dopo averli salvati dall'annegamento, quei bimbi dai quali doveva essere fondata una così grande città. Ad Amulio successe nel regno del Lazio il fratello Numitore, nonno di Romolo. Nel primo anno del suo regno fu fondata Roma, perciò in seguito regnò col suo nipote Romolo.

Roma fondata ai tempi di Ezechia.
22.
Non voglio indugiare in particolari. La città di Roma fu fondata come un'altra Babilonia o come figlia della prima Babilonia perché per suo mezzo piacque a Dio di soggiogare il mondo civile e di pacificarlo dopo averlo condotto all'unità di rapporti politici e giuridici. V'erano già degli Stati potenti e forti e nazioni agguerrite che non avrebbero ceduto facilmente e che era indispensabile sottomettere con immensi pericoli, con grandi perdite dall'una e dall'altra parte e con disagio spaventoso. Invece quando l'impero di Assiria soggiogò quasi tutta l'Asia, sebbene il dominio sia stato realizzato con la guerra, tuttavia fu possibile realizzarlo con guerre non tanto gravose e difficili, perché i popoli erano ancora inesperti alla resistenza e non erano tanti e così grandi. Difatti dopo il diluvio più grande perché universale, in cui soltanto otto uomini si salvarono nell'arca di Noè, non erano passati più di mille anni quando Nino assoggettò l'Asia fuorché l'India. Roma, al contrario, non sottomise con la medesima celerità e facilità i tanti popoli dell'Oriente e dell'Occidente che sappiamo soggetti all'impero romano perché, ampliandosi lentamente, li trovò vigorosi e agguerriti da qualunque parte si estendeva. Nell'anno in cui Roma fu fondata, il popolo d'Israele era nella Terra promessa da settecentodiciotto anni. Di essi ventisette appartengono a Giosuè di Nun e trecentoventinove all'epoca dei Giudici. E da quando aveva cominciato a essere un regno, ne erano passati trecentosessantadue. Il re che allora reggeva il regno di Giuda si chiamava Acaz o, secondo il computo di altri 54, il suo successore Ezechia. È noto che questo re molto buono e devoto regnò al tempo di Romolo. Nello Stato del popolo ebraico, che si chiamava Israele, aveva cominciato a regnare Osea.

La sibilla Eritrea e l'acrostico.
23.
1. Alcuni narrano che in quel tempo proferì vaticini la Sibilla Eritrea. Varrone riferisce che le sibille furono parecchie non una 55. La Sibilla Eritrea ha dato allo scritto alcune manifeste divinazioni sul Cristo. Le ho lette nella lingua latina, prima in brutti versi latini e anche sconnessi per non saprei quale inettitudine del traduttore, come ho appreso in seguito. Infatti l'illustre Flacciano, che fu anche proconsole, uomo di spontanea eloquenza e di grande cultura, mentre parlavamo del Cristo, mi presentò un codice greco dicendomi che conteneva poesie della Sibilla Eritrea, mi mostrò in un punto, nei capoversi, che la serie delle lettere era disposta in modo che vi si leggessero le parole , le quali significano: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. I versi, in cui le prime lettere hanno il significato che ho detto, come li ha tradotti un tale in versi latini ben connessi, hanno questo contenuto:

Segno del giudizio: la terra sarà madida di sudore.

Verrà dal cielo Colui che sarà re per sempre,

cioè per giudicare di presenza la carne e il mondo.

In questo fatto vedranno Dio il miscredente e il credente,

in alto con i santi alla fine del tempo.

Vi saranno col corpo le anime che egli giudica,

quando il mondo giace incolto in dense sterpaglie.

Gli uomini disdegnano gli idoli e ogni tesoro.

Il fuoco brucerà la terra e al mare e al polo

dilagando sfonderà le porte dell'Averno oscuro.

Ad ogni corpo dei santi una libera luce

sarà data, una fiamma eterna brucerà i colpevoli.

Ognuno mettendo a nudo gli atti occulti manifesterà

le cose segrete e Dio schiuderà le coscienze alla luce.

Allora vi sarà pianto, tutti gemeranno battendo i denti.

Sarà tolto lo splendore al sole e cesserà la danza negli astri.

Crollerà il cielo, lo splendore della luna cesserà;

abbatterà i colli e solleverà dal basso le valli.

Non vi sarà nelle costruzioni dell'uomo il sublime e l'alto.

I monti saranno livellati ai campi e l'azzurro del mare

cesserà del tutto, la terra finirà frantumata:

parimenti sorgenti e fiumi si disseccheranno per il caldo.

Ma allora una tromba manderà un triste suono dall'alto

del globo per lamentare la colpa infelice e i vari tormenti

e la terra spaccandosi mostrerà il caos del Tartaro.

I re saranno adunati lì davanti al Signore.

Cadrà dal cielo uno scroscio di fuoco e di zolfo 56.

In questi versi latini, tradotti in qualche modo dal greco, non era possibile la corrispondenza del significato che si ha quando le lettere che sono all'inizio si collegano in una parola, dove in greco è usata l'Y perché non era possibile trovare parole latine che cominciassero con quella lettera e si adattassero al significato. Sono tre versi, il quinto, il decimottavo e il decimonono. Inoltre se, collegando le lettere iniziali di tutti i versi, non leggiamo quelle che sono state scritte per i tre versi suddetti, ma sostituiamo la lettera Y, come se fosse usata in quei capoversi, si enunzia con cinque parole, in linguaggio greco non latino: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Sono ventisette versi che è il cubo di tre. Tre per tre difatti dà nove e nove per tre, come ad aggiungere alla superficie l'altezza, è ventisette. Se unisci le prime lettere delle cinque parole greche che sono , e significano Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore, si avrà , cioè pesce, termine con cui simbolicamente si raffigura il Cristo perché ebbe il potere di rimanere vivo, cioè senza peccato, nell'abisso della nostra mortalità, simile al profondo delle acque.

Contenuto cristiano dei vaticini sibillini.
23.
2. Questa Sibilla Eritrea o, come alcuni meglio pensano, Cumana, in tutto il suo vaticinio poetico, di cui quella riportata è una piccola parte, non ha nulla che riguardi il culto degli dèi falsi o inventati, anzi parla in termini tali contro di loro e contro i loro adoratori da essere annoverata nel numero di coloro che appartengono alla città di Dio. In una sua opera Lattanzio allega vaticini della Sibilla sul Cristo, sebbene non indichi il nome. Io ho pensato di riunire le frasi che egli ha citato separatamente in modo che rientrino in un unico contesto i vari e brevi pensieri che egli ha riportato. Dice la Sibilla: Cadrà poi nelle mani empie degli infedeli, daranno schiaffi a Dio con mani contaminate e getteranno sputi velenosi dalla turpe bocca ed egli senza resistenza offrirà il dorso ai colpi. Nel ricevere schiaffi tacerà affinché non si sappia che è il Verbo e da dove viene per morire ed essere coronato di spine. Per cibo gli diedero il fiele e per bevanda l'aceto, gli offriranno questa vivanda dell'inospitalità. Tu, stolto, non hai compreso il tuo Dio che si mostra alla coscienza degli uomini, ma lo hai perfino coronato di spine e gli hai mescolato nella bevanda il fiele disgustoso. Sarà spaccato il velo del tempio e a mezzogiorno per tre ore scenderà una notte tenebrosa. Morirà e sarà nel sonno della morte per tre giorni e allora, ritornato dal regno dei morti, verrà per primo alla luce dopo aver mostrato ai risorti le primizie della risurrezione 57. Lattanzio ha usato queste attestazioni della Sibilla separatamente in punti diversi della dissertazione, in accordo a quel che richiedeva la tesi che intendeva dimostrare. Io, senza nulla frapporre ma legando insieme le frasi in un solo testo, ho procurato di dividerle soltanto nei periodi, con la speranza che in seguito gli amanuensi non trascurino di mantenerli. Alcuni dicono che la Sibilla Eritrea non visse ai tempi di Romolo ma della guerra di Troia.

Romolo e Numa e fine del regno d'Israele.
24.
Si tramanda che, mentre regnava Romolo, visse Talete di Mileto, uno dei sette sapienti i quali, dopo i poeti teologi, fra cui il più illustre fu Orfeo, furono chiamati che significa "sapienti" 58. Nel medesimo tempo le dieci tribù, che nella divisione del popolo furono chiamate d'Israele, furono sconfitte dai Caldei e trasferite in prigionia in quelle regioni 59, mentre rimanevano in Giudea le due tribù che erano denominate di Giuda e avevano la capitale del regno a Gerusalemme. Quando Romolo morì, i Romani, poiché anche egli era scomparso, lo annoverarono fra gli dèi, fatto a tutti ben noto 60. La consuetudine era del tutto scomparsa, anche se al tempo degli imperatori era riemersa ma per adulazione e non per un'aberrazione. Perciò Cicerone accredita a grande vanto di Romolo 61 il fatto che meritò questi onori non in tempi incivili e incolti, quando gli uomini erano facilmente ingannati, ma in tempi raffinati e acculturati, sebbene non avesse ancora brillato e germogliato il linguaggio fine e ingegnoso dei filosofi 62. Ma anche se i periodi successivi non considerarono dèi gli uomini morti, tuttavia non cessarono di onorare quelli che erano stati considerati dèi dagli antenati, che anzi con statue, che gli antichi non avevano 63, accrebbero l'attrattiva di una frivola ed empia superstizione. La causavano nel loro cuore gli immondi demoni che ingannavano anche con falsi oracoli affinché mediante spettacoli si rappresentassero oscenamente, in omaggio ai falsi dèi, i loro delitti immaginari che ormai in una età più civile non erano più oggetto di mistificazione. Dopo Romolo regnò Numa il quale, avendo pensato che la città doveva essere difesa da un gran numero di dèi senza dubbio falsi, dopo la morte non meritò di essere accolto in quella schiera. Si pensò, per così dire, che aveva affollato il cielo con tante divinità che non gli fu possibile trovare un posticino per sé. Mentre egli regnava a Roma e presso gli Ebrei iniziava il regno di Manasse, il re crudele dal quale, secondo la tradizione, fu ucciso il profeta Isaia 64, viveva, come dicono, la Sibilla di Samo 65.

Sedecia, Tarquinio e i sette sapienti.
25.
Mentre regnava presso gli Ebrei Sedecia e a Roma Tarquinio Prisco, successore di Anco Marzio, il popolo dei Giudei fu condotto prigioniero in Babilonia in seguito alla distruzione di Gerusalemme e del tempio fatto costruire da Salomone 66. I Profeti, nel rimproverare i Giudei per la loro disonestà ed empietà, avevano predetto questi avvenimenti, soprattutto Geremia che indicò anche il numero degli anni 67. Si tramanda che in quel tempo viveva Pittaco di Mitilene, un altro dei sette sapienti. Eusebio scrive che gli altri cinque i quali, per raggiungere il sette, si aggiungono a Talete, che ho nominato precedentemente, e a Pittaco, vissero in quel periodo in cui il popolo di Dio era tenuto prigioniero in Babilonia 68. Sono Solone di Atene, Chilone di Sparta, Periandro di Corinto, Cleobulo di Lindo, Biante di Priene. Costoro, chiamati i sette sapienti, si distinsero dopo i poeti teologi perché eccellevano sugli altri uomini per un tenore di vita lodevole e perché compendiarono alcuni imperativi morali in forma di proverbi. Però non lasciarono ai posteri opere letterarie di rilievo, salvo Solone che, come si riferisce, scrisse alcune leggi per gli Ateniesi. Talete fu un naturalista e lasciò i libri delle sue teorie. Durante la cattività dei Giudei si distinsero anche i naturalisti Anassimandro, Anassimene e Senofane. In quel tempo esisteva anche Pitagora, dal quale ebbe inizio la denominazione di "filosofi" 69.

Dario e la fine della cattività giudaica.
26.
Durante quel periodo Ciro, re della Persia, che reggeva anche Caldei e Assiri, alleviando la cattività degli Ebrei, permise che cinquantamila uomini ritornassero per edificare il tempio 70. Da loro furono soltanto gettate le fondamenta e costruito l'altare. Per le incursioni dei nemici non poterono andare avanti nella costruzione che ebbe un rinvio fino a Dario. Sempre in quel periodo avvennero anche i fatti che sono narrati nel libro di Giuditta che i Giudei, come è noto, non hanno accolto nel canone della Scrittura. Sotto Dario, re di Persia, terminata la prigionia dopo i settanta anni, che aveva predetto il profeta Geremia, fu restituita l'indipendenza ai Giudei, mentre regnava il settimo re di Roma Tarquinio. Quando fu mandato in esilio, anche i Romani cominciarono ad esser liberi dal dominio dei propri re. Il popolo d'Israele ebbe Profeti fino a questo tempo, furono molti, ma di pochi sono ritenuti canonici gli scritti presso gli Ebrei e presso i cristiani. Nel porre un termine al libro precedente ho promesso che in questo libro avrei allegato alcuni loro brani 71. Noto che è giunto il momento di farlo.

Cristo e la Chiesa nei Profeti [27-44]

Inizio dell'epoca dei profeti.
27.
Per precisare il tempo, in cui vissero i Profeti, dobbiamo risalire un po' indietro. All'inizio del libro del profeta Osea, che è il primo dei dodici minori, è scritto: Parola del Signore che fu rivolta ad Osea al tempo dei re di Giuda Ozia, Ioatan, Acaz ed Ezechia 72. Anche Amos scrive di aver profetato durante il regno di Ozia, aggiunge anche Geroboamo, re d'Israele, che regnò durante quel periodo 73. Anche Isaia, figlio di Amos, cioè del Profeta suddetto o, come generalmente si afferma di un altro che era omonimo ma non profeta, nomina all'inizio del suo libro i quattro re citati da Osea e premette che ha profetato durante il loro regno 74. Anche Michea stabilisce il medesimo periodo di tempo dopo Ozia per la sua profezia. Difatti cita i tre re che gli succedono, nominati anche da Osea, cioè Ioatan, Acaz ed Ezechia 75. Sono questi coloro che hanno profetato contemporaneamente, come si rileva dai loro libri. Ad essi si aggiunge Giona sempre durante il regno di Ozia, inoltre Gioele, quando era già re Ioatan, successore di Ozia. Però ho potuto precisare l'età in cui vissero questi due Profeti dalla Cronaca, non dai loro libri perché non ne parlano. Questo periodo va dal re del Lazio Proca o dal predecessore Aventino fino a Romolo, ormai re di Roma, o anche fino all'inizio del regno del suo successore Numa Pompilio, poiché Ezechia, re di Giuda, regnò fino ad allora 76. Perciò queste sorgenti, per così dire, della profezia sgorgarono insieme in quell'arco di tempo in cui venne a mancare il regno assiro e iniziò quello di Roma. Quindi come nel primo periodo dell'impero di Assiria visse Abramo, al quale furono rivolte le esplicite promesse della benedizione di tutti i popoli nella sua discendenza, così all'inizio della Babilonia d'Occidente, durante il cui impero sarebbe venuto il Cristo, nel quale si adempivano quelle promesse, i discorsi dei Profeti, che non solo parlavano ma anche scrivevano, si dovevano svolgere nell'attestazione di un così grande avvenimento. Sebbene non mancassero quasi mai Profeti al popolo d'Israele da quando iniziò l'epoca dei re, essi furono tuttavia a suo vantaggio, non di tutti i popoli. Quando invece si costituiva una scrittura più palesemente profetica, che giovasse a tempo debito ai popoli, era opportuno che iniziasse quando si costituiva la città che doveva esercitare l'impero su tutti i popoli.

