LA TRINITA’

Sant’Agostino

 

[Libri I – V]

 

PROLOGO

Agostino invia cristiani saluti al vescovo Aurelio, signore beatissimo e degno d’esser venerato con la più sincera carità, santo fratello e collega nell’episcopato

I libri sulla Trinità, sommo e vero Dio, li cominciai da giovane e li ho pubblicati da vecchio. Avevo smesso quest’opera dopo aver scoperto che m’erano stati portati via anzitempo o trafugati i libri prima ancora ch’io avessi potuto condurli a termine e sottoporli a un’accurata revisione, com’era mia precisa volontà. Avevo infatti stabilito di pubblicare quei libri non già separatamente, ma tutti insieme secondo il suddetto criterio per il fatto che i seguenti sono connessi strettamente ai precedenti dal filo della progressiva indagine. Poiché dunque il mio piano non s’era potuto realizzare a causa di alcuni individui ai quali i libri erano potuti giungere prima che io lo volessi, avevo interrotto la dettatura, pensando di lamentarmene in qualcuno dei miei scritti perché sapessero quanti l’avessero potuto che i medesimi libri non erano stati pubblicati da me, ma che m’erano stati portati via prima ancora che mi sembrassero degni d’esser pubblicati. Tuttavia in seguito alle pressanti richieste di molti fratelli e soprattutto in seguito all’autorevole tuo invito ho procurato di terminare, con l’aiuto di Dio, un’opera così laboriosa. Dopo aver corretto i libri non come avrei voluto, ma solo come ho potuto, per non renderli troppo discordanti da quelli che m’erano stati trafugati ed erano già diffusi tra le mani della gente, li ho inviati alla tua Reverenza per mezzo di un carissimo nostro figlio e collega di diaconato, e ho permesso a chiunque di ascoltarli, di copiarli, di leggerli. Se avessi potuto attuare il mio piano, questi libri, pur contenendo le medesime idee, sarebbero stati tuttavia svolti più compiutamente e più chiaramente, nella misura permessa dalle difficoltà che presentano questioni sì profonde e dalle mie facoltà. Ci sono alcuni i quali hanno i primi quattro o meglio cinque libri mancanti dell’introduzione e il decimosecondo mancante dell’ultima parte che non è piccola; ma se verrà a loro conoscenza questa edizione, potranno eliminare tutte queste lacune, sempre che ne abbiano volontà e capacità. Per parte mia io ti chiedo di far aggiungere questa lettera, a parte bensì, ma come prologo ai medesimi libri. Prega per me.

 

LIBRO PRIMO

Scrive contro coloro che abusando della ragione corrompono la fede. Tre specie di errori su Dio

1. 1. Il lettore di questo nostro trattato sulla Trinità sappia, prima di tutto, che la nostra penna intende vigilare contro le false affermazioni di quelli che disprezzano di partire dalla fede 1 e sono tratti in inganno da uno sconsiderato quanto fuorviato amore della ragione. Di costoro, alcuni si sforzano di applicare alle sostanze incorporee e spirituali ciò che hanno percepito intorno alle sostanze corporee per mezzo dell’esperienza sensibile, o ciò che appresero intorno ad esse grazie alla natura stessa dell’ingegno umano, alla acutezza della riflessione e con l’aiuto della scienza, e vogliono misurare e rappresentarsi quelle sulla base di queste. Intorno a Dio altri hanno un’idea, se questo è averne un’idea, conforme alla natura e agli affetti dell’animo umano. Da questo errore consegue che nelle loro discussioni su Dio seguono regole non rette e fallaci 2. Ve ne sono altri poi che si sforzano di trascendere l’universo creato, evidentemente mutevole, per innalzare lo sguardo sulla sostanza immutabile che è Dio; ma, appesantiti dalla loro stessa natura mortale, volendo apparire sapienti in ciò che non sanno ed incapaci di sapere ciò che vogliono conoscere 3, insistono con troppa audacia nelle congetture e si precludono le vie dell’intelligenza, preferendo persistere nelle loro opinioni erronee, anziché mutare l’opinione che difendono. Questo è il vero male delle tre categorie di persone di cui si è parlato 4: di coloro cioè che pensano Dio alla maniera degli enti corporei, di quelli che lo concepiscono in modo conforme alla creatura spirituale, come l’anima; di quelli infine che, pur tenendosi lontani dalle cose corporee e spirituali, pensano Dio in maniera erronea 5, tanto più allontanandosi dalla verità in quanto la loro idea di Dio non è tratta né dall’esperienza sensibile né dalla creatura spirituale, né dallo stesso Creatore. Erra infatti chi si immagina Dio, per esempio, come bianco o rosso; ma tuttavia questi colori li troviamo negli enti corporei; non meno in errore è colui che invece si fa di Dio l’idea di un essere capace di dimenticanza e di memoria o di altri simili stati 6, ma tuttavia questi li ritroviamo realmente nell’animo umano. Ma coloro che pensano Dio così potente da generare se stesso, errano tanto più gravemente in quanto non solamente Dio ma nessuna creatura spirituale o corporea è concepibile a questo modo: non c’è assolutamente alcuna cosa che si generi per esistere 7.

La Scrittura non esitò ad usare i vocaboli di ogni genere di cose per elevare il nostro intelletto alle verità divine

1. 2. Per purificare l’animo umano da questi errori, la Sacra Scrittura, adeguandosi alla nostra piccolezza, non esitò ad usare i vocaboli di ogni genere di cose per far assurgere gradatamente il nostro intelletto, quasi nutrendolo, alle verità sublimi e divine. Parlando di Dio infatti usò espressioni desunte dalle cose corporee, come, per esempio, quando dice: Nascondimi all’ombra delle tue ali 8. Allo stesso modo traspose nel discorso su Dio molte espressioni proprie del mondo spirituale, per significare una realtà certamente diversa da questa, ma opportunamente esprimibile in modo analogo a questa, come: Io sono un Dio geloso 9; e: Mi pento di aver fatto l’uomo 10. Ma, da ciò che non esiste, la Scrittura non trasse nessun termine con cui creare allegorie o intrecciare degli enigmi. Pertanto più perniciosa e vana è la perdizione cui conduce, allontanando dalla verità, questo terzo genere di errore per il quale si suppone esistere in Dio ciò che non può essere in Dio stesso né in alcuna creatura 11. Con questi riferimenti alle cose create la Sacra Scrittura ama quasi divertire innocentemente per incamminare lo sguardo delle deboli creature, secondo le loro capacità, alla ricerca delle realtà superiori e a rinunciare alle inferiori. Ma troviamo assai raramente che la Sacra Scrittura usi delle espressioni in senso esclusivo di Dio senza alcun riscontro nelle creature, come quella rivolta a Mosè: Io sono colui che sono; e: Colui che è, mi mandò a Voi 12. Infatti non si esprimerebbe così, se non mirasse ad un senso esclusivo, dato che l’essere si predica e dei corpi e delle anime. Similmente l’Apostolo che usa l’espressione: Il solo che possiede l’immortalità 13, dal momento che anche l’anima in un certo senso si dice ed è immortale, non affermerebbe: Il solo che possiede, se la vera immortalità non fosse quella immutabilità che nessuna creatura può avere in quanto è del solo Creatore. Lo afferma pure Giacomo: Ogni grazia eccellente, ogni dono perfetto è largito dall’alto, dal Padre della luce, in cui non c’è né mutamento né ombra di variazione 14. Ugualmente Davide: Li cambierai ed essi muteranno, ma tu rimani il medesimo 15.

Nutriti dalla fede siamo resi capaci di attingere le realtà divine

1. 3. Da ciò scaturisce la difficoltà di penetrare e conoscere pienamente la sostanza divina che senza mutamento fa le cose mutevoli 16 e, al di fuori di ogni successione temporale, crea le cose temporali. Per vedere ineffabilmente quella realtà ineffabile è pertanto necessario purificare il nostro spirito 17; fino a quando ciò non avvenga, nostro nutrimento è la fede, affinché attraverso più agevoli sentieri diveniamo atti e idonei all’intelligenza di quel mistero. Perciò l’Apostolo, pur affermando che in Cristo sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza 18, tuttavia a persone già rigenerate dalla sua grazia ma ancora carnali e come bambini in Cristo, non presentò il Cristo nella sua potenza divina, che ha comune con il Padre, ma nella sua debolezza umana per la quale fu crocifisso 19. Dice dunque l’Apostolo: Infatti non volli sapere in mezzo a voi altro che Gesù Cristo e questi crocifisso. Aggiunge poi: Ed io fui tra voi debole, timoroso, tutto tremante 20. E più avanti dice loro: Né io, fratelli, potei parlare a voi come a persone spirituali, ma come a persone carnali, come a fanciulli in Cristo. Vi diedi da bere del latte, non cibo solido, perché ancora non lo potevate digerire, ma nemmeno ora lo potete 21. Quando lo si dice a certuni, ciò li irrita e li offende. Regolarmente essi, piuttosto che sentirsi incapaci d’intendere quanto si dice loro, preferiscono giudicare sprovvisti di argomenti coloro che parlano così. E talvolta nel discutere con essi non trattiamo quello che chiedono su Dio sia perché non è alla loro portata, sia perché nemmeno noi lo sappiamo cogliere o spiegare, e ci limitiamo a mostrare quanto siano lontani dal poter intendere quello che pretendono. Allora, insoddisfatti nelle loro richieste, o ci accusano di coprire astutamente la nostra stessa ignoranza o di rifiutare loro maliziosamente la scienza. Così se ne vanno sdegnati e sconvolti.

Scopo e piano dell’opera

2. 4. Per questo motivo con l’aiuto del Signore Dio nostro prenderemo la parola per spiegare, per quanto possiamo, come ci chiedono anche i nostri avversari, in qual modo la Trinità sia un solo unico e vero Dio e come sia pienamente esatto dire, credere e pensare che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono di un’unica e medesima sostanza o essenza 22, in modo che gli avversari non abbiano a pensare di essere tratti in inganno dai nostri giri di parole 23, ma sperimentino direttamente che quel bene sommo che si manifesta solo agli spiriti pienamente purificati, esiste e non può essere da loro conosciuto e compreso, perché il debole acume dello spirito umano non può penetrare in quella luce tanto sublime, se non si alimenta e rinvigorisce con la giustizia della fede 24. Ma occorre per prima cosa dimostrare, fondandosi sull’autorità delle Sacre Scritture, se tale è l’insegnamento della fede. Solo in un secondo tempo, se Dio vorrà e ci verrà in aiuto, aiuteremo forse codesti loquaci ragionatori, più arroganti che competenti e proprio per questo colpiti da un morbo tanto più grave, a trovare qualcosa di cui non possano dubitare e a incolpare così la propria intelligenza in quello che non sono riusciti a trovare, invece che incolpare la verità stessa o le nostre spiegazioni 25. Se rimane loro un minimo di amore e di timore di Dio, per questa via ritornino alla fede come principio e metodo di conoscenza, ormai convinti di quale rimedio di salvezza abbiano i fedeli nella santa Chiesa: una pietà guardinga risana la nostra debole intelligenza 26 perché sia in grado di apprendere la verità immutabile e non precipiti in dannosi errori per una temerarietà sconsiderata 27. Da parte mia poi se mi troverò nel dubbio non esiterò a cercare né, se mi troverò nell’errore, mi vergognerò di apprendere.

Disposizione di animo che il Santo richiede ai suoi lettori

3. 5. Chiunque legge quest’opera, dunque, prosegua con me se avrà la mia stessa certezza, ricerchi con me se condividerà i miei dubbi; ritorni a me se riconoscerà il suo errore, mi richiami se si avvedrà del mio. Insieme ci metteremo così sui sentieri della carità, in cerca di Colui del quale è detto: Cercate sempre il suo volto 28. In questa disposizione d’animo pia e serena vorrei trovarmi unito, davanti al Signore Dio nostro, con tutti i miei lettori di tutti i miei libri ma soprattutto di questo che indaga l’unità della Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, poiché non c’è altro argomento a proposito del quale l’errore sia più pericoloso, la ricerca più ardua, la scoperta più feconda 29. Se poi, leggendo, qualcuno dirà: "Ciò non è stato bene spiegato, perché io non capisco", se la prenda con il mio modo di esporre, ma non con la fede. Certamente la spiegazione avrebbe potuto essere più facile, ma nessun uomo parlò mai in modo che tutti lo intendessero su ogni cosa. Pertanto colui che troverà questa lacuna nel mio trattato, veda se, mentre non comprende me, è invece in grado di comprendere gli scritti di altri, competenti in questi argomenti e questioni. Se sarà così, lasci il mio libro, magari lo butti, se gli pare, e dedichi piuttosto fatica e tempo a coloro che è in grado di capire. Non pensi tuttavia che io avrei dovuto tacere perché non ho potuto esprimermi con tutta la facilità e chiarezza di quelli che egli capisce. Infatti non tutti gli scritti di tutti gli autori cadono nelle mani di tutti; e può accadere che alcuni che sono in grado di comprendere questo nostro lavoro non abbiano l’occasione di trovarne di più facili, ma trovino soltanto questo. È dunque utile che vengano scritti anche intorno alle stesse questioni da autori diversi molti libri con stile differente ma con identica fede, affinché la stessa cosa giunga a quanti più lettori è possibile, agli uni in un modo, agli altri in un altro 30. Ma se chi deplorasse di non aver capito questo mio scritto non fosse mai riuscito a capire nessun’altra spiegazione del genere, per quanto diligente e penetrante, costui se la prenda con se stesso, faccia propositi e sforzi per progredire, e non se la prenda con me per farmi tacere con le sue lamentele ed invettive. Chi infine leggendo dicesse: "Comprendo bene quanto qui si dice, ma tutto ciò non risponde a verità", sostenga se crede la sua tesi e, se può, confuti la mia. Se farà questo, spinto dalla carità e dalla verità, e si prenderà cura di farmene partecipe, se sarò ancora in vita, trarrò da questo mio lavoro abbondantissimo frutto. E se poi non potrà comunicare con me, lo farà con quanti potrà, ed io sarò consenziente e contento. Per quanto mi riguarda mediterò sulla legge del Signore 31, se non giorno e notte 32, almeno ogni volta che posso e affido alla penna le mie meditazioni, perché la memoria non mi tradisca, e spero che la misericordia di Dio mi darà perseveranza in tutte quelle verità di cui ho certezza. Se il mio sentire sarà diverso dal vero, Egli me lo manifesterà 33 mediante ispirazioni e ammonimenti interiori o con l’aperta testimonianza della sua parola, oppure attraverso i colloqui con i fratelli. Di questo lo prego e affido il mio impegno ed il mio desiderio a Colui che so capace di custodire ciò che ha donato e di dare ciò che ha promesso 34.

Agostino preferisce essere criticato da chi critica l’errore, piuttosto che essere lodato da chi loda l’errore

3. 6. Non mancherà certamente qualche lettore così ottuso da trovare in alcuni passi dei miei libri ciò che io non ho pensato e da non vedere invece ciò che ho pensato davvero. L’errore di costui, com’è chiaro, non deve essermi imputato, se, mentre mi segue senza capirmi, cade nel falso, mentre io sono costretto a farmi strada attraverso sentieri intricati ed oscuri; come del resto all’autorità delle Sacre Scritture nessuno può imputare ragionevolmente il gran numero e la varietà degli errori degli eretici, sebbene tutti si sforzino di difendere le loro opinioni false e fallaci ricorrendo alla Scrittura medesima 35. E tuttavia la legge di Cristo, cioè la carità 36, chiaramente mi ammonisce e con dolcissimo comando mi ordina che, se gli uomini ritengono che nei miei scritti ho difeso qualche errore che io non vi posi e questo piace ad alcuni e dispiace ad altri 37, io scelga di essere ripreso da chi combatte l’errore piuttosto che lodato da chi lo approva. Dal primo posso essere ingiustamente accusato per un’idea che non è mia, ma l’errore medesimo è biasimato a ragione, il secondo invece attribuendomi ciò che offende la verità non loda rettamente né me né l’opinione che mi attribuisce. Ed ora, in nome del Signore, poniamo mano all’opera intrapresa.

La dottrina cattolica sulla Trinità

4. 7. Tutti gli interpreti cattolici dei Libri sacri dell’Antico Testamento e del Nuovo che hanno scritto prima di me sulla Trinità di Dio e che io ho potuto leggere, questo intesero insegnare secondo le Scritture: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo con la loro assoluta parità in una sola e medesima sostanza mostrano l’unità divina e pertanto non sono tre dèi, ma un Dio solo 38, benché il Padre abbia generato il Figlio e quindi non sia Figlio colui che è Padre; benché il Figlio sia stato generato dal Padre e quindi non sia Padre colui che è Figlio; benché lo Spirito Santo, non sia né Padre né Figlio ma solo lo Spirito del Padre e del Figlio, pari anch’egli al Padre e al Figlio, appartenente con essi all’unità della Trinità 39. Tuttavia non la Trinità medesima nacque dalla vergine Maria, fu crocifissa e sepolta sotto Ponzio Pilato, risorse il terzo giorno ed ascese al cielo 40, ma il Figlio solamente. Così non la Trinità medesima scese in forma di colomba su Gesù nel giorno del suo battesimo 41 o nel giorno della Pentecoste, dopo l’ascensione del Signore, si posò su ciascuno degli Apostoli, con il suono che scendeva dal cielo come fragore di vento impetuoso e mediante distinte lingue di fuoco, ma lo Spirito Santo solamente 42. Né infine la medesima Trinità pronunciò dal cielo le parole: Tu sei il Figlio mio 43, quando Gesù fu battezzato da Giovanni, o sul monte quando erano con lui i tre discepoli 44, oppure quando risuonò la voce dicendo: L’ho glorificato e ancora lo glorificherò 45, ma era la voce del Padre solamente che si rivolgeva al Figlio, sebbene il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo operino inseparabilmente, come sono inseparabili nel loro stesso essere 46. Questa è la mia fede, perché questa è la fede cattolica.

Le tre questioni che turbano alcuni

5. 8. Ma alcuni restano fortemente turbati nella loro fede al sentire che si parla di un Dio Padre e di un Dio Figlio e di un Dio Spirito Santo e che tuttavia questa Trinità non è tre dèi, ma un solo Dio. Chiedono come intendere ciò, dato soprattutto che i Tre, si dice, operano inseparabilmente in ogni attività divina e tuttavia è stata udita la voce del Padre 47 che non è la voce del Figlio; il Figlio solo si incarnò, patì, risorse ed ascese al cielo; solo lo Spirito Santo discese in forma di colomba 48. Essi vogliono capire in che modo quella voce in cui il Padre solo parlò sia opera della Trinità, quella carne in cui il Figlio solo nacque dalla Vergine 49 sia stata creata dalla Trinità, quella forma di colomba in cui solamente lo Spirito Santo apparve sia opera della Trinità medesima. In caso contrario la Trinità non opera inseparabilmente, ma alcune cose opera il Padre, altre il Figlio, altre lo Spirito Santo; oppure, se operano insieme solo alcune cose ed altre separatamente, la Trinità non può dirsi inseparabile. Ma c’è un’altra difficoltà: come nella Trinità vi è uno Spirito Santo non generato dal Padre né dal Figlio né da entrambi insieme, sebbene sia lo Spirito del Padre e del Figlio?. Poiché sono queste le domande che ci rivolgono, e lo fanno fino a tediarci, così, se la nostra piccolezza approda a qualche conoscenza con la grazia di Dio, la esponiamo loro come meglio possiamo e senza imitare colui che è roso dall’invidia 50. Mentiamo se diciamo che non siamo soliti pensare a questi argomenti; ma, se confessiamo che questi ci stanno fissi in mente perché siamo trascinati dal desiderio di cercare la verità, essi vogliono sapere in nome della carità i risultati della nostra ricerca. Non che abbia già conseguito il premio e raggiunto ormai la perfezione 51 (se osò dirlo l’apostolo Paolo, quanto più lo potrei io che sono tanto lontano da lui, sotto i suoi piedi?) 52, ma, secondo le mie capacità, dimentico ciò che mi sta alle spalle e mi slancio in avanti e con tutte le mie forze corro verso il premio della vocazione celeste 53. Così mi si chiede quanta strada abbia percorso e a che punto dalla fine io sia arrivato. Desiderano saperlo certe persone che la libera carità mi costringe a servire. Ma bisogna anche, e Dio me lo concederà, che giovi a me stesso, mentre preparo questi scritti per loro perché li possano leggere, e che il desiderio di rispondere a chi mi interroga, mi aiuti a trovare ciò che ho continuato a cercare 54. Ho intrapreso questo lavoro per ordine e con l’aiuto del Signore Dio nostro non per ragionare con autorità delle cose che conosco, ma per conoscerle più a fondo, parlandone con pietà.

Il Figlio è vero Dio, della stessa sostanza del Padre

6. 9. Chi disse che il Signore Dio nostro Gesù Cristo non è Dio o non è vero Dio o non è unico e solo Dio con il Padre o non è veramente immortale perché mutevole, fu convinto d’errore dalla evidentissima e unanime testimonianza delle Scritture, dove leggiamo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio 55. È chiaro che nel Verbo di Dio noi riconosciamo il Figlio unico di Dio, del quale Giovanni dice più avanti: E il Verbo si fece carne ed abitò fra noi 56, perché si è incarnato nascendo nel tempo dalla Vergine. In questo passo Giovanni afferma non soltanto che il Verbo è Dio ma anche che è consustanziale al Padre, perché dopo aver detto: E il Verbo era Dio, aggiunge: Questi era in principio presso Dio e tutte le cose per mezzo di lui furono fatte e niente fu fatto senza di lui 57. E poiché quando dice: tutte le cose, intende significare tutte le cose che furono fatte, ossia tutte le creature, si può con certezza affermare che non è stato fatto Colui per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. E se non è stato fatto, non è creatura; se non è creatura, è consustanziale al Padre. Infatti ogni sostanza che non è Dio è creatura, e quella che non è creatura è Dio. Ma, se il Figlio non è della medesima sostanza del Padre, evidentemente è una sostanza creata; ma se è tale, non tutte le cose furono fatte per mezzo di lui. Se però ogni cosa per mezzo di lui fu fatta, allora egli è una sola e medesima sostanza con il Padre. E perciò non è soltanto Dio ma anche vero Dio. È quanto Giovanni dice con somma chiarezza nella sua Epistola: Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza perché conosciamo il vero Dio, e siamo nel suo vero Figlio Gesù Cristo. Questi è il vero Dio e la vita eterna 58.

Tutta la Trinità è immortale

6. 10. Da ciò consegue che l’apostolo Paolo non si riferiva solo al Padre quando disse: Il solo che possiede l’immortalità 59, ma parlava dell’unico e solo Dio, che è la Trinità stessa. Infatti la vita eterna non può essere mortale per mutazione, ma il Figlio di Dio è la vita eterna; perciò anch’egli è compreso con il Padre nelle parole: Il solo che possiede l’immortalità 60. E noi stessi, fatti partecipi 61 della sua vita eterna, diventiamo immortali nel modo a noi concesso. Ma una cosa è la vita eterna di cui diventiamo partecipi, altra cosa siamo noi che, per quella partecipazione, vivremo in eterno. Nemmeno se l’apostolo Paolo avesse scritto: "Nei tempi stabiliti lo manifesterà il Padre, beato e solo sovrano, Re dei re, Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità", dovremmo escludere il Figlio. Infatti il Figlio dicendo in veste di Sapienza (egli è infatti la Sapienza di Dio 62): Da sola ho percorso la volta del cielo 63, non ha escluso il Padre. Quanto meno è dunque necessario intendere come dette solo del Padre e non anche del Figlio le parole: Il solo che possiede l’immortalità, parole che fanno parte del seguente passo: Osserva questi precetti senza macchia e senza rimprovero fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo che nei tempi stabiliti sarà manifestato dal beato ed unico sovrano, Re dei re, il Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità ed abita in una luce inaccessibile, che nessun uomo ha visto né mai può vedere. A lui onore e gloria nei secoli dei secoli 64. In questo passo non si nomina propriamente né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo, ma il beato ed unico sovrano, il Re dei re, il Signore dei signori, cioè l’uno e solo vero Dio, la Trinità medesima.

Invisibilità del Figlio e di tutta la Trinità

6. 11. Tuttavia ciò che segue farà forse nascere difficoltà contro questa interpretazione. L’Apostolo infatti aggiunge: Colui che nessun uomo vide né può vedere 65. Ma anche queste parole vanno riferite a Cristo considerato nella sua divinità, che non fu visibile ai Giudei, sebbene essi abbiano visto e crocifisso la sua carne. La divinità infatti da nessun occhio umano può essere vista. La vede solo l’occhio che si possiede quando non si è più uomini ma superiori agli uomini. Giustamente dunque si riconosce il Dio Trinità nelle parole: Beato e solo potente che manifesta la venuta del Signore nostro Gesù Cristo nei tempi stabiliti. Dice infatti l’Apostolo: Il solo che possiede l’immortalità nello stesso senso in cui è stato scritto nei Salmi: Colui che solo opera meraviglie 66. Vorrei sapere a chi riferiscano i miei avversari questa affermazione. Se infatti si tratta solamente del Padre, in che modo può essere vero ciò che dice il Figlio: Qualunque cosa fa il Padre, la fa similmente anche il Figlio 67? Forse vi è tra le meraviglie cosa più prodigiosa che risuscitare e vivificare i morti? E lo stesso Figlio tuttavia dice: Come il Padre risuscita i morti e li vivifica, così anche il Figlio vivifica chi vuole 68. In che modo dunque il Padre solo opera meraviglie, se queste parole non permettono il riferimento a lui solo né al Figlio soltanto, ma all’unico solo vero Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo?

Il Figlio creatore di tutte le cose

6. 12. Così, quando il medesimo Apostolo dice: Per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale provengono tutte le cose e noi siamo in lui, e un solo Signore Gesù Cristo per mezzo del quale tutte le cose sono state create, e noi siamo per mezzo di lui 69, chi potrebbe dubitare che si riferisce a tutte le cose create nello stesso senso in cui Giovanni dice: Tutte le cose per mezzo di lui sono state fatte 70? Domando dunque di chi parli l’Apostolo in un altro passo: Poiché da lui, per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose: a lui la gloria nei secoli dei secoli 71. Se infatti egli vuol parlare del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo in modo che le singole parole si riferiscano alle singole Persone: cioè da lui, dal Padre, per mezzo di lui, per mezzo del Figlio, in lui, nello Spirito Santo, è chiaro che Padre, Figlio e Spirito Santo sono un Dio solo, giacché conclude al singolare: a lui gloria nei secoli dei secoli. E all’inizio di questo passo non dice: O abisso della ricchezza, della sapienza e della scienza, riferendosi al Padre o al Figlio o allo Spirito Santo, ma della sapienza e della scienza di Dio! E quanto imperscrutabili i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! Chi conobbe il pensiero del Signore? E chi è stato il suo consigliere? O chi gli ha dato per primo per aver diritto ad essere retribuito? Poiché da lui e per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose: a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen 72. Se pretendono di intendere questo testo come se parlasse unicamente del Padre, come mai allora secondo queste parole le cose sono state create dal Padre, mentre secondo l’Epistola ai Corinti furono create dal Figlio: Un solo Signore Gesù Cristo per mezzo del quale tutte le cose sono 73, e come dice Giovanni nel suo Vangelo: Tutte le cose per mezzo di lui furono fatte 74? Se infatti alcune cose sono state fatte per mezzo del Padre ed altre per mezzo del Figlio, non si può affermare che tutte sono state fatte per mezzo del Padre né tutte per mezzo del Figlio. Ma se tutte sono state fatte per mezzo del Padre e tutte per mezzo del Figlio, le stesse cose sono state fatte per mezzo del Padre e per mezzo del Figlio. Il Figlio è dunque uguale al Padre e l’operare del Padre è inseparabile da quello del Figlio: perché, se il Padre ha fatto perfino il Figlio dal quale non è stato fatto il Padre, non tutte le cose sono state fatte per mezzo del Figlio, ma è attestato invece che tutte le cose sono state fatte per mezzo del Figlio. Egli dunque non è stato fatto, ed ha fatto insieme al Padre tutte le cose che sono state fatte. In verità l’Apostolo non tacque queste parole decisive, poiché disse nel modo più aperto: Colui che, sussistendo in natura di Dio, non considerò rapina la sua uguaglianza con Dio 75. E qui con il termine Dio designa propriamente il Padre, nel senso in cui altrove dice: Il Capo di Cristo è Dio 76.

Anche lo Spirito Santo è vero Dio, perfettamente uguale al Padre e al Figlio

6. 13. Anche per quanto riguarda lo Spirito Santo si raccolsero testimonianze - e quelli che ci precedettero nella trattazione di questi argomenti se ne sono largamente serviti - secondo le quali lo Spirito Santo è Dio, non una creatura. E se non è una creatura, non soltanto è Dio (anche gli uomini furono detti dèi 77) ma anche vero Dio. Pertanto perfettamente uguale al Padre e al Figlio e consustanziale e coeterno ad essi nell’unità della Trinità 78. Che lo Spirito Santo non sia una creatura risulta chiaramente soprattutto da quel passo importantissimo in cui ci viene comandato di servire non alla creatura ma al Creatore 79. Non si tratta di un servizio come quello che la carità ci impone gli uni verso gli altri 80 - in greco - ma di quello che è dovuto al solo Dio e che in greco si esprime con , vocabolo da cui deriva il nome idolatra, attribuito a chi presta agli idoli il culto dovuto a Dio. A questo culto si riferisce il comandamento: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai 81. Il testo greco è più espressivo ed usa . Ora, se ci è proibito di rendere alla creatura questa specie di culto per il comandamento: Adorerai il Signore Dio tuo e lui solo servirai - di qui l’esecrazione dell’Apostolo per coloro che adorano e servono la creatura invece del Creatore - non può essere assolutamente creatura lo Spirito Santo al quale tutti i cristiani prestano tale tipo di servizio, come attesta l’Apostolo: I circoncisi siamo noi che serviamo lo Spirito di Dio 82, dove il testo greco usa . Anche molti codici latini hanno: Noi che serviamo lo Spirito di Dio; quelli greci tutti o quasi. Però in alcuni esemplari latini non si trova: Serviamo lo Spirito di Dio, ma: Serviamo Dio con lo spirito. Ma coloro che qui cadono in errore e si rifiutano nei riguardi di questo testo di dar credito ad una lezione più autorevole trovano forse variato nei codici anche questo passo: Non sapete che i vostri corpi sono il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che voi ricevete da Dio 83? Ora che cosa di più insensato e sacrilego che qualcuno osi dire che le membra di Cristo sono il tempio di una creatura che secondo i nostri avversari è inferiore a Cristo? Infatti in un altro passo l’Apostolo afferma: I vostri corpi sono le membra di Cristo 84. Se dunque quelle che sono le membra di Cristo sono il tempio dello Spirito Santo, lo Spirito Santo non è una creatura, perché colui al quale offriamo quale tempio il nostro corpo deve ricevere necessariamente quell’adorazione che si deve solo a Dio, e che è precisata dalla lingua greca con il vocabolo . Per questo motivo l’apostolo Paolo conclude: Glorificate dunque Dio nel vostro corpo 85.

Il Figlio come uomo inferiore al Padre ed anche a se stesso

7. 14. Queste testimonianze ed altre di tale natura hanno permesso ai nostri predecessori che, come ho detto, ne hanno fatto largo uso, di sgominare le imposture e gli errori degli eretici; esse rivelano alla nostra fede l’unità e l’uguaglianza della Trinità. Ma nelle Sacre Scritture vi sono molti passi a motivo dell’incarnazione del Verbo di Dio - incarnazione avvenuta per la nostra salvezza cosicché il mediatore tra Dio e gli uomini fosse l’uomo Gesù Cristo 86 - passi che fanno pensare o anche esplicitamente affermano che il Padre è superiore al Figlio. Per questo alcuni troppo poco attenti nello scrutare il senso e nell’afferrare l’insieme delle Scritture hanno tentato di riferire ciò che fu detto di Gesù Cristo in quanto uomo alla sua natura che era eterna prima dell’incarnazione e che è sempre eterna. Su questa base essi pretendono che il Figlio sia inferiore al Padre, poiché il Signore stesso ha detto: Il Padre è più grande di me 87. Ma la verità mostra che in questo senso il Figlio è inferiore anche a se stesso. Come infatti non sarebbe divenuto tale colui che si esinanì assumendo la natura di servo 88? Infatti non assunse la natura di servo così da perdere quella di Dio nella quale era uguale al Padre. Pertanto, se la natura di servo fu assunta in modo tale che egli non perdette la sua natura divina - poiché come servo e come Dio egli è lo stesso e unico Figlio di Dio Padre, uguale al Padre 89 nella sua natura divina, e mediatore di Dio e degli uomini nella sua natura di servo, l’uomo Gesù Cristo 90 - è chiaro che considerato nella sua natura divina anche lui è superiore a se stesso, mentre è a se stesso inferiore se considerato nella natura di servo. La Scrittura molto giustamente dunque si esprime in duplice modo, affermando che il Figlio è uguale al Padre e che il Padre è superiore al Figlio. Nel primo caso riconosce una conseguenza della sua natura divina, nel secondo una conseguenza della sua natura di servo, fuori d’ogni confusione. Un capitolo di una Epistola dell’apostolo Paolo fornisce questa regola da seguire per risolvere il problema in questione attraverso tutto il complesso delle Sante Scritture. In quel capitolo si raccomanda molto chiaramente la distinzione accennata: Colui che sussistendo in natura di Dio, non considerò rapina la sua uguaglianza con Dio, ma si esinanì prendendo la natura di servo, divenuto simile agli uomini, ritrovato in stato d’uomo. Per natura dunque il Figlio di Dio è uguale al Padre, per stato inferiore a lui. Nella natura di servo, che ha assunto, è inferiore al Padre, nella natura divina nella quale sussisteva, anche prima di assumere quella di servo, è uguale al Padre. Nella natura di Dio è il Verbo per mezzo del quale tutte le cose furono fatte 91, nella natura di servo fu formato da donna, formato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano soggetti alla Legge 92. Perciò nella natura di Dio ha fatto l’uomo, nella natura di servo si è fatto uomo. Se il Padre solamente e non anche il Figlio avesse fatto l’uomo, non sarebbe scritto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 93. Poiché dunque la natura di Dio ha assunto la natura di servo, Dio è l’uno e l’altro, come l’uomo è l’uno e l’altro. Ma Dio lo è, perché ha assunto l’uomo; l’uomo lo è perché è stato assunto da Dio. Infatti nell’incarnazione nessuna delle due nature si è mutata nell’altra: la divinità non fu certamente mutata nella creatura, cessando di essere divinità, né la creatura divenne divinità, cessando di essere creatura 94.

Il Figlio come uomo è sottomesso al Padre

8. 15. Le parole dello stesso Apostolo: Quando tutte le cose gli saranno state sottomesse, allora il Figlio stesso si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise 95, possono servire contro l’opinione secondo cui lo stato preso da Cristo nella natura umana si sarebbe poi convertito nella stessa divinità, o meglio deità, la quale non è creatura ma la stessa unità incorporea, immutabile e per natura consustanziale e coeterna con se stessa, della Trinità; oppure se qualcuno pretende che le parole: allora il Figlio di Dio si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise 96 possano intendersi, come alcuni hanno inteso, nel senso che questa sottomissione sarà la trasformazione e conversione della creatura nella stessa sostanza o essenza del Creatore, cioè che quella che era la sostanza della creatura diverrebbe la sostanza del Creatore, allora costui conceda almeno questo che è certissimo: tale trasformazione non era ancora avvenuta quando il Signore diceva: Il Padre è maggiore di me. Infatti egli disse queste parole non solo prima di ascendere al cielo ma anche prima della sua passione e risurrezione dai morti. Ora chi ammette che in Cristo la natura umana si muti e si trasformi nella sostanza della deità e chi sostiene che le parole: Allora il Figlio stesso si sottometterà a colui il quale ogni cosa gli sottomise 97 significhino: Allora lo stesso Figlio dell’uomo e la natura umana assunta dal Verbo di Dio si trasformerà nella natura di colui che tutto gli sottomise, suppone che ciò avverrà quando (dopo il giorno del giudizio) avrà consegnato il regno a Dio Padre 98. Ma anche a stare a questa interpretazione, resta ben fermo che il Padre è superiore alla natura di servo, che il Figlio ha ricevuto dalla Vergine 99. Anche se alcuni sostengono che l’uomo Gesù Cristo si è già mutato nella sostanza di Dio, costoro non possono certamente negare che la natura umana sussisteva ancora, prima della passione, quando diceva: Il Padre è più grande di me 100, per cui ci pare non ci sia più alcun motivo di esitazione circa il senso di quelle parole: il Padre è superiore alla natura di servo del Figlio, che è uguale al Padre nella natura divina. Leggendo queste parole dell’Apostolo: Quando dice che tutto è stato sottomesso, è chiaro che si deve eccettuare colui che tutto gli ha sottomesso 101, nessuno pensi di interpretarle nel senso che il Padre abbia sottomesso tutte le cose al Figlio, come se anche lo stesso Figlio non avesse sottomesso a sé tutte le cose. Lo spiega chiaramente l’Apostolo ai Filippesi: La nostra dimora è nei cieli, da dove aspettiamo, come Salvatore, il Signore Gesù Cristo che trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria, secondo l’operazione con cui può rendere a sé soggette tutte le cose 102. L’operare del padre e l’operare del Figlio sono inseparabili; altrimenti neppure il Padre ha sottomesso a sé tutte le cose. Gliele ha sottomesse il Figlio che ha consegnato a lui il regno e distrugge ogni principato, ogni potestà, ogni virtù 103. Proprio del Figlio fu detto: Quando consegnerà il regno a Dio Padre dopo aver distrutto ogni principato, ogni potestà, ogni virtù 104. Colui che sottomette è lo stesso che distrugge.

Il Figlio non consegnerà il regno al Padre, privandosene lui stesso

8. 16. Non cadremo nell’errore di credere che Cristo consegnerà il regno a Dio Padre per privarsene lui stesso, anche se alcuni sciocchi l’hanno creduto. La Scrittura che dice: Consegnerà il regno a Dio Padre, non indica una separazione del Figlio dal Padre, perché il Figlio è un solo Dio con il Padre. Ma a trarre in inganno chi è indifferente alle Scritture ma per contro è amico delle dispute, c’è l’espressione: fino a che. Infatti il testo continua così: È necessario che egli regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi 105, quasi che il suo regno dovesse aver fine quando ciò sarà accaduto. Questi non vedono che questa frase ha lo stesso senso di quest’altra: Il suo cuore è stabile e non temerà finché vedrà abbattuti i suoi nemici 106, dove non si vuol dire evidentemente che da quel momento egli dovrà incominciare a temere. Che significa dunque: Quando consegnerà il regno a Dio Padre? Che questi ancora non lo possiede? No, di certo. Significa invece che l’uomo Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, condurrà tutti i giusti, sui quali ora regna, per la loro vita nella fede, a quella contemplazione che lo stesso Apostolo chiama visione a faccia a faccia. Perciò l’espressione: Quando consegnerà il regno a Dio Padre, equivale a quest’altra: "Quando condurrà i credenti a contemplare Dio Padre". Come infatti dice il Signore: Ogni cosa mi fu consegnata dal Padre mio: nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo vorrà rivelare 107; allora il Figlio rivelerà il Padre, quando avrà abbattuto ogni principato, ogni potestà e virtù 108, quando cioè non sarà più necessario distribuire i simboli per mezzo degli ordini angelici, dei principati, delle potestà, delle virtù. È di essi che si può convenientemente intendere questo testo del Cantico dei cantici: Ti faremo ornamenti d’oro ageminati d’argento, fino a che il re è nel suo convito 109, cioè finché Cristo rimane nascosto perché la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi pure apparirete con lui nella gloria 110. Prima che ciò avvenga, noi vediamo per specchio, in enigma, cioè per mezzo di simboli, ma allora vedremo a faccia a faccia 111.

La contemplazione di Dio ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni

8. 17. Questa contemplazione ci è promessa come fine di tutte le nostre azioni e pienezza eterna del nostro gaudio. Infatti siamo figli di Dio ed ancora non è stato mostrato ciò che saremo. Ma sappiamo che quando ciò sarà manifesto, saremo simili a lui, perché lo vedremo come è veramente 112. Ciò che ha dichiarato al suo servo Mosè: Io sono colui che sono; e annuncerai questo ai figli d’Israele: Colui che è mi ha mandato a Voi 113, questo contempleremo quando vivremo eternamente. Similmente disse il Signore: La vita eterna è questa, che conoscano te unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo 114. Questo avverrà quando il Signore sarà venuto e avrà illuminato ciò che si nasconde nelle tenebre 115, quando sarà dissipata l’oscurità di questo stato mortale e corruttibile 116. Sarà il nostro mattino, quello di cui parla il Salmista: Al mattino mi disporrò dinanzi a te e ti contemplerò 117. Le parole dell’Apostolo: Quando consegnerà il regno a Dio Padre si riferiscono, mi sembra, a questa contemplazione, cioè al momento in cui l’uomo Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, avrà condotto tutti i giusti, sui quali ora regna per la loro vita nella sua fede, alla contemplazione di Dio Padre 118. Se qui cado in errore mi corregga chi ha meglio compreso. A me non sembra che ci siano altre interpretazioni. Tuttavia non cercheremo altro quando saremo giunti alla contemplazione che non possiamo avere ora, finché la nostra gioia è tutta riposta nella speranza. Ma la speranza che si scorge non è speranza: come infatti ciò che uno scorge può anche sperarlo? Ma se speriamo in ciò che non vediamo è per mezzo della pazienza che noi l’aspettiamo 119, finché il re si trova nel suo convito 120. Si compirà allora quanto è scritto: Mi riempirai di gioia con la tua presenza 121. Dopo questa gioia non si cercherà più nulla, perché non vi sarà altro da cercare; il Padre si mostrerà a noi e questo ci basterà. È ciò che aveva ben capito Filippo quando diceva: Signore, mostraci il Padre e questo ci basterà 122. Ma non aveva ancora capito che avrebbe potuto dire allo stesso modo: "Signore, mostraci te stesso e questo ci basterà". E perché capisse questo il Signore gli rispose: Da tanto tempo sono con voi e non mi conoscete? Filippo, chi vede me, vede anche il Padre 123. Ma poiché voleva che egli vivesse di fede prima che la visione gli fosse possibile, aggiunse: Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre in me? 124.Infatti finché siamo presenti nel corpo, noi siamo lontani dal Signore, perché camminiamo per fede, non per visione 125. La contemplazione è certamente la ricompensa della fede, è il premio a cui i cuori si preparano purificandosi con la fede, come è scritto: Avendo purificato i loro cuori per mezzo della fede 126. Che i cuori si purifichino per quella contemplazione è testimoniato soprattutto da questo passo: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio 127. E poiché questa è la vita eterna, Dio dice nel Salmo: Lo sazierò di una lunga durata di giorni e gli mostrerò la mia salvezza 128. Pertanto allorché ascoltiamo: "Mostraci il Figlio", ascoltiamo: Mostraci il Padre 129. È la stessa cosa, perché nessuno dei due può essere mostrato senza l’altro. Sono appunto una sola cosa, così come ha detto anche il Signore: Io e il Padre siamo una sola cosa 130. Per questa inseparabilità può essere sufficiente attribuire talvolta alla sola presenza del Padre o del Figlio la pienezza della nostra felicità 131.

