Capitolo III

SANTA TERESA DI LISIEUX

 

Il Papa san Pio X aveva affermato che Teresa di Lisieux era "la più grande santa dei tempi moderni". Era una parola profetica, prima della canonizzazione della Carmelitana. Questa parola fu poi pienamente giustificata. Possiamo dire che la piccola Teresa ha illuminato nel modo più meraviglioso la Chiesa e il mondo durante il nostro XX secolo.

E' la più grande santa dei tempi moderni, come san Francesco d'Assisi fu il più grande santo del Medioevo, rimanendo anche lui sempre moderno, attuale. Il Poverello e la Piccola Santa rappresentano infatti la stessa santità totalmente evangelica, la stessa povertà o piccolezza che è la più pura transparenza del Mistero di Gesù, del suo Amore Infinito.

Morta nel 1897 all'età di 24 anni, Teresa aveva scoperto il senso di tutta la sua vita nel cielo come sulla terra: "amare Gesù e farlo amare". Aveva pienamente scoperto la sua vocazione di essere l'Amore nel Cuore della Chiesa, nella più intima unione con Cristo e nell'impegno per la salvezza di tutti gli uomini. Senza uscire mai dalla clausura, era pienamente missionaria, a tal punto di diventare patrona delle missioni. Teresa portava anche dolorosamente il dramma della decristianizzazione e dell'ateismo moderno. Come una sorella universale, la carmelitana ha vissuto una profonda solidarietà con tutti gli uomini, anche i più lontani, i più disperati, i più peccatori.

Ma in modo speciale, la nostra santa è la sorella dei sacerdoti; e dobbiamo adesso raccogliere il suo insegnamento a proposito del sacerdozio e dei sacerdoti, secondo il nostro argomento: L'Amore di Cristo centro della vita sacerdotale.

Bisogna sottolineare fin dall'inizio che l'Amore di Cristo è proprio il cuore di tutta la dottrina spirituale di Teresa, una dottrina che è allo stesso tempo molto semplice e molto profonda, come il Vangelo. Questa dottrina è contenuta nei suoi scritti, abbastanza abbondanti, più di quelli di san Giovanni della Croce, Dottore della Chiesa! Gli scritti di Teresa sono come la "tesi" del suo Dottorato, poiché esiste oggi in tutto il mondo un grande movimento ecclesiale per la sua proclamazione come Dottore della Chiesa.

Purtroppo, ci sono ancora molti pregiudizi in senso contrario, causati principalmente dall'ignoranza di questi scritti autentici di Teresa. Molti pensano che si tratti solo di un messagio devozionale, sentimentale, "all'acqua di rose". Alcuni vedono l'infanzia spirituale come una certa forma d'infantilismo, come se Teresa fosse stata solo una bambina. La realtà è completamente diversa, come lo dimostra l'enorme lavoro scientifico fatto in Francia durante i trenta ultimi anni, un lavoro che permette di scoprire la vera figura di Teresa: un esempio luminoso di donna pienamente realizzata nell'Amore di Cristo, in tutte le dimensioni del suo cuore di sposa e di madre, di sorella e di figlia.

Come la dottrina di Teresa si presenta nella forma della Teologia narrativa, cercheremo di presentare il suo insegnamento sul nostro argomento, rispettando il filo narrativo, autobiografico dei suoi scritti. La nostra esposizione si svolgerà in sei punti:

1/ L'inizio della Maternità spirituale di Teresa, nella comunione con Gesù Crocifisso.

2/ Il pellegrinaggio a Roma.

3/ Al Carmelo di Lisieux.

4/ Le Lettere alla sorella Celina.

5/ I due fratelli spirituali: il seminarista Bellière e il Padre Roulland.

6/ Il Manoscritto B.

 

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1/ L'inizio della Maternità spirituale di Teresa, nella comunione con Gesù Crocifisso.

Per capire ciò che Teresa scriverà a proposito dei sacerdoti, bisogna considerare un aspetto essenziale della sua spiritualità, che è non solo il desiderio appassionato della salvezza di tutti i fratelli, ma anche la speranza della loro salvezza, interamente fondata sulla scoperta piena della misericordia divina in Gesù. E' proprio questa speranza sicura e senza limiti che consiste a "sperare per tutti", secondo l'espressione del Cardinale H. U. von Balthasar.

Troviamo la prima e veramente splendida espressione di questa speranza al cuore del primo Manoscritto Autobiografico (Manoscritto A). E' nell'anno 1887 precedente la sua entrata al Carmelo, che la giovane riceve una grazia decisiva per tutta la sua vita. Teresa ha allora 14 anni; ha appena ricevuto la "grazia del Natale" 1886, grazia di "conversione" e anche di guarigione psicologica e di liberazione affettiva.

Come sempre, nella sua vita, le più grandi grazie vengono date attraverso le più piccole cose della vita quotidiana, senza niente di straordinario: né visioni, né rivelazioni. Questa grazia è comunicata a Teresa per mezzo d'una semplice immagine conservata nel suo messale:

"Una domenica guardando una immagine di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che cadeva da una mano sua divina, provai un dolore grande pensando che quel sangue cadeva a terra senza che alcuno si desse premura di raccoglierlo; e risolsi di tenermi in ispirito a piè della Croce per ricevere la divina rugiada, comprendendo che avrei dovuto, in seguito, spargerla sulle anime... Il grido di Gesù sulla Croce mi echeggiava continuamente nel cuore: " Ho sete! ". Queste parole accendevano in me un ardore sconosciuto e vivissimo... Volli dare da bere all'Amato, e mi sentii io stessa divorata dalla sete delle anime. Non erano ancora le anime dei sacerdoti che mi attraevano, ma quelle dei grandi peccatori, bruciavo dal desiderio di strapparli alle fiamme eterne...".

Interessante è il riferimento ai sacerdoti. Teresa non ha ancora scoperto che ci sono anche dei sacerdoti peccatori che hanno bisogno della sua preghiera. Poi, la sua preghiera per i sacerdoti sarà sempre integrata nella grande prospettiva della salvezza di tutti i fratelli, e specialmente di quelli che sono più in pericolo, apparentemente "disperati".