Conversione dei popoli in Osea e Amos.
28.
Il profeta Osea viene interpretato con tanto maggiore difficoltà in proporzione alla profondità con cui si esprime. Ma dal suo libro si deve scegliere qualche brano e allegarlo qui secondo la mia promessa. Dice: Avverrà che nel luogo in cui fu detto loro: Voi non siete mio popolo, saranno chiamati anche essi figli del Dio vivo 77. Anche gli Apostoli interpretarono questa testimonianza profetica in riferimento alla vocazione del popolo dei pagani che prima non appartenevano al popolo di Dio 78. E poiché anche il popolo dei pagani è spiritualmente tra i figli di Abramo e perciò giustamente è chiamato Israele, perciò continua e dice: Si riuniranno i figli di Giuda e i figli di Israele, stabiliranno per sé un'unica autorità e lasceranno il proprio paese 79. Se volessi spiegare questo brano, svanirebbe il sapore dell'eloquio profetico. Siano ricordate però la pietra angolare e le due pareti, una formata da Giudei, l'altra da pagani. E si riconosca che si elevano dal piano poggiando e innalzandosi insieme sull'unico loro fondamento, quella nel nome dei figli di Giuda, questa nel nome dei figli d'Israele 80. Questo Profeta afferma che gli Israeliti secondo la carne, che ora non vogliono credere nel Cristo, poi vi crederanno, cioè i loro discendenti, perché anche essi con la morte raggiungeranno il proprio destino. Dice: Per molto tempo i figli d'Israele saranno senza re, senza capo, senza sacrificio, senza altare, senza sacerdozio, senza rivelazioni. Ognuno può costatare che oggi i Giudei sono in questa condizione. Ma ascoltiamo quel che aggiunge: Poi ritorneranno i figli d'Israele e cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re e alla fine dei tempi rimarranno attoniti nel Signore e nella sua bontà 81. Questa profezia è molto esplicita se si intende che col nome del re Davide è stato indicato il Cristo perché, come dice l'Apostolo, è venuto al mondo dalla stirpe di Davide secondo la carne 82. Questo profeta ha preannunciato anche che al terzo giorno sarebbe avvenuta la risurrezione di Cristo come conveniva che con sublime stile profetico fosse preannunziata. Dice: Dopo due giorni ci ridarà la vita, al terzo risorgeremo 83. In questo senso ci dice l'Apostolo: Se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù 84. Anche Amos parla profeticamente di queste verità dicendo: Preparati, o Israele, a invocare il tuo Dio, io sono colui che fa scoppiare il tuono e crea i venti e annunzia agli uomini il loro Cristo 85. In un altro passo: In quel giorno rialzerò la tenda di Davide che è caduta, ricostruirò le mura che sono crollate e riparerò le sue rovine, le ricostruirò come un giorno che non cessi mai, in modo che mi cerchino i superstiti dell'umanità e tutti i popoli, in cui è stato invocato il mio nome su di loro, dice il Signore che fa queste cose 86.

La passione di Cristo in Isaia.
29.
1. Il profeta Isaia non è nell'elenco dei dodici Profeti, detti appunto minori perché i loro scritti sono brevi nel confronto con quelli detti appositamente maggiori perché hanno compilato libri molto estesi. Fra di essi c'è Isaia che, in considerazione della contemporaneità della profezia, fo seguire ai due sopraindicati. Isaia dunque inserisce fra i brani in cui condanna la disonestà, esorta alla moralità e predice al popolo peccatore i castighi che seguiranno, parole che preannunziano profeticamente, molto più che negli altri, le vicende del Cristo e della Chiesa, cioè del re e della città da lui fondata, al punto che da alcuni è considerato più un evangelista che un profeta. Ma per porre un limite alla trattazione allegherò uno dei molti passi. Parlando a nome di Dio Padre dice: Ecco il mio servo giudicherà rettamente, sarà innalzato e molto onorato. Come molti si stupiranno di te perché il tuo aspetto dagli uomini sarà spogliato di dignità e la dignità stessa scomparirà, così si meraviglieranno di lui molti popoli e i re si chiuderanno la bocca, perché conosceranno di lui un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che non avevano udito. Signore, chi ha creduto al nostro annunzio e a chi è stata manifestata la potenza del Signore? L'abbiamo annunziato dinanzi a lui; egli è come un bambino, come una radice in una terra arida. Non ha aspetto né dignità. L'abbiamo visto e non aveva né aspetto né decoro, ma il suo aspetto è privo di onore e senza apparenza dinanzi a tutti gli uomini. È un uomo posto nella sofferenza che sa sopportare il dolore perché la sua faccia è stravolta, è senza onore e non è stato considerato affatto. Egli porta i nostri peccati e soffre per noi e noi abbiamo giudicato che egli era nel dolore, nelle piaghe e nella sofferenza. Ma egli è stato ferito per le nostre iniquità e schiacciato per i nostri peccati. È in lui l'avere conoscenza della nostra pace perché siamo stati salvati dalle sue ferite. Eravamo sperduti come pecore, l'uomo era uscito dalla propria strada e il Signore lo consegnò per i nostri peccati ed egli non aprì la bocca sulle proprie sofferenze. Fu condotto al macello come una pecora ed egli fu senza voce come un agnello dinanzi a chi lo tosa. A suo avvilimento fu pronunziata la sentenza di morte. Chi si ricorderà della sua esistenza? La sua vita sarà eliminata dalla terra. Fu condotto alla morte dalle iniquità del mio popolo. Gli darò gli empi per sepolcro e i ricchi per la sua morte. Poiché non ha commesso malvagità né inganno con la sua bocca, il Signore vuole liberarlo dal dolore. Se darete la vostra anima in espiazione vedrete una tarda discendenza; e il Signore vuole liberare dal dolore la sua anima, mostrargli la luce, formare la sua intelligenza, giustificare il giusto che si offre per il bene di molti ed egli si addosserà i loro peccati. Perciò avrà per premio le moltitudini e dividerà il bottino dei forti perché la sua vita fu consegnata alla morte ed è stato annoverato fra gli empi ed egli portò il peccato di molti e fu consegnato per i loro peccati 87. Queste le parole sul Cristo.

La Chiesa in Isaia.
29.
2. Il brano che segue è sulla Chiesa, ascoltiamolo. Dice: Esulta, o sterile, che non partorisci, prorompi in grida di gioia, tu che non attendi il parto, poiché più numerosi saranno i figli dell'abbandonata che della maritata. Allarga lo spazio della tua tenda e dei tuoi teli. Inchioda, non risparmiare, allunga le tue cordicelle e rafforza i tuoi pioli, allarga ancora a destra e a sinistra. E la tua discendenza erediterà i popoli e abiterai nelle città un tempo abbandonate. Non temere di esser turbata e non essere in pensiero di essere biasimata perché dimenticherai per sempre il turbamento e non ti ricorderai il disonore della vedovanza, perché il Signore che ti sposerà è il Signore degli eserciti e chi ti redime è il Dio d'Israele che sarà chiamato Dio di tutta la terra 88. Così di seguito. Ma bastino queste parole anche se in esse si dovrebbero sviluppare alcuni pensieri, ma penso che siano sufficienti perché sono così chiari che anche gli avversari sono costretti, pur di malavoglia, a capire.

Il Messia e Betlem in Michea.
30.
1. Il profeta Michea, proponendo il Cristo nell'allegoria di un alto monte, scrive: Alla fine dei giorni il monte del Signore molto in vista sarà pronto sulla cima dei monti e s'innalzerà sopra i colli. Affluiranno ad esso le folle, verranno ad esso molti popoli e diranno: Venite, saliamo al monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe, egli ci indicherà la sua via e noi cammineremo sui suoi sentieri, poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà arbitro tra le grandi folle e pronunzierà sentenze fra popoli potenti e lontani 89. Il Profeta preannunziando anche il luogo in cui Cristo è nato dice: E tu Betlem di Efrata, così piccola per essere fra gli innumerevoli paesi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall'antichità dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà e il resto dei suoi fratelli ritornerà ai figli d'Israele. E starà là e pascerà il proprio gregge con la potenza del Signore e saranno nell'onore che spetta al Signore loro Dio, poiché egli sarà grande fino agli estremi confini della terra 90.

Giona: passione e risurrezione.
30.
2. Il profeta Giona ha preannunziato il Cristo non con la parola ma con la sua dolorosa esperienza, più apertamente che se avesse proclamato la sua morte e risurrezione. Fu appunto ingoiato nel ventre di una bestia e restituito il terzo giorno per simboleggiare il Cristo che al terzo giorno doveva tornare dal regno dei morti 91.

La pentecoste in Gioele.
30.
3. Gioele costringe a spiegare con molte parole le vicende che preannunzia in modo che siano chiare quelle che riguardano il Cristo e la Chiesa. Citiamo comunque un solo evento che anche gli Apostoli hanno indicato quando lo Spirito Santo venne dall'alto sui credenti riuniti, come era stato promesso dal Cristo 92. Dice: Dopo questo io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni e i vostri giovani avranno visioni ed anche sopra i miei schiavi e le mie schiave effonderò il mio Spirito 93.

Abdia: la Chiesa nella Giudea.
31.
1. I tre Profeti minori Abdia, Naum, Abacuc non riferiscono il periodo in cui vissero, né si riscontra nella Cronaca di Eusebio e di Girolamo il tempo in cui hanno scritto le proprie profezie. Abdia da loro è stato collocato assieme a Michea 94 ma dal suo libro, nello spazio riservato ai dati cronologici, non appare l'epoca in cui Michea ha profetato. Ritengo che sia avvenuto per un errore degli amanuensi che trascrivono con negligenza le opere degli altri. Né ho trovato nominati gli altri due nelle cronologie che ho avuto a disposizione. Tuttavia poiché sono inseriti nel canone, non è conveniente che da me siano tralasciati. Abdia, il più succinto di tutti i Profeti per quanto riguarda il suo libro, parla contro l'Idumea, la stirpe di Esaù, il maggiore non riconosciuto dei gemelli d'Isacco e nipote di Abramo. Se interpretiamo che l'Idumea è stata menzionata in senso figurato per indicare tutti i popoli, come il tutto con una parte, possiamo riferire al Cristo, fra le altre, anche queste parole: Sul monte Sion vi saranno salvezza e santità 95. Poco dopo, alla fine della profezia, dice: E saliranno i rigenerati dal monte Sion per difendere il monte di Esaù e sarà il regno del Signore 96. È evidente che l'evento si è verificato quando i rigenerati, che hanno creduto nel Cristo e quindi soprattutto gli Apostoli, salirono dal monte Sion, cioè dalla Giudea, per difendere il monte di Esaù. Lo difesero certamente salvando con la predicazione del Vangelo quelli che credettero, affinché fossero liberi dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno di Dio. Ha espresso il concetto aggiungendo: E il regno sarà del Signore. Difatti il monte Sion simboleggia la Giudea, perché in essa, secondo la predizione, si sarebbero realizzate la salvezza e la santità, cioè Cristo Gesù. Il monte di Esaù invece è l'Idumea, con la quale è stata simboleggiata la Chiesa dei pagani che i rigenerati, come ho spiegato, hanno difeso dal monte Sion, perché fosse il regno del Signore. L'evento era difficile a intendersi prima che si avverasse, ma una volta avverato ogni credente lo ravvisa.

Naum: contro l'idolatria.
31.
2. Il profeta Naum, o meglio Dio in lui, dice: Farò sparire le statue scolpite e quelle fuse: opererò il tuo seppellimento; perché ecco sui monti i passi veloci d'un messaggero che annuncia la pace. Celebra le tue feste, o Giuda, sciogli i tuoi voti: perché non avverrà più che passino in disuso. [Il male] è terminato, è stato distrutto e travolto. È asceso chi ti soffia in viso liberandoti dalla sofferenza 97. Chi ha letto il Vangelo richiami alla mente chi è stato che è salito dal regno dei morti e ha soffiato sul viso di Giuda, cioè dei discepoli giudei, lo Spirito Santo. Appartengono alla Nuova Alleanza coloro i cui giorni festivi sono rinnovati nello spirito sicché non possono passare in disuso. Con il Vangelo poi vediamo bandite le statue scolpite e fuse, cioè gli idoli dei falsi dèi, e consegnate all'oblio come a un seppellimento e notiamo che anche in questo la profezia ha avuto compimento.

Abacuc: l'attesa del Cristo.
31.
3. Si capisce bene che Abacuc non di alcun altro ma del Cristo, che doveva venire, dice: Il Signore mi rispose e mi disse: Scrivi chiaramente la visione su una tavoletta di bosso affinché chi legge la segua speditamente perché v'è ancora una visione con un termine, sarà palese alla scadenza e non invano; se indugerà, attendila perché si avvererà e non tarderà 98.