Lo Spirito Santo basta alla nostra beatitudine, perché inseparabile dal Padre e dal Figlio

8. 18. Da questa unità non può essere separato lo Spirito di ambedue, cioè lo Spirito del Padre e del Figlio. È questo lo Spirito Santo, che la Scrittura propriamente chiama: Spirito di verità che il mondo non può ricevere 132. Ora la nostra gioia perfetta della quale nulla c’è di più alto, è godere di Dio Trinità che ci ha fatto a sua immagine 133. Per questo talvolta si parla dello Spirito Santo come se bastasse lui solo alla nostra beatitudine, e davvero basta, in quanto non può essere separato dal Padre e dal Figlio, allo stesso modo in cui basta il Padre solo, perché indivisibile dal Figlio e dallo Spirito Santo, e basta il Figlio solo, perché non si può separare dal Padre e dallo Spirito Santo. Che senso hanno queste parole del Signore: Se mi amate, osservate i miei comandamenti ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un nuovo difensore perché sia con voi in eterno, lo Spirito di verità che questo mondo (cioè chi ama questo mondo) non può ricevere 134? L’uomo carnale infatti non comprende le cose dello Spirito di Dio 135. Ma ancora può sembrare che in base all’espressione: Ed io pregherò il Padre ed egli vi darà un nuovo difensore 136 il Figlio solo non basti per la nostra felicità. In un altro passo poi si dice dello stesso Spirito, come se solo bastasse pienamente: Quando verrà lo Spirito di verità, vi insegnerà tutta la verità 137. Ma forse si vuole con questo testo escludere il Figlio come se non insegnasse egli stesso tutta la verità, o come se lo Spirito Santo dovesse colmare le lacune dell’insegnamento del Figlio? I nostri avversari sostengano pure, allora, se così loro piace, che lo Spirito Santo è superiore al Figlio, mentre sono soliti considerarlo inferiore. Forse concedono che si debba credere che anche il Figlio insegna insieme con lo Spirito Santo, in quanto la Scrittura non dice: "Lo Spirito solamente", oppure: "Nessuno all’infuori di lui vi insegnerà la verità"? L’Apostolo ha dunque escluso il Figlio dalla conoscenza di queste cose di Dio quando disse: Così nessuno conosce le cose di Dio, eccetto lo Spirito di Dio 138, cosicché a questo punto questi insensati possano concludere affermando che il Figlio per quanto riguarda i segreti di Dio va a scuola dallo Spirito Santo come uno più piccolo da uno più grande. Il Figlio stesso spinge la sua deferenza verso lo Spirito Santo fino a dire: Perché vi ho detto queste cose la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: è meglio per voi che io me ne vada; se non me ne andrò il difensore non verrà a voi 139.

A volte quando si parla di una Persona divina si intendono implicitamente anche le altre

9. Ma il Signore ha detto questo non a motivo dell’ineguaglianza tra il Verbo di Dio e lo Spirito Santo, ma perché la presenza del Figlio dell’uomo tra i discepoli impediva, per così dire, la venuta di Colui che non gli era inferiore perché non si era esinanito prendendo la natura di servo 140, come ha fatto invece il Figlio. Era necessario dunque che fosse sottratta ai loro sguardi la natura di servo la cui vista faceva loro credere che Cristo non fosse nient’altro che quello che vedevano. Ecco perché Gesù dice: Se mi amate, vi rallegrerete con me che io vada al Padre, perché il Padre è più grande di me 141, che era quanto dire: bisogna che io vada al Padre perché fino a quando mi vedete in questa condizione e, basandovi su ciò che vedete, mi giudicate inferiore al Padre e pertanto, distolti dalla creatura che sono e dall’aspetto esterno da me assunto, non potete comprendere la mia uguaglianza con il Padre. È per questo che il Signore dice: Non mi toccare, ancora non sono salito al Padre mio 142. Infatti il tatto in un certo modo segna il limite della nostra conoscenza; pertanto il Signore non voleva che lo slancio del cuore verso di lui si fermasse a quello, così da ritenere vero solo ciò che si vedeva. Invece l’ascendere al Padre equivaleva per lui ad apparire uguale al Padre, così com’è, per divenire in cielo l’oggetto di quella visione che ci basta. A volte la Scrittura si esprime come se il Figlio solo bastasse e tutta la ricompensa del nostro amore e del nostro desiderio consistesse nella visione di lui. Così egli dice infatti: Chi accoglie ed osserva i miei comandamenti, questi mi ama. E chi ama me sarà amato dal Padre mio e io pure lo amerò e gli manifesterò me stesso 143. E forse, perché non ha detto: "Gli mostrerò anche il Padre", ha separato il Padre da sé? Ma poiché è vero che: Io e il Padre siamo una cosa sola 144, allorché si manifesta il Padre è manifestato anche il Figlio che è in lui, e quando si manifesta il Figlio è manifestato anche il Padre che è nel Figlio. Perciò, come quando dice: Gli manifesterò me stesso, intendiamo che manifesta anche il Padre, così quando è scritto altrove: Quando consegnerà il regno a Dio Padre 145, si intende che Cristo non si priva del regno perché quando condurrà i fedeli alla contemplazione di Dio Padre li condurrà certamente anche alla contemplazione di se stesso, egli che dice: Gli manifesterò me stesso. È per questo che alla domanda di Giuda: Come mai ti manifesti a noi e non al mondo? Gesù rispose: Se uno mi ama, osserverà le mie parole ed il Padre mio lo amerà ed a lui verremo e dimoreremo in lui 146. Ecco che non mostra solo se stesso a chi lo ama, perché viene a lui e vi prende dimora con il Padre.

Tutta la Trinità abita in noi

9. 19. Ma si penserà forse che lo Spirito Santo sia escluso dalla dimora del Padre e del Figlio in chi lo ama? In questo caso che significa ciò che il Signore ha detto più sopra a proposito dello Spirito Santo: Quello che il mondo non può ricevere perché non lo vede, ma voi lo conoscete perché abita in voi ed è in voi 147? Non è dunque estraneo a questa dimora colui del quale fu detto: Abita con voi ed è in voi, a meno di non toccare l’assurdo pensando che quando il Padre ed il Figlio vengono a dimorare presso chi li ama, lo Spirito Santo se ne vada e lasci il posto a coloro che sono più grandi di lui. Ma la stessa Scrittura previene questa concezione così grossolana, perché poco prima il Signore dice: Ed io pregherò il Padre e vi darà un altro difensore perché resti con voi in eterno 148. Lo Spirito Santo non se ne andrà dunque alla venuta del Padre e del Figlio, ma sarà insieme con loro nella stessa dimora in eterno, perché non venne senza di quelli né quelli senza di lui. Per indicare la Trinità si fanno attribuzioni nominativamente alle singole persone separatamente, ma tali attribuzioni non intendono escludere le altre persone, data l’unità della medesima Trinità e l’unicità della sostanza e della deità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

La contemplazione di Dio

10. 20. Gesù Cristo Signore nostro consegnerà dunque il regno a Dio Padre 149 e non sarà separato né lui né lo Spirito Santo, quando condurrà i credenti alla contemplazione di Dio, contemplazione che è il fine di tutte le nostre buone azioni, la pace eterna, la gioia che non ci sarà tolta. Questo ci vuole insegnare Cristo quando dice: Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà più togliere la vostra gioia 150. Un’immagine di questa gioia già offriva Maria quando sedeva ai piedi del Signore e intenta alla sua parola 151, cioè libera da ogni attività e tutta intenta alla verità nel modo che questa vita permette, ma tanto tuttavia da prefigurare quello che si avrà in futuro per l’eternità. Sua sorella Marta era tutta presa da un’azione necessaria al momento che, per quanto buona e utile, tuttavia è destinata a finire quando verrà l’ora del riposo; Maria invece riposava nella parola del Signore. Ecco perché il Signore così rispondeva a Marta che si lamentava con lui che la sorella non l’aiutasse: Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta 152. Non disse che ciò che faceva Marta era una parte cattiva ma che la parte migliore è quella che mai ci sarà tolta. La parte destinata al servizio del bisogno infatti sarà eliminata quando i bisogni cesseranno; l’opera buona che passa ha come ricompensa la pace che non passerà. In quella contemplazione perciò Dio sarà tutto in tutti 153, perché non vi sarà niente altro più da chiedergli, ma ci basterà partecipare della sua luce e di lui godere. È ciò che implora colui nel quale lo Spirito intercede con gemiti inenarrabili 154. Una sola cosa domandai al Signore e questa cercherò: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della vita per contemplare le delizie del Signore 155. E contempleremo Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, quando Gesù Cristo, mediatore di Dio e degli uomini, consegnerà il regno a Dio Padre 156. Allora non intercederà più per noi come nostro mediatore e sacerdote 157, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, ma a sua volta in quanto sacerdote per la natura di servo assunta per noi si sottometterà a colui che gli sottomise tutte le cose ed al quale tutto egli sottomise; come Dio gli saremo sottomessi come lo siamo al Padre; come sacerdote si sottometterà con noi al Padre 158. Perciò, essendo il Figlio insieme Dio e uomo, in lui la sostanza divina è diversa da quella umana e questa è nel Figlio diversa da lui più che non sia diverso nel Padre il Figlio dal Padre, come la carne che riveste la mia anima è una sostanza diversa dalla mia anima, sebbene si tratti di un unico uomo, più dell’anima di un altro uomo.

Quando avrà condotto i credenti alla contemplazione, il Figlio non intercederà più per noi

10. 21. Quando Cristo avrà consegnato il regno a Dio Padre, cioè quando avrà condotto coloro che credono e vivono di fede, e per i quali ora intercede come mediatore 159, a quella contemplazione che è oggetto dei nostri sospiri e dei nostri gemiti, e sarà passato il faticare e il gemere 160, egli non intercederà più per noi, essendo ormai il regno affidato nelle mani di Dio Padre. Questo voleva significare il Signore quando diceva: Vi ho parlato di queste cose in parabole ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in parabole ma vi parlerò del Padre apertamente 161, ossia non saranno più necessarie le similitudini quando ci sarà data la visione a faccia a faccia. È questo il senso dell’espressione: Vi parlerò del Padre apertamente, come a dire: "Apertamente vi mostrerò il Padre". E dice: Vi parlerò, perché egli è la Parola del Padre. Il Signore continua: In quel giorno chiederete in mio nome e non vi dico che pregherò il Padre, poiché il Padre stesso vi ama per il fatto che voi mi amate e avete creduto che io sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre per venire in questo mondo; ora lascio il mondo e ritorno al Padre 162. Che significa: sono uscito dal Padre se non questo: sono apparso inferiore a lui non nella natura per la quale sono uguale al Padre ma in un’altra maniera, cioè nella creatura assunta? Che significa l’espressione: sono venuto in questo mondo, se non questo: ho messo sotto lo sguardo, anche dei peccatori che amano questo mondo, la natura di servo che presi esinanendomi? E che vuol dire con le parole: ora lascio il mondo se non: tolgo agli sguardi di chi ama il mondo ciò che essi hanno visto? E le parole: ritorno al Padre, significano: insegno ai miei fedeli a considerarmi, come lo sono in realtà, uguale al Padre. Coloro che hanno questa fede saranno ritenuti degni di essere condotti dalla fede alla visione, cioè alla contemplazione ed è perché ci conduce ad essa che la Scrittura ha detto di lui: Consegnerà il regno a Dio Padre. Suo regno infatti sono i suoi fedeli che egli ha redento col suo sangue e per i quali attualmente intercede, mentre non pregherà più per loro il Padre quando li unirà a sé là dove egli è uguale al Padre. Il Padre stesso infatti - egli dice - vi ama. Perché in quanto inferiore al Padre prega il Padre, ma in quanto è uguale al Padre, insieme con lui ci esaudisce. Perciò non si separa da lui dicendo: Il Padre vi ama, ma con quella frase fa capire quello che ho già ricordato e sufficientemente spiegato, cioè che di solito ogni persona della Trinità è nominata in modo che siano sottintese anche le altre. Perciò è stato detto: Anche il Padre vi ama, affinché si pensi anche al Figlio e allo Spirito Santo; non che attualmente non ci ami, lui, che non risparmiò il proprio Figlio, anzi lo consegnò per noi tutti 163. Ma ci ama non per quello che siamo, bensì per quello che saremo, perché ci ama quali ci conserva in eterno. È quello che accadrà quando avrà consegnato il regno a Dio Padre colui che ora intercede per noi per non avere più da intercedere un giorno, poiché anche il Padre ci ama. Ma ciò a quale titolo, se non per la fede per la quale noi crediamo, prima di vederlo, quanto ci è promesso? Per questa fede, infatti, giungeremo alla visione. Allora egli amerà in noi quello che ora vuole in noi. Allora non avrà più da odiare in noi quello che ora siamo, quello che ci esorta e ci aiuta a non essere in eterno.

Le due nature in Cristo

11. 22. Perciò una volta trovata la regola per interpretare le Scritture quando ci parlano del Figlio di Dio, cioè tener sempre distinto ciò che in esse è detto di lui in riferimento alla natura di Dio nella quale egli è, ed è uguale al Padre, da ciò che è detto in riferimento alla natura di servo che prese e per la quale è inferiore al Padre, non avranno più da inquietarci le affermazioni delle Scritture come se fossero contraddittorie e opposte tra loro. Infatti il Figlio secondo la natura divina è, come lo Spirito Santo, uguale al Padre, poiché nessuno dei due è creatura, come abbiamo già mostrato, ma secondo la natura di servo è inferiore al Padre come egli stesso ha detto: Il Padre è più grande di me 164. È inferiore anche a se stesso, poiché di lui è detto: Esinanì se stesso 165; è inferiore allo Spirito Santo, perché egli stesso dice: Chiunque parlerà contro il Figlio sarà perdonato, ma non sarà perdonato chi avrà parlato contro lo Spirito Santo 166. È nello Spirito Santo che egli operò i suoi miracoli: Se io caccio i demoni nello Spirito di Dio, dunque il regno di Dio è giunto in mezzo a voi 167. E in un passo di Isaia di cui dette lettura lui stesso nella sinagoga e di cui non ebbe alcuna esitazione a mostrare il compimento nella sua persona, dice: Lo Spirito del Signore è sopra di me, poiché egli mi ha unto per annunciare la buona novella ai poveri, per predicare agli schiavi la liberazione 168, e tutte le altre cose al cui compimento dichiara di essere stato mandato, perché lo Spirito del Signore è sopra di lui 169. In quanto Dio tutte le cose per mezzo di lui furono fatte 170, in quanto servo egli stesso fu formato da donna, formato sotto la Legge; come Dio lui e il Padre sono tutt’uno 171, come servo non venne per compiere la propria volontà ma quella di colui che lo mandò 172. In quanto Dio, come il Padre ha la vita in se stesso, così diede anche al Figlio di avere la vita in se stesso 173; come servo dice: L’anima mia è triste fino alla morte e implora: Padre, se è possibile, si allontani da me questo calice 174. Come Dio egli è il vero Dio e la vita eterna 175, come servo divenne obbediente fino alla morte e alla morte di croce 176.

11. 23. In quanto egli è Dio, tutto ciò che ha il Padre gli appartiene 177 ed egli lo conferma: Ogni cosa tua è mia ed ogni cosa mia è tua 178. In quanto uomo la sua dottrina non è sua ma di Colui che lo ha mandato 179.

Il Figlio ignora il giorno del giudizio, perché non lo sapeva per farlo conoscere allora ai discepoli

12. Ecco un’altra affermazione di Cristo: Quanto poi a quel giorno e a quell’ora nessuno ne sa nulla, neppure gli Angeli in cielo né il Figlio, ma solo il Padre 180. Egli infatti ignora ciò che fa ignorare, cioè ignorava quanto non poteva in quel momento insegnare ai suoi discepoli, nel senso in cui fu detto ad Abramo: Ora so che tu temi Dio 181. Cioè: ora ho fatto in modo che tu sapessi, perché Abramo ha imparato a conoscersi da quella prova 182. Infatti anche il Signore avrebbe rivelato ai discepoli quel giorno e quell’ora al momento opportuno e parlando di questo momento futuro come se già fosse passato dice: Non vi chiamerò più servi ma amici. Il servo infatti ignora la volontà del suo padrone; ma io vi ho chiamati amici perché resi noto a voi tutto ciò che udii dal Padre mio 183. Egli non l’aveva ancora fatto, ma poiché l’avrebbe fatto di certo, parlò come se lo avesse già fatto. Dice infatti loro: Ho da dirvi molte cose ma per ora non siete capaci di sopportarle 184. E fra le altre cose si tratta anche del giorno e dell’ora 185. Anche l’Apostolo dichiara: Io non volli sapere altra cosa in mezzo a voi che Gesù Cristo e questi crocifisso 186. Parlava infatti a gente che non poteva capire la sublimità della divinità di Cristo e rivolgendosi agli stessi poco più avanti dice: Non potei parlare a voi come a uomini spirituali ma come a persone carnali 187. Così l’Apostolo ignorava tra di loro proprio ciò che essi non potevano apprendere per suo mezzo e dichiarava di conoscere ciò che essi avevano bisogno di imparare per mezzo di lui, ma poi sapeva tra i perfetti ciò che ignorava tra i semplici perché disse: Predichiamo la sapienza tra i perfetti 188. Infatti noi diciamo che si ignora ciò che si nasconde con lo stesso genere di espressione con cui diciamo cieca una fossa che è nascosta 189. Così la Scrittura non si esprime in modo diverso da quello che è proprio alla consuetudine umana, perché è proprio agli uomini che si rivolge 190.

Alcune affermazioni della Scrittura su Cristo riguardano la sua natura divina, altre la sua natura umana

12. 24. Di Cristo in quanto Dio è detto: Mi ha generato prima delle colline 191, cioè prima delle creature più alte, e: Ti ho generato prima della stella del mattino 192, cioè prima di tutti i tempi e delle cose temporali. Invece di lui in quanto servo è detto: Il Signore mi ha creato al principio delle sue vie 193; perché come Dio egli disse: Io sono la verità, e come servo: Io sono la via 194. Intanto evidentemente egli fu creato in principio delle vie di Dio in vista delle sue opere, in quanto, primogenito fra i morti 195, aprì la strada verso il regno di Dio, verso la vita eterna, alla sua Chiesa, di cui è il capo, per l’immortalità anche del corpo. Infatti come Dio è il principio che ci parla 196, quel principio in cui Dio fece cielo e terra 197; in quanto servo è lo sposo che esce dal suo talamo 198. In quanto Dio è primogenito di tutte le creature, colui che è prima di tutti gli esseri e nel quale tutte le cose sussistono; nella sua natura umana è lui il capo del corpo della Chiesa 199. Come Dio è il Signore della gloria, perciò è lui evidentemente che glorifica i suoi santi; infatti: Quelli che ha predestinati li ha pure chiamati e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati 200; di lui è stato detto che giustifica l’empio 201, di lui che è giusto e fonte di giustizia 202. Se dunque i giustificati e i glorificati sono gli stessi, lo stesso è pure il giustificatore e il glorificatore, e costui è, come ho detto, il Signore della gloria. Ma, come servo, ai discepoli che si preoccupavano della loro glorificazione rispose: Sedere alla mia destra o alla sinistra non sta a me concederlo, ma è per quelli per i quali è stato preparato dal Padre mio 203.

Il Figlio prepara la gloria agli eletti

12. 25. Ma ciò che è stato preparato dal Padre è stato preparato anche dal Figlio, perché Padre e Figlio sono tutt’uno 204. Abbiamo già dimostrato infatti con molti esempi tratti dalla Sacra Scrittura che in questa Trinità alle singole persone si attribuisce ciò che appartiene a tutte, per l’operare inseparabile della loro unica e identica sostanza 205. Così quando il Signore parla dello Spirito Santo dice: Quando me ne andrò lo manderò a voi 206; non dice: "manderemo", ma come se fosse il Figlio in procinto di mandare e non anche il Padre; mentre altrove afferma: Vi ho detto queste cose mentre sono con voi, ma quel difensore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà in mio nome, vi chiarirà tutto 207. Qui sembra dire che lo Spirito Santo deve essere mandato solo dal Padre e non anche dal Figlio. È dunque nello stesso senso che parla di coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio 208. Egli vuole farci intendere che lui stesso insieme al Padre prepara i troni della gloria ai suoi eletti. Ma qualcuno obietterà: "Dove egli parla dello Spirito Santo dice che lui stesso lo manderà senza negare che lo manderà anche il Padre e nell’altro passo dice che il Padre lo manderà senza negare che lui stesso lo manderà, ma qui apertamente dichiara: Non sta a me concederlo, aggiungendo che il Padre ha preparato questo". Ma noi abbiamo precisato che questa espressione si riferisce alla sua natura di servo e che: Non sta a me concederlo, si deve intendere come se fosse: "Non è in potere dell’uomo concedere questo"; e occorre concludere che questo potere di concederlo gli appartiene in quanto è Dio e uguale al Padre. Non sta a me concederlo, cioè non per umano potere concedo questo; ma a coloro ai quali è preparato dal Padre mio: si deve subito capire che se ogni cosa che è del Padre è anche mia 209, questo pure appartiene anche a me, ed è con il Padre che l’ho preparato.

In che senso il Figlio non giudicherà e nello stesso tempo giudicherà

12. 26. Mi chiedo anche in che senso è detto: Se qualcuno non ascolta la mia parola, io non lo giudicherò 210. Forse non lo giudicherò è detto nello stesso senso di: Non sta a me concederlo. Ma che significa ciò che segue: Non venni infatti per giudicare il mondo, ma per salvarlo; e poi aggiunge: Chi disprezza me e non accoglie la mia parola ha chi lo giudica 211? A questo punto noi penseremmo subito al Padre, se non trovassimo subito dopo: La parola che io ho annunciato, questa lo giudicherà nell’ultimo giorno 212. Come? Non giudicherà dunque il Figlio perché ha detto: Io non lo giudicherò, non il Padre ma la Parola detta dal Figlio? Ma ascolta quello che dice ancora: Giacché non ho parlato di mia iniziativa ma il Padre che mi ha mandato mi ha prescritto quello che debbo dire e quello che debbo insegnare e so che il suo comando è vita eterna. Le cose che dico le dico tali e quali il Padre le ha dette a me 213. Pertanto se non è il Figlio a giudicare ma la parola detta dal Figlio, questa parola detta dal Figlio non giudica se non in quanto il Figlio non ha parlato da sé ma per comando del Padre che lo ha mandato e gli ha prescritto quello che doveva dire e annunciare; è dunque il Padre che giudica perché sua è la parola detta dal Figlio e perché Parola del Padre è lo stesso Figlio. Il comando del Padre infatti non è altro che la Parola del Padre, perché il Signore lo ha chiamato indifferentemente parola e comando. Io non ho parlato da me stesso. Vediamo se dicendo tale espressione il Signore non abbia voluto che noi si intenda: Non sono nato da me. Infatti se il Signore annuncia la parola del Padre, poiché egli è la Parola del Padre, egli annuncia se stesso. Spesso infatti dice: Il Padre mi ha dato 214. Intende che il Padre lo ha generato, non che esistesse già e il Padre gli abbia dato qualcosa che non aveva, gli ha dato di avere, in quanto lo ha generato all’esistenza; infatti non avviene anche nel Figlio di Dio ciò che avviene nelle creature: prima dell’incarnazione nell’Unigenito, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 215, l’essere e l’avere non si distinguono; egli è al contrario quello che è ciò che ha. Questo è detto più chiaramente, se si è in grado di capirlo bene, nel testo seguente: Come il Padre ha la vita in se stesso, così dette al Figlio di avere la vita in se stesso 216. Il Padre non lo ha messo in possesso della vita come se prima esistesse senza vivere, perché egli è la vita in forza della sua stessa esistenza. L’espressione: dette al Figlio di avere la vita significa dunque: il Padre generò il Figlio a essere la vita immutabile, la vita eterna. Se dunque la Parola di Dio è lo stesso Figlio di Dio e il Figlio di Dio è il vero Dio e la vita eterna, come dice Giovanni nella sua Lettera 217, perché dare un altro senso alle parole del Signore: La parola che ho pronunciato, essa lo giudicherà nell’ultimo giorno 218, dal momento che egli stesso dichiara che questa stessa parola è nello stesso tempo Parola del Padre e comando del Padre e lo stesso comando è la vita eterna? So - egli dice - che il tuo comando è la vita eterna 219.

Senso delle parole: La mia dottrina non è mia

12. 27. A questo punto indaghiamo il significato della frase: Io non giudicherò, ma la parola che vi ho detto giudicherà 220. Dal seguito del testo appare evidente che è detto in questo senso: "Non giudicherò io, ma giudicherà la Parola del Padre". Ora la Parola del Padre è lo stesso Figlio di Dio. Bisognerà dunque intendere: non giudicherò io, ma io giudicherò? Questo può essere vero solo in questo senso: "Io non giudicherò in base al potere umano, in quanto cioè sono Figlio dell’uomo, ma giudicherò con l’autorità del Verbo, perché sono Figlio di Dio". Se si trova che le affermazioni: "Io non giudicherò, ma io giudicherò", si contraddicono e si respingono, che diremo di questa: La mia dottrina non è mia? Come mai mia e non mia? Infatti non disse: "Questa dottrina non è mia", ma proprio: La mia dottrina non è mia 221; dice cioè "sua" la medesima dottrina che dichiara "non sua". In quale modo ciò sarà vero se non in quanto egli disse "sua" da un punto di vista e "non sua" da un altro punto di vista? Sua in quanto Dio, non sua in quanto uomo? Quando dice: Non è mia ma di Colui che mi ha mandato 222, ci fa risalire al Verbo. La dottrina del Padre infatti è il Verbo del Padre e dunque è il Figlio unigenito. E che significa ancora questo: Chi crede in me, non crede in me 223? Come "in lui", come "non in lui"? Come comprendere un’espressione così contraddittoria e così paradossale: Colui che crede in me, non crede in me ma in Colui che mi ha mandato se non intendendo così: Colui che crede in me non crede in ciò che vede, affinché la nostra speranza non sia riposta nella creatura ma in chi assunse la creatura per mostrarsi agli occhi degli uomini e così purificare i cuori di coloro che credono alla sua uguaglianza al Padre per contemplarlo? Perciò quando per volgere l’intenzione dei credenti verso il Padre dice: Egli non crede in me ma in Colui che mi ha mandato, non intese che lo si separasse dal Padre, cioè da colui che lo ha mandato, ma piuttosto che si credesse in lui allo stesso modo in cui si crede al Padre al quale egli è uguale. Altrove dice questo apertamente: Credete in Dio e credete in me 224, cioè come credete in Dio così credete anche in me, perché io e il Padre siamo un Dio solo 225. Come dunque in questo passo distoglie in qualche modo da sé la fede degli uomini per volgerla al Padre, dicendo: Non credete in me ma in Colui che mi ha mandato 226, senza tuttavia separare assolutamente sé dal Padre, così anche dove dice: Non sta a me concederlo ma è per quelli per i quali è stato preparato dal Padre mio 227 è chiaro, mi sembra, in che senso debbano essere accolte entrambe le affermazioni. Così anche quando dice: Io non giudicherò 228, mentre egli stesso verrà a giudicare i vivi e i morti 229.

Ma perché ciò non sarà per l’autorità umana, perciò facendo appello alla deità eleva i cuori degli uomini per sollevare i quali è disceso.

È esatto dire: Dio crocifisso

13. 28. Tuttavia se un solo e medesimo soggetto non fosse insieme Figlio dell’uomo per la sua natura di servo da lui assunta e Figlio di Dio per la natura divina che gli è propria, l’apostolo Paolo non direbbe dei prìncipi di questo mondo: Se l’avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 230. Fu crocifisso infatti nella natura di servo e tuttavia fu crocifisso il Signore della gloria. Quell’assunzione infatti fu tale che Dio divenne uomo e l’uomo Dio 231. Con l’aiuto di Dio poi il lettore prudente, attento e pio potrà discernere il perché e il come di quanto viene detto. Infatti noi abbiamo affermato, per esempio, che come Dio glorifica i suoi perché è Signore della gloria, e tuttavia il Signore della gloria fu crocifisso; infatti è esatto parlare anche di Dio crocifisso, non per la sua divina potenza, ma per la debolezza della carne 232. Come diciamo che egli giudica in quanto Dio, cioè in forza del potere divino, non in forza dell’autorità umana, tuttavia è l’uomo stesso che giudicherà come fu crocifisso il Signore della gloria. Così egli infatti dice con tutta chiarezza: Quando verrà il Figlio dell’uomo nella sua gloria e tutti gli Angeli con lui, allora saranno radunate davanti a lui tutte le genti 233, e tutto ciò che in quel passo è annunciato circa il giudizio futuro sino all’ultima sentenza. Anche i Giudei, che in quel giudizio debbono venir puniti, perché si ostineranno nella malizia, come è scritto altrove: Guarderanno a colui che hanno trafitto 234. Poiché tanto i buoni che i cattivi dovranno vedere il giudice dei vivi e dei morti 235, i cattivi non lo potranno certamente vedere se non nella natura per la quale è Figlio dell’uomo, tuttavia nello splendore in cui giudicherà, non nell’umiliazione in cui fu giudicato. Del resto senza dubbio gli empi non vedranno la natura divina per la quale è uguale al Padre; infatti non sono puri di cuore ed è scritto: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio 236. E questa visione è a faccia a faccia 237; promessa come sommo premio ai giusti, essa sarà data quando il Signore consegnerà il regno a Dio Padre; in questo egli vuole che si intenda anche la visione della sua natura, una volta sottomessa a Dio ogni creatura, compresa quella stessa nella quale il Figlio di Dio è divenuto uomo. Poiché secondo questa umanità anche il Figlio sarà allora sottomesso a colui che gli sottomise tutte le cose affinché Dio sia tutto in tutti 238. D’altra parte se il Figlio di Dio giudice, quando starà per giudicare apparisse anche ai malvagi nella natura in cui è uguale al Padre, quale sarebbe il vantaggio che egli promette a chi lo ama quando dice: Io dunque lo amerò e mostrerò me stesso a lui 239? Perciò il Figlio di Dio giudicherà, ma non in forza dell’autorità umana, bensì in forza di quel potere che lo fa Figlio di Dio. D’altra parte il Figlio di Dio giudicherà senza apparire in quella natura nella quale, come Dio, è uguale al Padre, ma mostrandosi in quella per cui è Figlio dell’uomo 240.

In che senso il Figlio dell’uomo giudicherà e non giudicherà

13. 29. Abbiamo visto così che si può affermare l’una e l’altra cosa: sia che il Figlio dell’uomo giudicherà sia che non giudicherà; infatti il Figlio dell’uomo giudicherà, affinché si adempia l’affermazione: Quando verrà il Figlio dell’uomo, allora saranno radunate tutte le genti al suo cospetto 241, e non giudicherà affinché si compiano le altre: Io non giudicherò 242; e: Io non cerco la mia gloria, vi è colui che la cerca e che giudica 243. Anzi se consideriamo che nel giudizio apparirà non la natura divina ma la natura del Figlio dell’uomo, neppure il Padre giudicherà; in questo senso è stato detto: Il Padre non giudica nessuno ma ha affidato ogni giudizio al Figlio 244. C’è da decidere se questo si debba intendere nel senso dell’affermazione già esaminata: Così dette al Figlio di avere la vita in se stesso 245, per far intendere che così egli generò il Figlio, oppure secondo quest’altra in cui l’Apostolo dice: Ecco perché Dio lo esaltò e gli dette un nome che è sopra ogni altro nome 246. E qui si riferiva al Figlio dell’uomo, perché come tale il Figlio di Dio fu risuscitato dai morti. Egli è uguale al Padre nella natura divina, rispetto al quale si è esinanito assumendo la natura di servo; in questa stessa natura di servo opera e patisce e riceve ciò che l’Apostolo, continuando, afferma: Egli si umiliò, fatto obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce; per questo anche Dio lo esaltò e gli diede il nome che è sopra ogni altro nome, cosicché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature celesti, terrestri e sotterranee e ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre 247. Appare dunque ben chiaro da questo se il Signore ha detto: Ha affidato al Figlio ogni giudizio, secondo il senso di quella prima o di quest’ultima espressione. Se l’avesse detto nello stesso senso in cui ha detto: Dette al Figlio di avere in se stesso la vita, non direbbe: Il Padre non giudica alcuno. È secondo la natura divina nella quale il Padre ha generato il Figlio uguale a sé che il Padre giudica insieme al Figlio. Si dice dunque che il Padre non giudica per dire che nel giudizio non apparirà la natura di Dio ma la natura del Figlio dell’uomo. Non che colui che ha affidato ogni giudizio al Figlio non abbia a giudicare, dal momento che il Figlio dice di lui: Vi è colui che cerca la mia gloria e che giudicherà. Ma il Signore ha detto: Il Padre non giudica alcuno ma ha affidato ogni giudizio al Figlio, come se avesse detto: "Nessuno vedrà il Padre nel giudizio dei vivi e dei morti, ma tutti vedranno il Figlio", perché egli è anche Figlio dell’uomo, affinché appunto anche i malvagi lo possano vedere, allorché vedranno colui che hanno trafitto.

Nel giorno del giudizio solo i buoni vedranno Cristo nella sua divinità, i cattivi solo nella sua umanità

13. 30. Affinché non sembri che noi più che dimostrare in maniera evidente facciamo delle congetture, riportiamo la chiara e aperta dichiarazione del Signore nella quale appare che il motivo per cui disse le parole: Il Padre non giudica alcuno ma ha affidato ogni giudizio al Figlio sta nel fatto che il giudice apparirà con la natura umana di Figlio dell’uomo che non è la natura del Padre, ma del Figlio e non del Figlio in quanto uguale al Padre, ma in quanto inferiore al Padre, cosicché nel giudizio stesso possa essere visibile ai giusti e ai malvagi. Dunque poco più avanti il Signore dice: In verità, in verità vi dico che chi ascolta la mia parola e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non sarà chiamato a giudizio ma passerà dalla morte alla vita 248. Questa vita eterna è quella visione che non spetta ai malvagi. E prosegue: In verità, in verità vi dico che verrà l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che lo avranno ascoltato vivranno 249. Ciò è proprio dei giusti che, sentendo parlare dell’incarnazione di lui, credono che egli è il Figlio di Dio, ossia ammettono che egli per loro è divenuto inferiore al Padre nella natura di servo, ma credono che è uguale al Padre nella natura divina. Perciò prosegue sottolineando la stessa verità: Come il Padre infatti ha la vita in se stesso, così diede al Figlio di avere la vita in se stesso 250; poi giunge a parlare della visione della sua gloria nella quale verrà a giudicare, visione che sarà comune ai malvagi e ai giusti. Dice infatti continuando: E gli diede il potere di giudicare perché è il Figlio dell’uomo 251. Credo che nulla vi sia di più chiaro. Infatti poiché è Figlio di Dio ed è uguale al Padre non riceve questo potere di giudicare, ma lo possiede con il Padre indivisibilmente. Lo riceve invece come Figlio dell’uomo affinché buoni e cattivi lo vedano in funzione di giudice. Infatti la visione del Figlio dell’uomo sarà offerta anche ai cattivi, mentre la visione della natura divina sarà data soltanto ai puri di cuore, perché sono essi che vedranno Dio, ossia ai buoni solamente, al cui amore ha promesso di manifestarsi. Perciò si osservi quello che segue: Non vi meravigliate 252. Di che cosa ci proibisce di meravigliarci se non di ciò che suscita meraviglia in chiunque non comprende che il Signore ha detto che il Padre gli ha dato potere di giudicare perché egli è Figlio dell’uomo, mentre ci si sarebbe aspettato che dicesse piuttosto: Poiché è il Figlio di Dio? Ma i cattivi non possono vedere il Figlio di Dio in quanto nella natura divina è uguale al Padre e tuttavia è necessario che in qualità di giudice dei vivi e dei morti lo vedano sia i buoni che i cattivi, quando saranno giudicati al suo cospetto. Per questo egli dice: Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti quelli che giacciono nelle tombe udranno la sua voce e ne usciranno quelli che hanno fatto il bene nella risurrezione di vita, quelli che hanno fatto il male per udire la condanna 253. Occorreva dunque che egli ricevesse quel potere in quanto Figlio dell’uomo affinché i risorti lo vedessero nella natura in cui è visibile a tutti, ma gli uni per la dannazione, gli altri per la vita eterna 254. Che è infatti la vita eterna, se non quella visione che non è concessa ai cattivi? Egli disse: Affinché conoscano te come il solo vero Dio e colui che tu hai mandato 255. E come conosceranno lo stesso Gesù Cristo se non nel medesimo modo dell’unico vero Dio? Egli si mostrerà a loro, ma non nel modo in cui si mostrerà con la sua natura di Figlio dell’uomo a coloro che riceveranno la condanna.

Solo Dio è buono

13. 31. Nella visione in cui si mostrerà ai puri di cuore Dio è pieno di bontà, perché: Quanto è buono il Dio d’Israele verso i retti di cuore 256! Ma quando i cattivi lo vedranno come loro giudice non sembrerà loro buono, poiché non godranno di lui in fondo al loro cuore ma gemeranno su di sé tutte le genti della terra 257. Cioè tutti i cattivi e i non credenti. Per questo anche a chi lo aveva chiamato "Buon Maestro", chiedendogli consiglio per conseguire la vita eterna, Gesù rispose: Perché mi interroghi riguardo a ciò che è buono? Nessuno è buono se non Dio solo 258. E tuttavia in un altro passo il Signore dice buono anche l’uomo: L’uomo buono estrae dal tesoro buono del suo cuore cose buone, il cattivo estrae dal cattivo tesoro del suo cuore cose cattive 259. Ma quello gli chiedeva della vita eterna e la vita eterna consiste in quella contemplazione nella quale Dio è visto non a nostra condanna, ma per la nostra eterna felicità; e non capiva l’interlocutore con chi stava parlando, poiché lo riteneva solo un Figlio dell’uomo. Perché mi interroghi riguardo a ciò che è buono, gli disse; cioè: "Perché interroghi questa natura che vedi riguardo a ciò che è buono? Perché da quel che vedi mi chiami Buon Maestro? Questa natura è quella del Figlio dell’uomo, quella creatura che è stata assunta, quella che apparirà nel giudizio non solo ai buoni ma anche ai cattivi e la cui visione non si volgerà in bene per quelli che compiono il male. Ma vi è una visione della natura a me propria, quella in cui non ritenni rapina la mia uguaglianza con Dio, ma mi sono esinanito per assumere questa. È dunque lui questo unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che non apparirà che per il gaudio che non sarà mai tolto ai giusti; a questo gaudio futuro aspira colui che gemendo dice: Una sola cosa domandai al Signore e questa cercherò: di abitare nella sua casa tutti i giorni della mia vita per contemplare le delizie del Signore 260. È l’unico Dio dunque che solo è buono perché nessuno lo vede per affliggersi e lamentarsi, ma solo per la propria salvezza e felicità vera. Se tu dunque mi consideri dal punto di vista di quella natura, io sono buono; ma se mi consideri dal punto di vista di questa che vedi, perché mi interroghi riguardo a ciò che è buono se tu sarai di quelli che vedranno colui che hanno trafitto 261? Questa visione sarà a loro infelicità perché sarà di castigo". I testi che ho citato sembrano provare che in questo senso il Signore ha detto: Perché mi interroghi riguardo a ciò che è buono? Nessuno è buono se non Dio solo 262. Infatti quella visione di Dio nella quale contempleremo la sostanza immutabile che occhi umani non possono vedere, visione che è promessa solo ai santi e che Paolo chiama a faccia a faccia 263, di cui l’apostolo Giovanni afferma: Saremo simili a Dio, perché lo vedremo come egli è 264, della quale ancora è detto: Una sola cosa domandai al Signore, che io possa contemplare le sue delizie 265, e di cui il Signore stesso afferma: Io lo amerò e mostrerò me stesso a lui 266, questa sola visione per la quale si purificheranno i nostri cuori con la fede perché possiamo essere: Beati dal cuore puro perché vedranno Dio 267, la visione circa la quale altri testi sparsi in grandissima quantità nella Scrittura può trovare chi per cercarla tende gli occhi dell’amore: essa sola è il nostro sommo bene per il cui raggiungimento ci è comandato di fare quanto facciamo di bene. Ma la visione, già preannunciata del Figlio dell’uomo, quando tutte le genti saranno radunate al suo cospetto e gli chiederanno: Signore, quando ti abbiamo visto affamato e assetato? 268, e quel che segue, non sarà di gaudio per i cattivi che saranno gettati nel fuoco eterno 269 né di sommo bene per i buoni perché egli li invita inoltre al regno che è stato preparato loro fin dall’inizio del mondo 270. Se a quelli comanderà: Andate nel fuoco eterno, dirà a questi: Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi. Come quelli andranno nel fuoco eterno, così i giusti entreranno nella vita eterna 271. Ma che cos’è la vita eterna? Che conoscano te - egli dice - come l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo 272 e lo conoscano beninteso in quella magnificenza della quale egli dice al Padre: Quella che io avevo presso di te prima che il mondo fosse 273. Allora consegnerà il regno a Dio Padre, perché il servo buono e fedele entri nella gioia del suo Signore 274, e per nascondere coloro che Dio possiede nel segreto del suo volto, lontani dal turbamento degli uomini 275, di quelli cioè che nell’udire quella sentenza saranno agitati. Il giusto non temerà nell’udire quella condanna 276, se fin d’ora nel tabernacolo, cioè nella fede della Chiesa cattolica, trova protezione di fronte agli attacchi delle malelingue, ossia di fronte ai calunniosi errori degli eretici. Ma se è possibile un’altra interpretazione delle parole del Signore: Perché mi interroghi riguardo a ciò che è buono? Nessuno è buono se non Dio solo 277, purché non sì ritenga che la sostanza del Padre è migliore di quella del Figlio per la quale egli è il Verbo per mezzo del quale tutte le cose furono fatte 278, e purché non ci si allontani in nulla dalla retta dottrina, noi l’accetteremo serenamente e non solo quella, ma ogni altra che si potrà trovare. Perché avremo ragione degli eretici tanto più saldamente quanto più numerose si aprono le vie d’uscita per sfuggire ai loro inganni. In quanto agli altri argomenti che ancora dobbiamo prendere in considerazione, li affronteremo in un’altra parte della nostra ricerca.

 

LIBRO SECONDO

Proemio

Due cose difficilmente sopportabili nell’errore umano

1. 1. Quando gli uomini cercano Dio e tendono lo spirito per attingere la Trinità, per quanto lo permette la debolezza umana, dopo aver fatto esperienza delle difficoltà estenuanti che si trova di fronte lo sguardo dello spirito che si sforza di contemplare una luce inaccessibile 1, e di quelle che scaturiscono dal linguaggio complicato e vario della Scrittura (di fronte a ciò, ritengo, l’uomo della stirpe di Adamo non può che sentirsi oppresso perché risplenda nella sua gloria la grazia di Cristo) una volta che, dissipate tutte le ombre, abbiano raggiunto qualche certezza, debbono con grande facilità essere indulgenti con quelli che errano nell’investigazione di un così grande mistero. Ma nell’errore umano vi sono due cose che molto difficilmente si tollerano: prendere partito prima che appaia la verità e, una volta che la verità sia apparsa evidente, difendere ostinatamente la falsa opinione accolta prematuramente 2. Se Dio, come prego e spero, mi difenderà e proteggerà sotto lo scudo della sua benevolenza 3 e con la grazia della sua misericordia, da queste due colpe così incompatibili con la scoperta della verità e con lo studio delle divine e sante Scritture, non mi mostrerò pigro nell’indagine della sua sostanza, sia per mezzo della Scrittura, sia per mezzo della creatura. L’una e l’altra è offerta alla nostra riflessione precisamente per spingerci a cercare e amare Colui che ha ispirato l’una e creato l’altra 4. Nemmeno esiterò ad esprimere la mia opinione, perché avrò più piacere che essa venga a conoscenza degli onesti, che timore che essa venga dilaniata dai malvagi 5. È con gioia infatti che la meravigliosa e umilissima carità si sente sotto lo sguardo della colomba; quanto al dente dei cani l’umiltà è sempre attentissima ad evitarlo e per smussarlo vi è tutto il vigore della verità; e preferirò essere criticato dal primo venuto piuttosto che essere lodato da chi è in errore e da chi adula. Chi ama la verità infatti non deve temere nessuno che lo critichi, perché chi criticherà sarà un amico o un nemico. Se è un nemico che ti attacca bisogna sopportarlo; se è un amico, bisogna istruirlo se è in errore, ascoltarlo se ci istruisce. Invece chi ci loda, ci conferma nell’errore se è in errore, ci induce all’errore se agisce per adulazione 6. Dunque il giusto mi critichi e mi corregga con carità, ma l’olio del peccatore non ungerà il mio capo 7.

