L'Escatologia dal Vaticano II ad oggi

P. Jean Galot, S.I.

La dottrina del Vaticano II

Considerando l'escatologia dal punto di vista della vita della Chiesa, il Vaticano II ha esposto una dottrina escatologica che invitava a un rinnovamento del trattato chiamato De novissimis (Delle ultime cose).

Nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, il Concilio afferma che la Chiesa trova il suo compimento nella gloria del cielo, e che questo compimento implica la restaurazione di tutte le cose, del genere umano ma anche del mondo, in Cristo. La promessa restaurazione che aspettiamo "è già incominciata con Cristo, è portata innanzi con l'invio dello Spirito Santo e per mezzo di Lui continua nella Chiesa"(48). La rinnovazione del mondo è dunque irrevocabilmente fissata e in certo modo reale anticipata nella Chiesa che vive sulla terra. Avendo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi nella speranza di entrare con Cristo al banchetto nuziale, ma prima di regnare con Cristo glorioso, siamo sottomessi al giudizio, e dobbiamo essere vigilanti.

Il Concilio pone l'accento sulla comunione di carità fra coloro che sono di Cristo e, vivi o defunti, formano una sola Chiesa. "La unione dei viatori coi fratelli morti nella pace di Cristo, non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali"(49). I beati nel cielo non cessano di intercedere per noi presso il Padre. Il culto reso ai santi stimola il ricorso della Chiesa peregrinante alla loro preghiera, e l'aiuta a seguire il loro esempio.

Nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes. il Vaticano II dedica una attenzione più speciale al mistero della morte, con una riflessione filosofica illuminata dalla fede(18), Pone anche in luce l'aspetto cosmico dell'escatologia, con l'aspettazione della terra nuova e del cielo nuovo(39), identificati al regno eterno ed universale che il Cristo rimetterà al Padre.

Da questo punto di partenza, vogliamo seguire il cammino della riflessione sui diversi temi dell'escatologia. Un aiuto in questa riflessione ci viene da una Lettera della Congregazione per la dottrina della Fede(17 maggio 1979) e da uno studio della Commissione Teologica Internazionale(1992).

I - La parusia

L'escatologia è prima di tutto la cristologia in quanto fa scoprire il suo ultimo sviluppo nella vita dell'umanità. La centralità di Cristo è fondamentale. Viene più particolarmente riconosciuta quando l'affermazione della parusia svolge il nostro sguardo verso il futuro. Parusia significa venuta. Gesù ha annunziato la sua venuta come il grande evento che avrebbe procurato la sua presenza, in modo misterioso, agli uomini.

Molti hanno pensato a un ritorno visibile di Gesù sulla terra. Sappiamo che nella Chiesa primitiva questa aspettazione, molto forte, è stata delusa (1). E' il segno che Gesù dava all'annunzio della sua venuta un altro significato.

Dobbiamo ricordare le parole pronunziate nel processo dinanzi al Sinedrio. Il sommo sacerdote interroga Gesù, chiedendo se egli è il Cristo, il Figlio di Dio. Gesù non si contenta di dare una risposta affermativa; aggiunge che ne farà una dimostrazione che i suoi avversar! potranno osservare: "D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo"(Mt 26,64). Con queste parole, Gesù non annunzia una venuta riservata alla fine del mondo, ma una venuta molto vicina: "D'ora innanzi" (Le 22,69: "D'ora in poi"). La venuta è imminente, e è destinata a durare.

E' la venuta del Figlio dell'uomo seduto alla destra del Padre, cioè di Cristo salito al cielo, che condivide il potere sovrano del Padre. Egli verrà "sulle nubi del cielo"; la nube non deve essere capita materialmente: essendo segno di teofania, significa una venuta in modo divino. Dopo la venuta che si è manifestata visibilmente in una carne umana e si è terminata con la vita terrena, ci sarà un'altra venuta di Cristo, che si produrrà con la sua potenza divina.