In questo racconto, Teresa è molto vicina a Caterina da Siena (cf la mia precedente conferenza): è lo stesso atteggiamento delle sante donne del Vangelo, che stanno più vicino a Gesù Crocifisso, condividendo la sua "sete delle anime", cioè il suo "desiderio infinito" della salvezza di tutti gli uomini. Colpisce anche il riferimento al Sangue di Gesù in questo testo talmente "cateriniano" di Teresa. Ritroviamo infatti la stessa teologia tipicamemnte femminile, caratterizzata dalla medesima contemplazione amorosa del Corpo di Gesù Crocifisso e del suo Sangue che purifica da ogni peccato, una contemplazione vissuta nella stessa esperienza di maternità spirituale verso i peccatori. L'immagine rappresentava Maria Maddalena che abbraccia teneramente i piedi di Gesù Crocifisso, esattamente come Caterina la contemplava, tutta bagnata dal Sangue di Gesù che usciva allora dalle sue piaghe. "Abbraccia la Croce e allaga di Sangue", diceva Caterina. Come la Maddalena, Teresa riceve questo Sangue inseparabilmente per se e per gli altri. Il suo pensiero è molto chiaro: questo Sangue che Gesù ha versato sulla Croce deve raggiungere coloro per i quali è stato versato, e specialmente i grandi peccatori, quelli che rischiano di non riceverlo e di finire nelle fiamme eterne dell'inferno. Se questo succede, il Sangue cadrà a terra, sarà come perduto, non li raggiungerà, non li salverà. Questo, Teresa non può mai accettarlo, a causa della sua immensa carità, fonte di una speranza senza limiti. Troviamo qui una bellissima verifica della dottrina di san Tommaso riguardo alla carità come "madre, forma e radice di tutte le virtù". Per il santo Dottore, è proprio la carità che rende la speranza capace di sperare per un altro. Nel testo di Teresa, la carità si manifesta pienamente come Amore di Gesù e del prossimo: l'unione più intima con Gesù per la salvezza del prossimo. Con questa decisiva "risoluzione di tenersi ai piedi della Croce" per ricevere il Sangue di Gesù e spargerlo sulle anime, Teresa condivide "l'amorosa audacia della Maddalena", partecipando anche alla Maternità di Maria verso l'uomo redento da Cristo. E' proprio l'inizio della sua immensa Maternità spirituale.

Subito dopo, infatti, Teresa racconta come ha allora ottenuto la salvezza del criminale Pranzini, condannato e morte e ghigliottinato il 31 Agosto dello stesso anno, chiamandolo "il mio primo figlio". Il testo è molto bello, molto vicino alla Lettera 273 dove santa Caterina raccontava la salvezza di Niccolò Tuldo, anche lui condannato a morte e decapitato. Certo, il contesto è diverso: Teresa non ha mai incontrato questo "primo figlio" e non è stata fisicamente presente alla sua esecuzione. Ma la realtà è essenzialmente la stessa: la donna che ha deciso di rimanere ai piedi della Croce come le sante donne del Vangelo condivide la maternità di Maria verso i peccatori, mettendoli a contatto con il Sangue di Gesù.

Il racconto di Teresa è molto forte come espressione di carità, di fede e di speranza. La carità si trova sempre al primo posto: sentendo parlare di questo criminale impenitente che sta per morire, Teresa vuole "ad ogni costo" la sua salvezza eterna. Ma, nella sua fede, conosce chiaramente il grande pericolo, quello della sua dannazione:

"Intesi parlare d'un grande criminale, ch'era stato condannato a morte per dei delitti orribili, tutto faceva prevedere ch'egli morisse nell'impenitenza. Volli a qualunque costo impedirgli di cadere nell'inferno".

Teresa s'impegna totalmente nella preghiera, condividendo con la sorella Celina la sua grande intenzione. Il testo di Teresa esprime allora la più assoluta speranza riguardo alla salvezza di quest'uomo, apparentemente "disperato". E' l'espressione più forte della speranza per un altro, fondata unicamente sulla Misericordia Infinita del Redentore, questa speranza sicura "che non delude" (cf Rm 5/5), ma che ottiene in un modo "assolutamente infallibile" la salvezza eterna:

"Sentivo in fondo al cuore la certezza che i desideri nostri sarebbero stati appagati; ma, per darmi coraggio e continuare a pregare per i peccatori, dissi al buon Dio che ero sicura del suo perdono per lo sciagurato Pranzini; e che avrei creduto ciò anche se quegli non si fosse confessato e non avesse dato nessun segno di pentimento, tanta fiducia avevo nella Misericordia infinita di Gesù".

E' Teresa stessa che ha sottolineato le parole: "certezza", "confessato", "nessun segno di pentimento"! Questo segno, che non era necessario per la certezza della speranza di Teresa, sarà comunque dato. La santa lo racconta, ritornando così al suo punto di partenza: la sua contemplazione amorosa di Gesù Crocifisso e la sua risoluzione di ricevere il suo Sangue per darlo ai peccatori:

"Pranzini non si era confessato, era salito sul patibolo e stava per passare la testa nel lugubre foro, quando a un tratto, preso da una ispirazione subitanea, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava, e bacia per tre volte le piaghe divine! Poi l'anima sua va a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dice: " Ci sarà più gioia in Cielo per un solo peccatore il quale faccia penitenza che per novantanove giusti i quali non ne hanno bisogno... "

Avevo ottenuto " il segno " richiesto, e quel segno era la riproduzione fedele delle grazie che Gesù mi aveva fatte per attirarmi a pregare in favore dei peccatori. Non era davanti alle piaghe di Gesù, vedendo cadere il suo Sangue divino, che la sete delle anime mi era entrata nel cuore? Volevo dar loro da bere quel Sangue immacolato che avrebbe purificato le loro macchie, e le labbra del " mio primo figlio " andarono a posarsi sulle piaghe sante!!! Quale risposta dolcissima! Ah, dopo quella grazia unica, il mio desiderio di salvare anime crebbe giorno per giorno; mi pareva udire Gesù che mi dicesse, come alla Samaritana: " Dammi da bere " Era un vero scambio di amore; alle anime davo il Sangue di Gesù, a Gesù offrivo quelle anime stesse rinfrescate dalla rugiada divina; mi pareva così di dissetarlo, e più gli davo da bere più la sete della mia povera anima cresceva, ed era quella sete ardente che egli mi dava come la bevanda più deliziosa del suo amore".

