QUESTIONI SULL’ETTATEUCO

Sant’Agostino

_______________________

LIBRO QUINTO

QUESTIONI SUL DEUTERONOMIO

Dio aiuta gli uomini in modo che anch’essi facciano qualcosa.

1. (1, 29-30) Ecco quanto Mosè ricorda di aver detto al popolo, il quale aveva paura dei nemici dimoranti nel paese, nel quale doveva essere introdotto, e cioè: Non spaventatevi e non abbiate paura di loro; il Signore vostro Dio, che marcia innanzi a voi, sarà lui stesso a combatterli insieme con voi. Queste parole dimostrano chiaramente che Dio aiuta gli uomini in modo che anch’essi facciano qualcosa.

Permesso da Dio l’indurimento del cuore.

2. (2, 30) Ma Seon, re di Esebon, non volle lasciarci passare attraverso il suo territorio poiché il Signore nostro Dio aveva indurito il suo spirito e irrigidito il suo cuore perché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno. Mosè dicendo ciò, mentre rivolge la parola al popolo, ricorda un’espressione simile, riferita nell’Esodo: Io ho indurito il cuore del Faraone 1, e quella che si legge nei Salmi: Cambiò il loro cuore perché odiassero il suo popolo 2. Neppure qui è taciuto il motivo di questo indurimento poiché si dice: affinché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno, cioè: affinché fosse vinto da te. Ciò non sarebbe successo se [il re] non si fosse opposto; ma non si sarebbe opposto se non avesse avuto il cuore indurito. Se volessimo cercare la giustizia di questo fatto [dovremmo ricordare che] impenetrabili sono le decisioni di Dio 3; ma in Dio non c’è ingiustizia 4. Si deve però osservare che può dirsi che il cuore si irrigidisce anche nel male.

Og l’ultimo dei giganti.

3. (3, 11) Ma tuttavia tra i Rafain non era rimasto che Og, re di Basan. Col nome di Rafain sono denotati in ebraico i " giganti ", come dicono coloro che conoscono quella lingua 5. Perciò la lezione che hanno la maggior parte dei manoscritti: fu lasciato solo dai Rafain si esprime più chiaramente dicendo: sopravviveva soltanto, vale a dire: di loro era rimasto solo lui, del quale anche nel seguito immediato del testo viene ricordata la lunghezza e la larghezza del letto di ferro per farne risaltare la corporatura gigantesca.

Differenza fra similitudine e somiglianza.

4. (4, 16-17) Non commettete [alcuna] iniquità e non fatevi per voi una somiglianza scolpita né qualunque specie d’immagine. Si è soliti chiedersi che differenza ci sia tra somiglianza e immagine 6. Qui però io non vedo quale differenza la Scrittura abbia voluto indicare, salvo che con queste due parole abbia indicato o una identica cosa oppure chiami somiglianza per esempio una statua o un’immagine che abbia l’effigie di un uomo qualunque, ma che tuttavia non riproduca le fattezze d’una persona in particolare o come fanno i pittori e gli scultori avendo avanti agli occhi le persone che dipingono o modellano; nessuno oserebbe dire che una tale raffigurazione non è un’immagine. Secondo questa distinzione ogni immagine è anche una somiglianza ma non ogni somiglianza è anche un’immagine. Se, perciò, i gemelli, sono simili tra loro, la somiglianza di uno qualunque dei due rispetto all’altro può chiamarsi rassomiglianza, non però immagine. Se invece il figlio è simile al padre, si può dire giustamente che è anche la sua immagine, essendo il padre il prototipo, dal quale appare essere stata derivata quell’immagine. Di queste immagini alcune sono della stessa sostanza, come il figlio, altre no, come un ritratto. Per questo motivo le parole della Scrittura contenute nella Genesi: Dio fece l’uomo a immagine di Dio 7 non significano, evidentemente, che l’immagine fatta da Dio sia della medesima sostanza di Dio. Se infatti fosse della medesima sostanza, la Scrittura non direbbe che " fu fatta ", ma " fu generata ". Ma poiché [in questa affermazione] la Scrittura non aggiunge l’espressione " e a somiglianza ", mentre poco prima aveva detto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 8 alcuni hanno creduto che la somiglianza è qualcosa di più dell’immagine 9 perché sarebbe stata poi riservata per restituire l’uomo alla sua condizione originale mediante la grazia di Cristo. Io però sarei sorpreso che questo motivo avesse determinato l’agiografo a parlare della sola immagine per il fatto che dove è un’immagine vi è senz’altro anche una somiglianza. Ecco perché anche qui Mosè vieta di fare somiglianze e immagini forse per la ragione che abbiamo detto. Nel decalogo invece si dice in maniera generica che non deve farsi alcuna somiglianza 10 e non si menziona l’immagine, poiché quando non si riproduce alcuna somiglianza, senza dubbio non si produce alcuna immagine, per il fatto che se è un’immagine è naturalmente anche una somiglianza; se invece si produce una somiglianza, non si produce senz’altro un’immagine. Se tuttavia non c’è alcuna somiglianza, ne segue che non c’è alcuna immagine. Allorché dunque Dio ha proibito di fare una somiglianza o un’immagine ha voluto farci intendere quella dell’uomo, potendosi fare tanto la somiglianza non di questo o di quest’altro uomo, ma dell’uomo in generale, quanto l’immagine di tale o di tal altro uomo in particolare; quando al contrario si parla delle bestie e degli animali privi di ragione egli menziona solo la somiglianza. Chi infatti può trovarsi che metta davanti a sé un cane o un altro animale simile, guardando il quale ne faccia una pittura o una scultura? Cosa questa che invece è assai comune trattandosi di uomini.

Significati di terra.

5. (4, 18) Che cosa vuol dire l’espressione: Somiglianza di qualsiasi specie di pesci che sono nelle acque sotto la terra? Col nome terra la Scrittura ha voluto forse farci intendere anche l’acqua a causa della sua natura fisica che si può toccare e, conforme all’espressione della Scrittura: Dio fece il cielo e la terra 11, [nella " terra "] dobbiamo comprendere anche le acque. La Scrittura infatti, ripetutamente ricordando queste due parti vuol fare intendere tutto l’universo, secondo l’espressione: Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra 12 e innumerevoli altre espressioni di tal genere. Oppure è detto: sotto terra per il fatto che la terra, se non fosse al di sopra delle acque, non potrebbe, certamente, essere abitata dagli uomini né avere animali terrestri.

Gli esseri del cielo adorati dai gentili.

6. (4, 19) E quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l’ornamento del cielo, bada di adorare e rendere loro culto a quelle cose che il Signore tuo Dio ha dato in sorte a tutti [gli altri] popoli che sono sotto il cielo. La Scrittura non dice così, come se Dio avesse ordinato che a quelle cose fosse reso il culto dai gentili, e invece non fosse reso culto solo dal proprio popolo, ma dice così perché aveva previsto che i gentili avrebbero prestato culto a questi esseri del cielo e tuttavia li creò pur prevedendo ciò e aveva presagito che al contrario il suo popolo non avrebbe prestato culto ad essi, oppure la Scrittura dice distribuì per fare intendere l’utilità [di tali esseri] dichiarata nella Genesi: Affinché siano come segnali per tempi, giorni ed anni 13, dei quali segnali ha bisogno il popolo di Dio con tutti gli altri popoli, ma non presta loro il culto che loro prestano gli altri popoli.

La parola somiglianza in senso generale.

7. (4, 23) Non dimenticate l’alleanza del Signore vostro Dio che ha stretto con voi e non fatevi per voi stessi alcuna somiglianza scolpita di qualunque cosa che il Signore tuo Dio ti ha proibito. La Scrittura parlando qui certamente in un senso generale usa la parola somiglianza sottintendendo però " immagine ", poiché se non v’è somiglianza, senza dubbio non c’è neppure immagine, per il fatto che quando c’è un’immagine c’è senz’altro somiglianza, sebbene quando c’è una somiglianza non c’è senz’altro un’immagine.

Il senso: da un’estremità a l’altra del cielo.

8. (4, 32-33) Dobbiamo chiederci in che senso la Scrittura dice: Interrogate i giorni anteriori che erano prima di te, dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra, da un’estremità all’altra del cielo; è sottinteso infatti " interrogate ". Qui poi sembra che sia indicato tutto il mondo. Però non è facile riconoscere perché si dica da un’estremità all’altra del cielo, e non " da un’estremità all’altra della terra ". Una espressione di tale genere si trova anche nel Vangelo, quando il Signore dice che gli eletti verranno radunati da un’estremità all’altra del cielo 14. Salvoché forse qui la Scrittura voglia fare intendere che né dagli uomini né dagli angeli fu udito ciò che Dio ha fatto di straordinario riguardo al suo popolo e ch’essa mette in rilievo. Il testo infatti continua dicendo: Se è avvenuta una cosa simile a questa gran cosa, se è stato udito qualcosa di simile. Se una nazione ha inteso la voce del Dio vivente parlare di mezzo al fuoco, come hai udito tu e sei rimasto vivo. Se la cosa sta così, che cioè la Scrittura dice che questo fatto non fu udito né dagli uomini né dagli angeli, che significa allora quanto afferma il Vangelo: da un’estremità all’altra del cielo, dal momento che senza dubbio il Signore dice così parlando dell’ultima riunione dei suoi eletti?

A chi si estende l’alleanza del Signore.

9. 1. (5, 2-4) Che significano le seguenti parole della Scrittura: Il Signore vostro Dio ha stabilito con voi un’alleanza sull’Horeb; questa alleanza il Signore non l’ha conclusa con i vostri padri, ma con tutti voi, con voi che oggi siete qui tutti vivi; il Signore vi ha parlato faccia a faccia sulla montagna in mezzo al fuoco? Forse che coloro i quali non erano entrati nella terra promessa - erano infatti morti tutti coloro che erano usciti dall’Egitto - e dei quali Mosè aveva fatto il censimento contando tutti coloro che erano in grado di andare alla guerra 15, dall’età di venti anni in su fino all’età di cinquant’anni non hanno parte a quell’alleanza? In qual senso dunque il Signore ha parlato a coloro che vivevano fino a quel giorno? Forse perché allora potevano esserci molti dai vent’anni in giù che ricordavano bene quell’evento e non dovevano subire il castigo d’essere esclusi dall’entrare nella terra promessa, stabilito da Dio per coloro che erano stati contati allora? In effetti Dio si rivolge a coloro che, benché non avessero dai vent’anni in su quando Dio parlava loro dalla montagna e perciò non potessero essere contati allora, tuttavia potevano avere diciannove anni o meno, fino all’età puerile capaci non solo di vedere ma anche di udire e tenere a mente le cose che erano avvenute e le parole ch’erano state pronunciate.

9. 2. Ma che vuol dire la frase: Dio ha parlato con voi faccia a faccia, mentre prima si era preso cura soprattutto di avvertirli che non avevano visto alcuna immagine ma avevano udito solo la sua voce 16? O forse la Scrittura usa quelle espressioni a causa dell’evidenza di quei fatti e della divinità apparsa in un certo qual modo chiaramente presente, della quale nessuno avrebbe potuto dubitare? Se le cose stanno così, che cosa c’impedisce d’intendere ciò dello stesso Mosè, riguardo a quanto dice di lui la Scrittura, che cioè il Signore parlò con lui faccia a faccia 17, di modo che nemmeno lui vide con gli occhi nulla fuorché il fuoco? Oppure si può forse pensare che Mosè vide qualcosa di più, poiché sta scritto che egli entrò nel mezzo della nube o del nembo ov’era Dio 18? Ma anche nell’ipotesi che egli avesse visto qualcosa più di quelli, a causa delle parole con cui si rivolse a Dio: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, móstrati a me, che io ti veda in modo da conoscerti 19, non si può tuttavia pensare che egli avesse visto la natura di Dio, con i suoi occhi mortali. Ad ogni modo non si deve pensare che questo popolo, al quale Mosè parlava, avesse visto Dio così, faccia a faccia, allorquando parlava sulla montagna di mezzo al fuoco, come dice l’Apostolo che noi lo vedremo alla fine [della vita] nel passo ove dice: Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa, allora invece vedremo faccia a faccia. Che cosa poi e quanto grande cosa è questo lo spiega in seguito dicendo: Ora conosco solo imperfettamente, ma allora conoscerò faccia a faccia, come sono conosciuto anch’io 20. Ma anche questa affermazione occorre intenderla con cautela perché non si pensi che l’uomo potrà conoscere Dio nella misura con la quale ora Dio conosce l’uomo, ma che nei limiti della sua capacità avrà una conoscenza tanto perfetta che non dovrà aspettarsi nient’altro che le venga aggiunto. Poiché quanto perfettamente Dio conosce adesso l’uomo - ma tuttavia nel modo come lo conosce Dio - altrettanto perfettamente lo conoscerà l’uomo ma tuttavia nella misura con cui l’uomo può conoscere Dio. È vero che la Scrittura dice: Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste 21, ma non per questo dobbiamo sperare l’uguaglianza che il Verbo unigenito ha con il Padre; sebbene non siano mancati alcuni i quali hanno pensato che si avvererà questo fatto, salvo che per caso non comprendiamo bene che cosa dicano.

Dio intero dappertutto, non è circoscritto da alcun luogo.

10. 1. (5, 5-6. 24) Che significa la frase: Io stavo tra il Signore e voi in quel tempo per riferirvi le parole del Signore, come se il Signore si trovasse in un luogo, cioè sul monte [Sinai] donde essi lo udivano? Ciò non deve intendersi nel senso che in base a questo testo possiamo supporre che la natura di Dio, che è intero dappertutto senza avvicinarsi o allontanarsi attraverso spazi di luoghi, si trovi in alcun luogo fisico; ma le manifestazioni di Dio non si mostrano ai sensi umani diversamente per mezzo delle creature che non sono ciò che è Lui. Il Signore perciò, volendo allontanare la nostra mente da simili immaginazioni con le quali si pensa che Dio sia circoscritto da qualche luogo, verrà - dice - un tempo quando non adorerete il Padre né su questo monte né in Gerusalemme. Voi adorate quel che non conoscete, noi invece adoriamo quello che conosciamo, poiché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il tempo, ed è il presente, quando i veri adoratori adoreranno il Padre animati dallo Spirito e dalla verità, il Padre infatti cerca coloro che lo adorino a questo modo. Dio è spirito e coloro che lo adorano devono adorarlo animati dallo Spirito e dalla verità 22. Mosè disse dunque di essere un intermediario non tra la natura di Dio e il popolo attraverso uno spazio fisico, ma perché il popolo preferì ascoltare tutte le altre parole di Dio, dopo essere rimasto fortemente spaventato nell’udire la voce del Signore che da dentro il fuoco proclamava il Decalogo della Legge 23.

10. 2. A buon diritto però si pone il quesito in qual senso devono intendersi le parole di Mosè riferite dal Deuteronomio: Poiché voi avevate paura di fronte al fuoco e non eravate saliti sul monte, io stavo tra il Signore e voi in quel momento per annunciarvi le parole del Signore in questi termini: Io sono il Signore Dio tuo, etc., le quali sono già parole del Signore che contengono il decalogo. Che significa allora l’aggiunta: in questi termini [dicens]? Poiché, se penseremo che si tratti di un iperbato e che l’ordine delle parole sia: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole dicendo: Io sono il Signore Dio tuo, non sarà vero. In realtà il popolo non udì queste parole per mezzo di Mosè ma le udì provenienti da dentro il fuoco; poiché il popolo non poteva sopportare ciò, dopo aver udito il Decalogo chiese di udire il resto per mezzo di Mosè. Non ci resta quindi che intendere l’espressione: in questi termini [dicens], come usata qui nel senso: quando diceva. Di modo che il senso [della frase] è questo: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole del Signore, poiché avevate paura di fronte al fuoco e non saliste sul monte mentre diceva: Io sono il Signore Dio tuo, sottintendendosi " quando naturalmente diceva il Signore ". Mentre il Signore diceva queste parole, ricordate tutte successivamente, il popolo ebbe paura di fronte al fuoco e non salì sul monte e pregò di udire le parole del Signore piuttosto dalla bocca di Mosè 24.

10. 3. Mosè ricorda nel Deuteronomio queste parole dettegli dal popolo quando non volle sentire più la voce di Dio, ma gli chiesero di sentire da lui le parole che diceva Dio, cioè: Ecco, il Signore nostro Dio ci ha mostrato la sua gloria e abbiamo udito la sua voce di mezzo al fuoco etc. Non si leggono esattamente le medesime cose nell’Esodo, ove si raccontano per la prima volta le cose che vengono ripetute qui adesso 25. Perciò, come ho già ricordato qualche altra volta, dobbiamo concludere che non si deve ritenere una bugia se il medesimo significato viene espresso con qualsivoglia altri termini, e ciò anche riguardo alle osservazioni degli Evangelisti che sono censurate da individui ignoranti e critici maliziosi come contraddittorie. Non era infatti difficile a Mosè porre attenzione alle cose che aveva scritto nell’Esodo e ripeterle con le stesse parole, se non fosse cómpito dei santi nostri maestri [della fede] insegnare ai discepoli proprio questo concetto, che cioè non devono cercare nelle parole di coloro che parlano nient’altro che il significato per indicare il quale sono state adottate le parole.

Dono della grazia la giustizia fondata sulla fede.

11. (5, 29) Che significano le parole che Mosè dice di essergli state rivolte dal Signore riguardo al popolo ebraico: Chi dirà ch’essi abbiano un cuore tale da temermi e osservare i miei comandamenti? Vuole forse il Signore far intendere di già che si deve alla sua grazia se si riceve questo beneficio che cioè la giustizia di Dio negli uomini è quella fondata sulla fede e non quella considerata un bene personale come se derivasse dalla legge 26? Dio indica questo concetto anche per mezzo del Profeta quando dice: Toglierò da loro un cuore di pietra e darò loro un cuore di carne 27; ciò è detto a motivo del senso che ha il termine carne e non ha il termine pietra usato certamente in senso traslato. Questo medesimo proposito [di Dio] è enunciato in un altro passo [della Scrittura]: Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda un’alleanza nuova, non come l’alleanza che conclusi con i loro padri il giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese dell’Egitto. Poiché questa sarà un’alleanza che stringerò con loro dopo quei giorni, dando le mie leggi nel loro cuore e le scriverò nel loro spirito e non mi ricorderò più delle loro iniquità e dei loro peccati 28. Qui la nuova alleanza viene distinta dall’antica, poiché nell’antica la legge fu data su tavole di pietra, nella nuova alleanza invece è data nei cuori, per effetto della grazia. Ecco perché anche l’Apostolo dice: Non su tavole di pietra, ma su tavole che sono i vostri cuori di carne, e [poco dopo] in un altro passo dice: Ci ha resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non di quella della lettera ma di quella dello Spirito 29.

Chi non giura affatto vive lontano dallo spergiuro.

12. (6, 13) Ciò che [la legge] dice riferito al Signore: E giurerai nel suo nome, non si deve intendere come se facesse obbligo di giurare, ma nel senso che proibisce di giurare nel nome di un’altra divinità. È meglio però non giurare, come dice il Vangelo 30, non perché sia un male giurare la verità, ma per non cadere nello spergiuro per la facilità con cui si giura. Poiché quando uno presta giuramento può giurare non solo la verità ma anche il falso; chi invece non giura affatto vive lontano dallo spergiuro.

Ove l’agiografo dice più chiaramente ciò che è oscuro.

13. (8, 2) E ti ricorderai di tutta la strada per la quale ti condusse il Signore Dio tuo nel deserto per affliggerti e metterti alla prova e far conoscere ciò che c’è nel tuo cuore, se osserverai o no i suoi comandamenti. Qui l’agiografo dice più chiaramente ciò che è oscuro a causa del genere d’espressione idiomatica mediante la quale in un altro passo è detto: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per vedere se lo amate 31. Si capisce infatti che qui si dice per sapere [ut sciat] invece di " per far sapere ". Questo senso è espresso chiaramente poco dopo [con la frase]: per metterti alla prova e così farti conoscere che cosa c’è nel tuo cuore; infatti non dice: " per conoscere ", poiché, se avesse detto così, si sarebbe dovuto intendere nel senso di " per far conoscere ".

Le persone di dura cervice.

14. (9, 6-8) E tu saprai oggi che non già grazie ai tuoi meriti il Signore tuo Dio ti dà in eredità questa terra fertile, poiché sei un popolo di dura cervice. Questi tali sono certamente coloro che non sanno distinguere tra la destra e la sinistra e perciò non meritarono di perire nel deserto 32. Ma poi certamente si parla delle persone di dura cervice. Si deve quindi riconoscere che quella frase esprime un mistero, non che siano proclamati importanti i meriti di costoro. Infatti perché nessuno pensi che costoro siano diventati vituperevoli all’improvviso, mentre prima erano stati lodati giustamente, poco dopo si dice loro: Ricórdati, non dimenticare quanto esasperasti il Signore tuo Dio nel deserto; dal giorno che usciste dal paese d’Egitto fino a quando arrivaste in questo luogo non cessaste di essere increduli riguardo al Signore. Se poi alcuni di essi erano tali e alcuni, al contrario, fedeli e buoni, neppure in questa ipotesi viene concessa, comunque, la terra promessa a coloro che non sanno distinguere la destra dalla sinistra, intendendo ciò presso a poco nel senso che non offesero Dio. Poiché anche i loro padri, ch’erano morti e ai quali non era stato permesso di vivere nella medesima terra si trova scritto che tra essi ce n’erano alcuni anche buoni. Per questo l’Apostolo dice che non tutti caddero ma solo alcuni di essi, a proposito dei quali ricorda i loro peccati 33. Con maggiore evidenza anche questo libro del Deuteronomio mostra che costoro furono simili ai loro padri, poiché subito dopo aggiunge e dice: E nell’Horeb esasperaste il Signore. Lo esasperarono lì certamente coloro che per le medesime loro cattive azioni non furono fatti entrare nella terra promessa.

Il decalogo dato da Dio, scritto da Mosè.

15. 1. (10, 1-4) In quell’occasione il Signore mi disse: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte; e ti costruirai un’arca di legno. E scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle tavole che tu hai spezzato; e le introdurrai nell’arca ". E io costruii un’arca di legno imputrescibile e tagliai due tavole di pietra come le prime e salii sul monte con le due tavole nelle due mie mani. Ed egli scrisse sulle tavole conforme alla prima scrittura le dieci parole che il Signore vi rivolse sul monte di mezzo al fuoco: ed il Signore me le diede. A buon diritto si pone il quesito come mai questi fatti vengono riferiti nel Deuteronomio in cui li ricorda e li ripete Mosè, mentre nell’Esodo, dove sono raccontati la prima volta come detti ed accaduti, si trovano scritti così: E il Signore disse a Mosè: " Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole io ho stabilito un’alleanza per te e per Israele ". E Mosè stava lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole 34. Se dunque nell’Esodo si narra che Mosè scrisse le dieci parole della legge, come mai qui nel Deuteronomio viene ricordato che a scrivere le medesime parole sulle tavole fu Dio?

15. 2. E inoltre, esponendo di sfuggita quel passo dell’Esodo e ponendo per iscritto ciò che mi pareva giusto a proposito di quella discrepanza 35, spiegando perché l’agiografo riferisce che le prime tavole spezzate [poi da Mosè] furono scritte dal dito di Dio, mentre delle seconde, che dovevano restare tanto a lungo nell’arca e sulla tenda-santuario, si dice che furono scritte proprio da Mosè; dissi allora che mediante quella discrepanza erano stati simboleggiati i due Testamenti, cosicché nell’Antico Testamento la legge ci viene presentata solo come opera di Dio senza che l’uomo facesse nulla in quanto la legge non poteva essere adempiuta mediante il timore, poiché quando si compie davvero la legge, la si compie mediante l’amore, che è la grazia del Nuovo Testamento 36. Leggiamo invece che fu l’uomo a scrivere le parole di Dio sulle seconde tavole, poiché l’uomo può compiere l’opera della legge per mezzo dell’amore della giustizia, ma non lo può mediante il timore del castigo.

15. 3. Adesso dunque, quando nel Deuteronomio si legge delle seconde tavole, si trova detto così: E tagliai le due tavole di pietra come le prime e salii sul monte, le due tavole nelle due mie mani. E scrisse sulle tavole secondo la prima scrittura le dieci parole, non dice: " e scrissi ", ma scrisse, s’intende Dio, come poco prima aveva detto le parole che Dio gli aveva rivolte: Taglia due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte, e ti costruirai un’arca di legno; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole. Sorge quindi un quesito da esaminare attentamente, poiché qui si legge che a scrivere ambedue le [paia di] tavole, cioè le prime e le seconde, fu Dio e non l’uomo. Ora, se anche nello stesso libro dell’Esodo noi leggeremo le parole di Dio con cui ordina a Mosè di tagliare le medesime tavole, non si trova nient’altro se non che lo stesso Dio promise che le medesime le avrebbe scritte lui, poiché sta scritto così: E il Signore disse a Mosè: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte. E io scriverò le parole che erano [incise] sulle prime tavole, che tu hai spezzato " 37. Pertanto, senza parlare del libro del Deuteronomio, solo l’Esodo contiene anche questo problema, cioè come mai Dio disse: E io scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle prime tavole, mentre poco dopo si legge: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un’alleanza per te e per Israele. E Mosè rimase lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Se infatti ciò che è detto prima: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un’alleanza per te e per Israele si riferisce alle disposizioni date precedentemente a Mosè da Dio, con l’ordine di non scriverle sulle due tavole, ma nel libro della legge, ove erano scritte molte disposizioni, possiamo affermare con certezza che il passo che segue: E Mosè stette lì, al cospetto del Signore, quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole 38, mostra assai bene che fu lo stesso Mosè a scrivere sulle tavole quelle dieci parole e non Dio, salvo che, quando si dice: e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole, fossimo costretti a intendere in un modo violento, ma spinti da una certa necessità, a sottintendere non Mosè ma il Signore - poiché prima si dice: e Mosè stette lì al cospetto del Signore - e per conseguenza dovremmo pensare che queste dieci parole furono scritte sulle tavole, come aveva promesso prima, dal Signore al cui cospetto Mosè stette quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e senza bere acqua.

15. 4. Se la questione sta così, la discordanza che ci è parsa esistere tra i due Testamenti non può affermarsi a proposito di queste parole, dal momento che non l’uomo ma Dio scrisse tanto le prime che le seconde tavole, è vero. Tuttavia quella discordanza non comporta certamente alcun dubbio che fu Dio non solo a fare ma anche a scrivere le prime tavole. In quell’occasione infatti a Mosè non fu detto:" taglia per te due tavole ", ma si legge piuttosto quanto segue: E Mosè si volse e discese dal monte con le due tavole dell’alleanza nelle sue mani; tavole di pietra scritte su entrambi i lati; erano scritte da una parte e dall’altra, le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole 39. Già in precedenza l’agiografo aveva detto che le medesime tavole erano state scritte dal dito di Dio esprimendosi così: Appena ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole dell’alleanza, tavole in pietra, scritte dal dito di Dio 40. In quell’occasione dunque non solo le tavole erano opera di Dio ma anche la scrittura era stata incisa da Dio. Quanto invece alle due seconde tavole è proprio Mosè che riceve l’ordine di tagliarle per fare intendere naturalmente che furono tagliate per opera dell’uomo, sebbene le scrivesse Dio in persona, come aveva promesso quando ordinò di tagliarle. Se però riflettiamo più attentamente per quanto riguarda le seconde tavole, ecco il motivo di questi due fatti menzionati a proposito delle seconde tavole: non solo Dio mediante la sua grazia compie l’opera della legge nell’uomo ma anche l’uomo mediante la propria fede riceve la grazia di Dio venendo così a far parte della nuova alleanza e diventando cooperatore di Dio che lo aiuta, e perciò quando si tratta delle prime tavole è menzionata solo l’opera di Dio perché la legge è spirituale e la legge è santa, come santo, giusto e buono è il comandamento 41, mentre riguardo alle medesime tavole non è menzionata alcuna opera dell’uomo, poiché coloro che non hanno fede non sono adatti a ricevere l’aiuto della grazia, ma poiché ignorano la giustizia di Dio e vogliono far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 42. Per questo, riguardo a loro, la legge ha la forza di condannarli, cosa questa simboleggiata dall’atto di spezzare le tavole. Grazie a queste considerazioni non siamo evidentemente costretti a sottintendere, con una interpretazione forzata, che fu Dio a scrivere, quando l’agiografo dice: E Mosè stette lì alla presenza del Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e bere acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza 43, testo in cui si fa intendere molto chiaramente che fu Mosè a scrivere. In precedenza 44 però Dio aveva promesso di scrivere lui, e nel Deuteronomio si narra che non solo l’aveva promesso, ma anche che le scrisse proprio lui, per simboleggiare ciò che dice l’Apostolo: È Dio che per la sua benevolenza suscita in voi il volere e l’agire 45, cioè in coloro che per mezzo della fede ricevono la grazia e non vogliono stabilire una propria giustizia personale, ma sono sottomessi alla giustizia di Dio 46, affinché siano in Cristo giustizia di Dio 47. Ora l’Apostolo anche in quel passo afferma tutt’e due le cose, che cioè ad agire non è solo Dio ma anche gli uomini. Poiché se essi non compivano le opere, come avrebbe potuto dire loro: Adoperatevi per la vostra salvezza con timore e tremore 48? Opera dunque Dio, noi cooperiamo, poiché egli non ci toglie ma aiuta la libera decisione della buona volontà.

La tribù di Levi nel suo significato.

16. (10, 8-9) In quel tempo il Signore separò la tribù di Levi perché portasse l’arca dell’alleanza del Signore, stesse davanti al Signore, esercitasse il servizio e pregasse nel suo nome fino a questo giorno. Per questo motivo i leviti non hanno né parte né eredità con i fratelli; il Signore stesso è la sua parte d’eredità, come gli aveva detto lui. Se per mezzo di questa tribù non fosse stato prefigurato il sacerdozio regale di tutti i fedeli, che riguarda il Nuovo Testamento, un personaggio che non era della medesima tribù [di Levi] non avrebbe osato assolutamente dire: La mia parte d’eredità è il Signore 49, e in un altro Salmo: Il Signore è la parte della mia eredità 50.

Un ordine impossibile da osservarsi.

17. (11, 20) Che significa l’ordine dato da Mosè il quale, riferendosi ai comandamenti del Signore, dice: E li scriverete sugli stipiti delle vostre case e delle vostre porte, dal momento che né si ricorda né si legge che alcuno degli Israeliti facesse ciò alla lettera, perché non può farlo nessuno, salvo che distribuisca quelle parole per molte parti della propria casa? Si tratta forse d’un ordine iperbolico come se ne dicono molti altri 51?.

L’ordine di mangiare le decime solo in città.

18. (12, 11) Si deve ricercare come mai la Scrittura comanda che le decime di tutti i frutti e i primogeniti del bestiame si mangino solo in città ove sarà un tempio, dal momento che nella legge era prescritto che fossero dati ai leviti.

Le prove di Dio per farci sapere.

19. (13, 1-3) Se sorge in mezzo a voi un profeta o un uomo che fa dei sogni e che ti mostri un segno o un prodigio e accada il segno o il prodigio di cui ti aveva parlato dicendo: " Andiamo e rendiamo un culto ad altri dèi che voi non conoscete ", non date ascolto alle parole di quel profeta né all’uomo che ha fatto quel sogno, poiché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra. Alcuni traduttori latini non impiegarono l’espressione: scire an diligatis [per sapere se voi l’amate], ma: ut sciat an diligatis [affinché sappia se voi l’amate]. Sebbene sembri che il senso sia lo stesso, tuttavia l’espressione scire si riferisce più facilmente agli Israeliti; in tal modo l’espressione: tentat vos scire la intendiamo come se si dicesse: " mettendovi alla prova fa sapere ". Con ciò naturalmente Mosè vuol fare intendere che anche se si avverassero le predizioni fatte dagli indovini e non conformi alla mente di Dio, non si dovrebbe prenderle nel senso che si debba fare ciò che è ordinato da loro o debbano adorarsi gli dèi adorati da essi. Dio poi mostra anche che non senza l’intervento della sua potenza succedono tali prodigi, e come se gli si chiedesse perché li permette, espone che il motivo di questa prova è quello di conoscere il loro amore, se cioè hanno amore verso il loro Dio, o piuttosto che sia conosciuto da loro, anziché da Dio che sa tutto prima che avvenga.

La decima da conservare per coloro che non possedevano nulla.

20. (14, 28-29; 15, 1) Dopo tre anni porterai la decima di ogni tuo prodotto; quell’anno la depositerai nelle tue città e verrà il levita, che non ha né parte né eredità con te, il forestiero, l’orfano e la vedova che si trova nelle tue città; ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere che farai. Non si dice che da questa decima mangi lui con i suoi, e perciò il Signore comanda che venga destinata ai leviti, ai forestieri, agli orfani e alle vedove. Il testo però non si esprime chiaramente, poiché questa decima non è distinta da quella che la legge comanda di mangiare con i leviti nel luogo che il Signore avesse scelto per il suo tempio 52. Ma nella traduzione fatta dal testo ebraico troviamo ciò espresso più chiaramente, poiché dice: Al terzo anno separerai un’altra decima di tutti i prodotti che ti nasceranno in quel tempo e la riporrai dentro le tue porte; e verrà il levita, che non ha alcun’altra parte né una proprietà con te, il pellegrino, l’orfano e la vedova che si trovano entro le tue porte, ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere delle tue mani che farai. In primo luogo è più chiara l’espressione: al terzo anno, poiché vuol dire che c’è l’intervallo di un anno, mentre al contrario la versione dei Settanta: dopo tre anni è equivoca e non precisa se quei tre anni sono intermediari in modo che la riserva di tale decima si debba fare ogni quattro anni. In secondo luogo quando dice: separerai un’altra decima mostra assai bene che non si tratta della decima che - secondo l’ordine del Signore - l’offerente doveva mangiare con i suoi e con i leviti nel luogo che il Signore avrebbe scelto; poiché la legge comanda di porre in serbo quest’altra decima e nell’interno delle proprie porte, non di portarla nel luogo ove il Signore ha voluto essere invocato. E verrà - è detto - il levita, che non ha parte né proprietà insieme con te, il forestiero, l’orfano e la vedova che si trovano dentro le tue porte e ne mangeranno. Da questo testo risulta senza dubbio e chiaramente vero che Dio non volle che questa decima fosse un bene a disposizione tanto dell’offerente quanto di coloro per i quali dev’essere usato, ma comandò che fosse distribuita solo a coloro che non possedevano nulla, tra i quali mise soprattutto i leviti. Dopo sette anni farai il condono. In questo testo appare chiaramente in qual senso Mosè anche prima aveva detto: dopo tre anni. In effetti il Signore non volle che neppure questi sette anni fossero intermedi: egli comandò che si facesse il condono ogni anno come se si trattasse dell’osservanza di un Sabato d’anni.

L’anno della remissione.

21. (15, 9) Bada a te stesso che nel tuo cuore non ci sia una parola occulta, un’iniquità, dicendo: "È vicino il settimo anno, l’anno del condono", e il tuo occhio non mostri della cattiveria verso tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; ed egli griderà contro di te verso il Signore, e sarà in te un gran peccato. L’agiografo usa qui l’espressione: parola segreta, ottimamente appropriata, poiché non osa esporre a parole un siffatto proposito nessuno che avrà potuto pensare di non aver l’obbligo di dare un prestito a un indigente per il fatto che si avvicina l’anno del condono, quando Dio, per far esercitare la misericordia, ha comandato ambedue le cose: sia di dare un prestito a chi ne ha bisogno, che di condonarlo nell’anno della remissione. In qual modo perciò potrà uno condonare, animato dalla misericordia, nell’anno in cui si deve dare il condono, se crudelmente pensa di non dare nulla nel tempo in cui si deve dare qualcosa?