E' la venuta che si è manifestata dal momento della Pentecoste, venuta commentata da Pietro: risuscitato, Gesù, "innalzato alla destra di Dio, ha ricevuto dal Padre lo Spirito Santo, oggetto della promessa, e lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire"(At 2,32). Pietro testimonia il compimento dell'annunzio fatto al Sinedrio. La venuta sulle nubi, inaugurata alla Pentecoste, è la venuta operata dallo Spirito Santo per rendere Cristo presente a tutto lo sviluppo futuro della Chiesa. (2)

Questa venuta è la parusia annunziata da Gesù, parusia che si estende a tutta l'opera di evangelizzazione nel corso dei secoli e dei millenni, fino alla fine del mondo: "Questo vangelo del Regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine"(Mt 24,14). Quando la venuta spirituale di Cristo nel mondo avrà raggiunto la sua pienezza storica con il compimento dell'evangelizzazione universale, la parusia sarà completa e il

mondo terreno scomparirà dinanzi all'universo dell'aldilà. (3)

2- La morte

La morte è una necessità inerente alla natura umana: l'uomo è mortale, perché il corpo ha un limite necessario di vita. Una necessità di ordine superiore, fondata sul disegno divino di salvezza, fa pure della morte un mistero. Dalla morte di Cristo la nostra morte riceve un significato più alto. Questo significato è legato al dramma del peccato. Nella morte si riconosce una conseguenza del peccato; anzi la morte sarebbe stata la punizione essenziale del peccato se il Figlio di Dio non l'avesse assunta personalmente come via di redenzione (4). Innocente, Cristo ha trasformato la morte e ne ha fatto un'offerta di amore per la salvezza dell'umanità. Perciò la morte ci viene data come un dono divino che ci unisce all'offerta di Cristo e, con il suo carattere doloroso, penoso, ci fa partecipare all'opera redentrice. E' un'ultima fonte di fecondità al termine dell'esistenza umana.

Cristo ha affermato gli abbondanti frutti del grano di chicco che muore (Gv 12,24). S'impegna nel suo destino di morte con tutto il suo amore per compiere la volontà del Padre, e rimprovera Pietro che vorrebbe risparmiargli il supplizio: "II calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?"(Gv 18,11) Si tratta di un dono dell'amore paterno; a questo dono risponde un abbandono pieno di fiducia: "Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito"(Le 23,46) .

Il Padre dispone della nostra vita e determina sovranamente l'ora della nostra morte, per accoglierci nella sua casa. Non possiamo decidere di questa ora (5).

Alcuni teologi hanno proposto l'ipotesi dell'opzione finale, cioè di una illuminazione spirituale all'ora della morte, che permetta una decisione in piena verità e libertà, per il fatto che l'ultimo momento della vita presente fosse anche il primo momento di vita angelica (6). Ma in realtà c'è soltanto un momento che termina la vita presente e non è di vita angelica. L'opzione finale, stimolata dalla grazia, si fa nelle condizioni della vita terrena. La conversione del buon ladrone dà l'esempio di una opzione finale che corregge la vita anteriore e esprime una nuova disposizione ultima per l'entrata nella vita eterna (Le 23,42) .

Gesù stesso ha raccomandato la vigilanza continua, nel corso dell'esistenza terrena, in vista della sua venuta, spesso inaspettata, all'ora della morte (7). "Quando il padrone arriva e bussa, beati i servi che sono pronti ad accoglierlo. Tornando dalle nozze, il padrone si presenta come sposo e introduce nel festino nuziale i servi vigilanti, anzi lui stesso li serve a tavola (Lc 12,35-37). La parabola delle dieci vergini, con cinque che trovano la porta chiusa e non possono entrare con lo sposo, comporta lo stesso insegnamento: "Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora" (Mt 25,13).