Bisognava citare interamente questo testo, anche se non riguarda direttamente i sacerdoti. Qui si vede infatti come Teresa vive al femminile il suo sacerdozio battesimale. Come santa Caterina e le altre sante, Teresa è una donna che partecipa al sacrificio redentore di Cristo con tutto il suo cuore di madre. Qui, il "privilegio della femminilità nell'Amore di Gesù" si manifesta sotto l'aspetto della maternità spirituale, in un rapporto privilegiato con il Corpo e il Sangue di Gesù, e con la speranza senza limiti per la salvezza del "figlio" peccatore.

 

2/ Il pellegrinaggio a Roma

Nel mese di Novembre dello stesso anno 1887, Teresa e Celina, insieme con il loro Padre, partecipano ad un pellegrinaggio a Roma, organizzato dalla diocesi di Coutances. Così, per un mese intero, Teresa vive con i partecipanti del pellegrinaggio, membri dell'aristocrazia e molti sacerdoti. La giovane scopre allora una dimensione essenziale della sua vocazione: la preghiera per i sacerdoti. Ascoltiamo il suo racconto:

"L'altra esperienza che feci riguarda i sacerdoti. Non avendo vissuto nella loro intimità, non potevo capire lo scopo principale della riforma del Carmelo. Pregare per i peccatori mi rapiva, ma pregare per le anime dei sacerdoti che io credevo pure più del cristallo, mi pareva sorprendente!

Ah! ho capito la mia vocazione in Italia e non è stato andar troppo lontano per una conoscenza tanto utile!

Per un mese ho vissuto con molti santi sacerdoti e ho visto che, se la loro dignità sublime li innalza al di sopra degli angeli, essi sono tuttavia uomini deboli e fragili... Se dei santi sacerdoti che Gesù chiama nel Vangelo " il sale della terra " mostrano nella loro condotta che hanno un grande bisogno di preghiere, che dobbiamo dire dei tepidi? Gesù non ha detto anche: " Se il sale diviene scipito, con che cosa lo rafforzeremo? ".

Oh, Madre! Com'è bella la vocazione che ha per scopo di conservare il sale destinato alle anime! E la vocazione del Carmelo, poiché il fine unico delle nostre preghiere e dei nostri sacrifici è d'essere apostole degli apostoli, pregando per essi mentre evangelizzano le anime con le parole e soprattutto con gli esempi...".

Bisogna insistere sul fatto che i sacerdoti di cui Teresa parla non erano i sacerdoti italiani, ma solo i sacerdoti francesi del pellegrinaggio! La giovane aveva scoperto in Italia quanto i sacerdoti francesi avevano bisogno della sua preghiera (ma era forse lo stesso per tutti i sacerdoti del mondo)!

Ciò che colpisce di più è l'atteggiamento di Teresa, esattamente simile a quello di san Francesco e di santa Caterina. Teresa riafferma la sublime dignità dei sacerdoti, onorati da Dio più di tutti gli altri uomini, più anche degli angeli; mentre scopre che sono allo stesso tempo uomini deboli, fragili, che hanno tanto bisogno della sua preghiera. Questa scoperta non la scandalizza, non diminuisce la sua fede nel sacerdozio né il suo amore per i sacerdoti. Al contrario, è una grazia, una crescita nell'amore, in un amore più maturo, più realista, proprio l'amore della madre per i figli più deboli e fragili. Così, a partire da questo momento, Teresa s'impegnerà fino in fondo per la santificazione dei sacerdoti, nella grande prospettiva della Missione della Chiesa per la salvezza di tutti gli uomini. Il suo messaggio ai sacerdoti sarà una parola di amore e di santità: sempre l'insegnamento dell'Amore di Gesù. Teresa è consapevole di essere come la Maddalena "apostolorum apostola".

Nello stesso racconto del pellegrinaggio a Roma, la nostra santa fa proprio riferimento alle sante donne del Vangelo, e questa volta in un testo "femminista" e gentilmente polemico riguardo alla misoginia clericale. Per la prima volta, Teresa scopre questo aspetto tanto pesante del clericalismo, che è l'atteggiamento negativo riguardo alle donne. Ma lì ancora, la sua reazione è meravigliosamente giusta:

"Non riesco ancora a capire perché mai le donne siano tanto facilmente scomunicate in Italia, ad ogni pié sospinto ci veniva detto: " Non entrate qua... non entrate là sareste scomunicate! ". Ah povere donne, quanto disprezzo per loro! Eppure, sono ben più numerose degli uomini quelle che amano Dio, e durante la Passione di Nostro Signore le donne ebbero più coraggio degli Apostoli, poiché sfidarono gl'insulti dei soldati e osarono asciugare il Volto adorato di Gesù. Certamente per questo egli permette che il disprezzo sia il loro retaggio sulla terra, poiché l'ha scelto per se stesso. In Cielo, saprà ben mostrare che i pensieri suoi non sono quelli degli uomini, poiché allora le ultime saranno le prime.".

Qui si potrebbe parlare veramente del "femminismo" di Teresa, come sempre in riferimento al Vangelo. La santa intende manifestare la dignità delle donne, ricordando giustamente l'atteggiamento delle sante donne nella Passione di Gesù, più fedeli degli Apostoli. Hanno mostrato un più grande Amore verso Gesù. A suo modo, Teresa difende ancora "il privilegio della femminilità nell'Amore di Gesù".

3/ Al Carmelo di Lisieux

Teresa entra al Carmelo di Lisieux il 9 aprile 1888, all'età di 15 anni, molto giovane, ma già con una straordinaria maturità spirituale. Per lei, il senso della sua vocazione contemplativa è chiarissimo, come lo afferma:

"Quello che venivo a fare nel Carmelo, lo dichiarai ai piedi di Gesù Ostia, nell'esame che precedette la mia professione: "Sono venuta per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti". Quando si vuole conseguire uno scopo, occorre prendere i mezzi adeguati: Gesù mi fece capire che voleva darmi delle anime per mezzo della Croce".