Regola canonica per intendere le espressioni della Scrittura riguardanti Cristo

1. 2. Perciò noi teniamo come assolutamente certo il principio, riscontrabile ovunque nella Scrittura e dimostrato dai dotti esegeti cattolici come regola di fede, che ci permette di concepire nostro Signore Gesù Cristo come Figlio di Dio ed uguale al Padre secondo la natura divina nella quale sussiste, ed inferiore al Padre secondo la natura di servo che assunse; nella quale natura è divenuto inferiore non solo al Padre, ma anche allo Spirito Santo e perfino a se stesso, tenuto conto che è uomo; non però inferiore a se stesso per quello che era prima, cioè per quella natura di Dio che ha conservato anche nell’assumere la natura di servo, come ci insegnano le testimonianze della Scrittura che abbiamo ricordato nel libro primo 8. Troviamo tuttavia nelle parole di Dio enunciazioni di tal sorta che resta dubbio con quale criterio giudicarle: se con il criterio della natura assunta per la quale consideriamo il Figlio come inferiore, oppure con il criterio della natura divina per la quale il Figlio non è inferiore ma uguale al Padre, benché abbia origine dal Padre come Dio da Dio, luce da luce. Infatti noi chiamiamo il Figlio, Dio da Dio; il Padre, solamente Dio, non Dio da Dio. Perciò appare chiaro che per il Figlio c’è un’altra persona da cui è e di cui è Figlio; per il Padre non c’è un Figlio da cui abbia origine, ma soltanto un Figlio di cui è Padre. Infatti ogni figlio è quello che è per origine da suo padre, ed è figlio di suo padre; viceversa nessun padre è quello che è per origine da suo figlio, ma è semplicemente padre di suo figlio.

Dette espressioni sono di tre generi

1. 3. Vi sono dunque nella Scrittura alcuni testi sul Padre e il Figlio che indicano l’unità e l’uguaglianza della natura, come: Io e il Padre siamo una sola cosa 9, e: Sussistendo in natura di Dio, non considerò questa uguaglianza con Dio come una rapina 10, e tutti gli altri testi di questo genere. Ve ne sono alcuni invece che presentano il Figlio come inferiore al Padre per la natura di servo, cioè per la creatura da lui assunta nella natura umana mutevole, come quando è detto: perché il Padre è più grande di me 11; e: il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio nelle mani del Figlio 12; poco dopo aggiunge: E gli ha dato il potere di giudicare perché è il Figlio dell’uomo 13. In altri testi ancora il Figlio non viene presentato né come inferiore né come uguale al Padre, ma vi si afferma solamente che il Figlio ha origine dal Padre, come quello che dice: Perché, come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di averla in sé 14, e l’altro: il Figlio non può fare nulla da sé ma solo quello che vede fare dal Padre 15. Se noi interpreteremo questa espressione nel senso che il Figlio è inferiore al Padre, per la natura assunta dalla creatura, ne conseguirà che il Padre camminò prima sulle acque o che aprì con la saliva e il fango gli occhi di un altro cieco nato e ha fatto le altre cose che il Figlio incarnato ha fatto tra gli uomini 16, affinché possa farle colui che disse che il Figlio non può fare nulla da sé, eccetto ciò che abbia visto fare dal Padre 17. Ma chi, per quanto stolto, penserà così? Non rimane dunque da intendere, che queste espressioni indichino che la vita del Figlio è immutabile come quella del Padre, ma che in lui ha origine dal Padre, e che l’azione del Padre e del Figlio, è inseparabile, ma che per il Figlio ha origine da colui da cui ha origine il suo essere, cioè dal Padre, e che il Figlio vede il Padre in modo che il vederlo sia per lui la stessa cosa che essere Figlio 18. Infatti per lui aver origine dal Padre, cioè nascere dal Padre, non è altra cosa che vedere il Padre; come il vederlo agire non è altra cosa che agire con lui; ma non agisce da sé perché non ha l’essere da se stesso, e perciò fa quello che vede fare dal Padre, perché ha origine dal Padre. Né fa altre cose in modo simile, come il pittore che dipinge altri quadri copiando quelli dipinti da un altro pittore, né le cose medesime in maniera diversa, come la bocca esprime le medesime lettere che la mente ha pensato; ma tutto ciò che fa il Padre - afferma il Signore - il Figlio lo fa allo stesso modo 19. Ha detto il Signore: Le stesse cose, e allo stesso modo; e per questo il Padre e il Figlio hanno in comune la medesima attività, ma il Figlio l’ha dal Padre. Perciò il Figlio non può far nulla da sé, se non quello che avrà visto fare dal Padre 20. Da questo principio secondo il quale la Scrittura non vuole indicare che uno è inferiore all’altro, ma chi abbia origine e chi ne sia il principio, alcuni hanno concluso che la Scrittura afferma che il Figlio è inferiore al Padre. Ma alcuni dei nostri, troppo ignoranti e privi di qualsiasi competenza in questa materia, mentre tentano di intendere queste affermazioni come riguardanti la natura di servo 21, poiché ne viene fuori un senso errato, rimangono turbati. Ma perché questo non accada si segua anche questa regola: il Figlio non è inferiore al Padre ma è dal Padre. Così si esprime non la sua ineguaglianza, ma la sua nascita 22.

Alcune espressioni della Scrittura riguardanti il Figlio non si sa a quale regola riferirle

2. 4. Vi sono dunque nei Libri santi alcune espressioni, come avevo iniziato a dire, che non si sa in che senso vadano interpretate: se in riferimento all’inferiorità del Figlio conseguente all’unione con la creatura o in riferimento, nonostante l’uguaglianza, alla sua origine dal Padre. E in verità mi pare che, se ci si trova davanti a un testo talmente ambiguo da non poter essere spiegato e chiarito, esso possa venire interpretato senza pericolo in base alla duplice regola di cui si è parlato. È il caso di questa affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato 23. Infatti la si può intendere in riferimento alla natura di servo, come si è spiegato nel libro primo, e in riferimento alla natura divina nella quale è uguale al Padre ma avendo origine dal Padre. Perché, secondo la natura divina, come il Figlio e la vita divina non sono due cose diverse, ma il Figlio è la vita stessa, così non sono due cose diverse il Figlio e la sua dottrina ma il Figlio è la stessa dottrina 24. E come per questo l’espressione: Diede la vita al Figlio 25 non significa nient’altro che "generò il Figlio che è la vita", così anche quando è detto: "diede al Figlio la dottrina" tale espressione viene intesa nel giusto senso se si interpreta: "generò il Figlio che è la dottrina". Cosicché l’affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato, va intesa come se il Signore avesse detto: "Io non ho l’essere da me stesso, ma lo ho da Colui che mi ha mandato".

Lo Spirito Santo non parla da sé, perché procede dal Padre

3. 5. Infatti anche dello Spirito Santo, sebbene di lui la Scrittura non abbia detto: Si esinanì assumendo la natura di servo 26, il Signore stesso ha affermato: Quando sarà venuto lo Spirito di verità, egli vi insegnerà tutta la verità, giacché non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà e vi annunzierà le cose che dovranno succedere. Egli mi glorificherà perché prenderà dal mio e ve lo annunzierà. Se dopo queste parole non avesse immediatamente aggiunto: Tutto ciò che ha il Padre è mio; perciò ho detto che prenderà dal mio e ve lo annunzierà 27, si potrebbe forse credere che lo Spirito Santo è nato da Cristo come questi dal Padre. Infatti di se stesso Cristo aveva detto: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato 28; dello Spirito Santo dice: Giacché non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà 29; e poi: perché prenderà dal mio e ve lo annunzierà 30. Ma, poiché spiega l’affermazione prenderà dal mio (dicendo: Tutto ciò che ha il Padre è mio, perciò ho detto che prenderà dal mio e ve lo annunzierà 31), non resta se non intendere che anche lo Spirito Santo riceve dal Padre come il Figlio. E questo come può avvenire se non nel senso già sopra indicato: Quando poi sarà venuto il Paraclito che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli renderà testimonianza di me 32? Per questo è detto che non parla da sé, in quanto procede dal Padre. E come il Figlio non è inferiore al Padre, sebbene abbia detto: Il Figlio non può fare nulla da sé, se non quanto avrà visto fare dal Padre 33 (infatti non ha detto questo in quanto servo ma in quanto Dio, come abbiamo già dimostrato, e queste parole non indicano che egli è inferiore al Padre ma che ha origine da lui), allo stesso modo non consegue che lo Spirito Santo sia inferiore al Padre, perché il Figlio ha detto di lui: infatti non parlerà da se stesso ma vi dirà quanto udrà 34. Con queste parole il Figlio voleva significare che lo Spirito procede dal Padre. Ma poiché il Figlio ha origine dal Padre e lo Spirito Santo procede dal Padre, perché non li chiamiamo ambedue "figli" né li chiamiamo ambedue "generati" ma chiamiamo Figlio Unigenito solamente il primo, mentre chiamiamo l’altro Spirito Santo e non "figlio" o "generato", espressioni queste equivalenti? È quello che spiegherò, se Dio lo concederà e nella misura in cui lo concederà 35.

Il Figlio non è inferiore al Padre, perché questi lo glorifica

4. 6. Ma a questo punto stiano bene attenti, se lo possono, quanti hanno creduto di potersi valere, per dimostrare la superiorità del Padre sul Figlio, anche di queste parole del Figlio: Padre, glorificami 36. Si badi bene che anche lo Spirito Santo lo glorifica. Allora anche lui è superiore al Figlio? Si osservi però che, se lo Spirito Santo glorifica il Figlio in quanto riceverà dal Figlio, e riceverà dal Figlio perché tutto ciò che ha il Padre 37 è del Figlio, appare chiaro che, quando lo Spirito Santo glorifica il Figlio, è il Padre che glorifica il Figlio. Da questo si vede che tutto ciò che ha il Padre appartiene non solo al Figlio ma anche allo Spirito Santo, perché lo Spirito Santo ha il potere di glorificare il Figlio che il Padre glorifica. Se colui che glorifica è superiore a chi da lui viene glorificato, si conceda almeno che sono uguali quelli che si glorificano vicendevolmente. Ora la Scrittura afferma che anche il Figlio glorifica il Padre: Io - afferma il Figlio - ti ho glorificato sopra la terra 38. Ci si guardi bene dal considerare lo Spirito Santo superiore al Padre e al Figlio perché glorifica il Figlio che il Padre glorifica, mentre non si afferma nella Scrittura che egli sia glorificato né dal Padre né dal Figlio 39.

Il Figlio e lo Spirito Santo non sono inferiori al Padre, perché questi li manda

5. 7. Quelli però, così confutati, ricorrono a quest’altro argomento: "Chi manda è superiore a chi è mandato"; perciò il Padre è superiore al Figlio, perché il Figlio afferma costantemente di essere mandato dal Padre 40; è anche superiore allo Spirito Santo, perché Gesù disse di lui: Colui che il Padre manderà in mio nome 41. Lo Spirito Santo da parte sua è inferiore al Padre e al Figlio perché lo manda il Padre, come abbiamo detto, e lo manda anche il Figlio, come testimonia la sua parola: Ma se me ne andrò, ve lo manderò 42. Circa questa questione chiedo anzitutto da dove sia stato mandato il Figlio e dove sia stato mandato. Io - egli ha detto - sono uscito dal Padre e sono venuto in questo mondo 43. Dunque uscire dal Padre e venire in questo mondo, questo significa essere mandato. Che cosa significa l’affermazione che fa su di lui lo stesso Evangelista: Egli era nel mondo e il mondo per mezzo di lui è stato fatto e il mondo non l’ha conosciuto? E subito aggiunge: è venuto nella sua proprietà 44. Certo egli è stato mandato là dove è venuto, ma se è stato mandato in questo mondo, perché è uscito dal Padre ed è venuto in questo mondo, ed era in questo mondo, allora è stato mandato là dov’era. D’altra parte quando il Profeta fa dire a Dio: Io riempio il cielo e la terra 45, se si riferisce al Figlio (alcuni infatti vogliono che sia lui che ha parlato ai Profeti o per bocca dei Profeti), dove è stato mandato se non là dov’era? Infatti era dovunque Colui che dice: Riempio il cielo e la terra. Se l’affermazione riguarda invece il Padre, dove ha mai potuto essere il Padre senza il Verbo suo e senza la sua Sapienza che si estende con potenza da un’estremità all’altra e tutto governa con bontà 46? Ma nemmeno poté essere in alcun luogo senza il suo Spirito. Perciò, se Dio è dovunque, dovunque è anche il suo Spirito. Dunque anche lo Spirito Santo è stato mandato là dov’era. È per questo che colui che non trovava luogo per sfuggire dallo sguardo di Dio e dice: Se salirò nel cielo, là sei tu; se scenderò negli inferi, tu sei presente 47, volendo significare che Dio è presente ovunque, prima aveva nominato il suo Spirito dicendo: Dove me ne andrò lontano dal tuo Spirito? e dove fuggirò al tuo sguardo? 48.

La missione del Figlio consiste nella sua incarnazione

5. 8. Se dunque tanto il Figlio quanto lo Spirito Santo sono inviati là dov’erano, bisogna domandarsi di che genere sia tale missione del Figlio e dello Spirito Santo. Infatti solo del Padre non si dice in alcun luogo della Scrittura che sia stato mandato. Del Figlio così scrive l’Apostolo: Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò suo Figlio, formato da donna, formato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge 49. Ha mandato - dice - il suo Figlio formato da donna. Quale cattolico ignora che con questa parola "donna" l’Apostolo non ha voluto indicare la perdita della verginità ma, secondo il modo di esprimersi ebraico, la differenza di sesso? Dicendo dunque: Dio ha mandato il Figlio suo formato da donna, egli dimostra a sufficienza che la missione del Figlio è precisamente la nascita da donna. Dunque in quanto nato da Dio era in questo mondo 50, in quanto invece è nato da Maria, è venuto come mandato in questo mondo 51. Tuttavia non ha potuto essere mandato dal Padre senza lo Spirito Santo, non solo perché il Padre quando lo mandò, ossia quando lo formò dal seno della donna, non lo formò affatto senza il concorso del suo Spirito, ma anche perché nel Vangelo, alla domanda della vergine Maria: Come avverrà questo? si trovano in risposta le seguenti parole assolutamente chiare ed evidenti: Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenze dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra 52, e Matteo dice: Si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo 53. Ma presso il profeta Isaia è proprio Cristo che si intende affermare della sua futura venuta: Ed ora il Signore Dio mi ha mandato, lui e il suo Spirito 54.

Il Figlio è mandato anche da se stesso

5. 9. Forse qualcuno ci spingerà persino ad affermare che il Figlio è stato mandato da se stesso, perché quella concezione e quel parto di Maria sono opera della Trinità che crea tutto ciò che è creato. "Ma allora, mi si obietterà, come poté mandarlo il Padre se lui stesso si è mandato?". A costui risponderò anzitutto chiedendogli di dire, se può, come il Padre santificò il Figlio, se il Figlio stesso si è santificato. Infatti lo stesso Signore fa queste due affermazioni: Colui che il Padre santificò ed inviò nel mondo, a questi voi dite: "Bestemmi!", perché ho detto: Sono Figlio di Dio 55; ed altrove: E per essi io santifico me stesso 56. Così pure domando come il Padre lo consegnò, se egli stesso si è consegnato. L’apostolo Paolo infatti afferma l’una e l’altra cosa: Colui - dice - che non risparmiò il proprio Figlio, ma per tutti noi lo consegnò 57; altrove dello stesso Salvatore afferma: Colui che mi ha amato e ha dato se stesso per me 58. Credo che mi risponderà, se ben conosce questa materia, che unica è la volontà del Padre e del Figlio e indivisibile la loro azione. Intenda dunque quella incarnazione e quella nascita dalla Vergine, in cui consiste la sua missione, come operata indivisibilmente da una unica ed identica azione del Figlio e del Padre, senza ben inteso escluderne lo Spirito Santo, del quale è chiaramente detto: Si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo 59. Se continueremo la nostra indagine per questa via forse vedremo più chiaramente nella questione: come mandò Dio il Figlio suo 60? Gli comandò di venire ed egli venne obbedendo a lui che comandava, o lo pregò di venire ovvero soltanto lo esortò a venire? In qualsiasi di queste tre alternative la missione si è realizzata per intervento della Parola, ma la Parola di Dio è proprio il Figlio di Dio. Perciò, dato che il Padre lo mandò per mezzo della Parola, egli è stato mandato per opera del Padre e del Figlio. Dunque ad opera del Padre e del Figlio è stato mandato il Figlio medesimo, perché la Parola del Padre è il Figlio stesso. Chi infatti accoglierà un’ipotesi così sacrilega da credere che il Padre abbia pronunciato una parola temporale per mandare il suo Figlio eterno e manifestarlo corporalmente nel tempo? Ma al contrario nello stesso Verbo di Dio, che era fin dal principio presso Dio ed era Dio, cioè nella stessa Sapienza di Dio, al di fuori del tempo era stabilito il tempo in cui la Sapienza doveva apparire nella carne 61. Perciò essendo il Verbo al principio, al di fuori di ogni inizio temporale, ed essendo il Verbo presso Dio ed essendo il Verbo Dio, al di fuori del tempo era stabilito nello stesso Verbo in quale tempo il Verbo si incarnasse ed abitasse tra noi 62. Essendo venuta tale pienezza dei tempi Dio mandò il Figlio suo formato da una donna 63, cioè formato nel tempo, affinché, incarnato, il Verbo apparisse agli uomini, poiché era stabilito nel Verbo al di fuori del tempo in quale tempo ciò accadesse. Infatti la successione dei tempi si trova senza temporalità nella Sapienza eterna di Dio. Essendo dunque il Padre e il Figlio la causa della manifestazione del Figlio nella carne, si dice giustamente che è stato mandato colui che apparve nella carne, che invece ha mandato Colui che nella carne non si è manifestato. Perché è giusto considerare come oggetto di missione i fatti che accadono visibilmente sotto i nostri occhi per intervento invisibile di un essere spirituale. Ora la natura umana che fu assunta appartiene alla persona del Figlio, non anche alla persona del Padre. Perciò il Padre invisibile insieme col Figlio anch’esso invisibile, ha fatto che lo stesso Figlio fosse visibile, cioè, com’è stato detto, lo ha mandato 64. Se il Figlio si rendesse visibile, cessando di essere invisibile al pari del Padre, cioè se la natura invisibile del Verbo si convertisse per cambiamento in una creatura visibile, allora dovremmo considerare il Figlio come semplicemente mandato dal Padre e non anche come mandante insieme con il Padre 65. Ma poiché la natura di servo fu assunta in modo che la natura divina non subisse alcun cambiamento, ne consegue che il Padre e il Figlio, senza apparire, produssero quello che doveva apparire nel Figlio, ossia che l’invisibile Padre e l’invisibile Figlio mandarono il Figlio stesso in forma visibile. Perché allora ha detto: Non sono venuto da me stesso? Questa espressione si spiega riferendola alla natura di servo, in rapporto alla quale è stato anche detto: Io non giudico alcuno 66.

La missione dello Spirito Santo è un intervento manifestato visibilmente

5. 10. Se dunque si afferma che è stato mandato il Figlio in quanto si manifestò esteriormente in una creatura corporea, lui che interiormente nella sua natura spirituale è sempre nascosto agli occhi degli uomini, si comprende facilmente perché si parli pure di missione a proposito dello Spirito Santo. Una forma creata è stata prodotta nel tempo per manifestare visibilmente lo Spirito Santo, sia quando discese sul Signore stesso, sotto l’apparenza corporea di una colomba 67 sia quando, trascorsi dieci giorni dall’ascensione di lui, nel giorno della Pentecoste improvvisamente venne dal cielo un suono come di vento che soffi impetuoso, ed apparvero ad essi delle lingue separate come di fuoco che si posò sopra ciascuno di loro 68. È questa azione manifestatasi visibilmente ed offertasi agli occhi dei mortali che è stata chiamata missione dello Spirito Santo. Non si trattava d’una manifestazione della sua stessa sostanza per la quale anche lui è invisibile ed immutabile come il Padre ed il Figlio, ma si trattava di toccare il cuore degli uomini con una dimostrazione esteriore per condurli dalla manifestazione temporale di colui che veniva alla misteriosa eternità di Colui che è sempre presente.

La creatura in cui lo Spirito Santo si è manifestato non è stata da lui assunta come la natura umana dal Figlio

6. 11. Tuttavia in nessun passo della Scrittura è affermato che Dio Padre è superiore allo Spirito Santo, o lo Spirito Santo inferiore a Dio Padre, perché la creatura che servì allo Spirito Santo per apparire non fu da lui assunta, come la persona del Verbo di Dio assunse la natura umana per presentarsi in forma di uomo. Quell’uomo non era in possesso del Verbo di Dio alla pari di altri uomini dotati di santità e di sapienza, bensì al di sopra di essi 69, non certo nel senso che avesse in misura più larga il Verbo di Dio in modo da eccellere su di essi per sapienza, ma nel senso che era lo stesso Verbo. Una cosa infatti è il Verbo nella carne, ed altra cosa il Verbo fatto carne. Cioè una cosa è il Verbo nell’uomo, un’altra il Verbo uomo. Infatti carne è sinonimo di "uomo" nell’affermazione: il Verbo si è fatto carne 70, come nell’altra: E vedrà ogni carne ugualmente la salvezza di Dio 71. Non si tratta di carne senza anima o senza spirito, ma ogni carne significa "ogni uomo". Perciò la creatura in cui si doveva manifestare lo Spirito Santo non è stata assunta come è stata assunta quella carne umana e quella natura umana dalla vergine Maria 72. Infatti lo Spirito Santo non ha beatificato quella colomba o quel vento o quel fuoco, né li unì a sé ed alla propria persona in un medesimo stato per sempre. Altrimenti sarebbe variabile e convertibile la natura dello Spirito Santo, se quei fenomeni non si fossero compiuti per cambiamento delle creature, ma lo stesso Spirito Santo si fosse in maniera mutevole cambiato in una cosa ed in un’altra, come l’acqua si muta in ghiaccio. Quelle creature invece apparvero quando era opportuno che apparissero, perché la creatura serve al Creatore 73 e si è mutata e trasformata 74, secondo la volontà di Colui che resta immutabile in se stesso, per significarlo e rivelarlo come era necessario significarlo e rivelarlo ai mortali. Pertanto, sebbene la Scrittura chiami quella colomba Spirito e di quel fuoco dica: e apparvero distinte l’una dall’altra delle lingue che parevano di fuoco, che si posò sopra ciascuno di loro, e cominciarono a parlare in varie lingue, secondo che lo Spirito dava loro di esprimersi 75, per indicare che lo Spirito era stato manifestato attraverso quel fuoco come attraverso la colomba, tuttavia non possiamo dire che lo Spirito Santo è Dio e colomba, è Dio e fuoco, come diciamo che il Figlio è Dio e uomo. Nemmeno possiamo dirlo alla stessa maniera che diciamo che il Figlio è l’Agnello di Dio, sia con Giovanni Battista che dice: Ecco l’Agnello di Dio 76, sia con Giovanni Evangelista, quando nell’Apocalisse vede l’Agnello ucciso 77, poiché questa visione profetica non è stata offerta agli occhi corporei attraverso forme corporee 78, ma si è manifestata nello spirito attraverso immagini spirituali dei corpi. Invece, tutti coloro che li videro, hanno visto quella colomba e quel fuoco con gli occhi. Veramente si può discutere, circa il fuoco, (a causa della costruzione della frase) se si tratti di una visione corporea o spirituale. Il testo non dice infatti: "videro dividersi delle lingue di fuoco" ma: apparvero delle lingue di fuoco 79. Ora non siamo soliti dire "mi è apparso" allo stesso modo in cui diciamo "ho visto". E precisamente per le apparizioni spirituali di immagini sensibili c’è l’uso di dire "mi è apparso" e "ho visto", invece per le cose che cadono materialmente sotto i nostri occhi non diciamo "mi è apparso" ma "ho visto". Circa quel fuoco si può dunque chiedersi come sia stato visto, se attraverso una visione interna spirituale ma in maniera che apparisse in modo veramente esterno, oppure in modo realmente oggettivo con gli occhi della carne. Per quanto riguarda quella colomba della quale è stato detto che è discesa corporalmente, nessuno ha mai dubitato che non la si sia vista con gli occhi. Non possiamo nemmeno dire che lo Spirito Santo è colomba e fuoco, come diciamo che il Figlio è pietra (infatti la Scrittura dice: e la roccia era Cristo 80). Perché quella pietra esisteva già in natura e fu chiamata Cristo in funzione di simbolo per un nuovo intervento divino. Come la pietra sulla quale Giacobbe posò la testa e che poi egli assunse anche con l’unzione a figura del Signore 81. Così era il Cristo Isacco in atto di portare la legna per il sacrificio di se stesso 82. A queste cose già esistenti venne ad aggiungersi una destinazione simbolica; non comparvero invece istantaneamente, come quella colomba e quel fuoco, solo per essere dei simboli. La colomba e il fuoco mi sembrano più simili a quella fiamma che apparve a Mosè nel roveto 83, a quella colonna che il popolo seguiva nel deserto 84, ed alle folgori ed ai tuoni che si verificarono quando la Legge fu data sul monte 85. Infatti quei fenomeni sensibili esistettero solo per significare qualcosa e subito scomparire.

Il Padre non è mandato

7. 12. È dunque per queste forme corporee che esistettero momentaneamente per significarlo e rivelarlo ai sensi degli uomini, secondo i loro bisogni, che si parla anche di missione dello Spirito Santo. Tuttavia non fu detto inferiore al Padre, come il Figlio per la natura di servo, perché quella natura di servo è stata assunta in unità di persona, invece quei fenomeni sensibili apparvero temporaneamente per far conoscere ciò che era necessario e poi cessare di esistere. Perché dunque non si dice che anche il Padre è stato mandato attraverso quei fenomeni sensibili: la fiamma del roveto, la colonna di nube e di fuoco, i fulmini sul monte ed altri che forse apparvero quando, secondo la Scrittura, ha parlato ai Patriarchi, se attraverso quelle forme create e quei fenomeni sensibili che si offrirono agli sguardi umani lui stesso veniva manifestato? Se invece attraverso di essi si manifestava il Figlio, perché si parla della sua missione tanto tempo dopo e cioè quando nacque da donna come afferma l’Apostolo: Quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò il Figlio suo formato da donna 86, se veniva mandato anche prima, quando si manifestava ai Patriarchi attraverso quelle effimere forme create? E se non si può dire con esattezza che sia stato mandato se non quando il Verbo si è fatto carne 87, come si può dire che lo Spirito Santo è stato mandato, se egli non si è mai incarnato? Se attraverso quei fenomeni visibili che vengono celebrati nella Legge e nei Profeti, non il Padre né il Figlio ma lo Spirito Santo si rivelava, perché anche di lui si dice che è stato mandato ora, quando veniva mandato già prima in quelle maniere?

Tre problemi

7. 13. In questa questione così difficile il primo problema da risolvere, con l’aiuto del Signore, è se attraverso quei fenomeni creati si sia manifestato il Padre o il Figlio oppure lo Spirito Santo; se talvolta il Padre, talvolta il Figlio, talvolta lo Spirito Santo; ovvero, senza alcuna distinzione di Persone ma in quanto Dio uno ed unico 88, la Trinità stessa si sia manifestata. In secondo luogo, qualunque sia la soluzione raggiunta o il punto di vista accolto, occorre chiedersi se siano stati creati degli esseri solo perché si manifestasse Dio agli sguardi umani, come lo credeva necessario in quel momento, oppure se venivano inviati gli Angeli, che già esistevano, perché parlassero in nome di Dio prendendo forma corporea dalla natura sensibile per assolvere il compito particolare affidato a ciascuno, ovvero mutando e trasformando 89, in forza del potere ad essi concesso dal Creatore, il loro stesso corpo (infatti non ne subiscono le leggi ma le dominano secondo il loro volere), in forme che ritenessero appropriate e adatte ai loro compiti. Infine vedremo ciò che avevamo deciso di indagare, se il Figlio e lo Spirito Santo fossero mandati anche prima e, se lo erano, che differenza ci sia tra quella missione e quella di cui parla il Vangelo 90; ovvero se nessuno di loro sia stato mandato se non quando o il Figlio nacque da Maria vergine, o lo Spirito Santo apparve in forma visibile sia nella colomba sia nelle lingue di fuoco 91.

Primo problema: se una sola persona o tutta la Trinità, che è invisibile, è apparsa nell’Antico Testamento

8. 14. Lasciamo dunque da parte coloro che in maniera grossolana hanno immaginato la natura del Verbo e la Sapienza (che, rimanendo identica in se stessa, rinnova tutte le cose 92, e che noi chiamiamo Figlio unico di Dio) come un essere mutevole, anzi addirittura visibile. Costoro si sono accostati all’indagine, in verità più pretenziosa che religiosa, delle cose divine, con uno spirito veramente troppo grossolano 93. Infatti l’anima stessa, in quanto sostanza spirituale, pur essendo inoltre creata e non avendo potuto essere creata che per mezzo di Colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose e senza del quale nulla è stato fatto 94, sebbene sia mutevole, tuttavia non è visibile, essi invece hanno ritenuto visibile il Verbo stesso e la stessa Sapienza divina, per mezzo della quale sono state fatte tutte le cose, mentre la Sapienza non è soltanto invisibile come lo è anche l’anima ma anche immutabile, mentre l’anima non lo è; è questa sua immutabilità che ci è stata ricordata nell’affermazione della Scrittura: rimanendo in se stessa, rinnova ogni cosa 95. E costoro, come sforzandosi di sostenere il loro errore traballante con le testimonianze delle divine Scritture, si servono delle affermazioni dell’apostolo Paolo e quanto viene affermato dell’unico e solo Dio, in cui riconosciamo la Trinità stessa, lo interpretano come affermato soltanto del Padre, non anche del Figlio e dello Spirito Santo. L’Apostolo afferma: Al re dei secoli, immortale, invisibile, unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli 96. Egli dice anche: Beato e solo potente, re dei re e dominatore dei dominanti, il solo che possiede l’immortalità ed abita una luce inaccessibile che nessun uomo ha mai veduto né può vedere 97. Ci pare di esserci già sufficientemente intrattenuti sul modo in cui vanno interpretate tali affermazioni.

Confutazione di coloro che credevano solo il Padre immortale ed invisibile

9. 15. Coloro che vogliono che queste parole vadano intese come dette non del Figlio né dello Spirito Santo ma soltanto del Padre, affermano che il Figlio è visibile non per la carne assunta dalla Vergine ma già prima, per se stesso. Infatti affermano: "Egli è apparso agli occhi dei Patriarchi". Fate loro questa obiezione: "Se il Figlio è visibile per se stesso è anche mortale per se stesso, e questo perché possiate essere coerenti con voi stessi, dato che volete intendere come dette solo del Padre le parole: Colui che solo ha l’immortalità; infatti se il Figlio è mortale soltanto dopo l’incarnazione, ammettete che il Figlio non sia ugualmente visibile che per l’incarnazione". Essi vi rispondono che secondo la loro opinione il Figlio non è mortale per l’incarnazione ma che era mortale, come era visibile, già prima dell’incarnazione. Infatti se si ammette che il Figlio è mortale solo per l’incarnazione, allora non è soltanto il Padre, con l’esclusione del Figlio, ad avere l’immortalità, perché anche il Verbo di lui, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, ha l’immortalità. D’altra parte il Figlio, assumendo la carne mortale, non ha per questo perduto la sua immortalità, dato che nemmeno all’anima umana accade di morire con il corpo, secondo la testimonianza del Signore stesso: Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima 98. Ovvero anche lo Spirito Santo avrebbe dovuto incarnarsi. Ecco ciò che metterà certamente in imbarazzo i nostri contraddittori se il Figlio è mortale per l’incarnazione: spiegare come il Padre soltanto abbia l’immortalità con l’esclusione del Figlio e dello Spirito Santo. Ma lo Spirito Santo non si è incarnato. Allora nel caso che lo Spirito Santo, sebbene non si sia incarnato, sia tuttavia mortale, è chiaro che nemmeno il Figlio è mortale per l’incarnazione; se invece lo Spirito Santo è immortale, allora l’affermazione: egli solo ha l’immortalità, non va intesa solo del Padre. L’argomento con il quale costoro credono di poter dimostrare che il Figlio era per se stesso mortale anche prima dell’incarnazione è tutto qui: si può chiamare giustamente mortalità la stessa mutabilità 99. In tal senso si dice che muore anche l’anima, non perché essa si cambi in un corpo o in un’altra sostanza ma perché ogni cosa che adesso si trova ad esistere diversamente da prima, pur conservando la propria sostanza, si rivela mortale nella misura in cui ha cessato di essere ciò che era prima. "Ebbene, dicono, poiché il Figlio di Dio prima di nascere dalla vergine Maria è apparso, proprio lui in persona, ai Padri nostri, non sempre sotto un’unica e identica forma, ma in diverse forme ora in un modo ora in un altro, egli è sia visibile di per se stesso, perché, non essendosi ancora incarnato, si è manifestato nella sua sostanza immortale, sia mortale in quanto soggetto a mutamento. Così pure lo Spirito Santo che apparve una volta sotto forma di colomba, altra volta sotto forma di fuoco" 100. "Perciò, essi concludono, non concerne la Trinità ma singolarmente e propriamente il Padre l’affermazione: All’immortale, all’invisibile, all’unico Dio 101; e l’altra: Colui che solo ha l’immortalità ed abita in una luce inaccessibile, Colui che nessun uomo vide mai, né può vedere 102".

La verità si deve cercare con zelo pacifico

9. 16. Ma lasciamo dunque da parte costoro che, incapaci di farsi un’idea della natura invisibile dell’anima, erano ben lungi dal riconoscere che la sostanza di Dio solo ed unico, ossia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, non solo rimane invisibile ma anche immutabile e perciò fissa in una vera ed autentica immortalità. In quanto a noi che affermiamo che mai Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo è apparso agli occhi degli uomini se non per mezzo di una creatura materiale sottomessa alla sua potenza, con impegno pacifico e nella pace cattolica sforziamoci di indagare, pronti a tener conto di ogni critica fraterna e giusta e perfino degli attacchi di un nemico, nel caso che abbia ragione, se, prima che Cristo si incarnasse, sia apparso ai nostri padri Dio nella sua indivisibile unità o una delle Persone della Trinità ovvero ciascuna di esse, quasi avvicendandosi.

Era una persona della Trinità, o tutta la Trinità che parlava con Adamo?

10. 17. Incominciamo con il colloquio raccontato nel Genesi tra Dio e l’uomo, che Dio stesso aveva formato dal fango 103. Se lasciamo da parte il senso figurato per attenerci letteralmente all’autorità storica dell’episodio, sembra che Dio abbia parlato sotto forma umana con l’uomo. Questo certamente non è detto in maniera espressa nel testo ma il contesto della narrazione lo lascia intendere, soprattutto per questo particolare del racconto: Adamo udì la voce di Dio che passeggiava di sera in Paradiso e si nascose in mezzo al giardino che era nel Paradiso e a Dio che gli chiedeva: Adamo, dove sei?, rispose: Ho udito la tua voce e mi sono nascosto da te, perché sono nudo 104. Non vedo come si possa intendere alla lettera tale passeggiata di Dio e questa conversazione, se Dio non apparve in forma umana. Infatti non si può dire che si tratti soltanto di un fenomeno uditivo prodotto da Dio, perché si afferma che Dio ha passeggiato, né si può asserire che colui che camminava in quel luogo non fosse visibile, dato che Adamo stesso dice di essersi nascosto dallo sguardo di Dio. Chi era dunque colui che passeggiava: era il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo? Ovvero era semplicemente il Dio Trinità senza distinzione di Persone che parlava all’uomo sotto forma umana? In verità la sintassi del racconto biblico non sembra mai passare da un soggetto ad un altro e sembra che a rivolgersi al primo uomo sia proprio Colui che diceva: Sia la luce 105, e: Ci sia il firmamento 106, e le altre espressioni durante i giorni della creazione. Ora si è soliti ammettere che fu Dio Padre che comandò che esistesse tutto ciò che volle fare. Infatti egli fece tutte le cose per mezzo del suo Verbo, quel Verbo che noi riconosciamo come unico suo Figlio, secondo la norma ortodossa della fede. Se fu dunque Dio Padre che parlò al primo uomo, lui che passeggiava alla sera nel Paradiso, se da lui fuggiva Adamo peccatore inoltrandosi nel giardino 107, perché non si può intendere che fu ancora lui che apparve ad Abramo e a Mosè e a tutti coloro cui volle apparire nel modo in cui gli piacque, servendosi di una creatura mutevole e visibile a lui docile, pur rimanendo in se stesso e nella sua sostanza per la quale è immutabile e invisibile? Ma può darsi che la Scrittura sia passata, senza farlo rilevare esplicitamente, da un soggetto ad un altro e che, mentre ha narrato che fu il Padre a dire: Sia la luce e tutto ciò che il Genesi dice che il Padre ha fatto per mezzo del Verbo 108, già indicasse ora che è il Figlio a parlare al primo uomo, senza dirlo chiaramente, ma lasciandolo intendere a coloro che lo possono capire.

Si tratta di un problema difficile da risolvere

10. 18. Chi dunque possiede la forza di penetrare con l’acume dello spirito questo enigma, così che chiaramente comprenda che anche il Padre, ovvero solo il Figlio e lo Spirito Santo possano manifestarsi agli occhi degli uomini per mezzo delle creature visibili, continui nelle sue riflessioni e, se può, ne prepari l’esposizione e l’analisi. Tuttavia la cosa, per quanto riguarda questo passo della Scrittura in cui è detto che Dio ha parlato all’uomo, mi pare misteriosa. Tanto più che non appare con chiarezza se Adamo fosse solito vedere Dio con gli occhi corporei, dato che è una grossa questione, particolarmente, il sapere quali occhi si aprirono ad Adamo ed Eva quand’ebbero gustato il frutto proibito 109; questi occhi infatti, prima che essi gustassero il frutto, erano chiusi. Non mi pare di dire cosa troppo azzardata se affermo soltanto che Dio non ha potuto camminare in altro modo che sotto forma corporea, se la Scrittura rappresenta il Paradiso come un luogo terrestre. Certo è possibile dire che Adamo udisse il suono delle parole senza vedere alcuna forma sensibile, perché, dal fatto che la Scrittura affermi che Adamo si nascose dal suo sguardo 110, non si deve necessariamente concludere che Adamo vedesse abitualmente Dio. E se intendessimo non che Adamo potesse vedere Dio, ma che temeva di essere visto da lui, perché ne aveva sentito la voce e i passi? Infatti anche Caino disse a Dio: Mi nasconderò dal tuo cospetto 111, e tuttavia noi non siamo costretti a pensare che egli vedesse abitualmente Dio con gli occhi corporei, sotto una forma visibile, sebbene sentisse la sua voce che lo interrogava circa il suo delitto e parlava con lui. È difficile sapere quale specie di linguaggio Dio usasse allora per farsi sentire agli orecchi sensibili degli uomini 112, specialmente quando parlava col primo uomo; ed è una questione che non intendiamo esaminare in quest’opera. Tuttavia se non c’erano che voci e suoni per cui una certa presenza sensibile di Dio era offerta ai primi uomini, non vedo perché non dovrei riconoscervi la persona di Dio Padre, tanto più che è lui che si è manifestato nella voce udita quando Gesù sul monte, alla presenza dei tre discepoli si trasfigurò 113, in quella quando la colomba discese su di lui appena battezzato 114, e nella risposta che ricevette quando pregò il Padre di glorificarlo: Io l’ho glorificato e lo glorificherò ancora 115. Non che la voce abbia potuto echeggiare senza l’intervento del Figlio e dello Spirito Santo, perché la Trinità è indivisibile nel suo operare, ma quella voce è echeggiata per manifestare la persona del Padre soltanto, come la natura umana tratta dal seno della vergine Maria è opera della Trinità, ma unita personalmente al Figlio soltanto; infatti la Trinità invisibile ha prodotto il personaggio visibile del Figlio soltanto. E nulla ci impedisce di riconoscere, in quelle voci udite da Adamo, non solo l’opera della Trinità, ma anche di intenderle come manifestazione della medesima Trinità. Siamo infatti obbligati ad attribuire solo al Padre l’espressione: Questo è il mio Figlio diletto 116. Né la fede né la ragione ci permettono di considerare Gesù come figlio dello Spirito Santo, né Figlio in rapporto a se stesso. E quando si udì l’espressione: L’ho glorificato e ancora lo glorificherò, noi non vi riconosciamo che la persona del Padre. È infatti la risposta a quell’invocazione del Signore: Padre, glorifica il tuo Figlio, preghiera che non poté rivolgere che a Dio Padre, in nessun modo allo Spirito Santo del quale non è figlio. Ma qui, dove si afferma: Ed il Signore Dio disse ad Adamo 117, non si può dire per quale motivo non possa trattarsi della Trinità medesima.

La visione di Abramo

10. 19. Così quando leggiamo: E disse Dio ad Abramo: esci dalla tua terra, dalla tua famiglia e dalla casa di tuo padre 118, non appare chiaro se Abramo abbia soltanto udito una voce o se abbia anche visto qualcosa con i suoi occhi. Ma poco dopo, è vero, c’è un testo un po’ più chiaro: Il Signore apparve ad Abramo, e gli disse: Darò questo territorio alla tua discendenza 119. Ma nemmeno qui è detto chiaramente sotto quale forma gli sia apparso il Signore, e se sia apparso il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo. Forse si potrà pensare che sia apparso ad Abramo il Figlio, perché non è detto "gli apparve Dio", ma: gli apparve il Signore 120; e Signore sembra un nome proprio al Figlio per testimonianza dell’Apostolo: E sebbene ci siano dei cosiddetti dèi sia in cielo che sulla terra, come ci sono molti dèi e molti signori, tuttavia per noi c’è un Dio solo, il Padre, dal quale provengono tutte le cose e noi siamo in lui, e un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale sono state create tutte le cose e noi siamo per mezzo di lui 121. Ma in molti passi della Scrittura anche il Padre è detto Signore, come: Il Signore disse a me: Tu sei il mio Figlio, oggi ti ho generato 122; ed inoltre: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra 123. E vi sono dei passi in cui anche lo Spirito Santo è detto Signore, come quando l’Apostolo dice: Il Signore è Spirito 124 ; e, per impedire che qualcuno pensasse trattarsi del Figlio che sarebbe stato chiamato Spirito per la sua natura immateriale, proseguendo aggiunge: Dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà 125. Ora nessuno dubiterà che lo Spirito del Signore sia lo Spirito Santo. Pertanto, ritornando al passo di cui si parlava, non appare chiaro che sia apparsa ad Abramo una Persona della Trinità o lo stesso Dio Trinità, ossia il Dio unico di cui è stato detto: Adorerai il Signore Dio tuo ed a lui solo servirai 126. Certo sotto la quercia di Mambre 127 Abramo vide tre uomini, ai quali offrì ospitalità, che ricevette sotto il suo tetto e servì alla sua tavola 128. Ma la Scrittura, iniziando a narrare quell’episodio, non dice "Gli apparvero tre uomini" ma: Gli apparve il Signore. Solo poi, continuando a descrivere come gli sia apparso il Signore, aggiunse la narrazione riguardante i tre uomini che Abramo invita, al plurale, in casa sua. Più avanti si rivolge loro al singolare come se ci fosse un solo uomo. Così pure uno solo gli promette un figlio da Sara e la Scrittura chiama questi "Signore", come all’inizio del racconto ha detto: Apparve il Signore ad Abramo 129. Dunque Abramo li invita, lava loro i piedi, alla loro partenza li accompagna come fossero uomini, ma parla loro come rivolgendosi al Signore Dio, sia quando gli viene promesso un figlio, sia quando gli è annunciata l’imminente distruzione di Sodoma.