3- II giudizio

Immediatamente dopo la morte, viene il giudizio. Parecchie volte, Gesù si è presentato come giudice supremo. Nell'antica alleanza, Dio era stato riconosciuto come il solo giudice. Mandando il suo Figlio sulla terra, il Padre gli ha affidato questo potere in quanto è "figlio d'uomo"(Gv 5,27) (8). Il Figlio incarnato ha vissuto personalmente la vita umana, conosce per esperienza le sue difficoltà e apprezza concretamente i meriti di ognuno. Il suo ruolo decisivo nell'opera di salvezza gli permette di giudicare discernendo con un amore generoso coloro che sono degni di essere salvati. Egli procede al giudizio in qualità di "Sposo", con l'intenzione di rivelare nel modo di giudicare l'intenso affetto che lo lega a tutta l'umanità. Il titolo di Sposo non impedisce che il giudizio sia fatto secondo i principi della giustizia, ma si tratta di una giustizia integrata in una vasta opera di amore. Inoltre, Cristo, venuto al soccorso dell'immensa miseria umana, si è mostrato molto sensibile alla misericordia, misericordia ricevuta dal Padre e concretamente esercitata in un ambiente commovente con numerose piaghe. (9) Con Gesù giudice, il giudizio assume un volto di rasserenante benevolenza. Comporta sempre l'autorità sovrana e la preoccupazione di riconoscere la verità, ma tutto è guidato da uno sguardo pieno di simpatia e comprensione.

La più ampia descrizione del giudizio, in Mt 25(31-46), viene fatta in un quadro apocalittico. Questo quadro deve essere interpretato non letteralmente ma secondo la verità insegnata. Il giudizio è universale: tutti gli uomini vengono giudicati ma non nello stesso tempo, perché il giudizio che introduce nel cielo o condanna all'inferno viene fatto al momento della morte. D'altra parte il giudizio è anche particolare, perché ognuno viene giudicato secondo il suo comportamento personale, ricevendo ricompensa o castigo. Giudizio universale e giudizio particolare coincidono.

Il giudizio è unico e definitivo. E’ un giudizio ultimo per ognuno, ma non è riportato alla fine dei tempi.

Il giudizio si estende a tutta la condotta. In Mt 25, concerne il soccorso dato ai disgraziati. Ma ci sono altri testi evangelici che si riferiscono ad altri temi del giudizio: per esempio la testimonianza della fede(Le 9,26;ecc.); lo sfruttamento dei talenti (Mt 25,14-30).

Non si può dimenticare che l'intenzione fondamentale del giudizio è la salvezza. "Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui"(Gv 3,17). Cristo è essenzialmente Salvatore e non può essere presentato nel giudizio semplicemente come colui che danna. (10)

II giudizio non ha come scopo di porre in luce le colpe commesse dagli uomini, colpe tolte dal perdono divino, ma di far apparire le meraviglie della grazia e la vittoria riportata sulle potenze del male (11).

4- Destino dell'anima immortale

In che cosa consiste il destino dell'uomo a seguito del giudizio? Nei tempi recenti, si era sviluppata una tendenza a concentrare lo sguardo sulla risurrezione dell'uomo, trascurando l'affermazione dell'immortalità dell'anima (12). Alcuni opponevano al concetto di un'anima distinta dal corpo, concetto considerato come greco, il concetto, detto semitico, di un essere vivente più unitario. Eppure, la distinzione fra anima e corpo appare nella Bibbia e viene espressamente affermata da Gesù (Mt 10,28) (13). L'immortalità dell'anima, già sottolineata nel Libro della Sapienza (3,l;5,15), non fa ostacolo a una sopravvivenza procurata dalla risurrezione di Cristo. Questa risurrezione, comunicandosi agli uomini, ha due effetti diversi: spiritualizzazione dell'anima e rianimazione del corpo.

Come lo dichiara la Congregazione per la Dottrina della Fede (ÀAS 71(1979) 941), "la risurrezione si riferisce a tutto l'uomo", ma c'è anche la sopravvivenza e la sussistenza, dopo la morte, d'un elemento spirituale dotato di coscienza e di libertà, (14) "io umano" che sussiste senza il complemento del corpo; per designare questo elemento, la Chiesa usa la parola "anima". L'esistenza di questa anima "razionale e intellettiva" era stata definita dal Concilio di Vienne (DS 902).