Parafrasi del cantico messianico di Abacuc.
32.
Nella sua orazione con cantico si rivolge certamente al Cristo Signore quando dice: Signore, ho udito il tuo annunzio e ho avuto timore, Signore, ho esaminato le tue opere e ho provato spavento. È questo certamente l'ineffabile stupore per la previsione della nuova e inaspettata salvezza degli uomini. La frase: Sarai conosciuto in mezzo a due animali, può significare o fra le due alleanze, o fra i due ladroni, o fra Mosè ed Elia mentre discorrevano con lui sul monte Tabor. Il passo: Mentre si avvicinano gli anni, sarai conosciuto, quando giungerà il tempo, ti mostrerai non ha bisogno di spiegazione. L'altro passo: Mentre è turbata l'anima mia, nell'ira ti ricorderai di avere clemenza 99 significa che egli ha parlato a nome dei Giudei, che erano della sua razza e mentre essi, sconvolti da una grande ira, crocifiggevano il Cristo, egli memore della clemenza invocava: Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno 100. Dio verrà da Teman e il Santo da un monte ombroso e boschivo. Alcuni hanno interpretato l'inciso: Verrà da Teman nel senso del vento australe o del libeccio, da cui è indicato il Mezzogiorno, cioè il calore della carità e lo splendore della verità. Preferirei ravvisare nel monte ombroso e boschivo, sebbene si possa interpretare in vari sensi, l'altezza delle divine Scritture con cui è stato preannunziato profeticamente il Cristo. In esse vi sono molte idee fitte di ombre e di piante che esercitano la mente di chi fa indagini. E da esse viene il Cristo quando ve lo trova chi le comprende. La sua maestà ricopre i cieli e della sua lode è piena la terra 101. Ha il medesimo significato che ha il versetto del Salmo: Innalzati sopra i cieli, o Dio, e su tutta la terra con la tua gloria 102. II suo splendore è come la luce significa che con la sua fama illuminerà i credenti. L'inciso: Vi sono bagliori nelle sue mani significa il trofeo della croce. E pose la carità base stabile del suo potere non ha bisogno di spiegazioni. La parola procederà davanti a lui e uscirà nel campo dopo di lui significa che fu preannunziato prima della sua venuta, e fu annunziato dopo la sua dipartita dal mondo. Si fermò e la terra fu mossa significa che egli si fermò per soccorrere e la terra si mosse a credere. Guardò e i popoli si strussero nel dolore, cioè ebbe pietà ed indusse i popoli al pentimento. I monti furono atterrati con la violenza, cioè, la superbia degli esaltati fu atterrata dai miracoli che hanno forza di convincere. Si abbassarono i colli eterni, cioè furono depressi nel tempo per essere esaltati nell'eternità. Ho visto i suoi proventi eterni in cambio delle fatiche, cioè, non ho visto la fatica della carità, senza la ricompensa dell'eternità. Si spaventeranno i padiglioni degli Etiopi e quelli del paese di Madian, cioè le nazioni, improvvisamente atterrite all'annunzio delle tue opere mirabili, apparterranno al popolo cristiano anche se non sono sotto la giurisdizione di Roma. Forse, Signore, sei adirato con i fiumi e contro di essi è la tua collera e contro il mare il tuo sdegno? 103. Questo passo significa che non è venuto per giudicare il mondo ma affinché il mondo abbia la salvezza per la sua mediazione 104. Salirai sui tuoi cavalli e la tua cavalcata è salvezza, cioè, i tuoi Evangelisti, da te guidati, ti porteranno e il tuo Vangelo sarà la salvezza di coloro che credono in te. Tenderai con forza il tuo arco sugli scettri, dice il Signore, cioè, tu comminerai il tuo giudizio anche ai re. La terra sarà solcata da fiumi 105, cioè, il cuore degli uomini si aprirà al riconoscimento con i discorsi irriganti di coloro che ti annunziano. Di loro si dice: Lacerate i vostri cuori e non le vesti 106. La frase: I popoli ti vedranno e soffriranno ammonisce che essi diventano felici nel pianto. L'inciso: Tu che effondi le acque nel tuo cammino significa che, muovendoti in coloro che ti annunziano da ogni parte, effondi qua e là i fiumi della dottrina. L'abisso ha fatto udire la propria voce significa che la profondità del cuore umano ha espresso la propria opinione. La profondità della propria immaginazione è come un chiarimento del versetto precedente perché profondità equivale ad abisso. Nell'inciso: Della propria immaginazione si deve intendere come sottinteso che fece udire la propria voce, cioè, come ho detto, ha espresso la propria opinione. L'immaginazione è una visione che il Profeta non ha nascosto, non ha velato, ma ha svelato con le parole: Il sole si è levato in alto e la luna è rimasta nel suo ordine, cioè Cristo è asceso al cielo e la Chiesa ha avuto un ordinamento sotto il suo re. Le tue frecce appariranno nella luce, cioè, le tue parole non saranno pronunciate in segreto ma all'aperto. Nella frase: Nel balenare dello splendore delle tue armi 107 si deve sottintendere che andranno le tue frecce. Aveva detto ai suoi discepoli: Quel che dico nelle tenebre ditelo nella luce 108. Con lo sdegno renderai più piccola la terra, cioè con lo sdegno renderai sottomessi gli uomini. Nell'ira abbatterai i popoli, perché farai cadere per punizione quelli che si esaltano. Sei uscito per la salvezza del tuo popolo, per salvare i tuoi consacrati, hai mandato la morte sulla testa dei disonesti. Qui non c'è nulla da spiegare. Nel versetto: Hai allacciato i legami fino al collo si possono ravvisare i buoni legami della saggezza perché si infilino i piedi nei suoi ceppi e il collo nella sua collana 109. In: Hai troncato nell'ammirazione della mente 110 sottintendiamo i legami perché ha allacciato quelli buoni e troncato quelli cattivi. Di questi si dice appunto: Hai spezzato le mie catene 111, e questo nell'ammirazione della mente, cioè in modo meraviglioso. La testa dei potenti si muoverà in essa, cioè nell'ammirazione. Apriranno la propria bocca a mordere, come il povero che mangia di nascosto 112. Difatti alcuni capi dei Giudei, che ammiravano le sue opere e le sue parole, andavano dal Signore e, sebbene avessero fame, per timore dei Giudei mangiavano il pane della dottrina di nascosto, come ce li ha presentati il Vangelo 113. Hai lanciato nel mare i tuoi cavalli che agitavano molte acque, le quali significano molti popoli, perché alcuni non si convertirebbero per timore e altri non perseguiterebbero per rabbia se gli uni e gli altri non fossero agitati. Ho udito e fremette il mio cuore al suono del discorso uscito dalle mie labbra, un tremito è penetrato nelle mie ossa e sotto di me ha ondeggiato la mia andatura. Ha riflettuto su quel che diceva ed è stato atterrito dalle sue stesse parole con cui preannunziava profeticamente e nelle quali presagiva l'avvenire. Poiché molti popoli sarebbero stati turbati, previde le imminenti tribolazioni della Chiesa, si riconobbe immediatamente come suo adepto e disse: Riposerò nel giorno dell'angoscia 114, come uno di quelli che godono nella speranza e soffrono nella tribolazione 115. Per appartenere, dice, al popolo del mio esilio, cioè separandosi dal malvagio popolo della propria affinità razziale, che non è in esilio in questa terra e non attende la patria del cielo. Perché il fico non porterà frutti e non vi saranno i prodotti nelle vigne e cesserà il raccolto dell'olivo e i campi non daranno più cibo. I greggi spariranno dal pascolo e non rimangono buoi nelle stalle 116. Previde che il popolo, il quale avrebbe ucciso il Cristo, avrebbe perduto la produttività delle ricchezze spirituali che, secondo l'uso profetico, ha allegorizzato mediante l'abbondanza dei beni terreni. Ma quel popolo subì l'indignazione di Dio perché, ignorando la giustizia di lui, volle sostituirle la propria 117. Perciò il Profeta dice di seguito: Ma io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio Salvatore. Il Signore, mio Dio, è la mia forza, renderà i miei piedi sommamente veloci, mi porrà in alto perché io vinca nel suo cantico 118. Si tratta di quel cantico, di cui si dice alcunché di simile in un Salmo: Ha stabilito i miei piedi sulla roccia e ha reso sicuri i miei passi, mi ha messo sulla bocca un cantico nuovo, un inno al nostro Dio 119. Vince nel cantico del Signore colui che è gradito nella lode di lui, non nella propria affinché chi si vanta si vanti nel Signore 120. Ritengo che i codici, i quali hanno interpretato: Esulterò in Dio, il mio Gesù, siano da preferirsi a quelli che, traducendo il termine in latino, non hanno usato quel nome che ci è così caro e dolce nominare.

Messianismo e vocazione dei pagani in Geremia.
33.
1. Il profeta Geremia come Isaia è dei maggiori, non dei minori, come gli altri, dai cui libri ho già tratto alcune citazioni. Fu profeta mentre in Gerusalemme regnava Giosia e a Roma Anco Marzio, poco prima della conquista della Giudea. Pose termine alla sua profezia cinque mesi dopo la conquista, come rileviamo dal suo libro 121. Si aggiunge a lui Sofonia, uno dei minori. Anche egli infatti dice di aver profetato al tempo di Giosia, ma non specifica fino a quando 122. Dunque Geremia ha profetato non solo al tempo di Anco Marzio ma anche di Tarquinio Prisco, che fu il quinto re di Roma. Egli infatti, quando avvenne la conquista, aveva già cominciato a regnare. Preannunziando il Cristo Geremia dice: Il respiro della nostra bocca, il Cristo Signore, è stato fatto prigioniero per i nostri peccati 123. Mostra così con poche parole che il Cristo è nostro Signore e che ha patito per noi. In un altro passo dice: Questi è il mio Dio e nessun altro può essergli paragonato. Egli ha scrutato la via della sapienza e ne ha fatto dono a Giacobbe, suo servo, a Israele, suo diletto. E dopo è apparso sulla terra e ha vissuto fra gli uomini 124. Alcuni esegeti non attribuiscono questo testo a Geremia ma al suo amanuense, che aveva nome Baruch, ma più convenientemente si ritiene di Geremia. Il medesimo Profeta del Cristo dice anche: Ecco vengono giorni, dice il Signore, nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele sarà sicuro nella sua dimora, questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore nostra giustizia 125. Sulla vocazione dei pagani, che allora doveva avvenire ed ora costatiamo nel suo adempimento, ha parlato così: Signore mio Dio, mio rifugio nel giorno della tribolazione, a te verranno i popoli dalle estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padri hanno adorato idoli menzogneri e non v'è in loro alcun giovamento 126. Il medesimo Profeta esprime in questi termini il motivo per cui i Giudei non l'avrebbero riconosciuto, anche perché era opportuno che da loro fosse ucciso: Più duro di tutte le cose è il cuore e anche l'uomo, chi può conoscerlo? 127. Di lui è anche il passo che nel libro diciassettesimo ho citato sulla Nuova Alleanza, il cui Mediatore è Cristo 128. Dice Geremia: Ecco, verranno giorni, dice il Signore, e io concluderò con la casa di Giacobbe una nuova alleanza, e il resto che vi si legge 129.

Sofonia: vocazione dei pagani.
33.
2. Del profeta Sofonia, che era contemporaneo di Geremia, citerò queste predizioni sul Cristo: Attendimi, dice il Signore, nel giorno in cui mi rialzerò, perché è mia decisione radunare i popoli e riunire i regni 130. Dice ancora: Terribile sarà il Signore con loro, poiché annienterà tutti gli idoli della terra, mentre a lui si prostreranno, ognuno dal proprio suolo, i popoli di tutti i continenti 131. E poco dopo dice: Allora io darò ai popoli un linguaggio e la discendenza perché invochino tutti il nome del Signore e lo servano tutti sotto lo stesso giogo; da oltre i fiumi di Etiopia mi porteranno offerte. In quel giorno non avrai vergogna di tutti i tuoi misfatti, che hai commesso contro di me, perché allora eliminerò da te la perversità del tuo oltraggio e non continuerai a inorgoglirti sopra il mio santo monte, farò restare in te un popolo mansueto e umile e avrà rispetto del nome del Signore il resto d'Israele 132. Questo è il resto, di cui si preannunzia in altri passi, come anche l'Apostolo ricorda: Se fosse il numero dei figli d'Israele come la sabbia del mare il resto avrà la salvezza 133. Difatti il resto di quel popolo ha creduto nel Cristo.

Regno eterno al Messia in Daniele.
34.
1. Durante la cattività babilonese hanno profetato Daniele ed Ezechiele, gli altri due dei Profeti maggiori 134. Daniele ha stabilito cronologicamente il tempo della venuta e della passione del Cristo. Richiede tempo eseguire il computo che comunque da altri prima di me è stato eseguito nei dettagli. Del suo potere e della Chiesa ha parlato in questi termini: Guardavo nella visione notturna ed ecco venire sulle nubi del cielo uno, simile a un figlio d'uomo, giunse fino al Vegliardo e fu presentato a Lui e gli fu dato potere, gloria e regno e tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno. Il suo potere è un potere eterno che non tramonta mai e il suo regno non sarà distrutto 135.

Il buon pastore in Ezechiele.
34.
2. Ezechiele secondo l'uso profetico simboleggia in Davide il Cristo perché ha assunto la carne dalla discendenza di Davide 136. Sul fondamento della forma di servo, con cui è divenuto uomo il Figlio di Dio, è denominato anche servo di Dio. Lo preannunzia dunque profeticamente, a nome di Dio Padre, con queste parole: Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo; egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide, mio servo, sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato 137. In un altro passo dice: Un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli, né più saranno divisi in due regni; non si contamineranno più con i loro idoli, con i loro abomini e con tutte le loro iniquità. Li libererò da tutte le ribellioni con cui hanno peccato; li purificherò e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio; e il mio servo Davide sarà re su di loro e non vi sarà che un unico pastore per tutti loro 138.

L'atteso dei popoli in Aggeo.
35.
1. Rimangono ancora tre Profeti minori che profetarono verso la fine dell'esilio. Sono Aggeo, Zaccaria e Malachia 139. Aggeo preannunzia il Cristo e la Chiesa con molta chiarezza e brevità: Questo dice il Signore degli eserciti: Ancora un po' di tempo e io attirerò il cielo e la terra, il mare e il continente, attirerò tutti i popoli e verrà il desiderato di tutti i popoli 140. Si sa per esperienza che questa profezia è in parte già adempiuta e si attende che si adempia in parte alla fine. Ha attirato il cielo con la testimonianza degli angeli e delle stelle quando si è incarnato il Cristo 141, ha attirato la terra con il grandioso prodigio del parto di una vergine 142: ha attirato il mare e il continente poiché il Cristo è predicato nelle isole e in tutto il mondo. Costatiamo così che tutti i popoli sono attirati alla fede. L'inciso che segue: E verrà il desiderato di tutti i popoli riguarda l'attesa della sua ultima venuta. Perché sia il desiderato di coloro che lo attendono, deve prima essere il prediletto dei credenti.