La liberazione dello schiavo nel settimo anno.

22. (15, 12) Se però ti è stato venduto un tuo fratello ebreo, uomo o donna, sarà tuo schiavo per sei anni e il settimo anno lo rimanderai libero da casa tua. Il Signore non ha voluto che fossero lasciati liberi questi schiavi comprati nell’anno del condono, che da tutti doveva essere osservato ogni sette anni ma nel settimo anno dopo la sua compera quale che fosse il tempo in cui cadeva quel settimo anno.

Quali sono i primogeniti da offrire.

23. (15, 19) Ogni primogenito che nascerà nelle tue vacche e nelle tue pecore, se è maschio, lo consacrerai al Signore tuo Dio. Si deve cercare se gli esseri che in greco sono chiamati ma in latino si potevano chiamare solo primogenita [primogeniti], sono da intendersi soltanto quelli che nascono dalle madri, per il fatto che essi, piuttosto che essere generati, vengono partoriti. Poiché il significato proprio di è " partorire " che è un’azione della femmina - per questo si dice - mentre generare si dice in greco , e perciò il termine in senso proprio corrispondente latino è " primogenito ". Si offrivano dunque a Dio i primi nati dalle femmine, non i primi generati dai loro mariti se per caso li generassero da vedove che avevano già partorito prima. Poiché altrimenti non sarebbero stati i figli che avrebbero aperto il seno materno, caratteristica propria dei figli che dovevano essere consacrati al Signore secondo la volontà della legge. Se dunque in queste parole c’è una vera distinzione non senza una ragione si dice che il Signore non è [unico nato] del Padre, ma - cioè unigenito, vale a dire unico - però in latino, è vero, si dice che il primogenito [di quelli che risuscitano] dai morti 53, poiché in latino non si poteva formare una parola composta in quel modo secondo il nostro consueto modo di parlare; in greco invece si dice [il primo nato] non [il generato per primo; primogenito] come se il Padre avesse generato il figlio uguale a lui stesso, una creatura invece avrebbe partorito. D’altra parte, anche l’espressione: il primogenito d’ogni creatura 54, la parola greca che anche lì si legge, può intendersi nel senso di " nuova creatura ", di cui l’Apostolo dice: Se pertanto uno è in Cristo è una nuova creazione 55; di questa nuova creazione il primo è Cristo, poiché fu il primo a risorgere in modo che non dovrà più morire e la morte non potrà più avere dominio su di lui 56, come viene promesso che avverrà alla fine per la nuova creazione che è unita a lui. Una tale distinzione però non dev’essere affermata senza riflessione ma dev’essere esaminata più attentamente. Poiché si rimane imbarazzati come mai nel libro dei Proverbi si è potuto dire: Primogenito, lo dico a te, figlio 57; si rimane cioè perplessi in nome di chi si deve intendere che ciò sia stato detto. Poiché se l’espressione è rivolta a Cristo dalla persona di Dio Padre - ma è molto difficile affermare se ciò che segue si accorda a questa spiegazione - la Scrittura chiama [Cristo] Primogenito e anche Unigenito: primogenito per il fatto che anche noi siamo figli di Dio 58, unigenito, al contrario, poiché solo lui è della natura del Padre, uguale al Padre e coeterno con Lui. Sarebbe però strano se la Sacra Scrittura distinguesse con argomenti assai chiari tra " partorire " e "generare ".

L’offerta dei buoi nel senso figurato.

24. (16, 2) E come vittima della pasqua immolerai al Signore tuo Dio pecore e buoi. Che significa il fatto che qui l’agiografo aggiunge buoi, mentre, trattando del sacrificio della pasqua, aveva parlato solo di un capo di bestiame minuto da prendere di tra le pecore e i capretti o di tra le capre? Ciò deve intendersi in senso figurato riguardo a Cristo, la cui origine carnale deriva da giusti e da peccatori. Poiché l’agiografo non dice: " dalle pecore o dalle capre ", sebbene in senso proprio non possa intendersi una pecora di tra le capre; ma affinché i Giudei non dicessero per caso che si doveva sottintendere un capro, se si fosse detto: " o di tra i capri ", si disse: di tra gli agnelli e i capretti 59. Che cosa significano allora qui i buoi? Sono forse menzionati a causa di altri sacrifici che dovevano offrirsi negli stessi giorni degli azimi?

La festa di pentecoste.

25. (16, 9-11) Si deve ricercare il motivo per il quale fu comandato di osservare quanto è detto nel seguente passo: Conterai per te stesso sette settimane intere; quando comincerai a portare la falce per la messe comincerai a contare sette settimane. E celebrerai la festa delle Settimane in onore del Signore tuo Dio secondo la forza della tua mano, tutto ciò che egli ti avrà dato, nella proporzione in cui ti benedirà il Signore tuo Dio; e ti rallegrerai al cospetto del Signore tuo Dio. Se fu comandato che questa festa della pentecoste fosse osservata da tutto il popolo, dobbiamo forse credere che fu comandato a tutti di mettersi a falciare la messe lo stesso giorno? Se invece ognuno osserva questa quinquagesima per proprio conto, contando le settimane dal giorno in cui comincia a mietere, la [ricorrenza della] quinquagesima non è la stessa per tutto il popolo; è invece la stessa [per tutti] la festa che viene computata a partire dal sacrificio della vittima pasquale fino al giorno in cui fu data la legge sul monte Sinai.

La richiesta di un re non fu conforme alla volontà di Dio.

26. (17, 14-15) Se entrerai nella terra che il Signore tuo Dio ti dà come parte d’eredità e ne avrai preso possesso e l’abiterai, e dirai: Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno, dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore tuo Dio avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. Possiamo domandarci perché al Signore dispiacque il popolo quando desiderò di avere un re 60, dal momento che qui si trova scritto che gli era stato promesso. Ma da questo passo si deve piuttosto intendere con ragione che la richiesta non fu conforme alla volontà di Dio, poiché egli non comandò che ciò avvenisse, ma lo permise solo perché lo avevano desiderato. Dio ordinò tuttavia che non fosse costituito come capo un estraneo, ma un fratello, cioè un originario dello stesso popolo. Quanto poi all’espressione: non potrai, si deve intendere nel senso di " non dovrai ".

Avere un gran numero di mogli era proibito senza distinzioni.

27. (17, 17) Parlando del re l’agiografo dice: Non dovrà moltiplicare le sue donne per evitare che il suo cuore si allontani [dal Signore]; e l’argento e l’oro non dovrà moltiplicarli eccessivamente. Stando a questo passo ci domandiamo se Davide non agì contro questo precetto, poiché non ebbe una sola moglie 61. D’altra parte nel caso di Salomone è evidente che egli trasgredì questo precetto non solo riguardo alle donne ma anche riguardo all’oro e all’argento. Da qui si desume piuttosto che fu permesso al re di avere più di una moglie, poiché fu proibito loro di averne molte. Questa proibizione non fu trasgredita se un re non ne aveva molte come quelle che ebbe Davide, ma non dovevano essere molte come quelle di Salomone. Tuttavia, quando l’agiografo aggiunge: affinché il suo cuore non si allontani [dal Signore], pare piuttosto che il Signore ordinasse al re di non avere molte mogli per non arrivare ad avere mogli straniere per mezzo delle quali, nel caso di Salomone, avvenne che il suo cuore si allontanasse da Dio 62. Tuttavia l’avere un gran numero di mogli era proibito senza distinzioni, in modo che, anche se un re avesse avuto un gran numero di mogli prese solo tra le ebree, con ragione sarebbe potuto essere incolpato di aver trasgredito questo precetto.

Quanto è dovuto al levita come diritto della famiglia.

28. (18, 6-8) Se poi sopraggiungerà un levita da una delle tue città, una [qualsiasi] di tutti i figli d’Israele, dove egli risiede, [se viene] come desidera la sua anima nel luogo che il Signore avrà scelto - cioè se desiderò recarsi nel luogo dove è invocato il Signore - allora presterà servizio al nome del Signore suo Dio come tutti i suoi fratelli leviti che stanno lì davanti al Signore; egli mangerà la porzione distribuita ad eccezione del [provento] della vendita dei suoi beni di famiglia. Non è chiaro di quale vendita si parli: forse si tratta delle decime e delle primizie che ai leviti abitanti lontano [da Gerusalemme] era comandato di vendere per non essere costretti a portare molte cose nel luogo ove s’invoca il Signore, o a condurre là il bestiame per poi ricomprarlo allo stesso prezzo; il Signore aveva ordinato che avesse lì la parte corrispondente il levita il quale restava in quella città da cui gli erano dovute le decime e le primizie. Ecco perché l’agiografo dice che ciò è dovuto al levita come diritto della famiglia poiché, in forza del diritto di successione ai beni di suo padre, si doveva mettere in serbo per lui ciò che si soleva dare ai suoi genitori.

Ci chiediamo come discernere i prodigi.

29. (18, 10-11) Poiché Dio proibisce che tra il suo popolo ci siano degli individui che osservano e interpretano i prodigi ci chiediamo come discernere i prodigi, che egli proibisce di osservare, da quelli che hanno impronte talmente divine che se ne deve ricercare il significato; tali sono tutti i miracoli riferiti nelle Scritture: essi significano qualcosa d’importante relativo alla regola della fede, come spieghiamo che cosa significava il vello rimasto asciutto sull’aia che invece era bagnata di rugiada, oppure era bagnato di rugiada nell’aia ch’era asciutta 63, oppure il bastone di Aronne che fiorì e produsse delle mandorle 64, ed altri simili prodigi. Poiché, allo stesso modo che si distinguono le divinazioni proibite nel seguito del testo sacro dalle predizioni e dai messaggi dei Profeti, così le osservazioni dei prodigi si devono distinguere dai significati dei miracoli divini.

Cooperiamo con Dio che ci aiuta.

30. (20, 4) Poiché il Signore, vostro Dio, che avanza davanti a voi, è a fianco di voi per combattere per voi insieme a voi i vostri nemici al fine di salvarvi. Ecco qui come anche quando si tratta di lotte spirituali si deve sperare e invocare l’aiuto di Dio, non affinché noi non facciamo nulla, ma ma cooperiamo con lui che ci aiuta. Poiché l’agiografo dice così: combatterà con voi, per mostrare che anch’essi dovevano fare ciò che si doveva fare.

Le disposizioni degli uomini chiamati alle armi.

31. (20, 5-7) Allora gli scribi parleranno al popolo in questi termini: Chi è l’uomo che ha costruito una casa e non l’ha inaugurata? Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e la inauguri un altro. E chi è l’uomo che ha zappato per piantare una vigna e non ha goduto dei suoi frutti? Se ne torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non ne goda dei frutti un altro. E chi è l’uomo che si è fidanzato con una donna e non l’ha presa ancora con sé in moglie? Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non la prenda in moglie un altro. Queste disposizioni potrebbero creare imbarazzo quasi a dire che potrebbero morire in guerra con uno stato d’animo migliore coloro che hanno inaugurato la loro casa e goduto i frutti delle vigne piantate di recente, dopo aver preso con sé la sposa novella, invece di quelli che ancora non hanno gustato tali godimenti. Ma poiché il cuore dell’uomo si lascia prendere da siffatti godimenti che sono assai stimati dagli uomini, si deve intendere che queste disposizioni vengono date a persone che vanno in guerra; in tal modo appariva di essere fortemente attaccato a quei piaceri chi tornava indietro al fine di non combattere meno valorosamente per il timore di morire prima di inaugurare la sua casa, o prima di aver bevuto il vino della vigna piantata di recente o di aver preso in moglie la fidanzata. Poiché d’altronde, per quanto riguarda la donna è meglio per lei sposarsi vergine anziché vedova con un altro uomo; ma - come ho detto - queste disposizioni avevano lo scopo di provare i sentimenti degli uomini chiamati alle armi.

Gli indumenti maschili vietati alle donne.

32. (22, 5) Una donna non dovrà indossare indumenti maschili; l’espressione indumenti maschili vuol dire " strumenti bellici ", cioè le armi, come hanno tradotto anche alcuni altri autori.

La legge volle che le mogli fossero sottomesse ai mariti.

33. (22, 13-21) Se uno avrà preso moglie e sarà vissuto con lei e poi la prenderà in odio e lancerà false accuse contro di lei e farà cadere su di lei una cattiva reputazione e dirà: Ho preso in moglie questa donna e mi sono accostato a lei ma non ho trovato i segni della sua verginità; allora il padre della ragazza e la madre di lei prenderanno le prove della sua verginità e le porteranno al consiglio degli anziani alla porta [della città] e il padre della ragazza dirà agli anziani: Io ho dato questa mia figlia in moglie a quest’uomo e adesso, avendola presa in odio, lancia contro di essa false accuse in questi termini: Io non ho trovato i segni della verginità di tua figlia. Essi allora spiegheranno la coperta davanti agli anziani della città e gli anziani di quella città prenderanno quell’uomo, lo castigheranno e gli infliggeranno una multa di cento sicli d’argento, e li daranno al padre della giovane, poiché egli ha prodotto una cattiva reputazione riguardo ad una giovane israelita. Essa rimarrà sua moglie ed egli non potrà ripudiarla mai più durante il tempo avvenire. Se invece l’accusa risulterà fondata e non verranno trovate le prove della verginità della ragazza, allora [gli anziani] condurranno la giovane alla porta della casa di suo padre e gli uomini della sua città la lapideranno a colpi di pietra e così morirà poiché ha commesso un atto insensato tra i figli d’Israele prostituendo la casa di suo padre; così estirperai il male ch’è tra di voi. Da questo passo si vede assai chiaramente come la legge volle che le mogli fossero delle donne sottomesse ai mariti e proprio loro serve; poiché, mentre la donna veniva lapidata se fosse stato dimostrato ch’era vera la testimonianza resa dal marito contro sua moglie, egli tuttavia non veniva lapidato qualora fosse stato dimostrato che la sua testimonianza era falsa, ma veniva solo castigato e multato e veniva obbligato a rimanere per tutta la vita con la moglie, da cui avrebbe voluto separarsi. Negli altri casi invece la legge ordinava che fosse ucciso il falso testimone il quale recasse danno a qualcuno accusandolo di un delitto che, una volta provato portava con sé la pena che sarebbe dovuta essere inflitta a colui che egli accusava se l’accusa fosse risultata fondata.

Quando il ripudio non è lecito.

34. (22, 28-29. 19) Se uno però trova una ragazza vergine, che non è fidanzata, e violentandola giace con lei e viene scoperto, l’uomo che ha peccato con lei dovrà dare al padre della ragazza cinquanta didramme d’argento, e la ragazza sarà sua moglie, poiché l’ha umiliata; non potrà ripudiarla durante tutto il tempo avvenire. Con ragione possiamo chiederci se sia un castigo quello per cui uno non possa ripudiare durante tutta la vita colei che violò contravvenendo alla legge di Dio e perciò illecitamente. Se infatti vorremo intendere che essa non può, cioè non deve essere ripudiata per tutta la vita per il motivo che è diventata la moglie ci viene in mente il fatto che Mosè permise di dare la lettera di ripudio e abbandonare la moglie 65. Riguardo però a coloro che deflorano illecitamente una vergine, il legislatore non volle che il ripudio fosse lecito affinché non sembrasse che l’uomo lo avesse fatto per prendersi gioco della donna e avesse fatto finta di prenderla in moglie anziché sposarla con un vero contratto matrimoniale. Questa norma fu stabilita anche nel caso di una donna che il marito avesse accusato falsamente di non aver trovato in lei i segni della verginità.

Rut entrata nell’assemblea del Signore.

35. (23, 3-4) Non entrerà nell’assemblea del Signore né l’Ammanita, né il Moabita; e non entrerà nell’assemblea del Signore né fino alla decima generazione né giammai. Qui si pone il quesito come mai vi entrò Rut, la quale era Moabita 66, dalla quale ha origine anche la natura umana assunta dal Signore 67. Ma forse la frase: fino alla decima generazione è da prendere nel senso allegorico d’una profezia che essa sarebbe entrata. Poiché le generazioni si contano a partire da Abramo quando viveva anche Lot, che fu il progenitore dei Moabiti e degli Ammaniti mediante le figlie 68, e contando lo stesso Abramo si trova la somma di dieci generazioni fino a Salmon che generò Booz, il quale fu il secondo marito di Rut. Ecco le generazioni: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Fures, Esrom, Aram, Naasson, Salmon. Salmon a sua volta generò Booz 69, il quale sposò la vedova Rut; e per questo si vede che dopo la decima generazione Rut fece nascere discendenti nell’assemblea del Signore con il partorire figli per l’appunto a Booz. Uno però può ancora chiedersi con ragione perché l’agiografo aggiunge: né giammai. Forse perché in seguito nell’assemblea del popolo ebraico non entrò nessun’altra persona degli Ammaniti e Moabiti dopo che con questa decima generazione si era compiuta la profezia. O forse piuttosto l’agiografo dice: fino alla decima generazione per volere farci intendere, precisamente per mezzo della totalità raffigurata nel numero dieci, che non sarebbero entrati assolutamente mai, di modo che fece capire ciò aggiungendo l’espressione giammai in eterno? Se la cosa sta così, sembra che Rut sia stata ammessa [nell’assemblea del popolo ebraico] contro il precetto che lo vietava. Oppure era vietato di ammettervi gli Ammaniti, non le Ammanite, cioè gli uomini, non le donne di quel popolo? E ciò si può supporre soprattutto per il fatto che, avendo gli Israeliti sconfitto quel popolo, ebbero l’ordine di uccidere tutti i maschi, ma non le donne, eccetto quelle che avevano avuto rapporti sessuali con gli uomini 70, poiché erano state loro ad allettare il popolo alla fornicazione, ma vollero risparmiare le vergini non imputando loro la colpa per la quale quel popolo meritò la sconfitta, ricordata anche qui come se l’agiografo si chiedesse per quale motivo Dio non volle che fossero ammessi nell’assemblea del Signore i Moabiti e gli Ammaniti. L’agiografo infatti soggiunge: Poiché non vi sono venuti incontro con il pane e con l’acqua sulla via quando uscivate dall’Egitto e perché contro di te assoldarono Balaam, figlio di Beor dalla Mesopotamia, affinché vi maledicesse. Queste colpe non le imputarono alle donne, che essi preferirono conservare in vita, neppure allorquando quel popolo fu sconfitto.

Vietato restituire lo schiavo fuggitivo.

36. (23, 15-16) Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che si sarà messo presso di te [fuggendo] dal suo padrone; il senso di questo passo non è che il padrone abbia consegnato, abbia cioè affidato lo schiavo - poiché l’agiografo avrebbe detto piuttosto depositum [affidato] - ma dice appositum [messo accanto] dal suo padrone, cioè messo presso di colui, dopo che si era allontanato da lui; la legge dunque proibisce non di accogliere ma piuttosto di restituire gli schiavi fuggitivi. Si potrebbe senza dubbio pensare così ma solo se intendiamo che questi precetti sono stabiliti per la nazione e per il popolo, non per una sola persona. Era pertanto proibito di restituire l’uomo proveniente da un altro popolo, fuggitivo dal suo padrone, cioè dal suo re, in cerca di rifugio presso la nazione degli Israeliti. A questa norma si attenne anche lo straniero Achis, re di Fat, quando si rifugiò da lui Davide fuggendo dal suo padrone, cioè dal re Saul 71. L’agiografo infatti spiega ciò assai chiaramente quando, a proposito del fuggitivo, dice: Avrà il suo domicilio in mezzo a voi, in qualsiasi luogo gli piacerà.

Proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne.

37. (23, 17) Non ci sarà alcuna prostituta tra le figlie d’Israele, né alcun prostituto tra i figli d’Israele. Ecco, in questo passo è proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne anche con persone che non siano coniugi e fa vedere chiaramente che è peccato l’unione sessuale con chi non è il proprio coniuge, dal momento che è proibito non solo che vi siano delle meretrici ma anche di accostarsi alle donne che fanno pubblico mercato del proprio corpo. Non sembra però che nel decalogo questo peccato sia proibito esplicitamente con il termine moechia, con il quale comunemente s’intende solo l’adulterio. Il nostro pensiero su questo punto l’abbiamo esposto nel passo relativo 72.

Abominio il guadagno di una meretrice e il prezzo di un cane.

38. (23, 18. 17) Non offrirai il denaro guadagnato da una meretrice né il prezzo di scambio di un cane nella casa del Signore tuo Dio per qualunque voto, poiché l’una e l’altra sono cose abominevoli per il Signore tuo Dio. Ciò si deve intendere nel senso che abominevole al Signore Dio tuo non è solo una di queste cose ma tutte e due. Riguardo al cane è proibito farne la permuta per i primogeniti che Dio comanda sia fatta mediante altri animali immondi, cioè cavalli, asini e altri simili animali che aiutano gli uomini e in latino sono chiamati iumenta [giumenti], nome derivato dal fatto che lo aiutano [iuvando]: non fu però permesso di fare lo scambio con il cane; forse anche lo scambio con il porco? Si deve ricercare perché non era permesso di fare tale scambio e, se non fu permesso di farlo con siffatti animali, per qual motivo in questo passo è eccettuato il solo cane. Il motivo per cui si parla del prezzo da pagare alla prostituta sembra essere perché prima nel testo c’è la proibizione che ci fossero prostitute tra le figlie d’Israele o che nessuno dei figli d’Israele avesse relazioni sessuali con una prostituta. Inoltre, affinché non si pensasse che questo peccato potesse espiarsi offrendo nel tempio qualcosa del ricavato da quel mercinomio si dové dire che esso è una cosa abominevole per il Signore.

L’uomo deve scacciare dal suo intimo l’uomo malvagio.

39. (24, 7) Quel rapinatore, cioè colui che ha derubato un uomo, sarà messo a morte e toglierete di mezzo a voi stessi il malvagio. Così dice spesso la Scrittura 73 quando ordina di uccidere i malvagi. Anche l’Apostolo usa questa espressione quando dice: Perché vorrei io giudicare quelli che sono fuori [della Chiesa]? Non siete forse voi quelli che giudicate coloro che sono dentro? Togliete di mezzo a voi stessi il malvagio 74. Il greco infatti ha [il malvagio], come si trova scritto anche in questo passo, poiché questo termine comunemente è inteso nel senso di " malvagio " piuttosto che di " male ". L’agiografo non dice: , cioè " il male ", ma , cioè " il malvagio ". Di qui appare chiaro che l’Apostolo voleva intendere che merita la scomunica chi commette una colpa siffatta. Adesso infatti la scomunica produce nella Chiesa l’effetto che produceva allora la pena di morte. Sennonché la massima dell’Apostolo si potrebbe intendere anche in un altro senso, che cioè ad ognuno è comandato di scacciare da se stesso il male o il maligno. Questo senso sarebbe più ammissibile se nel greco si trovasse " il male, la malvagità " non " il malvagio ", ma è più probabile che l’espressione si riferisca alla persona anziché al vizio, sebbene si possa intendere con esattezza anche nel senso che l’uomo deve scacciare dal suo intimo l’uomo malvagio, allo stesso modo che la Scrittura dice: Spogliatevi dell’uomo vecchio e, spiegando di che si tratta, dice: chi rubava ora non rubi più 75.

Differenza fra sacerdote e levita.

40. (24, 8) [Dovrai agire] secondo tutta la legge che vi giureranno i sacerdoti leviti

. In questo passo è chiaro che ogni sacerdote era levita, quantunque non ogni levita fosse sacerdote.

Debitore, creditore e pegno.

41. (24, 10-13) Se in casa di un tuo prossimo ci sarà un debito, qualunque esso sia, non entrerai in casa sua per prendere il pegno; resterai di fuori e la persona che ha in casa sua il tuo debito ti porterà fuori il pegno. Se però quella persona ne ha bisogno, non dovrai dormire con il suo pegno. Tu dovrai rendergli il suo vestito all’avvicinarsi del tramonto del sole e così potrà dormire con il suo vestito e ti benedirà e ciò sarà per te una misericordia presso il Signore tuo Dio. Non senza ragione si vede che rientra nelle opere di misericordia la condotta di un creditore padrone di un pegno, il quale non entra in casa del debitore per non arrecargli turbamento. Ma con ciò viene anche avvertito il debitore di recar fuori il pegno al creditore. Giustamente, al contrario, è causa d’imbarazzo il comando di restituire lo stesso giorno il pegno all’indigente, affinché se ne copra durante la notte chi non possiede di che coprirsi la notte; di conseguenza ci chiediamo per quale motivo non è fatto piuttosto obbligo al creditore di non portare via il pegno che deve restituire lo stesso giorno. Se invece la disposizione di legge d’agire così ha lo scopo di far pressione sul debitore, affinché paghi il debito, in qual modo si affretterà a rendere il pegno sapendo che ne rientrerà in possesso lo stesso giorno? Ma forse il legislatore ha stabilito che si agisca in quel modo per ricordare al debitore di non dimenticarsi di restituire ed evitargli di restituire quando realmente non ha il pegno? E ciò soprattutto perché il debitore è vincolato dalla compassione usatagli dal suo creditore, verso il quale non dev’essere ingrato, visto che ha ricevuto il pegno con il quale può coprirsi la notte; nello stesso tempo anche il creditore, quando il debitore non lo avrà restituito, deve credere che non lo ha colui che ha anche bisogno di quest’opera di misericordia, che cioè gli sia restituito il pegno in quanto non ha nient’altro per coprirsi quando riposa la notte.

Ciascuno sarà responsabile della propria colpa.

42. (24, 16) I padri non morranno per le colpe dei figli, né i figli morranno per le colpe dei padri; ciascuno morrà per il proprio peccato. Questa affermazione non è solo dei Profeti 76 ma anche della Legge, la quale dice che ciascuno dovrà essere tolto di mezzo a causa della propria colpa, non per quella di suo padre o di suo figlio. Che significa allora ciò che è detto in un altro passo: Dio punisce i peccati dei genitori sui figli sino alla terza e quarta generazione? Quest’ultima affermazione va forse intesa riguardo ai figli non ancora nati a proposito del peccato originale, che il genere umano contrae per eredità da Adamo; quell’altra frase invece fa distinzione riguardo ai figli già nati di guisa che ciascuno muore a causa del proprio peccato? Poiché non contrae nulla per eredità dal padre chi era già nato quando suo padre peccò. Ma poiché anche vi si dice: per coloro che mi odiano 77, è chiaro che quella condizione si può revocare se i figli non imiteranno le azioni dei loro genitori. Poiché anche il peccato derivante da Adamo viene imputato per questa vita, poiché tutti muoiono a causa di esso, ma non viene imputato in eterno a coloro che saranno stati rigenerati spiritualmente mediante la grazia e avranno perseverato in essa sino alla fine. Se non che, se vengono imputati i peccati dei padri sui figli per coloro che odiano Dio, fino alla terza e alla quarta generazione, per qual motivo - possiamo domandarci con ragione - non si dice nulla della prima e della seconda o non vengono imputati alle altre generazioni nel caso che i bambini continuassero a imitare l’empietà e la cattiva condotta dei loro padri? Con questo numero ha forse voluto l’agiografo indicare la totalità, per il fatto che si sottintende il sette: e non scrisse piuttosto precisamente " sette ", dicendo " fino alla settima generazione ", e così sarebbe intesa la totalità, poiché in questo modo risalta meglio la causa per la quale ha la sua perfezione questo numero? Esso infatti è considerato perfetto poiché consta di questi due numeri, cioè del tre, che è il primo numero dispari intero, e del quattro, che è il primo numero pari intero. Da questo fatto io credo che derivi l’espressione del Profeta, ripetuta più di una volta: Per tre e per quattro empietà non mi rimoverò [dalla mia decisione] 78, con la quale volle indicare tutte le scelleratezze piuttosto che soltanto tre o quattro.

È raccomandato di rendere giustizia a tutti, specie alle vedove.

43. (24, 17) Non farai deviare la giustizia dovuta all’immigrato, all’orfano e alla vedova, non prenderai in pegno il vestito della vedova. Perché Mosè non dice: e non prenderai in pegno il loro vestito?. Per qual motivo è proibito di violare il diritto di queste tre classi di persone, mentre è proibito di prendere in pegno il vestito della sola vedova e non anche il vestito di quelli, se non per il motivo che è raccomandato di rendere giustizia a tutti, poiché non hanno alcuno che li difenda né il forestiero per il fatto di trovarsi in un paese straniero, né l’orfano, cioè il pupillo poiché non ha i genitori, né la vedova perché non ha marito? Quando, al contrario, è proibito di prendere in pegno il vestito di una vedova, io penso che ciò sia un insegnamento assai ingegnoso, nel senso che si devono chiamare veramente vedove quelle che sono anche povere. La stessa cosa lascia intendere chiaramente anche l’Apostolo allorché dice: Se invece una vedova ha dei figli o dei nipoti, impari in primo luogo a governare la propria casa con lo spirito di fede e amore e a rendere il contraccambio ai genitori, poiché ciò è gradito a Dio. La donna poi che è veramente vedova ed è rimasta assolutamente sola, ha riposto la speranza nel Signore e continua con costanza a pregare giorno e notte 79. Chiama vedova davvero quella che non ha alcuno che l’aiuti, poiché non solo è senza marito ma anche senza discendenti e priva di ogni sorta di risorse; naturalmente non chiamerebbe assolutamente sola una che è ricca. Alla vedova povera non si deve perciò portare via il vestito che si ha in pegno, poiché per il fatto stesso che il legislatore proibisca di portarle via il vestito, si dimostra che è povera. Il creditore infatti le porterebbe via piuttosto il denaro o qualsiasi altra cosa, anziché il vestito. D’altra parte può presentarsi alla mente la seguente obiezione: Ma se avesse molti vestiti non necessari ma superflui, in qual modo si potrebbe credere che sia veramente vedova, vale a dire non solo completamente sola ma anche che non trascorre la vita nei piaceri? Parlando di una certa vedova l’Apostolo soggiunge: Quella però, la quale passa la vita nei piaceri, anche se vive, è già morta 80. L’Apostolo contrappone questa vedova a una vera vedova, come se una siffatta vedova non fosse una vera vedova. Nelle vedove ricche - quali che siano - che non hanno voluto rimaritarsi si loda la continenza, non se ne sottolinea l’essere assolutamente sole, poiché sono rimaste prive solo dei mariti ma non delle altre cose.

Ciò che si abbandona nei campi sia dei poveri.

44. (24, 19) Quanto al testo della Scrittura in cui si ordina che, nella mietitura, nessuno raccolga un mannello [di spighe] lasciato per dimenticanza né l’oliva o l’uva abbandonata e nessuno torni indietro a raccogliere con più attenzione quanto è rimasto abbandonato per negligenza e dice che si devono lasciare ai poveri, al pensiero si presenta forse un’obiezione: Che dire se i frutti dei campi lasciati dai padroni li raccoglieranno i furbi e non i poveri? Si deve però considerare in primo luogo che la persona che lascia queste cose lo fa mosso da misericordia con l’intenzione che sia dei poveri ciò che abbandona. In secondo luogo quando si danno al popolo tali precetti, nello stesso tempo a coloro che non ne hanno bisogno si raccomanda di non andare in cerca di ciò che viene lasciato [nei campi]. Se però ne andranno in cerca, che dobbiamo pensare di loro se non che s’impadroniscono di beni altrui e, quel che è più grave, di beni dei poveri? Da questi precetti vengono menzionati dunque le due classi di persone: non solo i padroni dei campi, affinché lascino per spirito di misericordia quelle cose, ma anche coloro che non sono poveri, affinché si astengano [dal raccoglierle] dal momento che ambedue queste cose vengono dette: sia da chi devono essere lasciate, sia per chi devono essere lasciate.

Distinzione fra empietà lieve ed empietà grave.

45. (25, 1-3) Quando ci sarà una lite fra uomini e questi si presenteranno al tribunale e giudicheranno e giustificheranno il giusto. Si deve pensare che sono i giudici a dover giudicare, non coloro che - a detta dell’agiografo - hanno una lite tra loro. Il testo prosegue dicendo: e condanneranno l’empio e avverrà che se l’empio sarà degno di battitura, lo porrai davanti ai giudici che lo faranno flagellare davanti a loro in proporzione alla loro empietà. Lo faranno flagellare con quaranta frustate senza aggiungerne di più, poiché, se continueranno a farlo flagellare con un numero maggiore di colpi, tuo fratello resterà umiliato davanti a te. Occorre fare molta attenzione. Sebbene la Scrittura comandi di castigare con frustate i peccati che non meritano di essere puniti con la pena di morte, e con tanto poche battiture, chiama tuttavia empio oppure " individuo che agisce empiamente " chi viene sottoposto alla flagellazione, per farci sapere che le Scritture non parlano come parlano tante e tante persone. Noi le leggiamo con troppo poca attenzione, se pensiamo che non sia un’empietà l’adulterio in quanto sembra che chi lo commette lo commetta solo contro una persona umana, sebbene la legge ordini di punire quel peccato con la pena di morte 81, e noi diciamo che le empietà sono più gravi di tali peccati, poiché alcune di esse vengono punite solo con quaranta colpi di frusta. C’è dunque un’empietà lieve che merita solo la flagellazione e c’è un’empietà grave che merita la pena di morte. Parimenti anche dei peccati che sembrano essere commessi non contro Dio ma contro una persona umana, alcuni meritano la pena di morte, altri invece meritano solo una correzione data o con la flagellazione o con un perdono più facile. È noto a tutti che i traduttori [detti] i Settanta hanno esposto lo stesso concetto poiché anch’essi hanno denotato come empietà il peccato di colui che merita la flagellazione.

Su l’obbligo di sposare le moglie del fratello defunto.

46. 1. (25, 5-6) Se dei fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza avere discendenti, la moglie del defunto non apparterrà a un uomo di fuori, che non sia un parente; il fratello di suo marito andrà da lei e la prenderà in moglie e abiterà insieme con lei. E avverrà che, quale che sia il figlio che nascerà, sarà riconosciuto come discendente legale con il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele. Sembra che l’obbligo, imposto dalla legge agli Israeliti, di sposare la moglie di un fratello, avesse l’unico scopo di procurare la discendenza al fratello defunto senza figli. Quanto poi alla frase: Sarà costituito discendente mediante il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele, cioè il nome del defunto, sembra voglia indicare che il bambino, che nascerà, viene ad essere in certo qual modo suo discendente prendendo il nome che portava il defunto. Ecco perché ho ritenuto più plausibile risolvere, conforme al costume dell’adozione, il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe 82, uno menzionato da Matteo 83, cioè quello che generò Giuseppe, l’altro menzionato da Luca 84, quello di cui Giuseppe era figlio, poiché Giuseppe non aveva ricevuto il nome di nessuno di essi. Può darsi tuttavia che la frase: sarà costituito erede legale come discendente, grazie al nome del defunto, significhi non che riceve il nome di lui, ma che il bambino è stabilito erede legale grazie al nome di lui, cioè come figlio non di colui dal cui seme è stato generato, ma del defunto per il quale è stata procurata la discendenza. Quanto alla frase con la quale il testo prosegue: e così non sarà cancellato da Israele il suo nome, può intendersi non già nel senso che il bambino prenderebbe il nome di lui, ma nel senso che questo non sarà considerato come uno morto senza lasciare figli e perciò il suo nome, vale a dire il suo ricordo, rimarrà a lungo. In realtà, anche se il figlio lo avesse generato lui, non gli avrebbe imposto il proprio nome per far sì che il suo nome non fosse cancellato da Israele; ma in realtà il proprio nome non sarebbe stato cancellato proprio perché sarebbe partito da questa vita lasciando dei figli. E al fratello si fa obbligo di compiere con la moglie di lui ciò che non fu in grado di fare quello. Ora, anche se non avesse avuto un fratello, un altro parente sposava la moglie di colui che fosse morto senza figli, per procurare discendenti a suo fratello, come fece Booz prendendo in moglie Rut, per dare un discendente al suo parente di cui essa era stata moglie ma dal quale non aveva avuto figli. Cionondimeno il figlio nato da lei fu costituito erede legale del defunto in virtù del nome poiché fu chiamato suo figlio - e così avvenne che il nome del defunto non fu cancellato da Israele -, senza che tuttavia il bambino si chiamasse con il nome di lui 85.