Il problema della retribuzione dell'anima dei defunti, retribuzione anteriore alla risurrezione finale dei corpi, ha provocato nel medioevo una crisi dottrinale. Il Papa Giovanni XXII, in diverse omelie dal 1331 al 1334, aveva affermato che prima della fine del mondo le anime dei santi non vedono l'essenza divina e i condannati non vanno in inferno. Egli pure, poco prima di morire, revocò la sua posizione. Il suo successore Benedetto XII pubblicò la Costituzione Benedictus Deus nel 1336, che definiva la dottrina di fede : le anime di tutti i santi, subito dopo la morte - e la purificazione per quelli che ne avevano bisogno - sono in cielo e dopo la passione e la morte di Cristo vedono l'essenza divina con visione intuitiva ed anche facciale: "la divina essenza si manifesta loro immediatamente, direttamente, chiaramente e apertamente" (DS 1000). Così l'anima separata dal corpo riceve, con la visione beatifica, il beneficio della vita di Cristo risorto.

5- La vita eterna: il cielo

Secondo la Costituzione promulgata da Benedetto XII, la vita gloriosa dell'aldilà ha come proprietà distintiva di avere una visione immediata di Dio: "essere in cielo" significa vedere l'essenza divina. Questa visione esprime l'intimità completa: Dio non nasconde niente del suo essere; fa penetrare l'anima del santo fino nel fondo del suo mistero divino. I quattro avverbi usati manifestano l'intenzione di un'assoluta trasparenza: immediatamente, direttamente, chiaramente e apertamente. Nella nostra esistenza terrena non possiamo capire il valore di una visione di questo genere, perché possiamo conoscere Dio soltanto attraverso le creature e non sappiamo che cosa significa vedere Dio senza ricorrere a questa mediazione. Perciò l'accesso alla visione beatifica è sempre per gli eletti una immensa sorpresa.

La visione intuitiva opera una trasformazione piena dell'anima. Giovanni lo dice: "Quando si sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è"( 1Gv 3,2).

Paolo sottolinea la distanza fra la conoscenza di fede e la visione facciale: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente come anch'io sono conosciuto" (1 Cor 13,12). Si tratta di una conoscenza perfetta, simile alla conoscenza propria a Dio.

Gesù aveva stabilito un rapporto fra la purezza del cuore e la visione: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8). Il cuore puro rende lo sguardo chiaro.

L'aspetto contemplativo non è pure la sola nota caratteristica della vita celeste (15). Recentemente, alcuni teologi hanno osservato che altri aspetti devono essere ritenuti. Il cielo significa prima di tutto une nuova vita, vita che sorge dal Cristo risorto. Gesù attribuisce alla fede il possesso di questa vita, possesso inaugurato sulla terra e destinato a svilupparsi pienamente nell'aldilà: "Chi crede nel Figlio ha già la vita eterna"(Gv 3,36). Più particolarmente, l'eucaristia procura questa vita: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno"(Gv 6,54).

Un altro aspetto, importante, consiste nell'unione d'intimità con Cristo. Gesù promette ai suoi discepoli una vita con lui: "Vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io" (Gv 14, 3). Offre al buon ladrone questa unione: "Oggi, sarai con me nel paradiso"(Le 23,43). Molto significative sono le parole di Paolo: "Saremo sempre con il Signore"( 1 Ts 4,17) e il desiderio supremo: "Desidero andarmene e essere con Cristo" (Fil 1,23).

Dire: "nella casa del Padre mio vi sono molte dimore" (Gv 14,2) è invitare i discepoli ad entrare in una familiarità completa con il Padre. In cielo, non si tratta solo di vedere il Padre, ma di vivere in contatto continuo con lui, condividendo l'amore filiale di Gesù.

L'immagine del banchetto nuziale mostra che la vita eterna è festa dell'amore. Lo Sposo è Cristo (Mt 22,1-14; 25,1-13).Egli è fonte della felicità, diffondendo la gioia del suo amore e creando un ambiente di amore fraterno.

Al banchetto, "molti sono i chiamati", cioè gli invitati presenti, dopo il rifiuto da parte di alcuni "eletti". A questo rifiuto, il Padre ha reagito con una generosità più universale, rivolgendo a tutti l'invito. (16)

La generosità appare anche nel fatto che ci sono "molte dimore": molte vie diverse di santità convergono verso la casa del Padre, e tutti possono trovare un posto secondo la loro spiritualità. Questo spiega che ogni santo sia diverso da tutti gli altri e che visione e possesso di Dio possano assumere una grande diversità di forme e di modelli di comportamento.