La relazione di Teresa con i sacerdoti sarà vissuta soprattutto nella preghiera. Mentre Teresa d'Avila aveva avuto tante relazioni spirituali con i sacerdoti, Teresa di Lisieux non ha avuto neanche un padre spirituale. Colui che doveva esserlo, il Padre Pichon, gesuita, è dovuto partire per il Canada. Teresa gli scriverà una volta al mese, mentre lui risponderà solo una volta all'anno. Ma è chiaro che questo buon Padre non aveva capito la grandezza della figlia spirituale. Questo specialista del discernimento ha distrutto tutte le lettere di Teresa, vedendo solo in lei una buona piccola carmelitana, ma niente di più. Anche la santa lo dice negli ultimi colloqui: "Il Padre Pichon mi trattava troppo come una bambina".

Nel 1890, Teresa ha incontrato ancora più incomprensione da parte di un altro gesuita, il Padre Blino. Quando la carmelitana gli ha esposto il suo desiderio di diventare una grande santa, il buon Padre l'ha rimproverata, sospettando qualche forma di orgoglio. Ma Teresa non si è lasciata impressionare, appoggiandosi come sempre sul Vangelo, come lo vediamo in una lettera scritta alla sorella Celina sul momento:

"Celina, pensi davvero che santa Teresa abbia ricevuto più grazie di te?... Per me, io non ti dirò di mirare alla sua santità serafica, ma di essere perfetta come è perfetto il tuo Padre celeste! Ah! Celina, i nostri desideri infiniti non sono né sogni né chimere, perhé Gesù stesso ci ha dato questo comandamento!.

L'unico sacerdote che ebbe un ruolo veramente decisivo nella vita di Tersa fu un francescano, il Padre Alexis Prou, che predicò gli esercizi al Carmelo di Lisieux nel 1891. Ascoltiamo il racconto di Teresa:

"L'anno che seguì la mia professione, cioè due mesi prima che morisse Madre Genoveffa, ricevetti grandi grazie durante il ritiro. Generalmente i ritiri predicati mi sono ancora più dolorosi di quelli che faccio da sola, ma quelI'anno accadde diversamente. Avevo fatto una novena preparatoria con grande fervore, nonostante quello che provavo intimamente, perché mi sembrava che il predicatore non potesse capirmi, in quanto pareva adatto soprattutto a far del bene ai grandi peccatori, ma non alle anime consacrate. Il Signore, volendo mostrarmi che è lui solo il direttore dell'anima mia, si servì proprio di quel Padre, il quale fu apprezzato soltanto da me. Avevo allora grandi prove intime di ogni sorta (fino a chiedermi talvolta se ci fosse un Cielo). Mi sentivo inclinata a non parlare delle mie disposizioni intime, non sapendo come esprimerle, ma appena entrata in confessionale sentii l'anima mia dilatarsi. Dopo che avevo detto poche parole, fui capita in un modo meraviglioso e perfino indovinata. L'anima mia era come un libro nel quale il Padre leggeva meglio che io stessa. Mi lanciò a vele spiegate sulle onde della confidenzae dell'amore che mi attiravano così fortemente, e sulle qualinon osavo andare avanti. Mi disse che le mie colpe non addoloravano il Signore, e aggiunse come suo rappresentante e a nome suo che il Signore era molto contento di me".

Questo santo padre francescano fu veramente lo strumento del Signore per liberare definitivamente Teresa, per sciogliere gli ultimi legami che l'impedivano di seguire pienamente il suo orientamento spirituale, così riassunto in due parole: "la fiducia e l'amore". Saranno anche le due ultime parole del Manoscritto C. Senza il ministero di questo Padre, forse non avremmo mai avuto santa Teresa di Lisieux! Il suo ruolo era necessario per cancellare le ultime tracce degli scrupoli di Teresa, in questo ambiente ancora molto giansenista. Questo sacerdote è anche un esempio per noi, chiamati ad aiutare i fratelli a camminare nella fiducia e nell'amore. Teresa non ha più rivisto questo Padre, non gli ha mai scritto. E' bastato questo incontro. Ma non lo dimenticherà mai e avrà per lui un'immensa gratitudine.

4/ Le lettere alla sorella Celina

La preghiera per i sacerdoti è un elemento essenziale delle lettere di Teresa alla sorella Celina. Queste lettere sono anche una parte importantissima degli scritti della santa. Dal punto di vista cronologico, sono il primo grande blocco letterario. Infatti, queste lettere, scritte tra il 1888 (entrata di Teresa al Carmelo) e il 1894 (entrata di Celina), sono anteriori ai Manoscritti Autobiografici. Teresa scriverà il primo Manoscritto (A) nel 1895.

Le lettere a Celina sono un vero trattato della verginità. Teresa scrive alla sorella per sostenerla nel suo proposito di vita consacrata, mentre deve rimanere ancora parecchi anni nel mondo per aiutare il Babbo, gravemente ammalato. Per questo, la carmelitana apre tutto il suo cuore, nella sua realtà più intima, cioè la sua esperienza di amore, come sposa e madre, sposa di Gesù e madre delle anime. In questo periodo, Teresa legge molto le opere di san Giovanni della Croce, assimilando profondamente il suo insegnamento sulla sponsalità cristologica. Ed è proprio in questa luce della sponsalità che la carmelitana vive la sua professione religiosa, l'8 settembre 1890. La preghiera scritta da Teresa lo stesso giorno comincia con le parole "O Gesù mio Sposo divino". Questa preghiera contiene principalmente una duplice domanda: il dono dell'Amore Infinito e la salvezza di tutti i fratelli: che nessuno sia dannato.

Per Teresa, la verginità consacrata significa inseparabilmente essere sposa e madre: vergine sposa come la Chiesa, vergine madre come Maria. Più tardi, lo dirà in una poesia con due versi meravigliosi:

"Je suis vierge, ô Jésus! cependant quel mystère

En m'unissant à toi, des âmes je suis mère".

cioè:

"Sono vergine, o Gesù! ma che mistero!

Unendomi a te, delle anime sono madre".