Il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe.

46. 2. Stando così le cose, la questione che si presenta nel Vangelo si può risolvere con un’altra fondata ipotesi: potrebbe cioè darsi che uno dei due ascendenti menzionati come persone distinte da Matteo e da Luca 86, sarebbe stato parente dell’altro per sposarne la moglie avendo potuto avere parenti e antenati anche in linea ascendente diversi da quelli dell’altro. Poiché, se fossero stati figli di fratelli, avrebbero avuto uno stesso nonno. Ma non è così, poiché secondo Matteo il nonno di Giuseppe è Matan, secondo Luca invece non è Matan ma Matat. E se uno pensasse che si tratti solo della somiglianza del nome che i copisti lo trascrissero sbagliando soltanto l’ultima lettera e così la differenza risulta tanto piccola e quasi di nessun peso, che dirà dei padri di questi due?. Poiché, secondo Luca, Matat era figlio di Levi, secondo Matteo invece Matan risulta figlio di Eleazar; e così ripercorrendo la genealogia in linea ascendente risultano differenti i padri e i nonni e in seguito gli antenati fino a Zorobabel che secondo Luca è, a un dipresso, il ventesimo in linea ascendente a partire da Giuseppe, mentre secondo Matteo è l’undicesimo. Si crede che egli sia il medesimo per il fatto che in ambedue gli Evangelisti si trova suo padre essere Salatiel. Sarebbe tuttavia possibile che esistesse un’altra persona dello stesso nome avente un padre chiamato con lo stesso nome del padre dell’altra. In effetti anche a partire da lui in linea ascendente gli antenati sono diversi in quanto, secondo Luca, Zorobabel ha un nonno chiamato Neri, secondo Matteo invece ne ha un altro chiamato Ieconia, e da qui in su non c’è mai accordo fino a quando non si arriva a Davide, attraverso Salomone secondo Matteo e attraverso Natan secondo Luca. Sembra però assai difficile supporre che, per sposare la moglie di suo fratello, non ci fosse un parente più prossimo di un parente da parte di Davide in un grado così lontano che non aveva con il marito defunto alcun altro legame di parentela, essendo Davide, secondo Luca, a un di presso il quarantesimo antenato di Giuseppe, secondo Matteo invece all’incirca il ventisettesimo. Tuttavia, se a sposare le vedove dei loro fratelli si cercavano anche i congiunti da parte delle donne, poté accadere che uno, il quale avesse una parentela tanto vicina, generasse Giuseppe unendosi con la moglie di un suo stretto congiunto morto senza figli e così avrebbe avuto due padri, uno naturale e l’altro legale, senza che nel seguito della genealogia appaia alcuna traccia di parentela nei padri, nei nonni e negli antenati più lontani per il fatto che la loro parentela era non da parte degli uomini, ma delle donne. Tuttavia, se la cosa stesse così, allora non si risalirebbe a Davide come al capostipite comune. Oppure, se si sostiene che le donne poterono essere registrate invece dei mariti nella genealogia, dove le registrerò io quando la Scrittura non ha questa abitudine, come nessun Evangelista le inserì [nella genealogia di Cristo]? Quando infatti vengono citate le madri, non vengono menzionate senza nominare anche i loro padri. E perciò o non c’era un parente più prossimo per unirsi con la moglie del defunto in modo da risalire all’origine della parentela di Davide oppure l’adozione fece sì che Giuseppe avesse un altro padre.

Le feste parentalia.

47. (26, 14) Che significa il fatto che tra le altre cose che Mosè ordina siano dette dall’uomo a cui era ordinato di dare o spendere qualunque cosa nel dare la decima e allo stesso che aveva eseguito tutti quei comandamenti ordina di dichiarare anche quanto segue elogiando ed esaltando se stesso: Nulla di ciò ho offerto in onore di un morto? Sono forse proibite con ciò le feste dette parentalia che sogliono essere celebrate dai pagani?

Come si può intendere andare a destra.

48. 1. (28, 13-14) Non devierai da nessuna delle parole che oggi io ti comando, andando a destra o a sinistra, per seguire altri dèi e rendere loro culto. Ci si può chiedere come mai può intendersi che vada verso la destra chi va dietro altri dèi per rendere loro culto quando della destra si parla per indicare un pregio, mentre l’adorazione degli dèi non potrebbe essere mai un’azione lodevole poiché anche quanto al fatto che viene biasimato chi nella via della vita si scosta verso la destra, non viene però biasimato anche ciò che è alla destra, ma colui che si volge a destra, chi cioè si arroga ciò che è di Dio. Ecco perché nei Proverbi si dice: Non piegare né a destra né a sinistra, poiché le vie che sono a destra le conosce il Signore, ma quelle che sono a sinistra sono vie perverse 87. Sono quindi buone le vie di destra che il Signore conosce, poiché il Signore conosce le vie dei giusti 88, come si legge nel Salmo. Il motivo per cui è detto: non piegare a destra, viene spiegato dalla frase aggiunta di seguito: poiché sarà lui a rendere diritte le tue vie. Noi però non pensiamo affatto che non siano rette le vie di destra conosciute dal Signore, ma - come ho detto - piegare verso le vie di destra non è l’effetto della grazia del Signore, ma è volere arrogarsi ciò che è retto. Alla fine - come ho detto - l’agiografo continua e dice: Lui stesso infatti renderà diritte le tue vie e i tuoi viaggi guiderà in pace 89.

48. 2. Perciò quello che si dice in questo passo del Deuteronomio, di cui trattiamo: Non ti scosterai da nessuna delle parole che oggi ti comando, andando a destra o a sinistra per seguire altri dèi e rendere culto ad essi, non è detto nel senso che altri dèi possano essere considerati come di destra; ma o vengono indicati luoghi della terra, poiché a destra o a sinistra [delle vie] i pagani che adoravano altri dèi avevano luoghi destinati ai sacrifici per gli dèi, oppure ciò si deve intendere separatamente di altri dèi, di modo che la frase può essere intesa in due sensi, di cui l’uno sarebbe: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti prescrivo andando a destra o a sinistra, ossia secondo il senso da me spiegato più sopra; l’altro senso invece sarebbe: andando dietro altri dèi per rendere culto ad essi, sottintendendosi anche qui: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti do. Se volessimo esprimere questo senso completo della frase dovremmo ripetere le parole precedenti, che sono comuni ad ambedue i sensi, in modo che allo stesso modo che nel primo caso è detto: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti do oggi andando a destra o a sinistra, così nell’altro caso si dovrebbe ripetere: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti prescrivo oggi andando dietro dèi stranieri per rendere culto ad essi. In effetti allontanandosi uno dai comandamenti prescritti gli avviene anche che trasgredisca il comandamento di non seguire altri dèi. Certo questo non è l’unico comandamento, o è solo del comandamento di non seguire altri dèi che Dio non vuole che ci si dimentichi, ma è di tutti i comandamenti; tuttavia volle sottolineare soprattutto questo comandamento di guisa che, dopo aver enunciato genericamente il precetto con il quale ordinò di non allontanarsi da nessuno dei suoi comandamenti, lo volle prescrivere anche in modo particolare.

48. 3. Pertanto l’espressione: a destra o a sinistra si potrebbe intendere anche nel senso che Dio comandò di non seguire altri dèi né a motivo di ciò che si brama per avere la felicità, né di ciò che si sfugge per evitare l’infelicità, cioè che, né per ciò che si ama né contro ciò che si odia, non si deve chiedere aiuto ad altri dèi, o almeno non in modo da cattivarsene il favore perché porgano aiuto o da renderli benevoli perché non arrechino danno, poiché anche di certuni sta scritto nel Salmo: La loro bocca dice menzogne e la loro destra è una destra di iniquità, poiché credono che uno diventi felice mediante le cose che possono essere possedute sia dai buoni che dai cattivi; e perciò la loro è una destra di iniquità, poiché sono iniqui coloro i quali credono che sia essa la destra; non è infatti la vera destra, ma la destra di coloro la cui bocca dice menzogne; chiamarono felice il popolo che possiede queste cose, quando al contrario - come l’agiografo subito dopo aggiunge e insegna - felice è il popolo di cui Dio è il Signore 90. È questa la vera destra della giustizia, non dell’iniquità. Non si devono dunque seguire dèi diversi né a destra in modo che l’uomo creda di diventare felice grazie ad essi, né a sinistra di modo che, credendo che qualora gli fossero avversi, diverrebbe infelice, li adori per tener lontano da sé una tale sciagura. O almeno, se pensiamo che la destra sono i beni eterni, la sinistra invece quelli temporali, si deve credere che la sacra Scrittura in questo passo ammonisca di non adorare gli dèi stranieri né per quei beni né per questi.

Il Deuteronomio è chiamato seconda legge.

49. (29, 1) Queste sono le parole dell’alleanza che il Signore ordinò a Mosè di stabilire con i figli di Israele nella terra di Moab, oltre l’alleanza che aveva concluso con essi sull’Oreb. Questo passo mostra perché questo libro si chiama Deuteronomio, per così dire " la seconda legge "; in esso c’è piuttosto la ripetizione della prima legge che non qualcos’altro di diverso; poiché sono poche le cose che non si trovano in quella che fu data la prima volta. Tuttavia questi non sono chiamati due Testamenti, sebbene sembri che suonino così queste parole; in realtà l’una e l’altra alleanza è una sola, che nella Chiesa viene chiamata " Antico Testamento ". Se infatti, a causa dell’espressione del passo ora esaminato, si dovesse parlare di due " Testamenti " non sarebbero più due ma molti di più, senza contare il Nuovo Testamento. Poiché la Scrittura parla di alleanza in molti passi, come quella fatta con Abramo relativa alla circoncisione 91, oppure quell’altra più antica fatta con Noè 92.

Ci sono anche occhi detti occhi del cuore.

50. (29, 2-4) Voi avete visto tutto ciò che il Signore vostro Dio fece sotto i vostri occhi nella terra d’Egitto contro il Faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese, le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, quei segni e prodigi grandiosi e la sua mano potente. Ma fino ad oggi il Signore vostro Dio non vi ha dato un cuore per conoscere né occhi per vedere né orecchie per udire. In qual modo allora prima è detto: Voi avete visto le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, se il Signore non aveva dato loro occhi per vedere e orecchie per udire, se non perché videro con i sensi del corpo, ma non con quelli del cuore? Poiché ci sono anche occhi detti occhi del cuore. Ecco perché Mosè prese a dire così: Ma il Signore Dio non vi diede il cuore per conoscere. In relazione con questo asserto sono le due affermazioni successive: [non diede] né occhi per vedere né orecchi per udire, cioè per capire e ubbidire. Quanto invece si dice nella frase: ma il Signore Dio non vi diede, Mosè non l’avrebbe detto affatto rimproverando e accusando, se non avesse voluto che s’intendesse che si riferiva anche alla loro colpa, affinché nessuno si reputasse scusabile per quel fatto. Poiché allo stesso tempo dimostra che essi senza l’aiuto del Signore Iddio non potevano comprendere né ubbidire né con gli occhi né con gli orecchi del cuore. E tuttavia, qualora mancasse l’aiuto di Dio, non per questo è scusabile il peccato dell’uomo poiché i giudizi di Dio, quantunque segreti, sono giusti 93.

Gli Israeliti in fuga dall’Egitto portarono con sé il vino.

51. (29, 5-6) E vi ha condotti per quarant’anni nel deserto; i vostri vestiti non si sono invecchiati e le vostre calzature non si sono logorate ai vostri piedi; non avete mangiato pane, non avete bevuto né vino né sicera, affinché sappiate che è lui il Signore vostro Dio. Da ciò si vede che gli Israeliti quando uscirono dall’Egitto poterono portare nel loro bagaglio tanto vino quanto ne potevano consumare presto. Poiché, se non ne avessero portato con loro assolutamente nulla, come sarebbe potuto avvenire il fatto narrato così nella Scrittura: Il popolo si sedette a mangiare e bere e poi si alzarono per divertirsi 94? Ciò infatti non potrebbe dirsi dell’acqua, poiché le parole di Mosè ci fanno capire assai chiaramente che quelle voci non erano grida di guerra ma di persone ubriache 95.

In che senso tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo.

52. (29, 18. 21) C’è forse tra voi, uomo o donna, famiglia o tribù, il cui pensiero si allontani dal Signore vostro Dio per andare a rendere culto agli dèi di quelle nazioni? C’è forse tra voi qualche radice il cui germoglio produca veleno e amarezza? E avverrà che quando ascolterà le parole di questa maledizione e in cuor suo concepirà una buona opinione di se stesso dicendo: Mi succedano cose sante, poiché cammino nel traviamento del mio cuore, affinché il peccatore non mandi in rovina allo stesso tempo chi è senza peccato. Dio non gli accorderà il perdono, ma allora l’ira del Signore e la sua gelosia s’infiammerà contro quell’uomo e aderiranno a lui tutte le imprecazioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge. Il testo dice: Vi è tra voi forse qualcuno? per farci intendere la frase come se fosse detta da uno che fa una domanda cercando di sapere se per caso ci fosse qualcuno. Poiché se ce ne fosse stato qualcuno, sarebbe stato colpito da un gran terrore, perché nessuno all’udire quelle imprecazioni dicesse in cuor suo: siano per me sante, cioè siano per me sante quelle imprecazioni, poiché io cammino nel traviamento del mio cuore, seguendo così gli dèi dei pagani e rendendo loro il culto, come se ciò avvenisse impunemente. Ma non sarà così - risponde il Signore - il peccatore non mandi in rovina chi è senza peccato; come se dicesse: " badate bene che colui, il quale la pensa così, non persuada nessuno di voi a fare tali cose ". Dio non accorderà il perdono né a chi la pensa così né a chi ne resterà persuaso, come pensava quell’empio dicendo: Mi succedano cose sante, e per così dire distogliendo da sé l’efficacia di quella maledizione. Ma allora s’infiammerà l’ira e la gelosia del Signore contro quell’individuo. Dal momento che crederà di distoglierla da lui dicendo quell’espressione in cuor suo. E gli resteranno aderenti addosso tutte le maledizioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge. Per la verità non tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo, poiché un solo individuo non può nemmeno morire tante volte quante sono le specie di morte qui menzionate, ma il testo dice tutte per " qualsiasi maledizione ", in modo che non rimarrà immune da tutte colui sul quale si abbatteranno alcuni dei malanni a causa dei quali dovrà morire. Quanto all’espressione: E nello stesso tempo il peccatore mandi in rovina chi è senza peccato - ciò nel testo greco è detto - non dev’essere inteso come se l’agiografo con il termine volesse indicare uno del tutto puro ed immune da ogni peccato, ma colui che era senza il peccato di cui si parlava. Allo stesso modo nel Vangelo il Signore dice: Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero il peccato 96; ora non si tratta qui di ogni sorta di peccati in generale, ma di quello che avevano commesso rifiutandosi di credere in lui. Anche Dio, a proposito di Sara, moglie di Abramo, dice di Abimelech: So che hai fatto ciò con cuore puro 97; ora naturalmente Dio non voleva fare intendere che il cuore di quel re fosse simile a quello di coloro dei quali è detto: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio 98, ma aveva il cuore puro rispetto al peccato di cui si trattava, poiché, per quanto dipendeva da lui, non aveva desiderato la moglie altrui.

Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia.

53. (30, 6) Il Signore purificherà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché possiate amare il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua perché tu viva. Questa è un’evidente promessa della grazia, poiché Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia.

Anche le opere devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l’amore.

54. (30, 11-14) Poiché questo comandamento che ti ordino oggi non è di un peso eccessivo per te e non è lontano da te; non è in cielo dicendo - cioè perché tu dica - Chi salirà per noi fino in cielo e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica? E neppure è di là dal mare dicendo - cioè perché tu dica - Chi attraverserà per noi il mare e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica? Vicina a te è questa parola, assai vicina, nella tua bocca e nel tuo cuore e nelle tue mani perché tu la metta in pratica. L’Apostolo afferma che questa è la parola della fede 99 che è propria del Nuovo Testamento. Possiamo però chiederci perché chiama comandamenti le precedenti prescrizioni scritte nel libro di questa legge 100. Le chiama così perché, se vengono comprese nel senso giusto, sono tutte prefigurative di realtà spirituali proprie del Nuovo Testamento. Possiamo chiederci ugualmente perché l’espressione usata in questo testo: E non è neppure di là dal mare perché tu debba dire: Chi attraverserà il mare per noi e ce lo prenderà? è citata dall’Apostolo come segue: o chi scenderà nell’abisso? ed esponendo questa frase aggiunge: cioè per far risalire il Cristo di tra i morti 101. Ora Paolo dà il nome di mare a tutta la vita di quaggiù che si finisce di traversare con la morte così che in certo qual modo si arriva all’estremità del mare di là dal quale s’incontra la morte, come di là da questa vita che qui è paragonata al mare. L’Apostolo inoltre non riporta l’espressione che segue nel testo: e nelle tue mani, ma solo: nella tua bocca e nel tuo cuore 102, e prosegue poi fino alla fine dicendo: poiché con il cuore si crede per conseguire la giustizia e con la bocca si fa la professione [della fede] per ottenere la salvezza 103. A ragione la versione dall’ebraico - per quanto ho potuto vedere - non ha l’inciso: nelle tue mani. Io tuttavia non credo che i Settanta l’abbiano aggiunto senza una ragione, poiché vollero farci intendere che anche le mani, che simboleggiano le opere, devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l’amore 104. Poiché se ciò che Dio comanda è compiuto con le mani esteriori e non viene compiuto nel cuore, nessuno è tanto sciocco da pensare che i comandamenti si adempiono così. Tuttavia, se la carità, che è il pieno compimento della legge 105, abiterà nel cuore dell’uomo, quand’anche le mani del corpo fossero ridotte ad un’assoluta impotenza di agire, si possiede ugualmente la pace con le persone di buona volontà 106.

Chi pecca non nuoce a Dio, ma a se stesso.

55. (32, 5) Essi peccarono, non per lui, figli biasimevoli. L’espressione che in greco suona alcuni l’hanno tradotta con figli biasimevoli, come l’ho citata io qui, altri come figli impuri, altri come figli viziosi. Da ciò non sorge un gran problema, anzi nessun problema. Se però l’espressione è detta in senso generale: Peccarono non per lui - poiché chi pecca non pecca contro Dio, cioè non nuoce a Dio, ma a se stesso - allora quell’espressione ci muove giustamente a chiederci in qual senso si deve intendere la frase che si legge nel Salmo: Contro te solo ho peccato 107 e in Geremia: Abbiamo peccato contro di te, speranza d’Israele, o Signore 108, e di nuovo in un altro Salmo si dice: Guarisci l’anima mia, poiché ho peccato contro di te 109; cerchiamo inoltre di sapere se peccare Deo è lo stesso che peccare in Deum. A questo proposito il sacerdote Eli dice: Se uno peccherà contro Dio, chi pregherà per lui? 110 Per il momento dunque dirò ciò che frattanto mi pare giusto. Comprenderanno forse un po’ meglio coloro che di queste cose s’intendono meglio, o anch’io stesso in un altro momento nella misura in cui mi aiuterà il Signore. Peccare in Deum [peccare contro Dio] è peccare in ciò che riguarda il culto di Dio. Infatti l’espressione da me ricordata non indica null’altro di diverso poiché in questo modo peccavano i figli di Eli, ai quali disse ciò il loro padre. In tal modo si deve pensare che si pecca anche contro le persone che appartengono a Dio. Leggiamo infatti che Dio disse ciò ad Abimelech a proposito di Sara: Per questo ti ho preservato dal peccare contro di me 111. D’altronde peccare al Signore, o meglio aver peccato al Signore - salvo che per caso si trovi in qualche passo della Scrittura qualcosa che sia contrario a questo senso - mi pare sia detto giustamente di coloro che non fanno con spirito di fede penitenza dei loro peccati al fine di dar gloria al Signore che li perdona. Ecco perché Davide, indicando il motivo per cui aveva detto: Per te solo ho peccato e ho fatto male al tuo cospetto, soggiunge le seguenti parole: così sarai riconosciuto giusto quando parli e trionferai quando sarai chiamato in giudizio 112; sia quando Dio dice: Giudicate tra me e la mia vigna 113, sia che ciò s’intenda di Gesù Cristo nostro Signore, l’unico il quale poté dire con assoluta verità: Viene infatti il principe del mondo ma contro di me non ha nulla - cioè nessun peccato meritevole di morte - affinché però il mondo capisca che io amo il Padre e che faccio quello che mi ha comandato il Padre; alzatevi e andiamo via di qui 114, come se dicesse: Anche se il principe del mondo perseguita con il castigo della morte i peccati più lievi, contro di me non ha nulla, ma: alzatevi, andiamo via da qui, cioè perché io vada a soffrire la passione poiché con il soffrire io compio la volontà del Padre mio, non sconto la pena del mio peccato; e l’espressione di Geremia: Per te abbiamo peccato, o speranza d’Israele, è senza dubbio una supplica rivolta al Signore quando uno si pente con la speranza della salvezza derivante dal perdono. Anche la frase: Guarisci l’anima mia, poiché ho peccato per te il fine che si propone è lo stesso, che Dio sia glorificato per il suo perdono, poiché grande è la sua misericordia verso coloro che confessano i loro peccati e tornano a lui che dice di non volere la morte del peccatore, ma che si converta e viva 115. Ecco perché anche Davide, non solo nel Salmo ma anche allorquando Dio lo rimproverò per mezzo del Profeta, non senza la speranza del perdono da parte del Signore, rispose: Ho peccato contro il Signore 116. Poiché la persona che si mette sotto la mano di un medico per essere guarita è vista dal medico sotto l’aspetto di un ferito perché si produca in essa tutto l’effetto della medicina. Ora in questo cantico il Profeta prevedeva che ci sarebbero stati alcuni che avrebbero peccato offendendo Dio con le loro iniquità sì gravi, che non avrebbero voluto neppure far penitenza e tornare a Dio per essere guariti. Di costoro anche in un altro passo è detto: Poiché sono carne, un soffio che passa e non ritorna 117. La frase: peccarono non per lui si può intendere anche nel senso che con il loro peccato non recarono danno a lui ma a se stessi.

La benedizione con cui Mosè benedisse i figli di Israele.

56. (33, 1-5) Ed ecco la benedizione con cui Mosè, uomo di Dio, benedisse i figli di Israele prima della sua morte. Ed egli disse: Dio è venuto dal Sinai e rifulse per noi da Seir; e si è affrettato da Paran con molte migliaia di Cades, alla sua destra degli angeli con lui. Ed ebbe pietà del suo popolo e tutti i consacrati sono sotto le sue mani e tutti questi sono sotto di te. E ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci diede come comandamento, eredità per le assemblee di Giacobbe. E ci sarà presso il beneamato un capo, una volta riuniti i capi dei popoli con le tribù d’Israele. Non bisogna passare sopra con indifferenza a questa profezia, poiché questa benedizione riguarda il popolo nuovo, santificato da Cristo nostro Signore in persona del quale queste cose sono dette da Mosè, ma non nella persona dello stesso Mosè, come appare evidente da quanto si dice in seguito. Se infatti è detto: Il Signore è venuto dal Sinai per il fatto che la legge fu data sul monte Sinai, che cosa vuol dire ciò che segue: e risplendette a noi da Seir essendo un monte dell’Idumea, ove era stato re Esaù? D’altra parte, siccome con queste parole Mosè benedice i figli d’Israele, come la Scrittura aveva predetto, come mai lo stesso Mosè dice: e ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci ha dato in comandamento? Si tratta dunque senza dubbio - come abbiamo detto - di una profezia, che prediceva il popolo nuovo santificato dalla grazia denotato con il nome di " figli d’Israele ", poiché esso è discendente di Abramo, sono cioè figli della promessa 118 e significa: [Lo spirito] " che vede Dio " 119. Di conseguenza come Signore, che venne dal Sinai, dobbiamo intendere Cristo, poiché Sinai vuol dire " prova " 120. Cristo venne dalla prova della Passione, della Croce e della morte e rifulse per noi da Seir. Seir significa " villoso " 121, che simboleggia il peccatore; così infatti era nato Esaù 122, l’" odiato " 123. Ma poiché a coloro che abitavano nelle tenebre e nell’ombra della morte sorse un grande splendore 124, perciò rifulse da Seir. Allo stesso tempo non è irragionevole intendere anche che fu predetto che la grazia di Cristo sarebbe venuta al popolo israelitico dai pagani che sono simboleggiati nel nome Seir, poiché è un monte appartenente a Esaù. L’Apostolo perciò dice: Così anch’essi adesso sono increduli per la misericordia usata [da Dio] verso di voi affinché ottengano misericordia anch’essi 125. Essi dunque dicono: [Il Signore] ci è apparso nel suo fulgore da Seir. E si è affrettato dal monte Faran - cioè dal monte abbondante di frutti, poiché questo è il significato di Faran, che è il simbolo della Chiesa - con molte migliaia di Cades. Cades poi significa: " mutata " e " santità ". Molte migliaia di persone si sono quindi cambiate e si sono santificate mediante la grazia: con esse venne Cristo per riunire poi gli Israeliti. Il testo continua dicendo: alla sua destra gli angeli con lui; questa espressione non ha bisogno d’essere spiegata. E concesse il perdono al suo popolo, dice la Scrittura, accordandogli la remissione dei peccati. Il testo sacro rivolge quindi la parola al popolo e dice: E tutti i santificati sono sotto le tue mani e sono sotto di te, naturalmente senza montare in superbia e senza volere stabilire una loro propria giustizia, ma riconoscendo la grazia per sottomettersi alla giustizia di Dio 126. E dalle sue parole - dice il testo sacro - ricevette la legge; la ricevette naturalmente il popolo, del quale la Scrittura dice: e concesse il perdono al suo popolo. Dalle sue parole ricevette dunque la legge, che - dice il testo - Mosè ci ordinò [di osservare]; vale a dire: il suo popolo ricevette dalle sue parole la legge in quanto dal suo insegnamento intese la legge che Mosè ci prescrisse. Poiché lo stesso Cristo disse nel Vangelo: Se credereste a Mosè credereste anche a me, poiché egli scrisse di me 127. Il popolo ebraico non ricevette una legge che non capì, ma la ricevette quando, rimosso [dal loro cuore] il velo antico e convertitosi al Signore, la intese dalle parole di Cristo. La Scrittura dice che questa legge è l’eredità per le assemblee di Giacobbe e deve intendersi come legge non terrena, ma celeste, non temporanea, ma eterna. E presso il beneamato ci sarà - dice il testo sacro - un capo; naturalmente il capo che sarà nel popolo amato è Gesù, nostro Signore, una volta che saranno riuniti i capi dei popoli - cioè dei pagani - insieme con le tribù d’Israele, affinché si adempia ciò che più sopra la Scrittura dice: Rallegratevi, o pagani insieme con il suo popolo, poiché una parte d’Israele è avvolta nella sua cecità fino a quando non sarà entrato [nella salvezza] tutto il resto dei pagani e così tutto Israele sarà salvato 128.

La benedizione di Giuseppe.

57. (33, 17) Mosè nel benedire Giuseppe, tra l’altro disse: primogenito del toro la sua bellezza. Questa espressione non si deve leggere come se fosse detto: primogenito del toro, ma: essendo il primogenito la sua bellezza è quella del toro; l’espressione, a causa dei due corni della croce, va intesa come una prefigurazione del Signore.

LIBRO SESTO

QUESTIONI SU GIOSUÈ

Mosè morì come servo di Dio e a Dio gradito.

1. (1, 5) Il Signore dice a Giosuè [figlio] di Nun : E come sono stato con Mosè, così sarò con te. Non solo da questo testo ma anche da molti altri passi del Deuteronomio si prova che Mosè morì come servo di Dio e a Dio gradito, sebbene riguardo a lui si compisse il castigo di non entrare nella Terra promessa 1. Da questo si può comprendere che il Signore può adirarsi anche con i suoi servi buoni per qualche loro peccato e castigarli con una pena temporanea, ma tuttavia annoverarli tra gli strumenti adatti per usi nobili e utili al Signore nella sua casa 2, ai quali darà le promesse fatte ai santi.

Passaggio del Giordano.

2. (1, 11; 2, 3-7) Si pone il quesito di sapere come mai dopo che il Signore aveva parlato a Giosuè di Nun esortandolo, confortandolo e promettendogli che sarebbe stato con lui, il medesimo Giosuè ordinò al popolo per mezzo dei capitani di fare provviste di viveri, poiché di lì a tre giorni avrebbero dovuto attraversare il Giordano, mentre si trova nella Scrittura che gli Israeliti passarono il Giordano dopo molti più giorni. Difatti dopo aver dato quest’ordine al popolo mandò esploratori a Gerico poiché, dopo che avessero attraversato il Giordano, quella era la città più vicina che s’incontrava. Gli esploratori poi andarono ad alloggiare in casa della meretrice Raab, dalla quale furono nascosti. Il re li fece ricercare ma non furono trovati, poiché quella donna li lasciò andare via attraverso una finestra consigliandoli di restare nascosti tre giorni sulle montagne 3; così è chiaro che passarono quattro giorni. Di conseguenza Giosuè si mise in marcia con tutto il popolo di buon mattino dal luogo dove era, dopo che gli esploratori ebbero riferito tutto quanto era loro successo. Giunto al Giordano si accampò e restò lì; allora il popolo ricevette un nuovo avviso di prepararsi a passare il Giordano di lì a tre giorni, al seguito dell’arca del Signore 4. Da ciò dunque si comprende che fu una disposizione umana quella che Giosuè fece impartire al popolo affinché facessero provviste di viveri, come se di lì a tre giorni avessero dovuto attraversare il suddetto fiume. Giosuè poté infatti, come uomo, sperare che quell’evento sarebbe potuto accadere se gli esploratori fossero tornati presto. Tardando però essi, quantunque la Scrittura non lo dica, si capisce che tutti gli altri avvenimenti si verificarono per disposizione di Dio, affinché Giosuè cominciasse ad essere glorificato presso il popolo e a rendersi palese che Dio era con lui come era stato con Mosè. Poiché quando sta per attraversare il fiume gli vengono rivolte le seguenti parole, come sta scritto nella Bibbia: E il Signore disse a Giosuè: " Quest’oggi comincerò a esaltarti al cospetto di tutti i figli d’Israele, perché sappiano che io sarò con te come sono stato con Mosè ". Ma non deve neppure sembrare incredibile che anche persone con le quali Dio parlava abbiano voluto compiere qualcosa di propria iniziativa umana per la quale confidavano che Dio sarebbe stato loro guida, ma i loro progetti furono mutati dalla provvidenza di Colui dal quale erano guidati. Effettivamente perfino Mosè per ispirazione del tutto umana aveva creduto fosse suo dovere ascoltare le cause del popolo ma in un modo da non poter essere di giovamento né a sé né al popolo, sobbarcandosi un fardello insopportabile; ma quella sua disposizione fu cambiata per opera di Dio e anche per suggerimento ed esortazione del suocero, approvati da Dio stesso 5.

L’ordine che l’arca andasse avanti a una dovuta distanza.

3. (3, 3-4. 15) I capitani dicono al popolo: Quando vedrete l’arca dell’alleanza del Signore Dio nostro e i nostri sacerdoti e i leviti che la portano, partite dai vostri posti e seguitela. Tra voi ed essa ci sia però una gran distanza: starete a circa duemila cubiti; non avvicinatevi ad essa in modo che possiate conoscere la via per la quale dovete andare, perché non siete mai passati per questa strada né ieri né ieri l’altro. L’ordine che l’arca andasse avanti a una dovuta distanza era stato dato perché potesse essere vista dal popolo. Poiché, se una massa così grande di gente avesse marciato da vicino dietro di essa, non l’avrebbe vista marciare in testa né avrebbe potuto sapere la via per cui seguirla. Per questo fatto si deve pensare che la colonna di nube, che era solita dare il segnale per levare il campo e mostrare la strada 6, si era ormai ritirata e non si mostrava più al popolo. Ciò fece sì che anche la partenza dovette essere annunziata tre giorni prima per disposizione umana. Adesso quindi il popolo segue l’arca del Signore sotto la guida di Giosuè, essendogli stata tolta la nube, come se gli fosse stato tolto il velo. Il Giordano però era in piena fin sopra le sue sponde come ai giorni della mietitura del frumento. Questo fenomeno pare incredibile per le nostre regioni, mentre lì, come affermano gli scienziati, all’inizio della primavera si fa la mietitura del grano e allora il fiume è molto più pieno che nell’inverno.

Le pietre che significano qualcosa di eterno.

4. (4, 7) E queste pietre saranno per i figli d’Israele un ricordo per l’eternità. Come può essere per l’eternità dal momento che il cielo e la terra passeranno 7? Forse perché queste pietre significano qualcosa di eterno non potendo essere eterne esse? Ciononostante l’espressione greca potrebbe tradursi in latino usque in saeculum [per sempre], ma non ne segue necessariamente che debba essere inteso nel senso di " eterno ".

Arca del Testamento o della Testimonianza.

5. (4, 15-16) E il Signore parlò a Giosuè in questi termini: " Ordina ai sacerdoti che portano l’arca del Testamento della Testimonianza ". L’arca suole essere chiamata arca del Testamento o della Testimonianza 8, ora è chiamata arca del Testamento della Testimonianza in modo che non solo l’arca, ma anche lo stesso Testamento viene chiamato Testamento della Testimonianza. Ecco perché l’Apostolo afferma: Adesso però la giustizia di Dio si è manifestata senza la legge, avendo la testimonianza della Legge e dei Profeti 9. Poiché quello che si chiama Antico Testamento era stato dato come testimonianza di qualche altra realtà ventura.

Giosuè circoncide di nuovo gli Ebrei.