Appaiono tre uomini: perché non riconoscere rivelata visibilmente l’uguaglianza della Trinità?

11. 20. Questo passo della Scrittura richiede un’analisi non sommaria né frettolosa. Se fosse infatti apparso un solo uomo, coloro che affermano che il Figlio di Dio era visibile per la sua natura già prima di nascere dalla Vergine, chi direbbero che fosse se non lui stesso? Certamente, dato che secondo loro è del Padre che è detto: Al solo Dio invisibile 130. Tuttavia potrei chiedere loro ancora come, prima dell’incarnazione, il Figlio sia stato trovato nel sembiante come uomo, perché gli sono stati lavati i piedi ed egli ha mangiato ad una tavola umana. Come poteva accadere questo mentre ancora sussisteva soltanto in natura di Dio, senza ritenere rapina la sua uguaglianza con Dio? Forse che si era già esinanito, prendendo la natura di servo, divenuto simile agli uomini e ritrovato nel sembiante come uomo 131? Ma noi sappiamo che ha fatto questo venendo alla luce dalla Vergine. In che modo dunque prima di aver fatto questo apparve ad Abramo sotto le sembianze di quest’unico uomo? Era forse questa forma umana soltanto un fantasma? Potrei fare queste domande se ad Abramo fosse apparso un solo uomo e lo si considerasse il Figlio di Dio. Ma, poiché apparvero tre, senza che di alcuno di essi si dica che aveva preminenza sugli altri per natura o per l’età o per la forza, perché non dovremmo riconoscere qui manifestata in maniera visibile, attraverso una creatura visibile, l’uguaglianza della Trinità e l’unità e l’identità della sostanza nelle tre Persone?

11. 21. Qualcuno potrebbe credere in realtà che la Scrittura faccia intendere la superiorità di uno di quei tre uomini e faccia vedere in lui il Signore, il Figlio di Dio, mentre quei due sarebbero i suoi Angeli, in quanto Abramo, pur essendo apparsi in tre, rivolge la parola ad uno solo chiamandolo "Signore". La Scrittura non ha tralasciato di prevenire e contraddire tali future speculazioni e opinioni. E lo fa poco dopo quando narra che due Angeli visitarono Lot. Quel sant’uomo che meritò di sfuggire alla distruzione di Sodoma, rivolge al singolare il titolo "Signore" 132. La Scrittura infatti continua così: Il Signore se ne andò, quand’ebbe finito di parlare ad Abramo, ed Abramo ritornò a casa sua 133.

La visione di Lot

12. Vennero due Angeli a Sodoma sul far della sera 134. A questo punto va studiato più attentamente il problema che mi sono proposto di chiarire. È certo che Abramo parlava con tre uomini, eppure egli rivolge al singolare l’appellativo di "Signore". Qualcuno forse dirà che in uno solo fra i tre riconosceva il Signore, negli altri due riconosceva gli Angeli di lui. Ma in questo caso che significa il seguito del testo: Partì il Signore dopo che ebbe finito di parlare ad Abramo ed Abramo ritornò a casa sua 135. Due Angeli giunsero allora a Sodoma sul far della sera 136? Forse che se ne era andato quello solo che fra i tre era riconosciuto come il Signore ed aveva mandato i due Angeli che erano con lui a distruggere Sodoma? Vediamo dunque il seguito del testo: Vennero - dice la Scrittura - due Angeli a Sodoma sul far della sera. Lot sedeva alla porta di Sodoma. Appena li vide, Lot andò loro incontro e si prostrò fino a terra dicendo: Vi prego, signori, degnatevi di venire in casa del vostro servo 137. Qui appare chiaro che gli Angeli erano due, che essi al plurale furono invitati in casa, che sono stati rispettosamente chiamati signori, perché forse erano stati presi per uomini.

12. 22. V’è però un’altra difficoltà: se non avesse riconosciuto in essi degli Angeli di Dio, Lot non si sarebbe prostrato dinanzi a loro fino a terra. Ma perché allora offre alloggio e vitto a loro, come se avessero bisogno di tale cortesia? Ma qualunque sia il segreto che qui si cela, continuiamo a trattare il tema che avevamo iniziato. Appaiono in due, ambedue sono detti Angeli, sono invitati al plurale, Lot parla con loro al plurale fino all’uscita da Sodoma. Poi la Scrittura continua e dice: E dopo averli fatti uscire, essi gli dissero: Mettiti in salvo, ne va della vita! Non guardare indietro e non fermarti in nessun luogo della pianura, va’ al monte, là sarai salvo, che per caso non perisca. Ma Lot rispose loro: Te ne prego, Signore, ecco il tuo servo ha trovato grazia agli occhi tuoi 138. Che significa ciò: Disse loro: Te ne prego, Signore..., se era già partito colui che era il Signore e che aveva mandato gli Angeli? Perché è detto: Te ne prego, Signore, e non: "Ve ne prego, Signori"? Se Lot volle interpellare uno di loro, perché la Scrittura dice: Disse Lot a loro: Te ne prego, Signore, ecco il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi? Dobbiamo vedere anche qui nel plurale due persone? E poi l’unico Dio Signore nell’unità della sua natura, per il fatto che ai due ci si rivolge come ad uno solo? Ma di quali due persone si tratta? Del Padre e del Figlio, o del Padre e dello Spirito Santo, oppure del Figlio e dello Spirito Santo? Forse l’ultima ipotesi è la più convincente. Infatti essi dicono di essere stati mandati, ciò che noi affermiamo del Figlio e dello Spirito Santo, mentre in nessun luogo della Scrittura noi troviamo che il Padre sia stato mandato.

Il roveto ardente

13. 23. Quando Mosè fu mandato per liberare il popolo d’Israele dall’Egitto 139, ecco come, secondo la Scrittura, Dio gli apparve: Stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e nel guidare il gregge oltre il deserto giunse al monte di Dio, Horeb. E l’Angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un roveto. Ed egli osservò che il roveto era tutto una fiamma di fuoco e non si consumava. E Mosè disse: Voglio andar là a vedere questa grande visione: per quale ragione il roveto non si consuma! E il Signore vide che egli si era avvicinato da una parte ad osservare e lo chiamò di mezzo al roveto dicendo: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe 140. Anche qui si parla prima di un Angelo del Signore, poi di Dio. L’Angelo è dunque forse il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe? Si può allora giustamente pensare che si tratti del Salvatore stesso, del quale l’Apostolo dice: Coloro ai quali appartengono i Patriarchi e dai quali è uscito il Cristo secondo la carne, Colui che è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto nei secoli 141. Com’è dunque il Dio benedetto nei secoli al di sopra di tutte le cose, non irragionevolmente si pensa che sia anche qui egli stesso il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Ma perché prima è chiamato Angelo del Signore, quando appare nella fiamma di fuoco in mezzo al roveto 142? Forse perché era uno degli innumerevoli Angeli ma incaricato di rappresentare la persona del suo Signore? Oppure era stata assunta qualche creatura che si manifestasse visibilmente per compiere quella funzione e a cui far pronunciare le parole sensibili con le quali fosse segnalata la presenza del Signore anche ai sensi umani, in maniera adatta per mezzo di una creatura sottomessa a Dio? Se era qualcuno degli Angeli, chi può dire incontestabilmente se sia stato incaricato di rappresentare la persona del Figlio o dello Spirito Santo o di Dio Padre o semplicemente la stessa Trinità, Dio unico e solo, cosicché l’Angelo poté dire: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe 143? Infatti non si può affermare che il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe sia il Figlio di Dio e non il Padre, e nessuno oserà dire che lo Spirito Santo o la stessa Trinità che è, come crediamo e pensiamo, il Dio unico, non sia il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Poiché non è il Dio di quei Patriarchi chi non è Dio. Ora se non solamente il Padre è Dio, come lo riconoscono anche tutti gli eretici, se è Dio anche il Figlio, come essi debbono ammettere, sia pur contro voglia, in forza delle parole dell’Apostolo: Egli è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto nei secoli 144, se è Dio anche lo Spirito Santo, secondo quanto dice l’Apostolo: Glorificate Dio nel vostro corpo 145, mentre prima aveva detto: Non sapete che i vostri corpi sono templi dello Spirito Santo che è in voi e che voi avete ricevuto da Dio? 146 se tutti e tre sono un solo Dio 147, come crede l’ortodossia cattolica, non appare sufficientemente chiaro quale persona della Trinità rappresentasse quell’Angelo, nel caso fosse uno degli Angeli, né se rappresentasse una Persona ovvero la Trinità stessa. Se invece una cosa già esistente fu presa in uso e perché apparisse agli occhi umani e perché si facesse sentire agli orecchi e fu chiamata e Angelo del Signore e Signore e Dio, allora in questo caso Dio non si può intendere come Padre ma o come Figlio o come Spirito Santo. Certo a proposito dello Spirito Santo non ricordo alcun testo in cui sia chiamato "angelo", ma la sua azione potrebbe permetterci di attribuirgli questo appellativo. Infatti è detto di lui: Vi annunzierà le cose che accadranno 148. Ora è noto che il termine greco "angelo" tradotto in latino significa "nunzio". Quanto al Signor Gesù Cristo si legge in maniera chiarissima presso il Profeta l’appellativo che gli è attribuito di Angelo del gran consiglio 149. Le altre due denominazioni di Dio e di Signore degli Angeli competono e allo Spirito Santo e al Figlio di Dio.

La colonna di nube e di fuoco

14. 24. Similmente la Scrittura racconta a proposito dell’esodo dei figli d’Israele dall’Egitto 150: Dio li precedeva, di giorno in forma di colonna di nube per guidarli nel cammino; di notte in forma di fuoco; e non si rimosse mai dal cospetto del popolo la colonna di nube di giorno né la colonna di fuoco di notte 151. Chi può dubitare in questo caso che Dio si manifestò agli occhi degli uomini per mezzo di una creatura, una creatura corporea, sottomessa alla sua volontà e non nella sua stessa sostanza? Ma non appare altrettanto chiaro se si sia manifestato il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo ovvero la Trinità medesima, Dio unico. Né ritengo che questo venga precisato nel passo seguente: La gloria del Signore apparve nella nube. E il Signore parlò a Mosè dicendo: Ho inteso le mormorazioni dei figli d’Israele 152.

La visione sul Sinai

15. 25. Parliamo ora delle nubi, delle voci, delle folgori, della tromba, del fumo del monte Sinai: Il monte Sinai fumava tutto, perché il Signore vi era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo saliva come fumo di fornace. Tutto il popolo era tremendamente spaventato. Il suono della tromba si faceva sempre più forte. Mosè parlava e Dio gli rispondeva con un tuono 153. E poco più avanti, dopo che era stata data la Legge espressa nei dieci comandamenti, la Scrittura prosegue: E tutto il popolo era spettatore dei tuoni, dei lampi, del suono della tromba e del monte che fumava 154, e poco dopo: Il popolo se ne stette in distanza, mentre Mosè si accostò alla caligine dov’era Iddio e il Signore disse a Mosè... 155. Che dire qui se non che non c’è alcuno così sciocco da credere che il fumo, il fuoco, le nubi, la caligine e le altre cose simili sono la sostanza del Verbo e della Sapienza di Dio, che è il Cristo, oppure la sostanza dello Spirito Santo? Nemmeno gli Ariani sono mai giunti a tal punto da affermare questo di Dio Padre. Perciò quei prodigi sono stati compiuti per mezzo della creatura che è docile al Creatore 156, e furono presentati ai sensi degli uomini in maniera ad essi conveniente; altrimenti basandosi sull’affermazione: Mosè entrò nella caligine dov’era Dio 157, secondo un modo di pensare grossolano, qualcuno crederà che il popolo abbia visto la caligine ma Mosè dentro la caligine abbia visto con gli occhi corporei il Figlio di Dio che i folli eretici vogliono sia apparso nel suo stesso essere. Si può ammettere che Mosè l’abbia visto con gli occhi corporei se è possibile contemplare con gli occhi corporei, non dico la Sapienza di Dio, ossia il Cristo, ma anche soltanto la stessa sapienza d’un uomo qualunque e di qualsiasi saggio. Ovvero perché la Scrittura dice degli antenati di Israele che essi videro il luogo ove s’era posato il Dio d’Israele, e che sotto i suoi piedi vi era come una lastra lavorata di zaffiro e per chiarezza somigliante al cielo 158, si deve ammettere che Colui che è il Verbo e la Sapienza di Dio si sia posato nel suo essere in un punto dello spazio terrestre, lui che tende la sua potenza da una estremità all’altra e tutto amministra con bontà 159; e il Verbo di Dio per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, sia così mutevole che talora si contrae, talaltra si distende? (Il Signore conservi puri da tali pensieri gli spiriti dei suoi fedeli). Invece, come spesso abbiamo detto, è per mezzo della creatura sottomessa a Dio che tali fenomeni visibili e sensibili vengono presentati per significare Dio invisibile e intelligibile (cioè non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo), dal quale provengono, per mezzo del quale o nel quale sono tutte le cose 160; sebbene rimanga vero che le invisibili perfezioni di Dio, fin dalla creazione del mondo, sono rese intelligibili, se ben considerate, dalle opere sue, sia la sua eterna potenza sia la sua divinità 161.

Forse questi fenomeni rivelavano lo Spirito Santo

15. 26. Tuttavia per quanto riguarda il problema che abbiamo cominciato a trattare, non vedo come riconoscere chi, anche sul monte Sinai, per mezzo di tutti quei prodigi terrificanti, presentati ai sensi degli uomini, propriamente parlava, se il Dio Trinità o il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo. Ma se è permesso avanzare qui un’ipotesi con riserva e circospezione, senza azzardarsi a fare una vera affermazione, perché, dato che possa trattarsi di una Persona della Trinità, non pensare piuttosto allo Spirito Santo? La Legge che fu data in quel momento, secondo l’affermazione della Scrittura, è stata scritta sulle tavole di pietra dal dito di Dio 162, appellativo che, come sappiamo dal Vangelo, designa lo Spirito Santo 163. D’altra parte c’è un intervallo di cinquanta giorni dall’uccisione dell’agnello e dalla celebrazione della Pasqua al giorno in cui cominciarono ad accadere queste cose sul monte Sinai, come dopo la passione del Signore c’è un intervallo di cinquanta giorni dalla risurrezione di lui al giorno in cui venne lo Spirito Santo promesso dal Figlio di Dio. Inoltre quando venne, secondo quanto si legge negli Atti degli Apostoli, apparve sotto forma di lingue separate di fuoco, che si posò su ciascuno degli Apostoli 164, e questo concorda con l’Esodo in cui è scritto: Il monte Sinai fumava tutto, perché vi era disceso Dio nel fuoco 165, e un poco più avanti: La maestà del Signore si presentò sotto l’aspetto di un fuoco ardente sulla vetta del monte davanti ai figli d’Israele 166. Nell’ipotesi che questi prodigi siano accaduti in tal modo perché né il Padre né il Figlio potevano manifestarsi in quel luogo a quella maniera senza lo Spirito Santo, per mezzo del quale la Legge doveva essere scritta, allora abbiamo la certezza che in quel luogo apparve Dio, non nella sua sostanza che rimane invisibile ed immutabile, ma per mezzo di quella cosa creata. Però nessun segno particolare indica, per quanto io possa comprendere, che si trattasse di una determinata Persona della Trinità.

Mosè non vide Dio nella sua essenza

16. 27. Ordinariamente i più rimangono perplessi anche di fronte a queste parole: E il Signore parlò a Mosè a faccia a faccia come uno parla al suo amico 167. Tuttavia poco dopo lo stesso Mosè dice: Ordunque, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, mostrati a me chiaramente, affinché ti veda e trovi grazia agli occhi tuoi e sappia che questo popolo è veramente il tuo popolo 168. E poco dopo ancora: E disse Mosè al Signore: Fammi vedere la tua maestà 169. Com’è che si riteneva da alcuni che nelle apparizioni di cui si è detto prima fosse Dio a farsi vedere nella sua sostanza, tanto che qualche incompetente ha considerato il Figlio di Dio visibile in se stesso e non attraverso le creature e si riteneva che Mosè fosse entrato in mezzo alla caligine, nel senso che agli occhi del popolo si presentava una cortina di nubi 170 mentre dentro le nubi egli contemplava la faccia di Dio e ascoltava le sue parole? Ed in che senso è detto: Il Signore parlò a Mosè a faccia a faccia come chi parla al suo amico 171? Ecco, lo stesso Mosè dice: Se ho trovato grazia al tuo cospetto, mostrati a me chiaramente 172. Evidentemente Mosè si rendeva ben conto di quello che gli appariva in modo materiale e domandava la vera visione di Dio in modo spirituale. Quella conversazione che si manifestava attraverso delle voci, evidentemente era modulata come quella di un amico che parla ad un amico. Ma Dio Padre chi lo vede con gli occhi corporei? Il Verbo, che era al principio ed era Dio e per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 173, chi lo vede con gli occhi corporei? E lo Spirito di sapienza chi lo vede con gli occhi corporei? Che significa poi: Mostrati a me chiaramente 174, se non: "Mostra a me la tua sostanza"? Se Mosè non avesse fatto questa domanda, si sarebbe certo obbligati a sopportare gli sciocchi che ritengono che, attraverso i fatti e le parole sopra raccontati, fosse apparsa visibile la sostanza di Dio agli occhi di Mosè, mentre ci è rivelato in modo evidentissimo che Mosè non poté ottenere tale visione, sebbene ne avesse manifestato il desiderio. Chi oserà dunque affermare che attraverso tali fenomeni, simili a quelli che apparvero in forma visibile anche a Mosè, sia apparso il vero essere di Dio agli occhi di qualche mortale e non invece una creatura docile al volere di Dio?

16. 28. Ed ecco ancora ciò che il Signore dice a Mosè nel seguito del testo: Non potrai vedere la mia faccia e vivere, perché nessun uomo può vedere la mia faccia e vivere. Poi disse: Ecco qui un luogo vicino a me; mettiti su quella roccia, mentre passerà la mia maestà. Io ti porrò al sommo della roccia e ti coprirò con la mia mano finché io non sia passato. Poi ritirerò la mano e vedrai il mio dorso, ma la mia faccia non ti apparirà 175.

Il dorso di Dio significa la carne di Cristo

17. Non senza ragione abitualmente s’intende il dorso di Dio come un’immagine del Signore nostro Gesù Cristo nel senso della carne secondo la quale nacque dalla Vergine, morì, risorse. Dorso di Dio può dirsi la carne di Cristo perché la mortalità è molto inferiore alla divinità, oppure perché egli si è degnato assumerla posteriormente 176, quasi alla fine del mondo; mentre la sua faccia significa quella natura divina nella quale non considerò una rapina la sua somiglianza con Dio Padre 177, natura che nessuno può vedere senza morire 178, oppure perché dopo questa vita, nella quale siamo pellegrini lontani dal Signore 179 e dove il corpo corruttibile pesa sull’anima 180, vedremo Cristo a faccia a faccia 181, come dice l’Apostolo; di questa vita un Salmo dice: Sì, tutta parvenza è ogni uomo che vive 182; ed un altro: perché nessun vivente può giustificarsi davanti a te 183. In questa vita, come afferma Giovanni, non è ancora stato mostrato quello che saremo. Sappiamo - dice - che quando ciò sarà manifesto saremo simili a lui perché lo vedremo quale egli è 184, intendendo evidentemente che ciò fosse riferito all’aldilà, dopo questa vita, quando avremo pagato il debito della morte e ricevuto la promessa della risurrezione. Oppure, perché anche adesso nella misura in cui conosciamo spiritualmente la Sapienza di Dio per mezzo della quale sono state fatte tutte le cose 185 nella stessa misura noi moriamo agli affetti carnali cosicché consideriamo questo mondo come morto a noi, anche noi moriamo a questo mondo e diciamo con l’Apostolo: Il mondo per me è crocifisso ed io per il mondo 186. Infatti di questa morte l’Apostolo dice anche: Se dunque siete morti con Cristo, perché, come viventi nel mondo, vi lasciate imporre i precetti? 187. Non è dunque senza motivo che nessuno potrà, senza morire, vedere la faccia 188, cioè la stessa manifestazione della Sapienza di Dio. Essa è infatti quello splendore verso cui sospira, per contemplarlo, ogni uomo che desidera amare Dio con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, con tutto il suo spirito 189. Per fargli raggiungere tale contemplazione chi ama il suo prossimo come se stesso edifica quanto più può anche il suo prossimo; da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti 190. Questa idea esprime anche lo stesso Mosè che, dopo aver detto, spinto dall’amore di Dio che più di tutto lo bruciava: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrati a me chiaramente perché trovi grazia al tuo cospetto 191, subito per amore anche del prossimo aggiunse: E perché sappia che questo popolo è il tuo popolo 192. Essa dunque è la bellezza il cui desiderio rapisce ogni anima razionale, anima tanto più ardente quanto più pura, tanto più pura quanto più si eleva alle realtà spirituali, tanto più si eleva alle realtà spirituali quanto più muore alle realtà carnali. Ma fino a che siamo pellegrini lontano dal Signore e camminiamo per fede e non per visione 193, è il dorso di Cristo, cioè la sua carne, che dobbiamo guardare per mezzo della stessa fede, ossia fermi sul solido fondamento della fede che la pietra simboleggia: essa dobbiamo contemplare da tale osservatorio perfettamente sicuro, cioè all’interno della Chiesa cattolica, della quale è stato detto: E sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa 194. Infatti con tanta maggior certezza amiamo la faccia di Cristo, che desideriamo vedere, quanto più scopriamo nel suo "dorso" la grandezza dell’amore con cui Cristo per primo ci ha amati 195.

La fede nella risurrezione di Cristo ci salva

17. 29. Tuttavia è la fede della sua risurrezione in quella stessa carne che salva e giustifica: Se infatti - dice l’Apostolo - credi in cuor tuo che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo 196. Il quale - dice ancora l’Apostolo - fu consegnato per i peccati nostri e fu risuscitato per la nostra giustificazione 197. Dunque è la risurrezione del corpo del Signore che è il merito della nostra fede. Che il suo corpo sia morto sulla croce della passione, anche i suoi nemici l’hanno creduto, ma non credono che sia risorto. Ciò credendo con assoluta certezza, noi lo contempliamo, per così dire, da una pietra incrollabile: è per questo che noi attendiamo con confidente speranza l’adozione, il riscatto del nostro corpo 198. Perciò speriamo di vedere nelle membra di Cristo (e queste membra siamo noi) ciò che l’ortodossia della fede ci rivela realizzato in lui, come nel nostro capo. Da quella pietra non vuole essere visto se non nel suo "dorso" dopo che è passato: vuole che noi crediamo nella sua risurrezione. Pasqua infatti è un termine ebraico che significa passaggio. Per questo Giovanni Evangelista afferma: Ma prima della festa di Pasqua, sapendo Gesù che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre 199.

Solo nella Chiesa cattolica vede il dorso di Dio chi crede nella risurrezione di Cristo

17. 30. Quelli che credono questo ma al di fuori della Chiesa cattolica, in qualche scisma o eresia, non vedono il "dorso" del Signore dal luogo posto vicino a lui. Che significa infatti l’espressione del Signore: Ecco un posto vicino a me e tu starai sulla pietra 200? Quale luogo sulla terra è vicino al Signore, se essere vicino a lui non è attingerlo spiritualmente? Infatti quale luogo non è vicino al Signore, che estende la sua potenza da un’estremità all’altra del mondo, e tutto amministra con bontà 201, di cui è stato detto che il cielo è il suo trono e la terra lo sgabello dei suoi piedi; che disse: Qual è la casa che mi costruirete? Dov’è il luogo del mio riposo? Forse che tutte queste cose non sono state fatte dalla mia mano 202? Ma certamente il posto vicino a lui, in cui si sta sulla pietra, è la Chiesa cattolica stessa, nella quale vede con profitto la Pasqua, ossia il passaggio del Signore 203, e il suo "dorso", cioè il suo corpo, chi crede nella risurrezione. È detto: Mettiti sulla roccia, mentre passerà la mia maestà 204. Certo, perché appena è passata la maestà del Signore nella glorificazione di Gesù Cristo che risorge e ascende al Padre, noi siamo stati consolidati sulla pietra 205. E Pietro stesso è stato consolidato allora in modo da poter predicare con coraggio colui che prima di essere stato consolidato aveva negato tre volte per timore 206. Pietro senza dubbio per predestinazione era stato posto al sommo della roccia ma il Signore lo copriva ancora con la mano perché non vedesse. Pietro avrebbe visto più tardi il dorso di Cristo; ma questi non era ancora passato, passato s’intende dalla morte alla vita 207, non era stato ancora glorificato con la risurrezione.

La fede dei Giudei in Cristo risuscitato

17. 31. Più avanti, nell’Esodo, la Scrittura dice: Ti coprirò con la mano finché io non sia passato. Poi ritirerò la mia mano e vedrai il mio dorso 208. Ora molti Israeliti, che in quel momento Mosè prefigurava, dopo la risurrezione del Signore, credettero in lui, come se già ne vedessero il "dorso" e non avessero più la sua mano sui loro occhi. Perciò l’Evangelista ricorda questa profezia di Isaia: Rendi ottuso il cuore di questo popolo e ottura le sue orecchie e i suoi occhi accieca 209. Infine non è assurdo intendere che si parli di loro nel Salmo: Poiché di giorno e di notte si è appesantita su di me la tua mano 210; di giorno, cioè quando forse faceva i miracoli evidenti e tuttavia non era riconosciuto da essi; di notte, invece, quando egli moriva nella sua passione ed essi erano certi della sua morte e della sua scomparsa come di quelle di qualsiasi altro uomo. Ma quando fu passato in modo che non potessero vederne che il "dorso", per la predicazione loro rivolta dall’apostolo Pietro sulla necessità che Cristo patisse e risorgesse 211, furono compenetrati dal dolore e dal pentimento 212. Cosicché si realizzò in loro, dopo che furono battezzati, quant’è scritto all’inizio del Salmo citato: Beati coloro ai quali sono state rimesse le iniquità e sono stati cancellati i peccati 213. Per questo il Salmo aveva detto: la tua mano si è appesantita su di me 214, come se il Signore passasse per togliere subito la sua mano e lasciar vedere il suo "dorso"; ma a questo segue la voce di uno che è addolorato e che si accusa, che riceve dalla fede nella risurrezione del Signore la remissione dei peccati: Giacqui in uno stato di tribolazione, mentre sempre più si conficcava la spina. Ho riconosciuto il mio peccato e non ho nascosto la mia iniquità. Ho detto: Voglio confessare contro di me le mie colpe al Signore e tu hai perdonato le iniquità del mio cuore 215. Non dobbiamo infatti lasciarci avvolgere tanto dalla caligine della carne da credere che la faccia del Signore sia invisibile ma che sia visibile il suo dorso, dato che nella forma di servo apparve visibile sotto entrambi gli aspetti. Ma ci si guardi bene dal pensare alcunché di simile in riferimento alla natura divina; sia lungi da noi il pensare che il Verbo di Dio e la Sapienza divina abbia da una parte la faccia e dall’altra il dorso come il corpo umano, o il pensare che in qualsiasi maniera muti d’aspetto o di posto nello spazio o nel tempo.

È temerario affermare che il Padre non sia mai apparso ai Padri in forma visibile

17. 32. Perciò, se in quelle conversazioni che avvenivano al momento dell’Esodo o in tutte quelle manifestazioni corporee si mostrava il Signore Gesù Cristo, ovvero talora Cristo, come induce a pensare l’analisi di questo passo, talaltra lo Spirito Santo, come ci ricordano le osservazioni fatte precedentemente, non ne consegue che Dio Padre non si sia mai manifestato in quei fenomeni. In quei tempi infatti molte apparizioni di questo genere avvennero senza che in esse fossero nominati o designati o il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo, ma furono accompagnate da indicazioni abbastanza chiare, grazie a numerosi indizi, da farci apparire troppo temerario affermare che Dio Padre non si sia mai manifestato ai Patriarchi o ai Profeti sotto forme visibili. Questa opinione è nata da coloro che si sono mostrati incapaci di riconoscere l’unità della Trinità in quelle parole: Al re immortale dei secoli, all’invisibile e unico Dio 216; e: Colui che nessun uomo vide mai, né può vedere 217. Questo la vera fede lo intende come detto della stessa sostanza altissima, supremamente divina e immutabile, nella quale un solo e medesimo Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Mentre quelle apparizioni si sono realizzate per mezzo della creatura mutevole che obbedisce al Dio immutabile ed hanno manifestato Dio non esattamente com’è ma attraverso dei segni, come richiedevano le circostanze e i momenti.

La visione di Daniele

18. 33. Tuttavia non so proprio come questa brava gente spieghi l’apparizione a Daniele dell’Antico dei giorni; dal quale ha ricevuto il regno 218 il Figlio dell’uomo, che si è degnato di farsi tale per noi, cioè da Colui che gli dice secondo i Salmi: Tu sei il mio Figlio, oggi ti ho generato: chiedi a me e ti darò le nazioni per tua eredità; da Colui che tutto ha messo sotto i suoi piedi 219. Se dunque il Padre nell’atto di dare il regno e il Figlio nell’atto di riceverlo apparvero a Daniele sotto forma sensibile, come fanno costoro ad affermare che il Padre non si manifestò mai ai Profeti cosicché egli solo deve intendersi come l’invisibile, che nessuno vide mai, né può vedere 220? Ecco infatti il tenore della narrazione di Daniele: Io continuavo a guardare, quand’ecco furono posti dei troni e l’Antico dei giorni si pose a sedere. La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo simili a lana pura; il suo trono era come vampa di fuoco e le sue ruote come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scendeva davanti a lui; mille migliaia lo servivano e dieci mila miriadi lo assistevano. La corte si assise e furono aperti i libri 221. E poco dopo: Guardando ancora nelle visioni notturne ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno simile ad un figliolo dell’uomo; giunse fino all’Antico dei giorni e fu presentato a lui che gli dette potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni, lingue lo dovranno servire: il suo potere è un potere eterno che mai tramonta e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto 222. Ecco il Padre che dà e il Figlio che riceve il regno eterno e sono ambedue presenti in forma visibile al Profeta. Dunque si ha il diritto di credere che anche Dio Padre apparisse abitualmente in quel modo ai mortali.

Obiezione

18. 34. Ma forse qualcuno insisterà nel dire che il Padre non è visibile perché apparve in sogno a Daniele, mentre il Figlio è visibile come anche lo Spirito Santo, perché Mosè ha ricevuto tutte quelle visioni in stato di veglia. Proprio come se Mosè avesse visto il Verbo e la Sapienza divina con gli occhi del corpo, o come se noi potessimo vedere anche soltanto quel soffio umano che anima questo nostro corpo o lo stesso soffio materiale che si chiama vento 223. Se non sono visibili questi ultimi, tanto meno quel soffio divino che supera gli spiriti di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli per l’inesprimibile sublimità della divina natura. Ci sarà chi cadrà in un errore così grave da affermare che il Figlio e lo Spirito Santo sono visibili anche agli uomini in stato di veglia, mentre il Padre è ad essi visibile solo in sogno? Come possono allora intendere come dette solo del Padre le parole: Colui che nessuno vide mai, né può vedere 224? Forse che gli uomini quando dormono non sono uomini? Ovvero Colui che può produrre delle immagini corporee onde manifestarsi per mezzo di visioni apparse a uomini che sognano, sarebbe incapace di costruire la stessa realtà materiale per manifestarsi alla vista di uomini svegli? La sua essenza per la quale è ciò che è, non può essere manifestata per mezzo di alcuna immagine corporea all’uomo che dorme, con nessuna forma sensibile all’uomo sveglio. Non solo l’essenza del Padre ma anche quella del Figlio e dello Spirito Santo. In ogni caso coloro che dalle visioni in stato di veglia sono messi in tanto imbarazzo da pensare che non il Padre ma solo il Figlio e lo Spirito Santo sono apparsi agli occhi corporei degli uomini (per tacere del grandissimo numero di testi della Scrittura e dell’estrema varietà delle loro interpretazioni che impediscono a chiunque sia sano di mente di affermare che la persona del Padre in nessun luogo si sia manifestata attraverso qualche forma corporea agli occhi di uomini svegli), per tacere dunque di queste, come ho affermato, che dicono costoro del caso del nostro padre Abramo? Egli era certamente sveglio e occupato quando, secondo il passo della Scrittura che inizia dicendo che il Signore apparve ad Abramo, gli apparvero non uno né due ma tre uomini 225, di nessuno dei quali si dice che si distinguesse dagli altri per maggior dignità, più degli altri rifulgesse per maggior onore, che fosse superiore agli altri per maggior potere.

La natura di Dio è invisibile, ma le tre Persone possono manifestarsi attraverso simboli sensibili

18. 35. Quando abbiamo diviso in tre parti la nostra trattazione, avevamo deciso di indagare per prima cosa se il Padre o il Figlio o lo Spirito Santo o invece se talora il Padre, talvolta il Figlio, altre volte lo Spirito Santo, ovvero, senza alcuna distinzione tra le Persone, l’unico e solo Dio, come si dice, cioè la stessa Trinità sia apparsa ai Patriarchi per mezzo di quelle forme tratte dalla creatura. Orbene, dopo aver esaminato i testi della Scrittura che ci è stato possibile 226, tanto quanto ci è parso sufficiente, niente altro ritengo che una indagine umile e prudente dei misteri divini ci inviti a fare se non questo: non affermare recisamente quale Persona della Trinità si sia manifestata ad un determinato Patriarca o Profeta, sotto una determinata cosa o sotto un’immagine sensibile, eccetto nel caso in cui il tenore del testo comprenda alcuni indizi probabili. La natura stessa infatti o la sostanza o l’essenza o con qualunque altro nome si debba chiamare l’essere stesso di Dio, qualunque esso sia, non si può vedere sensibilmente. Si deve invece ammettere che per mezzo della creatura docile a Dio non solo il Figlio o lo Spirito Santo, ma anche il Padre abbia potuto manifestarsi ai sensi degli uomini sotto una forma o un’immagine corporea. Stando così le cose 227, per non allungare oltre misura questo secondo volume, tratteremo le questioni che restano nei seguenti.

 

LIBRO TERZO

Proemio

Motivo per cui Agostino ha deciso di scrivere sulla Trinità

1. 1. Coloro che lo vogliono mi credano: preferisco occuparmi a leggere che a scrivere libri. Quelli che non credono ciò ma possono e vogliono sperimentarlo, mi diano da leggere dei libri con cui si risponda alle mie ricerche e alle domande degli altri, domande che debbo subire per l’incarico che svolgo al servizio di Cristo e perché mi brucia l’ardente desiderio di difendere la nostra fede contro gli errori di uomini carnali e grossolani 1. Vedranno allora con quale facilità mi asterrò da questa fatica e con quanta gioia io lascerò in ozio la mia penna. Ma se delle opere che dobbiamo leggere su questi argomenti non esistono sufficienti edizioni in lingua latina, o non se ne trovano affatto, o in ogni caso possiamo trovarne difficilmente; se d’altra parte non abbiamo tanta pratica della lingua greca da essere capaci di leggere e capire libri che trattano di queste cose (in questo campo, da quel poco che è stato tradotto, non dubito si possa trovare tutto ciò che possiamo utilmente cercare); se d’altra parte non posso resistere ai fratelli che, in forza del loro diritto su di me, divenuto loro servitore, mi chiedono insistentemente di pormi soprattutto al servizio dei loro lodevoli desideri in Cristo con la mia lingua e la mia penna, che sono in me come una biga spronata dalla carità; e se confesso che io stesso scrivendo quest’opera ho imparato molte cose che non sapevo, questo mio lavoro non deve apparire superfluo a chiunque, sia egli un fannullone o una persona molto dotta, dato che a molti che non sono né pigri né dotti, e fra questi anche a me, esso è non poco necessario. Quindi, fortemente sostenuti e aiutati da ciò che abbiamo letto di quanto altri hanno scritto su questo argomento, ho deciso, spintovi da Dio, di studiare e con il suo aiuto di esporre, ciò che ritengo si possa piamente 2 studiare ed esporre sulla Trinità, Dio uno, supremo e supremamente buono. Cosicché, se non esistono altri libri di questo genere, ce ne sia uno da leggere per coloro che abbiano volontà e capacità di farlo; se già ve ne sono, se ne troveranno tanto più facilmente, quanto più ve ne saranno 3.

Attende, più che un lettore benevolo, un critico indipendente

1. 2. Certo, se in tutte le mie opere io desidero non soltanto un lettore benevolo ma anche un critico indipendente, tanto più in questi scritti, in cui volesse Iddio che la stessa importanza dell’argomento spingesse a proporre delle soluzioni tante persone, quante ve ne sono che fanno obiezioni. Ma come non voglio che il mio lettore sia compiacente con me, così non voglio che chi mi critica sia compiacente con sé. Quello non ami me più della fede cattolica, questi non ami se stesso più della verità cattolica. A quello dico: "Non devi sottometterti ai miei scritti come alle Scritture canoniche; in queste anche ciò che non credevi, appena l’avrai scoperto, credilo immediatamente; in quelli invece ciò che non vedi come certo non accettarlo con fermezza, se non l’avrai compreso come certo". Così a questo dico: "Criticherai i miei scritti non in base al tuo modo di vedere o alla tua animosità, ma secondo la Scrittura, o in base ad argomenti indiscutibili. Se vi scoprirai alcunché di vero, la sua presenza non è cosa mia ma deve diventare, per mezzo della comprensione e dell’amore, cosa tua e mia; se invece vi avrai costatato qualcosa di falso, in quanto errore è cosa mia, ma per mezzo della vigilanza bisogna far sì che non sia più né tuo né mio".

Riassunto del libro precedente

1. 3. Questo terzo libro, dunque, inizia dal punto in cui era giunto il secondo. Eravamo pervenuti al punto in cui si voleva mostrare che il Figlio non è inferiore al Padre, perché questi ha mandato, quello è stato mandato, e che lo Spirito Santo non è inferiore né all’uno né all’altro, per il fatto che nel Vangelo si legge 4 che egli è stato mandato dall’uno e dall’altro. Poiché il Figlio è stato mandato dov’era, dato che venne in questo mondo 5, ed era già in questo mondo 6, e poiché anche lo Spirito Santo è stato mandato là dove egli era, dato che lo Spirito del Signore riempie l’universo e tutto abbraccia e sa tutto ciò che si dice 7, avevamo iniziato a studiare questa questione: se il Signore sia stato mandato dalle profondità dell’invisibile in quanto è nato nella carne e, come se fosse uscito dal seno del Padre, apparve agli occhi degli uomini in natura di servo 8; se perciò anche lo Spirito Santo sia stato mandato in quanto anch’egli apparve sotto l’apparenza corporea di una colomba 9, e di fuoco diviso in forma di lingue 10, cosicché l’essere mandati abbia significato per essi uscire, agli occhi dei mortali, dalle segrete profondità spirituali, sotto qualche forma corporea, e così, poiché il Padre non ha fatto ciò, la Scrittura dica di lui che ha mandato soltanto, non che sia stato anche mandato. Ci si è poi domandato per quale motivo la Scrittura non dica qualche volta che il Padre è stato mandato, se era lui che si manifestava per mezzo di quelle forme corporee che apparvero agli occhi degli antichi. Se invece allora era il Figlio che si manifestava, per quale motivo sarebbe detto "inviato" tanto tempo dopo, ossia quando era venuta la pienezza dei tempi 11, perché nascesse da donna, dato che era mandato anche prima, quando cioè appariva sensibilmente in quei fenomeni? E se è esatto che lo si dica "inviato" solo quando il Verbo si è fatto carne 12, perché allora si legge nella Scrittura che lo Spirito Santo è stato mandato, se di lui non si ebbe una simile incarnazione? Se invece in quelle antiche apparizioni non si manifestava né il Padre, né il Figlio, ma lo Spirito Santo, perché anch’egli soltanto ora è detto "inviato", se già prima era mandato in queste diverse maniere? Poi abbiamo fatto una suddivisione affinché queste cose venissero trattate con la più grande diligenza, e abbiamo posto tre questioni. La prima è stata risolta nel secondo libro; ne restano due, e di esse inizierò a trattare ora 13. Infatti si è già indagato e dimostrato che, sotto quelle antiche forme sensibili e sotto quelle apparizioni, non si è solo manifestato il Padre né solo il Figlio, né solo lo Spirito Santo ma, senza restrizione alcuna, il Signore Dio in cui riconosciamo la Trinità stessa, ovvero una qualunque delle Persone della Trinità, che il testo della narrazione indicava attraverso alcune circostanze.

Secondo problema: Dio per manifestarsi ha creato un nuovo essere, o ha fatto ricorso agli Angeli?

1. 4. Ora anzitutto esaminiamo quanto segue. Al secondo posto nella nostra suddivisione c’era questa domanda: è stato creato appositamente un essere, solo per svolgere questa funzione, un essere in cui Dio si manifestasse agli sguardi degli uomini secondo che egli riteneva opportuno in quel momento, oppure venivano mandati degli Angeli che già esistevano, perché parlassero in nome di Dio, assumendo un’apparenza corporea, tratta dal mondo sensibile, secondo le esigenze della loro missione, ovvero modificando e trasformando 14, secondo il loro volere, lo stesso loro corpo (al quale non obbediscono, ma che, sottomesso, obbedisce loro) in apparenze appropriate e adatte ai loro compiti, in forza del potere loro concesso dal Creatore? Trattata questa parte della questione, nella misura che il Signore concederà, si dovrà infine vedere la questione che ci eravamo proposti di studiare: il Figlio e lo Spirito Santo erano già stati mandati anche prima e, se è così, che differenza esiste tra questa missione e quella di cui si legge nel Vangelo 15? Oppure nessuno dei due è stato mandato prima che il Figlio nascesse da Maria vergine o che lo Spirito Santo apparisse visibilmente nella colomba e nelle lingue di fuoco 16?

Natura dell’azione degli Angeli

1. 5. Ma confesso che supera le forze del mio spirito decidere se gli Angeli, conservando la spiritualità del loro corpo, operando con questa in maniera più segreta, assumano dagli esseri inferiori più corpulenti un qualcosa che, adattato a loro, mutino come se fosse una veste e lo trasformino in ogni sorta di forme sensibili anch’esse vere, come vera acqua fu mutata dal Signore in vero vino 17; ovvero se trasformino proprio i loro stessi corpi, come vogliono, in maniera adatta a ciò che fanno. Ma qualunque di queste due ipotesi sia vera, non è cosa che importi per la presente questione. Sono un uomo e nessuna esperienza può permettermi di comprendere queste cose, come le comprendono gli Angeli che fanno tutto questo e lo conoscono molto meglio di quanto io sappia come il mio corpo è modificato dalla disposizione della mia volontà, esperienza che ho fatto sia in me, sia negli altri. Ma non è opportuno dire ora che cosa m’inclini a credere su questo problema l’autorità della divina Scrittura, perché sarei costretto a provarlo e ne deriverebbe un discorso troppo lungo su di un argomento che non è necessario alla presente questione.