Una diversità di gradi nella visione beatifica è stata affermata dal concilio di Firenze (1439), anche se l'oggetto della visione è lo stesso per tutti: le anime pure o purificate "sono accolte subito in cielo e contemplano apertamente Dio quale è, uno e trino, però uno più perfettamente dell'altro, a seconda dei meriti "(DS 1305). La perfezione della visione è dunque proporzionata alla misura dei meriti.

L'affermazione di questa proporzione non può pure offuscare una verità più fondamentale. La generosità divina procura a tutti una felicità molto più ampia dei limiti del merito personale, come lo mostrano le parole del padrone al servo che ha fatto fruttificare cinque talenti: "Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto, prendi parte alla gioia del tuo padrone" (Mt 25, 25, 21). (17)

6- L'inferno : la morte eterna

In contrasto con il cielo e la vita eterna, c'è l'inferno con la morte eterna. II concetto dell'inferno ha come origine lo sheol ebraico, che primitivamente designava il luogo di tutti i morti, poi è stato riferito più specificamente al luogo destinato al castigo degli empi. L'immagine di un fuoco perpetuo viene anche espressa dal vocabolo "geènna". Gesù sottolinea la separazione fra buoni e cattivi e allude al castigo eterno: "Verranno gli angeli e separeranno i cattivi da i buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti" (Mt 13,49).

La Costituzione Benedictus Deus formula sull'inferno una definizione di fede parallela a quella sul cielo: "Definiamo ancora che secondo la grande disposizione di Dio le anime di chi muore in peccato mortale attuale subito dopo la morte scendono negli inferni, dove sono tormentate con pene infernali" (DS 1002). Non vengono precisate queste pene infernali. Alcuni le hanno interpretate come essendo pene sensibili distinte dalla pena della privazione di Dio, ma sola questa dolorosa separazione viene chiaramente affermata: è la pena propria all'inferno. (18)

Nel corso dei secoli, ci sono stati diversi tentativi di eludere la minaccia dell'inferno. Già nel terzo secolo, Origene aveva proposto la dottrina di un inferno non eterno, con minacce pedagogiche; secondo questa dottrina, il condannato, pentito e purificato, poteva partecipare alla restaurazione totale di tutte le cose in Dio. Ma il Concilio II di Costantinopoli, in 543, ha escluso questa interpretazione (DS 411).

Negli ultimi tempi, altri tentativi sono apparsi nella stessa direzione, per esempio con l'idea di un inferno di genere chirurgicale, che assicura la vittoria di Dio sulle forze del male (19). L’interpretazione chirurgicale viene pure scartata dalla dichiarazione che condanna quelli che dicono o pensano che "il castigo dei demoni o degli empi è temporaneo e che un giorno avrà fine" (DS 411).

Un altro modo di eliminare le difficoltà suscitate dall'affermazione dell'inferno è stato anche proposto: l'inferno esiste come possibilità ma in realtà non c'è nessuno che sia realmente condannato. Questa ipotesi lascia pure sussistere l'esistenza dei demoni. Inoltre toglie ogni efficacia agli avvertimenti di Gesù, formulati ripetutamente nel vangelo. Dobbiamo prendere sul serio questi avvertimenti evangelici.

7- Purificazione finale o Purgatorio

Fra coloro che muoiono nella grazia di Dio, alcuni hanno bisogno, dopo la morte, di una purificazione per entrare nella felicità celeste. Hanno ricevuto da Cristo risorto il dono della salvezza e della vita divina, ma devono acquistare una più profonda santità perché non sono pronti, nelle loro disposizioni personali, all'intimità completa con Cristo e con Dio.

La dottrina che afferma questa purificazione, chiamata purgatorio, è stata esposta nel Concilio di Firenze. Il confronto con gli ortodossi è stato benefico, per l'eliminazione di due elementi immaginativi: a seguito delle obiezioni degli Orientali, la dottrina tace sul "luogo" e sul "fuoco". Come il cielo e l'inferno, il purgatorio non è un luogo ma uno stato; e non consiste in un fuoco sensibile.