Il Cristo in Zaccaria.
35.
2. Zaccaria dice del Cristo e della Chiesa: Esulta grandemente o figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme; ecco a te viene il tuo re, giusto e vittorioso; umile cavalca un asino, un puledro, figlio di un'asina... Il suo dominio sarà da mare a mare e dai fiumi sino ai confini della terra 143. Si legge nel Vangelo quando avvenne il fatto che Cristo Signore usò in viaggio tale cavalcatura. Vi si richiama anche questo testo profetico in parte, per quanto parve sufficiente all'Evangelista 144. In un altro passo, parlando al Cristo con ispirazione profetica sulla remissione dei peccati nel suo sangue, dice: Anche tu nel sangue della tua alleanza hai estratto i tuoi prigionieri dal lago senz'acqua 145. Si può interpretare diversamente, sempre sul fondamento della retta fede, cosa volesse intendere col lago. A me sembra tuttavia che vi si può simboleggiare più attendibilmente la profondità arida e sterile dell'umana infelicità, in cui non siano le sorgenti della giustizia ma il fango della disonestà. Di esso anche in un Salmo si dice: Mi ha estratto dal lago dell'infelicità e dal fango della palude 146.

La Chiesa e il Cristo in Malachia.
35.
3. Malachia, preannunziando la Chiesa, che costatiamo diffusa a opera del Cristo, dice apertamente ai Giudei a nome di Dio: Non mi compiaccio di voi e non accetterò l'offerta dalle vostre mani. Poiché dall'Oriente all'Occidente grande è il mio nome fra le genti e in ogni luogo sarà sacrificata e offerta al mio nome un'oblazione pura, perché grande è il mio nome fra le genti, dice il Signore 147. Osserviamo che questo sacrificio si offre a Dio mediante il sacerdozio di Cristo secondo l'ordine di Melchisedec da Oriente a Occidente, mentre i Giudei ai quali fu detto: Non mi compiaccio di voi e non accetterò l'offerta dalle vostre mani, non possono negare che il loro sacrificio è venuto a cessare. Non v'è motivo dunque che attendano un altro Cristo poiché soltanto per mezzo di lui si poteva adempiere ciò che leggono profeticamente preannunziato e costatano in realtà adempiuto. Di lui dice poco dopo, sempre a nome di Dio: La mia alleanza con lui era di vita e di pace e io gli ho concesso di avere timore di me e rispetto del mio nome. La regola della verità era sulla sua bocca, guidando nella pace ha camminato con me e ha trattenuto molti dal male; le labbra del sacerdote infatti custodiranno la scienza e dalla sua bocca cercheranno la legge poiché è messaggero del Signore onnipotente 148. Non desta meraviglia che Gesù Cristo sia stato considerato messaggero del Signore onnipotente. Come infatti è stato considerato servo a causa dell'aspetto di servo con cui è venuto fra gli uomini, così è detto messaggero a causa del Vangelo che ha annunziato agli uomini. Infatti se traduciamo queste parole greche, notiamo che Vangelo significa "buon messaggio" e angelo "messaggero". Di lui infatti dice ancora: Ecco io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi attendete, e l'angelo dell'alleanza che voi desiderate. Ecco viene, dice il Signore onnipotente; e chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? 149. In questo passo il Profeta ha preannunziato la prima e la seconda venuta del Cristo. Della prima afferma: E subito entrerà nel suo tempio, cioè nel suo corpo, di cui dice nel Vangelo: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere 150. Annunzia la seconda venuta quando dice: Ecco viene, dice il Signore onnipotente; e chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? La frase: Signore che voi attendete, e il messaggero dell'alleanza che voi desiderate indica metaforicamente che i Giudei, stando alle Scritture che essi leggono, attendono ancora e desiderano il Cristo. Ma molti di loro non hanno riconosciuto che era venuto Colui che attendevano e desideravano, poiché erano accecati nei propri cuori dalle colpe precedenti. Nell'alleanza che Malachia nomina in questo brano, nel primo inciso in cui dice: La mia alleanza era con lui, e nel secondo, in cui ha parlato del messaggero dell'alleanza, dobbiamo ravvisare la Nuova Alleanza, in cui sono promessi valori eterni, e non l'Antica, in cui erano promessi beni temporali. Molte persone superficiali tengono questi ultimi in grande considerazione e poiché servono Dio per la soddisfazione di simili interessi, sono sconvolti quando si accorgono che i miscredenti ne hanno in abbondanza. Perciò il medesimo Profeta, per distinguere la felicità eterna della Nuova Alleanza, che viene data soltanto ai buoni dalla prosperità terrena dell'Antica Alleanza, che spesso è data anche ai malvagi, dice: Avete proferito parole dure contro di me, dice il Signore, e andate dicendo: Che abbiamo contro di te? Avete detto: È sciocco chi serve Dio; che vantaggio abbiamo ricevuto dall'avere custodito i suoi comandamenti e dall'avere camminato in preghiera davanti al Signore onnipotente? Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicavano e, pur provocando Dio, restano impuniti. Queste parole si rivolsero fra di loro i timorati del Signore, ciascuno al suo vicino. Il Signore porse l'orecchio e li ascoltò; e fece scrivere un libro di memorie davanti a lui per coloro che onorano e temono il suo nome 151. In quel libro era simboleggiata la Nuova Alleanza. Ascoltiamo il resto: Essi diverranno, dice il Signore onnipotente, mia proprietà nel giorno che io preparo e li prediligerò come un padre predilige il figlio che gli è sottomesso; e vi convertirete e distinguerete l'uomo giusto dall'ingiusto e colui che serve Dio da colui che non lo serve. Perché ecco viene il giorno ardente come il forno e li brucerà; e tutti i superbi e gli operatori d'iniquità saranno come paglia e quel giorno venendo li incendierà, dice il Signore onnipotente, e non rimarrà di loro né radice né tralcio. E sorgerà per voi, che temete il mio nome, il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete e saltellerete come vitelli liberati dal giogo; e calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto i vostri piedi nel giorno in cui io opero, dice il Signore onnipotente 152. Questo è quel che si chiama il giorno del giudizio. Ne parlerò più a lungo, se Dio vorrà, al momento opportuno 153.

Contributo dei libri di Esdra, Ester e Maccabei.
36.
Dopo questi tre Profeti, Aggeo, Zaccaria e Malachia, durante il periodo della liberazione del popolo dalla schiavitù di Babilonia, scrisse anche Esdra. Però egli è considerato più uno storiografo che un profeta. Simile è il Libro di Ester, la cui opera a lode di Dio si esplica, pressappoco, in quel periodo. Si può tuttavia ritenere che anche Esdra ha preannunziato profeticamente il Cristo perché era sorta tra alcuni giovani la discussione che cosa avesse più valore nella realtà. Uno disse i re, un altro il vino, un terzo le donne perché spesso comandano anche ai re, tuttavia costui dimostrò che la verità è vittoriosa su tutte le cose 154. Esaminando il Vangelo apprendiamo che il Cristo è verità. Da questo periodo alla restaurazione del tempio non si ebbero in Giudea re ma principi fino ad Aristobulo 155. Però la cronologia di questo periodo non si ha nei libri della Scrittura, considerati canonici, ma in altri, fra cui i Libri dei Maccabei che non i Giudei ma la Chiesa ritiene canonici a causa della pena di morte subita con ammirevole coraggio da alcuni martiri i quali, prima che il Cristo venisse nel mondo, si batterono fino alla morte e sopportarono indicibili sofferenze per la legge di Dio 156.

Anteriorità dei profeti sulla cultura classica.
37.
Nel periodo dei nostri Profeti, i cui scritti sono ormai conosciuti da quasi tutti i popoli, e molto tempo dopo di loro, vi furono fra i pagani i filosofi che si designavano ormai con questo nome. Aveva cominciato con Pitagora di Samo, il quale iniziò a segnalarsi per celebrità al tempo in cui ebbe fine la cattività dei Giudei 157. Si deve quindi ammettere che gli altri filosofi vissero molto tempo dopo i Profeti. Si rileva nella Cronaca che visse dopo di Esdra lo stesso Socrate di Atene, maestro di tutti coloro che furono illustri in quel tempo, perché aveva il primato in quella parte della filosofia, che si dice morale o pratica 158. Non molto tempo dopo nacque anche Platone che avrebbe superato di gran lunga gli altri discepoli di Socrate. Possiamo aggiungere anche i precedenti, che ancora non erano chiamati filosofi, cioè i sette sapienti e poi i naturalisti che seguirono a Talete, imitandone l'interesse nella ricerca sulla natura, cioè Anassimandro, Anassimene, Anassagora e alcuni altri prima che Pitagora parlasse del filosofo. Anche costoro cronologicamente non vengono prima di tutti i nostri Profeti. Difatti è noto che Talete, il quale precede gli altri, si è segnalato quando regnava Romolo, cioè quando dalle sorgenti d'Israele scaturì il fiume della profezia in quelle produzioni letterarie che dovevano riversarsi in tutto il mondo. Risulta che soltanto i tre teologi poeti Orfeo, Lino, Museo, e se ve ne fu qualcun altro in Grecia, sono anteriori ai Profeti ebrei 159, i cui libri riteniamo autenticamente ispirati. Però neanche essi precedettero nel tempo il vero nostro teologo Mosè che ha parlato secondo verità dell'unico vero Dio e i cui libri sono i primi nel canone degli autenticamente ispirati. Perciò, per quanto attiene ai Greci, sebbene nella loro lingua la letteratura profana abbia avuto il massimo sviluppo, non hanno alcun motivo di vantare la propria cultura nel confronto con la nostra religione, in cui è la vera cultura, se non più forbita, certamente più antica. Però, bisogna confessarlo, non in Grecia, ma in popoli di diversa civiltà, come in Egitto, vi era prima di Mosè una forma di sapere, che poteva esser considerata come loro cultura, altrimenti non sarebbe scritto nella Bibbia che fu istruito secondo la cultura dell'Egitto, quando, nato nel paese, adottato e allevato dalla figlia del faraone, vi fu anche educato a livello intellettuale 160. Ma non è possibile che la cultura dell'Egitto preceda nel tempo la cultura dei nostri Profeti se anche Abramo fu profeta 161. Non era possibile infatti che in Egitto vi fosse una cultura prima che Iside, riconosciuta e onorata dopo la morte come una grande dea, trasmettesse l'erudizione. Ma si dice che Iside fu figlia d'Inaco, il quale per primo regnò ad Argo quando erano già nati i nipoti di Abramo 162.

Testi autentici e apocrifi.
38.
E se risalgo di molto ai tempi più antichi, anche prima del grande diluvio visse Noè, nostro Patriarca, che giustamente dovrei considerare anche come profeta, se l'arca, che costruì e con la quale si mise in salvo assieme ai suoi, fu un preannunzio profetico dei tempi cristiani. Inoltre nella lettera canonica dell'apostolo Giuda si afferma che anche Enoch, il settimo da Abramo, ha profetato 163. La straordinaria antichità ha fatto sì che gli scritti di costoro non fossero ritenuti autentici né dai Giudei né dai cristiani e sembrava opportuno che si ritenessero apocrifi affinché non fossero allegati i falsi per i veri. Difatti vengono allegati degli scritti che potrebbero essere loro attribuiti da persone che, a favore di una loro opinione, li interpretano alla rinfusa come vogliono. Ma la purezza del canone non li ha accolti, non perché sia respinta l'autorevolezza di quegli uomini che piacquero a Dio, ma perché quegli scritti non sono ritenuti genuini. Non deve meravigliare che siano considerate apocrife opere che si presentano col marchio di produzioni archeologiche. Anche nella storiografia dei regni di Giuda e d'Israele, la quale contiene avvenimenti che accettiamo perché accreditati da libri canonici, vi sono però narrati molti fatti che non sono riportati in essi, si rimanda però ad altri libri, scritti da Profeti, che anzi in qualcuno è citato perfino il loro nome 164, tuttavia non sono inseriti nel canone che il popolo di Dio ha accolto. Mi sfugge, confesso, il motivo del fatto. Ritengo però che anche coloro, ai quali lo Spirito Santo rivelava le verità che dovevano appartenere alla credibilità della religione, hanno potuto scrivere alcuni libri come uomini con storica accuratezza ed altri come profeti per divina ispirazione e che tali scritti furono così distinti in modo che i primi furono aggiudicati ad essi, gli altri a Dio che parlava per loro mezzo. Così gli uni appartennero all'incremento della erudizione, gli altri alla credibilità della religione. Da questa credibilità è difeso il canone. E se fuori di esso si citano scritti col nome dei veri Profeti, i quali non siano validi all'incremento della cultura perché è incerto che siano di coloro ai quali sono attribuiti e perciò non si presta loro credito, soprattutto a quelli in cui si leggono pensieri che contrastano anche con la credibilità dei libri canonici, è chiaro che non sono dei veri profeti.

L'acculturazione in Egitto e in Israele.
39.
Non si deve quindi dare ascolto ad alcuni i quali suppongono che soltanto la lingua ebrea fu conservata da quell'uomo chiamato Eber, da cui deriva l'appellativo di Ebrei, e che da lui fu trasmessa ad Abramo. La perizia del leggere e scrivere quindi avrebbe avuto inizio dalla legge che fu data a Mosè. Al contrario, attraverso il succedersi dei Patriarchi, la lingua suddetta fu custodita assieme ad opere scritte. In seguito Mosè stabilì nel popolo individui incaricati d'insegnare a leggere e scrivere, prima che gli Ebrei conoscessero gli scritti della legge divina. La Bibbia li chiama termine che può significare coloro che iniziano o introducono l'attitudine al leggere e scrivere, perché la iniziano, cioè la introducono in certo senso nella coscienza degli allievi o meglio iniziano ad essa gli allievi. Nessun popolo dunque si può vantare per vanagloria dell'antichità della propria cultura in riferimento ai nostri Patriarchi e Profeti, ai quali era inerente la divina sapienza. Neanche l'Egitto, che abitualmente si vanta con imposture e frivolezze delle antichità delle proprie dottrine, può affermare d'aver preveduto nel tempo con una propria qualsivoglia cultura la cultura dei nostri Patriarchi. Non si può assolutamente affermare che fossero buoni intenditori di singolari rami del sapere, prima che imparassero a leggere e a scrivere, cioè prima che venisse Iside e l'insegnasse loro. Infatti la loro famosa dottrina, considerata cultura, era soprattutto l'astronomia o un'altra delle branche del sapere, utile più ad esercitare l'ingegno che ad educare l'intelligenza con la vera sapienza. Per quanto attiene la filosofia, che si prefigge d'insegnare qualcosa per cui gli uomini diventino felici, fu uno studio che nel paese sviluppò al tempo di Mercurio, chiamato Trismegisto, cioè molto prima dei sapienti e filosofi della Grecia, ma dopo Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe ed anche dopo lo stesso Mosè 165. Risulta che nel tempo in cui nacque Mosè, viveva il grande astrologo Atlante, fratello di Prometeo, nonno materno di Mercurio il Vecchio, di cui fu nipote il suddetto Mercurio Trismegisto 166.