6. (5, 2-7) Il Signore disse a Giosuè: Fatti dei coltelli di selce, affilati, oppure, come ha il testo greco: di selce affilata, siediti e circoncidi di nuovo i figli d’Israele. Riguardo a questo precetto si cerca di sapere perché il testo dice di nuovo, poiché non c’era nessuno che doveva essere circonciso due volte, ma dice di nuovo perché si trattava di un popolo di cui alcuni erano stati circoncisi ed altri no; in tal modo non veniva circonciso di nuovo una persona ma il popolo: ciò è dimostrato anche dal seguito del passo. La Scrittura infatti dice: E Giosuè si fece coltelli di selce affilati e circoncise i figli d’Israele sul colle detto dei prepuzi. In questo modo Giosuè circoncise i figli d’Israele: tutti coloro che nel passato erano stati nel viaggio e che non erano stati circoncisi e che, tra coloro ch’erano usciti dall’Egitto, non erano stati circoncisi, tutti quei tali Giosuè li fece circoncidere. Israele infatti era vissuto quarantadue anni nel deserto di Mabdarit e perciò un gran numero di quegli uomini impegnati nelle battaglie che erano usciti dall’Egitto non era stato circonciso e aveva disubbidito ai comandi di Dio e per essi il Signore aveva stabilito che non avrebbero visto il paese che egli aveva giurato di dare ai loro padri, terra ove scorreva latte e miele e al loro posto sostituì i loro figli, che Giosuè circoncise dal momento che non erano stati circoncisi durante il viaggio. È dunque evidente che non tutti erano incirconcisi ma solo alcuni. Infatti alcuni figli di coloro ch’erano usciti dall’Egitto non erano stati circoncisi in quel popolo, quelli che Giosuè poté circoncidere; si trattava cioè dei figli di coloro che li avevano generati nel deserto ma avevano trascurato di circonciderli, poiché non avevano ubbidito alla legge di Dio. Non c’è pertanto alcuna ragione perché credano di potersi fondare su questo testo coloro i quali pensano che si debbano ribattezzare coloro i quali posseggono il sacramento del battesimo cristiano, poiché nessun individuo fu circonciso due volte, ma si parla del popolo che in alcuni suoi membri era circonciso e in altri incirconciso. E se fosse potuto avvenire che in qualche modo avesse comandato di circoncidere due volte un uomo, potrebbero forse affermare che fu dato quell’ordine poiché quelli erano stati circoncisi dagli Egiziani o da alcuni eretici separati dalla comunità israelitica? Siccome, al contrario, appare assai chiaramente per quale motivo Dio diede quell’ordine, gli uomini non possono trovare qui alcuna giustificazione al proprio errore.

Se Giosuè si prostrò innanzi a un angelo e lo chiamò Signore.

7. (5, 13-15) Quando Giosuè vide un personaggio ritto innanzi a lui con la spada sguainata, che rispondendo gli disse: " Io sono il capo della milizia dell’esercito del Signore ", e [Giosuè], gettatosi con la faccia a terra, gli chiese: " Che cosa ordini al tuo servo? ". Possiamo chiederci se Giosuè si prostrò innanzi a un angelo e lo chiamò Signore o piuttosto, comprendendo da chi era stato inviato lo chiamò Signore e gli si prostrò. Giosuè infatti si trovava, come dice l’agiografo, a Gerico, ma non proprio dentro la città, le cui mura non erano ancora cadute - come sarebbe accaduto poco dopo - in modo che gli Israeliti potessero entrarvi, ma si trovava nella campagna contigua alla città, poiché così reca la traduzione fatta dall’ebraico.

Il furto di Achar.

8. (7, 1 ss.) Trattiamo del fatto di cui fu autore Achar della tribù di Giuda: costui aveva rubato qualcosa dal bottino della città di Gerico votato al Signore, contrariamente a quanto aveva ordinato il Signore, e per causa del suo peccato tremila soldati, ch’erano stati inviati a Gai, voltarono le spalle ai nemici e ne furono uccisi trentasei; e poiché il popolo era rimasto gravemente atterrito, Giosuè con gli anziani si gettò bocconi davanti al Signore e gli fu risposto che quella sventura era accaduta poiché il popolo aveva peccato. Dio inoltre minacciò anche dicendo che li avrebbe abbandonati se non avessero tolto di mezzo ad essi l’anatema. Il testo sacro aggiunge che fu scoperto chi aveva commesso quel peccato e fu messo a morte non solo lui ma anche tutti i suoi. A questo riguardo si è soliti domandare in qual modo è lecito secondo la legge punire altri per i peccati di un altro, soprattutto perché nella legge il Signore ha detto che i padri non debbono essere puniti per i peccati dei figli, né i figli per i peccati dei padri 10. Oppure si tratta che quel precetto dev’essere osservato dagli uomini quando giudicano, cioè che non puniscano l’uno invece di un altro, mentre i giudizi di Dio non sono dello stesso genere, poiché con il suo profondo e invisibile senno conosce fino a qual segno deve estendere anche il castigo temporaneo e il salutare terrore degli uomini? Per quanto riguarda il governo dell’universo non accade nulla di crudele ai mortali quando muoiono, essendo destinati un giorno o l’altro a morire. E tuttavia la paura di un tale castigo risulta una sanzione della legge che non solo ciascuno si prenda cura di se stesso nella propria comunità, ma gli uni si prendano cura degli altri, preoccupati gli uni degli altri, quali membri d’un solo corpo e d’un solo uomo 11. Non si deve pensare neppure che uno possa essere condannato per un altro anche alle pene che vengono inflitte dopo la morte; ma questo castigo viene inflitto solo per alcuni beni che avrebbero dovuto avere un termine anche se in modo diverso. Allo stesso tempo si rende qui manifesta la stretta solidarietà che unisce tutti i membri d’un medesimo popolo, in modo che questi non si considerino ciascuno isolatamente ma anche come le parti di un tutto. Così, per il peccato di uno solo e per la morte di pochi, tutto quanto il popolo fu ammonito a ricercare - per così dire - in tutto il corpo il male ch’era stato commesso. Nello stesso tempo quel peccato servì a far comprendere quanto grave sventura sarebbe stata, se a peccare fosse stata tutta quanta la comunità, dal momento che il castigo meritato da un solo colpevole non avrebbe potuto mettere tutti gli altri al riparo dallo stesso castigo. Ma - si dirà - se Achar fosse stato scoperto da qualcuno e condotto al tribunale di Giosuè per essere giudicato come colpevole di quel peccato, non si può supporre che Giosuè, nella sua qualità di giudice, avrebbe potuto punire invece di lui o con lui alcun altro individuo che non fosse stato suo complice. A lui infatti non era permesso oltrepassare il comando della legge che era stato dato a uomini, perché in base al suo giudizio, imposto o permesso a un uomo contro un altro uomo, non pensasse d’infliggere un castigo a uno per il peccato di un altro. Si fonda invece su una giustizia di gran lunga più misteriosa e arcana il giudizio che fa Dio, il quale può salvare o mandare in perdizione 12 anche dopo la morte, cosa che non può fare un uomo. Perciò le afflizioni visibili o la morte degli uomini, per il fatto che non solo possono recare danno ma anche giovamento a coloro ai quali sono fatte subire, il Signore, grazie al mistero della sua provvidenza, sa per chi può prepararle con giustizia anche quando pare vendicare in altri i peccati altrui. Al contrario i castighi invisibili, che non possono se non recar danno e non possono giovare, nessuno è condannato da Dio giudice a subirli per i peccati altrui, allo stesso modo che nessuno deve essere condannato da un uomo giudice a scontare tali castighi visibili se non per colpa propria. Dio infatti ha riservato all’uomo giudice questa competenza sulle azioni il cui castigo spetta al tribunale umano, perché ci pensa egli stesso nel suo giudizio là dove il potere umano non arriva.

Perché Giosuè, anziché far morire Achar tra le fiamme, lo fece lapidare dal popolo.

9. 1. (7, 15. 25) Il Signore aveva comandato che, se fosse stato provato che uno avesse rubato qualcosa che era stato dichiarato herem, venisse bruciato vivo. Ora si pone il quesito - a ragione - perché Achar quando fu scoperto e fu provato che aveva commesso il furto, Giosuè, anziché farlo morire tra le fiamme, lo fece lapidare dal popolo. Oppure era necessario che Achar morisse come Giosuè, il quale più attentamente eseguiva la volontà del Signore, poté capire le parole dell’ordine dato dal Signore? Nessun altro avrebbe potuto capirle facilmente. Dobbiamo perciò domandarci piuttosto perché il Signore chiama fuoco la lapidazione, anziché credere che Giosuè agisse diversamente da come aveva ordinato il Signore. Poiché nessuno poté essere più sapiente per capire gli ordini del Signore né più ubbidiente per eseguirli. Per questo la Scrittura nel Deuteronomio attesta che mediante la parola fuoco poté essere simboleggiato un castigo, nel passo ove agli Israeliti si dice: E vi condussi fuori dalla fornace di ferro, dall’Egitto 13, ove evidentemente volle fare intendere una dura tribolazione.

9. 2. Mi si presentano però alla mente due ragioni - non che siano atte a risolvere il quesito ambedue, ma l’una o l’altra - perché Achar non fu bruciato mediante il fuoco visibile con tutti i suoi. Se il Signore aveva giudicato che il peccato di Achar era di tal natura che, una volta espiato con quell’estremo supplizio, non lo avrebbe punito in eterno, quel castigo fu chiamato con il termine appropriato di fuoco a causa della stessa espiazione e purificazione. Nessuno potrebbe essere indotto a pensare a una tale interpretazione, se Achar fosse stato bruciato da un fuoco inteso in senso proprio; ma si atterrebbe al fatto chiaramente espresso e non andrebbe a cercare qualche altra ulteriore ragione. Ora, al contrario, considerando le parole di Dio e l’azione di Giosuè, dal quale quelle parole non potevano essere trasgredite, con tutta ragione si dice che anche la lapidazione era un fuoco, si riconosce convenientemente che quell’uomo fu purificato con quel castigo, perché non perisse in seguito a causa di quel peccato. Questa medesima cosa indicano anche gli utensili che nel Levitico si comanda di purificare col fuoco 14. Se invece il peccato di Achar era di tal natura per cui egli andasse a finire nella geenna anche dopo la vita presente, Giosuè con lo stabilire di lapidarlo volle fare intendere che le parole dette dal Signore: Sarà bruciato col fuoco si devono intendere nel senso che non doveva essere fatto da loro ciò che doveva essere fatto dal Signore. Se infatti il Signore avesse detto: " brucerete lui e tutte le sue cose " non si potrebbe ammettere affatto tale interpretazione; ma a giudicare dal testo sembra che Dio fece una predizione di ciò che sarebbe accaduto al peccatore, anziché ordinare ciò che avrebbe dovuto essere compiuto dagli uomini; Giosuè, che da quel grande profeta che era, aveva compreso le parole di Dio e compì in modo profetico quella stessa azione, non poté agire meglio che facendolo uccidere con il lapidarlo, anziché farlo perire nel fuoco, perché non sembrasse che con quelle fiamme gli ordini del Signore fossero adempiuti, mentre aveva inteso che fossero dati per un’altra azione.

9. 3. Non ci deve neppure impressionare il fatto che Dio in precedenza aveva detto che si doveva bruciare al fuoco non solo il colpevole ma anche tutto ciò che gli apparteneva. Poiché Dio disse così: Sarà bruciato col fuoco tutto ciò che è suo. Tutto ciò che è suo si può intendere per tutte le sue opere, che disse doversi bruciare con lui, non come dice l’Apostolo a proposito di certe opere consumate dal fuoco, ma egli sarà salvo 15, se si deve intendere che il peccato di costui è di tal natura da essere punito anche con il fuoco eterno. Il popolo dunque nel punirlo abbatté a colpi di pietre nello stesso tempo i suoi figli e le sue figlie con il suo bestiame e con tutto ciò che aveva. Tuttavia Giosuè non fece compiere quel castigo ispirato da un giudizio umano, ma spinto da spirito profetico o perché intese le parole con tutte le sue cose in modo da non considerare eccettuati dalla lapidazione nemmeno i figli, infliggendo loro anche quel castigo invece del fuoco, oppure perché intendeva indicare le opere di Achar che Dio avrebbe bruciato con lui dopo la sua morte, non solo per le altre cose appartenenti a lui ma anche per i suoi figli.

9. 4. Ma non si deve pensare affatto che i suoi figli anche dopo la morte furono condannati al castigo d’essere bruciati al fuoco dell’inferno per il peccato del padre, di cui loro erano innocenti. Poiché la morte che sovrasta tutti, benché provenga dal primo peccato 16, tuttavia, poiché siamo nati nella condizione che naturalmente dobbiamo morire senza scampo, ad alcuni è utile quando viene affrettata. Di conseguenza si legge di un tale che fu rapito perché il male non alterasse i suoi sentimenti 17. Pertanto per qual giudizio o misericordia di Dio la morte fu inflitta sia ai figli di costui sia ai trentasei soldati 18, pur essendo tutti estranei al suo peccato, lo sa solo Colui nel quale non c’è ingiustizia 19. Tuttavia è chiaro che anche il popolo dovette riflettere sbigottito sul peccato commesso, e tutti gli altri ebbero una paura tanto più grande di imitare l’azione di Achar quanto più grande orrore ha la debolezza umana e di venire esposti allo sdegno assai grande e giusto del popolo, e di estinguersi a causa del proprio peccato insieme con la morte dei figli che credeva di lasciare per la propagazione della propria stirpe.

Dio comanda a Giosué di disporre un’imboscata.

10. (8, 2) Per quanto riguarda il fatto che Dio comandò a Giosuè, dicendogli di disporre un’imboscata [contro la città] nella parte posteriore, vale a dire, dei guerrieri posti in agguato per far cadere in trappola i nemici, siamo indotti a considerare che non agiscono ingiustamente coloro che fanno una guerra giusta. Per questo l’uomo giusto che si trova nella costrizione di far guerra, - non tutti si trovano nella stessa necessità -, non deve pensare a nulla di più importante che a fare una guerra giusta. Intrapresa una guerra giusta, non importa riguardo alla giustizia se si vince in una battaglia campale oppure mediante un’imboscata. Si è poi soliti denominare giuste le guerre che vendicano dei torti, qualora una nazione o una città, che dev’essere investita dalla guerra, abbia trascurato di punire l’ingiustizia fatta dai suoi cittadini o di rendere ciò che è stato portato via ingiustamente. È quindi senza dubbio giusto anche questo genere di guerra comandata da Dio, nel quale non è ingiustizia 20, e sa che cosa deve darsi a ciascuno. In rapporto a questa guerra il capo dell’esercito e il popolo stesso se ne devono considerare non tanto i promotori, quanto piuttosto gli esecutori [dei disegni di Dio].

C’è differenza fra inganno e menzogna.

11. (8, 4-8) Giosuè, nell’inviare trentamila combattenti alla guerra contro [la città di] Aj, disse loro: Voi vi metterete in agguato dietro la città e non starete lontani da essa e vi terrete tutti pronti. Io invece e tutto il popolo che sta con me ci avvicineremo alla città. E avverrà che quando saranno usciti per affrontarci coloro che vivono in Aj, come fecero anche la prima volta, e ci daremo alla fuga davanti a loro. E quando saranno usciti inseguendoci li trascineremo via lontani dalla città e diranno: " Costoro fuggono davanti a noi come anche prima ". Voi invece sbucherete dall’imboscata ed entrerete nella città. Voi farete secondo questo ordine. Ecco ve lo comando. Si deve porre il quesito se ogni intenzione di ingannare si deve considerare come menzogna e, se è così, se può essere giusta la menzogna con la quale viene ingannato chi merita di essere ingannato, ma se neanche questa si riconosce una menzogna giusta, non resta che riferire alla verità, conforme a un particolare simbolismo, il fatto qui riferito dell’imboscata.

Trucco escogitato dai Gabaoniti.

12. (9, 3-4. 13) [La Scrittura narra] che i Gabaoniti si recarono da Giosuè con pani stantii e sacchi già usati: era un trucco perché si pensasse che giungevano da un paese lontano e così fossero risparmiati - il Signore infatti aveva ordinato agli Israeliti di non risparmiare nessuno degli abitanti dei paesi in cui sarebbero entrati -; riguardo al testo relativo alcuni manoscritti non solo greci, ma anche latini, hanno: e prendendo sacchi vecchi sulle proprie spalle; al contrario altri, che sembrano più veridici, non hanno: sulle spalle, ma: sopra i loro asini. L’errore fu facilitato dalla rassomiglianza dei due termini nella lingua greca e perciò anche gli esemplari latini hanno lezioni differenti; effettivamente non suonano molto diversamente tra di loro i due termini e , di cui il primo significa spalle e il secondo asini. In effetti è più probabile che si tratti degli asini per il fatto che i Gabaoniti dissero di essere stati inviati dal loro popolo che stava lontano: di qui è chiaro che erano ambasciatori e perciò poterono portare le cose indispensabili piuttosto sopra asini che sulle loro spalle, anche perché non potevano essere molti e la Scrittura ricorda che non portavano solo dei sacchi ma anche degli otri.

Come mai gli Ebrei credettero loro dovere di osservare il giuramento fatto ai Gabaoniti.

13. (9, 19. 9) Ci possiamo domandare come mai gli Ebrei credettero loro dovere di osservare il giuramento fatto ai Gabaoniti, ai quali lo avevano fatto credendo che venissero da un paese lontano, come essi avevano mentito. I Gabaoniti sapevano infatti di essere destinati allo sterminio se gli Ebrei fossero venuti a sapere che essi abitavano nel paese che era stato loro promesso e di cui sarebbero entrati in stabile possesso qualora ne avessero uccisi gli abitanti. Gli Israeliti dunque giurarono di salvare loro la vita poiché i Gabaoniti avevano mentito di essersi recati presso di loro da un paese lontano. Ma dopo che gli Israeliti vennero a sapere che quelli abitavano dove, secondo l’ordine di Dio, si dovevano sterminare tutti coloro che vi avessero trovato, non vollero tuttavia infrangere il giuramento e, sebbene avessero appreso che quelli avevano mentito, preferirono salvare loro la vita a causa del giuramento, pur potendo naturalmente dire che avevano fatto loro un giuramento nella persuasione che provenissero da un paese lontano, ma essendo poi venuti a sapere il contrario, avrebbero dovuto osservare il comando del Signore sterminandoli come tutti gli altri. Iddio tuttavia approvò questo modo di agire e non si adirò contro gli Israeliti che li avevano risparmiati, sebbene non lo avessero consultato 21 per sapere che specie d’individui fossero e perciò essi riuscirono ad ingannarli. Di conseguenza, anche nell’ipotesi che i Gabaoniti avessero avuto l’intenzione d’ingannare per aver salva la vita, si può credere con tutta ragione che ebbero un vero timore di Dio in mezzo al suo popolo. Per questo motivo neppure il Signore si adirò con gli Israeliti che avevano fatto il giuramento e li avevano risparmiati, tanto che in seguito vendicò gli stessi Gabaoniti, come se facessero parte del suo popolo, castigando la casa di Saul, come espone il Libro dei Re 22. E poiché il giuramento fu mantenuto sebbene riguardo a persone che avevano mentito, di modo che la decisione si piegò alla clemenza, non dispiacque a Dio. Poiché se al contrario gli Israeliti avessero giurato di uccidere alcuni di loro creduti essere Gabaoniti abitanti nella terra promessa ma in seguito avessero appreso essere stranieri riguardo a quella terra e venuti presso di loro da lontano, non si deve pensare affatto che li avrebbero sterminati per osservare il giuramento. Per la stessa clemenza di risparmiargli la vita il santo Davide, anche dopo aver giurato di uccidere Nabal pur sapendo di certo chi era colui che aveva deciso di uccidere, preferì risparmiarlo e non mantenere il giuramento in un caso più grave, pensando che era cosa più gradita a Dio 23 se non avesse fatto ciò che fuori di sé per la collera aveva giurato di fare per nuocere piuttosto che se lo avesse compiuto.

Il Signore, sebbene non consultato, salva la vita.

14. (10, 7-8) Quando gli abitanti di Gabaon, essendo assediati dai re degli Amorrei, inviarono messi a Giosuè perché accorresse in loro aiuto, la Scrittura continua e dice: E Giosuè salì da Galgala, lui con tutti i suoi uomini atti alla guerra, tutti prodi guerrieri. E il Signore disse a Giosuè: " Non avere paura di loro, poiché te li ho dati nelle tue mani, nessuno potrà resistere a voi ". In quel caso non era stato consultato il Signore se si dovesse andare contro di loro, ma agli Israeliti, che di propria iniziativa avevano voluto giustamente soccorrere i loro, preannunciò che avrebbero riportato la vittoria. Allo stesso modo dunque il Signore avrebbe potuto, sebbene non consultato a proposito dei Gabaoniti 24, fare intendere loro chi erano coloro che mentivano di essere persone di paesi lontani, se non avesse approvato quel giuramento che li avrebbe costretti a salvare la vita a un popolo sottomesso. Essi infatti avevano creduto in Dio, poiché avevano sentito dire 25 che aveva promesso al suo popolo che avrebbe distrutto quei popoli e sarebbe entrato in possesso della loro terra, e Dio ricompensò in qualche modo la loro fede non consegnandoli nelle mani [degli Israeliti].

I cinque re dei Gebusei o Amorrei.

15. (10, 5-6) Sorge il quesito di sapere perché Adonibeze, re della città di Gerusalemme, e gli altri quattro con cui assediò i Gabaoniti, dapprima, quando si riunirono per assediarli, secondo la versione dei Settanta, sono chiamati re dei Gebusei; in seguito invece dagli stessi gabaoniti sono chiamati re degli Amorrei, quando inviarono messi a Giosuè perché li liberasse dal loro assedio. Ma, per quanto abbiamo potuto vedere, nella versione dall’ebraico, in entrambi i casi sono chiamati re degli Amorrei, poiché risulta che il re della città di Gerusalemme era un Gebuseo, poiché la stessa città aveva il nome di Gebus 26, essendo considerata come la capitale di quel popolo, e la Scrittura menziona assai spesso i sette popoli che Dio aveva promesso di sterminare davanti al suo popolo e uno di essi è chiamato degli Amorrei, tranne che si tratti di una denominazione generale di tutti o meglio della maggior parte di loro, di modo che sotto quel nome fossero compresi più popoli, non uno solo, di quei sette, sebbene uno solo di quei sette popoli si chiamasse in senso proprio Amorreo; così c’è una parte dell’Africa propriamente detta Libia, sebbene questo nome si possa applicare a tutta quanta l’Africa, come pure c’è una parte propriamente detta Asia, sebbene alcuni abbiano riferito che l’Asia è addirittura la metà o altri un terzo di tutto il mondo. Come infatti si sa, anche i cananei sono menzionati come un popolo tra quei sette e tuttavia tutto quel paese originariamente si chiama Canaan.

Dio non è crudele quando castiga i peccati.

16. (11, 14-15) Giosuè non lasciò in essa nessun vivente. Come il Signore aveva ordinato al suo servo Mosè, e come Mosè aveva ordinato a Giosuè, [questi] lo eseguì senza trascurare nulla di quanto il Signore aveva ordinato a Mosè. In nessun modo si deve pensare che fosse una crudeltà il fatto che Giosuè non lasciava nessun vivente nelle città consegnatesi a lui, poiché così aveva comandato Dio. Coloro però che in base a questo ordine pensano che Dio stesso era crudele e perciò non vogliono credere che il vero Dio fu l’autore dell’Antico Testamento, giudicano falsamente tanto le opere di Dio quanto i peccati degli uomini, ignorando che cosa ognuno merita di patire e stimando un gran male il fatto che si abbattono edifici destinati a cadere e muoiono esseri soggetti alla morte.

Gli Ebrei poterono conquistare assolutamente tutte le città.

17. (11, 19) E non ci fu città che non si era consegnata ai figli d’Israele. Come mai - ci domandiamo - ciò può essere vero dal momento che in seguito, né al tempo dei Giudici, né al tempo dei Re gli Ebrei poterono conquistare assolutamente tutte le città di quei sette popoli? Perciò o si deve intendere la frase nel senso che Giosuè, nel fare la guerra, non assaltò nessuna città senza conquistarla, o per lo meno nessuna delle città situate nelle regioni menzionate prima restò senza essere conquistata. Sono infatti menzionate le regioni in cui si trovavano le città a proposito delle quali è fatta la seguente ricapitolazione: e tutte le conquistò combattendo.

Quando Dio abbandona, la sua condotta è giusta e ispirata da un disegno misterioso della sua sapienza.

18. (11, 20) Poiché per mezzo del Signore avvenne che il loro cuore si rinforzasse di modo che andarono in guerra contro Israele per essere sterminati, e così non fu concessa loro misericordia ma furono sterminati come il Signore aveva detto a Mosè. Qui abbiamo l’espressione: per mezzo del Signore avvenne che il loro cuore si rinforzasse, cioè si ostinasse il loro cuore, come si legge del Faraone 27. Ora, quando Dio abbandona e se ne impossessa il nemico, non si deve dubitare affatto che la sua condotta è giusta e ispirata da un disegno misterioso della sua sapienza. Tale è la spiegazione della frase da dare in questo caso come in quello precedente. Ma ora si presenta un altro problema: come mai la Scrittura dice che s’indurì il cuore dei Cananei affinché combattessero contro Israele e perciò non meritavano alcuna clemenza? Come se la clemenza si fosse dovuta concedere, se non avessero fatto la guerra, dal momento che Dio aveva ordinato che non si doveva risparmiare nessuno di loro e risparmiarono i Gabaoniti perché, fingendo di essere venuti da un paese lontano, avevano ritenuto vero il loro giuramento 28. Ma poiché gli Israeliti, sebbene contro il comando di Dio, mostrarono clemenza spontaneamente verso alcuni popoli, si deve pensare che la Scrittura dica che i Gabaoniti si erano sollevati in armi e di conseguenza non sarebbero dovuti essere risparmiati e gli Israeliti, incuranti del comando di Dio, non avrebbero dovuto lasciarsi piegare da quelli alla clemenza. Per la verità non si deve credere che ciò sia potuto accadere sotto la condotta di Giosuè, il quale osservava scrupolosamente tutti i precetti di Dio. Tuttavia nemmeno Giosuè avrebbe potuto distruggere tanto presto quei nemici, se non gli si fossero opposti tutti insieme di comune accordo; in tal modo sarebbe potuto accadere che, non essendo stati annientati da Giosuè, che si preoccupava di adempiere gli ordini di Dio, sarebbero potuti rimanere fino al tempo in cui, dopo la morte di Giosuè, avrebbero potuto avere salva la vita da coloro che non adempivano i comandi di Dio con tanta cura. Poiché anche mentre egli era ancora in vita risparmiarono alcuni popoli sottomettendoli solo al loro potere; alcuni altri invece non poterono neppure vincerli. Tuttavia questi fatti non avvennero sotto il comando di Giosuè, ma quando, già vecchio, non si occupava più della guerra ma solo distribuiva le terre agli Israeliti, di modo che essi, quando Giosuè non faceva più la guerra, occupavano le terre loro distribuite, in parte già sgombre dei nemici, in parte conquistate guerreggiando. Inoltre che gli Israeliti non furono in grado di vincere alcuni popoli, apparirà senz’altro da alcuni passi della Scrittura che fu voluto dalla divina provvidenza.

La salita del Faraone, re d’Egitto.

19. (16, 10) Efraim però non distrusse il Cananeo che abitava in Ghezer. E il Cananeo è rimasto in mezzo a Efraim fino al giorno d’oggi, finché non salì il Faraone, re d’Egitto, e prese la città, la incendiò e passò a fil di spada i Cananei, i Ferezei e gli abitanti di Gazer; e il Faraone la diede in dote a sua figlia. Sarei curioso di sapere se questa affermazione relativa al Faraone si deve intendere in senso profetico, dal momento che questa notizia storica si crede scritta al tempo in cui erano accaduti quei fatti quasi contemporanei. Ma quale importanza aveva quel fatto per essere scelto ad essere annunciato profeticamente, quando si raccontano fatti passati e invece non vengono registrati fatti futuri più importanti e assai necessari? Per questo motivo si deve piuttosto pensare che i Settanta traduttori, che si narra abbiano tradotto per ispirazione profetica, con un mirabile accordo esistente tra loro, aggiunsero quel fatto non per fare la predizione di un evento futuro ma, poiché vivevano al tempo in cui ricordavano che era avvenuto e lo avevano letto nei libri dei Re 29. In effetti era avvenuto al tempo dei Re. Ciò mi pare più probabile, poiché abbiamo visto la traduzione fatta dall’ebraico e non ve l’abbiamo trovato; così non abbiamo trovato nemmeno quanto si dice di Gerico, che Hoza, il quale l’avrebbe ricostruita, incorse nella maledizione pronunciata da Giosuè. Così infatti sta scritto: In quel giorno Giosuè fece questo giuramento: Maledetto l’uomo che risusciterà e riedificherà questa città; egli pose le fondamenta sopra il suo primogenito e sul figlio minore pose le sue porte 30. Così troviamo fin qui nella traduzione fatta dal testo ebraico; lì però non si legge la pericope che segue, e cioè: e così fece Hoza che era di Bethel; sul primogenito Abiron pose le fondamenta di essa e sull’ultimo suo figlio, salvato la seconda volta, pose le sue porte 31. Di qui risulta evidente che questa pericope fu aggiunta dai Settanta, i quali sapevano che era successo così.

Gli Amorrei tributari degli Ebrei.

20. (19, 47) E l’Amorreo rimase abitando in Elom e in Salamin e la mano di Efraim si appesantì su di essi e divennero loro tributari. Ciò si compiva già contro il precetto del Signore mentre era ancora in vita Giosuè, ma non era più il loro comandante nelle battaglie a causa della vecchiaia. Ecco perché la Scrittura dice che fu il Signore a far sì che si ostinasse il cuore di coloro che si erano messi d’accordo di andare in guerra contro Giosuè 32 affinché non fosse accordata loro questa misericordia, anche contro il comando di Dio 33 se quando Giosuè fosse vecchio e già morto fossero rimasti senza essere stati vinti e fossero stati lasciati per essere vinti dai figli di Israele, i quali potessero aver salva la vita contro il comando del Signore, cosa che Giosuè non avrebbe fatto.

Perché Israele non distrusse i popoli che possedevano la terra promessa.

21. 1. (21, 41-43) Con ragione si pone il quesito per sapere in quale senso si deve intendere il testo della Scrittura che si riporta qui di seguito, poiché Israele, non solo fino alla morte di Giosuè, ma anche dopo non distrusse i popoli che possedevano la terra promessa, sebbene si fossero ormai stabiliti nella terra promessa dopo averne annientato in parte gli indigeni; il testo dice: E il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri, la ebbero in eredità e vi abitarono. E il Signore concesse loro la pace [con tutti i popoli] all’intorno; come aveva giurato ai loro padri; nessuno dei loro nemici poté resistere davanti a loro. Il Signore mise tutti i loro nemici nelle loro mani, non cadde a vuoto nessuna delle parole buone dette dal Signore ai figli d’Israele; si compirono tutte.

21. 2. Si devono dunque esaminare tutte attentamente. E anzitutto si deve considerare la terra di quanti popoli fu promessa agli Israeliti. Sembra che siano menzionati ripetutamente almeno sette popoli, come si legge nell’Esodo: E il Signore disse a Mosè: " Va’, sali di qui tu e il tuo popolo, che hai condotto fuori dall’Egitto, verso la terra da me promessa con giuramento ad Abramo, Isacco e Giacobbe dicendo: "La darò ai vostri discendenti". E nello stesso tempo invierò davanti a te un angelo e scaccerà l’Amorreo e il Cetteo e il Ferezeo e il Gergeseo e l’Eveo e il Gebuseo e il Cananeo "34. Sembra dunque che sia la terra di questi sette popoli quella promessa da Dio ai Patriarchi. Anche nel Deuteronomio sta scritto molto più chiaramente: Se poi ti avvicinerai a una città per assalirla e li inviterai in uno spirito di pace; se ti risponderanno parole di pace e ti apriranno, tutto il popolo, che saranno trovati nella città ti pagheranno un tributo e ti saranno sottomessi; se invece non ti si sottometteranno e faranno la guerra contro di te, assedierai la città e il Signore te la darà nelle tue mani e tu ucciderai ogni maschio a fil di spada eccetto le donne e la suppellettile; tutte le greggi e tutto ciò che si troverà nella città e tutti gli utensili li prenderai come bottino per te; e mangerai tutto il bottino dei tuoi nemici che il Signore tuo Dio ti darà. Allo stesso modo ti comporterai con tutte le città che saranno assai lontane da te, che non fanno parte delle città di questi popoli. Ma ecco, nelle città che il Signore tuo Dio ti darà perché tu le erediti sulla loro terra, non lascerai vivo alcun essere che respira, ma dovrai votarli all’anatema: il Cetteo, l’Amorreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Eveo, il Gebuseo e il Gergeseo, come te l’ha comandato il Signore tuo Dio 35. Anche qui risulta evidente che era la terra di quei sette popoli quella promessa in eredità, che gli Israeliti avrebbero posseduto dopo aver sconfitto decisamente fino allo sterminio i medesimi popoli. Quanto agli altri popoli che si trovavano più lontano al di fuori di questi, il Signore volle che divenissero tributari degli Israeliti, se non avessero opposto resistenza; se però si fossero opposti dovevano essere uccisi anch’essi e venire dispersi, eccetto il bestiame e le altre cose che avessero potuto costituire il bottino. Parimenti in un altro passo del Deuteronomio si legge quanto segue: E accadrà che, quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nella terra in cui entrerai per ereditarla e avrà distrutto grandi e numerose nazioni al tuo cospetto, il Cetteo, il Gergeseo, l’Amorreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Eveo e il Gebuseo, sette nazioni numerose e più forti di voi, e il Signore tuo Dio te le darà nelle tue mani e le sbaraglierai, le sterminerai completamente. Non stabilirai alleanza con esse e non devi aver pietà di esse né unirvi in matrimonio con esse; non darai tua figlia a suo figlio né prenderai sua figlia per tuo figlio 36, ecc.

21. 3. Perciò da questi e da altri passi della Scrittura viene dimostrato spesso che i figli di Israele ricevettero in eredità le terre di questi sette popoli, in modo che le abitarono non con coloro che le possedevano ma al posto di essi. Tuttavia nella Genesi alla discendenza di Abramo vengono promessi non solo questi sette popoli ma undici. Così infatti si legge: Quel giorno il Signore stabilì una alleanza con Abramo nei seguenti termini: ai tuoi discendenti darò questa terra che si stende dal fiume dell’Egitto fino al gran fiume, l’Eufrate: i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, i Cetei, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, gli Evei, i Gergesei e i Gebusei 37. Questo problema si risolve intendendo il testo come una lontana profezia secondo la quale Salomone avrebbe esteso e ampliato fino a quelle terre il regno; di lui la Scrittura dice: E tutto quello che Salomone si era proposto di fare, che aveva deciso di costruire in Gerusalemme e nel Libano e in tutto il territorio del suo dominio; quanto a tutta la popolazione che era rimasta degli Amorrei, degli Ittiti, dei Fereziti, degli Evei, dei Gebusei, i quali non erano Israeliti, dei figli di coloro che erano rimasti nel paese e che gli Israeliti non avevano potuto sterminare e Salomone li fece tributari fino ad oggi 38. Ecco qual è il resto dei popoli che dovevano essere sconfitti e sterminati completamente per ordine di Dio; Salomone li sottomise riducendoli a tributari mentre, secondo l’ordine di Dio, avrebbe dovuto sterminarli; essi tuttavia furono sottomessi e ridotti sotto il dominio [d’Israele] come tributari. Poco dopo si legge: [Salomone] stendeva il suo dominio su tutti i re dal fiume fino al paese dei Filistei e fino ai confini dell’Egitto 39. Ecco il passo in cui si afferma avverato ciò che Dio aveva predetto ad Abramo nella Genesi, quando gli parlò e gli fece la promessa. Dal fiume, infatti, qui s’intende " dall’Eufrate ", poiché in quei luoghi si può intendere trattarsi del grande fiume anche senza aggiungere il nome proprio. Non può infatti trattarsi del Giordano, poiché gli Israeliti avevano già conquistato i paesi siti tanto di qua che di là del Giordano, anche prima del regno di Salomone. La Scrittura, dunque, nel Libro dei Re dice che il regno era esteso dal fiume Eufrate a Oriente fino al paese d’Egitto, che per gli Israeliti era ad Occidente. Allora perciò il territorio dei sudditi [di Salomone] era più esteso che non quello occupato da quei sette popoli; e perciò furono allora assoggettati non sette ma undici popoli. Come sta scritto nel Libro dei Re: Fino ai confini dell’Egitto a partire dal fiume - volendo la Scrittura mostrare quanto fosse esteso il regno da Oriente a Occidente - è detto nella Genesi quando viene delimitato dall’Occidente fino all’Oriente: dal fiume d’Egitto fino al gran fiume, il fiume Eufrate 40. Ora il fiume d’Egitto, il quale è il confine che separa Israele dall’Egitto, non è il Nilo, ma è un altro fiume non grande che scorre attraverso la città di Rinocorura, a Oriente della quale già inizia la terra promessa. Così dunque era stato ordinato ai figli d’Israele di abitare i paesi dei sette popoli dopo averli sterminati e uccisi e di estendere la loro sovranità sugli altri popoli assoggettati e resi tributari fino all’Eufrate. E sebbene non avessero ubbidito a Dio riguardo a questo comando, poiché anche di quei popoli che avrebbero dovuto sterminare alcuni li avevano solo sottomessi [a pagare un tributo], tuttavia Dio al tempo di Salomone adempì la promessa.

