Il sacramento dell'Ordine

- Origine e scopo del sacramento

 

Il sacramento dell'Ordine ha la sua origine nella volontà di Cristo che promosse alcuni dei suoi discepoli con una partecipazione alla propria consacrazione e alla propria missione come ministri che avrebbero svolto nel suo nome le funzioni sacerdotali.

Il fatto fondamentale è quello di Cristo sacerdote. Figlio "che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo"(Gv 10,36).In lui si è adempiuto un sacerdozio nuovo, unico, perfetto. Egli ha voluto comunicarne una partecipazione a coloro che ha chiamato a seguirlo, più particolarmente a un gruppo di dodici chiamati gli apostoli. Dicendo che Gesù "fece i dodici", l'evangelista Marco (3,14.16) tende a presentare la costituzione di questo gruppo come una creazione, che inaugura il nuovo popolo di Dio.

Siccome Gesù voleva fondare una Chiesa durevole, la chiamata ai dodici comportava l'intenzione di darloro dei successori. Ha voluto dunque, per pascere la sua Chiesa, la presenza di vescovi t come ha voluto anche dei successori perpetui nell'autorità pastorale universale affidata a Pietro. Vaticano II ha riconosciuto meglio le conseguenze della volontà di Cristo, insegnando la sacramentalità dell'episcopato: "Con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell'Ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, somma del sacro ministero" (LG 21).

Un problema rimane pure per l'origine del presbiterato. Il concilio non afferma che il presbiterato è stato specificamente voluto da Cristo. Dice soltanto che "la funzione ministeriale dei vescovi fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché questi, costituiti nell'Ordine del presbiterato, fossero cooperatori dell'ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo" (PO 2).

Fortunatamente, i racconti evangelici ci procurano più luce sul problema. Mostrano GSu circondato da molti discepoli. Fra questi discepoli vengono scelti i dodici. I discepoli non sono dei semplici credenti; sono quelli che hanno seguito Gesù e vogliono dedicarsi al suo regno. Nel linguaggio dei vangeli, il vocabolo "discepolo" ha sempre questo significato. Così si spiega che questi discepoli vengano inviati da Gesù in missione. Il vangelo di Luca riporta in modo chiaramente distinto la missione dei dodici e un'altra missione: "II Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi"(10,3). Rivolge a quelli discepoli, come l'aveva fatto per i dodici, un discorso di missione.

Se confrontiamo le due missioni, costatiamo che hanno lo stesso oggetto: la predicazione della buona novella. I settantadue discepoli sono muniti, come i dodici, dell'autorità di Cristo nel loro insegnamento. Ma ricevono la garanzia: "Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato"(10,16). I poteri conferiti ai due gruppi sono analoghi. In particolare il potere di espellere i demoni, espressamente concesso ai dodici (Me 3,15), viene anche esercitato dai settantadue, e Gesù stesso lo proclama efficace: "Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico..." (Le 10,17-19).

Da questo appare la volontà di Cristo d'istituire, con i dodici, molti discepoli che li aiutino nel compimento della loro missione. I dodici conservano una autorità superiore, ma la missione è simile. Gesù ha dunque voluto che i dodici siano circondati da numerosi cooperatori, che abbiano una carica sacerdotale simile alla loro. Ha fondato la gerarchia che doveva comprendere non solo dei vescovi, ma molti presbiteri.

Se nella vita attuale della Chiesa i presbiteri esercitano il potere stupendo di pronunziare il perdono dei peccati e soprattutto il potere di offrire il corpo e il sangue che nutriscono l'umanità di vita divina, lo devono alla volontà di Cristo che ha chiamato un grande numero di discepoli a un autentico e molto alto ministero sacerdotale.

1 II sacerdozio di Cristo

Siccome il sacramento dell'Ordine fa partecipare l'uomo al sacerdozio di Cristo, Cristo è sempre il punto di riferimento in ogni considerazione sul sacerdozio. Si tratta di capire prima di tutto in quale senso Cristo è sacerdote.

Gesù non si è mai chiamato sacerdote perché voleva evitare ogni identificazione con il sacerdozio levitico. Con la parabola del Buon Samaritano, manifesta il rimprovero rivolto ai sacerdoti contemporanei: un legalismo che dispensava dalla carità. La parabola fa capire che la carità sarà al centro del nuovo sacerdozio.