Confronto di culture.
40.
Ciarlano invano con boriosa millanteria dicendo che sono passati più di centomila anni da quando l'Egitto ha formulato la teoria delle stelle. Non si capisce in quali libri abbiano scovato questo numero se hanno appreso a leggere e scrivere da Iside, loro maestra, non molto più di duemila anni addietro. Non è uno storiografo di scarso valore Varrone che tramanda questa notizia, la quale non dissente dalla verità della sacra Scrittura 167. Dal primo uomo, chiamato Adamo, non sono ancora trascorsi seimila anni. Quindi costoro diventano oggetto piuttosto di scherno che di polemica, perché tentano di accreditare notizie così diverse sulla estensione della cronologia e molto contrarie a questa verità tanto accertata. A nessun teste, che narra avvenimenti passati, si crede più volentieri che a quello il quale ha anche predetto eventi futuri che ora esperimentiamo presenti. Anche il dissenso degli storici ci offre l'occasione di credere di più a chi non contrasta con la Storia sacra che noi conserviamo. Certamente i cittadini dell'empia città diffusa da ogni parte nel mondo, quando vengono a sapere che uomini assai dotti, la cui autorevolezza non si può respingere, dissentono su fatti molto remoti dagli strumenti di trasmissione della nostra età, non sanno decidere a chi credere. Noi invece, sostenuti nella nostra religione dall'autorità divina, non possiamo dubitare che è falsissima qualsiasi notizia che le si oppone, come che siano gli altri contenuti nella letteratura profana che, veri o falsi, non hanno importanza per farci vivere nell'onestà e nella felicità.

L'autorità dei filosofi e della Bibbia.
41.
1. Ma per lasciar da parte la conoscenza della storia, sembra che i filosofi, dai quali siamo passati alle suddette riflessioni, hanno atteso alle proprie indagini, soltanto per scoprire come si debba vivere in corrispondenza al raggiungimento della felicità. Eppure gli allievi hanno dissentito dai maestri, gli allievi fra di loro, per il solo motivo che hanno svolto queste ricerche da uomini con sentimenti e intendimenti umani. Era possibile che in queste cose vi fosse l'interesse per la fama, per cui ciascuno vuole apparire più saggio e ingegnoso dell'altro, non asservito in qualsiasi maniera al modo di pensare altrui, ma iniziatore della propria teoria e sistema. Posso anche ammettere che alcuni, anzi molti di essi, che l'amore della verità distolse dagli scolarchi e dai compagni di studio, si batterono per quella che ritenevano la verità, sia che lo fosse o no. Ma l'umana infelicità non sa cosa fare, da dove e dove dirigersi per raggiungere la felicità, se non la guida l'autorità divina. Inoltre non può avvenire che i nostri autori, nei quali non inutilmente si stabilisce e si conchiude il canone della sacra Scrittura, siano in qualche modo discordi fra di loro. Quindi a ragione, quando essi trasmettevano quelle verità, non pochi dei parolai intenti a diatribatiche discussioni nelle scuole e nei ginnasi, ma tante e tante popolazioni, nei campi e nelle città, con uomini colti e illetterati, credettero che Dio aveva parlato loro, ossia per mezzo loro. Dovevano esser pochi affinché col numero non si svilisse ciò che necessariamente è di pregio nella religione, tuttavia non così pochi che il loro consenso non sia oggetto di ammirazione. Invece nel gran numero dei filosofi, i quali anche con attività letteraria hanno lasciato documenti delle proprie teorie, non è facile trovarne alcuni, i cui pensamenti si accordino. È troppo lungo dimostrarlo in questa opera 168.

Dissenso nella sapienza classica.
41.
2. Non c'è nella città adoratrice dei demoni uno scolarca così accettato da escludere gli altri che hanno sostenuto teorie diverse o contrarie. Ad Atene, per esempio, erano famosi tanto gli epicurei, i quali affermavano che gli eventi umani non appartengono all'ordinamento degli dèi, quanto gli stoici i quali, sostenendo il contrario, affermavano che gli uomini sono sostenuti e difesi dall'aiuto e protezione degli dèi. Mi meraviglio quindi che Anassagora fu ritenuto colpevole perché affermò che il sole è una pietra infuocata e non un dio 169. Eppure nella medesima città Epicuro eccelleva nella fama e viveva tranquillo, sebbene professasse che il sole o un altro astro non sono dio e sostenesse che né Giove né un altro dio fossero presenti nel mondo in modo che a loro pervenissero le preghiere e le invocazioni degli uomini 170. V'erano nella città Aristippo, che riponeva il bene supremo nel piacere sensibile, e Antistene, il quale affermava che l'uomo diviene felice con la perfezione dello spirito. Erano due filosofi conosciuti e ambedue discepoli di Socrate, eppure assegnavano l'essenza del vivere in fini così diversi e contrari, sicché il primo sosteneva che il saggio deve evitare il governo dello Stato, l'altro che lo deve assumere 171. E ciascuno dei due accoglieva allievi a frequentare la propria scuola. Dunque, all'aperto, nel ben visibile e frequentatissimo portico, nei ginnasi, nei giardinetti, in luoghi pubblici e privati, discutevano a gruppi, ciascuno a favore della propria teoria. Alcuni affermavano l'esistenza di un solo mondo, altri d'infiniti, alcuni che l'unico mondo aveva avuto inizio, altri che non l'aveva avuto, alcuni che sarebbe finito, altri che sarebbe rimasto per sempre, alcuni che era retto dalla intelligenza divina, altri fatalmente dal caso, alcuni che le anime sono immortali, altri che sono mortali; di quelli che sostenevano l'immortalità, alcuni che le anime ritornano negli animali, altri no; di quelli che sostenevano la mortalità, alcuni che l'anima cessa di esistere assieme al corpo, altri che continua a vivere per un po' o anche a lungo, tuttavia non per sempre; alcuni sostenevano che il bene ultimo è nel corpo, altri nell'anima, altri in ambedue e altri aggiungevano all'anima e al corpo anche i beni esterni; alcuni sostenevano che si deve prestare l'assenso ai sensi sempre, altri non sempre, altri mai. E mai un popolo, un senato, un potere o autorità pubblica della città miscredente ha provveduto a dare un giudizio su queste e le altre quasi innumerevoli teorie discordanti dei filosofi per approvarne e accoglierne alcune, per riprovare e respingerne altre. Anzi disordinatamente, senza discernimento, alla rinfusa, hanno accolto nel proprio interno tante discussioni diatribatiche d'individui in disaccordo non sui campi, sulle case o per un qualche motivo finanziario, ma su significati per cui si conduce una vita infelice o felice. E sebbene in quegli incontri si sostenevano delle verità, con altrettanta libertà però si difendevano gli errori, al punto che non irragionevolmente una simile città ricevette l'appellativo simbolico di Babilonia. Babilonia infatti si traduce "confusione". Ricordo di averlo già detto 172. Né importa al diavolo, suo re, per quali errori contrari si accapiglino, perché li lega egualmente a sé sul fondo di una grande e varia miscredenza.

Accordo nella sapienza rivelata.
41.
3. Al contrario la nazione, il popolo, la città, lo Stato, gli Israeliti, ai quali fu affidata la parola di Dio, non confusero con la parità del libero esercizio gli pseudoprofeti con i veri Profeti, ma erano da loro riconosciuti e accettati come veritieri autori della sacra Scrittura quelli che erano fra di sé concordi e in nulla dissentivano. Essi erano per loro filosofi, cioè amatori della sapienza, sapienti, teologi, profeti, maestri di morale e religione. Chiunque ha pensato e agito in conformità ai loro scritti, ha pensato e agito in conformità al volere non degli uomini, ma di Dio che ha parlato per loro mezzo. Se vi è stata proibita l'offesa a Dio, è Dio che l'ha proibita. Se è stato raccomandato: Onora tuo padre e tua madre, è Dio che l'ha comandato. Se è stato ingiunto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare 173, e gli altri comandamenti, queste non furono parole umane, ma oracoli divini. Alcuni filosofi, a parte gli errori che hanno sostenuto, han potuto scoprire il vero e in laboriose discussioni si sono impegnati a dimostrare che Dio ha posto nel divenire questo mondo e che lo ordina con infinita provvidenza in ordine alla moralità delle virtù, all'amore di patria, alla fedeltà nell'amicizia, alle buone opere e a tutti gli obiettivi che riguardano i buoni costumi, sebbene ignorassero a qual fine tutti questi valori si devono riferire e in base a quale norma 174. Invece nella città celeste essi furono raccomandati al popolo dalle parole dei Profeti, cioè di Dio, sebbene per mezzo di uomini, e non inculcati da discussioni diatribatiche, in modo che chi li conosceva temeva di offendere non l'ingegno dell'uomo ma la parola di Dio.

La Bibbia in Egitto.
42.
Anche uno dei Tolomei, sovrani d'Egitto, s'interessò a conoscere e ad avere i libri della sacra Scrittura. Avvenne dopo la stupefacente e non lunga egemonia di Alessandro il Macedone, chiamato il Grande, con la quale aveva assoggettato tutta l'Asia, anzi quasi tutto il mondo, in parte con la forza e con le armi, in parte col terrore. Avendo aggredito assieme alle altre regioni dell'Oriente anche la Giudea, la conquistò 175. Alla sua morte, poiché i suoi generali non avrebbero diviso l'impero molto esteso, per possederlo nella pace scambievole, ma l'avrebbero sconvolto devastando tutto con le guerre, l'Egitto cominciò ad avere come re i Tolomei. Il primo, figlio di Lago, trasferì molti come prigionieri dalla Giudea nell'Egitto 176. Il suo successore, un altro Tolomeo, soprannominato Filadelfo, permise che tornassero liberi tutti quelli che il predecessore aveva tradotto in esilio, mandò regali al tempio di Dio e chiese ad Eleazaro, pontefice in quel tempo, che gli fossero dati i libri della Scrittura perché aveva udito, dalla diffusa opinione pubblica, che erano di origine divina e aveva desiderato di averli nella biblioteca che aveva reso molto celebre 177. Poiché il suddetto pontefice glieli spedì in ebraico, egli chiese anche i traduttori. Furono incaricati settantadue uomini, cioè sei per ogni tribù d'Israele, espertissimi in tutte e due le lingue, cioè ebraica e greca. È invalso l'uso che la loro traduzione sia denominata dei "Settanta". Si tramanda che il loro accordo nelle parole fu così ammirevole, sorprendente e addirittura divino che, sebbene ciascuno attendesse al proprio lavoro per conto suo, poiché Tolomeo volle così esperimentare la loro capacità, non discordarono fra di loro nel significato e nella forma grammaticale delle parole e neanche nella struttura della proposizione. Sembrava che fosse un solo traduttore e la loro traduzione era così omogenea, poiché di fatto c'era in tutti una sola ispirazione. Avevano perciò ricevuto un incarico tanto ammirevole affinché di quei libri, non come opere umane ma divine, quali erano veramente, fosse avvertita l'autorevolezza, la quale un giorno doveva giovare ai popoli che avrebbero creduto. È un evento che oggi osserviamo adempiuto.

Ispirazione anche nei Settanta(?).
43.
Vi sono stati altri intenditori che hanno tradotto i libri della sacra Scrittura dall'ebraico al greco, come Aquila, Simmaco, Teodozione; v'è anche una versione, il cui autore è ignoto e perciò a causa della sua anonimia è chiamata la quinta versione. Tuttavia la Chiesa ha accettato quella dei Settanta, come se fosse l'unica e la usano i popoli cristiani di lingua greca, la maggior parte dei quali non sa se ve ne sia un'altra qualsiasi. Della traduzione dei Settanta si ha anche la traduzione in latino, che usano le Chiese di lingua latina, sebbene ai nostri giorni sia vissuto il prete Girolamo, uomo assai colto e conoscitore delle tre lingue, il quale ha tradotto i libri della Bibbia in latino, non dal greco ma dall'ebraico. Ma sebbene i Giudei ritengano valida la sua opera erudita e sostengano che i Settanta hanno parecchi errori, tuttavia le Chiese di Cristo giudicano che nessuno si deve preferire all'autorevolezza di tanti uomini, scelti da Eleazaro, pontefice in quel tempo, a un'opera così grande. Infatti anche se in essi non si fosse manifestata un'unica ispirazione, certamente divina, ma avessero confrontato reciprocamente, secondo l'uso comune, le parole delle particolari traduzioni, in modo che fosse confermato il testo che era accettato da tutti, non doveva essere preferito a loro uno che aveva tradotto da solo. Dato che in loro apparve un segno così manifesto dell'intervento divino, è fedele quel traduttore dei libri della sacra Scrittura dall'ebraico a qualsiasi altra lingua che conviene con i Settanta, o se non conviene, si deve avvertire in quel passo un profondo significato profetico. Lo Spirito, che agiva nei Profeti quando hanno parlato, agiva anche nei Settanta quando hanno tradotto. È possibile che lo Spirito, con autorità divina, abbia suggerito un altro significato nella versione come se il Profeta avesse inteso l'uno e l'altro, poiché era il medesimo Spirito a parlare in ambedue i sensi, o meglio il medesimo significato diversamente cosicché, se non le medesime parole, almeno ai buoni intenditori apparisse il medesimo significato. Ha potuto far tralasciare qualcosa e qualcosa aggiungere affinché anche da questo fatto si mostrasse che in quell'attività non prevaleva l'umana soggezione, che il traduttore subiva dalle parole, ma un divino potere che riempiva e guidava l'intelligenza del traduttore. Alcuni hanno pensato che si dovesse correggere secondo i codici ebraici il testo greco della traduzione dei Settanta, tuttavia non hanno osato detrarre ciò che il testo ebraico non aveva e i Settanta avevano inserito, aggiunsero però incisi che, rintracciati nel testo ebraico, non apparivano nei Settanta e li contrassegnarono all'inizio dei singoli versetti con alcuni segni tracciati a forma di stelle, che chiamano asterischi. Hanno egualmente contrassegnato gli incisi, che non ha il testo ebraico ma i Settanta, ai capoversi con lineette orizzontali, come nella scrittura onciale. Molti testi, anche latini, che hanno queste indicazioni, sono diffusi da ogni parte. Le frasi, che non sono state né omesse né aggiunte, ma espresse diversamente, se hanno un altro significato non incompatibile, oppure si capisce che in forma diversa espongono il medesimo significato, si possono precisare soltanto con un esame comparato di entrambi i testi. Se dunque, come è doveroso, noi cerchiamo nei libri della Bibbia soltanto ciò che ha detto lo Spirito di Dio per mezzo di uomini, dobbiamo ammettere che tutto quello che si trova nel testo ebraico e non si ha nei Settanta, lo Spirito di Dio non l'ha voluto dire per mezzo di costoro, ma dei Profeti. Tutto ciò che invece è nei Settanta e non si ha nel testo ebraico, lo Spirito ha preferito manifestarlo per mezzo dei primi e non degli altri mostrando così che ambedue furono profeti. Così Egli ha manifestato alcune verità per mezzo d'Isaia, altre per mezzo di Geremia, altre per mezzo di un altro profeta, ma anche in forma diversa le medesime verità per mezzo dell'uno e dell'altro, come ha voluto. Ma l'unico e medesimo Spirito ha voluto manifestare per mezzo di ambedue quel che in essi si trova, ma in maniera che essi precedessero profetando, i Settanta seguissero traducendoli profeticamente. Difatti come nei primi, che dicevano cose vere e concordanti, vi fu lo Spirito della concordia, così negli altri che, senza confrontarsi, tradussero il tutto, per così dire, col medesimo linguaggio, vi fu l'unico e medesimo Spirito.