21. 4. Orbene, in qual modo sarà vera l’affermazione contenuta nel libro di Giosuè, figlio di Nun, che ci siamo impegnati di esaminare, e cioè: E il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri; e ne vennero in possesso? In che modo il Signore diede loro tutta la terra essendo ancora vivo Giosuè quando non avevano ancora vinto il resto di quei sette popoli? È vero ciò che segue: e la possedettero, poiché stavano lì e vi si erano stabiliti. È vero ciò che il testo aggiunge di seguito: E il Signore diede loro pace d’ogni intorno, come aveva giurato ai loro padri, poiché, vivendo ancora Giosuè non si era arreso loro il resto di quei popoli - è vero - ma nessuno di essi osava provocarli a far guerra nelle terre in cui si erano stabiliti. Ecco perché è detto quanto viene aggiunto di seguito: nessuno fra i loro nemici poté resistere loro. Ciò che invece è detto subito dopo: e il Signore mise i loro nemici nelle loro mani, si deve intendere dei nemici, che osarono assalirli in guerra. L’espressione che viene di poi: Di tutte le buone promesse che Dio aveva fatto ai figli d’Israele non ne cadde a vuoto nessuna: si compirono tutte, si deve intendere nel senso che, pur avendo gli Israeliti operato contro il comando del Signore risparmiando la vita ad alcuni di quei sette popoli e facendoli tributari, erano tuttavia rimasti ancora sani e salvi tra loro. Avendo perciò detto la Scrittura: di tutte le promesse, aggiunse: buone, poiché non erano sopraggiunte ancora le maledizioni stabilite per coloro che avevano disprezzato e trasgredito il comando del Signore. Resta dunque che l’espressione: Il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri, s’intenda nel senso che, anche se di quei popoli ce n’era ancora un resto da distruggere e da sterminare o di quelli presso il fiume Eufrate o da sottomettere se non si fossero opposti o da sterminare se si fossero opposti, tuttavia erano stati lasciati per loro utilità, perché fossero molestati da essi, cioè per evitare che, snervati da sentimenti e passioni carnali non fossero poi in grado di sopportare in maniera modesta e vantaggiosa una sì grande e repentina prosperità di condizioni temporali, ma insuperbiti andassero presto in rovina, come sarà dimostrato opportunamente in un altro passo. Quella terra fu dunque data tutta quanta a loro, poiché anche la parte, che ancora non era stata data in possesso, era già stata concessa perché servisse - per così dire - a metterli alla prova.

Nessun popolo resistette all’invasione ebrea.

22. (21, 42) Quanto a ciò che dice la Scrittura: E nessuno dei loro nemici poté resistere ad essi si può domandare in che modo è vero, dal momento che poco più sopra, a proposito della tribù di Dan, sta scritto che non permisero ai loro nemici di scendere nella valle e li vinsero sui monti 41. Ma, come abbiamo esposto dove la Scrittura afferma che i dodici figli di Giacobbe nacquero in Mesopotamia in cui Beniamino non era nato 42, anche qui dobbiamo intendere che le undici tribù sono contate come se fossero tutto il popolo in base alla regola che ci è ben nota per altri passi delle Scritture. Se però si cerca la causa perché questa tribù nel sorteggio delle terre non ne aveva ottenute di sufficienti e da coloro che le possedevano fu molestata, si deve pensare che si trova certamente nel segreto disegno di Dio. Tuttavia quando Giacobbe benedisse i suoi figli pronunciò - a proposito di questo Dan - tali cose 43 che alcuni pensano che l’Anticristo uscirà da quella tribù. Su questo tema non ci interessa di parlare più a lungo, per il fatto che questo problema potrebbe risolversi intendendo la frase: nessuno dei loro nemici poté resistere loro nel senso che ciò si avverò fin tanto che tutte le tribù fecero la guerra insieme sotto il comando d’un solo capitano, prima che fosse diviso il territorio che ogni tribù avrebbe dovuto difendere come proprio.

Il solo sacrificio della salvezza.

23. (22, 27) E con i sacrifici delle nostre salvezze. Poiché parla di sacrifici al plurale, usa al plurale anche il termine salvezza. A questo proposito bisogna osservare attentamente che di solito si dice " sacrificio della salvezza " poiché, se ammetteremo che Cristo è chiamato salvezza di Dio 44, non si vede qual senso può darsi a questa parola se usata al plurale, poiché uno solo è il Signore nostro Gesù Cristo 45, quantunque alcuni siano chiamati cristi per sua grazia, come si legge nel Salmo: Non toccate i miei cristi 46; ma salutaris [che porta salute o salvezza] può forse essere usato al plurale e dire salutares o salutaria? Non dobbiamo affermarlo senz’altro, poiché Egli solo è il salvatore del corpo 47.

Ciò che Giosuè dice riguardo alla sua morte imminente.

24. (23, 14) Quanto a ciò che Giosuè dice riguardo alla sua morte imminente: Io però me ne vado per la via come anche tutti coloro che vivono sulla terra, nella traduzione dall’ebraico troviamo: Io entro nella via. In questo senso dunque si deve intendere il termine recurro usato dai Settanta, come fu detto all’uomo: Finché non torni alla terra dalla quale sei stato tratto 48, affermazione da intendersi riguardo al corpo; se invece la vorremo intendere riferita all’anima, come nell’Ecclesiaste si afferma: E lo spirito tornerà a Dio che l’ha dato 49 non credo che possa applicarsi indistintamente a tutti gli uomini, ma solo a coloro che siano vissuti in modo da meritare di tornare a Dio come all’autore, dal quale sono stati creati. Ciò infatti non può intendersi correttamente di coloro di cui si dice: spirito che va e non torna 50. Se però questo santo uomo di Giosuè, figlio di Nun, non avesse aggiunto: come tutti coloro che vivono sulla terra, non ci sarebbe alcun problema, poiché non penseremmo di lui nient’altro che quanto leggiamo essere degno di lui. Ma poiché egli aggiunse l’espressione: come anche tutti coloro che vivono sulla terra, sarebbe strano se ciò che il traduttore latino rese con recurro [percorro; corro attraverso] non si dovesse esprimere piuttosto con percurro [percorro; corro attraverso] o con excurro [corro in fretta; percorro] se ciò può essere significato dal verbo che ha il testo greco. Tutti infatti percorrono, o percorrono in fretta la via della vita terrena, quando sono giunti alla sua fine. Ma siccome questo verbo è usato nel passo in cui i genitori di Rebecca dicono al servo di Abramo: Ecco Rebecca, prendila e va’ di corsa e sia la moglie del figlio del tuo padrone 51, perciò anche qui è stato tradotto così questo verbo.

Analisi di una interpretazione dei Settanta.

25. (24, 3) Ciò che la traduzione fatta dai Settanta esprime nei seguenti termini: e presi il vostro padre Abramo da di là del fiume e lo condussi in tutta la terra, la traduzione fatta dall’ebraico lo esprime così: e lo condussi nella terra di Canaan. Parrebbe strano che i Settanta volessero indicare tutta la terra invece della sola terra di Canaan, salvo che avessero presente al loro spirito una profezia, di modo che s’intenda come un fatto verificatosi per la promessa di Dio ciò che con assoluta certezza si preannunciava sarebbe accaduto riguardo a Cristo e alla Chiesa, che è la vera discendenza di Abramo formata non già dai figli della carne ma dai figli della promessa 52.

C’è una guerra quando c’è un’inimicizia in certo qual modo armata.

26. (24, 11) E hanno fatto guerra contro di voi gli abitanti di Gerico. Ci possiamo domandare come ciò sia vero, dal momento che quelli si difesero solo dentro la cerchia delle mura dopo aver chiuso le porte. L’espressione però è giusta, poiché anche il chiudere le porte contro il nemico è un’azione di guerra, perché non inviarono ambasciatori a chiedere la pace. Di conseguenza, se l’agiografo avesse detto: " combatterono contro di voi " sarebbe contrario alla verità. La guerra infatti non comporta battaglie continue ma talora frequenti, talora invece rare, talora nessuna. Tuttavia c’è una guerra quando c’è un’inimicizia in certo qual modo armata.

Le vespe a protezione degli Israeliti.

27. (24, 12) Che significa ciò che, tra le altre cose che Giosuè di Nun ricorda essere state fatte dal Signore a protezione degli Israeliti, dice: mandò innanzi a voi le vespe e li scacciò davanti a voi? Ciò si legge anche nel libro della Sapienza 53, ma tuttavia in nessun passo si trova che sia accaduto tra i fatti narrati dalla storia. Ha forse l’agiografo voluto con la parola vespe presa in senso traslato fare intendere i pungiglioni assai dolorosi della paura, con cui in certo qual modo per le notizie che si spargevano rapidamente venivano tormentati perché fuggissero? Oppure ha voluto farci intendere gli spiriti occulti dell’aria, poiché nel Salmo si dice: per mezzo degli angeli cattivi 54, salvo che uno dica che non tutti i fatti accaduti sono stati registrati e anche questo fatto accadde visibilmente e di conseguenza vuol fare intendere trattarsi di vere vespe?.

Servire Dio in modo perfetto è impossibile.

28. (24, 19) Che significa ciò che Giosuè disse al popolo: Non potrete servire il Signore, poiché Dio è santo? Vuol forse dire che è incompatibile per la fragilità umana il conformarsi in qualche modo con la santità di lui con un culto perfetto? All’udire ciò gli Israeliti avrebbero dovuto non solo scegliere il servizio di Dio ma anche attendere il suo aiuto e la sua misericordia, come lo aveva capito l’autore del Salmo che dice: Non entrare in giudizio con il tuo servo, poiché nessun vivente sarà giustificato dinanzi a te 55. Gli Israeliti invece preferirono avere fiducia in se stessi di poter servire Dio senza pericolo di cadere in colpa, di modo che iniziarono fin d’allora a fare ciò che l’Apostolo disse di loro: Poiché, non conoscendo la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si sono assoggettati alla giustizia di Dio 56; così sopraggiunse per essi la legge, di modo che si moltiplicarono i peccati, ma in seguito sovrabbondò la grazia 57 per opera di Cristo nostro Signore, che è il compimento della legge [di Mosè] per la giustificazione di chiunque è credente 58.

Fedeltà al Signore contro l’idolatria.

29. (24, 23) Che cosa vuol dire ciò che il medesimo Giosuè dice parlando al popolo: E ora portate via gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi e rivolgete il vostro cuore verso il Signore, Dio d’Israele? Non si può, infatti, pensare che avessero ancora nelle loro case idoli dei pagani, avendo poco prima esaltato la loro ubbidienza. Se, al contrario, avessero ancora tenuto quegli idoli dopo tante minacce della legge, non li avrebbe accompagnati la prosperità, dal momento che proprio il Signore li castigò perché uno solo di loro aveva rubato qualcosa [interdetta] in forza dell’anatema. Così, per esempio, Giacobbe disse la medesima cosa a coloro che erano venuti via con lui dalla Mesopotamia ove agli idoli veniva reso un culto così diffuso che perfino Rachele rubò gli dèi del padre 59, ma dopo l’ammonizione consegnarono a Giacobbe gli idoli che possedevano 60; risultò evidente che era stata detta loro quella cosa, poiché chi l’aveva detta sapeva che essi li possedevano. Ora, al contrario, dopo questo ammonimento di Giosuè nessuno consegnò nulla di simile. Non si deve tuttavia pensare che Giosuè diede quell’ordine senza un motivo, poiché non disse: " e ora portate via gli dèi stranieri, se ve n’è qualcuno in mezzo a voi ", ma sapendo per certo che ve ne erano: che sono - dice - in mezzo a voi. Di conseguenza il santo Profeta vedeva che nei loro cuori c’erano idee riguardo a Dio estranee a Dio e proprio quelle ammoniva di togliere via. In realtà chiunque immagina un Dio di natura diversa da quella di Dio, certamente porta nella sua fantasia un dio non corrispondente alla natura di Dio, un dio falso. Chi mai infatti può immaginare Dio così com’egli è? E perciò ai fedeli, finché siamo lontani dal Signore 61, non resta che togliere dal loro cuore i vani fantasmi che vi penetrano e s’introducono nell’immaginazione come se Dio fosse di tale o tal altra natura come di certo non è, e volgere verso di lui il cuore con spirito di fede, affinché nella maniera e nella misura che sa essere utile a noi vi penetri lui mediante il suo Spirito finché non sparisca ogni menzogna - per la qual cosa si dice che ogni uomo è bugiardo 62 - e affinché, una volta scomparsa non solo l’empia falsità ma anche lo specchio e l’enigma, lo conosciamo faccia a faccia, come siamo conosciuti anche noi, secondo l’affermazione dell’Apostolo: Ora noi vediamo come attraverso uno specchio in un enigma, allora invece faccia a faccia; ora lo conosco in parte, allora invece lo conoscerò come anch’io sono conosciuto 63.

Simbologia della pietra eretta da Giosuè.

30. 1. (24, 25-27) E quel giorno Giosuè stabilì l’alleanza per il popolo e gli diede legge e precetti in Silo davanti alla tenda-santuario del Signore Dio d’Israele. E scrisse queste parole nel libro delle leggi di Dio; prese poi una grande pietra e la drizzò ivi sotto il terebinto davanti al Signore. E Giosuè disse al popolo: " Ecco, questa pietra sarà a testimonianza contro di voi, poiché ha udito tutte le parole che Dio ci ha detto, tutto ciò che vi ha detto oggi; ed essa sarà a testimonianza contro di voi negli ultimi giorni, quando mentirete al Signore Dio vostro. Coloro che non ascoltano queste parole non soltanto superficialmente ma le sottopongono a un esame un po’ più profondo non devono credere che un personaggio così grande fosse tanto stupido da credere che una pietra senza vita avesse udito le parole dette da Dio al popolo; quella pietra, anche se fosse stata foggiata da un artista in modo da riprodurre la sembianza d’una persona, sarebbe considerata come uno di coloro di cui nel Salmo si canta: Hanno orecchie ma non sentono 64. In effetti non è vero che gli idoli dei pagani, che sono oro e argento 65, sono i soli a non udire, ma se sono di pietra sentono. Senza dubbio però con questa pietra fu simboleggiato colui che fu la pietra d’inciampo per i Giudei non credenti e pietra di scandalo che, scartata dai costruttori, divenne la pietra angolare 66. Il Cristo fu prefigurato anche da quella roccia che, percossa dal bastone, fece uscire l’acqua da bere per il popolo assetato 67, della quale l’Apostolo dice: Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava e quella roccia era Cristo 68. Perciò questo singolare condottiero circoncise anche il popolo con coltelli di pietra 69; quei coltelli di pietra furono anche sepolti con lui, perché mostrassero un profondo mistero che sarebbe stato apportatore di beni ai loro posteri. Così dunque anche questa pietra, sebbene eretta lì visibilmente, dobbiamo considerarla spiritualmente come una testimonianza destinata per il futuro contro i Giudei infedeli, cioè menzogneri, dei quali il Salmo dice: I nemici del Signore hanno mentito a lui 70. In realtà non è senza ragione che, pur avendo Mosè, fedele servo di Dio, o piuttosto Dio, per mezzo di lui, già stabilito per il popolo un’alleanza 71, che si conservava nell’arca, chiamata " Arca dell’alleanza ", e nei libri della legge composti di una gran quantità d’insegnamenti religiosi e rituali e di precetti, tuttavia anche qui è detto: In quel giorno Giosuè stabilì un’alleanza per il popolo. La ripetizione dell’alleanza è il simbolo della nuova alleanza; questa è simboleggiata anche dal Deuteronomio che significa: " seconda legge " e anche dalle Tavole della Legge rinnovate dopo essere state spezzate le prime 72. Poiché doveva essere simboleggiato sotto un gran numero di figure diverse ciò che si doveva compiere in un unico modo. Ora la pietra collocata sotto il terebinto era simbolo di ciò che il bastone era presso la roccia per fare sgorgare l’acqua, perché neppure qui la pietra si trova senza il legno. E stava al di sotto perché Cristo non sarebbe stato esaltato sulla croce, se non si fosse sottomesso con l’umiltà o perché, al tempo in cui Giosuè, figlio di Nun, compiva quell’azione, il mistero doveva rimanere ancora velato. Il legno del terebinto inoltre trasuda una resina medicinale, albero qui menzionato con questo nome dai Settanta traduttori, sebbene, secondo altri traduttori, si tratti di una quercia.

30. 2. È davvero strano che l’uomo di Dio, Giosuè, neppure nelle ultime parole rivolte al popolo li rimproverò del fatto che risparmiarono quei popoli che il Signore aveva ordinato di mandare in rovina fino allo sterminio con l’anatema. Poiché sta scritto così: E avvenne dopo che i figli d’Israele divennero assai potenti e sottomisero i Cananei in servitù ma non li sterminarono del tutto 73. La Scrittura infatti attesta che in un primo tempo essi non ne ebbero la capacità 74 ma ora, dopo essere divenuti tanto forti da sottometterli in servitù, il fatto di non averli anche sterminati fu una disubbidienza al comando del Signore, e ciò non lo fecero con nessun popolo quando Giosuè era a capo dell’esercito. Perché mai dunque, nel suo ultimo discorso rivolto al popolo, non li rimproverò di essere stati negligenti nell’osservare i precetti del Signore riguardo a questo obbligo? Forse perché - come afferma la Scrittura - prima essi non ne furono capaci, almeno prima che fossero molto forti, ed anche quando erano divenuti molto potenti si deve credere che temettero che se non avessero voluto risparmiare loro la vita quando erano pronti a sottomettersi, li avrebbero costretti a combattere più accanitamente contro di loro a causa della loro disperazione e allora non avrebbero potuto vincerli? Il Signore dunque non volle imputare loro questo timore umano, sebbene si mostri in esso un certo indebolimento di fede; se avessero avuto una fede vigorosa avrebbero conseguito i successi che era riuscito a riportare Giosuè quando faceva la guerra. Ma poiché non ebbero una fede altrettanto grande, anche quando erano diventati più forti dei loro nemici, per la paura che avevano di essi non osarono combattere con loro fino allo sterminio. Quella paura derivante non da malizia o da superbia o dal disprezzo del comando del Signore, ma dalla debolezza dell’animo il Signore - come ho detto - non volle imputarla ad essi quando per mezzo di Giosuè rivolse loro l’ultimo discorso. Ecco perché anche l’Apostolo dice: Alessandro, il ramaio, si è comportato molto male con me; il Signore lo ripagherà in proporzione di quanto ha fatto. Di coloro invece che lo abbandonarono al momento del bisogno, non per cattiveria ma per paura, dice così: Quando dovetti difendermi la prima volta non mi rimase vicino nessuno, ma tutti mi abbandonarono; non sia loro imputato 75.

LIBRO SETTIMO

QUESTIONI SUI GIUDICI

Con quale racconto inizia il libro dei Giudici.

1. Alla fine del libro di Giosuè di Nun il narratore prolungò un po’ la storia fino al tempo in cui i figli d’Israele si rivolsero al culto degli dèi stranieri 1; in questo libro invece si torna alla narrazione ordinata dei fatti nella successione in cui avvennero dopo la morte di Giosuè di Nun. Il libro dunque non comincia dal momento in cui il popolo tralignò nell’adorazione degli idoli, ma dai primi momenti trascorsi, in cui ebbero luogo i fatti dopo i quali il popolo giunse a quella defezione.

Il successore di Giosuè.

2. (1, 1-3) E accadde che dopo la morte di Giosuè i figli d’Israele consultarono il Signore dicendo: Chi salirà con noi come capo contro il Cananeo per combattere con lui? E il Signore rispose: Salirà Giuda; ecco, ho posto il paese nelle sue mani. Qui si pone il problema se Giuda era il nome di una persona oppure l’agiografo chiama così la tribù di Giuda, come fa di solito. Ma coloro che avevano consultato il Signore chiedevano un capo dopo la morte di Giosuè; si pensa perciò che qui sia indicato chiaramente il nome di una persona. Tuttavia, poiché la Scrittura non è solita nominare i capi quando sono instituiti, senza menzionare anche l’origine dei loro antenati, e risulta che, dopo la morte di Giosuè, il popolo ebbe i suoi capi, il primo dei quali è Gotoniel, figlio di Cenez, è più esatto pensare che sotto il nome di Giuda è indicata la tribù di Giuda. Proprio per mezzo di questa tribù il Signore cominciò ad opprimere i Cananei. E poiché il popolo lo aveva consultato a proposito del capo, la risposta del Signore fu adatta per far loro capire che Dio non voleva che tutto quanto il popolo facesse guerra contro i Cananei. Disse dunque: Salirà Giuda. E la Scrittura continua il racconto dicendo: E Giuda disse a suo fratello Simeone, per l’appunto una tribù a un’altra tribù, poiché non erano più in vita quei figli di Giacobbe chiamati Giuda e Simeone denotati con i propri nomi tra gli altri fratelli; disse dunque la tribù di Giuda alla tribù di Simeone: Sali con me nel territorio toccatomi in sorte e combattiamo contro il Cananeo, poi verrò anch’io con te nel territorio che ti è toccato in sorte. È evidente che la tribù di Giuda chiese aiuto all’altra tribù per ricambiarlo quando anche quell’altra tribù avesse avuto bisogno.

Il fatto della figlia di Caleb promessa in premio al vincitore.

3. (1, 9-12) E Caleb disse: A chiunque riuscirà a battere la Città delle Lettere e la conquisterà darò in moglie mia figlia Aksa. Questo particolare è già menzionato anche nel libro di Giosuè di Nun 2; uno però può chiedersi a ragione se ciò accadde essendo ancora vivo Giosuè e ora sia narrato di nuovo sotto forma di ricapitolazione, o dopo la sua morte quando era stato detto: Giuda salirà, e Giuda aveva già preso a far guerra contro i Cananei, nella quale guerra si narra che accaddero tutti questi fatti. Ma è più probabile che questo fatto sia avvenuto dopo la morte di Giosuè ed è raccontato allora per prolessi, cioè per anticipazione come anche altri fatti. Ora, infatti, venendo narrate le imprese della tribù di Giuda contro i Cananei, l’ordine della narrazione è seguito perfettamente, e tra le altre gesta belliche della tribù di Giuda, delle quali il Signore aveva parlato dopo la morte di Giosuè, è detto: Salirà Giuda. E di poi i figli di Giuda discesero per combattere il Cananeo che abitava la zona montuosa e il sud e la pianura. E Giuda marciò contro il Cananeo che abitava in Ebron ed Ebron uscì dalla parte opposta - il nome di Ebron era precedentemente Cariatharbocsfer - e battè Sesi, Achiman e Colmi, figli di Enac. Di lì salirono contro gli abitanti di Dabir - il nome di Dabir in antecedenza era Città delle Lettere. - E Caleb disse: A chiunque batterà la Città delle Lettere e la conquisterà gli darò in moglie mia figlia Aksa. Da questa serie di gesta risulta tanto chiaro dunque che ciò avvenne dopo la morte di Giosuè. Al contrario, allorché si menzionano le città consegnate a Caleb, il narratore andando avanti anticipa alla prima occasione ciò che successe dopo. Non penso inoltre che la Scrittura abbia voluto menzionare senza un motivo per due volte il fatto della figlia di Caleb data in premio al vincitore.

A proposito della figlia di Caleb.

4. (1, 14-15) A proposito della figlia di Caleb sorge un altro quesito, poiché nel libro di Giosuè, figlio di Nun, così si dice di lei: E successe che, mentre essa entrava, si consultò con lui dicendo: Chiederò un campo a mio padre, e stando sull’asino si mise a gridare etc., ove chiese al padre un campo e le fu concesso 3. Qui invece si dice: E accadde che, mentre egli entrava, Gotoniel la esortò a chiedere a suo padre un campo. Ebbene, tra l’espressione precedente quando essa entrava, e quella usata qui, quando egli entrava, non c’è contraddizione, poiché facevano la strada insieme. Anche quanto a ciò che segue, nel passo precedente si diceva: Si consigliò con lui - cioè con suo marito - dicendo: Chiederò un campo a mio padre, e stando sull’asino si mise a gridare e lo chiese; all’atto di consigliarsi con il marito fu esortata a chiederlo: di questi due particolari uno è detto nel passo precedente e l’altro in questo; ambedue le cose si potevano esprimere nel modo seguente: " E si consigliò con lui dicendo: Chiederò un campo a mio padre; egli poi la esortò ed essa gridò stando sull’asino ". Inoltre in quel passo si riferisce che essa chiese un campo e non è taciuto il nome del campo; in questo invece, essendo stata esortata dal marito a chiedere il campo, non si dice che chiese il campo " gridando essendo ancora seduta sulla bestia da soma " - ivi si dice: stando seduta sull’asino -, ma chiese l’acquisto di acqua, poiché era stata assegnata alla terra del Sud; e la Scrittura aggiunge: E Caleb le diede, secondo il suo desiderio, l’acquisto [d’acqua] degli eccelsi e l’acquisto dei bassi; il testo non si comprende bene, salvo che il campo era chiesto dalla figlia per avere dai suoi prodotti la somma necessaria per comprare l’acqua di cui c’era scarsità nelle regioni dove la sposa veniva condotta. Ma nell’espressione: Caleb le diede l’acquisto [d’acqua] degli eccelsi e dei bassi, non vedo che cosa sia sottinteso se non " corsi d’acqua " molto alti, cioè ruscelli nelle parti montuose e in quelle basse dei campi e delle valli.

Le città che Giuda non riuscì a conquistare.

5. (1, 18-19) Giuda però non riuscì a conquistare né Gaza con il suo territorio né Ascalon con il suo territorio né Accaron con il suo territorio né Azoto e i suoi dintorni. Il Signore invece stava con Giuda e conquistò la zona montuosa, poiché non riuscì a conquistare gli abitanti della valle, poiché Rechab gli si oppose ed aveva carri di ferro. Spiegando nel libro di Giosuè, figlio di Nun, il passo ove sta scritto: E il Signore diede ad Israele tutto il paese 4, quando invece ancora non possedeva molte sue regioni, dissi che l’affermazione che era stato dato tutto il paese, poteva intendersi nel senso che non era dato in possesso ma perché servisse in certo qual modo come prova 5; ciò appare con maggiore evidenza in questo passo. Dal momento che qui vengono menzionate le città che Giuda non riuscì a conquistare, pur dicendosi che il Signore era con Giuda. Conquistò la zona montuosa poiché gli Israeliti non riuscirono a conquistare gli abitanti della valle. Ora chi non comprende che anche questo rientrava nel fatto che il Signore era con Giuda, perché non s’insuperbisse ottenendo tutto d’un tratto l’intero territorio? Riguardo a quanto soggiunge il testo: Rechab tenne testa loro e aveva carri di ferro, si dice che quei carri li temesse non il Signore, che stava con Giuda, ma lo stesso Giuda. Se si pone il quesito perché aveva paura Giuda con cui stava il Signore, si può credere prudentemente che Dio, nella sua misericordia, smorzasse gli eccessi di una soverchia prosperità anche nel cuore dei suoi per convertire i nemici a loro vantaggio, non solo quando i nemici vengono vinti, ma anche quando sono temuti; nel primo caso per mettere in risalto la sua generosità, nel secondo per reprimere la loro superbia. Infatti nemico dei santi è l’angelo di satana, che tuttavia l’Apostolo dice che gli fu dato al fine di schiaffeggiarlo perché non montasse in superbia per la grandezza delle rivelazioni 6.

Ciò che è detto per ricapitolazione.

6. (1, 20) Come Mosè aveva ordinato, Ebron fu data a Caleb; ed ereditò da essa le tre città dei figli di Enac e ne scacciò i tre figli di Enac. Questo è già stato detto nel libro di Giosuè, figlio di Nun 7, poiché successe quando questi era ancora in vita, ma qui è ricordato per ricapitolazione nell’occasione che la Scrittura parla della tribù di Giuda alla quale apparteneva Caleb.

La città di Iebus è la stessa che Gerusalemme.

7. (1, 21. 8) Ci si chiede come mai la Scrittura dice: I figli di Beniamino non scacciarono i Gebusei che abitavano Gerusalemme, perciò i Gebusei abitarono con i figli di Beniamino in Gerusalemme fino ad oggi, mentre poco prima si legge che la medesima città fu presa e incendiata da Giuda dopo esserne stati uccisi i Gebusei. Ma bisogna sapere che questa città era posseduta in comune dalle due tribù, di Giuda e di Beniamino, come è dimostrato dalla stessa divisione delle terre fatta da Giosuè, figlio di Nun 8. La città di Iebus è infatti la stessa che Gerusalemme 9. Queste due tribù rimasero però presso il tempio del Signore quando le altre tribù - ad eccezione della tribù di Levi, che era sacerdotale e non ricevette alcun territorio nella divisione - si separarono dal regno di Giuda con Geroboamo 10. Si deve dunque pensare che la città fu presa, sì, da Giuda e incendiata dopo che furono uccise le persone che vi si trovavano, ma non tutti i Gebusei furono sterminati, sia perché erano fuori della città sia perché riuscirono a fuggire; i figli di Beniamino insieme con la tribù di Giuda, che possedevano in comune quella città, permisero che abitassero insieme con loro i Gebusei che erano rimasti. Pertanto l’espressione: I figli di Beniamino non cacciarono i Gebusei, deve intendersi nel senso che non riuscirono o non vollero renderli tributari o almeno la Scrittura dice non cacciò i Gebusei poiché non possedette senza di loro il territorio posseduto da quelli.

La città degli Sciti, Scitopoli.

8. (1, 27) E Manasse non conquistò Betsan, che è la città degli Sciti. Si dice che oggi questa città si chiama Scitopoli. Può tuttavia procurare imbarazzo il fatto che in quelle regioni molto lontane dalla Scizia potesse esserci una città degli Sciti. Ma potremmo similmente stupirci come mai Alessandro il Macedone abbia fondato la città di Alessandria tanto lontano dalla Macedonia, cosa che poté attuare facendo la guerra per ogni dove. Così anche gli Sciti poterono fondare questa città quando un tempo avanzavano facendo la guerra in terre lontane. Poiché nella storia universale si legge che gli Sciti ebbero un tempo sotto il loro potere quasi tutta l’Asia quando si scontrarono con il re d’Egitto che senza motivo aveva dichiarato loro guerra, ma egli atterrito dal loro arrivo si ritirò nel suo regno.

Le filiali di Scitopoli.

9. (1, 27) E Manasse non conquistò Betsan, che è la città degli Sciti, né le sue filiali. L’agiografo chiama sue filiali le città che Betsan aveva fondato quale metropoli.

Ricapitolazione o anticipazione.

10. (1, 28) E successe che quando Israele era divenuto più forte, sottomise i Cananei a pagare il tributo, ma non riuscì totalmente a scacciarli dalla loro terra. Già qualcosa di simile è detto nel libro di Giosuè di Nun quasi con le stesse parole 11. Perciò o qui si dice per anachefaliosi o lì per prolessi, cioè o qui per ricapitolazione o lì per anticipazione.

Ancora ricapitolazione o anticipazione.

11. (1, 34) E gli Amorrei respinsero i figli di Dan costringendoli sulla zona montuosa e non permisero loro di scendere nella valle. Ugualmente anche qui ciò o è narrato nel libro di Giosuè, figlio di Nun 12, per anticipazione o qui per ricapitolazione.

Il monte del pianto.

12. (2, 1) E l’angelo del Signore salì sul Clautmonte. L’autore di questo libro chiama così il luogo poiché scrisse in un’epoca posteriore, poiché quando l’angelo del Signore ascese in quel luogo, ancora non si chiamava così; prese infatti il nome da " pianto " per il fatto che in greco il pianto si dice . In realtà ivi il popolo pianse dopo aver udito da questo angelo le parole del Signore che li puniva perché avevano disubbidito per non avere sterminati secondo il suo comando i popoli [pagani] da essi vinti, preferendo assoggettarli del tutto 13 piuttosto che annientarli e disperderli come aveva ordinato il Signore 14. Sia che agissero così per disprezzo del comando del Signore sia per paura di spingere i nemici a combattere più accanitamente contro di loro per ottenere la salvezza piuttosto che per non dare il tributo, senza dubbio peccarono o disprezzando l’ordine dato da Dio o non avendo fiducia che li avrebbe potuti aiutare Colui che aveva dato quell’ordine. Il Signore non volle dirlo ad essi per mezzo di Giosuè - se pure è vero che aveva già comandato di farlo quando ancora viveva Giosuè e non era stato menzionato per anticipazione ciò che cominciò ad avvenire dopo la sua morte - poiché preferì rivolgere questo rimprovero assolutamente a tutti per mezzo dell’angelo; non ancora però avevano tutti commesso quella disobbedienza essendo ancor vivo Giosuè, anche se alcuni forse avevano già cominciato a farlo. È tuttavia più probabile che nulla di simile cominciò a succedere vivendo ancora Giosuè e che sotto il governo di Giosuè i figli d’Israele possedevano tanto territorio quanto bastava per stabilirvisi, sebbene nei territori da loro occupati crescendo e divenendo più forti avessero ancora la possibilità di sterminare gli avversari. Quindi, dopo la morte di Giosuè, dopo che erano diventati più forti da poter adempiere l’ordine di Dio preferirono averli come tributari seguendo la propria volontà invece di annientarli e disperderli secondo la volontà di Dio; ecco perché l’angelo fu inviato loro per biasimarli. Quanto al fatto che ciò è stato menzionato nel libro di Giosuè di Nun 15, io penso che sia stato ricordato piuttosto per anticipazione ciò che egli stesso per spirito profetico già sapeva che sarebbe avvenuto dopo la sua morte, ciò nell’ipotesi che sia stato composto da lui il libro detto di Giosuè figlio di Nun, oppure se è stato scritto da un altro, già sapeva che era successo dopo la morte di Giosuè ciò che in quel libro è menzionato per anticipazione.

Se alcuni peccati provengono anche dall’ira di Dio.