Gesù rivela la sua intenzione di stabilire un altro sacerdozio, di natura trascendente, sacerdozio qualificato come quello di Melchisedek. Nel processo dinanzi al sinedrio, in risposta alla domanda del sommo sacerdote sulla sua identità, egli si riferisce all'inizio del salmo 110: "Siedi alla mia destra" con lo scopo di attribuirsi le parole successive: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek". Questa allusione verrà ripresa e sviluppata nella lettera agli Ebrei, che interpreta Melchisedek come un personaggio "senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio", che è superiore a Abramo e rimane sacerdote in eterno (7,3).

In Cristo si manifestano perfettamente i due aspetti essenziali del sacerdozio: la consacrazione, che coinvolge tutto il suo essere umano e tutta la sua esistenza umana con la santità propria al Figlio di Dio incarnato, e la missione, consumata nell'offerta del sacrificio di redenzione e nell'elevazione alla gloria celeste, con il frutto di vita nuova per l'umanità.

Per esprimere questa missione nel quadro visibile della vita terrena, Gesù si definisce come il buon pastore, precisando che il buon pastore "offre la sua vita per le pecore"(Gv 10,11). Con questa offerta personale della propria vita, egli compie in se stesso la figura profetica ideale del servo: "II Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti"(Mc 10,45;Mt 20,28).L'umile servizio qualifica nel senso del più sincero amore la missione di pastore.

3 II sacerdozio degli apostoli e dei discepoli

Con il suo insegnamento, Gesù voleva raggiungere tutti gli uomini e concedere a tutti una partecipazione al proprio sacerdozio, partecipazione alla santità che egli personalmente possedeva. Fondando il nuovo popolo di Dio, istittuiva un sacerdozio universale, comune a tutti,con la capacità di offrire dei sacrifici spirituali, associati al sacrificio unico della croce.

Con le chiamate rivolte ai discepoli, egli fondava un'altra partecipazione al proprio sacerdozio, quella che consiste nel sacerdozio ministeriale. Da quelli che chiamava aspettava una disponibilità al servizio del regno di Dio, che egli voleva stabilire sulla terra. Alla fine della sua esistenza terrena ha precisato alcuni compiti essenziali che appartenevano a questo servizio. Si trattava di un ministero della parola: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura" (Me 16,14). Il ministero comportava anche culto e sacramenti. Oltre l'ordine di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19), era conferito il potere di rimettere i peccati (Gv 20,22-23) e gli apostoli ricevettero l'invito a celebrare la cena eucaristica in memoria di Cristo. Il ministero affidato era anche pastorale, con autorità, secondo le parole: "Io dispongo per voi del regno, come il Padre ne ha disposto per me"(Le 22,29). Tre funzioni sacerdotali furono dunque formulate da Gesù, che provvedeva al futuro della Chiesa: la parola, il culto e la cura pastorale.

Nella riflessione teologica, ci furono diversi tentativi per ridurre le tre funzioni ad una sola, ma con il pericolo di non rispettare il loro pieno valore. Il concilio ha particolarmente sottolineato il valore del servizio della parola, per i vescovi e per i presbiteri(LG 25: PO 4), ma ha anche posto l'accento sull'eccellenza dell'Eucaristia, affermando che i vescovi "esercitano soprattutto il loro sacro ministero nel culto eucaristico o sinassi" (LG 28) e che ''nel mistero eucaristico i presbiteri svolgono la loro funzione principale"(PO 13). Cronologicamente, il ministero della parola è il primo, essendo necessario per la diffusione della fede; ma il ministero cultuale

è più importante quando viene esercitato nella celebrazione eucaristica.

Per quanto tocca l'uso del concetto di pastore, il concilio gli da due significati secondo i testi. Talvolta designa la sola funzione di direzione o di governo. Più spesso, si riferisce all'insieme della missione del vescovo o del presbitero: I ministeri hanno lo scopo di "assicurare dei pastori al popolo di Dio"(LG 18). I vescovi "presiedono in luogo di Dio al gregge di cui sono pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo"(LG 20).

4 Le prime ordinazioni

II ruolo decisivo dell'iniziativa di Gesù è manifesto per la formazione dei primi sacerdoti. Ma possiamo chiederci se per gli apostoli c'è stata una specie di prima ordinazione o se bastava l'espressione della volontà di Cristo.

Sembra che i vangeli ci riportino parole e gesti di Gesù che fanno pensare a una prima ordinazione. Prima della sua partenza, egli aveva definito la missione e i poteri destinati ai suoi discepoli; aveva pregato, nella preghiera sacerdotale, per domandare al Padre la loro consacrazione: "Consacrali nella verità" (Gv 17,17). Anche l'imposizione delle mani, che appartiene al rito dell'ordinazione, appare nel gesto finale di Gesù che, prima dell'Ascensione, alza le mani sugli apostoli per benedirli, dopo aver promesso loro la potenza dall'alto per mezzo del dono dello Spirito" (Le 24,48-50).