Colpisce la bellezza delle affermazioni: "Sono vergine... sono madre". Dal punto di vista teologico e spirituale, le lettere di Teresa a Celina sono molto vicine a quelle di santa Chiara d'Assisi a sant'Agnese di Praga, con gli stessi accenti tipicamente femminili. Una donna consacrata a Gesù nella verginità condivide con un'altra che vive nella stessa vocazione, la sua più intima esperienza di Amore, il suo modo di amare il Signore e il prossimo con tutto il suo cuore: come sorella e figlia, ma ancora di più come sposa e madre.

Ed è in questo contesto dell'Amore totale di Gesù che si manifesta tutto il senso evangelico della piccolezza e della povertà, poiché la povertà francescana e la piccolezza teresiana sono in realtà la stessa cosa: cioè il grande privilegio del Figlio di Dio e della sua santissima Madre in questa vita terrestre, dal Presepio alla Croce. E il privilegio della Chiesa Pellegrinante è di abbracciare la povertà del suo Sposo. Così Chiara scrive ad Agnese: "Vergine povera, abbraccia Cristo povero". Allo stesso modo, nella lettera del 25 aprile 1893, Teresa invita Celina a sposare pienamente la piccolezza di Gesù, inventando una stupenda parabola a partire dalla Sacra Scrittura. Gesù è infatti lo Sposo divino che nel Cantico dei Cantici afferma: "io sono il Fiore dei campi" (Ct 2/1); è lo stesso che, nel Vangelo, dice alla Samaritana: "dammi da bere" (Gv 4/7). Così, insistendo sulla piccolezza estrema del Verbo Incarnato in tutta la sua vita terrestre, come il Fiore dei campi, Teresa spiega come la sposa di Gesù deve soprattutto sposare questa sua piccolezza, facendosi piccola piccola, come una gocciolina di rugiada per rispondere alla sua sete di amore.

Il meraviglioso paradosso di queste lettere di Teresa a Celina (come delle lettere di Chiara), sta nel fatto che questa intimità sponsale con Gesù è allo stesso tempo una maternità spirituale senza limiti che abbraccia tutti gli uomini, e specialmente "le membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo".

In queste lettere di Teresa a Celina, troviamo come uno sviluppo continuo del grande proposito della carmelitana: "Sono venuta per salvare le anime, e soprattutto a pregare per i sacerdoti". Troviamo spesso, come un leitmotiv, le parole "preghiamo per i sacerdoti".

Nella lettera del 31 dicembre 1889, Teresa esprime alla sorella il suo orientamento per l'anno nuovo, con un accento tipico e delicatissimo:

"Celina, se vuoi, ci possiamo mettere a convertire le anime, bisogna che quest'anno facciamo molti sacerdoti che sappiano amare Gesù! che lo tocchino con la stessa delicatezza con cui lo toccava Maria nella sua culla".

Colpisce qui l'aspetto dell'amore materno. Teresa condivide la maternità di Maria, Madre dei sacerdoti che insegna a loro l'Amore di Gesù. Il paragone tra il Corpo di Gesù nella culla e nell'Eucaristia è tipico in Teresa. Su questo punto, la nostra santa è molto vicina a san Francesco (cf la mia prima conferenza), con la stessa insistenza sull'umiltà, la povertà e la piccolezza di Gesù nell'Ostia "ancora più piccolo di un bambino". Il riferimento a Maria riguardo al sacerdote colpisce in Teresa come in Francesco. Il Sacerdote che tocca ogni giorno il vero Corpo di Gesù nell'Eucaristia deve condividere l'atteggiamento di Maria che lo toccava nella sua culla, con lo stesso amore, la stessa fede, lo stesso rispetto, lo stesso senso profondo di adorazione.

Più tardi, nella sua lettera del 15 agosto 1892, Teresa spiega a Celina la complementarità tra la sua vocazione contemplativa di carmelitana e quella del sacerdote, la loro collaborazione alla salvezza dei fratelli. E' Gesù stesso che dice alla carmelitana:

"Voi siete i miei Mosè in preghiera sulla montagna domandatemi operai ed io ve ne manderò. Non aspetto che una preghiera, un sospiro del vostro cuore!

L'apostolato della preghiera non è forse, per così dire, più elevato che quello della parola? La nostra missione, come carmelitane, è di formare degli operai evangelici che salveranno migliaia di anime delle quali noi saremo le madri...

Celina, se non fossero le parole stesse di Gesù, chi oserebbe credervi?... Io trovo che la nostra parte è veramente bella!... Che cosa abbiamo da invidiare ai sacerdoti?".

Qui, Teresa fa riferimento al capitolo 17 dell'Esodo, dove Mosè sta sulla montagna in preghiera mentre il popolo combatte nella pianura. E' la sua preghiera, a mani alzate, che ottiene da Dio la vittoria per il popolo. La carmelitana allude spesso a questo testo biblico per interpretare la sua vocazione contemplativa: essere un "piccolo Mosè".

Infatti, con la sua preghiera, la carmelitana è veramente formatrice dei sacerdoti, per la loro santificazione e la fecondità del loro ministero. Qui colpisce ancora l'espressione della maternità spirituale della carmelitana: è madre delle anime evangelizzate dai sacerdoti, e non ha dunque niente da invidiare alla loro paternità spirituale.