13. (2, 3) Che significa ciò che dice l’angelo del Signore tra le altre cose minacciate da Dio, e cioè: Non scaccerò più il popolo che dissi di scacciare; non li toglierò davanti a voi ed essi saranno per voi dei lacci e i loro dèi saranno per voi delle insidie 16, se non che dobbiamo credere che alcuni peccati provengono anche dall’ira di Dio? Dio infatti, sdegnato, li minacciò che gli dèi delle nazioni pagane in mezzo alle quali gli Israeliti, senza sterminarle, vollero abitare, sarebbero stati loro di scandalo, avrebbero cioè fatto sì che si sarebbero scandalizzati del Signore loro Dio e che sarebbero vissuti offendendolo; è senza dubbio evidente che questo è un grande peccato.

Un passo ripetuto per ricapitolazione.

14. (2, 6. 8) E Giosuè congedò il popolo, e i figli d’Israele se ne andarono ciascuno a casa sua e ciascuno alla sua eredità per prendere possesso della terra. Non c’è alcun dubbio che questo passo è ripetuto qui per ricapitolazione 17. Infatti anche in questo libro viene ricordata perfino la morte di Giosuè per indicare brevemente tutti i fatti dall’inizio, da quando cioè il Signore diede loro la regione e in qual modo sotto la guida dei Giudici vissero e quali sofferenze dovettero sopportare; e così si torna di nuovo alla serie dei Giudici cominciando da quello stabilito per primo.

In qual senso si dice che non conobbero il Signore.

15. (2, 10) E dopo di essi sorse un’altra generazione che non conobbe il Signore e le opere che aveva compiuto per Israele. L’agiografo spiega in qual senso dice non conobbero il Signore, cioè per le singolari e mirabili opere per mezzo delle quali prima di loro era accaduto che Israele conoscesse il Signore.

Come prender i nomi degli dèi.

16. (2, 13) E prestarono culto a Baal e alle Astarti. Si suol dire che il nome di Baal presso i popoli di quelle regioni corrisponde a quello di Giove e quello di Astarte a quello di Giunone, come si crede essere dimostrato anche dalla lingua punica. Sembra in effetti che i Punici chiamino " signore " Baal e perciò si pensa che chiamino Baalsamen come " il re del cielo ", poiché presso di essi i cieli sono detti " Samen ". Giunone invece è chiamata da loro senza incertezze Astarte. E poiché queste lingue non differiscono molto tra loro, si crede giustamente che, a proposito dei figli d’Israele, la Scrittura dice che resero culto a Baal e alle Astarti, poiché lo resero a Giove e ai Giunoni. E non deve sorprendere il fatto che l’agiografo non dice " ad Astarte ", cioè a Giunone, ma quasi che esistano molte Giunoni, usa questo nome al plurale: egli ha voluto far rivolgere il nostro pensiero alla moltitudine delle immagini, poiché ogni immagine di Giunone veniva chiamata Giunone e perciò ha voluto farci intendere che c’erano tante Giunoni quante erano le sue immagini. Io poi penso che l’agiografo ha voluto usare il singolare per Giove e il plurale per le Giunoni per ragione di varietà; poiché per la medesima causa delle molte immagini si potrebbe dire anche " Giovi " al plurale. Ora noi troviamo il nome di Giunone al plurale nel testo greco dei Settanta, ma nel testo latino stava al singolare. Nel testo che non riproduceva la traduzione dei Settanta, ma era tradotto dall’ebraico, leggiamo Astaroth e non Baal ma Baalim. E se per caso questi nomi nella lingua ebraica o siriaca significano un’altra cosa, è certo che sono dèi stranieri e falsi, ai quali Israele non avrebbe dovuto rendere culto.

Il significato delle parole venduto e riscatto nelle Scritture.

17. 1. (2, 14. 20-23; 3, 1-4) E li vendette nelle mani dei nemici che stavano loro intorno. Si suol porre il quesito per qual motivo è detto: vendette, come se si dovesse intendere che era stato sborsato qualche prezzo. Ma anche nel Salmo si legge: Hai venduto il tuo popolo per un nulla 18, e nel Profeta: Voi siete stati venduti gratuitamente e senza argento sarete riscattati 19. Perché dunque è detto venduti se lo furono gratuitamente e per un nulla, e non piuttosto " donati "? O questo è per caso un modo di esprimersi delle Scritture, sicché si può chiamare " venduto " anche uno che viene dato in regalo? Questo è il senso più appropriato della frase: siete stati venduti gratuitamente, e: hai venduto il tuo popolo per un nulla, poiché quegli individui, ai quali consegnasti il popolo, erano empi e non meritarono che fosse loro consegnato quel popolo per il fatto che adoravano il vero Dio, e così lo stesso culto idolatrico fu in un certo senso come il prezzo della vendita. Riguardo invece all’espressione: ma non sarete riscattati con l’argento, non è detto " senza prezzo ", ma senza argento, per farci intendere che il prezzo del riscatto è quello di cui parla l’apostolo Pietro: Poiché non siete stati riscattati con argento e oro ma con il sangue prezioso [di Cristo] quale agnello senza macchia 20. Con il termine argento infatti il Profeta indica qualunque somma di danaro, allorché dice: non sarete riscattati con l’argento, poiché dovevano essere riscattati - è vero - con il prezzo del sangue di Cristo, ma non con un prezzo in danaro.

17. 2. Con le seguenti parole che dice il Signore: E io non continuerò a scacciare dinanzi a loro alcuno dei popoli che lasciò Giosuè, figlio di Nun; e li lasciò allo scopo di mettere alla prova Israele per mezzo di quelli, [per vedere] se essi osservavano la via del Signore e vi camminavano, come l’avevano osservata i loro padri oppure no. E il Signore aveva lasciato questi popoli senza scacciarli subito e non li aveva consegnati nelle mani di Giosuè, si mostra bene il motivo per il quale Giosuè non distrusse con la guerra tutte quelle popolazioni; poiché, se lo avesse fatto, non ci sarebbero state popolazioni per mezzo delle quali gli Israeliti sarebbero stati sottoposti alla prova. Potevano invece servire alla loro utilità qualora, sottoposti alla prova per mezzo di quelli, non fossero risultati reprobi; e se fossero stati trovati tali quali il Signore aveva comandato che fossero, allora quelle popolazioni sarebbero state scacciate dinanzi ad essi, se così fossero vissuti, e non sarebbe stato necessario che gli Israeliti fossero afflitti dalle guerre. Bisogna tenere come parole del Signore quelle che comprendono anche la seguente espressione: Per il fatto che questo popolo ha abbandonato la mia alleanza, che avevo prescritto ai loro padri e hanno rifiutato di dare ascolto alla mia voce, neppure io continuerò a scacciare dinanzi ad essi alcuno - cioè alcun loro nemico -; tutte le altre parole sono, al contrario, dell’agiografo, che spiega perché il Signore disse che non avrebbe scacciato dinanzi a loro alcuno dei popoli che Giosuè, figlio di Nun, aveva lasciato liberi. Di poi, soggiungendo per qual motivo li aveva lasciati: e li ha lasciati -dice - al fine di mettere alla prova Israele per mezzo di quelli [per vedere se gli Israeliti] osservano la via del Signore per camminare in essa come l’avevano seguita i loro padri oppure no; con ciò l’agiografo vuol fare intendere che avevano osservato le vie del Signore quei padri che furono con Giosuè, cioè al tempo in cui egli viveva. Poiché l’agiografo riferisce poco prima 21 che, dopo coloro che erano vissuti con Giosuè, era sorta un’altra generazione di persone dalle quali ebbero inizio le trasgressioni che offesero il Signore: al fine di tentarli, cioè di metterli alla prova, erano state lasciate libere le popolazioni e non erano state sterminate da Giosuè.

17. 3. Di poi, perché non si pensasse che Giosuè aveva agito in modo che rimanessero quelle popolazioni per sua propria decisione - diciamo così - umana, la Scrittura soggiunge: E il Signore lasciò queste popolazioni per non scacciarle subito e non le consegnò nelle mani di Giosuè, e poi continua: Queste sono le popolazioni che Giosuè lasciò allo scopo di mettere, per mezzo di esse, alla prova Israele, tutti coloro cioè che non avevano conosciuto tutte le guerre combattute contro Canaan; ma ciò avvenne [solo] allo scopo di addestrare alla guerra quelle generazioni dei figli di Israele. Era dunque questo il motivo di metterle alla prova: quello d’imparare a fare la guerra, cioè di fare la guerra con tanto spirito di religione e di ubbidienza alla legge di Dio quanto ne ebbero i loro padri, i quali anche nel combattere piacquero al Signore Dio, non perché la guerra sia qualcosa d’importante e desiderabile ma perché lo spirito di religione e la bontà è lodevole anche in guerra. L’espressione che segue: ma coloro che prima di essi non le avevano conosciute, che cosa vuol far capire se non quelle popolazioni, che non avevano conosciuto, nel far la guerra, coloro che vissero prima di costoro e che furono lasciate per la tentazione, cioè per la prova di costoro? Di poi, ricordando quali erano [quelle popolazioni] l’agiografo dice: le cinque satrapie degli stranieri che sono indicate più chiaramente nei Libri dei Re 22. Si chiamano satrapie una specie di piccoli regni a capo dei quali erano i satrapi, nome, questo, che in quelle regioni denota o denotava una carica precisa. Il narratore poi continua dicendo: Tutti i Cananei, i Sidonî, gli Evei, che abitavano il Libano dal monte Hermon fino a Laboemat. E avvenne che per mezzo di queste popolazioni fu messo alla prova Israele. È come se dicesse: Ciò avvenne, che Israele fu messo alla prova per mezzo dei popoli, per sapere se daranno ascolto ai comandamenti del Signore; non perché lo conoscesse Dio, il quale conosce ogni evento, anche i futuri 23, ma perché lo conoscessero essi e la loro coscienza e si vantassero o convincessero se dessero ascolto ai comandamenti ingiunti ai loro padri per mezzo di Mosè. Poiché dunque videro assai chiaramente di non aver ubbidito a Dio in mezzo a quelle popolazioni che erano state lasciate libere perché fossero tentati, cioè tribolati e messi alla prova, per questo motivo Dio disse non solo le cose che dall’angelo, che era stato loro inviato, furono riferite più chiaramente, ma anche quelle riferite poco prima dall’agiografo quando dice: Per il fatto che questo popolo ha abbandonato la mia alleanza che avevo prescritto ai loro padri e hanno rifiutato di ascoltare la mia voce, neppure io continuerò a scacciare alcuno [dei popoli] dinanzi a loro.

17. 4. Ma nel Deuteronomio si trova la seguente espressione proferita da Dio che parla di tali popoli nemici: Non li scaccerò in un solo anno, perché la regione non resti deserta e le bestie selvagge non si moltiplichino contro di te; io li scaccerò a poco a poco finché voi non diventerete assai numerosi e cresciate e conquisterete la regione 24. Il Signore avrebbe potuto mantenere questa sua promessa riguardo a coloro che fossero stati ubbidienti di modo che lo sterminio di quei popoli si sarebbe compiuto progressivamente con il crescere dei territori abitati dagli Israeliti. Quando cioè essi si fossero moltiplicati per non lasciare deserte le regioni dalle quali fossero stati sterminati i nemici. Sarebbe poi strano che l’espressione perché non si moltiplichino contro di te le bestie selvagge, non volesse significare in certo qual modo i desideri sfrenati e le passioni bestiali che di solito sono la conseguenza di una prosperità terrestre ottenuta troppo in fretta. Non è infatti vero che Dio avrebbe potuto sterminare gli uomini e non avrebbe potuto distruggere le bestie o piuttosto non permettere che nascessero.

La Scrittura chiama salvatore anche un uomo, mediante il quale Dio salva.

18. (3, 9) E il Signore suscitò un salvatore d’Israele e li liberò. Poi, come se gli fosse stato chiesto chi era il salvatore, l’agiografo dice: Gotoniele, figlio di Cenez. Qui dobbiamo prendere Gotoniele come caso accusativo, come se l’agiografo avesse detto " Gothonielem ". Si deve inoltre notare che chiama salvatore anche un uomo, mediante il quale Dio li salva. In effetti i figli di Israele innalzarono le loro grida al Signore e il Signore suscitò un salvatore per Israele, e li liberò, cioè Gotoniele, figlio di Cenez, fratello minore di Caleb, e li esaudì. Tra le diverse specie di quella usata qui è rara, poiché con-tiene anche quella che i Greci chiamano . La frase sarebbe più chiara se si ponesse prima l’espressione posta dopo, alla fine: e li esaudì, poiché l’ordine è il seguente: " E i figli d’Israele alzarono grida al Signore e li esaudì e il Signore suscitò un salvatore per Israele ". Viene dopo l’espressione qui interposta: e li salvò, e di poi si dice: Gotoniele - come se fosse un accusativo " Gothonielem " - figlio di Cenez. La frase sarebbe più chiara se fosse espressa così: " e il Signore suscitò come salvatore per Israele Gotoniele, figlio di Cenez, e li salvò ".

La pace sotto il giudice Gotoniele.

19. (3, 11) La Scrittura dichiara che sotto il giudice Gotoniele la terra promessa rimase in pace senza guerre per quarant’anni, lo stesso spazio di tempo di pace che all’inizio dell’Impero romano si poté avere soltanto sotto il re Numa Pompilio.

Se il giudice Aod mentì quando uccise Eglon.

20. (3, 19-20) A buon diritto possiamo chiederci se il giudice Aod mentì quando uccise Eglon re di Moab. Infatti nell’atto di tendergli un agguato da solo a solo per ucciderlo, gli disse: Ho un segreto per te, o re, affinché il re allontanasse da sé tutti coloro che stavano con lui. Dopo che ebbe fatto così, Aod gli disse di nuovo: Ho una parola di Dio per te, o re, ma ciò può non essere una menzogna dal momento che la Scrittura è solita chiamare con il termine " parola " anche un fatto; e così era realmente. Quanto all’espressione: parola di Dio, si deve prendere nel senso che a ordinargli di compiere quell’atto era stato Dio, il quale lo aveva suscitato quale salvatore del suo popolo, come in quei tempi era conveniente si compissero tali azioni per disposizione divina.

Il significato delle parole: il re Eglon era molto magro.

21. (3, 17. 22) Giustamente si pone il quesito per qual motivo [la Scrittura dice che] il re Eglon era molto magro, e che il grasso richiuse la ferita quando fu colpito. Ma si deve pensare che [la prima frase] è espressa con una locuzione da intendersi in senso contrario, come si dice lucus [bosco sacro] per il fatto che non vi traspare la luce [non luceat] e si risponde che c’è abbondanza di qualcosa che non c’è; come si dice che uno " benedisse " il re invece di " maledisse ", come sta scritto nel Libro dei Re a proposito di Nabot 25. E appunto nella traduzione [latina] non condotta sul testo dei Settanta, ma dall’ebraico, troviamo scritto così: Ora Eglon era molto grasso.

Ricapitolazione di quanto era stato omesso.

22. (3, 23) E Aod uscì fuori e passò in mezzo ai guardiani e chiuse le porte della stanza superiore dietro di sé e mise il chiavistello. È detto ora per ricapitolazione ciò che era stato omesso. Poiché si deve pensare che Aod fece questo prima e così discese dal piano superiore e passò tra le guardie.

I servi del re Eglon schiavarono una porta schiavata.

23. (3, 25) Può creare imbarazzo in qual modo i servi del re Eglon aprirono con una chiave la porta che Aod non aveva chiuso con la chiave oppure, se l’aveva chiusa a chiave, come mai non l’avesse portata via con sé in modo che quelli non avrebbero potuto aprirla neppure con la chiave. Perciò o fu portata un’altra chiave oppure la serratura era di tale genere che le porte si sarebbero potute chiudere senza chiave, ma non si sarebbero potute aprire senza di essa. Ci sono effettivamente serrature di tal genere, come quelle chiamate veruclatae, cioè munite di un semplice chiavistello.

La pace sotto il giudice Aod.

24. (3, 30) Sotto il giudice Aod nella terra promessa Israele ebbe ottanta anni di pace, cioè uno spazio di tempo doppio di quanto fu quello memorabile goduto dai Romani sotto il re Numa Pompilio.

Il giudice Sangar.

25. (3, 31) Dopo di lui ci fu Sangar, figlio di Anat. Egli sconfisse seicento stranieri senza contare i vitelli delle vacche; anch’egli salvò Israele. Possiamo porci il quesito come mai dopo Aod combatté per Israele costui e salvò Israele, dal momento che gli Israeliti non erano stati ridotti di nuovo in cattività, o sottomessi al giogo della schiavitù. Dobbiamo quindi intendere che è detto salvò non perché il nemico avesse fatto loro qualche torto, ma che non gli fu permesso di farne, poiché si deve credere che il nemico cominciasse a combattere gli Israeliti ma fu respinto con la vittoria di questo giudice. Non si capisce tuttavia che cosa significhi la frase: senza contare i vitelli delle vacche. Fece forse anche una strage di vacche nella battaglia e perciò l’agiografo dice che uccise seicento uomini oltre a quanto fece con le vacche da lui uccise? Ma perché vitelli? È forse un modo di dire abituale della lingua greca chiamare vitelli anche quelli che sono diventati più grandi? Si dice infatti che in Egitto si usa parlare così dalla maggior parte della gente, come tra noi vengono detti pulli [polli] i piccoli della gallina qualunque sia la loro età. La traduzione latina fatta sul testo ebraico non ha però l’espressione senza contare i vitelli delle vacche, come la traduzione da me citata redatta conforme al testo dei Settanta. La traduzione fatta dal testo ebraico reca: seicento uomini uccisi con il vomero dell’aratro, espressione assente dai Settanta.

Ciò che Barac risponde a Debora.

26. (4, 8) Che cosa vuol dire ciò che Barac risponde a Debora dicendo: Se verrai, ci andrò, ma se non verrai con me non ci andrò, poiché non so il giorno in cui il Signore renderà propizio con me il suo angelo, come se non avesse potuto udire il giorno da parte della profetessa? Nemmeno essa però gli indicò il giorno ma si avviò con lui. E che vuol dire: Il Signore mi rende propizio l’angelo? Viene forse dimostrato qui che anche le azioni degli angeli sono rese propizie, cioè sono aiutate dal Signore affinché riescano felici? Oppure mi rende propizio l’angelo è un modo di dire che significa " fa con me cose favorevoli per mezzo dell’angelo "?

Il Signore agisce nel cuore di Sisara.

27. (4, 15) Il Signore gettò il terrore in Sisara e in tutti i suoi carri. Ecco in qual modo la Scrittura ricorda che il Signore agisce nel cuore per far riuscire le cose allo scopo da lui stabilito. Poiché in realtà atterrì o stordì Sisara per consegnarlo nelle mani [d’Israele].

In che senso un uomo entra da una donna.

28. (4, 22) Quando Giaele, la donna che aveva ucciso Sisara, ebbe parlato con Barac che lo cercava, dello stesso Barac sta scritto che entrò da lei, bisogna badare che quando la Scrittura dice che un uomo entrò da una donna non ne segue che si debba pensare che si fosse anche messo a giacere con lei. Effettivamente la Scrittura dice assai spesso: entrò da essa volendo far intendere solo che si congiunse carnalmente con lei. Qui dunque l’espressione entrò da lei è usata in senso proprio, cioè " entrò in casa sua ", non perché con questa frase s’intenda il congiungimento carnale.

L’ordine delle parole per capire una frase.

29. (5, 7-8) Nel cantico di Debora si dice: Mancavano abitanti in Israele, mancavano finché sorse Debora, finché sorse la madre in Israele, scelsero come pani d’orzo nuovi dèi; allora conquistarono le città dei principi. Questa serie confusa di parole rende oscuro il testo e solleva una questione. In qual senso si potrebbe intendere: scelsero come pani d’orzo nuovi dèi; allora conquistarono le città dei principi? Come se Dio fosse stato loro favorevole per conquistare le città dei principi allorquando scelsero come il pane d’orzo nuovi dèi. Ma da altri passi delle Scritture sappiamo già come spesso ricorrono degli iperbati e come, correggendo la disposizione delle parole, queste tornano al loro posto e allora se ne spiega facilmente il senso. L’ordine delle parole è dunque il seguente: mancavano gli abitanti in Israele, scelsero come pane d’orzo nuove divinità, finché non sorse Debora, finché non sorse la madre in Israele; allora conquistarono le città dei principi.

Servizio del pane d’orzo.

30. (5, 8) Si può porre il quesito in qual senso è detto: scelsero nuovi dèi come il pane d’orzo, poiché il pane d’orzo pur essendo d’infima qualità a paragone del pane di grano, tuttavia serve anch’esso a nutrire ed è un alimento vitale, mentre i nuovi dèi che - al dire dell’agiografo - si erano scelti gli Israeliti che avevano abbandonato il Dio vivente, non possono considerarsi come alimento ma piuttosto veleno dell’anima. Forse questo paragone dev’essere inteso nel senso che è adatto ad esprimere il seguente pensiero: come il più delle volte succede che per il disgusto si rigetta ciò che si dovrebbe scegliere e si prova piacere con ciò che si dovrebbe rigettare, così per il vizio della loro volontà depravata, malata di languore e disgustata dal vero Dio, che pur era il loro Dio, gli Israeliti cercarono nei falsi dèi la sola novità disprezzando la verità. E così preferirono un alimento mortifero come se fosse un pane d’orzo senza pensare che, a causa di quel pane, sarebbero andati in perdizione, persuasi anzi che avrebbero perfino ricevuto la vita come se fosse un alimento sano, sebbene più grossolano. L’agiografo dunque si servì di quel paragone basandosi sulla loro opinione e sulla malattia del loro spirito anziché sulla verità. Gli dèi nuovi infatti non possono essere paragonati ad alcuno degli alimenti che conservano la vita.

La Scrittura è solita dare agli angeli nomi di uomini.

31. (6, 7-8. 11) E avvenne che quando i figli d’Israele alzarono il loro grido al Signore a motivo di Madian e il Signore mandò un profeta ai figli d’Israele, e disse loro. Perché non è detto il nome di questo profeta - cosa molto inusitata nelle Scritture - c’è un motivo occulto, ma non credo tuttavia che non ci sia alcun motivo. Poiché, però, dopo le parole con cui rimproverò la disubbidienza del popolo, la Scrittura prosegue dicendo: E venne l’angelo del Signore e si mise a sedere sotto la quercia che era in Efra 26, non è illogico ritenere che questo angelo è indicato sotto il nome di " uomo " di modo che, dopo aver pronunciato quelle parole, andò sotto la suddetta quercia e vi si pose a sedere. È risaputo infatti che la Scrittura è solita dare agli angeli il nome di uomini 27 sebbene non appaia né facilmente né chiaramente che un angelo sarebbe chiamato " profeta ", mentre leggiamo che è chiamato " angelo " 28 chi era un profeta. Tuttavia se sono conosciute le enunciazioni profetiche degli angeli, cioè i detti con cui essi predissero gli eventi futuri, perché un angelo non potrebbe denotarsi con il nome di " profeta "? Ciononostante, però, come ho detto, non si presenta alla mente una prova sicura, precisa ed evidente a proposito di questo fatto.

Parole dell’angelo a Gedeone.

32. (6, 12) Quando l’angelo dice a Gedeone: Il Signore sta con te, potente in forza, è un caso nominativo, non un vocativo e perciò vuol dire: Il Signore, potente in forza è con te, e non: tu, o potente.

L’angelo parla con l’autorità del Signore.

33. (6, 14) Bisogna notare che quando l’angelo parlò a Gedeone, disse come se parlasse con l’autorità del Signore: Ecco, non sono forse io che ti ho inviato? Chi era stato infatti a inviarlo se non chi gli aveva mandato l’angelo? Debora, al contrario, non dice a Barac: " Non te l’ho forse ordinato io? ", ma dice: Non te lo ha forse ordinato il Signore? 29 Qui invece non è detto: " Ecco, non ti ha inviato il Signore? ", ma: Ecco, non sono stato forse io a mandarti?

Risposta di Gedeone all’angelo.

34. (6, 15) Quando Gedeone risponde all’angelo: In me, o Signore, - cioè: " volgiti verso di me " - come potrò salvare Israele? Ecco qui, i miei mille uomini : sono i più insignificanti in Manasse, e si capisce che egli era a capo di mille uomini, che in greco la Scrittura chiama (" comandanti di mille uomini "). Oppure si tratta di qualche altra cosa?

La funzione di ministro sacro nel sacrificio.

35. (6, 18-22) Bisogna notare che Gedeone non dice all’angelo: "Ti offrirò un sacrificio ", ma gli dice: Offrirò il mio sacrificio e lo porrò alla tua presenza. Si deve quindi pensare che egli volesse offrire il sacrificio non all’angelo, ma per mezzo dell’angelo. Ciò lo dimostra assai chiaramente lo stesso angelo, che non accettò da lui il sacrificio come se fosse offerto a lui, ma gli disse: Prendi la carne e i pani azzimi e ponili su quella pietra e versaci sopra il brodo. Dopo che Gedeone ebbe fatto così, l’angelo del Signore stese la punta del bastone che teneva in mano e toccò la carne e i pani azzimi e un fuoco sprigionatosi dalla pietra si accese e divorò le carni e i pani azzimi. In tal modo lo stesso angelo eseguì la sua funzione di ministro sacro nel sacrificio offerto da Gedeone; poiché un ministro uomo, in quanto uomo, non avrebbe potuto mettere sotto l’offerta il fuoco acceso senza un miracolo, quel fuoco che accese, come angelo, in modo miracoloso. In conseguenza Gedeone conobbe allora che quello era l’angelo del Signore, poiché la Scrittura subito dopo dice: E Gedeone vide che era l’angelo del Signore 30. Prima dunque Gedeone aveva parlato con lui credendo di parlare con un uomo, che tuttavia credeva fosse un uomo di Dio, desiderando offrire il sacrificio davanti a lui, certo che sarebbe stato aiutato dalla presenza della sua santità.

Perché Gedeone osò offrire a Dio il sacrificio fuori del luogo che Dio aveva stabilito.

36. (6, 20) Uno si può chiedere perché Gedeone osò offrire a Dio il sacrificio fuori del luogo che Dio aveva stabilito, poiché Dio aveva proibito di offrirgli sacrifici fuori della tenda-santuario 31, al posto della quale fu poi costruito il tempio. Ma al tempo in cui viveva Gedeone, la tenda-santuario di Dio si trovava a Silo e perciò soltanto lì si sarebbe potuto offrire un sacrificio a norma della legge. Si deve tuttavia pensare che da principio Gedeone aveva creduto che l’angelo fosse un profeta e lo aveva consultato come Dio circa il sacrificio che voleva offrire; se glielo avesse proibito, non l’avrebbe certamente offerto; ma, siccome approvò e acconsentì che si facesse, Gedeone nel farlo seguì l’autorità di Dio. Poiché Dio stabilì quelle norme di legge in modo da non dare leggi a se stesso ma agli uomini. Di conseguenza si deve pensare che tutto ciò che Dio comandò contro quelle norme fu compiuto non da trasgressori ma piuttosto da persone pie e ubbidienti, come fece Abramo nell’immolare suo figlio 32. Allo stesso modo anche Elia offrì un sacrificio fuori della tenda-santuario del Signore per confutare vittoriosamente i sacerdoti degli idoli 33; si deve credere che fece quel sacrificio per ordine del Signore il quale glielo comandò, come a un profeta qual era, con una rivelazione e un’ispirazione. Senonché l’abitudine di offrire sacrifici fuori della tenda-santuario era divenuta tanto frequente che troviamo scritto che anche Salomone offriva sacrifici sulle alture e i suoi sacrifici non furono disapprovati 34. Tuttavia vengono biasimati i re che, pur avendo compiuto opere degne di lode, non distrussero le alture, ove il popolo aveva preso l’abitudine di offrire sacrifici contro la legge di Dio, mentre riceve una lode maggiore chi le aveva distrutte. In quelle circostanze Dio, piuttosto che vietarla, tollerava l’abitudine del suo popolo di offrire sacrifici fuori della tenda-santuario senza tuttavia offrirli agli dèi stranieri ma al Signore suo Dio. Il Signore esaudiva le preghiere di coloro che gli offrivano quei sacrifici. D’altra parte, quanto a ciò che fece Gedeone, chi non vede un disegno profetico nell’azione dell’angelo, disegno profetico in cui sarebbe stata glorificata quella pietra? Quel sacrificio non fu certamente offerto alla pietra, ma la Scrittura ricorda che da essa si sprigionò il fuoco, con il quale si consumasse il sacrificio. Così non solo con l’acqua, sgorgata nel deserto dalla roccia percossa con il bastone 35 ma anche con il fuoco è simboleggiato il dono dello Spirito Santo che Cristo nostro Signore versò con grande abbondanza sopra di noi. Così anche nel Vangelo questo è simboleggiato dall’acqua, nel passo dove lo stesso nostro Signore dice: Se uno ha sete, venga da me e berrà. Chi crede in me, come dice la Scrittura, da lui sgorgheranno fiumi di acqua viva; e l’Evangelista soggiunge: [Gesù] diceva questo a proposito dello Spirito che avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in lui 36. Quel dono fu simboleggiato anche nel fuoco, nel passo in cui venendo lui sopra i discepoli adunati [nel cenacolo] si legge: Furono viste da essi come delle lingue di fuoco che si separavano e si posavano su ciascuno di loro 37, e lo stesso Signore dice: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra 38.

Il significato delle parole: con la loro mano e con la loro lingua.

37. (7, 6) E così il numero di coloro che lambirono [l’acqua] con la loro mano, con la loro lingua, fu di trecento uomini. La maggior parte dei manoscritti latini non hanno con la loro mano, ma solo con la loro lingua, poiché in questo senso interpretarono la frase precedente come i cani, ma il testo greco porta tutte e due le espressioni: con la loro mano e con la loro lingua per far capire che prendevano di corsa l’acqua con la mano e se la versavano in bocca. E questo modo assomigliava a quello dei cani quando bevono l’acqua, i quali non facevano come i buoi che bevono posando la bocca sull’acqua che bevono, ma la portano rapidamente alla bocca con la lingua, come si crede facessero anche quegli uomini, ma con la mano versando in bocca l’acqua che raccoglievano con la lingua. Anche la traduzione fatta dall’ebraico esprime ciò più chiaramente con le seguenti parole: Il numero di coloro che lambivano l’acqua portandola con la mano alla bocca fu pertanto di trecento guerrieri. In realtà gli uomini non sono soliti bere assorbendo l’acqua con la lingua come fanno i cani senza servirsi della mano e senza che fosse stato ordinato loro di fare così. Ma, essendo scesi verso l’acqua, molti bevvero inginocchiandosi, cosa che risultava più facile ed esigeva una fatica minore; pochi, al contrario, poiché si erano abbassati senza piegare il ginocchio, bevvero come i cani, versandosi però con la mano l’acqua in bocca. Il loro numero, poiché erano trecento, ci fa comprendere il segno della croce a motivo della lettera greca T, con cui è indicato questo numero. E poiché il T è una lettera greca, da essa fu prefigurato che anche i gentili avrebbero di preferenza creduto nel Crocifisso. L’Apostolo perciò, sotto il nome di Greci denota tutti i gentili, quando dice: Prima ai Giudei e poi ai greci 39, e: Giudei e Greci 40, spesso menzionando così i circoncisi e gli incirconcisi, poiché tra le lingue dei gentili la lingua greca è talmente superiore alle altre che per mezzo di essa vengono denotati convenientemente tutti i gentili. Si deve notare che questo numero corrisponde anche a quello dei servi di Abram, che l’aiutarono a liberare il fratello dai nemici quando ebbe da Melchisedec la benedizione che prefigurava un grande mistero. Quel numero sorpassa di diciotto unità il numero dei soldati di Gedeone - poiché erano trecentodiciotto 41 - e mi sembra che sia un simbolo anche dell’epoca in cui si sarebbe compiuto quel mistero, cioè della terza epoca che doveva essere quella sotto il regno della grazia. Poiché la prima epoca è quella anteriore alla Legge, la seconda sotto il regno della Legge, la terza sotto il regno della grazia. Ciascuna di queste epoche è simboleggiata dal numero sei a causa della perfezione [di questo numero], poiché tre per sei fa diciotto. Ecco perché anche quella donna era stata malata diciotto anni e il Salvatore, vistala incurvata, la fece tornare dritta e la liberò dal legame con cui la teneva legata il diavolo, come indica il Vangelo 42. Poiché il fatto che furono messi alla prova quegli uomini per mezzo dei quali Gedeone riportasse la vittoria e perciò l’agiografo dice che rassomigliavano ai cani nell’atto di bere, indica che il Signore ha scelto le cose che [per il mondo] non hanno nobiltà né valore 43, poiché il cane è ritenuto un animale spregevole; e perciò nel Vangelo si dice: Non sta bene togliere il pane dei figli e darlo ai cani 44; e Davide, per mostrarsi un uomo da poco e spregevole, chiamò se stesso un cane parlando con Saul 45.

L’espressione oscura ha fatto nascere molte differenti traduzioni.

38. (7, 11) Che significa ciò che è detto di Gedeone: Discese lui e il suo servo Fara verso la parte dei cinquanta che erano nell’accampamento? Alcuni manoscritti latini hanno: Nel punto dell’accampamento in cui stavano cinquanta sentinelle; altri invece: Nella cinquantesima divisione dell’accampamento. Ciò si spiega per il fatto che l’espressione oscura ha fatto nascere molte differenti traduzioni. Si trattava però o della parte dell’accampamento sorvegliata da cinquanta sentinelle oppure, se si deve supporre che dei picchetti di cinquanta sentinelle erano di guardia intorno a tutto l’accampamento, quegli uomini scesero nel lato dove stavano quei cinquanta soldati.

Significato di una tavola di pane d’orzo.

39. (7, 13) Il fatto di quel soldato che raccontò al suo vicino il sogno - ascoltato da Gedeone - perché fosse rassicurato riguardo alla futura vittoria. Disse di aver visto una tavola di pane d’orzo nell’accampamento cozzare contro la tenda di Madian e travolgerla. Io penso che questo fatto si debba intendere come quello dei cani 46, poiché mediante le cose spregevoli del mondo - simboleggiate dalla tavola di pani d’orzo - il Salvatore avrebbe fatto arrossire di vergogna i superbi 47.

Il grido ordinato da Gedeone e il significato.

40. (7, 20) Il grido che Gedeone ordinò fosse innalzato dai suoi trecento soldati: La spada per il Signore e per Gedeone - Gedeone nel testo è dativo - significa che la spada avrebbe compiuto ciò che sarebbe stato gradito a Dio e a Gedeone.

Che cosa è l’Efod.

41. 1. (8, 26-27) Si è soliti chiedersi che cosa sia l’efud o l’efod. Se esso è un indumento sacerdotale, come dicono molti, o meglio un soprabito, detto in greco oppure - che in latino può tradursi piuttosto come " pallio " - allora a ragione si resta imbarazzati di fronte al problema di sapere in che modo Gedeone lo fece con una così grande quantità d’oro. Poiché il testo della Scrittura dice così: E avvenne che il peso degli anelli d’oro che Gedeone aveva richiesto fu di millesettecento sicli d’oro, oltre ai braccialetti, alle collane e alle vesti di porpora indossate dai re madianiti, oltre ai collari che ornavano il collo dei loro cammelli. E Gedeone ne fece un efud e lo eresse a Ofra e tutto Israele fornicò lì dietro a quello e divenne uno scandalo per Gedeone e per la sua casa. In qual modo poté essere confezionato un vestito con tanto oro? Ora, anche la madre di Samuele confezionò per suo figlio, come leggiamo [nella Scrittura] un " efud bar ", che alcuni hanno tradotto con " efud di lino ", quando lo offrì al Signore per farlo allevare nel tempio 48; in questo caso appare con maggiore evidenza che quello era una specie di indumento. Oppure è detto: lo eresse nella propria città, affinché da questo particolare comprendessimo che era stato fatto d’oro? Poiché la Scrittura non dice " lo collocò ", ma lo eresse perché era tanto solido e resistente da poter essere eretto, cioè stare diritto su una base.