Compito degli Angeli nelle teofanie

1. 6. Ora dobbiamo vedere questo: erano opere degli Angeli quelle forme corporee che apparivano agli occhi degli uomini e quelle voci che risuonavano ai loro orecchi, quando le creature sensibili, docili al volere del Creatore, prendevano le forme adatte alle circostanze? Di tale docilità nel libro della Sapienza è scritto: La creatura infatti che obbedisce a te che l’hai fatta, esplica la sua energia per castigare gli ingiusti e si modera per beneficare quelli che confidano in te. Perciò anche allora adattandosi a tutti questi cambiamenti serviva la tua benignità che tutto nutre, secondo il volere di coloro che aspiravano a te 18. La potenza della volontà divina, per mezzo delle creature spirituali, giunge fino agli effetti visibili e sensibili delle creature corporee. Dove infatti non opera ciò che vuole la Sapienza di Dio 19 onnipotente, la quale estende la sua forza da un’estremità all’altra del mondo e tutto amministra con bontà 20?

La volontà divina causa suprema di tutto

2. 7. Ma una cosa è l’ordine naturale nelle trasformazioni o variazioni dei corpi, il quale sebbene sia sottoposto a Dio 21, tuttavia per la sua abituale costanza ha perduto ogni fascino; così sono tutti i fenomeni di nascita, di morte, di mutazione, che si ripetono in cielo, in terra, in mare a intervalli brevissimi o certo non lunghi. Altra cosa è lo stesso ordine naturale dei fenomeni meno comuni che accadono a lunghi intervalli di tempo. Anche questi però, benché lascino stupita molta gente, sono fenomeni che gli studiosi di scienze naturali hanno ormai spiegato, e sono diventati nel volgere delle generazioni tanto meno meravigliosi quanto più ripetuti e noti. Tali sono le eclissi di sole o di luna, certi fenomeni siderali rari, i terremoti, i parti mostruosi degli animali ed altri fatti consimili, nessuno dei quali si compie senza la volontà di Dio, sebbene ciò non appaia ai più. E così, nella loro vanità, i filosofi, incapaci di scorgere la causa superiore a tutte le altre, ossia la volontà di Dio, hanno potuto attribuire quei fenomeni ad altre cause, o vere, ma prossime, o false e non suggerite affatto dalle loro ricerche sugli esseri corporei ed i loro ritmi, ma solo dai loro pregiudizi ed errori.

Esempi

2. 8. Farò, se possibile, qualche esempio che renda più chiare queste cose. Certo il corpo umano presenta una massa di carne, una forma elegante, membra tra loro armonizzate e differenziate, un certo equilibrio della salute. In esso è stata ispirata un’anima che lo governa ed essa è un’anima razionale, tale cioè che, sebbene mutevole, possa partecipare alla sapienza immutabile, così da essere compartecipe di una medesima realtà, come in un Salmo si legge di tutti i santi, con il concorso dei quali, quasi fossero pietre vive, si va edificando nei cieli la Gerusalemme di lassù, la nostra Madre eterna 22. Dice infatti il Salmo: Si edifica Gerusalemme come città di compartecipanti ad una stessa realtà 23. Questa stessa realtà indica qui il Bene sommo ed immutabile che è Dio, la sua sapienza e la sua volontà. Di lui si canta in altro Salmo: Tu li muterai ed essi muteranno, ma tu rimarrai lo stesso 24.

La volontà di Dio causa suprema agisce per mezzo dell’anima del giusto

3. Rappresentiamoci dunque con il pensiero un saggio la cui anima ragionevole sia già partecipe della immutabile ed eterna verità, che la consulti circa tutte le azioni e non faccia assolutamente nulla che in essa non abbia visto doversi fare, per agire virtuosamente nella sottomissione e nell’obbedienza ad essa. Supponiamo che quest’uomo, dopo aver interrogato la legge suprema della giustizia divina, udita misteriosamente con l’orecchio del suo cuore, e per comando di essa, spossi il suo corpo in qualche opera di misericordia e contragga una malattia e, consultati i medici, senta l’uno diagnosticare come causa della malattia la mancanza di umore nel corpo, l’altro l’eccesso di umori; l’uno di essi indicherebbe la vera causa, l’altro sbaglierebbe, ma sia l’uno che l’altro si pronuncerebbe circa le cause prossime, ossia circa quelle corporee. Ma se si cercasse la causa di quell’essiccamento e si trovasse che è la fatica volontaria, si sarebbe giunti già ad una causa superiore, proveniente dall’anima che governa il corpo e influisce su di esso. Ma nemmeno questa sarebbe la causa prima. Questa causa prima era da identificarsi senza dubbio nella stessa sapienza immutabile, che l’anima di questo saggio aveva servito per amore, ed ai cui comandi misteriosi aveva obbedito nell’intraprendere la fatica volontaria; perciò si scoprirebbe con assoluta esattezza che la causa prima di quella malattia non sarebbe che la volontà di Dio. Supponiamo ora che quel saggio nel compiere quel lavoro, intrapreso per dovere e per pietà, si sia servito di aiutanti che abbiano collaborato alla sua opera buona, ma senza servire Dio con la medesima volontà, bensì unicamente per venire in possesso di una ricompensa, oggetto delle loro cupidigie carnali, oppure per evitare delle noie materiali. Supponiamo che abbia anche fatto uso, se lo esigeva il compimento dell’opera intrapresa, di animali da soma; questi sono esseri animati privi di ragione e perciò non muoverebbero le loro membra sotto i carichi, perché convinti di fare un’opera buona, ma solo spinti dall’istinto del loro godimento e per evitare i maltrattamenti. Supponiamo infine che abbia usato anche di cose corporee sprovviste di sensibilità, necessarie alla sua opera, cioè frumento, vino, olio, vestiti, denaro, libri e qualsiasi altra cosa simile. Tutti i corpi usati in questo lavoro, corpi animati o inanimati, sarebbero mossi, consumati, riparati, distrutti, di nuovo prodotti e sotto l’azione dello spazio e del tempo subirebbero trasformazioni sempre nuove. Ebbene la causa di tutti questi fatti visibili e mutevoli sarebbe forse diversa dalla invisibile e immutabile volontà di Dio, che per mezzo dell’anima pia, divenuta quasi sede della sapienza, si serve di tutte le cose, sia delle anime cattive e irragionevoli, sia di corpi da esse animati e vivificati, sia di corpi inerti, prendendo a proprio servizio prima di ogni altra cosa la stessa anima buona e santa, dopo averla indotta ad una devota e sincera sottomissione?

La volontà di Dio dispone di tutti gli esseri secondo le sue irrevocabili decisioni

4. 9. L’ipotesi che noi abbiamo fatto in forma di esempio, circa un solo uomo saggio, sebbene ancora vivente in corpo mortale, ed in possesso di una visione parziale 25, è possibile estenderla ad una casa in cui abita una comunità di tali saggi, ad una città o anche alla terra intera, nel caso che l’impero e il governo delle cose umane 26 sia nelle mani di uomini saggi, religiosamente e pienamente sottomessi a Dio. Ma, poiché questo non si è ancora avverato (prima infatti occorre che, in questo pellegrinaggio durante la vita mortale, ci esercitiamo e ci educhiamo tra i flagelli con la forza della mansuetudine e della dolcezza), raffiguriamoci proprio quella patria superiore e celeste dalla quale siamo lontani. Lassù la volontà di Dio, che ha i venti per suoi messaggeri, i lampi di fuoco per suoi ministri 27, presiede sul suo trono alto, santo, segreto, nella sua casa, nel suo tempio, tra gli spiriti che unisce tra loro una suprema pace ed amicizia, e fonde in un solo cuore l’ardore della carità. Di là si diffonde dappertutto, movendo con ordine perfettissimo prima le creature spirituali, poi quelle materiali. Di tutte le cose si serve secondo le sue irrevocabili decisioni; delle immateriali e delle materiali, degli spiriti ragionevoli e irragionevoli, di coloro che per la sua grazia sono buoni e di coloro che per la loro propria volontà sono cattivi. Ma come i corpi più pesanti e più deboli sono governati secondo un ordine determinato da corpi più sottili e più potenti, così tutti i corpi sono governati da un essere vivente ed il vivente privo di ragione da un vivente ragionevole, il vivente ragionevole che si è fatto disertore e peccatore da un vivente ragionevole, pio e giusto, e questo da Dio stesso; così tutta la creazione è governata dal suo Creatore, dal quale, per mezzo del quale e nel quale è stata anche creata e ordinata 28. Di conseguenza la volontà di Dio è la causa prima e suprema di tutte le forme e i movimenti sensibili. Niente infatti di visibile e sensibile accade senza che dal profondo del suo palazzo invisibile ed intelligibile il supremo Sovrano l’abbia comandato o l’abbia permesso, in conformità alla ineffabile ripartizione dei premi e delle pene, delle grazie e delle ricompense in questo vastissimo e immenso Stato, che è l’intera creazione.

L’azione di Dio nella consacrazione dell’Eucaristia

4. 10. L’apostolo Paolo, benché portasse ancora il fardello del corpo che si corrompe e pesa sull’anima 29, benché vedesse ancora in maniera imperfetta ed enigmatica 30, desideroso di sciogliersi dal corpo e di stare con Cristo 31, dolente nell’attendere come diritto di adozione la redenzione del proprio corpo 32, nondimeno poté predicare il Signore Gesù Cristo 33, presentandolo in modi diversi con la sua voce, le sue lettere, con il Sacramento del corpo e del sangue di lui; corpo e sangue di Cristo non chiamiamo né la voce di Paolo, né le sue pergamene e il suo inchiostro, né le sue parole, né i caratteri tracciati nei suoi volumi, bensì solo quanto noi preleviamo dai frutti della terra, consacriamo con la preghiera mistica e consumiamo ritualmente per la nostra salvezza spirituale, commemorando la passione per noi sofferta dal Signore 34. Tutto ciò acquista le sue apparenze visibili attraverso il lavoro degli uomini, ma solo attraverso l’intervento invisibile dello Spirito di Dio la santità lo fa così grande Sacramento, perché tutti i cambiamenti che si producono in quel rito li compie Dio muovendo primieramente le parti invisibili dei suoi ministri, cioè le anime degli uomini e le prestazioni a lui dovute dagli spiriti occulti. Ora, dopo tutto questo, come meravigliarci che anche nelle creature del cielo, della terra, del mare e dell’aria Dio produca a suo piacimento fenomeni sensibili e visibili per presentarsi e mostrarsi in essi nelle maniere da lui giudicate opportune, non potendo apparire nella sua sostanza che è assolutamente immutabile, troppo più alta, segreta e inaccessibile di tutti gli spiriti da lui creati?

L’azione di Dio nei miracoli

5. 11. La potenza divina che governa le creature spirituali e materiali, tutti gli anni in giorni fissati, chiama a raccolta le acque del mare e le effonde sulla superficie della terra. Ma quando ciò accadde per la preghiera del santo Elia, poiché vi era stata prima una siccità così continua e lunga che gli uomini morivano di fame e, nemmeno al momento in cui quel servo di Dio pregò, l’atmosfera con qualche traccia di umidità aveva preannunciato una pioggia imminente, allora, per il dono di una pioggia così abbondante e rapida, si manifestò, a coloro ai quali veniva destinato e concesso il miracolo, la potenza divina 35. Così pure è Dio l’autore di quei fulmini e di quei tuoni ai quali siamo abituati, ma poiché essi sul monte Sinai assunsero un aspetto inconsueto e quei suoni echeggiavano senza fare un rumore disordinato, ma invece si capiva da indizi assolutamente certi che essi avevano un significato, erano dei miracoli 36. Chi fa salire la linfa attraverso le radici fino al grappolo e produce il vino, se non Dio che fa crescere quanto l’uomo pianta e innaffia 37? Ma quando, per comando del Signore, l’acqua con inusitata rapidità fu trasformata in vino 38, si rivelò chiaramente la potenza divina, per ammissione degli stessi stolti. Chi, se non Dio, ammanta con solennità gli alberi di fronde e di fiori? Ma il fiorire della verga del sacerdote Aronne fu come un colloquio della divinità con l’umanità, assillata dal dubbio 39. C’è certamente una materia terrestre comune a tutti gli alberi ed ai corpi di tutti gli animali, materia dalla quale essi nascono e si sviluppano; e chi la produce se non Colui che ordinò alla terra di produrre questi esseri e con la stessa sua parola governa e muove le cose che ha creato 40? Ma quando mutò immediatamente e rapidamente quella stessa materia, che costituiva la verga di Mosè, nella carne di un serpente, fu un miracolo 41; mutazione di una cosa mutevole, ma pur mutazione straordinaria. Chi ancora anima tutti i viventi quando nascono, se non Colui che animò momentaneamente anche quel serpente, come era richiesto dalle circostanze?

6. E chi restituiva le anime ai cadaveri per la risurrezione dei morti 42, se non Colui che dona le anime ai feti nel seno delle madri per la nascita di coloro che poi moriranno? Ma finché questi fatti continuano ad accadere come un fiume di cose che appaiono e scompaiono, passando dall’occulto allo scoperto, e dallo scoperto all’occulto, li diciamo fatti naturali. Quando invece si improvvisano per cambiamenti insoliti ad ammonimento degli uomini, allora li chiamiamo prodigi.

Le arti magiche non possono produrre nulla, se non per permissione divina

7. 12. A questo punto prevedo quale difficoltà possa presentarsi ad uno spirito debole: come mai questi miracoli vengono compiuti anche con le arti magiche? Infatti anche i magi del Faraone hanno in modo simile prodotto dei serpenti ed altri fenomeni dello stesso genere 43. Ma vi è una cosa ancor più straordinaria: come mai quella potenza dei magi, che ebbe la capacità di produrre i serpenti, si mostrò del tutto insufficiente, quando si trattò di produrre delle mosche minutissime? Quelle infatti che la Scrittura chiama "scinifi" sono mosche minutissime e costituirono la terza piaga che colpì l’orgoglioso popolo egiziano 44. È proprio allora che i magi, rimasti impotenti, dissero: Questo è il dito di Dio 45. Questo fatto induce a pensare che nemmeno gli angeli prevaricatori e le potenze dell’aria, precipitate dall’alto del loro soggiorno di celeste purità 46 nel fondo di queste tenebre come nel carcere che è loro adatto, esse che danno alla magia tutto il potere che ha, siano capaci di qualcosa senza un potere che è dato dall’alto 47. Tale potere viene dato o per ingannare gli ingannatori, come è stato dato contro gli Egiziani ed anche contro gli stessi magi perché fossero oggetto di ammirazione in quello che facevano per seduzione diabolica, e oggetto di condanna per il giusto giudizio di Dio; oppure viene dato per distogliere i fedeli dal desiderio di fare cose simili, come se il farle avesse grande importanza; è per questo che la Scrittura ce le ha narrate con la sua autorità. Viene anche data per esercitare, mettere alla prova e manifestare chiaramente la pazienza dei giusti. Infatti per miracoli visibili di non piccola potenza Giobbe venne a perdere tutte le sue ricchezze e i figli e la stessa salute fisica 48.

Solo Dio crea, gli angeli cattivi non sono creatori nella magia

8. 13. Tuttavia non si deve ritenere che questa materia delle cose visibili sia incondizionatamente soggetta alla volontà di questi angeli prevaricatori e che essi la dominino a loro piacimento, ma è invece soggetta a Dio che concede ad essi questa potenza, come l’Immutabile lo giudica conveniente dal suo trono sublime e spirituale. Infatti anche i criminali condannati alle miniere hanno a disposizione dell’acqua, del fuoco e della terra per farne ciò che vogliono, ma nella misura che è loro concesso. Non è certamente ragionevole chiamare creatori quegli angeli cattivi, per il solo fatto che, grazie a loro, i magi, che resistevano al servitore di Dio, fecero delle rane e dei serpenti 49; infatti non furono loro a crearli. Poiché di tutte le cose che nascono materialmente e visibilmente sono presenti negli elementi materiali di questo mondo certi misteriosi semi. Una cosa infatti sono i semi già visibili ai nostri occhi, nei frutti e negli animali, un’altra cosa sono i misteriosi semi con i quali, al comando del Creatore, l’acqua ha prodotto i primi pesci e i primi volatili, la terra i primi suoi germogli ed i suoi primi animali secondo la loro specie 50. E nella realizzazione di queste prime nascite non si esaurì la forza vitale di quei semi, soltanto che ad essi spesso vengono meno le condizioni favorevoli per svilupparsi e produrre la loro specie. Per esempio: un piccolissimo virgulto è un seme. Infatti convenientemente affidato al terreno diviene albero. Ma di questo ramoscello c’è un seme più piccolo della stessa specie: un grano, e fino a questo punto si tratta sempre di qualcosa che possiamo vedere. Anche di questo granello poi la ragione esige che ci sia un seme, per quanto invisibile ai nostri occhi, perché se tali semi non si trovassero in questi elementi terreni, non vedremmo così spesso spuntare dalla terra piante mai seminate, o sia in terra che nell’acqua nascere senza congiungimento tra maschi e femmine tanti animali che crescono e ne riproducono altri per congiungimento, sebbene siano nati senza di esso. Ed è fuori dubbio che le api non concepiscono i semi dei loro figli mediante l’accoppiamento, ma raccolgono con la bocca questi germi disseminati in qualche modo per il suolo 51. Dunque il Creatore dei germi invisibili è il vero Creatore di tutte le cose 52, perché tutte le cose che nascendo appaiono ai nostri occhi, prendono dai semi nascosti il punto di partenza della loro crescita; e lo sviluppo della loro statura normale e la differenziazione delle loro forme provengono, per così dire, dalle leggi delle loro origini. Perciò come noi non chiamiamo i nostri genitori creatori di uomini né gli agricoltori creatori di messi, sebbene sia con il concorso esterno della loro attività che la potenza di Dio interiormente opera la creazione di queste cose, allo stesso modo non è permesso ritenere creatori non soltanto gli angeli cattivi ma nemmeno quelli buoni, anche se la sottigliezza della loro sensibilità e del loro corpo ha loro permesso di scoprire i semi di queste cose, germi a noi più sconosciuti, e che essi segretamente spargono, con il favore di adatte combinazioni di elementi, provocando così le condizioni favorevoli e allo sbocciare e allo svilupparsi rapido degli esseri. Ma né i buoni fanno questo se non nella misura in cui Dio lo comanda, né i cattivi lo fanno ingiustamente, se non nella misura in cui egli giustamente lo permette. Ingiusta è infatti la volontà dei cattivi che è loro fornita a causa della loro malizia, ma giusto è il potere che viene loro concesso sia a loro castigo sia nei riguardi degli altri a castigo dei cattivi o a premio dei buoni.

Anche il nostro spirito non può essere formato con la giustificazione se non da Dio

8. 14. È per questo che l’apostolo Paolo, distinguendo l’azione di Dio, che crea e plasma all’interno, da quella della creatura che agisce all’esterno, e prendendo un’immagine dall’agricoltura, dice: Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere 53. Come dunque nella nostra stessa vita solo Dio può formare il nostro spirito giustificandolo, mentre predicare esteriormente il Vangelo lo possono anche gli uomini, non solo quelli veramente buoni, ma anche, all’occasione, i cattivi 54, così la creazione delle cose visibili la compie Dio segretamente, mentre le attività esterne dei buoni e dei cattivi, degli Angeli e degli uomini e di ogni specie di animali egli le applica alla natura dove tutto crea, come applica l’agricoltura al terreno, secondo la propria volontà e la distribuzione che ha fatto dei poteri e degli istinti. Perciò non posso dire che gli angeli cattivi, evocati con le arti magiche, siano stati i creatori delle rane e dei serpenti 55, come non posso chiamare gli uomini cattivi creatori di una messe che avrò visto crescere per loro opera 56.

Nemmeno Giacobbe è stato il creatore dei colori delle sue pecore

8. 15. Così nemmeno Giacobbe fu il creatore dei colori delle sue pecore per aver messo davanti agli occhi delle femmine nel periodo della concezione verghe variopinte, mentre esse bevevano. E neppure le pecore crearono i colori variegati della loro prole, in quanto la loro anima aveva ritenuto l’immagine variopinta impressavi per mezzo degli occhi che avevano visto le verghe di vari colori. Questa immagine non poté influire, per l’emozione dell’accoppiamento, che su un corpo animato da uno spirito così impressionato da rendere maculati i teneri embrioni dei piccoli 57. L’influsso reciproco, dell’anima sul corpo e del corpo sull’anima, si fonda su corrispondenze razionali immutabilmente viventi nella stessa Sapienza di Dio 58, quella Sapienza che nessuno spazio racchiude. Essa, pur essendo immutabile, non abbandona nessun essere anche mutevole, perché nessuno di essi è stato creato se non per mezzo di essa 59. È stata la norma dell’immutabile e invisibile Sapienza di Dio, per mezzo della quale tutte le cose sono state create, a far sì che dalle pecore nascessero non delle verghe ma delle pecore 60; ma è stata l’anima della pecora gravida, impressionata dall’esterno per mezzo della vista, e che interiormente seguiva in sé, a suo modo, la legge della generazione ricevuta dalla segreta potenza del suo Creatore, a far sì che l’iridescenza delle verghe avesse un qualche influsso sul colore delle pecore concepite. Circa la potenza che ha l’anima nell’influire sulla materia corporea e nel trasformarla, molto si potrebbe dire, ma non è un discorso necessario al nostro assunto. In ogni caso non si può affermare che l’anima crei il corpo perché ogni causa di una sostanza mutevole e sensibile, la misura, il numero, il peso che la fanno essere, la natura che la fa questa o quella, derivano da quella vita spirituale e immutabile che esiste e sussiste al di sopra di tutte le cose e si diffonde fino alle cose ultime e terrene. Ho ritenuto di dover ricordare senz’altro quanto ha fatto Giacobbe con le sue pecore perché si comprendesse che, se non si può chiamare creatore dei colori degli agnelli e dei capretti un uomo che ha così disposto le verghe, né le stesse anime delle femmine che, nei limiti posti dalla natura, impressero sui piccoli corpi concepiti nella carne l’immagine variegata concepita per mezzo degli occhi del corpo, tanto meno possono essere detti creatori delle rane e dei serpenti gli angeli cattivi per intervento dei quali i magi del Faraone compirono quei prodigi 61.

Solo Dio crea e governa le cose, le creature possono intervenire solo dall’esterno

9. 16. Infatti altra cosa è costruire e governare la creazione dal centro e dalla sommità del cardine delle cose, chi fa questo è l’unico Creatore, Dio 62, altra cosa intervenire dal di fuori secondo le forze e le possibilità da lui distribuite per portare alla luce ciò che viene da lui creato in questo o in quel momento, in questa o quella maniera. Senza dubbio tutte le cose che noi vediamo sono già state create originariamente e fondamentalmente in una specie di trama degli elementi, ma solo quando ci sono le occasioni favorevoli vengono fuori. Infatti, come le madri sono gravide della loro prole, così il mondo stesso è gravido dei princìpi delle cose che nascono; princìpi che non vengono creati nel mondo se non da quella suprema Essenza, nella quale nulla nasce, nulla muore. Invece applicare esternamente le cause contingenti, che sebbene non naturali, tuttavia si applicano in armonia con la natura, per trarne fuori in qualche modo dal profondo seno della natura gli esseri che esso tiene nascosti e in qualche modo crearli esteriormente con il dispiegamento delle loro misure, numeri e pesi che essi hanno ricevuto segretamente da Colui che ha ordinato ogni cosa con misura ordine e peso 63, è possibile non solo agli angeli cattivi ma anche agli uomini cattivi, come ho dimostrato sopra con l’esempio dell’agricoltura 64.

La rapidità di sviluppo di alcuni germi desta meraviglia

9. 17. Ma perché non si pensi diversamente degli animali per il fatto che hanno la vita con l’istinto di cercare quanto è secondo la loro natura e di evitare quanto le è contrario, dobbiamo osservare pure che molti uomini sanno da quali erbe o carni o succhi e umori di ogni sorta, lasciati come si presentano o posti al coperto o triturati e mescolati siano soliti nascere determinati animali. Ora, chi di costoro è tanto stolto da dirsi creatore di questi animali? Se dunque qualsiasi uomo, anche il più cattivo, può sapere da dove nascono quei vermi e quelle mosche, come può destare meraviglia che gli angeli cattivi con la sottigliezza della loro sensibilità conoscano nei semi più segreti degli elementi la possibilità di far nascere rane e serpenti 65 e, senza crearli, li facciano nascere attraverso trasformazioni occulte suscitando certe condizioni favorevoli a loro note? Ma gli uomini non si meravigliano di quelle cose che gli uomini sono soliti fare. Che se qualcuno eventualmente si stupisce della rapidità degli sviluppi, in quanto quegli animali si produssero all’improvviso, avverta che gli uomini, proporzionalmente, ottengono cose simili. Come avviene infatti che i medesimi corpi inverminiscano più rapidamente nell’estate che nell’inverno, più rapidamente in luoghi caldi che in luoghi freddi? Ma queste forze naturali vengono applicate dagli uomini con tanta maggior difficoltà quanto più manca alle loro membra terrene e lente l’acutezza sensitiva e l’agilità fisica. Perciò quanto più è agevole a tutti gli Angeli trarre dagli elementi le loro risorse immediate, tanto più sorprendenti appaiono le loro agilità in tali operazioni.

Solo Dio crea

9. 18. Creatore è solamente colui che produce queste cose come causa prima. E nessuno lo può all’infuori di colui presso il quale sono originariamente le misure, i numeri, i pesi di tutte le cose che esistono: e questi è soltanto Dio creatore 66, dalla cui ineffabile sovranità dipende che quanto gli angeli cattivi potrebbero fare, se fosse loro permesso, non lo possano invece fare perché egli non lo permette loro. Infatti non si potrebbe trovare altro motivo per cui non poterono produrre delle mosche piccolissime, quelli che avevano prodotto rane e serpenti, se non questo: c’era un potere più alto, quello di Dio, che lo impediva per mezzo dello Spirito Santo, come lo riconobbero gli stessi magi dicendo: Questo è il dito di Dio 67. Che cosa poi possano per loro natura, che cosa non possano per proibizione, che cosa non sia loro permesso dalle loro condizioni naturali, è difficile all’uomo chiarire, anzi impossibile, se non in virtù di quel dono divino 68 che l’Apostolo ricorda quando dice: ad un altro il discernimento degli spiriti 69. Sappiamo infatti che un uomo può camminare e che non può nemmeno questo, se gli è impedito, ma sappiamo che non può volare anche se gli viene dato il permesso. Gli angeli cattivi possono fare alcune cose se per volere di Dio gli angeli superiori li lasciano liberi; altre cose invece non le potrebbero fare anche se gli angeli superiori li lasciassero liberi; perché non lo concede Colui che ha dato loro la natura angelica. Anzi il più delle volte per mezzo dei suoi angeli impedisce loro di esercitare anche le loro capacità naturali.

Dio non interviene personalmente in tutti i miracoli

9. 19. Ebbene lasciamo da parte quei fenomeni materiali che nell’ordine naturale delle cose accadono secondo il corso più normale dei tempi, come il sorgere e il tramontare degli astri, le nascite e le morti degli animali, le varietà innumerevoli dei semi e dei germi, le nuvole e le nubi, le nevi e le piogge, le folgori e i tuoni, i fulmini e le grandini, i venti e il fuoco, il freddo e il caldo e tutti i fenomeni come questi; lasciamo da parte anche quelli che nel medesimo ordine di realtà sono insoliti come: eclissi, apparizioni straordinarie degli astri, esseri mostruosi, terremoti e simili; lasciamo dunque da parte tutti questi fenomeni la cui causa prima e suprema è solo la volontà di Dio. Per questo un Salmo, dopo che sono stati ricordati alcuni fenomeni di questo genere: il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, la tempesta, il vento procelloso 70, perché non venissero attribuiti al caso o solo a cause corporee o anche spirituali, ma sempre indipendenti dalla volontà di Dio, subito aggiunge: che obbediscono alla sua parola 71.

10. Ma, come avevo incominciato a dire, lasciati da parte questi fenomeni, differenti sono quelli che, sebbene appartenenti al mondo corporeo, vengono a cadere sotto i nostri sensi per farci conoscere qualcosa da parte di Dio. Questi sono detti propriamente miracoli e segni. Ma non tutte le volte che ci viene data una comunicazione divina, appare la stessa persona di Dio. Quando appare, talvolta si manifesta per mezzo di un Angelo, talaltra sotto una forma che non è quella di un angelo, sebbene venga utilizzata dopo che è stata preparata per opera di un Angelo; anche quando appare per mezzo di una forma che non è quella di un angelo, talvolta questa forma esisteva allo stato di corpo che viene sottoposto a qualche trasformazione per divenire atto a questa determinata rivelazione, altre volte essa viene prodotta soltanto per questo compito e, svolto questo compito, scompare. Così per esempio quando gli uomini annunziano la parola di Dio, a volte la ripetono a suo nome, come quando a tale annuncio sono premesse le parole: Il Signore ha detto 72, oppure: Questo dice il Signore 73, ed espressioni di questo genere; altre volte invece senza alcun preambolo simile si mettono al posto di Dio stesso, come quando è detto: Io ti istruirò e ti porrò su questa via nella quale dovrai camminare 74. A questo modo ad un Profeta viene dato il compito di simboleggiare non solo nelle parole ma anche nei suoi atti la persona di Dio per rappresentarla nel suo ministero di profeta. Così rappresentava la persona di Dio il Profeta che divise la sua veste in dodici parti e ne dette dieci al servo del re Salomone, al futuro re d’Israele 75. Talvolta ancora è una cosa diversa dal profeta ma già esistente tra le realtà di questa terra che è stata assunta quale simbolo, come ha fatto Giacobbe, risvegliato dal suo sonno, con la pietra che, mentre dormiva, teneva sotto il suo capo 76; qualche volta la forma simbolica è prodotta proprio per questo scopo ed è destinata ad esistere qualche tempo, come fu possibile per il famoso serpente di bronzo innalzato nel deserto 77 e come è possibile per uno scritto; oppure essa è destinata a scomparire, una volta svolto il suo compito, come il pane che, preparato a questo scopo, è consumato quando è ricevuto il sacramento.

Non tutti i miracoli sono fenomeni straordinari

10. 20. Ma queste cose, note agli uomini perché fatte dagli uomini, se possono conciliarsi rispetto al loro carattere religioso, tuttavia non possono suscitare stupore perché sono prive di carattere miracoloso. Perciò le opere degli Angeli sono per noi tanto più mirabili quanto più difficili e misteriose; per essi invece sono chiare e facili essendo di loro competenza. Parla in nome di Dio l’angelo che, indirizzandosi all’uomo dice: Io sono il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe 78, poiché la Scrittura aveva iniziato col dire: Un Angelo del Signore gli apparve 79. Anche l’uomo parla in nome di Dio quando dice: Ascolta, popolo mio, e parlerò; o Israele, ascoltami e ti dichiarerò la mia volontà: io sono Dio, il tuo Dio sono io 80. La verga è stata assunta a simbolo, tuttavia è stata la potenza angelica che l’ha mutata in serpente 81; ma sebbene questa potenza manchi all’uomo, tuttavia egli ha scelto una pietra per significare qualcosa dello stesso ordine 82. C’è grandissima differenza tra l’atto dell’Angelo e quello dell’uomo: l’uno provoca ammirazione e riflessione, l’altro solo riflessione. Ciò che c’è da capire nell’uno e nell’altro caso è forse la stessa cosa, ma i fatti che ce la fanno capire sono diversi. Come se il nome del Signore venga scritto in oro o in inchiostro: l’uno è più prezioso, l’altro meno, ma ciò che viene espresso con l’una e con l’altra cosa è identico. E sebbene il serpente tratto dalla verga di Mosè significasse la stessa cosa che significava la pietra di Giacobbe, tuttavia la pietra di Giacobbe significava qualcosa di meglio che i serpenti dei magi 83. Infatti, come l’unzione della pietra significava Cristo, nella carne umana, nella quale fu unto con l’olio dell’esultanza sopra i suoi compagni 84, così la verga di Mosè mutata in serpente 85 significava il Cristo stesso, divenuto obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce 86. Per questo il Vangelo dice: E come Mosè innalzò nel deserto il serpente, così è necessario che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chi crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna 87, a somiglianza di coloro che fissando il serpente innalzato nel deserto non morivano per i morsi dei serpenti 88. Il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui, affinché venga distrutto il corpo del peccato 89. Il serpente rappresentava la morte causata dal serpente nel Paradiso: figura retorica che designa l’effetto per la causa 90. Il tramutarsi della verga in un serpente 91 è il passare di Cristo alla morte, il ritornare del serpente a verga è il ritornare alla risurrezione del Cristo tutto intero, cioè insieme al suo corpo, che è la Chiesa 92. Come avverrà alla fine dei tempi, indicata dalla coda del serpente, che Mosè afferrò con la mano perché ritornasse verga 93. I serpenti dei magi raffigurano i morti del secolo che non potranno risorgere nel Cristo 94 se non saranno prima entrati nel suo corpo credendo in lui, quasi da lui divorati. Dunque la pietra di Giacobbe, dicevo, indicava qualcosa di meglio che i serpenti dei magi 95, ma il fatto compiuto dai magi fu molto più meraviglioso. Quanto però alla comprensione delle cose la differenza conta così poco come se si scrivesse il nome di un uomo con l’oro e il nome di Dio con l’inchiostro.

Carattere misterioso dell’azione angelica nei miracoli

10. 21. Quale uomo sa come gli Angeli abbiano prodotto quelle nubi o quella fiamma o come le abbiano utilizzate per annunciare ciò che annunciavano, pur ammettendo che sotto quelle forme corporee si rivelasse il Signore o lo Spirito Santo? Similmente non conoscono i neofiti quello che si offre sull’altare e si consuma al termine della sacra celebrazione: donde venga, come si appresta, perché mai abbia significato religioso. E se non lo imparano mai per esperienza propria o altrui, se non osservano mai quelle cose stesse se non durante la celebrazione sacramentale, dove si offrono e si distribuiscono, e se non si dica mai loro con la più grande autorità di chi siano il corpo e il sangue, null’altro crederanno se non questo: che il Signore sia apparso agli occhi dei mortali proprio in quella forma e che proprio quel liquido sia sgorgato dal suo fianco ferito 96. Ma a me è utile ricordarmi delle mie forze ed invitare i miei fratelli a ricordarsi delle loro, per evitare che la debolezza umana vada oltre i limiti di ciò che si può affermare con sicurezza. In qual modo infatti gli Angeli compiano questi prodigi, o meglio, come Dio li compia per mezzo dei suoi Angeli 97, fino a che punto li voglia compiere per mezzo degli stessi angeli cattivi, a volte tollerando, altre comandando, altre ancora costringendo, dal trono misterioso della sua onnipotenza, non ho lo sguardo così acuto per discernere, non la ragione così ardita per spiegare, non lo spirito così elevato per attingere e così non posso rispondere a tutte le domande che si possono porre su questo argomento con la sicurezza che avrebbe un angelo o un profeta o un apostolo. Timidi sono i pensieri dei mortali e incerte le nostre previsioni, perché un corpo corruttibile pesa sull’anima e questa tenda di creta opprime la mente dai molti pensieri. A fatica sappiamo valutare le cose che sono sulla terra, persino le cose che abbiamo tra mano non sappiamo ben conoscere; chi poi è mai riuscito a capire le cose celesti? 98. Ma poiché il testo continua e dice: E chi avrebbe potuto conoscere il tuo pensiero, se tu non gli avessi dato la sapienza e mandato il tuo Santo Spirito dal più alto dei cieli? 99, noi non investighiamo le cose del cielo, tra le quali cose sono compresi anche i corpi degli Angeli secondo la loro propria dignità e certe loro attitudini sensibili; tuttavia in virtù dello Spirito di Dio a noi inviato dal più alto dei cieli e della sua grazia partecipata alle nostre anime, oso dire con libertà che né Dio Padre né il suo Verbo né il suo Spirito, ossia l’unico Dio 100, in virtù della sua essenza e del suo stesso essere è mutevole e tanto meno visibile. È vero che ci sono delle cose mutevoli che pur non sono visibili, come i nostri pensieri, ricordi e volontà ed ogni creatura spirituale: ma nessuna cosa è visibile senza essere mutevole.

Invisibilità dell’essenza divina

11. Perciò la sostanza, o, se è meglio dire così, l’essenza di Dio, nella quale intendiamo a modo nostro, quanto mai imperfetto, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, non essendo assolutamente mutevole, è radicalmente impossibile che sia per se stessa visibile.

Intervento degli Angeli nelle teofanie

11. 22. È dunque chiaro che tutte le apparizioni fatte ai Patriarchi quando Dio si rivelava ad essi secondo il suo piano stabilito per quei tempi, sono avvenute per mezzo di una creatura. Se noi ignoriamo come abbia compiuto quelle cose servendosi degli Angeli come ministri suoi, in ogni caso non è in base ad un’idea personale che affermiamo l’intervento degli Angeli, e questo perché nessuno ci creda più saggi di quello che siamo; ora le nostre pretese sono modeste, conformi alla misura di fede che Dio ci ha dispensato 101, e crediamo, per questo parliamo 102. C’è infatti l’autorità della divina Scrittura, che il nostro spirito non deve abbandonare per cadere a capofitto, una volta abbandonato il valido sostegno della parola divina, nei precipizi delle congetture personali dove né i sensi del corpo guidano, né la luce della verità brilla. Ora è scritto in modo chiarissimo nell’Epistola agli Ebrei, quando vien fatta la distinzione tra l’economia del Nuovo Testamento e l’economia dell’Antico Testamento, secondo l’opportunità dei tempi e dei momenti, che gli Angeli sono intervenuti non soltanto nei prodigi visibili ma anche nella manifestazione della parola di Dio. Ecco il testo: Di quale degli Angeli ha detto mai: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi? Non sono essi invece tutti spiriti destinati a servire, inviati per esercitare un ufficio in favore di coloro che devono ereditare la salvezza? 103. L’autore dimostra con queste parole che quei prodigi non soltanto sono stati compiuti per mezzo degli Angeli ma anche che sono stati fatti per noi, cioè per il popolo di Dio al quale è promessa l’eredità della vita eterna 104. Così l’Apostolo scrive ai Corinti: Ma tutte queste cose accaddero loro come in figura e sono state scritte per ammonire noi, che siamo giunti alla fine dei tempi 105. L’Apostolo dimostra poi logicamente e chiaramente che allora Dio parlava per mezzo degli Angeli, ora per mezzo del suo Figlio: Per questo noi dobbiamo attendere con il massimo impegno alle cose udite per non venir trascinati fuori strada. Se infatti la Legge promulgata per mezzo degli Angeli si rivelò efficace al punto che ogni trasgressione o disobbedienza ricevette la sua giusta pena, come scamperemo noi, se trascuriamo una così grande salvezza? 106. Poi, come se gli si domandasse di quale salvezza si tratta, per precisare che egli parla ora del Nuovo Testamento, cioè della parola che è stata pronunciata non per mezzo degli Angeli ma per mezzo di nostro Signore, prosegue: La quale fu annunziata prima dal Signore, poi ci è stata confermata da coloro che lo avevano udito, mentre Dio aggiungeva la sua testimonianza alla loro con segni e prodigi e ogni sorta di miracoli e con i doni dello Spirito Santo distribuiti secondo la sua volontà 107.

Dio parla per mezzo degli Angeli

11. 23. Ma, si dirà, perché è stato allora scritto: Il Signore disse a Mosè, e non piuttosto: "Disse l’Angelo a Mosè"? È lo stesso motivo per cui quando l’araldo proclama la sentenza del giudice, non si registra negli atti: "L’araldo ha detto" ma: "Il giudice ha detto". Così allo stesso modo quando un santo Profeta parla, sebbene diciamo: "Il profeta ha detto", non vogliamo far comprendere nient’altro che: "Il Signore ha detto". Se diciamo: Il Signore ha detto, non mettiamo da parte il Profeta ma facciamo presente chi abbia parlato per suo mezzo. D’altra parte la Scrittura svela spesso che l’Angelo è il Signore e, quando l’Angelo parla, essa dice frequentemente: Il Signore ha detto, come abbiamo già mostrato 108. Ma ci sono alcuni che nei passi in cui la Scrittura usa il nome "Angelo" ritengono che si tratti del Figlio stesso di Dio in persona, perché un profeta l’ha chiamato "Angelo" in quanto ha annunciato la volontà del Padre e la sua propria. Per questo ho voluto ricavare una prova più decisiva da questa Epistola in cui non è scritto: "per mezzo di un Angelo" ma per mezzo degli Angeli 109.

Il Signore apparve a Mosè per mezzo di un Angelo

11. 24. Anche Stefano infatti negli Atti degli Apostoli racconta le cose alla stessa maniera in cui sono state raccontate anche nei libri dell’Antico Testamento 110: Uomini, fratelli, padri, ascoltate. Il Dio della gloria apparve a nostro padre Abramo mentre era nella Mesopotamia 111. Ma perché nessuno pensasse che il Dio della gloria fosse apparso allora nella sua essenza agli occhi degli uomini, Stefano dice più avanti che fu un Angelo che apparve a Mosè: A queste parole Mosè fuggì ed andò ad abitare nella terra di Madian dove generò due figli. Al compiersi poi dei quarant’anni un Angelo apparve a lui nel deserto del Sinai in mezzo alla fiamma del roveto ardente. A questa vista Mosè rimase stupito dalla visione e, mentre si avvicinava per osservare, la voce del Signore si fece udire: Io sono il Dio dei padri tuoi, il Dio d’Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe. Tremante Mosè non ardiva guardare. Ma il Signore gli disse: Levati i calzari dai piedi 112. Qui certamente egli chiama Angelo e Signore lo stesso Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, come dice il Genesi 113.