In queste lettere a Celina, c'è anche un'attenzione particolare per i sacerdoti più peccatori e anche più scandalosi. Teresa prega con fiducia per la loro conversione, per la loro salvezza. Così, la santa fa specialmente riferimento al Padre Hyacinthe Loyson, carmelitano apostata, sposato, ribelle contro la Chiesa cattolica e scomunicato. Mentre i buoni cristiani dell'epoca lo chiamano "Giuda" e "Traditore", Teresa continua a chiamarlo "il nostro fratello, un figlio della santa Vergine", ricordando così la sua appartenenza al Carmelo. La carmelitana spera pienamente la sua conversione e la sua salvezza, come lo aveva fatto per Pranzini, senza dimenticare la gravità del suo peccato:

"Celina cara, è davvero colpevole, più colpevole forse di quanto sia mai stato un peccatore convertito, ma non può forse Gesù fare quello che non ha mai fatto fin qui? Se non lo desiderasse, avrebbe messo nel cuore delle sue povere pic cole spose un desiderio irrealizzabile?... No, è certo che desidera più di noi ricondurre all'ovile questa povera pecorella smarrita. Verrà un giorno in cui i suoi occhi si riapriranno... Non ci stanchiamo di pregare. La fiducia compie miracoli e Gesù ha detto alla beata Margherita Maria: " Un'anima giusta ha tanto potere sul mio cuore che può ottenere il perdono per mille criminali ". Nessuno sa se è giusto o peccatore, ma, Celina, Gesù ci fa la grazia di sentire in fondo al cuore che preferiremmo morire piuttosto che offenderlo. D'altronde non sono i nostri meriti ma quelli del nostro Sposo, e perciò nostri, che noi offriamo al Padre che sta nei cieli affinché il nostro fratello, un figlio della santa Vergine, torni vinto a gettarsi sotto il manto della più misericordiosa delle madri".

Nella sua precedente lettera, Teresa applicava a questo sacerdote peccatore la sua grande simbolica, la simbolica dei fiori. E' "un giglio appassito e deturpato che occorre transformare in una rosa d'amore e di pentimento". Fino alla fine, la santa s'impegnerà per la sua salvezza, offrendo per lui la sua ultima comunione.

5/ I due fratelli spirituali: il seminarista Bellière e il Padre Roulland.

Le lettere a Celina ci rivelano come, a partire dal 1893, Teresa aveva già pienamente scoperto la piccolezza evangelica, sposando la piccolezza di Gesù fiore dei campi, facendosi la sua "gocciolina di rugiada", tutta per Lui, tutta in Lui e solo per Lui. Poi, dopo l'entrata di Celina al Carmelo nel 1894, Teresa esprimerà la stessa piccolezza con il simbolo dell'infanzia: essere come un bambino piccolo nelle braccia di Gesù. Sarà finalmente l'espressione classica dell'infanzia spirituale nel Manoscritto C.

La grande scoperta dell'anno 1895 si esprime nell'Offerta all'Amore Misericordioso, una realtà che Teresa condivide subito con le consorelle. E' già diventata una maestra che insegna un cammino spirituale, la sua piccola via di fiducia e di amore.

Questa via, Teresa la insegna anche ai suoi due fratelli spirituali: il seminarista Bellière che sta per entrare nel noviziato dei Padri Bianchi, e il padre Roulland, giovane sacerdote delle Missioni estere di Parigi. Teresa ha ricevuto il primo fratello nel mese di ottobre 1895, e il secondo nel mese di maggio 1896. Tra queste due date, bisogna ricordare un fatto importantissimo: al momento della Pasqua di quest'anno 1896, Teresa è entrata nella sua Passione, Passione del corpo con la prima manifestazione della malattia che la porterà alla morte attraverso delle grandi sofferenze fisiche, ma soprattutto Passione dell'anima con la terribile "prova contro la fede", che Teresa accetta per Amore di Gesù Crocifisso e per la salvezza di tutti quelli che peccano contro la fede: gli anticlericali e gli atei del suo tempo che la santa chiama anche "i suoi fratelli". In questo contesto drammatico, è tutta la dimensione missionaria della spiritualità di Teresa che si rivela pienamente. La sua solidarietà fraterna (e anche materna) con i sacerdoti diventa totale. La carmelitana diventa pienamente sorella e madre dei missionari, ma anche di tutti i sacerdoti. Infatti, quando parla dei suoi due fratelli missionari, nel Manoscritto C, la sua preghiera si apre a tutti gli altri missionari, e anche a tutti i sacerdoti:

"Spero con la grazia del buon Dio di essere utile a più di due missionari, e non potrei dimenticare di pregare per tutti, senza tralasciare i semplici sacerdoti la cui missione talvolta è difficile quanto quella degli apostoli i quali predicano agl'infedeli".

Prima di vedere come Teresa parla ai suoi fratelli spirituali nelle sue lettere, bisogna vedere come parla di loro a Gesù nella sua preghiera. Infatti, quando la carmelitana ha ricevuto il suo primo fratello seminarista (ottobre 1895), ha subito scritto una bellissima preghiera per lui. Teresa parla a Gesù suo Sposo e intercede come "piccolo Mosè" per questo futuro sacerdote missionario:

"Gesù mio, vi ringrazio di colmare uno dei miei più grandi desideri: quello d'avere un fratello sacerdote e apostolo !

Sono indegna, è vero, di questo favore; ma giacché vi degnate di concedere alla vostra povera piccola sposa la grazia di lavorare in modo speciale per la santificazione di un'anima destinata al sacerdozio, con gioia vi offro per essa tutte le preghiere e i sacrifici di cui posso disporre; vi chiedo, o mio Dio, di non guardare ciò che sono, ma ciò che dovrei e vorrei essere, ossia, una religiosa tutta infiammata del vostro amore.

Voi lo sapete, Signore, I'unica mia ambizione è di farvi conoscere e amare: ora il mio desiderio sarà attuato. Io non posso che pregare e soffrire; ma quegli, al quale vi degnate unirmi con i dolci vincoli della carità, scenderà al piano a combattere per conquistarvi dei cuori, mentre io, sulla montagna del Carmelo, vi supplicherò di accordargli vittoria".

Lo affida poi alla protezione di Gesù e alla guida materna di Maria. E' Maria che insegnerà a questo futuro sacerdote la realtà essenziale che è l'Amore di Gesù, vissuto nella sua purezza verginale:

"Maria, dolce Regina del Carmelo, a voi affido l'anima del futuro sacerdote, di cui sono l'indegna sorellina!

Degnatevi insegnargli fin d'ora con quale amore voi toccavate il celeste Bambino Gesù e lo involgevate nelle fasce perché un giorno possa ascendere al santo altare e portare nelle sue mani il Re dei cieli.

Vi chiedo ancora di custodirlo sempre all'ombra del manto vostro verginale".