41. 2. Poiché dunque Gedeone aveva compiuto questa azione proibita, tutto Israele fornicò dietro a quello, cioè seguendolo contro la legge di Dio. A questo punto non senza ragione possiamo chiederci in che senso la Scrittura chiama " fornicazione " ciò che faceva il popolo nel seguire e nel venerare quell’oggetto, dal momento che non era un idolo, cioè la statua di alcun dio falso e straniero, ma l’efod, cioè una delle cose sacre della tenda-santuario, che faceva parte dei paramenti sacerdotali. La spiegazione di ciò sta naturalmente nel fatto che fuori della tenda-santuario di Dio, ove erano le cose che Dio aveva ordinato che fossero fatte lì, non era lecito fare alcunché di simile fuori di lì. Ecco perché il testo della Scrittura continua dicendo: [l’efod] divenne così uno scandalo per Gedeone e per la sua casa, cioè avvenne che si allontanò da Dio ch’era stato offeso da lui, e in un certo senso era una specie di idolo poiché, come un qualunque oggetto fatto dalle mani dell’uomo, veniva venerato invece di Dio fuori della tenda-santuario di Dio, mentre le stesse cose che era stato comandato di fare nella tenda-santuario dovevano riferirsi al culto di Dio anziché considerarne qualcuna come Dio e venerarla come un’immagine di Dio.

41. 3. Senonché, per efod o " efud ", a causa della figura retorica che indica la parte per il tutto, si potrebbero intendere tutti gli oggetti che Gedeone stabilì nella sua città simili a quelli esistenti nella tenda-santuario di Dio per il culto di Dio; e proprio per questo, poiché l’efod è il distintivo della dignità sacerdotale spesso ricordato dalla Scrittura 49, si deduce che il peccato di Gedeone sarebbe consistito nell’aver costruito, al di fuori della tenda-santuario di Dio, un edificio somigliante ove fosse adorato Dio, non nell’aver costruito un efod d’oro massiccio perché venisse adorato, ma nell’aver formato, con l’oro stesso proveniente dal bottino di guerra, gli oggetti destinati all’ornamento e gli arredi del santuario, cose tutte che sarebbero denotate dall’efod in quanto - come ho detto - esso era l’indumento per eccellenza del paramento sacerdotale. In effetti era stato anche comandato che lo stesso efod, se si tratta dell’omerale del paramento sacerdotale, fosse confezionato non già di solo oro, ma anche con qualche lamina d’oro; poiché era stato ordinato da Dio che fosse confezionato con oro, lana viola, rossa e scarlatta e con bisso 50. Ma poiché i Settanta traduttori, dopo aver ricordato tutto ciò che Gedeone aveva preso dal bottino, esposero ciò così da concludere: e Gedeone lo ridusse in un efod, sembra che si siano espressi in modo da far pensare che l’efod fu confezionato con tutto ciò che era stato ricordato, potendosi intendere che anche in quel caso si tratta della figura retorica con cui si indica la parte per il tutto : in tal modo l’espressione: lo ridussero in un efod si potrebbe prendere nel senso " ne fece un efod ", oppure: " formò con esso un efod " senza usarlo completamente per l’efod, ma impiegando solo quanto ne era sufficiente. Orbene, nella traduzione fatta dall’ebraico così leggiamo: e Gedeone ne fece un efod. La parola efud che sta scritta nei Settanta si dice che nel testo ebraico si chiama efod. Non tutti i sacerdoti però usavano una siffatta mantellina, fatta d’oro, di lana violacea, di porpora, di scarlatto e di bisso, ma solo il sommo pontefice. Di conseguenza non era assolutamente come questo quello che abbiamo ricordato, confezionato dalla madre per Samuele, poiché quando fu offerto per essere allevato [nel santuario] non era il sommo sacerdote ma era appunto un ragazzo. Pertanto, come abbiamo detto, si chiama efud bar o meglio - come affermano coloro che sanno l’ebraico - efud bat, e significa " efod di lino ". Io però credo che Gedeone fece confezionare quella che era la veste e l’ornamento principale del sommo sacerdote, con il quale s’indicavano anche tutti gli altri lavori per il santuario che aveva fatto erigere nella sua città fuori del santuario di Dio. A causa di questo peccato l’efod divenne per lui e per la sua famiglia uno scandalo e in tal modo - come in seguito narra la Scrittura - andò in rovina una sì grande moltitudine di figli 51.

Perché la regione ebbe pace per quarant’anni al tempo di Gedeone.

42. (8, 27-28) Sorge ora un quesito non trascurabile, di sapere cioè in qual modo la regione ebbe pace per quarant’anni al tempo di Gedeone, quando dopo la vittoria con la quale liberò gli Ebrei, con l’oro del bottino fece l’idolo e tutta Israele si prostituì dietro ad esso e divenne per lui e per la sua famiglia motivo di scandalo. In qual modo dunque, dopo un sì grave peccato, commesso da Gedeone e dal popolo, la regione ebbe pace quarant’anni dal momento che la Scrittura è solita mostrare che, quando il popolo si prostituiva allontanandosi dal Signore Dio, esso non conquistava la pace ma anzi la perdeva, veniva assoggettato ai nemici anziché venire difeso dagli attacchi violenti dei nemici? Ma si deve pensare che la Scrittura, come è sua abitudine, dice con la prolessi, cioè con l’anticipazione, che Gedeone, trasgredendo la legge di Dio, con l’oro sottratto ai nemici sconfitti e umiliati, fece l’efod, poiché volle dire in un unico passo donde proveniva quell’oro e che cosa si fece con esso. Ma in seguito, alla fine dei giorni di Gedeone fu commesso questo peccato, allorché vennero come conseguenza anche i mali di cui parla la Scrittura, dopo aver ricordato per quanti anni al tempo di Gedeone ebbe pace il paese, anni che essa ricorda per ricapitolazione, cioè riprendendo l’ordine logico del racconto che prima aveva invertito parlando dello scandalo nato più tardi.

La fornicazione chiarissima del popolo dietro gli idoli.

43. (8, 33) E avvenne che, dopo la morte di Gedeone, i figli di Israele si allontanarono [da Dio] e si prostituirono seguendo i baalim e stabilirono per loro come alleanza Baalberit perché fosse il loro Dio. Si deve credere che non solo i Baal ma anche Baalberit sono degli idoli. Pertanto dopo la morte di Gedeone il popolo commise una trasgressione e una fornicazione più grave di quella commessa quando egli era in vita a causa dell’efod, poiché anche se quell’oggetto era stato formato illecitamente, ciononostante faceva parte degli oggetti sacri della tenda-santuario mentre questa fornicazione di seguire gli idoli non può essere giustificata neppure con la falsa religione paterna. Perciò anche se quell’efod non fu formato alla fine del tempo di Gedeone ma prima, Dio lo tollerò con tanta pazienza, che la pace continuò a regnare nel paese poiché sebbene fosse stato fatto ciò che Dio aveva proibito, tuttavia [il popolo con lui] non si era molto allontanato da lui che aveva ordinato di fare un simile oggetto nel suo santuario e in suo onore. Ora invece Dio non volle lasciare senza castigo peccati più gravi e la fornicazione chiarissima del popolo dietro gli idoli.

L’apologo in cui il ramno è pregato di regnare sugli alberi.

44. (9, 14-15) Non è affatto chiaro il senso del passo in cui il ramno, cioè una specie di rovo, nell’apologo è fatto comparire a dire a tutti gli alberi che vanno a pregare di regnare su di loro: Se davvero avete l’intenzione che io regni su di voi, venite, confidate nella mia protezione; ma se non [volete], esca fuori dal ramno un fuoco e divori i cedri del Libano, ma è reso chiaro introducendo una virgola. Poiché non deve leggersi così: e se non uscisse il fuoco dal ramno, ma dopo queste parole si deve porre una virgola, così: E se non, e poi far seguire: esca il fuoco dal ramno, cioè: " Ma se non confidate nella sua protezione ", oppure: " E se davvero non mi ungete per regnare su di voi, esca il fuoco dal ramno e divori i cedri del Libano ". Sono infatti parole di chi minaccia che cosa potrebbe fare, se rifiutassero che regnasse sopra di essi. Ma siccome non dice: " il fuoco del ramno divorerà i cedri del Libano ", ma dice: esca il fuoco e divori, il senso è più oscuro che nel caso fosse sottintesa la sola punteggiatura. Risulta infatti una minaccia più forte e, in un certo qual modo, più energica ed efficace, se uno dicesse: " se non vuoi fare ciò che voglio io, la mia collera infierisca contro di te ", cioè " si scateni all’istante, perché la trattengo? ", che se dicesse " si scatenerà " minacciando una vendetta avvenire con il modo futuro.

In che senso Dio invia un angelo maligno.

45. (9, 23) Dio poi inviò uno spirito maligno tra Abimelek e i signori di Sichem. Non è facile precisare se la parola inviò indichi un comando o un permesso di Dio. La parola usata qui è " lasciò andare " [emisit], il testo greco ha [mandò fuori, inviò] che si trova anche nei Salmi ove si legge: Invia la tua luce 52. Sennonché in alcuni passi i nostri traduttori, anche ove nel testo greco c’è , hanno tradotto: misit " inviò " e non emisit " lasciò andare ". Può anche intendersi nel senso che Dio inviò uno spirito maligno come se avesse inviato lo spirito che desiderava andare tra quelle persone, cioè come se avesse dato allo spirito maligno la facoltà di turbare la loro pace. Non si è considerato infatti illogico che sia anche inviato dal Signore lo spirito maligno per il giusto dovere di dare un castigo, tanto che alcuni hanno tradotto il verbo perfino con immisit [fece entrare].

Contenuto del messaggio inviato da Zabul, ad Abimelek.

46. (9, 32-33) Il messaggio inviato da Zabul, comandante della città di Sichem, ai messaggeri di Abimelek contiene anche le seguenti parole: " E ora lèvati di nottetempo tu e il popolo che sta con te e tendi un’imboscata in campagna. E avverrà che la mattina, al sorgere del sole ti affretterai e farai irruzione nella città ". Alcuni manoscritti hanno la parola latina maturabis [ti affretterai], altri invece manicabis [ti alzerai di buon mattino], il greco usa un termine che non si potrebbe esprimere con una sola parola, e cioè diluculo surge [àlzati sul far del giorno]. E forse, a questo proposito, potrebbe essere stato usato il verbo maturabis [ti affretterai] per esprimere il tempo del mattino, sebbene si sia soliti usare questo termine anche per qualunque altro tempo, quando occorre affrettare l’esecuzione di qualche faccenda. Quanto però a manicabis non mi risulta che sia un verbo latino. Mi stupisce il fatto che, avendo l’agiografo detto: appena sorge il sole, aggiunga: ti leverai sul far del giorno [diluculo], poiché l’alba, che in greco si dice , indica il tempo antecedente al sorgere del sole, come ormai si dice assai comunemente, quando comincia ad albeggiare. Pertanto il termine mane [di mattina] usato dal narratore dev’essere inteso nello stesso senso di diluculum [l’alba]. L’agiografo poi aggiunge: appena si leva il sole, per dire che l’ordine doveva essere compiuto non dopo la levata del sole ma quando fosse apparso il chiarore del sole al suo levarsi. Poiché l’alba non comincia ad apparire nel suo chiarore se non da quando la luce del sole tornando verso di essa abbia raggiunto la zona del cielo che vediamo ad Oriente. Di qui deriva il fatto che anche nel Vangelo, raccontando il medesimo fatto, un Evangelista lo dice avvenuto sul far del giorno, quando era ancora buio 53, un altro Evangelista dice invece che avvenne al levar del sole 54, poiché la stessa luce dell’alba, per quanto fioca fosse,derivava naturalmente dal sole al suo sorgere, cioè si avvicinava al suo levarsi e diffondeva il suo splendore con l’approssimarsi della sua presenza. Questa luce che alcuni ignoranti della dottrina cristiana non credono che sia quella del sole, ma quella creata al principio prima che Dio il quarto giorno creasse il sole.

Sulle parole: figlio del padre di suo fratello.

47. (10, 1) E dopo Abimelek sorse, per salvare Israele, Tola, figlio di Fua, figlio del padre di suo fratello, uomo [della tribù] di Issacar. Il redattore chiama figlio del padre di suo fratello il figlio di suo zio paterno, quando si sarebbe detto in modo più ordinato, più ordinario e più chiaro: " figlio del fratello di suo padre ", poiché era figlio di suo zio paterno, come si trova più chiaramente espresso nella traduzione fatta dall’ebraico. Di conseguenza l’espressione patris fratris non è declinazione di quella che al nominativo suona pater fratris [padre del fratello], ma di quella che suona patris frater [fratello del padre] che vuol dire " zio paterno ". Poiché, sia che si dica " il padre del fratello ", con " padre " al nominativo, sia che si dica " fratello del padre " con " padre " al genitivo, l’espressione fa sempre patris fratris [figlio del fratello del padre]. Ora però si presenta un altro interrogativo: in che modo era un uomo di Issacar, cioè della tribù di Issacar, dal momento che Abimelek aveva avuto per padre Gedeone, che era della tribù di Manasse? In che modo dunque Fua e Gedeone erano fratelli, di guisa che Fua poté essere zio paterno di Abimelek e il figlio di questi Tola, secondo questo racconto, successe allo stesso Abimelek? Gedeone e Fua poterono quindi avere una stessa madre sebbene fossero nati da padri diversi e sarebbero stati fratelli in quanto figli della stessa madre ma non dello stesso padre. Infatti le donne d’una tribù erano solite maritarsi con uomini di un’altra tribù. Ecco perché Saul, pur essendo della tribù di Beniamino, diede sua figlia a Davide, della tribù di Giuda 55; così anche il sacerdote Ioiade, naturalmente uomo della tribù di Levi, sposò la figlia del re Iora, uomo della tribù di Giuda 56. Ecco perché nel Vangelo leggiamo che Elisabetta e Maria erano parenti 57, sebbene Elisabetta fosse discendente da Aronne. Da qui si comprende che una donna della tribù di Levi e discendente da Aronne si maritò con un uomo della tribù di Giuda, di modo che tra tutte e due risultò la parentela e così la carne del Signore trasse origine non solo dalla stirpe regale ma anche da quella sacerdotale.

Le parole che Iefte manda a dire al re dei figli di Ammon.

48. (11, 24) Tra le altre cose, che Iefte per mezzo di messaggeri manda a dire al re dei figli di Ammon, dice anche questo: Non erediterai forse tutto ciò che il tuo dio Camos ti ha fatto ereditare e noi non erediteremo forse tutto ciò che ci ha fatto ereditare il Signore Dio nostro da parte vostra? Alcuni traduttori latini hanno pensato di dover tradurre questo passo dicendo: Non possederai forse tutto ciò che ti ha dato in eredità il tuo dio Camos? Da queste parole può sembrare che Iefte confermi che questo dio, chiamato Camos, avesse potuto dare qualcosa in eredità ai suoi adoratori. Alcuni altri, invece, hanno tradotto così: Non possederai forse tutto ciò che possedette il tuo dio Camos? E ciò viene a dire come se avesse potuto possedere qualcosa. Oppure l’espressione vuol dire che i popoli sono posti sotto il potere degli angeli, come è detto nel cantico di Mosè, servo di Dio 58? si chiamava forse Camos l’angelo sotto il potere del quale stavano i figli di Ammon? Chi oserebbe affermarlo, dal momento che si potrebbe pensare che la frase esprime l’opinione di quel re, poiché credeva che il proprio dio possedeva ciò o lo aveva dato a lui in possesso? Questo senso appare più evidente nelle seguenti parole del testo greco: Non erediterai forse tutto ciò che ereditò per te il tuo dio Camos? In tal modo con la parola per te [tibi] usata qui s’intende come se fosse detto: " come sembra a te ". Ereditò infatti per te che pensi così, non che il tuo dio avesse potuto ereditare qualcosa. Infine nella frase che segue: e tutto ciò che ereditò il Signore, nostro Dio, l’agiografo non dice: " ereditò per noi ", come se dicesse: " come sembra a noi ", ma ereditò davvero da parte vostra, poiché lo sottrasse loro e lo diede a questi: Ciò - dice - noi erediteremo.

La figlia di Iefte offerta in olocausto a Dio dal padre.

49. 1. (11, 29-35) A proposito della figlia di Iefte offerta in olocausto a Dio dal padre, alcuni sono soliti porsi un problema importante e assai difficile. Nella guerra il padre aveva fatto il voto che, se avesse vinto, avrebbe offerto in olocausto la persona che uscendo dalla propria casa gli si fosse presentata. Fatto il voto riportò la vittoria e presentataglisi la propria figlia mantenne la promessa fatta nel voto. Questo problema se lo pongono alcuni desiderosi di sapere che significato ha questo fatto e cercano di risolverlo con spirito di fede, mentre se lo pongono alcuni altri che però sono contrari alle Sacre Scritture per blasfema empietà e le accusano soprattutto perché il Dio della Legge e dei Profeti si sarebbe compiaciuto anche dei sacrifici umani. Alle loro copiose obiezioni rispondiamo in primo luogo che il Dio della Legge e dei Profeti e, per dirlo più chiaramente, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe 59 non si compiacque nemmeno dei sacrifici in cui venivano offerti in olocausto animali ma, poiché erano riti di significato simbolico e come ombre delle realtà future, Dio volle indicarci le realtà simboleggiate da quei sacrifici; Dio volle inoltre indicarci che anche questo fu un buon motivo perché quei sacrifici fossero cambiati e adesso non fosse comandato, anzi fosse proibito di offrirli, affinché non credessimo che Dio si compiacesse davvero di quei sacrifici secondo un sentimento carnale.

49. 2. Ma a ragione si pone il quesito se era conveniente indicare simbolicamente i beni futuri anche mediante i sacrifici umani. Non è che l’immolazione, per questo motivo, di vittime umane, presto o tardi destinate a morire, dovrebbe ispirarci orrore e terrore, se queste vittime votatesi volontariamente con gioia a subire un simile sacrificio acquistassero con ciò presso Dio il premio eterno. Ma se questo fosse vero, non dispiacerebbe a Dio questo genere di sacrifici; ora invece la medesima Scrittura ci attesta che siffatti sacrifici non gli sono affatto graditi. Infatti, sebbene avesse voluto e comandato che tutti i primogeniti fossero consacrati a lui e che fossero suoi, volle tuttavia che i primogeniti degli uomini fossero riscattati 60, perché non credessero di dover immolare a Dio i propri figli che avessero avuti per primi. Dio inoltre espone ciò più chiaramente per il fatto che riprova i sacrifici umani in modo da detestarli e proibirli negli altri popoli e da comandare al suo popolo di non osare imitarli. Quando però - è detto - il Signore tuo Dio avrà sterminato dalla tua presenza le nazioni verso le quali tu entri per ereditare la loro terra lontano dalla tua faccia e li avrai ricevuti in eredità ed abiterai sulla loro terra, guàrdati di cercare di seguirli dopo che saranno stati sterminati lontano dalla tua faccia; non cercherai i loro dèi dicendo: Come queste nazioni agiscono riguardo ai loro dèi, così agirò anch’io. Tu non agirai così riguardo al Signore tuo Dio; poiché le pratiche abominevoli che il Signore detesta esse le hanno compiute per i loro dèi, poiché bruciano con il fuoco i loro figli e le loro figlie per i loro dèi 61.

49. 3. Con i suddetti testi della Sacra Scrittura, per non citarne altri di tal genere, che cosa può dimostrarsi con maggiore evidenza che Dio, dal quale questa Scrittura è stata data al genere umano, non solo non si compiace di siffatti sacrifici, per cui vengono immolati degli uomini, ma li odia? Si compiace invece senza dubbio e premia quei sacrifici quando un giusto, soffrendo con pazienza l’ingiustizia fino alla morte, combatte recisamente per la verità o viene ucciso dai nemici offesi da lui nel difendere la giustizia, rendendo loro bene per male, cioè amore per odio. È questo il sangue che il Signore chiama " giusto " a cominciare da quello di Abele fino a quello di Zaccaria 62, ma soprattutto perché versò lui stesso il suo sangue per noi e offrì se stesso come sacrificio a Dio e certamente lo offrì in modo che dai suoi nemici fu ucciso perché difendeva la verità. Seguendo il suo esempio migliaia di martiri lottarono in difesa della verità fino alla morte e furono immolati dai nemici inferociti. Di essi la Scrittura dice: Li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come olocausto 63, e perciò l’Apostolo dice: poiché io sto ormai per essere immolato 64.

49. 4. Iefte però di sua figlia non fece un olocausto al Signore in questo modo, ma nel modo in cui era stato comandato di offrire gli animali ed era stato proibito di offrire in sacrificio gli uomini. Questa azione [di Iefte] sembra piuttosto simile a quella compiuta da Abramo, come gli era stato ordinato da Dio con un comando particolare 65 non in forza di una legge generale con cui aveva ordinato che gli si offrissero talora sacrifici simili, anzi aveva anche proibito assolutamente che gli fossero offerti. C’è quindi una differenza tra l’azione compiuta da Iefte e quella compiuta da Abramo, poiché questi offrì il figlio in sacrificio in forza d’un comando, mentre Iefte fece ciò che non solo era proibito dalla legge ma non era stato imposto con alcun ordine particolare. Dio inoltre non solo in seguito con la sua legge ma anche allora con lo stesso figlio di Abramo dimostrò come non si compiacesse di siffatti sacrifici, quando trattenne il padre - del quale aveva messo alla prova la fede dandogli quell’ordine - dall’uccidere il figlio e gli presentò un ariete con cui compiere lecitamente il sacrificio secondo la consuetudine degli antichi rispondente a quei tempi.

49. 5. Se però ciò crea a qualcuno il problema di sapere come mai Abramo poté credere con spirito religioso che Dio si compiacesse di siffatti sacrifici se vengono offerti a Dio in modo illecito e perciò pensa che anche Iefte credette che un simile sacrificio potesse essere gradito a Dio, consideri anzitutto che una cosa è fare un voto spontaneamente, un’altra è ubbidire a uno che comanda. Poiché se a un servo si comanda qualcosa di contrario al costume stabilito in una casa dal padrone e lo fa con lodevole ubbidienza, non per questo non dev’essere castigato se oserà farlo spontaneamente. D’altra parte Abramo aveva motivo di credere che non doveva risparmiare il figlio a cagione del supremo comando di Dio, pur non credendo che Dio accettasse con piacere siffatte vittime, ma credendo che gli aveva dato quel comando per risuscitare il figlio ucciso e con ciò dimostrare qualcosa d’importante in quanto Dio sapiente. A proposito di lui si legge ciò anche nella Lettera intitolata agli Ebrei e se ne loda la fede poiché aveva creduto che Dio avrebbe potuto risuscitare suo figlio 66. Iefte invece, senza che Dio né lo comandasse né lo chiedesse, anzi contro il precetto della legge di Dio promise in voto un sacrificio umano. Poiché così sta scritto: Iefte fece voto al Signore e disse: " Se metterai nelle mie mani i figli di Ammon e chiunque uscirà dalle porte di casa mia [per venire] incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, sarà per il Signore e glielo offrirò in olocausto ".

49. 6. Con queste parole non fece di certo il voto di offrire in olocausto un animale che potesse offrire in olocausto secondo la legge; poiché non è né era abituale che ai capitani tornanti vittoriosi dalla guerra andassero incontro degli animali. Quanto agli animali muti i cani sono soliti correre incontro ai loro padroni ruzzando con lusinghevoli gesti di ossequiosità, ma Iefte non avrebbe potuto pensare ai cani nel fare il suo voto, per non dare l’impressione di aver promesso in voto qualcosa non solo di illecito ma anche di spregevole e di impuro secondo la legge, offendendo così Dio. E non disse: " qualunque cosa uscirà dalle porte della mia casa incontro a me lo offrirò in olocausto ", ma disse: chiunque uscirà lo offrirò. Dicendo così non pensò di certo ad altro che a un essere umano, forse tuttavia non alla sua unica figlia. Sennonché in un momento di tanta gloria per suo padre chi l’avrebbe potuta precedere nel corrergli incontro se non forse la moglie? Poiché quanto al fatto che non disse: quaecumque [chiunque, al femminile], bensì quicumque [chiunque, al maschile] uscirà dalle porte della mia casa, la Scrittura suole usare il genere maschile per qualsiasi genere, come a proposito di Abramo che dice: si allontanò dal suo morto 67, sebbene la morta fosse sua moglie.

49. 7. Ora, sembra che la Scrittura non abbia pronunciato alcun giudizio su questo voto e su questo fatto, come invece lo pronunciò assai chiaramente a proposito di Abramo quando offrì in sacrificio il figlio per ordine di Dio, ma l’azione di Iefte l’ha solo lasciata scritta perché fosse giudicata dai lettori; così pure a proposito dell’azione di Giuda, figlio di Giacobbe, quando si unì carnalmente alla sua nuora, senza saperlo - è vero - ma per quanto dipendeva da lui fornicò con lei che egli aveva creduto fosse una meretrice 68, la Scrittura né l’approvò né la riprovò, ma lasciò che venisse giudicata ed esaminata in base alla giustizia e alla legge di Dio. Poiché dunque di quell’azione di Iefte la Scrittura di Dio non pronunciò un giudizio né in senso favorevole né in senso contrario, affinché la nostra intelligenza si sottoponesse continuamente a uno sforzo di riflessione nel giudicare, potremmo dire adesso che quel voto dispiacque a Dio e che perciò fu indotto a castigare Iefte facendogli andare incontro proprio l’unica sua figlia, poiché se quello lo avesse sperato e voluto, non si sarebbe stracciato le vesti appena lo vide e avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei. Inoltre, pur avendo il padre dato alla figlia una proroga tanto lunga di sessanta giorni, il Signore non gli impedì di uccidere l’unica figlia carissima, come aveva impedito Abramo, fino a quando compiendo il sacrificio promesso in voto diede da se stesso un colpo al suo cuore con la perdita assai grave della figlia 69, senza tuttavia riuscire a placare affatto Dio con l’immolazione d’una persona umana. Potremmo perciò dire che il padre fu punito [per il suo peccato] in questo modo, perché non fosse lasciato senza castigo l’esempio di un voto di tal crudeltà con la conseguenza che gli uomini avrebbero potuto pensare che promettevano in voto a Dio qualcosa d’importante quando gli facessero voto di offrirgli vittime umane e - cosa più orribile - i propri figli, o che i medesimi voti non fossero veri ma piuttosto delle finzioni, come se coloro che avevano fatto il voto, rifacendosi all’esempio di Abramo, sperassero che Dio avrebbe impedito il compimento di siffatti voti.

49. 8. Potremmo - dico - affermare ciò, se non fossimo impediti di pensare così da due testi soprattutto della Sacra Scrittura che ci spingono ad esaminare con maggiore attenzione e a considerare con maggior cautela, per quanto ci aiuterà il Signore, questo avvenimento tramandato alla posterità nei libri di sì grande autorità, per non pronunciare un giudizio temerario né favorevole né contrario. Uno dei testi [della Scrittura] è quello della Lettera agli Ebrei, in cui Iefte è menzionato tra personaggi talmente qualificati che non oso biasimarlo come colpevole; in quel testo sta scritto: E che cosa potrei dire ancora? Poiché mi manca il tempo per parlare di Gedeone, di Barac, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei Profeti, i quali con la fede conquistarono regni, praticando la giustizia, ottennero quanto Dio aveva loro promesso 70. L’altro testo è quello in cui si narrano queste azioni a proposito di lui, che cioè fece un siffatto voto e lo adempì; la Scrittura prima di narrare questo fatto dice: Lo Spirito del Signore scese su Iefte, [il quale] percorse Galaad e Manasse, attraverso la vedetta di Galaad [giunse] alle spalle degli Ammoniti e Iefte fece un voto al Signore 71, e tutto il resto relativo al voto, in modo che tutto ciò che avvenne in seguito pare debba interpretarsi come azioni dello Spirito del Signore che era sceso su di lui. Questi testi ci costringono a ricercare per qual motivo avvenne ciò che avvenne anziché a riprovare il fatto.

49. 9. Anzitutto il testo della Lettera agli Ebrei ricordato da me, tra i personaggi degni di lode lì menzionati, ricorda non solo Iefte ma anche Gedeone, del quale la Scrittura dice ugualmente: Allora lo Spirito del Signore rafforzò Gedeone 72. Con tutto ciò non solo non possiamo lodare, ma anche, poiché la Scrittura pronuncia un giudizio contrario su di essa, non esitiamo a riprovare la sua azione di aver confezionato con l’oro del bottino l’efud e tutto Israele si prostituì nel seguirlo e divenne motivo di rovina per la casa di Gedeone 73 ma ciononostante da ciò non deriva alcuna offesa allo Spirito del Signore che lo aveva reso tanto forte che vinse con sì gran facilità i nemici del suo popolo. Perché allora Gedeone è menzionato tra coloro che in virtù della fede conquistarono regni praticando la giustizia, se non perché la Sacra Scrittura, che ne loda per davvero la fede e la giustizia, non per questo si trattiene dal biasimare davvero anche i peccati se ne conosce alcuni o giudica doveroso riprovarli? Infatti, anche per il fatto che lo stesso Gedeone tentò Dio con il vello chiedendogli un segno, come disse lui stesso 74, non so se non trasgredì il precetto, enunciato dalla Scrittura con la seguente espressione: Non tenterai il Signore Dio tuo 75. Tuttavia, pur essendo stato tentato, Dio mostrò ciò che voleva predire, cioè con il vello bagnato di rugiada e con l’aia asciutta, tutto all’intorno voleva prefigurare prima il popolo d’Israele, dove si trovavano i santi con la grazia celeste come se fosse una pioggia spirituale, e poi con l’aia bagnata e il vello asciutto prefigurare la Chiesa diffusa in tutto il mondo, la quale possiede la grazia celeste non già nel vello come in un velo, ma in modo manifesto, una volta che il precedente popolo si era allontanato, per così dire, dalla rugiada della medesima grazia e si era essiccato. Tuttavia non senza ragione egli meritò una testimonianza così esimia nella Lettera agli Ebrei fra i fedeli cooperatori di giustizia a causa della sua vita onesta e fedele, in cui si deve credere che morisse.

49. 10. Siccome però, dopo che la Scrittura dice: E su Iefte scese lo Spirito del Signore, racconta immediatamente che fece quel voto, vinse i nemici e mantenne la promessa fatta in voto, non saprei se tutto ciò debba attribuirsi allo Spirito del Signore in modo che anche questo sacrificio debba considerarsi come se il Signore avesse comandato di offrirlo allo stesso modo che era stato ordinato da Abramo. Poiché a proposito di Gedeone potrebbe essere addotta questa differenza che, dopo il peccato commesso da lui, allorché costruì l’efud al quale si prostituì tutto quanto il popolo, la Scrittura non menziona alcun suo successo, mentre dopo che Iefte fece il voto ne seguì come effetto quella straordinaria vittoria per conseguire la quale aveva fatto il voto e per averla conseguita adempì quanto aveva promesso. Bisogna dunque osservare di nuovo che Gedeone ottenne la salvezza per il popolo vincendo e sbaragliando i nemici con una grande strage, quantunque non dopo aver fatto l’efod, tuttavia dopo aver tentato il Signore, che di certo è un peccato; la Scrittura infatti dice così: E Gedeone disse al Signore: " Non si adiri contro di me il tuo sdegno e parlerò ancora una sola volta e ancora una sola volta ti tenterò con la prova del vello " 76. Aveva infatti paura della collera di Dio poiché sapeva di commettere un peccato con il tentare Dio, come è proibito da Dio in modo assolutamente chiaro nella sua legge 77. Tuttavia a questo suo peccato fece seguito un miracolo assai chiaramente manifesto e la felicità d’una vittoria senza uguale che assicurò la salvezza del popolo. Poiché Dio aveva stabilito già di venire in aiuto al popolo oppresso duramente e si serviva dell’animo non solo fedele e devoto ma anche alquanto difettoso e peccatore di questo capo che aveva scelto per questa impresa e per predire ciò che voleva e per compiere quel che aveva detto.

49. 11. Dio infatti concesse al suo popolo molti benefici, non solo per mezzo di questi personaggi i quali, anche se peccarono, sono menzionati tra i giusti, ma perfino per mezzo dello stesso Saul che, pur riprovato in ogni modo, era stato investito dallo Spirito del Signore e aveva profetizzato, e non quando agiva rettamente, ma quando sfogava il suo furore contro Davide 78. Poiché lo Spirito del Signore ciò che decide di fare lo effettua non solo per mezzo dei buoni ma anche per mezzo dei cattivi, per mezzo sia di coloro che lo sanno, sia di coloro che non lo sanno. Perfino mediante Caifa, il più accanito persecutore del Signore, il quale, senza sapere che cosa stesse dicendo, proferì la famosa profezia che Cristo dovesse morire per la nazione 79. Chi infatti se non lo Spirito del Signore, pensando di predire realtà future, al Giudice Gedeone che voleva tentare il Signore e non credeva a ciò che per suo mezzo gli era stato già detto riguardo alla salvezza del popolo, fece venire in mente [di chiedere] proprio la prova del vello prima bagnato e poi asciutto, la prova dell’aia prima asciutta e poi bagnata? La scarsezza di fede deve essere attribuita alla sua debolezza e dev’essere considerata un suo peccato; al contrario il fatto che Dio si servisse di una siffatta disposizione del suo animo per la realtà che si doveva prefigurare simbolicamente per il genere umano si deve intendere che si riferisce alla misericordia e alla mirabile provvidenza di Dio.

49. 12. Se però uno dirà che Gedeone fece e disse tutto consapevolmente per una rivelazione profetica, perché per mezzo di lui fossero mostrati quei tali segni e non mancò di fede e credette ciò che Dio gli aveva già promesso, ma volle tentare Dio mediante un’azione profetica e pertanto il suo atto di tentare Dio non fu colpevole come l’inganno di Giacobbe 80 e la frase con cui si rivolge al Signore: Non divampi la tua ira contro di me 81 non è l’espressione della paura che egli aveva della collera del Signore ma della fiducia che Dio non si sarebbe adirato dal momento che compiva un’azione che, come profeta, pensava doversi compiere avendogliela ispirata lo Spirito Santo; se uno la pensa così, dica pure ciò che gli pare, purché non osi giustificare - quale che sia il suo significato - il fatto dell’efud dicendo che non è un peccato, mentre è biasimato dalla stessa Scrittura. Poiché si ha l’impressione che fosse stata - per così dire - un’iniziativa presa di proprio arbitrio da Gedeone il fatto che trecento guerrieri, aventi, a causa dello stesso numero, relazione con il segno della croce, presero delle brocche di terracotta e vi nascosero dentro delle fiaccole accese e dopo essere state infrante le brocche le numerose torce accese atterrirono una sì grande moltitudine di nemici: la Scrittura infatti non dice che fosse Dio a spingerlo a fare quell’azione. Ciononostante chi, se non il Signore, ispirò la sua mente e gli fece prendere quella decisione per compiere un sì gran prodigio? Il Signore fece comprendere in anticipo con quel simbolo che i suoi santi avrebbero portato il tesoro della luce del Vangelo in vasi di creta, come dice l’Apostolo: Noi però portiamo in noi questo tesoro in vasi di terracotta 82; nell’atto in cui i santi subivano il martirio, come i vasi spezzati, risplendette più sfolgorante la loro gloria, che vinse gli empi nemici della predicazione del Vangelo con lo splendore di Cristo da essi inaspettato.

