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L’ESCATOLOGIA DOPO IL CONCILIO VATICANO II

1. La prima cosa da osservare è che, a partire dal Concilio Vaticano II, la prospettiva escatologica è stata articolata con maggiore chiarezza come componente essenziale della spiritualità ecclesiale, diversamente dal tempo in cui quella delle "Cose Ultime" era una sfera relativamente trascurata, relegata alla fine della teologia dogmatica, insomma lasciata per ultima in più di un senso! Per giunta, sebbene nello studio delle Scritture si sia avuta una certa "riscoperta" dell’escatologia--soprattutto fra gli esegeti protestanti--questa è diventata ben presto un terreno di infinite divisioni e suddivisioni, ad esempio fra Conseguente, Sovratemporale, Esistenziale, Realizzata, Anticipata, Prolettica, Politica ecc. ecc. Eppure, il Cap. 7 della Lumen Gentium, dedicato alla "Chiesa pellegrina", indica chiaramente come l’escatologia, lungi dall’essere una particolare area dogmatica o una sfera complessa dell’esegesi, sia una dimensione radicale della vita della fede.

2. Per giunta, come si evidenzia nella Gaudium et Spes, la speranza che trova espressione nell’escatologia cristiana è connessa con un’esperienza più vasta, quella della speranza umana. Di solito, in molte trattazioni teologiche dell’escatologia, queste riflessioni si aprono proprio con un’analisi dell’esperienza umana della speranza. La più significativa espressione laica in tal senso si trova in un’opera ormai classica in più volumi, Il principio speranza di Ernst Bloch (Das Prinzip Hoffnung nell’originale tedesco). La speranza, e l’immaginazione cui dà vita, è una forza creativa della storia che ci induce a guardare al di là dei limiti di ogni tempo, luogo e cultura particolare, a qualcosa che è inesprimibilmente di più.

3. In un’ottica più psicologica, l’esperienza positiva della speranza si può porre a confronto con il suo contrario, la disperazione. Questo atteggiamento negativo genera ad esempio un senso d’isolamento: chi ha perduto la speranza non riesce a immaginare che per lui vi sia qualche aiuto. La speranza comincia a rinascere quando viene ripristinato un senso di comunità. Analogamente, è tipico della disperazione il senso di totalizzazione: chi è disperato si sente sopraffatto da quello che vedono come un fallimento totale. Ancora una volta, il cammino della speranza sta nel recupero del senso delle proporzioni. Un altro segno distintivo della disperazione è l’irrealismo: la disperazione è provocata da un’aspettativa di perfezione negli altri e in se stessi che non lascia spazio alla crescita o al cambiamento. Pertanto la speranza può rinascere se accompagnata da una certa tolleranza, pazienza e persino un certo senso dell’umorismo. Ancora un sintomo della disperazione è l’apatia: i disperati non soltanto rinunciano a fare qualsiasi cosa per modificare la situazione, ma mancano addirittura del desiderio di fare checchessia. La speranza comincia a rifiorire quando la persona disperata comincia a desiderare una via d’uscita e a fare qualcosa per trovarla (cfr. William F. Lynch, Images of Hope. Imagination as Healer of the Hopeless (University of Notre Dame Press, 1965).

4. Ovviamente, questo genere di analisi conduce agevolmente ad aspetti essenziali della speranza cristiana, con la sua attenzione per la comunanza in Cristo, per il perdono dei peccati, per il potere della preghiera e per la speranza di una nuova creazione e della vita eterna. In linea con Rm 5:1-5, la pressione della sofferenza produce la salda sopportazione tipica di Giobbe e dei martiri dell’Antico Testamento, che genera forza di carattere in chi è stato messo alla prova. Il risultato è una speranza realistica che fa affidamento esclusivamente sull’amore di Dio vissuto nei nostri cuori attraverso il dono dello Spirito. Per molti aspetti, quest’enfasi di Paolo ha trovato espressione nella "teologia della liberazione", vista come un acting-out, un "agire" la speranza in situazioni di oppressione economica o politica.

5. L’esistenza cristiana è impossibile senza una tale speranza. La vita cristiana non si può ridurre a "stare a guardare un replay dei momenti migliori" dopo che la nostra squadra ha vinto. Noi siamo nel mondo non come spettatori, ma come partecipanti a un grande dramma storico e cosmico. E qui, Rm 8:18-28 è un testo chiave: tutta la creazione geme nelle doglie del parto, e noi gemiamo in esso nell’attesa della piena liberazione; e, cosa più misteriosa di tutte, lo Spirito intercede per noi con gemiti talmente profondi che non si possono esprimere: questi "gemiti"—cosmici, personali e divini—sono aspetti insostituibili della speranza "gemente" della vita cristiana.