Le lettere scritte allo stesso seminarista sono tra le più belle dell'epistolario di Teresa. Bellière era un giovane ancora debole, poco maturo, molto emotivo. Teresa sa adattarsi a lui, parlargli con grande affetto, con una tenerezza fraterna e materna, per incoraggiarlo a seguire anche lui la piccola via di fiducia e di amore, superando tutti i suoi timori, i suoi scrupoli. La santa dà lo stesso insegnamento al Padre Roulland, ma in una forma abbastanza diversa, perché lui è un uomo maturo, anche se è giovane (ha 26 anni quando diventa il fratello spirituale di Teresa). La carmelitana lo aiuta anche a liberarsi completamente da questa paura di Dio che viene dal giansenismo.

Il 24 gennaio 1897, Teresa scrive al seminarista una lettera molto bella nella quale esprime il senso della sua missione per l'eternità, in cielo come in terra: "amare Gesù e farlo amare". In modo particolare, in questa lettera, Teresa parlando delle sue poesie che ha mandato al fratello, scrive queste righe importantissime:

"Questi versi si adattano più ad una religiosa che ad un seminarista. Spero tuttavia che le faranno piacere. Non è forse la sua anima la fidanzata dell'Agnello divino, e non diventerà presto la sua sposa, il giorno benedetto della sua ordinazione a suddiacono?".

Qui, troviamo infatti l'insegamento più luminoso di Teresa riguardo al nostro celibato sacerdotale. La santa non fa altro che di adattare ad un futuro sacerdote, l'argomento essenziale delle sue poesie che è l'Amore sponsale di Gesù. Per Teresa infatti, la religiosa è essenzialmente Sposa di Cristo: è una realtà che vive intensamente e insegna sempre alle consorelle. Le sue poesie, che sono un cantico d'Amore tra Gesù Sposo e la sua sposa, sono una parte essenziale della sua opera. Sono state riscoperte e anche riabilitate, con la restituzione critica del testo autentico (erano state molto ritoccate dalla Madre Agnese). Certo, la loro forma letteraria è abbastanza povera; non sono dei capolavori della letteratura francese. Ma questa povertà letteraria ha anche il suo valore e il suo significato: è come l'espressione della povertà evangelica di Teresa che la rende più vicina ai poveri e ai piccoli. Si potrebbe dire esattamente lo stesso a proposito dei Cantici di san Luigi Maria Grignion de Montfort: una poesia povera destinata ai poveri. Invece le poesie di san Giovanni della Croce, che sono dei capolavori letterari, sono più difficili e meno accessibili. Teresa s'ispira molto a san Giovanni della Croce, soprattutto a proposito dell'Amore Sponsale di Cristo, ma lo traduce in un linguaggio molto più semplice, e ne dà anche la sua propria interpretazione femminile.

Come le lettere a Celina, le Poesie di Teresa presentano infatti una teologia tipicamente femminile: sono scritte da una donna consacrata per le sue sorelle nella stessa vita consacrata. Come le lettere di santa Chiara, le poesie di Teresa sono una manifestazione esemplare del "privilegio della femminilità nell'Amore di Gesù", vissuto come Amore Sponsale e materno, filiale e fraterno. Poiché Gesù, Figlio di Dio, Verbo Incarnato, è vero uomo figlio d'una donna e sposo della Chiesa, è chiaro che la donna è privilegiata per amarlo con tutto il suo cuore di di madre e di sposa. E non c'è dubbio che il cuore che ha amato Gesù di più è un cuore di donna, il cuore della sua santa madre. Teresa paragona spesso il suo cuore ad una lira, cioè ad uno strumento musicale con diverse corde. Ci sono dunque queste quattro corde principali (sponsale, materna, filiale e fraterna) che lo Spirito Santo fa vibrare nella carità, nel semplice atto d'amore che è il leitmotiv delle poesie di Teresa: Gesù ti amo. Ne troviamo per esempio una bellissima espressione nella poesia Vivere d'Amore, che è proprio la prima mandata da Teresa al fratello seminarista. Tre versi bastano per situare questo atto d'amore in tutta la sua dimensione cristocentrica e trinitaria:

"Ah tu lo sai, divin Gesù ti amo,

Lo Spirito d'Amore m'incendia col suo fuoco

Amandoti attiro il Padre".

Riconosciamo qui le parole di Pietro nel capitolo 21 del Vangelo di Giovanni: "Signore, tu sai che ti amo", queste parole che erano il punto di partenza e il fondamento di tutte queste nostre meditazioni sull'Amore di Cristo centro della vita sacerdotale.

I santi ci mostrano l'inesauribile bellezza e richezza di questo atto d'amore ispirato dallo Spirito Santo; come riempie il cuore umano in tutte le sue dimensioni, come lo purifica e lo dilata. I cuori dei santi e delle sante sono dunque dei cuori umani, di uomini e di donne, pienamente realizzati nell'amore, e questo con un armonioso pluralismo. Diverse sono le voci nella polifonia, diversi sono gli strumenti nella sinfonia, con le loro diverse corde, ma la santità è sempre armonia. Nel cuore di Teresa, la "corda dominante" è quella dell'Amore sponsale, mentre nel cuore di santa Caterina da Siena era piuttosto quella dell'Amore materno. Ma le altre corde sono anche presenti.

Così, offrendo queste poesie ad un seminarista, la nostra santa le offre a tutti i seminaristi e a tutti noi sacerdoti, con la stessa chiave di lettura: l'insistenza sulla sponsalità sacerdotale in rapporto con il celibato. L'anima del candidato al sacerdozio diventa sposa di Gesù con l'impegno perpetuo nel celibato: oggi avviene al momento dell'ordinazione diaconale, poiché non esiste più il suddiaconato.

Teresa adatta per il seminarista l'insegnamento che dà alla novizia carmelitana, fidanzata di Gesù, destinata a diventare sua sposa al momento della professione religiosa. Per esprimere questa verità ad un uomo, Teresa riprende l'espressione tipica di san Giovanni della Croce: l'anima sposa. Non si tratta dell'anima distinta dal corpo, nella sua relazione con il corpo, ma di tutta la persona corpo e anima nella sua relazione sponsale con Gesù. Qui, l'anima è un concetto simbolico, per significare tutto l'uomo, ma con una parola femminile. Abbiamo visto come santa Caterina esprimeva la sponsalità del sacerdote con le parole "sposo della Verità", cioè di Cristo Verità. E' dunque la stessa realtà che Teresa formula diversamente con il tema dell'anima sposa di Cristo. Si tratta d'un punto essenziale per la formazione dei sacerdoti.