Divergenze dei Settanta col testo ebraico.
44.
Ma qualcuno può obiettare: Come posso sapere ciò che il profeta Giona ha detto ai Niniviti: Ancora tre giorni e Ninive sarà distrutta, ovvero: Ancora quaranta giorni 178? È facile capire che non era possibile dire l'uno e l'altro dal Profeta, mandato ad atterrire la città con la minaccia dell'imminente sterminio. Se alla città la rovina fosse giunta al terzo giorno, non era al quarantesimo, se al quarantesimo, non al terzo. Se si chiede a me quale delle due scadenze avesse comminato, penso che sia preferibile il testo ebraico: Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta. I Settanta, che tradussero molto tempo dopo, hanno potuto dare l'altra versione che tuttavia si addiceva al fatto, si adattava a un medesimo concetto, sebbene con diverso significato, e avvisava il lettore, senza sprezzo per entrambe le autorità, di volgersi dalla narrazione storica alla ricerca delle verità, per simboleggiare le quali la storia è stata scritta. Quei fatti sono certamente avvenuti nella città di Ninive, ma hanno simboleggiato qualcosa che va al di là del limite di quella città, come è avvenuto, che il profeta stesso fu per tre giorni nel ventre di una balena 179, ma simboleggiò che per tre giorni sarebbe rimasto nell'oltretomba colui che è il Signore di tutti i Profeti 180. Si può ammettere che nella città di Ninive è stata giustamente allegorizzata la Chiesa dei popoli, abbattuta mediante il pentimento, affinché non fosse più quel che era stata. Poiché, dunque, questo fatto si è verificato per la mediazione del Cristo nella Chiesa dei popoli, di cui Ninive era un'allegoria, il Cristo stesso è simboleggiato tanto nei quaranta come nei tre giorni: nei quaranta, perché li trascorse dopo la risurrezione con i discepoli, prima di salire al cielo, nei tre giorni perché è risorto al terzo giorno. È come se i Settanta, traduttori e profeti a un tempo, abbiano scosso dal sonno il lettore, desideroso di nient'altro che di rimanere attaccato alla descrizione degli avvenimenti, stimolandolo ad approfondire la sublimità della profezia e gli abbiano in qualche modo suggerito: "Nei quaranta giorni cerca di scoprire quello stesso significato in cui potrai ravvisare anche i tre giorni; troverai i primi nell'ascensione, gli altri nella sua risurrezione". Perciò con l'uno e l'altro numero si poteva molto convenientemente ottenere un simbolo, uno nel profeta Giona, l'altro nella profezia dei Settanta, tuttavia in essi ha parlato l'unico e medesimo Spirito. Evito di dilungarmi per non esaminare a lungo i casi in cui i Settanta sembrano dissentire dalla verità del testo ebraico, mentre bene interpretati sono concordi. Perciò anche per seguire, nel mio limite, l'esempio degli Apostoli, perché anche essi hanno allegato testimonianze profetiche da ambedue, cioè dal testo ebraico e dai Settanta, ho pensato di valermi dell'una e dell'altra autorità, perché l'una e l'altra sono la sola medesima autorità divina. Ma proseguiamo, come ci è possibile, quel che rimane.

La Chiesa, città di Dio nella storia [45-54]

La Chiesa tempio del Signore.
45.
1. Dopo che il popolo giudaico cominciò a non avere più Profeti, senza dubbio divenne peggiore, proprio in quel tempo in cui con la ricostruzione del tempio dopo la schiavitù in Babilonia sperava di avere una vita più prospera. Quella razza carnale interpretava in questo senso quel che fu preannunziato dal profeta Aggeo con le parole: La fama di questa casa nuova sarà più grande della prima 181. L'aveva fatto capire poco prima che il passo era riferito alla Nuova Alleanza con le parole con cui dice parlando apertamente del Cristo: Muoverò tutti i popoli e verrà il desiderato di tutti i popoli 182. In questo passo i Settanta hanno espresso con autorità profetica un altro significato più adatto al corpo che al capo, cioè più alla Chiesa che al Cristo: Verranno le cose elette del Signore da tutti i popoli, cioè gli uomini di cui Gesù ha detto nel Vangelo: Molti sono i chiamati, pochi gli eletti 183. Con questi eletti delle nazioni viene edificato il tempio di Dio nella Nuova Alleanza con pietre vive, molto più illustre del tempio che fu costruito da Salomone o ricostruito dopo la cattività. Per questo da quel periodo il popolo giudaico non ebbe Profeti e fu umiliato con molte sconfitte da re stranieri e dagli stessi Romani, affinché non si presumesse che questa profezia di Aggeo fosse compiuta con la ricostruzione del tempio.

Da Alessandro a Giuda Maccabeo.
45.
2. Poco dopo fu assoggettato con la venuta di Alessandro senza nessun saccheggio perché non osarono resistergli e perciò lo accolsero facilmente rabbonito dalla loro sottomissione, tuttavia il buon nome di quella casa non fu così grande come era nel libero potere dei propri re. Difatti Alessandro offrì vittime nel tempio di Dio, non perché convertito al suo culto da vero sentimento religioso, ma perché pensava con leggerezza da miscredente che egli doveva essere adorato assieme ai falsi dèi 184. Poi Tolomeo, figlio di Lago, come ho ricordato precedentemente, dopo la morte di Alessandro li condusse prigionieri in Egitto. Il successore Tolomeo Filadelfo, molto ben disposto, li lasciò tornare. A lui si deve, come ho narrato poco fa, che avessimo la traduzione dei Settanta. Poi furono afflitti dalle guerre che sono esposte con tanti particolari nei Libri dei Maccabei. In seguito furono soggiogati dal re di Alessandria Tolomeo, chiamato Epifane, poi spinti con molte e gravissime pene al culto degli idoli dal re di Siria Antioco 185. Il tempio stesso fu violato dalle sacrileghe pratiche religiose dei pagani, finché il loro valorosissimo condottiero Giuda, chiamato anche Maccabeo, dopo aver respinto i generali di Antioco, lo purificò da ogni contaminazione 186.

Da Alcimo alla nascita di Gesù.
45.
3. Non molto tempo dopo un certo Alcimo, pur essendo estraneo al rango sacerdotale, quindi contro ogni diritto sacrale, per ambizione si fece eleggere pontefice 187. Da questo fatto dopo una cinquantina di anni, durante i quali tuttavia non ebbero pace, sebbene avessero compiuto anche alcune imprese con esito favorevole, Aristobulo, primo di loro, accaparrandosi la corona, divenne re e pontefice. Precedentemente, da quando erano rientrati dall'esilio babilonese e fu ricostruito il tempio, non ebbero re, ma condottieri e principi, sebbene chi è re si possa considerare principe dal primato nel potere e condottiero perché guida gli eserciti, ma senz'altro non coloro, che sono principi o condottieri, possono anche essere considerati re, come questo Aristobulo. Gli successe Alessandro, anche egli re e pontefice che, come si narra, esercitò il potere con crudeltà contro i sudditi. Dopo di lui la moglie Alessandra fu regina dei Giudei, ai quali da quel tempo sopravvennero mali ancora peggiori. I figli di Alessandra, Aristobulo e Ircano, contrastandosi per il potere, provocarono l'intervento dell'esercito romano contro il popolo d'Israele. Ircano appunto chiese il loro aiuto contro il fratello. Allora Roma aveva già assoggettato l'Africa e la Grecia e avendo esteso il proprio dominio ampiamente in altre parti del mondo, come se non fosse più capace di contenersi, in certo senso s'era logorata per la sua stessa potenza. Aveva approdato infatti a gravi rivolte interne e da esse alle guerre sociali e subito dopo civili e s'era così fiaccata e svigorita che le si imponeva il passaggio dalla repubblica alla monarchia. Pompeo, celebre condottiero del popolo romano, entrato in Giudea con l'esercito, occupa la capitale, riapre il tempio non con la devozione dell'orante ma per diritto del vincitore, entra, non come devoto ma come profanatore, nella parte sacrale del tempio, nella quale soltanto al sommo sacerdote era lecito entrare. Dopo aver confermato l'autorità pontificale di Ircano e imposto al popolo sottomesso Antipatro come sorvegliante, carica che allora era definita dei procuratori, condusse con sé Aristobulo in catene. Da allora i Giudei cominciarono a essere anche tributari di Roma. In seguito Cassio depredò anche il tempio. Poi dopo pochi anni meritarono di avere un re straniero, Erode. Durante il suo regno nacque il Cristo. Era giunta infatti ormai la pienezza dei tempi 188, simboleggiata con profetica ispirazione dalle parole del patriarca Giacobbe quando disse: Non mancherà un capo da Giuda né un condottiero della sua stirpe, finché venga colui a cui è riferita la promessa ed egli sarà l'attesa dei popoli 189. Non mancò un capo da Giuda fino ad Erode, il primo re straniero che ebbero i Giudei. Dunque era giunto il tempo in cui doveva venire colui, al quale era riferito ciò che era promesso con la Nuova Alleanza: cioè, che egli fosse l'attesa dei popoli. Era impossibile che i popoli ne attendessero la venuta, come osserviamo che è atteso perché venga a emettere il giudizio nello splendore della potenza, se prima non credevano in lui, quando è venuto per assoggettarsi al giudizio nell'umiltà della pazienza.

La diaspora ebraica e la Chiesa.
46.
Mentre in Giudea era re Erode e a Roma, in seguito al cambiamento della forma di Stato, era imperatore Cesare Augusto e mentre, grazie a lui, il mondo era in pace, nacque il Cristo, secondo la predizione profetica in Betlem di Giudea 190, visibilmente uomo da una creatura umana vergine, invisibilmente Dio da Dio Padre. Aveva infatti predetto il Profeta: Ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emanuele che significa Dio con noi 191. Egli, per segnalarsi come Dio, ha compiuto molti miracoli. Il Vangelo ne narra alcuni soltanto nei limiti richiesti per segnalarlo all'attenzione. Il primo dei miracoli è la sua nascita prodigiosa, l'ultimo l'ascensione al cielo col suo corpo glorificato. I Giudei, che lo uccisero e non vollero credere che erano ineluttabili la sua morte e risurrezione, sottoposti dai Romani alla strage più desolante, costretti al completo ad emigrare dal regno, in cui dominavano già re stranieri e dispersi per il mondo, giacché non mancano in nessuna parte, mediante i loro libri della Bibbia, ci sono di prova che noi non abbiamo inventato nulla sul Cristo. Molti di loro, esaminandoli attentamente, credettero in lui, anche prima della sua passione e soprattutto dopo la sua risurrezione. Di loro è stato preannunziato: Se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo una parte si libererà 192. Gli altri divennero ciechi e di essi è stato predetto: Divenga la loro tavola per loro un tranello, una resa dei conti, un inciampo. Si offuschino i loro occhi affinché non vedano, sfibra per sempre i loro fianchi 193. Quindi sebbene non credono alla nostra Bibbia, si avvera in essi la loro perché la leggono da ciechi. Qualcuno potrebbe dire che i cristiani hanno inventato quelle profezie sul Cristo che si allegano col nome della Sibilla e di altri, se ve ne sono di quelle che non appartengono alla razza dei Giudei. A noi in verità bastano quelle che vengono allegate dal testo dei nostri avversari che riconosciamo per la prova che, sebbene a malincuore, ci offrono ritenendo e conservando il medesimo testo, che anche esso, cioè, è divulgato fra tutti i popoli, per ogni dove si diffonde la Chiesa. Sul fatto è stata fatta precedere una profezia nei Salmi, che anche essi leggono, in questo passo: Mio Dio, la sua bontà mi verrà in aiuto. Il mio Dio me lo ha mostrato nei miei nemici. Non ucciderli, affinché non dimentichino la tua legge, nella tua bontà falli andare in vari luoghi 194. Dunque Dio ha mostrato alla Chiesa mediante i Giudei, suoi avversari, il favore della sua bontà perché, come dice l'Apostolo, il loro delitto è la salvezza per i pagani 195. Perciò non li ha uccisi, cioè non li ha fatti scomparire perché sono Giudei, sebbene furono sconfitti e sopraffatti dai Romani affinché non avvenisse che, dimentichi della legge di Dio, non offrissero quella prova, di cui sto parlando. Perciò non bastava dire: Non ucciderli affinché non dimentichino la tua legge, se non aggiungeva: Falli andare in vari luoghi perché se con questa attestazione a favore della Scrittura fossero rimasti soltanto nel proprio paese non ovunque, la Chiesa, che è in ogni parte del mondo, poteva servirsene fra tutti i popoli come testimoni di quelle profezie che sono state preannunziate del Cristo.