Anche ad Abramo apparve per mezzo di un Angelo

11. 25. Forse qualcuno dirà che il Signore è apparso a Mosè per mezzo di un Angelo ma ad Abramo direttamente? Non chiediamo una risposta su questo a Stefano ma interroghiamo lo stesso libro da cui egli ha tratto questa narrazione. Perché c’è scritto: E disse il Signore Dio ad Abramo 114, e poco dopo: E apparve il Signore Dio ad Abramo 115, significa forse che qui non sono intervenuti gli Angeli? Ma in altro passo si trova la stessa maniera di esprimersi: Il Signore gli apparve poi presso il querceto di Mambre, mentre egli sul caldo del giorno era seduto davanti alla sua tenda 116, e poi il testo continua: Alzati gli occhi guardò, ed ecco tre uomini in piedi gli stavano davanti 117. Noi abbiamo già parlato di essi 118. Ebbene, come potranno costoro, che dalle parole non vogliono assurgere alle idee o ricadono facilmente dalle idee alle parole, spiegare che Dio è apparso in questi tre uomini senza riconoscere, come lo insegna il seguito del testo, che essi erano degli Angeli 119? Forse perché non è detto "un Angelo gli parlò" o "gli apparve", oseranno per questo affermare che per quanto riguarda Mosè quella visione e quella voce furono prodotte per mezzo di un Angelo, perché così dice il testo, mentre ad Abramo, perché non si fa parola di un Angelo, fu Dio nella sua essenza che apparve e parlò? Ma perché, se anche a proposito di Abramo si parla di un angelo? Infatti ecco che cosa si legge quando si esigeva che venisse immolato suo figlio: Dopo questi fatti Dio volle provare Abramo e gli disse: Abramo! Abramo! Ed egli rispose: Eccomi! E gli disse: Orsù, prendi il tuo figlio, l’unico che hai e che tanto ami, Isacco, e va’ nella regione di Moria e là lo offrirai in olocausto sopra quel monte che io ti mostrerò 120. Certo qui si parla di Dio, non di un Angelo. Ma un po’ più avanti la Scrittura così aggiunge: Stese quindi Abramo la mano e prese un coltello per uccidere suo figlio. Ma l’Angelo del Signore gli gridò dal cielo dicendo: Abramo! Abramo! Ed egli rispose: Eccomi! E l’Angelo gli disse: Non mettere le mano addosso al fanciullo e non gli fare alcun male 121. Che cosa si può replicare di fronte a queste affermazioni? Affermeranno che Dio ha comandato l’uccisione di Isacco e che l’Angelo l’ha proibita 122? Allora il padre di Isacco, contro il comando divino di immolare suo figlio, avrebbe obbedito all’ingiunzione dell’Angelo di risparmiarlo? Bisogna ridere di tale interpretazione e respingerla. Ma la Scrittura non offre la possibilità di attardarsi in una sciocchezza così grossolana, perché immediatamente aggiunge: Poiché ora conosco che tu temi Iddio e non hai risparmiato il tuo figlio unico per me 123. Che significa per me, se non per Colui che aveva comandato che fosse ucciso? Il Dio d’Abramo e l’Angelo sono dunque lo stesso personaggio o piuttosto è Iddio che parla attraverso l’Angelo? Ma ascoltiamo il seguito; è del tutto evidente che qui si parla di un angelo. Tuttavia osserva il contesto: Ed Abramo, alzati gli occhi, vide dietro di sé che un montone era rimasto con le corna intricate in un cespuglio. Abramo andò, prese quel montone e lo offrì in olocausto in luogo del figlio. Ed Abramo pose nome a quel luogo "Il Signore ha visto" e perciò anche oggi si dice: Sul monte il Signore è apparso 124. Ora un po’ prima Dio aveva detto similmente per mezzo dell’Angelo: Ora conosco che tu temi Dio 125. Ciò non significa che Dio sia venuto a conoscere in quel momento il timore di Abramo ma che si è comportato in modo che Abramo scoprisse per mezzo di Dio quanta forza d’animo avesse per obbedire a Dio fino all’immolazione del figlio unico: è una figura retorica che esprime l’effetto per la causa, come quando si dice: "un inverno pigro", perché rende pigri. Allo stesso modo la Scrittura dice che Dio aveva conosciuto i sentimenti di Abramo perché aveva fatto conoscere ad Abramo la fermezza della sua fede che egli avrebbe potuto ignorare senza tale prova. Ebbene allo stesso modo qui Abramo chiamò il luogo di quell’avvenimento "Dio ha visto" 126, perché Dio ha fatto vedere se stesso. Infatti aggiunge immediatamente: Si dice ancora oggi: Sul monte Dio è apparso 127. Dunque lo stesso Angelo è chiamato Signore. Perché? In quanto per mezzo dell’Angelo si rivelò il Signore. Del resto nel seguito del testo l’angelo si esprime in una maniera che è nettamente quella di un profeta e lascia chiaramente intendere che è Dio che parla per mezzo dell’Angelo: Poi l’Angelo del Signore chiamò Abramo dal cielo una seconda volta e gli disse: Io giuro per me stesso, dice il Signore, che siccome hai fatto questo e non hai risparmiato il tuo figlio per me 128. Questa espressione Il Signore dice, che usa colui che parla in nome di Dio, la si trova abitualmente anche presso i Profeti. Sarebbe forse il Figlio di Dio a usare, parlando del Padre, l’espressione: Il Signore dice, e sarebbe lui quest’Angelo del Padre? Che dire dunque? Coloro che ci contraddicono osservino come vengono incalzati a riguardo di quei tre uomini che apparvero ad Abramo quando il testo ulteriormente afferma: Gli apparve il Signore 129. Forse che non erano Angeli perché sono detti uomini? Allora leggano Daniele che dice: Ed ecco l’uomo Gabriele 130.

Gli Angeli hanno promulgato la Legge

11. 26. Ma perché tardiamo ulteriormente a chiudere la bocca a costoro con un altro testo che è di una evidenza assoluta e di grandissima importanza? In esso non si parla di un Angelo al singolare né di uomini al plurale; si parla solamente di Angeli e in esso appare con tutta chiarezza che essi non hanno trasmesso un discorso qualunque ma hanno dato la Legge stessa 131. Certamente nessun fedele dubita che è stato Dio a darla a Mosè per sottomettere il popolo d’Israele, ma l’ha data per mezzo degli Angeli. Ecco come si esprime Stefano: Duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi, voi sempre avete resistito allo Spirito Santo: come furono i vostri padri, così siete voi. Quale dei Profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero coloro che predicavano la venuta del Giusto di cui voi in questi giorni siete stati traditori e omicidi, voi che avete ricevuto la Legge per il ministero degli Angeli e non l’avete osservata 132. Che vi può essere di più evidente di questo, di più fermo di tale autorità? È per mezzo degli Angeli che è stata promulgata la Legge a quel popolo, ma è del Signore nostro Gesù Cristo che essa preparava e preannunciava la venuta, e lui come Verbo di Dio era in maniera incomparabile ed inesprimibile negli Angeli che promulgavano la Legge 133. Perciò egli dice nel Vangelo: Se credeste a Mosè, a me pure credereste; di me egli infatti ha scritto 134. Per mezzo degli Angeli era dunque il Signore che parlava allora, è per mezzo degli Angeli che il Figlio di Dio, il Mediatore di Dio e degli uomini 135, che sarebbe nato dalla stirpe di Abramo, preparava la sua venuta per trovare accoglienza presso uomini che si riconoscessero colpevoli perché la Legge da essi non attuata ne aveva fatto dei trasgressori. Per questo anche l’Apostolo dice ai Galati: Perché dunque la Legge? In vista delle trasgressioni fu bandita, finché non fosse venuto il Discendente a cui era stata fatta la promessa; essa fu promulgata per mezzo degli Angeli, tramite un Mediatore 136, ossia promulgata per mezzo degli Angeli, tramite lui. Infatti la sua nascita non è frutto della condizione umana ma della potenza divina. Che l’Apostolo non chiami Mediatore un angelo, ma lo stesso Signore Gesù Cristo, in quanto si è degnato di diventare uomo, lo si può vedere in un altro passo: Un solo Dio - egli dice - uno solo anche il Mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù 137. Ecco il senso dell’immolazione dell’Agnello pasquale 138, il senso di tutti i simboli riguardanti il Cristo che si sarebbe incarnato 139 e che avrebbe patito ma che sarebbe anche risorto, simboli contenuti nella Legge promulgata dagli Angeli 140. In questi Angeli erano certamente presenti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Talvolta gli Angeli rappresentavano il Padre, talvolta il Figlio, altre volte lo Spirito Santo, talvolta Dio senza distinzione di persone. Dio appariva sotto forme visibili e sensibili ma per mezzo della sua creatura, non nella sua stessa sostanza, per vedere la quale i cuori vengono purificati da tutti questi simboli offerti ai nostri occhi ed alle nostre orecchie.

Dio si è manifestato nell’Antico Testamento per mezzo degli Angeli

11. 27. Ma ritengo che ormai sia stato sufficientemente discusso e provato, secondo le nostre capacità, l’argomento che avevamo incominciato a dimostrare in questo libro 141. In base a motivi razionali dotati di quella probabilità che è possibile raggiungere ad un uomo, o meglio a me, ed in base ad un’autorità dotata di quella forza che la chiarezza delle parole divine della Scrittura santa permette, resta dunque stabilito questo: quelle voci sono state dette e quelle forme corporee suscitate ai nostri padri dell’antichità prima dell’incarnazione del Salvatore, nei tempi in cui avevano luogo le apparizioni divine, dagli Angeli; sia parlando essi stessi o facendo qualcosa in nome di Dio, abitudine propria anche ai Profeti, come abbiamo dimostrato, o assumendo dalla creatura ciò che essi non erano per mostrare, per mezzo di figure, Dio agli uomini. Nemmeno i Profeti hanno trascurato questo tipo di simboli, come ci insegna la Scrittura con molti esempi. Ora non ci rimane da vedere che una cosa. Il Signore è nato dalla Vergine, lo Spirito Santo è disceso sotto la forma corporea di una colomba 142, sono state viste le lingue di fuoco ed è stato udito un fragore dal cielo nel giorno della Pentecoste, dopo l’ascensione del Signore 143. Ebbene il Verbo stesso di Dio non è apparso nella sostanza per la quale è uguale e coeterno al Padre. Nemmeno lo Spirito del Padre e del Figlio è apparso nella sua sostanza per la quale è insieme uguale e coeterno all’uno e all’altro. Ma certamente una creatura capace di rivestire quelle forme e di restarvi apparve ai sensi corporei e mortali. Si tratta dunque di vedere quale differenza ci sia tra le manifestazioni di cui si è detto e queste che sono proprietà del Figlio e dello Spirito Santo, nonostante l’intervento della creatura visibile. Inizieremo a trattare di questo con un altro volume: sarà più comodo.

 

LIBRO QUARTO

Proemio

Importanza della conoscenza di sé

1. 1. Gli uomini sono soliti avere in grande stima la scienza del mondo terrestre e celeste 1; ma senza dubbio i migliori tra essi sono coloro che preferiscono la conoscenza di se stessi 2 a questa scienza e l’anima che conosce anche la sua debolezza è degna di maggior lode che non quella che, senza averla presa in considerazione, si sforza di investigare le orbite degli astri o quella che già le conosce ma ignora quale via la conduca 3 alla sua salvezza e alla sua sicurezza. Ma colui che, stimolato dal fervore dello Spirito Santo, ha già gli occhi ben aperti verso Dio e, nell’amore di lui, è divenuto conscio della propria miseria e, volendo ma non potendo giungere fino a lui, guarda in se stesso alla luce di Dio e scopre se stesso ed ha così acquistato la certezza che la sua malattia è incompatibile con la purezza di Dio, questi prova dolcezza nel piangere e nel supplicare Dio che abbia più e più volte misericordia, fino a quando si liberi di tutta la sua miseria, e nel pregarlo con confidenza, dopo aver ricevuto per grazia il pegno della salvezza nel nome di suo Figlio, unico Salvatore e illuminatore dell’uomo. Colui che è così indigente e conosce quella sofferenza, la scienza non lo gonfia, perché la carità lo edifica 4. Infatti ha preferito una scienza ad un’altra scienza, ha preferito conoscere la sua debolezza piuttosto che gli ultimi confini del mondo 5, le fondamenta della terra, le sommità dei cieli. Aggiungendo questa scienza ha accresciuto il dolore 6, il dolore del suo esilio che scaturisce dalla nostalgia della sua patria e del beato creatore di essa, il suo Dio 7. Signore, mio Dio, se gemo in mezzo a questo genere di uomini, in mezzo alla famiglia del tuo Cristo, fra i tuoi poveri, concedimi di saziare con il tuo pane gli uomini che non hanno fame e sete di giustizia 8, ma sono stati saziati e sono nell’abbondanza. Sono stati saziati però dalle loro immaginazioni, non dalla tua verità, che respingono e fuggono per cadere nella loro vanità. Certo io so per esperienza quante finzioni generi il cuore umano: e che cos’è il mio cuore se non un cuore umano? Ma questa preghiera rivolgo al Dio del mio cuore: di non proferire in questa mia opera nessuna di quelle finzioni in luogo della solida verità, ma al contrario tutto ciò che vi potrà venire da parte mia, venga, sebbene io sia cacciato via dai tuoi occhi 9, e mi sforzi di ritornare da lontano per la via che Egli ha tracciato con l’umanità della divinità del suo Figlio unico, dal luogo da cui soffia su di me la brezza della sua verità. In tanto di essa bevo, sebbene io sia mutevole, in quanto nulla di mutevole vedo in Dio, né per movimento spaziale e temporale come ne subiscono i corpi, né per movimenti puramente temporali e che hanno un qualcosa di spaziale, come nel caso dei pensieri dei nostri spiriti, né per movimenti puramente temporali senza neppure qualche immagine spaziale come nel caso di alcuni ragionamenti dei nostri spiriti. Infatti l’essenza di Dio, ragione del suo essere, non ha assolutamente nulla di mutevole sia nell’eternità sia nella verità o nella volontà: perché in Dio eterna è la verità, eterna la carità, vera è la carità, vera l’eternità; amata è l’eternità, amata la verità 10.

Occorreva persuaderci quanto e quali Dio ci avesse amato

1. 2. Dunque esiliati dalla gioia immutabile, non ne siamo tuttavia separati e gettati lontano al punto di rinunciare alla ricerca dell’eternità, della verità e della beatitudine anche in queste cose mutevoli ed effimere (infatti non desideriamo né morire, né sbagliare, né essere inquieti). Per questo Dio ci ha mandato delle apparizioni adatte alla nostra peregrinazione per ricordarci che ciò che cerchiamo non è qui, ma che da qui si deve ritornare al principio dal quale veniamo, perché se noi non trovassimo in lui il nostro centro, non cercheremmo quaggiù quelle cose 11. E prima di tutto bisognava persuaderci di quanto fosse grande l’amore di Dio per noi, perché la disperazione non ci impedisse di innalzarci verso di lui 12. Bisognava anche mostrarci in quale stato eravamo quando ci ha amato, affinché inorgogliendoci dei nostri meriti non ci allontanassimo di più da lui e non diventassimo più deboli nella nostra forza. Così Dio ha agito nei nostri riguardi in modo che progredissimo invece per la sua forza e così la forza della carità trovasse la sua pienezza nella debolezza dell’umiltà. È questo che si esprime nel Salmo in cui si dice: Una pioggia di benefici facesti cadere, o Dio, sulla tua eredità; era esausta, tu le rendesti la forza 13. Questa pioggia benefica non può significare che la grazia, la quale non è data in ricompensa ai nostri meriti ma concessa gratuitamente e per questo si chiama grazia: ce l’ha accordata infatti non perché ne fossimo degni, ma perché così gli è piaciuto. Sapendo questo noi non confideremo in noi stessi e questo significa "essere esausti". Ma Dio ci dà forza, lui che anche all’apostolo Paolo ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la forza trionfa nella debolezza 14. Bisognava dunque convincere l’uomo della grandezza dell’amore di Dio per noi e dello stato in cui eravamo quando ci ha amato; di questa grandezza perché non disperassimo, di questo stato perché non insuperbissimo. Ecco come l’Apostolo spiega questo passo così essenziale: Ma Dio dà prova del suo amore verso di noi proprio in questo che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Molto più dunque ora che siamo giustificati dal suo sangue, saremo salvi dall’ira per mezzo di lui. Se noi infatti, pur essendo nemici, siamo stati riconciliati con Dio, mediante la morte del suo Figlio, molto più ora che siamo riconciliati saremo salvi nella sua vita 15. E in un altro passo: Che diremo dunque di tutto questo? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il suo proprio Figlio ma lo ha consegnato per tutti noi, come non sarà disposto a darci ogni cosa insieme con lui? 16. Ora ciò che viene comunicato a noi come un fatto compiuto, era presentato ai giusti dell’antichità come un avvenimento futuro affinché essi pure, per mezzo della stessa fede, umiliati fossero resi deboli e resi deboli ricevessero forza.

Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato fatto, è la luce degli spiriti

1. 3. Poiché dunque non vi è che un Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che è verità immutabile, in lui come in loro principio e senza mutamento sono tutte le cose contemporaneamente, non solo quelle che esistono ora in tutto l’universo creato ma anche quelle che sono esistite ed esisteranno. In lui non sono passate né future ma presenti, e tutte le cose sono vita e tutte non sono che una, o meglio vi è una sola cosa e una vita unica. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui in modo che tutto ciò che è stato creato in esse sia in lui vita e vita increata, perché in principio il Verbo non fu fatto, ma il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio e tutte le cose per mezzo di lui sono state fatte 17, e non sarebbero state fatte tutte le cose per mezzo di lui, se egli non fosse esistito prima di tutte le cose e non fosse increato. Fra le cose che sono state fatte per mezzo di lui anche il corpo, che non è vita, non sarebbe stato fatto per mezzo di lui, se nel Verbo, prima di essere fatto, non fosse stato vita. Infatti ciò che è stato fatto già era vita in lui e non una vita qualunque: anche l’anima è vita del corpo, ma anch’essa è vita creata, perché mutevole, e per mezzo di chi è stata fatta, se non per mezzo dell’immutabile Verbo di Dio? Infatti tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Dunque ciò che è stato fatto già era in lui vita e non una vita qualunque, ma la vita era luce degli uomini; luce evidentemente delle anime razionali, che distinguono gli uomini dagli animali 18, e che perciò li fanno uomini. Non è dunque una luce materiale che illumina i corpi sia risplendendo dal cielo sia provenendo da fuochi accesi sulla terra, luce che non è propria ai corpi umani ma che si estende anche ai corpi delle bestie, inclusi i più piccoli vermi 19. Tutti questi esseri infatti vedono questa luce. Ma quella vita era luce degli uomini, e non posta lontano da ciascuno di noi, perché in essa viviamo, ci muoviamo e siamo 20.

Per l’Incarnazione siamo resi capaci di attingere la Verità

2. 4. Ma la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa 21. Queste tenebre sono le anime insensate degli uomini, accecate dalle perverse concupiscenze e dalla mancanza di fede. Per curarle e risanarle il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, si è fatto carne ed abitò tra noi 22. La nostra illuminazione è una partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è luce degli uomini 23. Ma noi eravamo veramente inadatti e ben poco idonei a tale partecipazione per la immondizia dei peccati. Dovevamo dunque essere purificati. Ora la sola purificazione dei peccatori e dei superbi è il sangue del Giusto 24, e l’umiltà di Dio; affinché, per poter giungere alla contemplazione di Dio che per natura noi non siamo, venissimo purificati da Dio stesso fattosi quello che per natura siamo e quello che per il peccato non siamo. Infatti non siamo Dio per natura, siamo per natura uomini, non siamo giusti per il peccato. Dunque Dio, fattosi uomo giusto, ha propiziato Dio per l’uomo peccatore. Non c’è infatti rapporto tra peccatore e giusto, ma tra uomo e uomo. Dunque sommando a noi la sua umanità uguale alla nostra, ha sottratto a noi la disuguaglianza della nostra peccaminosità e, fattosi partecipe della nostra mortalità, ci ha reso partecipi della sua divinità 25. Giustamente la morte del peccatore, proveniente da una condanna necessaria, è stata tolta in virtù della morte del Giusto, proveniente da una libera misericordia, con il rapporto tra lui e noi di uno a due 26. Infatti questo rapporto (o, se, per dir meglio, chiamiamo concordanza, o proporzione, o accordo la relazione che c’è tra l’uno e il due) è di grandissima importanza in ogni unione o, se si preferisce, in ogni composto naturale. Mi riferisco, ora mi viene in mente la parola, all’accordo che i greci chiamano . Non è qui il luogo di dimostrare l’importanza dell’accordo tra il semplice e il doppio, accordo che si costata in noi in tutta la sua importanza e ci è così naturalmente innato (chi l’ha posto in noi se non Colui che ci ha creato?) che nemmeno gli ignoranti non possono non avvertirlo quando cantano o ascoltano gli altri cantare. È questo rapporto che fa concordare i suoni acuti e gravi e, se qualcuno se ne discosta, non offende penosamente le regole della scienza, che la maggior parte ignora, ma l’orecchio. Per provare però ciò che affermo sarebbe necessario un lungo discorso; invece può apparire manifesto allo stesso senso dell’udito ad opera di qualcuno che sappia suonare il monocordo regolare.

"Uno" in Cristo corrisponde a "due" in noi per la nostra salvezza

3. 5. Per il momento urge spiegare, per quanto Dio lo concede, come tra noi e Gesù Cristo, Signore e Salvatore nostro, esista il rapporto di due a uno e come esso contribuisca alla nostra salvezza. Noi certamente, e nessun cristiano ne dubita, siamo morti nell’anima e nel corpo: nell’anima per il peccato, nel corpo per il castigo del peccato e perciò anche nel corpo a causa del peccato 27. Queste nostre due realtà, l’anima e il corpo, necessitavano di una medicina e di una risurrezione per rinnovare in meglio ciò che era stato mutato in peggio. Ora la morte dell’anima è l’empietà, e la morte del corpo è la corruttibilità, che causa la separazione dell’anima dal corpo. Come infatti l’anima muore quando Dio l’abbandona, così il corpo muore quando l’abbandona l’anima: la prima perde così la saggezza, il secondo la vita. L’anima risuscita grazie alla penitenza e in un corpo mortale ha inizio una vita nuova ad opera della fede con la quale si crede in Colui che ha giustificato l’empio 28, vita che viene sviluppata con la virtù e fortificata di giorno in giorno 29 nella misura in cui sempre più l’uomo interiore si rinnova 30. Il corpo invece, che è come l’uomo esteriore, quanto più è lunga questa vita presente, sempre più si corrompe per l’età, per le infermità, per tante afflizioni fino a che giunge all’ultima che tutti chiamano morte. La sua risurrezione è differita fino alla fine, quando anche la nostra giustificazione sarà compiuta in maniera ineffabile 31. Allora infatti saremo simili a lui perché lo vedremo com’è 32. Ora invece, fin quando il corpo corruttibile pesa sull’anima 33, e la vita dell’uomo sulla terra è una continua lotta, nessun vivente viene giustificato davanti a lui 34, in paragone con quella giustizia che ci eguaglierà agli Angeli e con quella gloria che si manifesterà in noi 35. Ora, per distinguere la morte dell’anima dalla morte del corpo, perché dovrei ricordare troppo numerose testimonianze, dato che il Signore nel Vangelo ha dato in un solo passo un principio comodo a tutti per discernere l’una dall’altra? Egli dice: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti 36. Per morti da seppellire intendeva i corpi, ma per seppellitori morti intendeva coloro che sono morti nell’anima a causa dell’empietà della loro incredulità, come coloro cui si rivolge l’apostrofe dell’Apostolo: Svegliati, o dormiente, e sorgi dai morti e ti illuminerà Cristo 37. Una specie di morte lamenta l’Apostolo anche quando parlando della vedova dice: Quella che trascorre l’esistenza in mezzo alle delizie, pur vivendo è morta 38. Si può dire che l’anima ormai pia, dopo esser stata empia, è risuscitata dalla morte grazie alla giustizia della fede 39 e vive. Per quanto riguarda il corpo non soltanto è detto che morirà per la separazione futura dell’anima ma è anche detto morto per l’estrema debolezza della carne e del sangue, quando l’Apostolo afferma: Il corpo è morto a causa del peccato ma lo spirito è la vita in grazia della giustizia 40. Questa vita è opera della fede perché il giusto vive di fede 41. Ma qual è il seguito del passo? Che se lo spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti renderà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi 42.

Per la nostra duplice morte il Salvatore ha dato la sua unica

3. 6. Ecco dunque che per togliere le nostre due morti il Salvatore ha pagato con una sola morte da parte sua e per procurare ambedue le nostre risurrezioni ha preposto e proposto come sacramento ed esempio una sola risurrezione da parte sua. Infatti non fu né peccatore, né empio in modo da aver necessità di rinnovarsi secondo l’uomo interiore 43, come se fosse uno spirito morto, e da essere richiamato alla vita della giustizia, come ravvedendosi. Ma rivestito di carne mortale, non morendo che per essa, non risuscitando che per essa, per essa sola si mise in armonia con noi per la morte e la risurrezione, facendosi in essa sacramento dell’uomo interiore e modello di quello esteriore. Al sacramento del nostro uomo interiore si riferisce, per significare la morte della nostra anima, quel gemito di Cristo non solo nel Salmo, ma anche sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 44. A questo grido corrisponde bene la parola dell’Apostolo: Resi persuasi di questo, che l’uomo vecchio nostro è stato crocifisso con lui, affinché fosse distrutto il corpo del peccato in modo da non essere più schiavi del peccato 45. Crocifissione dell’uomo interiore sono i dolori della penitenza e le torture salutari della continenza. Una morte questa che sopprime la morte del peccato in cui Dio non ci lascia. E così questa croce distrugge il corpo del peccato, perché non offriamo più le nostre membra al peccato come strumenti di iniquità 46, poiché, se l’uomo interiore si rinnova di giorno in giorno 47, è evidente che prima di rinnovarsi era vecchio. È nell’interno che si realizza ciò che lo stesso Apostolo dice: Spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi del nuovo 48. E ne spiega il significato più avanti: Perciò lasciate la menzogna e ciascuno parli secondo la verità 49. Dove ci si spoglia della menzogna se non nell’interno perché abiti sul santo monte di Dio, colui che parla secondo la verità, nel profondo del suo cuore 50? Che la risurrezione del corpo del Signore interessi anche il mistero della nostra risurrezione interiore appare dal passo in cui Cristo, dopo la risurrezione, dice alla donna: Non toccarmi; io non sono ancora asceso al Padre mio 51. Con questo mistero concorda la parola dell’Apostolo: Se dunque siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell’alto dov’è il Cristo, assiso alla destra di Dio; gustate le cose dell’alto 52. Non toccare Cristo, se non dopo l’ascensione al Padre, significa non avere per Cristo un attaccamento sensibile 53. Ad esempio poi della morte del nostro uomo esteriore 54 vale la morte corporale del Signore, perché è soprattutto con una tale passione che ha incoraggiato i suoi servi a non temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima 55. Per questo dice l’Apostolo: Da parte mia completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo 56. E ad esempio della risurrezione del nostro uomo esteriore vale la risurrezione del corpo del Signore, perché egli disse ai discepoli: Palpate e vedete; uno spirito non ha ossa e carne come vedete che io ho 57. Ed uno dei suoi discepoli, inoltre, tastando le sue cicatrici esclamò: Signore mio e Dio mio 58. Nella evidente e totale integrità della sua carne apparve chiara la verità di ciò che aveva detto ai discepoli per incoraggiarli: Nemmeno un capello del vostro capo perirà 59. Perché infatti, dopo aver detto dapprima: Non toccarmi, non sono ancora asceso al Padre mio 60, si lascia poi toccare dai suoi discepoli prima di ascendere al Padre, se non per suggerire in un caso il sacramento dell’uomo interiore e per offrire nell’altro un modello di quello esteriore? O ci sarà per caso qualcuno così stolto e così nemico della verità da avere il coraggio di dire che prima dell’ascensione si lasciò toccare dagli uomini, ma dalle donne soltanto dopo l’ascensione 61? È dunque al modello della nostra futura risurrezione corporale, offerto anticipatamente nel Signore, che si riferiscono queste parole dell’Apostolo: Prima di tutti Cristo, poi quelli che sono di Cristo 62. In questo passo si tratta precisamente della risurrezione del corpo, a proposito della quale dice anche: Trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria 63. Perciò l’unica morte del nostro Salvatore ha rimediato alle nostre due morti. L’unica sua risurrezione ha donato a noi due risurrezioni, avendo concorso il suo corpo come opportuna medicina, in ambedue le direzioni della morte e della risurrezione, come sacramento per il nostro uomo interiore e come esempio per il nostro uomo esteriore.

Il rapporto di semplice a doppio ha la sua fonte nella perfezione del numero sei

4. 7. Questo rapporto del semplice al doppio ha la sua origine nel numero tre. Uno più due fanno tre e la somma dei numeri di cui ho parlato dà come totale sei: infatti uno più due, più tre, fanno sei. Il numero sei si chiama perfetto perché si compone delle sue parti. Comprende in sé le tre frazioni seguenti: la sesta parte, la terza parte, la metà, né vi si può trovare un’altra frazione di valore determinato. Dunque la sesta parte di sei equivale a uno, la terza a due, la metà a tre. Ora uno più due, più tre, danno come totale sei. Tale perfezione è sottolineata dalla Sacra Scrittura, soprattutto per il fatto che Dio in sei giorni ha compiuto la sua opera 64, e nel sesto giorno fu fatto l’uomo ad immagine di Dio 65. Inoltre nella sesta età del genere umano il Figlio di Dio venne 66 nel mondo e si fece Figlio dell’uomo per restaurarci ad immagine di Dio 67. Noi ci troviamo ora in questa età, sia che si attribuiscano mille anni ad ogni età, sia che ci si basi sui periodi veramente storici ed insigni ricordati dalla Sacra Scrittura. La prima età va da Adamo a Noè e la seconda fino ad Abramo. Poi, secondo la cronologia dell’evangelista Matteo, da Abramo a Davide, da Davide fino alla deportazione in Babilonia 68, e da questo avvenimento al parto della Vergine. Queste ultime tre età unite alle due precedenti fanno cinque. Perciò la nascita di Cristo ha inaugurato la sesta, quella in cui ci troviamo attualmente, e che durerà fino alla fine sconosciuta dei tempi. Troviamo il numero sei con il suo simbolismo storico, anche se con distribuzione tripartita contiamo un periodo prima della Legge, un secondo sotto la Legge, un terzo sotto la grazia 69. In quest’ultimo periodo riceviamo il sacramento della rigenerazione, cosicché alla fine dei tempi, rinnovati totalmente dalla risurrezione della stessa carne, saremo guariti da ogni malattia non solo dell’anima ma anche del corpo 70. Per questo si può vedere una figura della Chiesa in quella donna guarita e raddrizzata dal Signore e che prima era stata curvata dall’infermità sotto le catene di Satana 71. Di questi nemici occulti si lamenta la voce del Salmista: Hanno curvato la mia anima 72. Ora, erano diciotto anni che questa donna era ammalata e perciò tre volte sei anni 73. D’altra parte il numero dei mesi di diciotto anni è eguale al cubo di sei, cioè a sei moltiplicato per sei, moltiplicato ancora per sei. Proprio prima di questo episodio il Vangelo parla di quell’albero di fico la cui misera sterilità datava da tre anni. Il vignaiolo pregò di lasciarlo ancora per quell’anno: se avesse dato frutto, bene, altrimenti sarebbe stato tagliato 74. Ora da una parte con i tre anni si ritrova la precedente distribuzione tripartita, e dall’altra parte il numero di mesi di tre anni è uguale al quadrato di sei, cioè sei per sei.

Importanza del numero sei nel computo dell’anno

4. 8. Basato sul numero sei è anche l’anno, in quanto si compone di dodici mesi interi di trenta giorni ciascuno (tale era il mese che seguivano gli antichi attenendosi alle fasi lunari): esso deve al numero sei la sua importanza. Infatti il valore che ha il sei nel primo ordine dei numeri, cioè in quello delle unità (dall’uno al dieci), lo ha il sessanta nel secondo ordine, quello delle decine (dal dieci al cento). Perciò sessanta giorni sono la sesta parte dell’anno. Di conseguenza se si moltiplica il numero sessanta (che nella seconda serie, quella delle decine, ha lo stesso valore del sei) per il numero sei (che fa parte della prima serie), si ha sei volte sessanta, cioè trecentosessanta giorni, che fanno dodici mesi interi. Però gli uomini mentre contano il mese secondo la rivoluzione della luna, calcolano l’anno in base all’osservazione della rivoluzione solare, per cui mancano cinque giorni e un quarto perché il sole completi il suo corso e chiuda l’anno. Infatti quattro quarti fanno un giorno, che si è obbligati a intercalare ogni quattro anni (e si ha allora l’anno bisestile) per non sconvolgere il calendario. Anche se consideriamo questi cinque giorni e un quarto, vediamo che il numero sei è di grandissima importanza. Questo per due ragioni: primo perché, come spesso succede, la parte si prende per il tutto e allora non abbiamo più cinque giorni ma sei, essendo questo quarto di giorno contato per un giorno intero; secondo perché i cinque giorni sono la sesta parte del mese e la quarta parte del giorno consta di sei ore. Infatti il giorno intero, ivi compresa la notte, si compone di ventiquattro ore, la cui quarta parte, cioè la quarta parte del giorno, è appunto di sei ore. Così nello svolgimento dell’anno il numero sei è quello che ha maggiore importanza.

Il numero sei nella formazione del corpo di Cristo

5. 9. Non senza ragione nella formazione del corpo del Signore, simboleggiato dal tempio distrutto dai Giudei e che Cristo si riprometteva di restaurare in tre giorni, il numero sei rappresenta un anno. Gli risposero infatti i Giudei: Sono stati necessari quarantasei anni per edificare il tempio 75. Ora quarantasei volte sei fa duecentosettantasei, che è il numero di giorni contenuto in nove mesi e sei giorni, tempo che si computa come se fossero dieci mesi per le donne incinte. Non che tutte le donne arrivino nella loro gravidanza a nove mesi e sei giorni, ma perché il corpo del Signore ha impiegato tale numero di giorni per giungere a termine perfettamente costituito, come risulta da una antica tradizione alla quale si attiene l’autorità della Chiesa. Si crede che sia stato concepito il venticinque marzo, che è anche il giorno della sua passione. Così il sepolcro nuovo in cui fu sepolto, nel quale nessun morto fu posto 76 né prima né dopo, rassomiglia al seno della Vergine in cui fu concepito e nel quale nessun mortale fu generato 77. D’altra parte secondo la tradizione nacque il 25 dicembre. Ora dal giorno della concezione a quello della nascita si hanno duecentosettantasei giorni, numero uguale a quarantasci volte sei. In quarantasei anni fu costruito il tempio 78, perché nel numero di giorni corrispondente a quarantasei per sei si formò completamente il corpo del Signore, distrutto dalla morte inflittagli e da lui risuscitato dopo tre giorni. Infatti diceva questo del suo corpo 79, come lo prova la testimonianza così chiara e forte del Vangelo: Come Giona stette tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo starà tre giorni e tre notti nel cuore della terra 80.

Il triduo della risurrezione in cui pure appare il rapporto di semplice a doppio

6. 10. Ora questo periodo di tre giorni non fu pieno ed intero, come testimonia la Scrittura. Il primo giorno consta della sola fine di una giornata ed il terzo dell’inizio di una giornata ed ambedue si computano come due giorni interi. Il giorno intermedio, cioè il secondo, è il solo perfettamente completo, di ventiquattro ore, dodici di giorno e dodici di notte. Infatti il Signore è stato prima condannato alla croce dai clamori dei Giudei all’ora terza e si era nel giorno sesto della settimana 81. Poi fu appeso alla croce all’ora sesta e spirò all’ora nona 82. Fu invece sepolto quando era già sera 83, secondo il tenore delle parole del Vangelo, ossia: alla fine del giorno. Comunque si consideri la questione, anche supponendo che si possa spiegare diversamente come non sia contrario al Vangelo di Giovanni porre la crocifissione all’ora terza 84, il primo giorno non lo prendi intero. Dunque per il primo giorno si considera come un giorno intero la sua ultima parte, come per il terzo giorno la sua prima parte. Infatti appartiene al terzo giorno la notte fino all’alba, quando fu resa manifesta la risurrezione del Signore, perché Dio, che ha detto che la luce brilla nelle tenebre 85, affinché la grazia del Nuovo Testamento e la partecipazione alla risurrezione di Cristo ci facciano intendere queste parole: Eravate un tempo tenebre ma ora siete luce nel Signore 86, ci suggerisce in qualche modo che il giorno incomincia dalla notte. Come infatti i primi giorni della creazione a causa della futura caduta dell’uomo si computavano dalla luce alla notte 87, così questi della risurrezione per la redenzione dell’uomo si computano dalla notte alla luce. Perciò dall’ora della morte fino al mattino della risurrezione vi sono quaranta ore, comprendendovi anche la stessa ora nona. Questo numero coincide anche con i quaranta giorni della sua vita sopra la terra dopo la risurrezione. Ed è assai frequente nella Scrittura l’uso di questo numero per significare il mistero della perfezione del mondo diviso in quattro parti. Perché il numero dieci ha una sua perfezione e moltiplicato per quattro dà quaranta. Ora dalla sera della sepoltura fino all’alba della risurrezione sono trentasei ore, numero che equivale al quadrato di sei. Questo rientra nel rapporto tra l’uno e il due, in cui si riscontra la proporzione più armoniosa. Infatti il dodici sta al ventiquattro come l’uno al due e, sommati insieme, fanno trentasei; una notte intera, un giorno intero, un’altra notte intera; e da tutto questo non è assente il simbolismo che ho sopra ricordato. Non è infatti assurdo paragonare lo spirito al giorno, il corpo alla notte. Il corpo del Signore nella sua morte e risurrezione era figura del nostro spirito e modello del nostro corpo. Anche così appare dunque il rapporto dell’uno al due in queste trentasei ore, se si pone il dodici in rapporto con il ventiquattro. Per quanto riguarda le ragioni per cui questi numeri sono ricordati nella Sacra Scrittura, forse qualcuno ne scoprirà di preferibili alle mie, o altrettanto probabili o anche più probabili di queste. In ogni caso nessuno sarà così sciocco e di cattivo gusto da sostenere che la loro presenza nella Sacra Scrittura è priva di importanza e che la loro frequenza non è caratterizzata da intenzioni mistiche. Le ragioni che da parte mia ho offerto le ho ricavate dall’autorità della Chiesa, che ci hanno tramandato gli antichi, dalla testimonianza della Scrittura, dalle leggi dei numeri e delle proporzioni. Ora contro la ragione non andrà mai il buon senso, contro le Scritture il senso cristiano, contro la Chiesa il senso della pace.

Dispersi nella moltitudine, per mezzo di un unico Mediatore siamo reintegrati nell’Unità

7. 11. Di questo sacramento, di questo sacrificio, di questo sacerdote, di questo Dio, prima che fosse mandato e fosse venuto nascendo da una donna, furono immagini sia tutte le sacre e mistiche apparizioni avute dai nostri padri per prodigi angelici sia le opere da essi stessi compiute, cosicché ogni creatura in qualche modo parlasse con i fatti di quell’uno che sarebbe stato l’unica salvezza di quanti dovevano essere strappati alla morte. Poiché infatti distaccandoci dall’unico, sommo e vero Dio per reato di empietà ed opponendoci a lui ci eravamo dispersi e vanificati in una moltitudine di cose, distratti in esse, attaccati ad esse, occorreva che al cenno ed al comando del misericordioso Dio le stesse cose nella loro moltitudine invocassero la venuta di quell’uno, che egli alla sua venuta fosse salutato dalle molte cose, che tutte le cose lo testimoniassero come già venuto; che noi, liberati dalle molte cose, ci serrassimo attorno a quell’uno; che morti nell’anima per molti peccati e destinati a morire nel corpo in pena del peccato, amassimo quest’uno, morto per noi nella carne senza peccato; che noi credendo in quell’uno risorto e con lui spiritualmente risorgendo per fede, fossimo giustificati diventando una cosa sola nell’unico Giusto 88; che noi non disperassimo di poter risuscitare anche nella carne 89, vedendoci preceduti, noi moltitudine di membra, da lui come unico capo; in cui, purificati adesso per mezzo della fede, e reintegrati in futuro per mezzo della visione, riconciliati con Dio per la sua funzione di Mediatore, dobbiamo aderire all’Uno 90, godere dell’Uno, perseverare nell’Unità.

Cristo vuole riportarci all’unità

8. 12. Così lo stesso Figlio di Dio, Verbo di Dio e nello stesso tempo Mediatore di Dio e degli uomini come Figlio dell’uomo, uguale al Padre 91 per l’unità della divinità e nostro simile per l’umanità che assunse, pregando il Padre per noi con la sua umanità, senza tacere tuttavia di essere con il Padre una sola cosa nella divinità, tra le altre cose dice: Non soltanto per questi prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola, affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché anche loro siano una cosa sola in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, io l’ho data a loro affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola 92.

Natura dell’unità in Cristo

9. Non disse: "Che io e loro siamo una cosa sola", sebbene come capo della Chiesa ed essendo la Chiesa il suo corpo 93 potesse dire: "Che io e loro siamo, non una cosa sola, ma uno solo", perché il capo e il corpo è un solo Cristo 94. Ma manifestando la sua divina consustanzialità con il Padre (riferendosi a questo, in un altro passo dice: Io e il Padre siamo una sola cosa 95), consustanzialità di un genere proprio a lui, cioè uguaglianza consustanziale nella medesima natura, vuole che i suoi siano una sola cosa, ma in lui. Infatti in se stessi ne sarebbero incapaci, disuniti l’uno dall’altro dalle opposte volontà, dalle passioni, dalle immondezze dei peccati. Per questo sono purificati dal Mediatore per essere una sola cosa in lui, non solo nell’unità della natura, nella quale da uomini mortali diventano uguali agli Angeli 96, ma anche per l’identità di una volontà che cospira in pieno accordo alla medesima beatitudine, fusa in qualche modo in un solo spirito dal fuoco della carità. È questo il senso dell’espressione: Che essi siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa; come il Padre e il Figlio sono una sola cosa non solo per l’uguaglianza della sostanza, ma anche per la volontà, così questi che hanno il Figlio come Mediatore tra sé e Dio, siano una cosa sola non soltanto perché sono della stessa natura ma anche per la comunanza di uno stesso amore. Dopo il Signore ci indica che egli è il Mediatore grazie al quale siamo riconciliati con Dio, con queste parole: Io in essi e tu in me, affinché siano consumati nell’unità 97.

L’uomo schiavo del demonio

10. 13. In questo consiste la vera pace e per noi il solido legame con il Creatore, una volta purificati e riconciliati ad opera del Mediatore della vita, così come macchiati e separati ci eravamo allontanati da lui ad opera del mediatore della morte. Infatti come il diavolo superbo condusse alla morte l’uomo insuperbito, così Cristo umile ricondusse alla vita l’uomo obbediente, perché come quello cadde dall’alto del suo orgoglio e ha fatto cadere l’uomo consenziente, così questi si rialzò dalla sua umiliazione ed ha rialzato l’uomo credente 98. Il diavolo non era giunto fin dove aveva condotto l’uomo (infatti, se era morto spiritualmente nella sua empietà, non era morto corporalmente, in quanto non aveva assunto la veste del corpo), e così faceva figura agli occhi dell’uomo di principe in mezzo alla legione dei demoni attraverso i quali impone il regno delle sue imposture. In questo modo gonfia vieppiù con vampate di orgoglio l’uomo, più desideroso di potenza che di giustizia; lo gonfia con la falsa filosofia oppure seducendolo con riti sacrileghi, precipitandovi anche, ingannate e beffate, anime troppo curiose degli artifici della magia e troppo presuntuose, e così tiene l’uomo in suo potere e promette perfino la purificazione dell’anima mediante un rito chiamato , mentre si trasforma in angelo di luce 99 per mezzo di una eterogenea messa in scena con miracoli e prodigi menzogneri 100.

I prodigi dei demoni si debbono disprezzare

11. 14. Infatti è facile agli spiriti del male operare per mezzo dei corpi aerei una moltitudine di cose che suscitano ammirazione nelle anime appesantite dai corpi di materia terrestre, anche in quelle meglio disposte 101. Perché se anche i corpi di materia terrestre, ben addestrati con l’arte e il continuo esercizio, possono eseguire davanti al pubblico spettacoli teatrali ed esercizi così straordinari che a narrarli a uomini che non ne hanno mai visti sembrano quasi incredibili, che c’è di eccezionale per il diavolo e i suoi angeli nel trarre dagli elementi della materia, per mezzo di corpi aerei, prodigi di cui l’uomo si meravigli ed anche nel comporre per mezzo di segreti influssi fantasmagorie di immagini, capaci di ingannare gli uomini durante la veglia o durante il sonno, oppure di sovraeccitare i dementi? Ma come può accadere che un uomo di condotta e costumi irreprensibili guardi degli individui perversi camminare su una corda e compiere molte cose straordinarie contorcendo in mille modi il loro corpo e tuttavia non desideri fare altrettanto, né per queste cose li consideri superiori a sé, così l’anima credente e pia può non solo vederli ma anche, per la fragilità della carne, provare davanti ai prodigi dei demoni un brivido di orrore, senza tuttavia rammaricarsi di non poter fare altrettanto o credersi inferiore ad essi, tanto più che essa fa parte della società dei santi i quali, uomini o Angeli, per la forza di Dio cui tutto è sottomesso, compirono cose per nulla ingannevoli e molto più importanti 102.