Si tratta della purificazione di coloro che, avendo fatta penitenza, muoiono nella carità di Dio prima d'aver soddisfatto con frutti degni di penitenza per i peccati di commissione e di omissione: "le loro anime, dopo la morte, sono purificate con pene purgatorie; e per essere liberate da queste pene, giovano loro i suffragi dei fedeli viventi" (DS 1304).

Talvolta lo stato del purgatorio è stato concepito sul modello dello stato infernale, ma la divergenza è radicale: salvezza e santità sono presenti nelle anime che vengono purificate, e non si tratta di castigo o punizione. Lo stato è doloroso, ma per il motivo di una purificazione che impone un cambiamento nel fondo della persona.

Non si tratta di una pena inflitta, perché l'anima che viene purificata, essendo salvata e nello stato di grazia, ha ottenuto il perdono divino, perdono che è completo e esclude ogni castigo. Questa anima è impegnata in relazioni di amicizia con Dio. Il fatto che possa ricevere un aiuto efficace con le preghiere e con l'offerta del sacrificio eucaristico conferma la benevolenza divina che la segue e mostra la responsabilità dei fedeli verso lo stato di queste anime.

8- La risurrezione dei corpi

Trattando del potere che il Padre ha dato a suo Figlio, potere di avere la vita in se stesso e potere di giudicare, Gesù ha annunziato la risurrezione generale dei corpi come manifestazione del suo potere sovrano: "Non meravigliatevi di questo: viene l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna"(Gv 5,28-29). Ex la voce del Figlio di Dio che fa uscire i morti dai sepolcri.

Altrove, annunziando l'eucaristia, Gesù si presenta anche come autore della risurrezione nell'ultimo giorno(Gv 6,54), ma si tratta della risurrezione di colui che ha partecipato alla cena eucaristica, senza affermazione della risurrezione generale che concerne cattivi e buoni.

Questa risurrezione generale manifesta l'intenzione divina di far partecipare pienamente il corpo al destino di ogni individuo, destino di felicità o di condanna. Il corpo era stato impegnato nel bene o nel male della vita terrena, e questo impegno si ritrova nella risurrezione dell'ultimo giorno.

Secondo il piano divino, il corpo risorto è identico al corpo terreno. Questa identità non fa difficoltà per il corpo di Cristo risorto né per il corpo di Maria, ambedue risuscitati dopo la morte. Ma per gli altri corpi il modo di spiegare l'identità può essere discusso; la sovranità divina la garantisce in modo misterioso.

Con la risurrezione dei corpi viene assicurata una sopravvivenza del mondo materiale, sopravvivenza essenzialmente legata al mondo spirituale delle anime.

Negli ultimi tempi è cresciuto il numero di coloro che tentano di sostituire alla fede nella risurrezione una dottrina di reincarnazione. Secondo questa dottrina, l'uomo, alla fine della sua vita, dovrebbe reincarnarsi in un altro essere, umano o animale, per liberarsi dal peso delle proprie colpe e fai iniziare una vita migliore (21). E’ una dottrina che svaluta la vita terrena e va alla ricerca di un'altra identità personale, mentre la verità della risurrezione rafforza questa identità riempendola con la vita di Cristo risorto.

(1) Fra le persone che hanno fatto l'esperienza di questa delusione, c'è stato S. Paolo. Egli ha aspettato in vano un ritorno visibile di Cristo sulla terra. Ma in questa delusione, egli ha sempre più capito che doveva aspettare un altro incontro con Cristo, quello della propria morte. Molti autori si fermano sulla descrizione della parusia in 1 Ts 4,14-18, ma questa prospettiva è stata progressivamente abbondonata da Paolo: cf. J.GALOT, La parusia nell'epistolario paolino.in Civiltà Cattolica 151(2000) IV 431-443.

(2) Non si tratta dunque di un ritorno visibile sulla terra. Gesù non parla di ritorno ma di venuta, e al momento dell'Ascensione gli angeli fanno capire agli apostoli che questo ritorno viene escluso e che la venuta di Cristo si farà come l'hanno visto salire al cielo, cioè mediante una partenza verso lo stato celeste (At 1,11). Cristo scompare visibilmente per venire spiritualmente.