La carmelitana ci offre le sue poesie, ci invita a fare nostro il loro contenuto principale che è l'espressione dell'Amore di Gesù come Amore sponsale: "Gesù mio Sposo ti amo". In questo, non c'è niente di sbagliato, né di pericoloso, né di ridicolo, né di sentimentale. E' una grande verità teologica che abbiamo potuto considerare con santa Caterina da Siena, e che corrisponde al posto privilegiato del sacedote nel Mistero della Chiesa Sposa. E' anche una grande verità antropologica, poiché la sponsalità è una realtà essenziale del nostro cuore umano, che dobbiamo riconoscere senza paura, senza repressione, ma imparando ad integrarla nell'amore di Gesù. Infatti, con l'impegno definitivo nel celibato e la rinuncia al matrimonio, abbiamo consacrato per sempre a Cristo la nostra sponsalità. E' dunque una realtà che deve essere vissuta ed espressa nella relazione con lui, nella preghiera. Come sacerdoti, dobbiamo essere veramente "innamorati di Gesù Sposo", Sposo della Chiesa, Sposo delle nostre persone.

L'esperienza tanto dolorosa di questi ultimi anni mostra invece come tanti dei nostri fratelli hanno lasciato il ministero e si sono sposati. Una delle ragioni più profonde di questo è che non avevano integrato la loro sponsalità nell'Amore di Cristo.

Per questo, l'insegnamento di Teresa è molto importante e molto attuale. E' forse il suo più grande contributo alla formazione del Clero: condurre i seminaristi e i sacerdoti all'amore sponsale di Gesù, mostrare che il loro celibato non è un obbligo esteriore, pesante, puramente giuridico, ma un mistero d'amore che rende l'anima del sacerdote sposa di Cristo.

6/ Il Manoscritto B

Per concludere questa conferenza, vorrei raccogliere l'insegnamento più alto di Teresa sul sacerdozio, nel suo capolavoro che è il Manoscritto B, questa lunga preghiera scritta l'8 settembre 1896.

Qui, Teresa rivela la sua più stupenda esperienza dell'Amore di Cristo, ci mostra come l'Amore dilata il suo cuore all'infinito, a tutti gli uomini in tutti i luoghi e tempi, a tutte le vocazioni che sente allora in sé. Al primo posto viene la vocazione di sacerdote ed apostolo:

"Essere tua Sposa, Gesù, essere carmelitana, essere, per l'unione con te, madre delle anime, tutto questo dovrebbe bastarmi... Non è così. Senza dubbio, questi tre privilegi sono ben la mia vocazione, carmelitana, sposa e madre, tuttavia io sento in me altre vocazioni, sento la vocazione del guerriero, del sacerdote, dell'apostolo, del dottore, del martire...

Sento la vocazione del sacerdote. Con quale amore Gesù, ti porterei nelle mie mani quando, alla mia voce, discenderesti dal Cielo! Con quale amore ti darei alle anime! Ma, pur desiderando di essere sacerdote, ammiro e invidio l'umiltà di san Francesco d'Assisi, e sento la vocazione d'imitarlo, rifiutando la dignità sublime del sacerdozio.

Gesù ! Amore mio, vita mia, come conciliare questi contrasti? Come attuare i desideri della mia povera piccola anima ?

Nonostante la mia piccolezza, vorrei illuminare le anime come i profeti, i dottori, ho la vocazione di essere apostolo. Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome, e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa, ma, o Amato, una sola missione non mi basterebbe, vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo, e fino nelle isole piu remote. Vorrei essere missionaria non soltanto per qualche anno, ma vorrei esserlo stata fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino alla consumazione dei secoli".

Il riferimento a san Francesco è bellissimo. Teresa ritrova infatti gli stessi accenti del poverello per parlare del sacerdozio, e ci dà anche una grande luce per la nostra vita sacerdotale, per noi che veramente portiamo ogni giorno Gesù nelle nostre mani per darlo ai fratelli. Con quale amore dobbiamo vivere questo! E questo Amore di Gesù nell'Eucaristia è fonte del più grande impegno apostolico, per Teresa come per Francesco.

Ma, mentre Francesco poteva come Diacono dare l'Eucaristia e annunciare il Vangelo, la carmelitana deve cercare un altro modo più profondo ancora per realizzare la sua impossibile vocazione di sacerdote e di apostolo. Ed è la grande scoperta, a partire dai capitoli XII e XIII della prima lettera di Paolo ai Corinzi:

"L'Apostolo spiega come i doni più perfetti sono nulla senza l'Amore. La Carità è la via per eccellenza che conduce sicuramente a Dio.

Finalmente avevo trovato il riposo. Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ero riconosciuta in alcuno dei membri descritti da san Paolo, o piuttosto volevo riconoscermi in tutti. La Carità mi dette la chiave della mia vocazione. Capii che, se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l'organo più necessario, più nobile di tutti non le manca, capii che la Chiesa ha un cuore, e che questo cuore arde d'amore. Capii che l'amore solo fa agire le membra della Chiesa, che, se l'amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue... Capii che l'amore racchiude tutte le vocazioni, che l'amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola che è eterno.

Allora, nell'eccesso della mia gioia delirante, esclamai: Gesù, Amore mio, la mia vocazione l'ho trovata finalmente, la mia vocazione è l'amore!

Si ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, Dio mio, me l'avete dato voi! Nel cuore della Chiesa mia Madre, io sarò l'amore. Così, sarò tutto... e il mio sogno sarà attuato!".

Con questo testo stupendo di Teresa, siamo già al cuore della visione di Vaticano II: l'unità profonda delle diverse vocazioni nella vocazione di tutti alla santità, cioè alla pienezza della carità. Come sacerdoti, dobbiamo anche noi trovare il senso della nostra vocazione nel Cuore della Chiesa, nella comunione con tutti i nostri fratelli, nel fuoco dello Spirito Santo che ci porta sempre come Teresa ad "amare Gesù e farlo amare".