La Città di Dio nei pagani e in Giobbe.
47.
Mettiamo che si venga a sapere che un qualsiasi straniero, cioè non proveniente dalla razza d'Israele e non accolto da quel popolo nel novero degli agiografi, ha profetato qualcosa sul Cristo. Se lo scritto è arrivato o arriverà alla nostra conoscenza, si può da noi considerare come un aggiunto, non perché sia indispensabile recuperarlo, se venisse a mancare, ma perché si ritiene ragionevolmente che anche fra gli altri popoli vi furono individui ai quali fu rivelato questo mistero. Vi furono anche coloro i quali furono indotti a preannunziare questi eventi, tanto se furono provvisti di quella grazia come se ne furono sforniti, ma informati dagli angeli cattivi. Sappiamo che costoro riconobbero il Cristo presente che i Giudei non ammettevano 196. Ritengo che neanche i Giudei osino sostenere che nessuno, fuorché gli Israeliti, si fosse dedicato a Dio da quando ebbe inizio la razza da Israele con la destituzione del suo fratello maggiore. Certamente non ci fu nessun altro popolo che si potesse considerare veramente popolo di Dio. Non possono negare però che anche negli altri popoli vi furono per un vincolo derivante dal cielo degli appartenenti ai veri Israeliti, cittadini della patria dell'alto. Se lo negano, vengono facilmente confutati dal santo e meraviglioso Giobbe che non fu né indigeno né proselito, cioè un forestiero del popolo d'Israele, ma discendente dalla stirpe degli Idumei, lì nato, lì morto, ma viene così esaltato dalle parole di Dio che, per quanto attiene alla morale e alla religione, nessuno dei suoi contemporanei può essergli paragonato 197. Sebbene nella Cronaca non troviamo il periodo in cui egli visse, rileviamo tuttavia dal suo libro, accolto in vista del valore dagli Israeliti nell'autenticità del canone, che fu di tre generazioni posteriore a Israele. Non ho dubbi che il fatto è rientrato nei disegni della divina Provvidenza affinché da questo unico esempio apprendessimo che anche fra gli altri popoli vi poterono essere individui appartenenti alla Gerusalemme spirituale, che vissero secondo Dio e furono a lui accetti. E si deve ammettere che a nessuno fu concesso tale favore se non a chi con divina ispirazione fu rivelato l'unico Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 198. Allora agli eletti dell'antichità si annunciava che egli sarebbe venuto nel mondo, come oggi a noi si annuncia che è già venuto, affinché per la sua mediazione l'unica vera fede conduca a Dio tutti i predestinati a giungere nella città di Dio, casa di Dio, tempio di Dio. Però si potrebbe eccepire che tutte le profezie di altri autori, che si adducono sulla grazia di Dio per la mediazione di Gesù Cristo, siano state inventate dai cristiani. Perciò per ribattere i non cristiani, se fanno difficoltà in proposito e per renderli nostri, se ragionano con criterio, nulla è più sicuro che addurre quelle predizioni sul Cristo che si hanno nel testo dei Giudei. Appunto perché essi sono stati cacciati dal proprio paese e per offrire questa attestazione sono dispersi in tutto il mondo, la Chiesa di Cristo è cresciuta da ogni parte.

La Chiesa e il tempio giudaico.
48.
Questa casa di Dio ha maggior gloria della prima, costruita con legno, pietre, con altri materiali e metalli preziosi. Quindi la profezia di Aggeo non si è adempiuta con la ricostruzione del tempio. Si rileva che mai, da quando è stato ricostruito, ebbe tanta gloria quanta ne ebbe al tempo di Salomone. Si rileva piuttosto che dapprima la gloria di quella casa diminuì con il cessare della profezia, poi con le grandi sconfitte del popolo giudaico fino all'ultimo sterminio perpetrato dai Romani, come documentano gli avvenimenti sopra ricordati 199. Invece questa casa, che appartiene alla Nuova Alleanza, è di tanto maggior gloria quanto migliori sono le pietre vive 200 con cui è costruita, cioè uomini nuovi perché hanno la fede. Per questo è stata simboleggiata con la ricostruzione del tempio, perché la rimessa a nuovo di quell'edificio simboleggia nel linguaggio profetico l'altra Alleanza che è detta nuova. Dunque, nelle parole che Dio rivolge mediante il Profeta citato: Darò la pace in questo luogo 201, mediante il luogo che simboleggia si deve intendere il luogo che ne è simboleggiato. E poiché nel tempio ricostruito è stata simboleggiata la Chiesa, che doveva essere costruita dal Cristo, la frase: Darò la pace in questo luogo si deve interpretare nel senso che darà la pace nel luogo che questo luogo simboleggia. Si ritiene che tutti i simboli sostengano la parte degli oggetti che simboleggiano. Difatti si ha nell'Apostolo: La roccia era il Cristo 202 perché la roccia, di cui si parla, simboleggiava il Cristo. Più grande è quindi la gloria della casa della Nuova Alleanza che della casa della precedente Antica Alleanza e si manifesterà più grande quando sarà inaugurata. Allora, come dice il testo ebraico, verrà l'atteso di tutti i popoli 203. Infatti la sua prima venuta non era ancora attesa da tutti i popoli. Non sapevano chi dovevano attendere, perché non avevano creduto in lui. Allora secondo il testo dei Settanta, poiché anche in esso si ha un significato profetico, verranno gli eletti del Signore da tutti i popoli. Allora in verità verranno soltanto gli eletti, dei quali dice l'Apostolo: Come ci ha eletti in lui prima della creazione del mondo 204. L'Architetto stesso ha detto: Molti sono i chiamati, pochi gli eletti 205, per dimostrare che la casa, la quale in seguito non subirà alcun crollo, è stata edificata con gli eletti e non con quelli che invitati vennero per essere scacciati dal banchetto. Ora invece che le chiese sono affollate anche da costoro, che saranno vagliati nell'aia con l'esposizione al vento, non appare la grande gloria di questa casa quanta ne apparirà allorché, chi vi sarà, vi sarà per sempre.

La Chiesa agli albori.
49.
In questo mondo malevolo, in questo tempo perverso, in cui attraverso l'abbattimento presente la Chiesa si acquista la futura elevazione e viene istruita con lo sprone dei timori e il tormento delle sofferenze, con i disagi del lavoro e i pericoli delle tentazioni, lieta soltanto nella speranza, quando sa esser lieta, molti malvagi sono mescolati ai buoni. Gli uni e gli altri sono, per così dire, radunati nella pescagione del Vangelo e chiusi nelle reti nuotano, senza distinguersi, in questo mondo come in un mare, fino a che si giunga alla riva, dove i cattivi sono separati dai buoni 206 e nei buoni, come nel suo tempio, Dio sia tutto in tutti 207. Perciò avvertiamo che si adempie la parola del salmista il quale diceva: Ho annunziato e proclamato: sono aumentati al di là di ogni numero 208. Questo avviene ora, da quando prima con la parola del suo precursore Giovanni, poi con la sua parola annunziò e proclamò: Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino 209. Elesse discepoli che denominò anche Apostoli 210, nati da umile gente, senza cariche, senza cultura, affinché tutto ciò che fossero e operassero di grande, egli stesso lo fosse e lo operasse in loro. Fra di essi ve ne fu uno cattivo affinché egli, usandone bene, raggiungesse quanto era disposto per la sua passione e offrisse alla sua Chiesa l'esempio di sopportare i malvagi. Sparso il seme del Vangelo mediante la sua presenza corporale, subì la passione e la morte e risuscitò, mostrando con la passione ciò che dobbiamo sopportare per la verità, con la risurrezione ciò che dobbiamo sperare nell'eternità, a parte la sublimità del mistero del suo sangue sparso per la remissione dei peccati. Si trattenne con i suoi discepoli per quaranta giorni, alla loro presenza salì al cielo 211 e dopo dieci giorni mandò lo Spirito Santo che aveva promesso 212. Simbolo immenso e immensamente necessario della sua venuta su coloro i quali avevano già creduto fu che ciascuno di essi parlasse nella lingua di tutte le nazioni. Simboleggiava così che sarebbe avvenuta fra tutte le nazioni l'unità della Chiesa cattolica ed essa avrebbe parlato in tutte le lingue.

La Chiesa nei primi secoli.
50.
La Chiesa si propagò in conformità alla profezia: Da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore 213 e in conformità alla predizione dello stesso Cristo Signore, quando dopo la risurrezione ai discepoli, stupiti nel vederlo, aprì la mente affinché intendessero la Scrittura e disse che così era scritto, che il Cristo doveva subire la passione e risuscitare dai morti il terzo giorno e che saranno predicati nel suo nome la conversione e il perdono dei peccati a tutti i popoli, cominciando da Gerusalemme 214. E poiché essi di nuovo lo interrogavano sull'ultima sua venuta, rispose con le parole: Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra 215. Quindi in principio la Chiesa si propagò da Gerusalemme e dopo che molti credettero nella Giudea e nella Samaria, si ebbe la diffusione negli altri popoli, poiché annunziavano il Vangelo coloro che Egli come fiaccole aveva allestito con la parola e infiammato con lo Spirito Santo. Aveva detto loro: Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima 216. Essi per non irrigidirsi nel timore, ardevano del fuoco della carità. Poi il Vangelo fu predicato in tutto il mondo non solo da quelli che avevano visto e udito il Cristo prima della passione e dopo la risurrezione, ma dopo la loro morte dai loro successori fra le orribili persecuzioni, i vari tormenti e il supplizio dei martiri, poiché Dio li assisteva con miracoli, prodigi e con i vari carismi e i doni dello Spirito Santo 217. Perciò le popolazioni pagane, credendo in Lui, che era morto per la loro salvezza, con amore cristiano venerarono il sangue dei martiri che avevano versato con odio diabolico. Gli stessi sovrani, dalle cui leggi era desolata la Chiesa, riverirono a proprio vantaggio quel nome che avevano tentato di cancellare dalla storia e cominciarono a sopprimere i falsi dèi, in considerazione dei quali avevano perseguitato gli adoratori del vero Dio.

La Chiesa e l'eresia.
51.
1. Il diavolo, osservando che i templi dei falsi dèi erano abbandonati e che il genere umano accorreva al nome del Mediatore che riscatta dal male, sobillò gli eretici affinché col palliativo del nome cristiano si opponessero alla dottrina cristiana, quasi fosse possibile essere accolti senza ammonizione nella città di Dio, come la città della Confusione accolse indiscriminatamente filosofi che sostenevano teorie diverse e contrarie. Coloro dunque che nella Chiesa di Cristo sostengono una opinione erronea e immorale e, avvertiti affinché ne sostengano una vera e conforme all'onestà, resistono con ostinazione e non vogliono rettificare le proprie teorie apportatrici di errore e di malcostume, ma persistono nel difenderle con caparbietà, divengono eretici e ponendosi fuori sono considerati avversari di professione. Anche così col proprio male giovano ai cattolici veri membri del Cristo, poiché Dio usa per il bene anche i malvagi e per coloro che lo amano tutto concorre al bene 218. Infatti tutti i nemici della Chiesa, qualsivoglia sia l'errore che li rende ciechi e la malvagità che li rende disonesti, se hanno la possibilità di affliggerla nel corpo, allenano la sua pazienza, se la contrariano con false dottrine, allenano la sua sapienza. Ed affinché siano amati anche i nemici, allenano la sua attitudine a volere il bene o anche a farlo, tanto se si comporta con loro mediante la convinzione dell'insegnamento, quanto mediante il timore della correzione. Perciò il diavolo, principe della città terrena, sia pure aizzando i propri gregari contro la città di Dio, esule in questo mondo, non ha possibilità di nuocerle in alcun modo. A lei senza dubbio dalla divina provvidenza sono garantiti il conforto mediante la prosperità, affinché non sia indebolita dalle avversità, e lo sprone dalle avversità, affinché non sia depravata dalla prosperità. Così l'una e l'altra emergenza si contengono a vicenda, affinché si riconosca che solo dalla Chiesa proviene quel grido contenuto nel Salmo: Quando ero oppresso da tanti dolori nel mio cuore il tuo conforto mi ha consolato 219. Dello stesso senso è il detto dell'Apostolo: Siate lieti nella speranza, pazienti nella tribolazione 220.

La Chiesa e i cattivi cristiani.
51.
2. Non si deve pensare però che in qualche tempo possa non verificarsi quel che ha detto lo stesso Apostolo: Coloro che vogliono vivere piamente nel Cristo subiscono la persecuzione 221. Infatti quando sembra che da parte di quelli che sono al di fuori e che non infieriscono vi sia tranquillità e la si ha veramente e apporta molto conforto, soprattutto ai deboli, tuttavia non mancano, anzi ve ne sono molti all'interno che tormentano, col comportamento depravato, il sentimento di coloro che vivono religiosamente, poiché per colpa loro viene oltraggiato il nome cristiano e cattolico 222. E se questo nome è molto caro a quelli che vogliono vivere religiosamente nel Cristo, essi si dolgono molto del fatto che per colpa dei cattivi cristiani lo si ami di meno di quanto desidera la coscienza dei devoti. Anche gli eretici, poiché si pensa che abbiano di cristiano il nome, i sacramenti, la Scrittura e la professione, causano un grande dolore nel cuore dei devoti perché molti, che vorrebbero essere cristiani, sono costretti a esitare a causa del loro dissenso e anche per colpa loro molti maldicenti trovano materia d'insultare il nome cristiano, perché anche essi in qualche modo sono considerati cristiani. A causa di questi e simili costumi depravati ed errori degli uomini subiscono persecuzione coloro che vogliono vivere religiosamente in Cristo, anche se non v'è chi affligge e tormenta il loro corpo. Subiscono infatti questa persecuzione non nel corpo ma nel cuore. Da qui quel grido: Quando ero oppresso da tanti dolori nel mio cuore. Non ha detto "nel mio corpo". Ma si sa che le promesse divine sono immutabili e che è vero ciò che dice l'Apostolo: Il Signore conosce i suoi 223, perché non può andare perduto alcuno di quelli che da sempre ha conosciuto e predestinato a esser conformi all'immagine del Figlio suo 224. Perciò nel Salmo citato si ha di seguito: Il tuo conforto mi ha consolato 225. Anche il dolore che si verifica nel cuore dei devoti, perseguitati dal comportamento dei cristiani malvagi o falsi, giova a coloro che lo sopportano, poiché proviene dalla carità con cui desiderano che i malvagi non vadano perduti e che non impediscano la salvezza degli altri. Inoltre grande conforto deriva anche dalle loro conversioni che inondano l'anima dei devoti di tanta gioia, pari al dolore che li tormentava per la loro perdizione. Ma in questo tempo, in questi giorni malvagi, non solo dal periodo della presenza corporale del Cristo e dei suoi Apostoli, ma dallo stesso Abele, il primo giusto ucciso dal fratello scellerato, e di seguito fino alla fine del tempo la Chiesa si evolve pellegrina fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.