(3) In quanto venuta spirituale ("sulle nubi"), la parusia è sempre presente per sviluppare la crescita della Chiesa. Con la fine dell'opera evangelizzatrice, che sarà la fine dei tempi, la parusia raggiungerà un vertice definitivo. E’ importante notare che la parusia non è una manifestazione "teatrale" per la fine del mondo, ma la grande forza spirituale che opera nell'umanità per trasformarla e riempirla della vita di Cristo mediante lo Spirito.

(4) Non è il peccato, ma l'intenzione salvatrice di Dio che determina il significato della morte. Gesù ha chiaramente protestato contro 1'interpretazione della morte come castigo del peccato. Ai Giudei che erano tentati di discernere in un massacro di Galilei un segno di punizione divina egli rispondeva, in modo molto categorico: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico..."(Lc 13,2)

(5) In se stesso il gesto del suicidio comporta la pretesa di determinare l'ora della morte e di volere esercitare sulla vita umana un potere assoluto che appartiene a Dio solo, Anche fuori di una intenzione di suicidio, volere essere padrone dell'ora della morte significa una rivalità con il potere divino. Cristo rimane per noi, nell'ora della morte, il modello dell'umiltà e dell'abbandono fiducioso.

(6)Nel secolo XVI il Gaetano ha emesso la teoria di un ultimo istante con un duplice aspetto, terrestre e angelico. La teoria fu ripresa nel secolo XIX da H. Klee e nel XX da P. Glorieux. Gli scritti di L. Boros hanno contribuito alla diffusione di questa interpretazione. Cf. una esposizione più ampia in POZO, Teologia nell'aldilà, Roma 1983, 446-458.

(7) Le esortazioni alla vigilanza sono fatte nella prospettiva della venuta di Cristo per l'entrata nell'aldilà. Oltre la venuta del Figlio sulla terra nell'Incarnazione e la venuta del Figlio dell'uomo sulle nubi che si riferisce alla sua presenza spirituale nello sviluppo della Chiesa, c'è una venuta di Cristo al momento della morte di ognuno. Cf. J.GALOT, Cristo viene nel mondo? Introduzione all'Avvento, 137(1986) IV 323-337.

(8)11 motivo della designazione di Cristo come giudice: "Perché è Figlio d'uomo", manifesta la volontà del Padre che gli uomini siano giudicati da un uomo. Questa condizione umana permette al giudizio di esprimere la solidarietà e la simpatia più profonda. Colui che giudica è Dio, ma giudica in quanto uomo. L'accento è posto non sulla severità ma sulla comprensione.

(9) Gesù definisce la misericordia come la disposizione fondamentale che spiega tutta la sua azione salvatrice: "Andate a imparare che cosa vuoi dire: Misericordia io voglio e non sacrifici ( Os 6,6). Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,13). Questo mostra perché il giudizio non è soltanto giusto, ma misericordioso. In altre circostanze, Gesù fa discernere nel Padre la fonte suprema di questa misericordia, più specialmente nella parabola del figlio prodigo (Le 15,11-32).

(10)Rappresentare Cristo essenzialmente come giudice che condanna, come l'ha fatto Michelangelo nel capolavoro della Cappella Sistina, non corrisponde alla figura di Cristo rivelata nel vangelo.

(11)Le parole pronunziate da Gesù in vista delle persecuzioni devono essere interpretate secondo il loro contesto, nel senso che anche in circostanze difficili, la verità del vangelo si farà conoscere: "Non abbiate paura di loro, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre, voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all'orecchio voi annunziatelo dalle terrazze." (Mt 10,26-27). Non si tratta di cose cattive segrete che sarebbero destinate ad essere svelate, ma delle verità del messaggio cristiano che sono destinate ad apparire in piena luce.