49. 13. Lo Spirito di Dio quindi effettuò, attraverso fatti simbolici, la predizione e la divulgazione delle realtà future mediante persone sia consapevoli che inconsapevoli al tempo dei Profeti 82, ma non perciò si deve dire che i loro peccati non erano peccati, perché anche Dio, il quale sa servirsi anche dei nostri mali, si servì altresì degli stessi loro peccati per indicare attraverso simboli ciò che ha voluto. Di conseguenza se non era peccato fare o compiere il voto di sacrificare sia una persona qualsiasi sia addirittura un membro della propria famiglia, poiché era simbolo di qualcosa d’importante e spirituale, senza ragione Dio proibì e dichiarò di odiare siffatti sacrifici in quanto anche quelli che ordinò di fare sono registrati naturalmente per indicare simbolicamente una particolare realtà spirituale e importante. E allora perché avrebbe dovuto proibirli, dal momento che a causa del medesimo significato prefigurativo per il quale anch’essi si compivano lecitamente nondimeno potevano essere fatti lecitamente? L’unica ragione è che i sacrifici umani, che prefigurano qualcosa d’importante, conviene credere che il Signore non li gradisce quando uno non viene ucciso dai nemici a causa della giustizia, poiché ha voluto vivere con rettitudine e non ha voluto commettere il peccato, ma quando una persona viene immolata alla maniera di un animale da un’altra persona come una vittima eccellente.

49. 14. Qualcuno potrebbe avanzare un’ipotesi come la seguente: Poiché le vittime di animali, per il fatto stesso che erano diventate abituali, sebbene dalle persone che ne comprendevano bene lo scopo fossero considerate anche esse dirette alla prefigurazioni di realtà spirituali, tuttavia rendevano gli uomini meno attenti a indagare il mistero di Cristo e della Chiesa, e per questo motivo Dio volle destare lo spirito, per così dire addormentato, delle persone, tanto più per il fatto che aveva proibito che gli venissero offerti sacrifici di quella specie; a questo scopo si fece offrire qualcosa di così importante che lo stupore generasse un gran problema, il quale gran problema destasse il desiderio dello spirito timorato di Dio a scrutare in modo approfondito il grande mistero, mentre lo spirito dell’uomo, scrutando alla luce della fede la profondità della prefigurazione profetica, prende, come servendosi dell’amo, il pesce, Cristo Signore dalla profondità della Scrittura. Noi non ci opponiamo a questa opinione o considerazione. Ma uno è il problema dell’intenzione di chi fa un voto e un altro problema è quello della provvidenza di Dio che nel modo migliore si serve dell’intenzione, qualunque essa sia, di chi fa un voto. Ecco perché lo Spirito del Signore che scese su Iefte gli ordinò senz’altro di promettere in voto ciò che la Scrittura in verità non ci manifesta. Tuttavia se lo ordinò Colui, del quale non è lecito disprezzare i comandi, non solo non si deve accusare l’insipienza, ma si deve lodare anche l’obbedienza. Poiché ciò che certamente è illecito fare per volontà e decisione umana, anche se una persona si uccide dobbiamo pensare senza dubbio che si fa per obbedienza anziché con scellerataggine qualora sia comandata da Dio. Questo problema lo abbiamo discusso sufficientemente nel primo libro de La città di Dio 84. Se invece Iefte, seguendo un errore umano, pensò di dovere offrire un sacrificio umano, il suo peccato relativo a sua figlia fu, sì, punito giustamente - come sembra bene mostrare anche lui con le sue parole, quando dice: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei!, e stracciandosi anche le vesti - tuttavia anche questo suo errore merita una certa lode per la fede con la quale ebbe il timore di Dio mantenendo la promessa fatta con il voto, e non cercò di allontanare da sé la sentenza del giudizio di Dio contro di lui, sia sperando che Dio lo avrebbe trattenuto, come aveva fatto con Abramo, sia decidendo di compiere la volontà di Dio pensando anche che non lo avrebbe trattenuto, anziché disprezzarla.

49. 15. Sennonché anche qui ci si può domandare con ragione se è più conforme alla verità pensare che Dio non vuole si faccia un tale sacrificio e così l’obbedienza a Dio consisterebbe piuttosto nel non offrirlo, poiché Dio aveva mostrato di non volere quella sorta di sacrifici sia riguardo al figlio di Abramo 85, sia con la proibizione promulgata nella legge. Tuttavia, se Iefte si fosse astenuto dall’offrire il sacrificio per questo motivo, avrebbe dato l’impressione di aver avuto riguardo per la propria persona risparmiando la propria figlia anziché di aver osservato la volontà di Dio. Per il fatto che gli andò incontro la figlia comprese sempre meglio che Dio lo puniva e, con spirito di fede, si sottomise al giusto castigo temendo una punizione ancora più rigorosa a causa della sua - diciamo così - esitazione. Iefte infatti credeva anche che l’immolazione della figlia, virtuosa e vergine, sarebbe stata gradita a Dio, poiché non era stata lei stessa a far voto di essere sacrificata, ma non si era opposta al voto e alla volontà del padre e si era sottomessa al decreto di Dio. Come infatti nessuno deve darsi di propria volontà la morte, né dev’essere procurata a nessuno per volontà altrui, così non si deve rifiutare, se lo comanda Dio, per decreto del quale può capitarci in qualunque momento; nessuno che rifiuta di sopportarla fatica per evitarla assolutamente ma cerca solo di ritardarla.

49. 16. Cerchiamo ora di esaminare ed esporre brevemente, con l’aiuto di Dio, che cosa lo Spirito del Signore, con questa azione, volle prefigurare per mezzo di Iefte (che fosse o non fosse consapevole), per mezzo della sua imprudenza o della sua ubbidienza, per mezzo della sua offesa o della sua fede. Poiché questo passo delle Sacre Scritture ci richiama alla mente e ci spinge in certo qual modo a ben considerare un personaggio forte e valoroso. Tale infatti è detto dalla Scrittura Iefte, il cui nome significa " colui che apre "; orbene Cristo,nostro Signore, come ci mostra il Vangelo 86, ai suoi discepoli aprì la mente perché capissero le Scritture 87. I suoi fratelli rifiutarono questo Iefte e lo cacciarono dalla casa paterna, rinfacciandogli di essere figlio di una prostituta 88, come se essi fossero nati da una moglie legittima. Così fecero contro il Signore anche i capi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei che davano l’impressione di vantarsi di osservare la legge come se egli, invece, distruggesse la legge 89 e perciò come se non fosse un figlio legittimo. Inoltre, sebbene egli avesse preso il corpo dalla Vergine certamente santa, come sanno bene i fedeli, tuttavia sua madre, per quanto riguarda il popolo, può chiamarsi anche la sinagoga giudaica. Chi lo vorrà legga i Libri profetici e veda quante volte e con quali espressioni severe e con quanto sdegno del Signore quel popolo sia accusato delle sue fornicazioni. A questo riguardo in questo libro c’è anche quanto abbiamo letto poco prima, non solo, cioè, che tutta Israele si prostituì al seguito dell’efud confezionato da Gedeone 90, ma anche che seguirono gli dèi dei popoli dei quali erano circondati 91. Da questi peccati fu eccitata la collera di Dio di modo che per diciotto anni furono oppressi dai figli di Ammon 92. Ma non erano forse nati dal medesimo popolo d’Israele anche i sacerdoti, scribi e farisei, nei quali erano prefigurati coloro che perseguitarono e scacciarono Iefte come se fosse un bastardo, allo stesso modo che trattarono Cristo Signore? Ma il significato simbolico relativo a Iefte è adombrato nel fatto che a questi tali - come ho detto - credendosi i veri osservanti della legge, sembrò di aver fatto un’azione giusta a scacciare come bastardo Colui che a loro, che si ritenevano legittimi, sembrava che agisse contro i precetti della legge. In realtà quella nazione è accusata di fornicare poiché, non osservando i precetti della legge non dimostravano - per così dire - la fedeltà [a Dio] suo sposo.

49. 17. Di Iefte la Scrittura dice anche: I figli nati dalla moglie legittima crebbero e cacciarono via Iefte 93. Il verbo qui usato crebbero preso in senso simbolico significa " ebbero il sopravvento ", cosa che si avverò per quanto riguarda i Giudei, i quali prevalsero sulla debolezza di Cristo, poiché questi volle sopportare ciò che doveva soffrire da parte loro nella passione; il medesimo significato simbolico ebbe il fatto che Giacobbe riuscì a superare l’angelo con il quale lottava allo scopo di preannunciare lo stesso mistero 94. I fratelli dissero dunque a Iefte: Tu non avrai parte nell’eredità di nostro padre, poiché sei figlio di una prostituta 95, come se dicessero ciò che dice il Vangelo: Quest’uomo non viene da Dio, poiché non osserva il Sabato 96; essi invece, vantandosi come se fossero figli legittimi, dissero al Signore: Noi non siamo nati da una prostituta; abbiamo un solo padre, Dio 97. Iefte allora fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tab 98. Fuggì in quanto nascose la propria grandezza, fuggì in quanto si nascose a coloro che vedevano la debolezza di lui che moriva, ma non videro la potenza di lui che resuscitava; poiché, se lo avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 99. Si stabilì però in una terra buona, anzi, per dirlo con maggior precisione, " ricca e ferace ", poiché ciò, che in greco si dice [buono], in latino significa " ricca e felice ", e questo è il significato di Tob [" buono "]. Mi sembra che queste parole si debbano intendere della risurrezione di Cristo. Perché quale terra è più felice del corpo terreno rivestito della eminente condizione d’immortalità e d’incorruzione 100?

49. 18. Quanto poi a ciò che la Scrittura dice di Iefte, che cioè dopo essere fuggito lontano dai suoi fratelli ed essersi stabilito nella terra di Tob, si raccolsero presso di lui dei predoni e andavano con lui 101 [si ricordi che] sebbene anche prima della passione fosse stato rinfacciato al Signore il fatto di mangiare con i publicani e i peccatori, quando rispose che non hanno bisogno del medico i sani ma gli ammalati 102, e fu annoverato tra gli iniqui 103, quando fu crocifisso tra i briganti e uno di loro lo trasferì dalla croce al paradiso 104, tuttavia dopo che risuscitò e cominciò a stare nella terra di Tob secondo la spiegazione da noi data sopra, si unirono presso di lui gli scellerati che cercavano la remissione dei peccati e andarono con lui poiché vivevano in conformità con i suoi precetti. Ma ciò non smette di accadere finora e continuerà ad accadere fino a quando si rifugiano da lui i malvagi affinché egli giustifichi gli empi che tornano a lui, e i malvagi imparino le sue vie 105.

49. 19. Orbene il fatto che coloro i quali avevano scacciato Iefte - era anche un Gaaladita - si rivolsero a lui e cercarono di essere liberati dai loro nemici per suo mezzo, con quanta evidente prefigurazione simboleggia che coloro i quali rigettarono il Cristo, tornando a lui trovano la salvezza. Si può pensare che questi siano coloro che l’apostolo Pietro avendoli accusati del medesimo peccato, come si legge negli Atti degli Apostoli 106, ed esortati di convertirsi a Colui che avevano perseguitato, si sentirono come trafitti nel cuore e desiderarono di aver la salvezza da Colui che essi avevano respinto - che cosa infatti vuol dire essere liberati dai nemici se non essere liberati dai peccati? Poiché Pietro così disse loro: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore Gesù Cristo; e vi saranno perdonati i vostri peccati 107 -, o piuttosto si può pensare sia simboleggiata la chiamata del popolo d’Israele che si spera alla fine del mondo 108. Sembra infatti che si tratti piuttosto di quella " chiamata " per il fatto che l’agiografo dice: e avvenne dopo i giorni 109, che per certo significa dopo un certo tempo, e perciò ci fa vedere che non si deve intendere il tempo successivo immediatamente dopo la passione del Signore, ma quello che verrà in seguito. A ciò sembra riferirsi anche il fatto che gli anziani di Galaad andarono da Iefte 110 perché per età senile si debbano intendere i tempi successivi e ultimi. Galaad infatti significa " colui che rigetta " o " rivelazione ". Tutt’e due questi fatti si confanno a pennello all’oggetto figurato, poiché prima rigettarono il Cristo, il quale però in seguito sarà loro rivelato.

49. 20. Quanto invece al fatto che Iefte era richiesto come comandante contro i figli di Ammon 111, una volta sconfitti i quali sarebbero stati liberati coloro che desideravano combattere contro di loro sotto il comando di Iefte, poiché Ammon significa " figlio del popolo mio " o " il popolo del dolore ", senza dubbio sono simboleggiati o quei nemici dei quali era stato predetto che si sarebbero ostinati nell’infedeltà, o tutti quanti senza eccezione i predestinati alla geenna dove per loro sarà il pianto e lo stridore dei denti 112, come se appartenessero al popolo della tristezza. Sennonché può intendersi come " popolo del dolore " anche il diavolo e i suoi angeli sia perché procurano l’eterna infelicità per le persone ingannate da loro sia perché essi stessi sono destinati all’eterna infelicità.

49. 21. In modo sicuramente appropriato per indicare assai più chiaramente la profezia così Iefte rispose agli anziani di Galaad: Non siete forse voi che mi avete odiato e m’avete cacciato dalla casa di mio padre e mi avete mandato via lontano da voi? E perché siete venuti ora che siete angosciati? 113 Qualcosa di simile fu simboleggiato a proposito di Giuseppe, che i fratelli vendettero allontanandolo da loro 114 e quando erano afflitti dalla fame si rivolsero al suo aiuto e alla sua misericordia 115. Nel caso di Iefte però si manifesta molto più chiaramente il significato allegorico delle realtà future poiché si recarono da Iefte non proprio gli stessi fratelli che lo avevano scacciato ma gli anziani di Galaad, supplicandolo a nome di tutto il popolo. Allo stesso modo si chiama Israele l’insieme della medesima stirpe, sia che si tratti di coloro che vivevano al tempo di Cristo e lo rigettarono, sia che si tratti di coloro che in seguito si rivolsero a lui per implorare il suo aiuto. Poiché a un popolo nemico che conserva e si trascina dietro il lungo odio [contro Cristo] ereditato sia dagli antenati sia dalla generazioni posteriori, a questo popolo, che alla fine si sarà convertito nella persona di quelli che allora dovranno convertirsi, è detto: Non siete stati forse voi a odiarmi e a cacciarmi dalla casa di mio padre? In effetti a coloro che lo perseguitarono sembrò giusto scacciare Cristo dalla casa di Davide, in cui il suo regno non avrà fine 116.

49. 22. Gli anziani di Galaad risposero a Iefte: Non è così, ora siamo venuti da te 117. E come se i Giudei convertiti a Cristo gli dicessero: Allora venimmo per perseguitarti, ora invece per seguirti. Dichiararono apertamente anche che sarà lui il loro capitano contro i nemici. Egli risponde che sarà il loro capo se vincerà i loro nemici 118, cosa che Gedeone non volle, quando lo avevano voluto gli Israeliti, poiché rispose loro: Vostro capo sarà il Signore 119, poiché sotto il termine capo s’intende il re, dignità che quel popolo ancora non aveva al tempo dei Giudici, ma cominciarono ad averla con Saul 120 e in seguito con i suoi successori che si leggono nel Libro dei Re. Infatti nel Deuteronomio, quando si ordina al popolo quale specie di re debba avere, qualora ad essi piacerà averlo, non viene chiamato re ma capo 121. Ma siccome questo Iefte era una figura di Colui che è il vero re - come stava scritto nell’iscrizione affissa sulla croce, che Pilato non osò cancellare o correggere 122 -, perciò si deve pensare che fu detto: Io sarò vostro re 123. Quelli invece avevano detto: Sarai nostro capo 124 poiché capo dell’uomo è Cristo 125, ed egli è il Capo del corpo della Chiesa 126. Finalmente, dopo averli liberati da tutti i nemici Iefte non fu fatto re perché comprendessimo che l’espressione usata dalla Scrittura riguardo a Iefte era una predizione riguardante piuttosto Cristo che propriamente Iefte in persona, l’esposizione delle cui gesta la Scrittura la conclude così: Iefte fu giudice in Israele per sei anni. Iefte il Galaadito morì poi e fu sepolto nella sua città di Galaad 127. Egli dunque giudicò Israele come tutti gli altri Giudici; lì non regnò come un sovrano, come quelli contenuti nei Libri dei Re.

49. 23. Ora poi nel fatto che il medesimo Iefte, dopo essere stato costituito capo, inviò prima ai nemici messaggeri recanti dichiarazioni di pace 128 si mostra quanto dice l’Apostolo, per mezzo del quale parlava Cristo: Per quanto è possibile e dipende da voi vivete in pace con tutti gli uomini 129. Ma siccome ho fretta sarebbe troppo lungo esporre a fondo tutte le parole stesse che Iefte ordinò ai messaggeri di riferire: tuttavia, per quanto riguarda il loro senso profetico delle realtà future mi sembra siano da intendere in modo da riconoscere in esse l’insegnamento di Cristo che ci ammonisce come dobbiamo comportarci, vale a dire vivere tra coloro i quali non sono stati chiamati [alla salvezza] secondo il progetto di Dio 130, poiché il Signore conosce quelli che sono suoi 131.

49. 24. Oltre a ciò il fatto che su Iefte venne lo Spirito del Signore quando si accingeva a sbaragliare i nemici 132 è simbolo dello Spirito Santo partecipato ai membri di Cristo.

49. 25. Il fatto poi che Iefte percorse Galaad e Manasse e passò per la vedetta di Galaad e dalla vedetta di Galaad raggiunse alle spalle gli Ammoniti 133, è simbolo del progresso che fanno le membra [del corpo] di Cristo per conseguire la vittoria sui nemici. Galaad infatti significa " dispregiatore " e Manasse " necessità ". Da coloro che progrediscono devono quindi essere superati i dispregiatori cioè coloro che disprezzano e dev’essere superata anche la necessità perché non avvenga che passando chi sopravanza gli spregiatori si arrenda a coloro che incutono paura; si deve superare anche la vedetta di Galaad, poiché Galaad significa anche " rivelazione ". Una vedetta è un luogo eminente da cui si possa vedere in lontananza o guardare dall’alto verso il basso, cioè guardare dal di sopra. Per questo mi sembra che la vedetta di Galaad simboleggi la superbia della rivelazione e perciò l’Apostolo dice: E io non monti in superbia per le grandi rivelazioni che ho ricevuto 134. Anche essa dunque si deve sorpassare, cioè non si deve perdurare in essa per il pericolo di cadere. Superati questi ostacoli facilmente si superano i nemici come indica la frase che segue: e dalla vedetta di Galaad arrivò alle spalle dei figli di Ammon, i nemici di cui abbiamo parlato sopra.

49. 26. Iefte fece allora un voto [a Dio] dicendo: Se consegnerai nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalle porte della mia casa incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, apparterrà al Signore e glielo offrirò in olocausto 135. Qualunque fosse la persona a cui Iefte pensava in questo passo secondo il pensiero umano non sembra che pensasse all’unica sua figlia, altrimenti nel vedersela venire incontro non avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei 136. Poiché Iefte dice: mi hai messo in un impaccio come ad indicare di essere impedito dal mantenere ciò che aveva pensato di offrire. Iefte però, che non aveva altri figli, chi avrebbe potuto pensare che gli sarebbe uscito incontro per primo? Aveva forse pensato a sua moglie? Ma Dio non volle forse che non solo non avvenisse ciò, ma anche che non restasse senza castigo affinché in seguito non osasse farlo nessuno e mediante la sua grande provvidenza anche con ciò stesso che accadde prefigurasse il mistero della Chiesa? Il significato profetico risulta quindi formato da due fatti: sia da ciò che Iefte pensò nel fare il voto sia da ciò che gli capitò contro la sua volontà. Se infatti pensò alla sposa, la sposa di Cristo è la Chiesa; perciò l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e saranno due in una carne sola. Questo è un grande mistero - dice l’Apostolo - e lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa 137. Ma siccome la moglie di questo Iefte non poteva essere vergine, nel fatto che invece della moglie gli andò incontro la figlia e non restò invendicata, è prefigurata l’audacia di chi fa voto d’un sacrificio proibito e la verginità della Chiesa. Inoltre non è in contrasto con la verità che anche nel nome di "figlia" è simboleggiata la medesima Chiesa; poiché di chi altri era figura quella donna che era stata guarita dopo aver toccato l’orlo del vestito del Signore che le disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata; va’ in pace 138? Di certo poi, in una espressione di cui nessuno può dubitare, il Signore in persona chiamò figli dello sposo i suoi discepoli indicando assai chiaramente di essere lui lo sposo: I figli dello sposo -disse - non possono digiunare finché è con loro lo sposo. Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà tolto loro e allora digiuneranno 139. Sarà dunque un olocausto la Chiesa che il beato Apostolo chiama vergine casta 140 quando nella risurrezione universale dei morti avverrà quanto sta scritto: La morte è stata ingoiata per la vittoria 141; allora consegnerà il regno a Dio e al Padre 142; questo regno è la stessa Chiesa, il re era raffigurato da colui che aveva fatto il voto. Ora, poiché ciò succederà quando sarà compiuta la sesta età del mondo, per ciò fu chiesta una dilazione di sessanta giorni per piangere la sua verginità 143. In effetti la Chiesa è formata da persone di tutte queste sei età del mondo. La prima va da Adamo al diluvio, la seconda dal diluvio, cioè da Noè, fino ad Abramo, la terza da Abramo fino a Davide, la quarta da Davide alla deportazione di Babilonia, la quinta da questa deportazione fino al parto della Vergine, la sesta dalla nascita di Cristo alla fine di questo mondo. Durante queste età, come se si trattasse di sessanta giorni, la Chiesa, questa vergine santa, pianse la sua verginità; poiché, nonostante la sua verginità, aveva dei peccati da piangere, a causa dei quali questa vergine dice [al Signore]: e rimetti a noi i nostri debiti 144. Secondo me l’agiografo preferì chiamare due mesi quei sessanta giorni a causa di due uomini: l’uno per mezzo del quale è venuta la morte, l’altro per mezzo del quale è venuta la risurrezione dei morti 145; a causa dei quali due uomini si parla anche dei due Testamenti.

49. 27. Quanto invece al fatto che nacque in Israele l’usanza che [le ragazze] si radunavano di tempo in tempo quattro giorni all’anno per celebrare il lamento della figlia di Iefte 146, io non penso che quanto avvenne dopo l’offerta dell’olocausto sia simbolo di qualcosa relativo alla vita eterna, ma lo sia ai tempi passati della Chiesa, nei quali erano felici coloro che piangono 147. Con l’espressione spazio di quattro giorni è raffigurata invece la universalità della Chiesa a causa delle quattro parti del mondo, nelle quali si è diffusa per lungo e per largo. Per quanto però attiene al significato proprio della storia, non credo che furono gli Israeliti a stabilire una tale usanza salvo che comprendessero che in quel caso si era manifestato il giudizio di Dio reso manifesto a tutti piuttosto per punire il padre affinché in seguito nessuno osasse fare il voto di offrire un siffatto sacrificio. Poiché per qual motivo si sarebbe istituito un lutto e un lamento, se questo voto fosse stato un voto di allegrezza?.

49. 28. Se però deve riferirsi al giudizio finale di Dio anche il fatto che il popolo di Efraim fu in seguito vinto da Iefte 148, come dice lo stesso Signore: [quanto poi ai miei nemici] quelli che non volevano che io regnassi su di loro conduceteli qua e uccideteli alla mia presenza 149, quei quarantaduemila che caddero [in quella battaglia] non sono menzionati senza un motivo 150. Poiché allo stesso modo che i due mesi a causa dei sessanta giorni sono simbolo del numero sei delle sei età del mondo, così anche qui il numero sette moltiplicato per sei è simbolo della medesima realtà per quanto riguarda le sei età del mondo, poiché sei per sette fa quarantadue. Inoltre lo stesso Iefte non senza una ragione fu giudice del popolo per sei anni 151.

Perché vietato il vino alla madre di Sansone incinta.

50. (13, 4) Possiamo domandarci come mai alla madre di Sansone, che era sterile, nell’annunciarle che avrebbe avuto un figlio, l’angelo disse: Ma ora sta’ attenta e non bere vino e siero, non mangiare sostanze impure. Che cosa infatti si deve intendere per ciò che è impuro? Non si deve forse intendere il rilassamento della disciplina che era cominciata ad introdursi in Israele e li aveva indotti a mangiare anche quelli che Dio aveva proibito tra le diverse specie di animali 152?. Perché infatti non si potrebbe pensare che gli Israeliti potessero essere molto più propensi a fare anche ciò, dato che trasgredivano la legge di Dio fino ad adorare anche gli idoli?

La madre di Sansone non rivela al marito tutto l’annuncio dell’angelo.

51. (13, 6) Quanto al fatto che la madre di Sansone, indicando a suo marito come l’angelo le annunciò la nascita del figlio, gli disse: Gli ho chiesto d’onde venisse e non mi ha detto il suo nome, si può domandare se disse la verità, poiché ciò non si legge nel passo in cui si dice che l’angelo le parlò. Si deve però pensare che la Scrittura lì passò sotto silenzio questo particolare ma qui ricorda ciò di cui lì non aveva parlato. Anche il fatto che la madre di Sansone non dice: "gli ho chiesto come si chiamava, ma non mi ha detto il suo nome", ma dice: gli ho chiesto d’onde venisse, non sembra accordarsi con quel che segue: ma non mi disse il suo nome. Essa infatti, domandandogli di dove era, non gli aveva chiesto quale fosse il suo nome, ma qual era la sua patria o città, pensando che fosse un uomo. In realtà essa lo aveva chiamato anche uomo di Dio, tuttavia simile a un angelo per il suo aspetto e per il suo contegno. Cioè, poiché aveva visto in lui una persona splendida, come poi essa raccontò. Se però la frase si separasse così: e gli chiesi di che paese fosse e come si chiamasse, sottintendendo "gli chiesi" facendo poi seguire non me lo disse, non c’è problema, poiché l’espressione non me lo disse si può riferire a tutte e due le cose, cioè ["non mi disse"] né di che paese fosse né come si chiamasse.

Sansone e il nazireato.

52. (13, 7. 5) Parimenti non si legge [nella Scrittura] quanto la medesima donna dice esserle stato detto dall’angelo, e cioè: Poiché il bambino sarà nazareno da quando sarà nel [mio] ventre fino alla sua morte, mentre non è ricordata dalla donna la frase che vi leggiamo detta dall’angelo: Egli prenderà a salvare Israele dall’oppressione dei Filistei. Essa pertanto da una parte non omise di dire qualcosa che aveva udito e dall’altra parte tuttavia si deve pensare che non riferì nulla che non aveva udito, ma che piuttosto la Scrittura non riferisce tutte le parole dell’angelo quando nel racconto lo fa intervenire a parlare con la donna. L’angelo perciò poi dice: Da quando sarà nel ventre fino alla morte, poiché nella Legge venivano chiamati nazirei coloro che avevano fatto un voto per uno spazio di tempo conforme le prescrizioni che la Scrittura riferisce date per mezzo di Mosè 153. Di qui deriva l’ordine ingiunto a Sansone che il rasoio non si accostasse ai suoi capelli e non bevesse né vino né liquori. Sansone osservò per tutta la sua vita le prescrizioni che osservavano in determinati giorni coloro che erano chiamati nazirei che avevano fatto il voto [di nazireato] e lo adempivano.

Sacrificio ed olocausto.

53. (13, 15-16) Per il fatto che la Scrittura dice: Poiché Manoe non aveva compreso che era un angelo di Dio, è evidente che anche sua moglie aveva creduto che fosse un uomo. Dicendogli dunque: Adesso permettici di trattenerti e di prepararti un capretto alla tua presenza, lo invitò come se fosse un uomo, però per mangiare con lui il sacrificio che avrebbe fatto. Poiché " preparare un capretto " non si usa dire se non quando si fa un sacrificio. L’angelo infine gli rispose: [Anche] se mi tratterrai presso di te con la forza, non mangerò i tuoi cibi. Con ciò mostra che era stato invitato a mangiare. Di poi aggiunge: E se farai un olocausto offrilo al Signore. Disse: se farai un olocausto precisamente perché Manoe aveva detto: permetti che prepariamo in tua presenza un capretto. Ma non ogni sacrificio era un olocausto; dell’olocausto infatti non si mangiava nulla, perché si bruciava interamente, e perciò si chiamava olocausto. Ma l’angelo, anche se avrebbe rifiutato di mangiare, esortò piuttosto a fare un olocausto, non per lui tuttavia, ma al Signore, soprattutto perché in quel tempo il popolo d’Israele s’era abituato a offrire sacrifici a qualunque falsa divinità e per questo avevano offeso Dio anche allora e di conseguenza fu consegnato nelle mani dei nemici per quarant’anni 154.

Il quesito se gli uomini pensavano che nell’angelo fosse Dio o chiamavano Dio lo stesso angelo.

54. (13, 16-23) Che significa ciò che dice Manoe a sua moglie: Morremo di sicuro poiché abbiamo visto Dio dopo che l’angelo, che parlava con loro, s’era manifestato ad essi? Naturalmente a causa della massima scritta nella Legge, che dice: Nessuno può vedere il mio volto e vivere 155. Come uomini credevano dunque di avere visto Dio per effetto di un miracolo davvero tanto grande poiché colui, che prima parlava con loro somigliante ad un uomo, ascese [al cielo] con la fiamma del sacrificio. Ma era forse Dio colui che essi riconoscevano nell’angelo oppure chiamavano "angelo" Dio stesso? Poiché sta scritto così: Allora Manoe prese il capretto e l’offerta [di farina] e li offrì sopra una pietra al Signore che compie prodigi; Manoe e sua moglie stavano a guardare. Ora avvenne che, mentre la fiamma saliva al di sopra dell’altare verso il cielo, l’angelo del Signore salì con la fiamma. Manoe e la moglie stavano guardando e caddero con la faccia a terra. E l’angelo del Signore scomparve alla vista di Manoe e di sua moglie. Manoe comprese allora che quello era l’angelo del Signore, e Manoe disse a sua moglie: " morremo senz’altro, poiché abbiamo visto Dio ". Siccome in queste ultime parole Manoe non disse: " moriremo senz’altro poiché abbiamo visto l’angelo del Signore ", ma: abbiamo visto Dio, sorge il quesito se pensavano che nell’angelo fosse Dio o chiamavano Dio lo stesso angelo. Non si può infatti supporre come terza probabilità che avessero creduto essere Dio colui che era un angelo in quanto la Scrittura dice molto chiaramente: Manoe comprese allora che era un angelo del Signore. Per qual motivo dunque avevano paura di morire? La Scrittura infatti nell’Esodo non aveva detto: " nessuno vede il volto di un angelo e vivrà ", ma il mio volto riferendo le parole di Dio. Oppure, per il fatto stesso che Manoe nella presenza dell’angelo aveva riconosciuto Dio, era rimasto talmente turbato da aver paura di morire? Poiché però la moglie gli rispose: Se il Signore avesse voluto farci morire, non avrebbe accettato dalle nostre mani né l’olocausto e il sacrificio, né ci avrebbe fatto assistere a questo spettacolo, e con ci avrebbe fatto udire tutte queste cose, pensarono forse che era stato l’angelo a ricevere il sacrificio per il fatto che lo avevano visto ascendere con la fiamma dell’altare oppure pensarono che accettò il sacrificio il Signore per il fatto che l’angelo fece in quel modo allo scopo di mostrarsi angelo? Ma qualunque di queste ipotesi sia quella giusta, l’angelo aveva tuttavia già detto: se però farai un olocausto, lo offrirai al Signore, cioè: non a me, ma al Signore. Quanto dunque al fatto che l’angelo salì al cielo con la fiamma dell’altare sembra che sia piuttosto da intendere nel senso che fosse simbolo dell’angelo del gran consiglio 156 nella natura di servo 157, cioè nell’uomo che egli avrebbe assunto e che non avrebbe accettato il sacrificio, ma sarebbe stato lui stesso il sacrificio.

Sulla frase: Sansone percosse gli stranieri la tibia sul femore.

55. (15, 8. 15) Che significa l’espressione della Scrittura secondo la quale Sansone percosse gli stranieri la tibia sul femore ? Chi infatti ha la tibia sopra il femore dal momento che la tibia va dal ginocchio in giù fino al calcagno? Inoltre se indicasse la parte del corpo in cui Sansone li colpì, forse che coloro, che egli percosse, erano stati colpiti tutti in una sola parte del corpo? Se ciò fosse probabile, potremmo forse immaginare che egli combattesse servendosi dello stinco di qualche animale a guisa di clava e con esso li colpisse sul femore, allo stesso modo che la Scrittura narra di lui che uccise mille uomini con una mascella d’asino. Ma, come ho detto, non è neppure probabile che nel combattimento stesse a badare a una sola parte del corpo per colpire quegli uomini; d’altra parte la Scrittura non dice: " li colpì con la tibia sul femore ", ma: colpì la tibia sopra il femore. Naturalmente questo modo di esprimersi rende oscuro il senso della frase. In questo modo è come se dicesse: Li percosse in modo assai straordinario, cioè in modo che, colpiti da stupore per la meraviglia, misero la tibia d’un piede sul femore dell’altro, come sono soliti stare seduti coloro che sono sbalorditi per la meraviglia. È come se dicesse: " Li colpì la mano alla guancia ", cioè li colpì con una strage sì grande che si misero la mano alla guancia per il doloroso stupore. Anche la traduzione fatta dall’ebraico mostra assai chiaramente che si tratta di questo senso, poiché dice così: E li percosse con una così grande strage che per lo stupore misero la gamba sopra il femore. È come se dicesse: " misero la tibia sul femore ", poiché il polpaccio è senz’altro la parte posteriore della gamba con la tibia.

Che significa ciò che Sansone dice agli uomini di Giuda.

56. (15, 12) Che significa ciò che Sansone dice agli uomini di Giuda: Giuratemi che non mi ucciderete voi stessi, consegnatemi loro, perché non siate voi stessi a venirmi incontro? Alcuni hanno tradotto questa frase così: perché non veniate contro di me voi stessi. Ma che egli disse così per non essere ucciso da loro lo indica ciò che sta scritto nel Libro dei Re, quando Salomone ordinò che fosse ucciso un uomo dicendo: Va’, va’ incontro a lui 158. Questa frase non si comprende per il fatto che tra noi non si usa esprimerci così. Poiché quando le autorità militari dicono: " Va’, toglilo di mezzo ", espressione che significa " uccidilo ", chi potrebbe capirne il significato, se non chi conosce l’uso di tale modo di dire? Anche tra noi il volgo suol dire: " gli abbreviò la vita " che significa " lo uccise "; ma non comprende l’espressione nessuno, se non chi è abituato a sentirla. Poiché la caratteristica generale di tutte le espressioni idiomatiche, come quella di tutte le lingue, è che non sono comprese se non s’imparano a forza di sentirle dire o di leggerle.