La Chiesa e le persecuzioni di Roma.
52.
1. Poi ritengo che non si deve affermare o sostenere sconsideratamente la tesi di alcuni i quali hanno detto o dicono che la Chiesa non subirà più persecuzioni fino alla venuta dell'Anticristo oltre quelle che ha già subite, cioè dieci, in modo che l'undicesima provenga dall'Anticristo. Calcolano che la prima sia stata messa in atto da Nerone, la seconda da Domiziano, la terza da Traiano, la quarta da Antonino, la quinta da Severo, la sesta da Massimino, la settima da Decio, l'ottava da Valeriano, la nona da Aureliano, la decima da Diocleziano e Massimiano. Alcuni pensano che le piaghe d'Egitto, anche esse dieci, prima che il popolo di Dio uscisse dal Paese, debbano essere ricondotte a questa spiegazione, che cioè l'ultima persecuzione dell'Anticristo si possa confrontare con l'undicesima piaga, per cui gli Egiziani, nell'inseguire da nemici gli Ebrei, annegarono nel Mar Rosso, mentre il popolo di Dio lo passava all'asciutto 226. Io non ritengo che le persecuzioni furono simboleggiate profeticamente da quell'evento in Egitto, sebbene da coloro che la pensano così gli uni e gli altri avvenimenti siano stati raffrontati fra di loro con acutezza e perspicacia, però non con spirito profetico ma in una ipotesi dell'intelligenza umana che talora attinge il vero, talora prende abbaglio.

La Chiesa e le altre persecuzioni.
52.
2. Ma i sostenitori di questa ipotesi non sanno che dire della persecuzione, nella quale il Signore stesso fu crocifisso, e a quale computo assegnarla. Possono, fatta eccezione per questa, presentare un computo in cui siano annoverate soltanto quelle che riguardano il corpo e non quella con cui è stato imprigionato e ucciso il capo. Nell'ipotesi non sapranno come considerare quella che, dopo l'ascensione del Cristo in cielo, si verificò a Gerusalemme, nella quale il beato Stefano fu lapidato 227, Giacomo fratello di Giovanni fu ucciso di spada, nella quale Pietro fu incarcerato per essere ucciso e fu liberato da un angelo, nella quale i fratelli furono scacciati e allontanati da Gerusalemme 228, nella quale Saulo, che poi divenne l'apostolo Paolo, sconvolgeva la Chiesa, nella quale egli stesso, mentre già predicava la fede che aveva perseguitato, subì le pene che aveva inflitto nella Giudea e nelle altre nazioni, dovunque con grande fervore predicava il Cristo. Non hanno motivo di ritenere che si debba iniziare da Nerone, perché la Chiesa nel suo sviluppo giunse al tempo di Nerone fra spietate persecuzioni e si andrebbe per le lunghe a parlarne. Se ritengono che nel computo devono apparire anche le persecuzioni eseguite dai re, vi sarebbe il re Erode che scatenò una violenta persecuzione dopo l'ascensione del Signore. Non hanno da ribattere nei confronti di Giuliano che non includono fra i dieci. Anche egli ha perseguitato la Chiesa perché vietò ai cristiani d'insegnare e di apprendere le discipline liberali. Da lui Valentiniano I, che fu il terzo imperatore dopo di lui e aveva professato la fede, fu radiato dall'esercito. Ometto quel che avrebbe cominciato a fare presso Antiochia, se non fosse rabbrividito nell'ammirare la serena arditezza di un giovane molto religioso e risoluto che, fra molti imprigionati per essere torturati, fu torturato per primo e che canticchiava fra gli strumenti di tortura e gli strazi. Giuliano temette che se avesse continuato con gli altri, avrebbe dovuto arrossire più vergognosamente. Infine ai nostri giorni Valente, ariano, fratello del suddetto Valentiniano, con una grande persecuzione desolò in Oriente la Chiesa cattolica. È quasi assurdo non riflettere che la Chiesa, la quale è in sviluppo e incremento in tutto il mondo, può subire la persecuzione dai re in alcune nazioni, anche se in altre non la subisce. Si deve considerare persecuzione anche quella in cui il re dei Goti, nel proprio paese, perseguitò i cristiani con incredibile crudeltà, sebbene fossero tutti cattolici. Molti furono coronati dal martirio, come ho udito da alcuni fratelli che allora erano fanciulli e si ricordavano di aver visto questi fatti. E attualmente nella Persia? Vi infierì contro i cristiani una persecuzione, seppure è cessata, che alcuni, fuggendo dal paese, giunsero in territorio romano. Quando rifletto su questi e analoghi avvenimenti, non mi pare che si possa calcolare il numero delle persecuzioni con cui la Chiesa viene messa alla prova. Ma non è minore sconsideratezza affermare che ve ne saranno altre dai sovrani oltre la finale, di cui nessun cristiano dubita. Quindi lasciamo sospeso l'argomento senza garantire o demolire alcuna delle due parti della questione, ma denunziando l'arrogante pretesa di affermare l'una o l'altra.

Mistero sull'ultima persecuzione.
53.
1. Gesù stesso con la sua presenza porrà fine alla persecuzione finale che sarà attuata dall'Anticristo. È stato scritto infatti che lo ucciderà col soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua presenza 229. A questo punto si suol chiedere: Quando avverrà? Domanda del tutto a sproposito. Se ci giovasse saperlo, ci sarebbe stato manifestato molto opportunamente dallo stesso Dio Maestro, quando i discepoli lo interrogarono. Non tacquero sull'argomento con lui, ma chiesero a lui presente: Signore, in questo tempo ristabilirai il regno d'Israele? Ed egli rispose: Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato al suo potere 230. Quando ricevettero questa risposta, non l'avevano interrogato sull'ora, il giorno, l'anno, ma sul tempo. Quindi tentiamo inutilmente di calcolare e fissare gli anni che rimangono al tempo, poiché ascoltiamo dalla bocca della Verità che non ci spetta saperlo. Alcuni dicono che dall'ascensione del Signore fino alla sua ultima venuta possono trascorrere quattrocento anni, altri cinquecento, altri mille. Sarebbe lungo e non necessario mostrare come ciascuno di loro sostiene la propria opinione. Si servono di criteri umani e da loro non si adduce una prova certa fondata sull'autorità della Scrittura canonica. Ordina di distendere e tener ferme le dita di tutti coloro che conteggiano colui che dice: Non spetta a voi conoscere i tempi che il Padre ha riservato al suo potere.

Il mito di Pietro stregone.
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2. Ma poiché questa è una frase del Vangelo, non fa meraviglia che gli adoratori di molti e falsi dèi non siano stati trattenuti dall'immaginare attraverso i responsi dei demoni, venerati come dèi, che è stato stabilito per quanto tempo rimarrà la religione cristiana. Si sono accorti che non poteva esser distrutta da tante e così gravi persecuzioni ma che da esse aveva ricevuto uno sviluppo enorme. Immaginarono allora non saprei quali versi in greco che sarebbero stati fatti udire durante la consultazione di un oracolo. In esso considerano il Cristo innocente dal delitto di questa supposta profanazione, ma soggiungono che Pietro ha compiuto atti di stregoneria perché il nome di Cristo fosse venerato per altri trecentosessantacinque anni; quindi, terminato questo numero di anni, il cristianesimo senza indugio avrebbe avuto fine. Questo è il buon senso dei dotti. Questo è l'ingegno di voi, persone colte, disposte a credere certe cose del Cristo, sebbene non volete credere nel Cristo. Il suo discepolo Pietro non avrebbe appreso le arti magiche da lui ma, rimanendo Egli innocente, sarebbe stato il suo stregone, avrebbe preferito che fosse onorato il suo nome anziché il proprio con le arti magiche, con le proprie sofferenze e pericoli e infine con lo spargimento del sangue. Se Pietro fu uno stregone perché il mondo amasse il Cristo in tal modo, che cosa ha fatto il Cristo innocente perché Pietro lo amasse a quel punto? Si rispondano da se stessi e cerchino di capire, se possono, che per merito della grazia dall'alto è avvenuto che il mondo amò il Cristo in vista della vita eterna. In virtù di questa grazia è avvenuto anche che Pietro amò il Cristo per ricevere da lui la vita nell'eternità fino a sopportare per lui la morte nel tempo. Ci si chiede che razza di dèi sono questi che possono prevedere ma non impedire tali fatti perché soggiacciono a uno stregone e al suo misfatto malefico. Con esso, dicono, un bimbo di un anno fu ucciso, squartato e sepolto con un rito infame per permettere che la setta, a loro avversa, potesse essere in vigore per un lungo tempo non respingendo ma superando con la pazienza tante orribili crudeltà delle grandi persecuzioni e giungere all'annientamento dei loro idoli, templi e oracoli sacri. Infine qual è questo dio, loro non nostro, che è stato o sedotto o costretto da sì grande delitto a concedere simili prerogative? Quei versi dicono che Pietro con l'arte magica suggerì quegli eventi a un dio, non a un demone. Hanno un tale dio quelli che non hanno il Cristo.

Confutazione del mito di Pietro stregone.
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1. Addurrei queste e simili fantasticherie, se non fosse ancora trascorso l'anno che la simulata predizione ha promesso e l'ingannata frivolezza ha creduto. Poiché da alcuni anni sono già passati i trecentosessantacinque dal tempo in cui la venerazione del nome di Cristo ha avuto inizio mediante la sua esistenza terrena e l'opera degli Apostoli, non c'è altro da chiedersi per respingere questa fandonia. Anche se non fissiamo l'inizio di questo evento storico alla sua nascita, perché da bambino e da fanciullo non aveva discepoli, tuttavia quando iniziò ad averli, si manifestarono mediante la sua presenza fisica la dottrina e la religione cristiana, cioè dopo che fu battezzato nel fiume Giordano con la funzione ministeriale di Giovanni. Perciò parlando di lui la profezia aveva premesso: Dominerà da un mare all'altro, dal fiume fino ai confini della terra 231. Perciò prima che subisse la Passione e risuscitasse dai morti, la fede non era stata ancora stabilita per tutti. Fu stabilita nella risurrezione del Cristo, così infatti si esprime l'apostolo Paolo parlando agli Ateniesi: Ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di convertirsi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti 232. Quindi nel risolvere il problema prendiamo le mosse da quel tempo, soprattutto perché allora fu mandato anche lo Spirito Santo, era infatti conveniente che fosse mandato dopo la risurrezione del Cristo in quella città, da cui doveva avere inizio la seconda legge, cioè la Nuova Alleanza. La prima venne dal monte Sinai mediante Mosè e si considera l'Antica Alleanza. Invece dell'Alleanza, che doveva essere accordata mediante il Cristo, era stato predetto: Da Sion uscirà la legge e la parola del Signore da Gerusalemme 233. Anche egli disse a coloro i quali dovevano predicare la conversione che dovevano cominciare da Gerusalemme 234. In quella città ebbe dunque inizio la venerazione di questo nome affinché si credesse in Gesù Cristo crocifisso e risorto. A Gerusalemme la fede si segnalò splendidamente ai suoi inizi. Alcune migliaia di uomini, convertiti al nome di Cristo con meravigliosa prontezza 235 e venduti i propri beni, perché fossero distribuiti ai bisognosi 236, abbracciarono con un santo proposito e con carità appassionata la povertà volontaria. Poi a contatto con i Giudei sdegnatissimi e sitibondi di sangue si prepararono a combattere fino alla morte per la verità, non con un potere armato ma con la più potente sopportazione. Se questo è avvenuto senza le arti magiche, non hanno motivo per dubitare che sia potuto avvenire in tutto il mondo con quel divino potere con cui è avvenuto. Se poi la stregoneria di Pietro aveva ottenuto che a Gerusalemme si dedicasse con ardore alla venerazione del nome di Gesù una grande moltitudine di uomini che l'avevano crocifisso dopo averlo catturato e schernito dopo averlo crocifisso, si deve investigare quando, partendo da quell'anno, si sono compiuti i trecentosessantacinque anni. Dunque il Cristo è morto sotto il consolato dei due Gemini il 25 marzo. Risuscitò il terzo giorno, come gli Apostoli hanno verificato per diretta esperienza 237. Dopo quaranta giorni salì al cielo 238, dopo dieci giorni, cioè cinquanta dopo la sua risurrezione, inviò lo Spirito Santo 239. In quella circostanza tremila uomini credettero agli Apostoli che lo annunziavano 240. Con loro cominciò allora il cristianesimo per l'azione dello Spirito Santo, come noi crediamo e la verità attesta ma, come immagina o ritiene l'empia frivolezza, con le arti magiche di Pietro. Poco dopo, in seguito anche a un prodigioso evento, allorché alla parola dello stesso Pietro un mendicante, zoppo dalla nascita sicché era portato alla porta del tempio e lì collocato a chiedere l'elemosina, nel nome di Gesù Cristo, saltò su sano e salvo 241, credettero cinquemila uomini 242. In seguito con continue aggiunte dei credenti la Chiesa aumentò di numero. Perciò si calcola anche il giorno, in cui l'anno ha avuto inizio, cioè quando fu inviato lo Spirito Santo, esattamente il 15 maggio. Quindi col numero dei consoli si costata che trecentosessantacinque anni al 15 di maggio si compirono col consolato di Onorio ed Eutichiano. Inoltre l'anno seguente, sotto il consolato di Manlio Teodoro, quando secondo il responso dei demoni o la fandonia degli uomini non doveva esservi più la religione cristiana, non fu necessario investigare cosa avvenne nelle altre parti del mondo. Frattanto, questo lo sappiamo, nella famosa e illustre città di Cartagine in Africa Gaudenzio e Giovio, conti dell'imperatore Onorio, il 19 marzo, demolirono i templi dei falsi dèi e ne fracassarono le statue. Da allora fino ad oggi, per circa trent'anni, ognuno può costatare quanto è aumentato di numero il cristianesimo, soprattutto dopo che si sono resi cristiani molti di quelli che da quel responso, ritenuto vero, erano allontanati dalla fede e si accorsero, ormai compiuto il numero degli anni, che era stupido e ridicolo. Noi dunque che siamo e siamo chiamati cristiani, non crediamo in Pietro, ma in colui in cui Pietro credette perché siamo ammaestrati dalle parole di Pietro sul Cristo, non avvelenati dalle sue formule magiche, non ingannati dalle sue operazioni malefiche, ma aiutati dalle sue buone azioni. Il Cristo è il maestro di Pietro nella dottrina che guida alla vita eterna, egli è anche il nostro maestro.

Confronto fra le due città.
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2. Ma concludiamo ormai questo libro, dopo aver esposto fin qui e, per quanto sembrava opportuno, dimostrato quale sia l'evoluzione storica delle due città, la celeste e la terrena, commischiate dall'inizio fino alla fine. La terrena ha creato per sé, da ogni provenienza o anche dagli uomini, i falsi dèi che ha voluto, per sottomettersi a loro mediante l'offerta di vittime. Invece quella celeste, che è esule sulla terra, non crea falsi dèi, ma essa è stata creata dal vero Dio ed essa stessa è la sua vera immolazione. Tutte e due però usano ugualmente i beni temporali e sono colpite dai mali con diversa fede, diversa speranza, diverso amore, fino a che siano separate dal giudizio finale e raggiunga ognuna il proprio fine che non ha fine. Del fine di entrambe si parlerà in seguito.