(12) La diffidenza verso l'immortalità dell'anima si era manifestata nell'opera del teologo protestante Oscar Cullmann, pubblicata nel 1956: Immortalità dell'anima o risurrezione dei morti? Già il semplice titolo del libro era tendenzioso, invitando a scegliere fra immortalità e risurrezione, come se l'opzione fosse necessaria. Su questo problema, cf.POZO, Aldilà,166-307.

(13) "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ma non hanno potere di uccidere l'anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nel fuoco della Geènna l'anima e il corpo". Si tratta di temere Dio, il solo che ha ogni potere sull'anima e sul corpo. La differenza fra anima e corpo è espressamente sottolineata.

(14) La permanenza di questo elemento spirituale assicura l'esistenza di ciò che viene chiamato escatologia intermedia, cioè l'escatologia che concerne il periodo dalla morte alla risurrezione dei corpi. E’ l'escatologia propria all'anima immortale.

(15) II modo abituale di designare come visione beatifica la vita celeste potrebbe far pensare che questa vita consiste semplicemente in un vedere. Ma la vita celeste è molto più ampia di un atto di vedere o del dono di una visione. E' necessario ricorrere a diverse espressioni per significare tutti gli aspetti di una felicità che sorge da una comunione perfetta di vita con Dio, o che implica il possesso di Dio e di tutta la sua ricchezza spirituale. Essendo unione con un Dio infinito, non è mai possibile a un essere finito di coglierne tutta la realtà, tutta la profondità. Ma la luce che viene dall'alto permette di entrare nel mistero.

(16) L'affermazione: "molti chiamati, pochi eletti" (Mt 22,14) è stata troppo spesso interpretata come indicazione sul piccolo numero di salvati. In realtà, nella parabola, gli eletti che rifiutano l'invito alle nozze sono i Giudei, i membri del popolo eletto. Siccome non vogliono entrare nella Chiesa, il Padre estende a tutti gli altri l'invito al banchetto nuziale. Così, nella sala del festino, ci sono molti "chiamati", cioè invitati, da tutte le genti, e pochi Giudei.

(17)La dottrina dei meriti può spiegare una diversità di gradi di felicità fra i salvati, ma non può nascondere la sovrabbondanza dei doni divini in risposta ai meriti di ognuno. Gli sforzi limitati degli uomini vengono superati dall'immensa generosità divina.

(18)La pena essenziale per i condannati consiste nella loro separazione da Dio. E’ una pena che comporta molti dolori, perché colpisce tutta la loro persona e, dopo la risurrezione universale, il loro corpo.

(19) Recentemente l'idea di un inferno chirurgicale è stata proposta da Jean Elluin nel libro :"Quale inferno?", libro pubblicato con 1'incorragiamento di due teologi, Y.Congar e G.Martelet. L'inferno chirurgicale è quello che può ottenere l'applicazione più radicale della misericordia divina, con il perdono di tutte le colpe e la purificazione totale dell'individuo. In questo modo, l'inferno sarebbe completamente vinto, Ma un tale inferno, che sarebbe infatti un Purgatorio, non corrisponde alla verità rivelata da Cristo nel vangelo né alla fede enunziata nella Costituzione di Benedetto XII.

(20)H. Urs von Balthasar ha tentato di seguire questa via, che permette di sperare che non c'è nessuno condannato. Possiamo capire gli sforzi per poter affermare che tutti gli uomini sono salvati, perché la nostra speranza va in questa direzione. Ma non possiamo ignorare gli avvertimenti di Gesù sull'esistenza di un castigo eterno inflitto ai demoni e agli uomini che respingono la grazia divina. Non possiamo attenuare il valore di questi avvertimenti, formulati in modo espresso; dobbiamo accoglierli nella loro verità e prendere sul serio il pericolo posto in luce. Un inferno vuoto non potrebbe essere una minaccia e la vigilanza sarebbe meno necessaria. Eppure vero che dobbiamo soprattutto accogliere nella nostra vita le promesse di felicità eterna e vivere in questa speranza, ma tutte le parole di Gesù hanno un valore definitivo.

(21) II buddismo, che insegna la reincarnazione destinata a procurare una liberazione più completa dal peso dei peccati commessi, ha favorito la diffusione di questa idea anche in ambienti occidentali.

 

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