6. Ogni credo è espressione di fede, ma è anche espressione di speranza. Anche se il tema dell’"amore di Dio" non è menzionato esplicitamente in nessun credo religioso, l’espressione di fede/speranza sarebbe inane se alle spalle non avesse il più fondamentale degli "articoli di fede": "Dio è amore" (1 Gv 4:8, 16). Speranza è fare affidamento su quest’amore, arrendersi a esso e collaborare con esso.

7. Qualsiasi forma assuma il credo ufficiale—o qualsiasi espressione di fede—per confessare tutta la portata e la vastità dell’amore di Dio normalmente occorre impiegare sette termini chiave (che ammettono una vasta gamma di espressioni): Padre, Figlio, Croce, Resurrezione, Spirito, Chiesa, Regno/Vita eterna. In qualsiasi descrizione della speranza cristiana non si può omettere nessuno di questi termini senza mutilare il messaggio. D’altra parte non occorre aggiungere nulla, visto che tutte le ulteriori dottrine sono riducibili a questi termini. Inutile dire che il loro ordine si può modificare a seconda dell’accento che desideriamo porre su questo o quell’aspetto del Vangelo della salvezza.

8. Quella che segue è una breve esposizione di ciascuno di questi sette termini in rapporto all’èschaton, "la cosa ultima", vale a dire la realtà di Dio come amore:

In questo sta l’amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Egli ha amato noi e ha mandato suo Figlio nel mondo perché potessimo vivere attraverso di lui (1 Gv 4:10).

Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gv 3:16).

Gesù Cristo.... Egli è il sacrificio di espiazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per i peccati del mondo intero (1 Gv 2:2).

La parola di vita—questa vita è stata rivelata e noi l’abbiamo vista e ne abbiamo testimoniato, e dichiariamo a voi la vita eterna che fu con il Padre e che fu rivelata a noi—noi dichiariamo a voi ciò che abbiamo visto e udito... (1 Gv 1: 1-2).

E per questo noi sappiamo che Egli è in noi, per lo Spirito che ci ha dato (1 Gv 3:24).

Noi vi diciamo quello che abbiamo visto e udito così che voi possiate fare comunità [koinonia] con noi; e la nostra comunità è con il Padre e con il Figlio Suo Gesù Cristo (1 Gv 1:3).

L’amore è stato perfezionato fra noi in questo, che possiamo avere coraggio nel giorno del giudizio, perché come Egli è, così siamo noi in questo mondo. Non vi è timore nell’amore, ma l’amore perfetto allontana il nostro timore; perché il timore è legato al castigo, e chi teme non ha raggiunto la perfezione nell’amore (1 Gv 4:17-18).

9. L’elenco di questi sette termini chiave suggerisce come la teologia contemporanea cerchi di integrare l’orizzonte escatologico in ogni tema che tratta. Il lògos, "il significato" di Theòs, "Dio", e dell’èschaton, l’"ultimo", sono necessariamente interconnessi.

10. Si noti inoltre che il Vangelo della speranza promette una vittoria che fa appello alla libertà umana e non la sopprime. Dio continua ad avere tempo per tutta la nostra storia. L’evidenza immediata e raggiante del Signore Risorto, e la visione del Dio invisibile debbono attendere fino alla fine. Soltanto nell’energia dello Spirito, che ispira la fede e la speranza e l’amore duraturi (1 Cor 13:13) è la vittoria dell’amore comunicata, in quanto trasforma la vita degli uomini, sia individualmente che collettivamente, in anticipazioni di ciò che sarà. L’eccesso di male suscita gli eccessi dell’Amore "senza fine" che "tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1 Cor 13:7-8).

11. Il modo in cui Dio è entrato nella storia umana per attirarla nel suo futuro è quello di una comunicazione diretta a esseri liberi. Noi viviamo ancora una storia di libertà. E questa modalità tipicamente umana di esistenza ha bisogno di tempo, impiega tempo, per dispiegarsi appieno. Sebbene Dio sia presente nel modo incarnato e personale che abbiamo descritto, tale presenza crea uno "spazio libero" attorno a sé per far posto all’intera nostra storia umana. Questo è lo spazio dello Spirito, che ispira le nostre ricerche e le nostre speranze, stimola desideri e anelito, ci induce al dialogo e alla testimonianza delle diverse vocazioni e dei diversi doni.