Il diavolo mediatore di morte

12. 15. Non sono dunque per nulla questi simulacri sacrileghi, queste curiosità empie, queste cerimonie magiche che purificano l’anima e la riconciliano a Dio, perché il falso mediatore non trascina verso le vette ma anzi vi pone ostacolo chiudendone l’accesso con le passioni che, tanto più pericolose quanto più orgogliose, ispira ai suoi complici. Esse, incapaci di irrobustire le ali della virtù per volare, hanno come effetto di aumentare, per sommergere, il peso dei vizi dell’anima, che si inabissa tanto più in basso, quanto più in alto crede di essere giunta. Perciò come fecero i Magi, divinamente istruiti, che una stella condusse ad adorare l’umiltà del Signore, così anche noi dobbiamo ritornare alla patria non per dove siamo venuti ma per un’altra strada 103, quella che ci ha insegnato il re umile e che il re superbo, nemico del re umile, non può intercettare. Anche a noi infatti, per farci adorare il Cristo umile, i cieli hanno narrato la gloria di Dio, diffondendosi la loro voce per tutta la terra e le loro parole fino ai confini del mondo 104. In Adamo il peccato ci ha aperto un cammino di morte: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e a causa del peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato 105. Il mediatore di questa via è stato il diavolo che ci ha spinto al peccato e precipitato nella morte 106. Certo egli per perpetrare la nostra duplice morte ha avuto soltanto bisogno della sua unica morte. Egli morì a causa dell’empietà nello spirito ma non morì nel corpo; però ha spinto noi all’empietà e a causa di essa ha fatto sì che meritassimo di giungere alla morte del corpo. Una cosa abbiamo dunque desiderato per questa cattiva suggestione, l’altra ci ha perseguito per giusta condanna; ecco perché è stato scritto: Dio non ha fatto la morte 107, perché egli non fu causa della morte e tuttavia è per suo castigo che il peccatore fu condannato ad una morte legittima. Nello stesso modo il giudice condanna il reo al supplizio, tuttavia causa del supplizio non è la giustizia del giudice ma il merito del crimine. Dove dunque il mediatore della morte del corpo ci ha condotto e dove egli non è arrivato, cioè proprio alla morte del corpo, il Signore Dio nostro ha posto la medicina della nostra guarigione, che non fu concessa al diavolo per occulta e assolutamente impenetrabile disposizione dell’alta giustizia divina. Come la morte venne da un solo uomo, così pure da un solo uomo doveva venire la risurrezione dei morti 108. Poiché gli uomini si affannavano ad evitare ciò che non potevano evitare, la morte del corpo più che la morte dello spirito, ossia il castigo più che la causa del castigo (perché di non peccare non ci si preoccupa affatto o ci si preoccupa poco; di non morire invece, sebbene sia una cosa irrealizzabile, ci si preoccupa disperatamente) il Mediatore della vita, insegnandoci a non temere la morte, inevitabile nell’attuale condizione umana, ma piuttosto l’empietà da cui ci si può guardare con la fede, ci è venuto incontro verso il fine cui tendiamo, ma non per la strada per cui camminavamo. Noi infatti siamo giunti alla morte per il peccato, lui per la giustizia. Perciò mentre la nostra morte è pena del peccato, la sua morte diviene ostia per il peccato 109.

Cristo morì perché lo volle

13. 16. Per questo motivo, se l’anima si ha da anteporre al corpo, se la morte dell’anima consiste nell’essere abbandonata da Dio mentre la morte del corpo consiste nell’essere abbandonato dall’anima, e se infine nella morte del corpo la pena consiste nel fatto che lo spirito lasci forzatamente il corpo in quanto ha lasciato volontariamente Dio, sicché, avendo abbandonato Dio per sua volontà abbandoni il corpo anche contro la sua volontà e per propria volontà non possa abbandonarlo se non facendo violenza a se stesso con il suicidio, l’anima del Mediatore ha provato che non era la pena del peccato che lo conduceva alla morte del corpo, perché egli non lo ha abbandonato contro la sua volontà ma perché lo ha voluto, quando lo ha voluto, come lo ha voluto. Essendo composto in unità con il Verbo di Dio, ha potuto dire: Ho il potere di lasciare la mia vita e di riprenderla. Nessuno me la toglie ma sono io che la lascio e la riprendo 110. E di questo rimasero sommamente stupiti, come narra il Vangelo, coloro che erano presenti quando, subito dopo quel grido (che è figura del nostro peccato), spirò 111. Infatti coloro che venivano crocifissi, morivano dopo una lunga agonia, come testimoniano i due ladroni ai quali furono rotte le gambe per affrettarne la morte e poterli deporre dalla croce prima del sabato. Quanto a Cristo, parve straordinario trovarlo già morto 112. Anche Pilato, secondo il testo, ne fu meravigliato, quando gli fu chiesto il corpo del Signore per seppellirlo 113.

Vittoria di Cristo sul diavolo

13. 17. E così quell’impostore che è stato causa di morte e si oppone alla vita sotto false parvenze di purificazione in riti e sacrifici sacrileghi che seducono i superbi, escluso dal partecipare con noi alla nostra morte e alla risurrezione spirituale, poté dare per la nostra duplice morte la sua unica morte, ma non poté dare in sé un’unica risurrezione che fosse sacramento della nostra rinascita ed esempio della risurrezione finale. Al contrario, colui che vivo nello spirito ha risuscitato il suo corpo dalla morte, il vero Mediatore della vita, ha cacciato dalle anime dei suoi fedeli colui che era morto nello spirito e mediatore di morte, per non permettergli di regnare all’interno, lasciando così che attaccasse dal di fuori senza che mai potesse conseguire vittoria. Cristo stesso si è offerto alle sue tentazioni per essere nostro mediatore, nel superamento delle tentazioni di lui, non solo con il suo aiuto ma anche con il suo esempio. Il diavolo, dopo aver prima cercato di introdursi all’interno per tutte le vie di accesso ed essere stato cacciato, esauritasi nel deserto dopo il battesimo la tentazione piena di tutte le lusinghe (poiché lui che era morto nello spirito non poté trionfare su quello spirito che era vivo), avido di mandare l’uomo a morte si valse dell’attuazione di quella morte che è in suo potere, e il Mediatore di vita fu lasciato alla discrezione di lui in ciò che aveva assunto di mortale da noi. Ma proprio lì, sul campo concesso alle sue imprese, il diavolo fu battuto completamente, perché fu proprio nel ricevere il potere esteriore di uccidere il corpo mortale del Signore che il suo potere interiore con cui ci teneva schiavi fu abbattuto 114. Infatti è accaduto che le catene tra innumerevoli peccati e innumerevoli morti sono state rotte con la morte di uno solo 115, assolutamente libero dal peccato. Il Signore soffrì per noi tale morte indebita, affinché non nuocesse a noi la morte a noi dovuta. Non esisteva potere che avesse il diritto di spogliarlo del suo corpo; se n’è spogliato lui stesso. Infatti Colui che avrebbe potuto non morire, se lo avesse voluto, senza alcun dubbio morì perché lo volle, dando così una bella lezione ai principati e alle potestà che egli aveva schiacciato totalmente nella sua persona 116. Con la sua morte, l’unico sacrificio assolutamente vero offerto per noi, tutto ciò che c’era in noi di colpevole e che dava il diritto ai principati e alle potestà di costringerci a espiare con i supplizi, egli ha pulito, abolito, estinto, e con la sua risurrezione a una vita nuova ha chiamato noi, i predestinati, chiamati ci ha giustificati, giustificati ci ha glorificati 117. Ecco come la stessa morte corporale ha tolto al diavolo l’uomo, che egli dominava con pieno diritto dopo averlo sedotto con il consenso di lui, l’uomo troppo povero, troppo debole, che egli, libero perfettamente dalla corruzione della carne e del sangue, con l’aiuto della debolezza del corpo mortale schiacciava (con uno sdegno tanto più grande quanto maggiore era, per così dire, la sua fortuna e la sua forza) come un cencioso e un miserabile. Dove infatti senza seguirlo spinse l’uomo peccatore nel momento della sua caduta, ivi ridusse con le persecuzioni il Redentore nel tempo della sua discesa. Così il Figlio di Dio si degnò di farsi nostro amico condividendo con noi la morte per immunità dalla quale il nemico si stimava migliore e più grande di noi. Dice il nostro Redentore: Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la vita propria per i suoi amici 118. Il diavolo arrivò fino al punto di ritenersi superiore al Signore stesso in quanto il Signore gli aveva ceduto nella sua passione. Così proprio del Signore si ha da intendere ciò che si legge nel Salmo: Lo hai reso un po’ inferiore agli Angeli 119. Ed ecco il risultato di tutto questo: l’innocente Signore ucciso dal maligno che agiva contro di noi in forza di un diritto giustamente concessogli, trionfò del diavolo con pienissima giustizia, fece propria schiava la schiavitù prodotta dal peccato, liberò noi dalla servitù che giustamente ci spettava per il peccato, distrusse la condanna di morte 120 con il suo sangue giusto ingiustamente versato dal diavolo e redense i peccatori, che avevano bisogno di essere giustificati.

La sovreminente Sapienza divina si serve del diavolo per la salvezza dei suoi fedeli

13. 18. Per questo il diavolo si prende ancor gioco dei suoi ai quali si presenta con l’aria di volerli purificare con i suoi misteri ma in realtà per coinvolgerli e farli cadere, in quanto con grande facilità persuade il loro orgoglio a deridere e disprezzare la morte di Cristo: il diavolo è ritenuto da essi tanto più santo e divino quanto più è estraneo a questa morte. Però sono molto pochi quelli che gli sono rimasti fedeli, dopo che i pagani hanno riconosciuto e bevuto con pia umiltà il prezzo della loro redenzione e, pieni di fiducia, abbandonano il loro nemico e corrono al loro Redentore. Il diavolo infatti ignora che delle sue insidie e del suo furore si serve per la salvezza dei suoi fedeli la sovreminente Sapienza divina, che si estende con forza e dispone di tutto con soavità dall’estremo superiore, che è la prima delle creature spirituali, fino all’estremo inferiore, che è la morte del corpo, perché essa penetra dappertutto per la sua purezza e nulla di impuro penetra in lei 121. Ma per il diavolo, esente dalla morte del corpo (e per questo incede con grande superbia), è pronta una morte di altro genere nel fuoco eterno del Tartaro, dove possono essere torturati non solo gli spiriti rivestiti di materia terrena ma anche quelli rivestiti di materia eterea. Quanto agli uomini superbi che disprezzano Cristo perché è morto, mentre egli con la sua morte ci ha riscattato a così caro prezzo 122, essi anzitutto pagano con gli altri uomini il tributo della morte corporale dovuto alla condizione miserabile che la natura umana ha ereditato dal primo peccato, e poi saranno precipitati nella morte eterna con il diavolo. Essi l’hanno preferito a Cristo perché li ha precipitati in una morte in cui per la differenza di natura il diavolo non è caduto e dove, per una immensa misericordia, Cristo è disceso. Tuttavia si ritengono superiori ai demoni e non cessano di perseguitarli con ingiurie e con l’odio, pur sapendo perfettamente che sono esenti dal subire quella morte per la quale disprezzano Cristo. Così si rifiutano di considerare come il Verbo di Dio, pur rimanendo identico a se stesso e immutabile per ogni verso, tuttavia per l’assunzione di una natura inferiore possa soffrire la morte che il demonio immondo non può soffrire per mancanza di un corpo terreno. Perciò, sebbene essi siano superiori ai demoni, nondimeno sono soggetti alla morte perché hanno un corpo mortale, mentre i demoni non possono morire perché non l’hanno. Essi fanno molto conto delle vittime dei loro sacrifici, ma non sospettano di immolarle agli spiriti ingannatori e superbi o, anche se lo sanno, pensano di trarre qualche profitto dall’amicizia di esseri perfidi e gelosi che non hanno altra preoccupazione che quella di impedire il nostro ritorno a Dio.

Cristo unico Mediatore con il sacrificio della pace ci riconcilia con Dio

14. 19. Costoro non capiscono che questi spiriti orgogliosissimi non avrebbero potuto compiacersi degli onori dei sacrifici se il vero Dio, in luogo del quale pretendono di essere adorati, non avesse diritto, lui solo, al vero sacrificio e che questo sacrificio non può essere offerto legittimamente se non ad opera di un sacerdote santo e giusto e se la materia dell’offerta non è presa da coloro per i quali è offerta e se non è una materia senza difetto perché possa essere offerta per la purificazione di esseri difettosi. Questo certamente desiderano coloro che chiedono che venga offerto per loro un sacrificio a Dio. E quale sacerdote è giusto e santo come l’unico Figlio di Dio, che non aveva bisogno di purificare con un sacrificio i suoi peccati, né quello originale né altri aggiunti dall’esistenza umana? E che altro si può prendere dagli uomini e offrirlo per essi tanto convenientemente quanto la carne umana? E che cosa c’è di tanto adatto, per questa immolazione, come la carne mortale? E che cosa di tanto puro per purificare le immondezze dei mortali come una carne concepita e nata verginalmente, immune da ogni contagio della concupiscenza carnale? E che cosa è tanto offribile e tanto accettabile quanto la carne del nostro sacrificio che è il corpo del nostro sacerdote? Che se in ogni sacrificio sono quattro gli aspetti da considerare (a chi si offre, da chi si offre, che cosa si offre, per chi si offre), tutti e quattro convengono nel medesimo unico e vero Mediatore che ci riconcilia con Dio per mezzo del suo sacrificio di pace 123, rimanendo egli tutt’uno con Dio a cui si offriva, facendo tutt’uno in sé coloro per i quali l’offriva, tutt’uno essendo lui che offriva con ciò che offriva.

Errore degli orgogliosi

15. 20. Vi sono alcuni che pensano di potersi purificare con il loro proprio sforzo per contemplare Dio e unirsi a lui: questa superbia è la loro peggiore immondezza. Infatti non vi è alcun vizio cui più si oppone la legge divina e che conceda un diritto più indiscutibile a quello spirito pieno di superbia, aiuto nella discesa agli abissi, impedimento nell’ascesa alle vette, a meno che per un’altra via non si eludano le sue insidie o gli attacchi aperti che egli promuove per mezzo di un popolo vizioso, indicato in Amalec, e gli ostacoli che egli frappone all’entrata nella terra promessa non si superino per mezzo della croce del Signore, prefigurata nelle braccia aperte di Mosè 124. Il motivo della pretesa di costoro di purificarsi da se stessi è che alcuni di essi sono riusciti a sollevare la punta dello spirito al di sopra di ogni creatura e attingere, per quanto poco, la luce della immutabile verità; e poiché molti cristiani che vivono attualmente solo di fede non hanno potuto fare altrettanto, li deridono 125. Ma a chi è superbo, e per questo si vergogna di salire sulla nave, che giova intravedere da lontano la patria d’oltremare 126? Oppure che nuoce a chi è umile il non vederla per tanta distanza, se si trova dentro la nave che voga verso di essa e sulla quale il superbo rifiuta di viaggiare?

I filosofi non hanno potuto vedere nelle ragioni eterne ciò che concerne la storia

16. 21. Costoro criticano anche la nostra fede nella risurrezione della carne e pretendono che invece diamo il nostro assenso a ciò che essi affermano anche circa queste cose. Come se debbano essere consultati sul cambiamento delle cose mutevoli e sul concatenarsi dei secoli per il fatto che sono riusciti, tramite le creature, a comprendere la realtà trascendente ed immutabile. Certo, le loro spiegazioni sono pienamente esatte e i loro argomenti decisivi nel dimostrare la dipendenza assoluta di ogni cosa temporale dalle ragioni eterne, ma ne consegue per questo che siano riusciti a penetrare queste ragioni stesse e dedurne quanti generi di animali vi siano, quali furono all’origine i loro germi, quale il processo del loro sviluppo, quali numeri reggano le loro concezioni, le loro nascite, le loro età e i loro declini, quali i movimenti regolatori dei loro istinti che li portano verso ciò che è loro naturale e li allontanano da ciò che è loro nocivo? Non si sono forse informati circa queste cose, non per mezzo di quella immutabile sapienza ma sulle pagine della storia nella sua evoluzione spaziale e temporale, prestando fede a ciò che altri hanno per esperienza appreso e consegnato ai loro scritti? È dunque ancor meno degno di meraviglia che non abbiano in alcun modo potuto investigare una così larga serie di secoli né incontrare, per così dire, un termine al centro di questo scorrere dei secoli, che come un fiume trascina il genere umano, né il cambiamento di rotta che porta ciascuno al suo punto di arrivo particolare. Queste cose non hanno potuto scrivere gli storici, perché troppo lontane nell’avvenire e nessuno ne ha fatto l’esperienza e la narrazione. Né questi filosofi migliori degli altri ne hanno avuto la visione intellettuale in quelle supreme ed eterne ragioni, altrimenti non si sarebbero accontentati di indagare il passato, come possono fare gli storici, ma svelerebbero anche il futuro. Coloro che ebbero questo potere, ebbero presso di loro il nome di vati, presso di noi quello di Profeti.

Prescienza del futuro

17. 22. Ma per la verità il nome di Profeta non è del tutto estraneo alla loro letteratura. Tuttavia interessa moltissimo distinguere tra diverse possibilità. Il futuro può essere congetturato dalle esperienze del passato. I medici per esempio, che pronosticano molte cose, mettono per iscritto i risultati delle loro osservazioni, così gli agricoltori ed anche i marinai predicono molte cose (quando tali predizioni sono molto anteriori agli avvenimenti, sono ritenute divinazioni). Oppure gli eventi futuri sono già in processo di svolgimento e vengono preannunciati da chi ha la fortuna di scorgerli da lontano per una vista relativamente acuta (quando le potenze dell’aria fanno questo si ritiene che facciano delle divinazioni). È come se qualcuno dalla vetta di un monte vedesse uno che viene da lontano e annunciasse in anticipo la sua venuta a coloro che abitano lì vicino nella pianura. Oppure gli Angeli santi, ai quali Dio li rivela per mezzo del suo Verbo e Sapienza nella quale stanno immobili il futuro e il passato, rivelano ad alcuni uomini gli eventi futuri e questi poi li trasmettono ad altri. Oppure gli spiriti di alcuni uomini vengono così innalzati dallo Spirito Santo da apprendere, non per mezzo degli Angeli ma da sé, le cause degli eventi futuri, come già presenti nel supremo principio delle cose. Del resto anche le potestà dell’aria odono circa queste cose ciò che annunciano gli Angeli o gli uomini, ma odono solo nella misura che ritiene utile Colui al quale tutto è sottomesso. Infine molte predizioni hanno origine da una specie di istinto e d’impulso inconscio dello spirito: così Caifa non sapeva ciò che diceva ma fu la sua carica di pontefice che lo fece profetizzare 127.

Non si debbono consultare i filosofi sulla conoscenza del futuro e sulla risurrezione

17. 23. Dunque circa il susseguirsi dei secoli e la risurrezione dei morti non dobbiamo consultare i filosofi, nemmeno coloro che compresero, secondo le loro possibilità, l’eternità del Creatore, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo 128. Perché pur conoscendo Dio dalle sue opere non gli hanno dato gloria come Dio né gli hanno reso grazie, ma affermando di essere sapienti sono divenuti stolti 129. Essendo impotenti d’altra parte a tener fissa così fermamente la punta dello spirito nell’eternità dell’essere spirituale e immutabile così da vedere, nella sapienza del Creatore e Signore dell’universo, il volgere dei secoli, che in essa erano già e per sempre mentre quaggiù non sarebbero stati che per non essere più, e da vedervi i progressi non solo spirituali ma anche materiali degli uomini fino alla loro perfezione propria a ciascuno; essendo dunque del tutto impotenti a vedervi queste cose, non sono nemmeno stati giudicati degni di apprenderle dagli Angeli santi né esteriormente per mezzo di impressioni fisiche né interiormente per mezzo di rivelazioni rese manifeste nello spirito. In tal modo invece le appresero i nostri padri che erano animati da una vera pietà, essi a loro volta le manifestarono e, confermandole con miracoli compiuti sul momento e con predizioni realizzatesi a breve distanza di tempo, si sono acquistati una tale autorità da poter essere creduti circa quelle cose che, secondo la loro profezia, sarebbero accadute nel futuro più lontano fino alla fine dei tempi. Invece le potestà dell’aria, superbe e ingannatrici, sebbene abbiano manifestato tramite i loro indovini alcune cose apprese dai santi Profeti e dagli Angeli sulla società e città dei santi e sul vero Mediatore, lo hanno fatto per attrarre gli stessi fedeli di Dio, con verità che loro non appartengono, alle falsità che loro appartengono 130. Ma Dio si è comportato in modo che grazie anche ad essi (senza che lo sapessero) la verità risuonasse ovunque, ai fedeli come aiuto, agli empi come testimonio.

Il Figlio di Dio si è incarnato ed ha fatto convergere a sé la nostra fede per condurci alla sua verità

18. 24. Poiché dunque eravamo incapaci di attingere l’eterno e le immondezze dei peccati, contratte con l’amore delle cose temporali e quasi naturalmente radicate in noi con la propagazione della natura mortale, ci schiacciavano sotto il loro peso, ci era necessaria una purificazione. Ma noi avremmo potuto essere purificati per essere adattati alle cose eterne solo per mezzo delle cose temporali alle quali già aderivamo. Infatti tra la malattia e la salute c’è una distanza grandissima, ma tra le due il rimedio non conduce alla salute, se non conviene con la malattia. Usate male, le cose temporali ingannano gli ammalati; usate bene, procurano loro salute e li innalzano poi alle cose eterne. Da parte sua l’anima razionale per purificarsi è tenuta alla fede nei riguardi delle cose temporali così come, una volta purificata, è tenuta alla contemplazione nei riguardi delle cose eterne. Disse uno di quei personaggi che nei tempi passati furono ritenuti sapienti presso i Greci: Ciò che l’eternità è in rapporto a ciò che incomincia, la verità lo è in rapporto alla fede 131. Ed è un’affermazione certamente esatta. Ciò che noi chiamiamo "temporale", egli lo ha chiamato: ciò che incomincia. A questo genere di cose apparteniamo anche noi, non soltanto per il corpo, ma anche per la mutevolezza dell’anima. Non si può, a rigore, chiamare eterno ciò che muta per qualche aspetto. Quanto più dunque siamo mutevoli, tanto più siamo lontani dall’eternità. Tuttavia ci è promesso di arrivare alla vita eterna per mezzo della verità dalla cui evidenza, ancora una volta, la nostra fede è tanto lontana, quanto dall’eternità la nostra mortalità. Ora dunque accordiamo fede alle cose compiute per noi nel tempo per essere purificati per mezzo di essa, perché quando giungeremo alla visione, come alla fede subentra la verità, così alla mortalità subentri l’eternità. Ne consegue che la nostra fede diverrà verità quando giungeremo a ciò che è promesso a noi che crediamo, ma ci è promessa la vita eterna. Ora la Verità ha detto (non la verità che diverrà tale un giorno, come lo diverrà la nostra fede, ma quella che è sempre verità perché in essa c’è l’eternità), dunque la Verità ha detto: Questa è la vita eterna: che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo 132; quando dunque nella visione la nostra fede diverrà verità, allora l’eternità possederà la nostra mortalità trasfigurata 133. In attesa che ciò accada ed affinché accada, poiché accordiamo alle cose che nascono l’adesione della nostra fede, come nelle eterne speriamo la verità della contemplazione, affinché non vi fosse discordanza tra la fede della vita mortale e la verità di quella eterna, la stessa Verità coeterna al Padre è nata sulla terra 134, quando il Figlio di Dio venne per diventare Figlio dell’uomo e per ricevere lui stesso in sé la nostra fede che ci conducesse alla verità di lui, che ha assunto la nostra mortalità in modo da non perdere la sua eternità. C’è infatti tra le cose che cominciano e l’eternità lo stesso rapporto che c’è tra la fede e la verità 135. Così ci era necessaria una purificazione che permettesse a lui di nascere per noi, pur rimanendo eterno, affinché non lo possedessimo in un modo nella fede e in un altro nella verità. Noi certo abbiamo avuto origine ma non per questo avremmo potuto passare all’eterno, se l’Eterno, partecipando alla nostra sorte col nascere come noi, non ci avesse trasportati all’eternità. Ora perciò la nostra fede se ne è andata in qualche modo là dove è salito Cristo, oggetto della nostra fede per la quale lo crediamo nato, morto, risorto e asceso. Di queste quattro tappe conoscevamo personalmente le prime due; sappiamo infatti che gli uomini nascono e muoiono. Quanto alle altre due, la risurrezione e l’ascensione, abbiamo il diritto di sperare che si realizzeranno in noi perché crediamo che già si sono realizzate in lui. Quindi, dato che in lui anche ciò che ha avuto origine è passato all’eterno, passerà all’eterno anche in noi quando la fede sarà giunta alla verità. Ecco ciò che disse ai credenti perché perseverassero nella parola della fede e da ciò condotti alla verità e per essa all’eternità, fossero liberati dalla morte: Se persevererete nei miei insegnamenti, siete veramente miei discepoli 136. E, come se avessero chiesto: "Con quale vantaggio?", proseguendo disse: E conoscerete la verità 137. Quasi poi insistessero di nuovo: "Che vantaggio porta ai mortali la verità?", continuò: E la verità vi farà liberi 138. Da che cosa se non dalla morte, dalla corruzione, dalla mutevolezza? Sì, la verità resta immortale, incorrotta, immutabile. Ora la vera immortalità, la vera incorruttibilità, la vera immutabilità è l’eternità stessa 139.

Annunci della missione del Figlio

19. 25. Ecco per qual fine il Figlio di Dio è stato mandato o meglio che cos’è la missione del Figlio di Dio. Tutti i fatti compiuti nel corso del tempo in seno alle cose che hanno avuto inizio e che nell’eternità hanno avuto la loro origine ed hanno il loro termine, per costituire la nostra fede, dalla quale siamo purificati per contemplare la verità, costituiscono o delle testimonianze di questa missione o la stessa missione del Figlio di Dio. Ma alcune testimonianze annunciavano la sua venuta futura, altre attestavano la sua venuta passata. Era conveniente che fattosi creatura Colui per mezzo del quale è stata fatta ogni creatura, avesse come testimonio ogni creatura. Se infatti molti inviati non avessero annunciato l’inviato unico, non si sarebbe tenuto l’unico dopo aver rimandato i molti. E se non ci fossero stati dei testimoni così considerevoli da sembrar grandi ai piccoli, non lo si sarebbe ritenuto abbastanza grande da poter fare grandi gli altri, lui che, piccolo, è stato mandato ai piccoli. Ora il cielo, la terra e tutto ciò che contengono sono opere del Figlio di Dio 140, dato che per mezzo di lui tutte le cose sono state fatte 141, incomparabilmente più importanti che i miracoli e i portenti profusi per testimoniarlo. Tuttavia gli uomini sono condotti a credere, loro piccoli, a queste sue opere veramente grandi dal timore di queste dimostrazioni giudicate grandi ma in realtà piccole.

Cristo conosciuto nella sua inferiorità rispetto al Padre, sconosciuto nella sua uguaglianza al Padre

19. 26. Dunque, quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, fatto da donna, fatto sotto la Legge 142; fatto e perciò piccolo, e mandato appunto perché fatto. Se dunque è il superiore che invia l’inferiore, riconosciamo anche noi che colui che è fatto è inferiore in quanto fatto, e che in tanto è fatto in quanto è mandato. Infatti ha mandato il suo Figlio fatto da donna; ma poiché tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, non solo prima che fosse mandato come fatto ma prima dell’esistenza di tutte le cose, noi ammettiamo l’uguaglianza fra chi lo inviò e lui stesso del quale dichiariamo l’inferiorità in quanto mandato. Come mai allora prima di questa pienezza dei tempi, quando conveniva che fosse mandato, prima della sua missione, ha potuto mostrarsi ai Patriarchi in alcune visioni angeliche di cui essi erano favoriti 143, se nemmeno quando fu mandato poté essere visto nella sua uguaglianza con il Padre? Per quale motivo infatti dice a Filippo che lo vedeva di certo nella sua carne (come del resto gli altri, inclusi quelli stessi che lo crocifissero): Da così tanto tempo sono con voi e non mi conoscete ancora? Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre 144, se non perché lo si vedeva e non lo si vedeva? Era visibile in quanto come mandato era stato fatto, invisibile in quanto Creatore che tutto aveva fatto. E perché disse anche: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, egli mi ama; e chi ama me, sarà amato dal Padre. Ed io lo amerò e manifesterò me stesso a lui 145, mentre era manifesto agli occhi degli uomini, se non intendeva porgere come oggetto alla nostra fede la carne assunta dal Verbo nella pienezza dei tempi e riservare il Verbo stesso, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, come oggetto di contemplazione nell’eternità al nostro spirito, dopo che sarà stato purificato dalla fede?

Il Figlio consustanziale al Padre e mandato da lui

20. 27. Se dunque il Figlio si dice mandato dal Padre perché questi è Padre e quello è Figlio, niente ci impedisce di credere che il Figlio sia uguale e consustanziale al Padre e che tuttavia il Figlio sia stato mandato dal Padre. Non perché l’uno sia superiore e l’altro inferiore, ma perché l’uno è Padre e l’altro è Figlio, l’uno genitore e l’altro generato, l’uno dal quale è colui che viene mandato, l’altro che è da colui che manda. Infatti è il Figlio che ha origine dal Padre, non il Padre dal Figlio. Conseguentemente possiamo capire che la missione del Figlio non si identifica semplicemente con l’incarnazione del Verbo 146, ma è il principio che ha determinato l’incarnazione del Verbo e il compimento da parte di lui, personalmente presente, degli eventi che sono stati registrati. In altre parole la missione non è solo dell’uomo assunto dal Verbo, ma altresì del Verbo che è stato mandato a farsi uomo. Perché la sua missione non presuppone una differenza di potere o di sostanza o di altro nei riguardi del Padre ma presuppone l’origine del Figlio dal Padre, non del Padre dal Figlio. Infatti il Verbo è il Figlio del Padre ed è detto anche Sapienza del Padre. Che meraviglia dunque se il Figlio è mandato non perché è ineguale al Padre ma perché è una emanazione pura della luce di Dio onnipotente 147? Qui ciò che emana e ciò da cui emana sono di una sola ed identica sostanza. Non è un’emanazione come quella dell’acqua che scaturisce dalle aperture naturali della terra o della roccia, ma come quella della luce dalla luce. Quando si dice: Splendore della luce eterna 148, che altro si intende significare se non che è luce della luce eterna? Lo splendore della luce che altro è se non luce? È di conseguenza coeterno alla luce dalla quale è luce. Tuttavia la Scrittura ha preferito l’espressione: Splendore della luce all’altra: "Luce della luce", affinché nessuno credesse più oscura la luce che emana di quella da cui emana. Invece sentendola chiamare suo splendore è più facile pensare che l’una deve all’altra il suo chiarore, piuttosto che credere che questa brilla meno dell’altra. Ma poiché non v’era da temere che qualcuno ritenesse inferiore la luce generatrice (nessun eretico ha mai osato affermare questo né è da credere che qualcuno oserà farlo), la Scrittura previene l’idea che la luce emanata sia più oscura della luce generatrice; ha eliminato tale congettura dicendo: è lo splendore di essa, cioè della luce eterna, e così dimostra la sua uguaglianza. Infatti, inferiore, ne sarebbe l’ombra, non lo splendore; se fosse invece maggiore, non ne emanerebbe perché non potrebbe superare la luce dalla quale è generata. Dunque, poiché da essa emana, non le è superiore, ma poiché non ne è l’ombra, ma lo splendore, non le è inferiore: perciò è uguale. Né deve metterci in imbarazzo l’espressione: una emanazione pura della luce di Dio onnipotente, come se essa non fosse onnipotente, ma emanazione dell’Onnipotente. Infatti il testo aggiunge subito: Essendo unica essa può tutto 149. Ora chi è onnipotente, se non Colui che può tutto? Essa è dunque mandata da Colui dalla quale emana. Sotto questa forma infatti anche la implora colui che l’amava e la desiderava: Mandala, dice, dai santi cieli, mandala dal trono della tua gloria, perché mi assista e condivida le mie fatiche 150. Cioè: mi insegni a lavorare per evitarmi le pene del lavoro, perché i suoi lavori sono le virtù. Ma in una maniera è inviata perché sia con l’uomo, in un’altra perché sia essa stessa uomo. Infatti: Essa si trasfonde nelle anime sante e ne fa degli amici di Dio e Profeti 151, alla maniera in cui riempie anche gli Angeli santi e per mezzo di essi opera tutto ciò che armonizza con questa specie di funzioni. Ma quando venne la pienezza dei tempi fu mandata 152, non per riempire gli Angeli, né perché fosse un Angelo (eccetto nella misura in cui annunciava le intenzioni del Padre, che erano anche le sue), non perché fosse con gli uomini o negli uomini, come era anche prima nei Patriarchi e nei Profeti, ma perché il Verbo stesso si facesse carne, cioè diventasse uomo. In questo sacramento posteriormente rivelato c’era la salvezza anche dei sapienti e dei santi che nacquero dalla donna, prima che egli nascesse dalla Vergine. Nel suo compimento e nel suo annuncio c’è la salvezza di tutti coloro che credono, che sperano, che amano. Ecco: Il grande mistero della pietà, che fu manifestato nella carne, giustificato nello spirito, apparve agli Angeli, fu predicato alle genti, fu creduto nel mondo, fu elevato nella gloria 153.

La missione del Figlio consiste nella sua venuta nel mondo e nella sua presenza nelle anime

20. 28. Dunque il Verbo di Dio è mandato da Colui del quale è Verbo; è mandato da Colui dal quale è nato; manda colui che genera, è mandato colui che è generato. Ed egli è mandato a qualcuno nel momento in cui lo si conosce e lo si comprende, per quanto permette di conoscerlo e comprenderlo la forza penetrativa di un’anima razionale che progredisce verso Dio o che in Dio è già perfetta. Dunque il Figlio non è detto mandato per il fatto stesso che è nato dal Padre, ma quando o si manifesta in questo mondo il Verbo fatto carne 154, per cui egli dice: Sono nato dal Padre e sono venuto in questo mondo 155, o nel corso del tempo è percepito dallo spirito di qualcuno, nel senso in cui è detto: Mandala, affinché mi assista e condivida il mio lavoro 156. Ora ciò che è nato dall’Eterno esiste in eterno: È lo splendore della luce eterna 157, mentre ciò che è mandato nel corso del tempo è conosciuto da qualcuno. Ma quando il Figlio di Dio si è manifestato nella carne, è in questo mondo che egli è stato mandato, nella pienezza dei tempi, per la sua nascita da donna: Perché, siccome nella Sapienza di Dio il mondo con la propria sapienza non ha potuto conoscere Dio, dato che la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno compresa 158, piacque a Dio di salvare con la stoltezza della predicazione coloro che credono fermamente 159. Gli piacque cioè che il Verbo si facesse carne ed abitasse tra noi. Invece quando nel corso del tempo qualcuno prende coscienza del suo progresso si dice giustamente che il Verbo è mandato, ma non in questo mondo 160, perché evidentemente non appare in maniera sensibile, cioè non cade sotto i sensi del corpo. Perché anche noi, in quanto secondo le nostre possibilità attingiamo con lo spirito qualcosa di eterno, non siamo in questo mondo, come anche gli spiriti dei giusti, anche quelli che vivono in questo corpo, in quanto esperimentano la dolcezza delle cose divine, non sono in questo mondo. Ma il Padre, anche quando lo si conosce temporalmente, non si dice mandato, perché non ha alcuno dal quale ricevere l’essere o dal quale procedere. La Sapienza esclama: Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo 161, e dello Spirito Santo è detto: Egli procede dal Padre 162, ma il Padre da nessuno.

La missione dello Spirito Santo consiste nella conoscenza che abbiamo della sua processione dal Padre

20. 29. Dunque come il Padre ha generato, il Figlio è stato generato, così il Padre ha mandato, il Figlio è stato mandato. Ma come nel caso di colui che ha generato e di colui che è stato generato, colui che ha mandato e colui che è stato mandato sono una sola cosa, perché il Padre e il Figlio sono una sola cosa. Così pure lo Spirito Santo è una cosa sola con essi, perché i Tre sono una sola cosa 163. Come infatti per il Figlio nascere è essere dal Padre, così per il Figlio essere mandato è essere conosciuto nella sua origine dal Padre. Alla stessa maniera come per lo Spirito Santo essere il dono di Dio è procedere dal Padre, così per lui essere mandato è venir conosciuto nella sua processione dal Padre, e non possiamo dire che lo Spirito Santo non proceda anche dal Figlio. Non per nulla infatti il medesimo Spirito Santo è detto Spirito del Padre e del Figlio 164. Né vedo che altro abbia voluto dire Cristo quando, soffiando sul volto dei discepoli ha dichiarato: Ricevete lo Spirito Santo 165, perché quel soffio corporeo, che procede dal corpo con una sensazione di contatto fisico non era la sostanza dello Spirito Santo, ma la rappresentazione, attraverso un simbolo adatto, che lo Spirito Santo non procede solo dal Padre, ma anche dal Figlio. In verità chi sarà così insensato da affermare che c’è uno Spirito che egli ha dato con il suo soffio e un altro che ha mandato dopo la sua ascensione 166? Un unico spirito infatti è lo Spirito di Dio, Spirito del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo, che opera tutto in tutti 167. Ora il fatto che egli sia stato mandato due volte è cosa che concerne certo l’economia del simbolismo. Ne discuteremo a suo luogo, per quanto il Signore ce lo concederà. Quando dunque il Signore parla di colui che vi manderò da presso il Padre 168, rivela lo Spirito del Padre e del Figlio. D’altra parte, dopo aver parlato di colui che il Padre manderà, ha aggiunto: in nome mio 169, ma non ha affatto detto: "Colui che il Padre manderà da presso me", come ha detto: Colui che io manderò da presso il Padre, mostrando così che il Padre è il Principio di tutta la Divinità, o, con espressione più esatta, di tutta la deità. Di conseguenza colui che procede dal Padre e dal Figlio si riferisce a colui dal quale è nato il Figlio. Quanto a questa espressione dell’Evangelista: Lo Spirito non era ancora stato dato, perché egli non era ancora stato glorificato 170, che senso attribuirle, se non che dopo la glorificazione di Cristo doveva esserci una tale donazione o missione dello Spirito Santo quale non c’era mai stata antecedentemente? Prima infatti non era mancata, ma non era stata uguale. Se prima lo Spirito Santo non veniva dato, di che spirito erano pieni i Profeti quando parlarono? La Scrittura dichiara in modo netto ed in molti passi che essi hanno parlato mossi dallo Spirito Santo. Così di Giovanni il Battista è detto: E sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre 171; e vediamo suo padre Zaccaria, pieno di Spirito Santo 172, nel profetizzare le grandezze del Figlio e così pure vediamo Maria piena di Spirito Santo nel magnificare le opere del Signore che portava nel suo seno 173, come anche Anna e Simeone nel riconoscere la grandezza di Cristo bambino 174. Come dunque lo Spirito Santo non era stato ancora dato perché Cristo non era stato ancora glorificato 175, se non nel senso che quella dispensazione, o quella donazione, o quella missione dello Spirito Santo avrebbe avuto nel suo compimento una particolare caratteristica mai riscontrata prima di allora? In nessun luogo infatti noi leggiamo di uomini che parlano lingue loro sconosciute, per la discesa in loro dello Spirito Santo, come è accaduto quando c’era necessità di provare la sua venuta con segni sensibili, i quali rivelassero che tutta la terra e tutte le nazioni fondate sulla diversità delle lingue, avrebbero creduto in Cristo per il dono dello Spirito Santo, in modo che si adempisse ciò che si canta nel Salmo: Non ci sono linguaggi, non ci sono parole di cui non si intenda la voce. Il loro suono si espande per tutta la terra e i loro accenti fino ai confini del mondo 176.

20. 30. Così al Verbo di Dio l’uomo si unì e, in qualche modo, si mescolò nell’unità della persona quando, giungendo la pienezza dei tempi, il Figlio di Dio fu mandato in questo mondo, nato da donna per essere anche Figlio dell’uomo, a beneficio dei figli degli uomini 177. Antecedentemente gli Angeli avevano potuto rappresentare questa unione personale allo scopo di preannunciarla, non l’avevano potuta realizzare in se stessi.

Inseparabilità delle tre Persone nell’azione, separabilità nella manifestazione

21. Per quanto riguarda la manifestazione sensibile dello Spirito Santo sotto forma di colomba 178 o di lingue di fuoco 179, poiché una creatura sottoposta e docile 180, con mutazioni e forme transitorie, manifestava la sua sostanza coeterna al Padre e al Figlio e altrettanto immutabile senza venir assunta da lui in unità di persona come la carne del Verbo incarnato 181 non oso affermare che prima di allora non sia accaduto nulla di simile. Al contrario affermo con piena sicurezza che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, di una sola e identica sostanza, Dio creatore, Trinità onnipotente, operarono inseparabilmente, ma non possono invece essere indicati inseparabilmente da una creatura tanto inferiore, specialmente se è corporea 182. Per esempio, con le nostre parole, che hanno certamente un suono sensibile, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo non possono essere nominati se non successivamente e distintamente secondo i tempi corrispondenti alle sillabe di ciascun vocabolo. Evidentemente nella sostanza in cui sussistono, i Tre sono una cosa sola 183: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, identica realtà senza alcun movimento temporale, al di sopra di ogni creatura, senza alcuna separazione nel tempo e nello spazio, una sola identica cosa, simultaneamente dall’eternità all’eternità, come l’eternità stessa che non esiste senza verità e senza amore. Ma nelle parole "Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo" sono stati separati, non hanno potuto essere detti simultaneamente e hanno occupato spazi distinti nelle lettere visibili con i quali li ho scritti. E come quando nomino la mia memoria, la mia intelligenza e la mia volontà, i singoli vocaboli si riferiscono a cose distinte, ma tuttavia li pronuncio con il concorso di tutte e tre le facoltà insieme, non venendo detto nessuno dei tre vocaboli senza la cooperazione tra la mia memoria, la mia intelligenza e la mia volontà, così la Trinità inseparabilmente ha operato la voce del Padre, la carne del Figlio e la colomba dello Spirito Santo, sebbene queste tre singole cose si riferiscano alle singole persone. Questo esempio vale in qualche modo a far capire che i Tre, inseparabili tra loro, si mostrano separatamente attraverso le creature visibili, e che l’operazione dei Tre rimane inseparabile anche nelle singole cose che stanno ad indicare propriamente il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.