12. Eppure, anche se l’ultima parola sul nostro futuro è rivolta alla realtà inconcludente e frammentaria della storia umana, essa non perde il suo carattere definitivo. Perché essa è stata rivendicata e posseduta da Dio nella sua totalità. Il genere umano nella sua totalità ha un futuro divino. Anche se la teologia non ha il diritto di emettere giudizi circa il destino particolare degli individui, rientra nella sua capacità e nei suoi compiti il parlare di un futuro certo per un intero genere umano.

13. Ne discende che tutte le tematiche particolari dell’escatologia sono espresse non già come temi fra loro scollegati di una speranza astratta e inconcludente, ma come estrapolazioni fatte a partire da un nucleo ardente, fatto di ciò che sta già avvenendo nella nostra storia. Perché il punto in cui siamo e il mondo in cui siamo è già stato penetrato dal divino. Attraverso il Cristo, la realtà del nostro mondo è già rivendicata e posseduta da Dio. La morte e la resurrezione del Signore si sono verificate come una mutazione all’interno della sfera dell’esistenza umana.

14. E tuttavia, per quando siano varie le descrizioni della speranza, in ogni autentica speranza cristiana vi sono delle costanti. Queste si riducono a due: prima di tutto la grazia, l’esser-dono del mistero di Cristo; secondo, la ricerca, il tendere incessante della nostra vita verso un’unità ultima e un ritorno a casa finale.

15. Quali sono allora le cose ultime di cui essenzialmente si occupa l’escatologia? La risposta tradizionale era chiara: morte, giudizio, paradiso, inferno. Una risposta che va di gran lunga più al cuore delle cose si può articolare nelle seguenti categorie:

i. L’Amore originario di Dio:

Il fine ultimo dell’universo, il suo carattere essenziale discende dall’èschaton dell’amore di Dio. Questo giunge alla vittoria nella gloria di un universo trasformato dalla grazia del dono di sé di Dio in Cristo. Come scrive san Paolo:

Egli ci ha predestinati nell’amore a essere suoi figli [e figlie] attraverso Gesù Cristo secondo la Sua volontà, e questo al ode e gloria della Sua grazia che Egli ci ha dato nel suo Figlio diletto (Ef 1:5-6).

Questa volontà originaria e universale di Dio, mistero dell’amore creatore e redentore, trova la sua consumazione nel momento della comunicazione ultima, quando "Dio sarà tutto in tutti" (1 Cor 15:28). In questo contesto la preghiera escatologica è "Venga il Tuo Regno!"

ii. Il Cristo, Forma ultima:

In quanto forma ultima dell’universo trasformato e dell’umanità redenta, il Cristo stesso è l’èschaton. Ancora una volta, le parole di Paolo esprimono questa specie di finalità:

Egli è l’immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra... tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Col 1:15-17).

In questo contesto, la preghiera escatologica è la più antica preghiera cristiana registrata nel Nuovo Testamento: "Maranà tha, vieni, o Signore!" (1 Cor 16:22).

iii. Lo Spirito, Vita ultima:

Come energia che induce ognuno e ogni cosa a conseguire la sua forma ultima in Cristo, e a unire tutto in lui, l’èschaton è lo Spirito:

Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi (Rm 8:11).

Qui, la preghiera della speranza deve unirsi ai "gemiti inesprimibili" dello Spirito che prega in tutte le preghiere piene di speranze del cristiano (Rm 8:26). Ciò trova espressione nell’invocazione "Vieni o Santo Spirito...".

iv. L’Umanità trasformata:

La cosa ultima sotto il profilo della nostra storia umana è la resurrezione della nostra umanità in un universo trasformato. Nel benevolo disegno di Dio, né il mondo né il nostro genere umano viene sacrificato. Il gemito di tutto il creato nella sua attività cosmica di partorire, il gemito di coloro che sperano nella nostra piena redenzione (Rm 8:22-23) prevede non già la distruzione del nostro genere umano o del nostro mondo, ma una creazione che gioisce nella "gloriosa libertà dei figli di Dio". Qui la preghiera escatologica è "Abbà", "Padre Nostro....".

Anthony J. Kelly, CSsR

Professore di Teologia

Australian Catholic University

A.Kelly@acu.edu.au