Differenza tra l’Incarnazione e le altre missioni

21. 31. Di conseguenza, se mi si chiede come sono state realizzate le voci, le forme, le apparizioni sensibili anteriori all’incarnazione del Verbo di Dio e che ne prefiguravano la venuta, rispondo che Dio le ha realizzate per mezzo degli Angeli, cosa che mi sembra d’altra parte di aver sufficientemente dimostrato con i testi della Sacra Scrittura 184. Se mi si domanda poi come si realizzò l’incarnazione, dico che il Verbo di Dio si è fatto carne, cioè uomo, senza essere tuttavia convertito e trasformato 185 in ciò che si è fatto, e si è fatto esattamente in tal modo che in lui si trova non solo il Verbo di Dio e la carne dell’uomo, ma anche l’anima razionale e che questo tutto si dica Dio a causa della natura divina, e uomo a causa della natura umana. Se è difficile intenderlo, l’anima si purifichi con la fede, astenendosi ogni giorno di più dal peccato, operando il bene e pregando con il gemito dei santi desideri, perché, progredendo con l’aiuto divino, comprenda ed ami. Se si chiede come, dopo l’incarnazione del Verbo, si è realizzata la voce del Padre o la forma corporea sotto la quale lo Spirito Santo si è manifestato, ciò è avvenuto per mezzo della creatura non ne dubito. Ma se sia stata operata per mezzo di una creatura soltanto corporea e sensibile, o se Dio si sia servito di una creatura razionale o intellettiva (è il vocabolo che alcuni preferiscono per designare ciò che i Greci chiamano ), creatura che non è stata congiunta nell’unità della persona (chi oserà dire che è Dio Padre la creatura, qualsiasi essa fosse, per mezzo della quale risuonò la sua voce o dire che è lo Spirito Santo la creatura, qualsiasi essa fosse, nella quale lo Spirito Santo si è rivelato in forma di colomba 186 e di lingue di fuoco 187, come è veramente Figlio di Dio l’uomo nato dalla Vergine?), ma usata semplicemente come strumento di un simbolismo da realizzare come Dio lo riteneva necessario, o se si debba intendere tutto questo in maniera diversa è molto difficile sapere e non conviene avanzare delle soluzioni alla leggera. Tuttavia non vedo come questi fenomeni abbiano potuto realizzarsi senza il concorso di una creatura razionale e intellettiva. E non è ancora il momento che io spieghi questa mia convinzione con tutte le forze che il Signore mi concederà. Prima bisogna discutere e confutare gli argomenti degli eretici, argomenti che essi non traggono dalla Sacra Scrittura, ma dai loro ragionamenti e che, ritengono essi, permettono loro di costringerci ad interpretare i testi della Scrittura concernenti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo nel senso che loro ad essi attribuiscono.

La missione non implica inferiorità

21. 32. Ora è stato sufficientemente stabilito, a mio parere, come il Figlio non è inferiore perché è stato mandato dal Padre, come non lo è lo Spirito Santo perché è stato mandato dal Padre e dal Figlio. Queste cose vengono dette dalle Scritture per riferimento alla creatura visibile o piuttosto per sottolineare il ruolo di principio in Dio, non per disuguaglianza, disparità o differenza di sostanza. Perché anche se Dio Padre avesse voluto manifestarsi visibilmente per mezzo della creatura docile sarebbe completamente assurdo affermare che è stato mandato dal Figlio che egli ha generato o dallo Spirito Santo che da lui procede 188. Con questo terminiamo dunque questo libro; più tardi, nei seguenti, vedremo, con l’aiuto di Dio, quali siano le argomentazioni tanto artificiose degli eretici e quale la loro confutazione.

 

LIBRO QUINTO

Ciò che Agostino chiede a Dio, ciò che chiede ai lettori

1. 1. Incominciando ora a trattare di quelle cose che nessuno - almeno io no di certo - può esprimere in maniera adeguata a come le pensa - anche il nostro pensiero stesso si sente superato di molto, quando meditiamo su Dio Trinità, dall’oggetto cui si applica e non lo può attingere qual è, ma anzi, anche persone della grandezza dell’apostolo Paolo, come dice la Scrittura, lo vedono per specchio, in enigma 1 - è anzitutto al Signore Dio nostro, al quale sempre dobbiamo pensare senza potervi pensare degnamente, al quale, con la lode, è dovuta in ogni momento la benedizione 2, senza che vi sia parola capace di esprimerlo adeguatamente, che domando soccorso, per comprendere e spiegare ciò che mi propongo, e perdono per i miei eventuali errori. Tengo infatti ben presente non solo la mia intenzione, ma anche la mia debolezza. Anche ai miei lettori chiedo di scusarmi se si accorgeranno che non ho potuto esprimere, come avrei voluto, ciò che essi o comprendono meglio di me, o che l’oscurità del mio linguaggio li impedisce di comprendere; come io li scuso se è la loro lentezza di spirito che li impedisce di comprendere.

Dio è qualcosa di molto migliore di ciò che c’è di meglio in noi

1. 2. Ci perdoneremo più facilmente a vicenda se avremo compreso, o almeno avremo creduto con fermezza, che tutto ciò che si afferma della natura immutabile e invisibile, vita somma e che basta a se stessa, si ha da giudicare con misura diversa da quella costituita dalle consuete realtà visibili, mutevoli, mortali, miserabili. Noi ci affanniamo per farci una conoscenza scientifica di ciò che cade sotto i nostri sensi corporei e di ciò che noi siamo nella nostra vita interiore, e non ci riusciamo. Tuttavia non c’è arroganza, se nella ricerca del divino ed ineffabile che ci supera si infiamma la pietà sincera, non quella che si gonfia per la presunzione delle proprie forze, ma quella che si infiamma per la grazia dello stesso Creatore e Salvatore. Con quale intelletto infatti conosce Dio l’uomo che non conosce ancora il suo stesso intelletto con il quale vuol conoscere Dio? E se lo comprende avverta con diligenza che non c’è nella sua natura nulla di migliore e veda se scopre in esso lineamenti di forme, splendore di colori, grandezza spaziale, distanza di parti, estensione di una mole, spostamenti spaziali, o qualsiasi cosa di questo genere. Certamente non troviamo nulla di questo in ciò che vi è di migliore in noi, cioè nel nostro intelletto, con il quale attingiamo la sapienza, quanta ne siamo capaci. Ebbene ciò che non troviamo in ciò che vi è di migliore in noi, non dobbiamo cercarlo in Colui che è molto migliore di ciò che vi è di migliore in noi. Concepiamo dunque Dio, se possiamo, per quanto lo possiamo, buono senza qualità, grande senza quantità, creatore senza necessità, al primo posto senza collocazione, contenente tutte le cose ma senza esteriorità, tutto presente dappertutto senza luogo 3, sempiterno senza tempo, autore delle cose mutevoli pur restando assolutamente immutabile ed estraneo ad ogni passività. Chiunque concepisce Dio a questo modo, sebbene non possa ancora scoprire perfettamente ciò che è, evita almeno con pia diligenza, per quanto può, di attribuirgli ciò che non è 4.

Dio è l’Essere

2. 3. Dio è tuttavia senza alcun dubbio sostanza, o, se il termine è più proprio, essenza, che i Greci chiamano . Come infatti dal verbo sapere si è fatto derivare sapientia, da scire scientia, dal verbo esse si è fatto derivare essentia 5. E chi è dunque più di Colui che ha dichiarato al suo servo Mosè: Io sono colui che sono 6. Dirai ai figli di Israele: Colui che è, mi ha mandato a voi 7? Ma tutte le altre essenze o sostanze che conosciamo, comportano degli accidenti, da cui derivano ad esse trasformazioni grandi o piccole. Dio però è estraneo a tutto questo e perciò vi è una sola sostanza immutabile o essenza, che è Dio, alla quale conviene nel senso più forte e più esatto, questo essere dal quale l’essenza deriva il suo nome. Perché ciò che muta non conserva l’essere, e ciò che può mutare, anche se di fatto non muta, può non essere ciò che era. Perciò solo ciò che, non soltanto non muta, ma soprattutto non può assolutamente mutare, merita senza riserve ed alla lettera il nome di essere.

L’argomentazione degli Ariani

3. 4. Cominciamo dunque a rispondere agli avversari della nostra fede anche su queste questioni in cui né l’espressione eguaglia il pensiero, né il pensiero la realtà. Fra i tanti argomenti che gli Ariani sogliono contrapporre alla fede cattolica ve n’è uno che essi sembrano considerare come l’espediente più ingegnoso. È quando dicono: "Quanto si enuncia o si pensa di Dio, si predica non in senso accidentale, ma in senso sostanziale. Perciò il Padre possiede l’attributo di ingenerato secondo la sostanza, come anche il Figlio possiede secondo la sostanza l’attributo di generato. Ma non è la stessa cosa essere ingenerato ed essere generato. Di conseguenza la sostanza del Padre e la sostanza del Figlio sono differenti" 8. Noi rispondiamo: "Se tutto ciò che si predica di Dio, si predica secondo la sostanza, allora l’affermazione: Io e il Padre siamo una cosa sola 9, riguarda la sostanza. Perciò unica è la sostanza del Padre e del Figlio". Ovvero, se questa affermazione non concerne la sostanza, allora c’è qualcosa che non si attribuisce a Dio secondo la sostanza e non siamo più obbligati ad intendere in senso sostanziale "ingenerato" e "generato". Similmente si afferma del Figlio: Non stimò una rapina essere uguale a Dio 10; uguale in qual senso? chiediamo. Infatti se non è detto uguale in senso sostanziale, essi ammettono che non tutto ciò che si predica di Dio concerne la sostanza. Ammettano allora che "ingenerato" e "generato" non si debbano intendere secondo la sostanza. Se non lo ammettono, perché pretendono che tutto ciò che si attribuisce a Dio ha valore sostanziale, allora il Figlio è uguale al Padre secondo la sostanza.

La mutazione è essenziale ad ogni accidente

4. 5. Accidente designa ordinariamente una realtà che una mutazione nella cosa cui appartiene può far scomparire. Certo vi sono degli accidenti, come si dice, inseparabili, i Greci li chiamano come il colore nero delle piume del corvo, tuttavia esse perdono il colore, non fino a quando sono piume, ma perché cessano di essere piume. Ecco perché la stessa materia è soggetta al mutamento e per il fatto che cessa di esistere quell’animale o quella piuma e quel corpo tutto intero si muta e converte 11 in terra, essa perde evidentemente anche quel colore. Certo anche l’accidente che si chiama separabile scompare non per separazione, ma per mutazione. Così, ad esempio, il nero dei capelli umani, poiché i capelli possono incanutire, si chiama accidente separabile. Ma per gli osservatori attenti appare sufficientemente evidente che non vi è separazione, come se qualche cosa emigrasse dalla testa che incanutisce, in modo tale che il nero si ritiri e se ne vada altrove per lasciar posto al bianco, ma che qui c’è proprio un mutamento ed una trasformazione della qualità del colore. Perciò nulla è accidente in Dio, perché in lui nulla vi è che possa mutare e che possa scomparire. Se poi si vuole chiamare accidente anche ciò che, sebbene non scompaia, tuttavia diminuisce e si accresce, come la vita dell’anima - per tutto il tempo infatti che l’anima esiste, vive, e poiché l’anima esiste sempre, sempre essa vive; ma essa vive più intensamente quando è saggia, meno finché è insipiente, ed è questo una specie di mutamento, che non fa cessare la vita, come all’insensato viene a mancare il buon senso, ma la diminuisce - nemmeno qualcosa di questo genere accade in Dio, perché egli rimane assolutamente immutabile.

Le relazioni divine

5. 6. Dunque in Dio nulla ha significato accidentale, perché in lui non vi è accidente, e tuttavia non tutto ciò che di lui si predica, si predica secondo la sostanza. Nelle cose create e mutevoli, ciò che non si predica in senso sostanziale, non può venir predicato che in senso accidentale. In esse è accidente tutto ciò che può scomparire o diminuire: le dimensioni, le qualità e le relazioni, come le amicizie, parentele, servitù, somiglianze, uguaglianze e le altre cose di questo genere; la posizione, il modo di essere, lo spazio e il tempo, l’azione e la passione 12. Ma in Dio nulla si predica in senso accidentale, perché in Lui nulla vi è di mutevole; e tuttavia non tutto ciò che si predica, si predica in senso sostanziale. Infatti si parla a volte di Dio secondo la relazione 13; così il Padre dice relazione al Figlio e il Figlio al Padre, e questa relazione non è accidente, perché l’uno è sempre Padre, l’altro sempre Figlio. Sempre non nel senso che il Padre non cessi di essere Padre dal momento della nascita del Figlio, o perché da questo momento il Figlio non cessa mai di essere Figlio, ma nel senso che il Figlio è nato da sempre e non ha mai cominciato ad essere Figlio. Perché se avesse cominciato in un certo tempo ad essere Figlio, ed un giorno cessasse di esserlo, questa sarebbe una denominazione accidentale. Se invece il Padre fosse chiamato Padre in rapporto a se stesso e non in relazione al Figlio, e se il Figlio fosse chiamato Figlio in rapporto a se stesso e non in relazione al Padre, l’uno sarebbe chiamato Padre, l’altro Figlio in senso sostanziale. Ma poiché il Padre non è chiamato Padre se non perché ha un Figlio ed il Figlio non è chiamato Figlio se non perché ha un Padre, queste non sono denominazioni che riguardano la sostanza. Né l’uno né l’altro si riferisce a se stesso, ma l’uno all’altro e queste sono denominazioni che riguardano la relazione e non sono di ordine accidentale, perché ciò che si chiama Padre e ciò che si chiama Figlio è eterno ed immutabile. Ecco perché, sebbene non sia la stessa cosa essere Padre ed essere Figlio, tuttavia la sostanza non è diversa, perché questi appellativi non appartengono all’ordine della sostanza, ma della relazione; relazione che non è un accidente, perché non è mutevole.

Argomentazione degli Ariani sulla voce "Ingenerato"

6. 7. Gli Ariani credono di controbattere queste argomentazioni nel modo seguente: Padre è una denominazione relativa al Figlio, e Figlio al Padre, ma "ingenerato" e "generato" non implicano alcuna relazione; si dicono invece in rapporto a se stessi. Infatti dire "ingenerato" non è la stessa cosa che dire "Padre", perché anche se non avesse generato il Figlio, nulla impedirebbe di chiamarlo ingenerato, e quando qualcuno genera un figlio non per questo è egli stesso ingenerato. Generati da altri uomini, gli uomini ne generano essi stessi degli altri. Dicono dunque: "Padre" è un nome relativo al Figlio, e "Figlio" un nome relativo al Padre, ma "ingenerato" è un nome assoluto, come pure "generato". Perciò, se ogni nome assoluto concerne la sostanza e d’altra parte non è la stessa cosa essere ingenerato ed essere generato, ne consegue che la sostanza è diversa. Quando parlano così non comprendono che fanno sull’"ingenerato" un’asserzione che richiede un esame più attento. Infatti non perché uno è ingenerato è per questo padre, né perché padre è per questo ingenerato, e perciò si ritiene che "ingenerato" non ha senso relativo, ma assoluto. Non avvertono a causa di uno straordinario accecamento che "generato" invece non può non avere un senso relativo. Perciò è chiaro che uno è figlio perché generato, e generato perché figlio. Ma come figlio dice relazione a padre, così generato a genitore, e come padre dice relazione a figlio, così genitore a generato. Dunque genitore e ingenerato sono due concetti distinti. Certo l’uno e l’altro appellativo è attribuito a Dio Padre: tuttavia l’uno è relativo al generato, cioè al Figlio, cosa che nemmeno gli Ariani negano, l’altro - "ingenerato" - è assoluto, come essi affermano. Perciò dicono: "Se è attribuita al Padre una denominazione di ordine assoluto, che non può essere attribuita in senso assoluto al Figlio, e d’altra parte ogni denominazione assoluta concerne la sostanza, poiché "ingenerato", appellativo che non si può applicare al Figlio, ha senso assoluto, ne consegue che "ingenerato" si dice in senso sostanziale, e così il Figlio, perché non si può chiamare ingenerato, non è della stessa sostanza" 14. Ecco come si risponde a questa argomentazione astuta per costringerli a dire in che cosa il Figlio sia uguale al Padre: è uguale per ciò che è in senso assoluto o per la relazione al Padre? Ora non è uguale in quanto dice relazione al Padre, perché figlio è un termine relativo a padre, ma il padre non è figlio, bensì padre. Infatti padre e figlio non sono dei correlativi, come amici o vicini. Si parla di amico in relazione ad un amico e, se i due si amano ugualmente, l’amicizia è identica in ambedue. Così pure si parla di vicino in relazione ad un vicino; e, poiché i vicini sono ugualmente vicini tra loro (perché l’uno è tanto vicino all’altro, quanto questo a quello) la vicinanza è identica in ambedue. Ma figlio non dice relazione al figlio, ma ad un padre e perciò non è nel senso della sua relazione al Padre che il Figlio è uguale al Padre. Il Figlio dunque non può essere uguale che in senso assoluto. Ma tutto ciò che si afferma in senso assoluto concerne la sostanza; perciò l’uguaglianza del Figlio non può essere che di ordine sostanziale. Dunque il Padre ed il Figlio sono di una stessa sostanza. Ma quando si dice che il Padre è ingenerato, non si designa ciò che è, bensì ciò che non è 15, mentre la negazione del relativo non è una negazione di ordine sostanziale, perché il relativo non concerne la sostanza.

La negazione non muta il predicamento

7. 8. Ciò apparirà più chiaro con alcuni esempi. Anzitutto occorre osservare che "generato" ha lo stesso senso di "figlio". Infatti uno è figlio perché generato e generato perché figlio. Di conseguenza, quando si dice "ingenerato" si nega che sia figlio. Ma "generato" e "ingenerato" sono parole correnti, mentre in latino, se c’è il termine filius, il linguaggio usuale non autorizza la parola infilius. Tuttavia si conserva integro il senso se si dice: non filius, come pure se si dice: non genitus; dato che "ingenerato" non significa altro che "non generato". Allo stesso modo "vicino" ed "amico" sono termini ugualmente relativi, ma non si può tuttavia dire: invicinus, come si dice: inimicus. Perciò nelle cose non bisogna badare a ciò che permette o non permette l’uso del nostro linguaggio, ma quale senso riflettano le cose stesse. Non diciamo qui, dunque, "ingenerato" benché il latino lo permetta, ma in suo luogo diciamo: "non generato", che ha lo stesso senso. Ma allora non è lo stesso che dire "non figlio"? Premettere la particella negativa non conferisce un senso sostanziale a un termine che, privo di essa, ha un senso relativo. Si nega soltanto ciò che senza di essa veniva affermato, come negli altri predicamenti. Quando diciamo, per esempio, "È un uomo", designiamo la sostanza. Chi dice dunque: "Non è un uomo" non enuncia un’altra specie di predicamento, ma soltanto nega il medesimo. Come ha un senso sostanziale la mia affermazione: "È un uomo", ha un senso sostanziale la mia negazione, quando dico: "Non è un uomo". E se qualcuno mi chiede la statura di quest’uomo e rispondo: Quadripedalis, cioè "quattro piedi", la mia affermazione concerne la quantità, e chi dice: "Non è di quattro piedi", la sua negazione concerne la quantità. "È bianco" è un’affermazione che si riferisce alla qualità; "Non è bianco" è una negazione che riguarda la qualità. "È vicino", è un’affermazione di relazione; "Non è vicino" è una negazione di relazione. È la posizione che affermo, quando dico: "Giace"; ed è la posizione che nego quando dico: "Non giace". È la maniera esteriore di essere che affermo, quando dico: "È armato"; è questa maniera di essere che nego, quando dico: "Non è armato"; ed è la stessa cosa se dico: "È inerme". Quando dico: "È di ieri", affermo il tempo; nego il tempo quando dico: "Non è di ieri". E quando dico: "È a Roma", la mia affermazione riguarda il luogo, e la mia negazione si riferisce al luogo quando dico: "Non è a Roma". Parlo dell’azione quando affermo: "Percuote"; e pure dell’azione nella negazione: "Non percuote", per dire che non fa questo. Infine, quando dico: "È percosso", chiamo in causa il predicamento detto passione, ed escludo questo stesso predicamento dicendo: "Non è percosso". E così non c’è alcun tipo di predicamento riferendoci al quale noi vogliamo formulare un’affermazione, senza che siamo costretti a negare nei termini dello stesso predicamento, se noi vogliamo far uso, preponendola, della particella negativa 16. Stando così le cose 17, se mi riferisco alla sostanza quando dico "Figlio", alla sostanza si riferisce la mia negazione quando dico: "Non figlio". Ma poiché alla relazione si riferisce la mia affermazione, quando dichiaro: "È figlio", perché dice relazione ad un padre, la mia negazione ha pure un senso relativo quando dirò: "È non figlio", perché lo riferisco al Padre, volendo dimostrare che non ha un padre. Ma se dire figlio ha lo stesso senso che dire "generato", come abbiamo detto prima, dire "non generato" ha lo stesso senso che dire "non figlio". Ora ha un senso negativo la nostra negazione: "Non figlio"; dunque anche la nostra negazione: "Non generato". Ma "ingenerato" è una cosa diversa da "non generato"? Non si esce dunque dal predicamento della relazione quando si dice "ingenerato". Il termine "generato" non si rapporta al soggetto in se stesso, ma significa che esso ha origine dal genitore; così quando si dice "ingenerato", non si indica un rapporto al soggetto in se stesso, ma si vuole dire che questo non ha un genitore. Ora tuttavia tutte e due le espressioni appartengono al medesimo predicamento, quello chiamato relazione. Ora un termine relativo non significa la sostanza. Di conseguenza, nonostante la diversità di "generato" e "ingenerato", essi non indicano una diversità di sostanza, perché, come "figlio" si riferisce a "padre", e "non-figlio" a "non-padre", così "generato" dice relazione necessariamente a "genitore" e "non-generato" a "non-genitore".

Alcuni attributi si applicano a Dio in senso sostanziale, altri in senso relativo, altri in senso figurato

8. 9. Pertanto teniamo anzitutto ben fermo questo: tutto ciò che a quella eccelsa e divina sublimità si attribuisce in senso assoluto ha significato sostanziale; ciò che si attribuisce nel senso della relazione 18 non concerne la sostanza, ma la relazione. Teniamo ben fermo anche che nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo l’identità di sostanza è talmente potente che tutto ciò che si attribuisce a ciascuno di essi in senso assoluto va inteso non al plurale collettivo, ma al singolare. Così il Padre è Dio, anche il Figlio è Dio, ugualmente lo Spirito Santo è Dio, e questo è un appellativo di ordine sostanziale, nessuno ne dubita; tuttavia non sono tre dèi, ma noi diciamo che la eccelsa Trinità è un Dio solo. Così il Padre è grande, grande è il Figlio, grande anche lo Spirito Santo; né tuttavia vi sono tre grandi, ma un solo grande. Non è infatti soltanto del Padre, come gli Ariani ritengono a torto, ma del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che è stato scritto: Tu sei il solo Dio, grande 19. Così pure il Padre è buono, il Figlio è buono, lo Spirito Santo è buono; ma non vi sono tre buoni, bensì un solo buono, del quale la Scrittura dice: Nessuno è buono se non Dio 20. Infatti il Signore Gesù per non essere considerato soltanto un uomo da colui che si era rivolto a lui come ad un uomo, invocandolo: Maestro buono 21, non disse: "Nessuno è buono, se non il Padre solo", ma: Nessuno è buono, se non Dio solo. Perché nel nome "Padre" è designato il Padre personalmente, ma nel nome di Dio è designato Lui e il Figlio e lo Spirito Santo, perché la Trinità è un Dio solo. Invece la posizione, il modo di essere, il luogo, il tempo non si predicano di Dio in senso proprio, ma in senso figurato e metaforico. Così si dice che sta seduto sui Cherubini 22, facendo riferimento alla posizione; vestito dell’abisso come di un abito 23, facendo riferimento al modo di essere; è detto inoltre: I tuoi anni non avranno fine 24, espressione che si riferisce al tempo; ed anche: Se salirò al cielo, lassù sei 25, e questo si riferisce al luogo. Per quanto riguarda l’azione, forse essa si predica solo di Dio in senso pienamente vero; solo Dio infatti fa, senza essere fatto lui stesso, né subisce nulla nella sua sostanza in virtù della quale è Dio. Perciò: "Il Padre è onnipotente, il Figlio è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente: tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma un solo Onnipotente, dal quale, per mezzo del quale, per il quale sono tutte le cose; a Lui la gloria 26". Dunque tutto ciò che si attribuisce a Dio in senso assoluto, si attribuisce con tre affermazioni ad ogni singola Persona, cioè al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo, e nello stesso tempo alla Trinità stessa; non al plurale, ma al singolare. E questo perché per Dio essere ed essere grande non sono cosa diversa, ma per Lui essere ed essere grande sono la stessa cosa. Perciò, come non parliamo di tre essenze, non parliamo di tre grandezze, ma di una sola essenza e d’una sola grandezza. Dico "essenza" per esprimere ciò che in greco si dice , ma noi usiamo più correntemente il termine "sostanza".

Un’essenza, tre Persone

8. 10. I Greci usano anche la parola , ma ignoro che differenza pongano tra e , e la maggior parte di coloro che fra noi trattano di queste cose, in greco dicono abitualmente: , , in latino: unam essentiam, tres substantias.

9. Ma poiché presso di noi il linguaggio parlato ha fatto sì che la parola essenza significhi la stessa cosa che la parola sostanza, non osiamo dire: "un’essenza, tre sostanze", ma: "un’essenza o sostanza e tre persone". Di questa formula molti latini che hanno trattato di queste questioni e meritano credito hanno fatto uso, non trovando un’espressione più appropriata per esprimere con parole ciò che concepivano senza parole. In effetti, poiché il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, e lo Spirito Santo, che è anche chiamato dono di Dio 27, non è né il Padre né il Figlio, sono tre evidentemente, per questo la Scrittura dice al plurale: Io e il Padre siamo una sola cosa 28. Non disse infatti: "è una sola cosa", come pretendono i Sabelliani 29, ma: siamo una sola cosa. Tuttavia se si chiede che cosa sono questi Tre, dobbiamo riconoscere l’insufficienza estrema dell’umano linguaggio. Certo si risponde: "tre persone", ma più per non restare senza dir nulla, che per esprimere quella realtà.

In Dio non ci sono tre grandezze, né tre grandi

10. 11. Dunque, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, né tre grandi. Infatti nelle cose che sono grandi per partecipazione alla grandezza e per le quali essere ed essere grandi non è la stessa cosa, come: una grande casa, una grande montagna, un grande spirito; in queste cose altro è la grandezza, altro ciò che la grandezza rende grande; una grande casa non è evidentemente la grandezza. Ma la vera grandezza è quella che non solo rende grande una casa che è grande, grande ogni montagna che è grande, ma quella che fa grande tutto ciò che è grande, in modo che una cosa sia la grandezza, un’altra ciò che per essa riceve l’attributo di grande. Questa grandezza è grande originariamente e molto superiore a ciò che è grande perché ad essa partecipa. Dio non è grande di una grandezza che sia altra cosa che Lui stesso, come se Dio ad essa partecipasse per essere grande. Altrimenti quella grandezza sarebbe più grande di Dio, mentre non c’è nulla che sia più grande di Dio. Perciò Egli è grande di quella grandezza che fa di Lui la stessa grandezza. Perciò, come non diciamo tre essenze, così non diciamo tre grandezze, perché per Dio essere è la stessa cosa che essere grande. Per la stessa ragione non diciamo tre grandi, ma un solo grande, perché Dio non è grande per la partecipazione alla grandezza, ma è grande perché è Lui stesso grande, dato che egli è la sua stessa grandezza. Altrettanto si deve dire della bontà, dell’eternità, dell’onnipotenza, di tutti i predicamenti che si possono applicare a Dio e che abbiano significato assoluto e si applichino in senso proprio, non figurato e metaforico; ammesso però che la bocca dell’uomo possa dire di Lui qualcosa in senso proprio.

Gli attributi relativi nella Trinità

11. 12. Invece le attribuzioni fatte in senso proprio a ogni singola persona della Trinità non riguardano aspetti assoluti, ma concernono le relazioni delle Persone tra loro o con le creature, e perciò si predicano in senso relativo, non in senso sostanziale. Nel senso in cui la Trinità si dice un solo Dio, grande, buono, eterno, onnipotente, nel senso in cui Dio può dirsi la sua stessa deità, la sua stessa grandezza, la sua stessa Trinità, la sua stessa onnipotenza, non può invece la Trinità dirsi Padre se non forse in senso traslato, rispetto alle creature a motivo della filiazione adottiva. Infatti il testo biblico: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è l’unico Signore 30, non deve intendersi escludendo il Figlio e lo Spirito Santo. E questo unico Signore nostro Dio lo chiamiamo giustamente anche nostro Padre 31, in quanto ci rigenera con la sua grazia. Al contrario la Trinità non si può chiamare Figlio in alcun modo 32. Quanto a Spirito Santo è un’espressione che si può prendere in senso generale, come nella Scrittura: Dio è Spirito 33, perché anche il Padre è Spirito, anche il Figlio è Spirito, come pure anche il Padre è santo, anche il Figlio è santo. Perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, poiché sono un Dio solo, e Dio è santo e Dio è Spirito, si possono chiamare Trinità e Spirito Santo 34. Ma tuttavia lo Spirito Santo, non nel senso della Trinità ma di una persona della Trinità, quando si chiama Spirito Santo per distinguerlo dalle altre Persone, si intende relativamente, riferendolo al Padre e al Figlio, perché lo Spirito Santo è Spirito del Padre e del Figlio 35. La relazione stessa però non appare in questo nome, appare invece nell’appellativo dono di Dio 36. Infatti è un dono sia del Padre che del Figlio, perché procede dal Padre 37, come dice il Signore, e ciò che afferma l’Apostolo: Chi non ha lo Spirito di Cristo, non è di lui 38, concerne certamente lo Spirito Santo. Così quando diciamo: "dono del donatore", e: "donatore del dono", usiamo l’una e l’altra espressione in senso reciprocamente relativo. Lo Spirito Santo è dunque una specie di ineffabile comunione tra il Padre ed il Figlio, e forse è chiamato così proprio perché questa stessa denominazione può convenire al Padre e al Figlio. Infatti per lui è nome proprio quello che per gli altri è nome comune, perché anche il Padre è spirito, e spirito è anche il Figlio, anche il Padre è santo e santo anche il Figlio. Affinché dunque una denominazione, che conviene ad ambedue, indichi la loro reciproca comunione, si chiama Spirito Santo il dono di entrambi. Ecco la Trinità, Dio unico e solo, buono, grande, eterno, onnipotente: Lui stesso la sua unità, la sua divinità, la sua grandezza, la sua bontà, la sua eternità, la sua onnipotenza.

Per esprimere la relazione mutua talvolta manca il vocabolo correlativo

12. 13. Non c’è da sorprendersi che lo Spirito Santo, non inteso come la stessa Trinità, ma in senso relativo come una persona della Trinità, non abbia il suo vocabolo correlativo. Noi infatti diciamo servo del padrone e padrone del servo, figlio del padre e padre del figlio, perché questi sono termini correlativi. Ma in questo caso non possiamo esprimerci così. Diciamo infatti Spirito Santo del Padre 39, ma non in senso inverso Padre dello Spirito Santo, perché non si creda che lo Spirito Santo è figlio di Lui. Così pure diciamo Spirito Santo del Figlio 40, ma non diciamo Figlio dello Spirito Santo, affinché non si consideri lo Spirito Santo padre di lui. In molti relativi accade di non trovare alcun termine che esprima il legame reciproco delle realtà relative. C’è per caso un termine più chiaramente relativo di pegno? Un pegno si riferisce evidentemente alla cosa di cui è pegno, e il pegno è sempre pegno di qualche cosa. Ora se noi diciamo pegno del Padre e del Figlio 41, possiamo anche dire inversamente Padre del pegno e Figlio del pegno? Altrettanto quando diciamo del Padre e del Figlio, certo non possiamo dire Padre del dono e Figlio del dono, ma perché vi sia una corrispondenza reciproca diciamo dono del donatore e donatore del dono; in questo caso infatti si può trovare un’espressione corrente; nell’altro caso, no.

Senso relativo del termine "principio" applicato alla Trinità

13. 14. Dunque il Padre è chiamato così in senso relativo, pure in senso relativo è chiamato principio o forse con un altro nome. Ma lo si chiama Padre in relazione al Figlio, principio invece in rapporto a tutto ciò che da lui proviene. Come pure il Figlio si chiama così in senso relativo ed in senso relativo si chiama Verbo o Immagine. Tutti questi termini implicano relazione al Padre, perciò nessuno di essi si applica al Padre. Il Figlio si chiama anche principio. Infatti alla domanda: Tu chi sei? rispose: Il principio, io che parlo a voi 42. Ma è per caso il principio del Padre? Evidentemente dicendo di essere principio ha voluto rivelarsi quale Creatore, proprio come principio delle creature è il Padre, in quanto tutte le creature da Lui ricevono l’essere. Creatore dice relazione alla creatura, come padrone a servo. Così quando noi chiamiamo il Padre principio 43, e principio il Figlio 44, non intendiamo dire che vi siano due principi della creazione, perché il Padre e il Figlio in ordine alla creazione sono insieme un solo principio, un Creatore unico 45 ed un Dio unico. Ma se tutto ciò che rimanendo in se stesso genera o fa qualcosa è principio per quella cosa che genera o fa, non possiamo negare che sia esatto chiamare principio anche lo Spirito Santo, in quanto non gli rifiutiamo l’appellativo di Creatore e la Scrittura afferma di lui che opera 46, ed opera rimanendo in se stesso: egli infatti non si trasforma e converte 47 in alcuna delle cose che opera. Osserva quali sono le cose che opera: La manifestazione dello Spirito Santo, dice la Scrittura, è data a ciascuno per l’utilità comune. Infatti dallo Spirito ad uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, secondo il medesimo Spirito; ad un altro la fede nel medesimo Spirito Santo; ad un altro il dono delle guarigioni, nell’unico Spirito; ad uno il dono di operare miracoli, ad un altro la profezia; ad uno il discernimento degli spiriti; ad un altro le diversità delle lingue; ad un altro l’interpretazione delle lingue. Ora tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole 48, cioè come Dio vuole, perché chi è capace di operare tante meraviglie, se non Dio? È uno stesso Dio che opera tutto in tutti 49. Del resto se ci si interroga sullo Spirito Santo singolarmente, rispondiamo con tutta verità che è Dio e un solo Dio 50, con il Padre e il Figlio. Perciò in rapporto alla creatura Dio è considerato un principio unico, non due o tre princìpi.

Il Padre e il Figlio principio dello Spirito Santo

14. 15. Nella mutua relazione all’interno della Trinità, se chi genera è principio in rapporto a ciò che egli genera, il Padre è principio in rapporto al Figlio, perché lo genera. Ma non è questione di poco conto chiarire se il Padre sia principio ugualmente in rapporto allo Spirito Santo, perché la Scrittura dice dello Spirito Santo: Procede dal Padre 51. Se infatti lo è, il Padre non è più soltanto principio di ciò che genera o fa, ma anche di ciò che Egli dà. E qui si trova un po’ di luce sulla questione che suole preoccupare molti, cioè: perché anche lo Spirito Santo non è figlio, dato che anch’egli esce dal Padre, come si legge nel Vangelo 52? Certo egli esce dal Padre, ma come dono, non come nato e perciò non si chiama figlio perché né è nato come l’Unigenito, né è stato fatto, come noi, per nascere in virtù della grazia quali figli adottivi 53. Ciò che è nato dal Padre dice relazione, secondo l’espressione "Figlio", solo al Padre e perciò si tratta del Figlio del Padre e non anche nostro 54. Ma ciò che è stato dato, dice relazione a Colui che ha dato e a coloro ai quali l’ha dato. Per questo lo Spirito Santo è detto non soltanto Spirito del Padre e del Figlio, che lo hanno dato, ma anche nostro, perché lo abbiamo ricevuto 55. Altrettanto la salvezza si dice: Salvezza del Signore 56, per indicare Lui, e: salvezza nostra 57, per indicare noi che la riceviamo. Lo Spirito è dunque Spirito di Dio, perché lo ha dato, e nostro perché lo abbiamo ricevuto. Ma non si tratta dello spirito che è fonte della nostra esistenza, spirito proprio all’uomo 58 ed a lui immanente, ma quello Spirito è nostro in altra maniera, nel senso in cui diciamo anche: Dacci il pane nostro 59. È vero che abbiamo ricevuto anche quello spirito, considerato come proprio dell’uomo: Che hai, dice l’Apostolo, che non abbia ricevuto? 60. Ma una cosa è ciò che abbiamo ricevuto per farci essere, un’altra ciò che abbiamo ricevuto per farci essere santi. Perciò di Giovanni la Scrittura ha detto che doveva venire nello spirito e nella forza di Elia 61. È detto lo spirito di Elia, cioè si tratta dello Spirito Santo che Elia ricevette. In questo stesso senso si deve intendere ciò che a proposito di Mosè dice il Signore: Prenderò dello spirito che è sopra di te e lo metterò su di loro 62. Cioè darò ad essi dello Spirito Santo che ho già dato a te. Dunque, se ciò che è dato ha come principio Colui che lo dà, perché questi non ha ricevuto da altri ciò che procede da Lui, bisogna ammettere che il Padre e il Figlio sono un solo principio dello Spirito Santo, non due princìpi; come il Padre ed il Figlio sono un solo Dio e nei riguardi della creazione un solo Creatore ed un solo Signore, così riguardo allo Spirito Santo sono un solo principio, e in rapporto alle creature il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo principio, come sono un solo Creatore ed un solo Signore.

Lo Spirito Santo era dono anche prima di essere dato?

15. 16. Ma, per penetrare più in profondità ci si chiede se, come il Figlio deve alla sua nascita non solo di essere Figlio, ma di essere semplicemente, così lo Spirito Santo debba al fatto di essere dato non soltanto l’essere dono, ma l’essere semplicemente, e se di conseguenza fosse prima di essere dato, ma senza essere dono, oppure se per il fatto stesso che Dio l’avrebbe dato, fosse già dono prima di essere dato. Ma se non procede che quando è dato e non procederebbe certo prima che esista qualcuno al quale darlo, come poteva egli esistere sostanzialmente, se non a condizione di essere dato, come il Figlio deve alla sua nascita non solo l’essere figlio, appellativo che appartiene all’ordine della relazione, ma l’essere sostanzialmente? O forse lo Spirito Santo procede sempre e non nel tempo, ma dall’eternità? Ma allora, poiché procedeva per essere dato, era già dono, prima che esistesse qualcuno al quale darlo 63? Infatti una cosa si intende quando si dice "dono", un’altra quando si dice "donato". Perché vi può essere un dono anche prima che sia stato donato, ma non si può parlare assolutamente di "donato", senza che il dono sia stato effettivamente fatto 64.

Gli attributi divini improntati al tempo non sono accidentali, suppongono la mutazione nelle creature, non in Dio

16. 17. Né deve creare difficoltà il fatto che, pur essendo lo Spirito Santo coeterno al Padre e al Figlio, gli si attribuisce qualche appellativo legato al tempo, come appunto quello di "donato" 65. Infatti lo Spirito è eternamente dono, ma temporalmente donato. Se uno non si chiama padrone che dal momento in cui ha un servo, anche questa denominazione relativa di signore è applicata a Dio sul piano del tempo; infatti la creatura di cui Dio è Signore non è eterna. Allora come proveremo che nemmeno questi relativi sono degli accidenti, in quanto nulla di temporale può esistere in Dio, che non è mutevole, come l’abbiamo dimostrato all’inizio di questa discussione? Ebbene Dio non è eternamente Signore, altrimenti saremmo obbligati ad ammettere anche l’eternità della creatura, perché Egli non dominerebbe eternamente, se questa eternamente non lo servisse; come non c’è servo senza padrone, così non c’è padrone senza servo. Qualcuno potrà dire che senza dubbio Dio solo è eterno, che i tempi invece non sono eterni per la loro instabilità e mutevolezza; ma i tempi non hanno cominciato nel tempo (perché non c’era tempo prima che cominciassero i tempi; di conseguenza non è accaduto nel tempo a Dio di essere signore, perché era Signore dei tempi, che certamente non hanno cominciato nel tempo). Ma che risponderà questi a proposito dell’uomo? L’uomo infatti è stato creato nel tempo e Dio non era evidentemente suo Signore prima che esistesse appunto l’uomo di cui Dio fosse il Signore. Certamente che Dio sia il Signore dell’uomo, gli è accaduto nel tempo e, per chiudere, sembra, ogni controversia, è accaduto a Dio nel tempo di essere tuo Signore o mio, perché noi esistiamo da poco. Ma se anche questo, a causa dell’oscurità del problema dell’anima, appare incerto, che dire di Dio come Signore del popolo di Israele? Supponendo anche che la realtà dell’anima esistesse già, anima che quel popolo possedeva - lasciamo da parte per il momento questa questione - certo quel popolo non esisteva ancora e si sa in quale momento ha incominciato ad esistere. Infine è accaduto nel tempo a Dio di essere Signore di questo albero e di questa messe, che hanno cominciato ad esistere da poco. Perché, sebbene la materia stessa esistesse già, una cosa è essere signore della materia, un’altra essere signore della materia formata. Anche l’uomo d’altra parte è proprietario del legno in un determinato momento, ed in un altro momento è proprietario dell’armadio, sebbene questo sia stato fabbricato con quel legno e così acquista un attributo che non aveva quand’era solamente padrone del legno. Come proveremo dunque che nulla di accidentale si predica di Dio? Soltanto affermando che la sua natura sfugge a tutto ciò che potrebbe modificarla, mentre gli accidenti relativi sono quelli che implicano una mutazione nella cosa della quale si predicano. Così amico è una denominazione relativa. Non si incomincia ad essere amici, se non quando si incomincia ad amare; si produce dunque una mutazione della volontà, perché si possa parlare di amico. Ma una moneta dice relazione quando la si chiama prezzo; questa moneta però non è cambiata diventando prezzo; nemmeno muta quando viene chiamata pegno o qualche altra cosa di simile. Ebbene se una moneta senza mutare in alcun modo può assumere tante volte una denominazione relativa, senza che, ricevendola o perdendola, il suo essere o la sua forma di moneta sia modificata, con quanta maggiore facilità dobbiamo ammettere, nei riguardi della immutabile sostanza di Dio, che essa possa ricevere una denominazione relativa alla creazione senza con questo intendere che vi sia stata qualche mutazione nella sostanza di Dio, ma invece nella creatura che è il termine di questa relazione? La Scrittura dice: Signore, tu sei divenuto il nostro rifugio 66. Il Signore è detto nostro rifugio in senso relativo; infatti si riferisce a noi e Dio diviene nostro rifugio, quando ci rifugiamo in lui. Ma si produce allora nel suo essere qualcosa che non c’era prima che ci rifugiassimo in lui? È in noi dunque che avviene un cambiamento: infatti eravamo peggiori prima che ci rifugiassimo in lui, e rifugiandoci in lui diventiamo migliori, ma in lui non avviene alcun cambiamento. Così egli comincia ad essere nostro Padre quando siamo rigenerati per mezzo della sua grazia, perché ci ha dato il potere di divenire figli di Dio 67. Il nostro essere si cambia dunque in meglio, quando diventiamo suoi figli; nello stesso tempo anche lui comincia ad essere nostro Padre, ma senza alcuna modificazione del suo essere. Gli appellativi di origine temporale che si applicano a Dio e che prima non si predicavano in lui, hanno chiaramente un senso relativo, ma non indicano degli accidenti in Dio come se qualche cosa gli accadesse, ma indicano gli accidenti dell’essere in rapporto al quale Dio riceve un nome relativo nuovo. Ancora, per il fatto che l’amico di Dio 68 comincia ad essere giusto, muta. Ma quanto a Dio non sogniamoci neppure di pensare che egli ami qualcuno nel tempo, quasi si trattasse di un amore nuovo che in lui prima non c’era; in lui per il quale il passato non passa ed il futuro esiste già. Perché tutti i suoi santi li ha amati prima della creazione del mondo 69, come li ha anche predestinati, ma quando si convertono e lo incontrano, si dice che cominciano ad essere amati da lui, per parlare in modo accessibile alla nostra comprensione. Allo stesso modo quando si dice che è irritato con i cattivi e amabile con i buoni, sono essi che cambiano, non lui. Egli è come la luce: insopportabile agli occhi malati, gradevole ai sani. Ma sono gli occhi che cambiano, non la luce.