Le parole e i gesti di Gesù costituiscono un preambolo alla Pentecoste. Nell'evento, gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo che li ha resi atti al compimento della missione ricevuta da Cristo. La venuta dello Spirito su di loro ha comportato un effetto simile a quello dell'ordinazione sacerdotale.

Nella Pentecoste, lo Spirito Santo ha fatto nascere la Chiesa con i doni spirituali che convenivano ad ognuno dei membri. E' venuto su Maria per darle i doni necessari all'esercizio della sua maternità spirituale. E^ venuto sugli apostoli come per una ordinazione, introducendoli pienamente nella loro partecipazione al sacerdozio di Cristo. In questa

prima ordinazione, unica nel suo genere, le parole sono state pronunziate da Gesù, la preghiera e l'imposizione delle mani vengono da lui, la trasformazione spirituale per la missione è stata operata dallo Spirito Santo.

Gli Atti degli Apostoli ci hanno dato qualche informazione sulla prima ordinazione sacerdotale nella vita della Chiesa(6,1-6). Il loro racconto sull'ordinazione dei Sette era stato interpretato, in una lunga tradizione, dell'istituzione di diaconi. Ma questa interpretazione è contestata, al punto che il concilio non ha voluto citare questo testo per fondare la restaurazione del diaconato permanente.

Un malcontento era apparso tra gli Ebrei di lingua greca perché le loro vedove erano trascurate nel "servizio quotidiano". Questo servizio era stato interpretato di una distribuzione di pasti ai poveri. Ma parecchi indizi si oppongono a questa interpretazione. Non c'era distribuzione di pasti ma rimessa di danaro ai poveri ogni settimana per quattordici pasti. Perché designare sette uomini quando per tutta la città di Gerusalemme, tre uomini bastavano per questo servizio? Perché convocare tutta la comunità cristiana per rimediare a un problema così modesto? Perché richiedere degli uomini "pieni di Spirito Santo e di sapienza" per assicurare un servizio di pasti?

Come lo suggerisce il contesto, il "servizio delle mense" deve essere inteso secondo una interpretazione non sociale ma religiosa: si riferisce alla frazione del pane che ogni giorno si faceva nelle case (Àt 2,46). Le "vedove" non sono persone in stato di bisogno ma donne che si dedicano al servizio della Chiesa (cf. 1 Tim 5,5). Si lagnano perché vengono trascurate, non avendo abbastanza la possibilità di partecipare all'eucaristia, verosimilmente perché mancavano i celebranti di lingua greca.

Il problema era dunque di procurare un numero sufficiente di questi celebranti. La soluzione fu data con la decisione d'imporre le mani a sette uomini di lingua greca. La prima ordinazione sacerdotale fu fatta a seguito della richiesta di donne pie, di "vedove" che desideravano beneficiare della partecipazione quotidiana all'eucaristia, celebrata nella loro lingua.

Il "carattere" sacerdotale

II ministero sacerdotale è un servizio, ma non è un servizio come gli altri. Colui che s'impegna in questo servizio lo fa in quanto è consacrato. Il sacerdozio di Cristo significa consacrazione e missione; nel sacerdozio di ogni sacerdote, c'è sempre anche consacrazione e missione, vissute in partecipazione alla comsacrazione e alla missione di Cristo.

La consacrazione personale del sacerdote viene posta in luce dalla dottrina del "carattere". Questa dottrina è stata definita come dottrina di fede nel concilio di Trento. Il concilio afferma che nei sacramenti di battesimo, di confermazione e di ordine "viene impresso nell'anima un carattere, cioè un certo segno spirituale e indelebile, ragione cui non possono essere ripetuti"(DS 1609). Per l'ordine, l'impressione del carattere è più specialmente sottolineata (DS 1767:1774).

Il carattere significa che tutta la persona è consacrata in modo definitivo e che il sacerdote non può mai ridiventare laico. Con l'ordinazione sacerdotale Cristo si è impadronito di tutto l'essere del sacerdote. Egli ha fatto di questo essere la sua proprietà per orientare tutta la sua attività verso lo sviluppo del suo regno, con un legame perpetuo di reciproco amore.

Alcuni teologi del Medio Evo hanno riconosciuto nel carattere sacramentale non solo un segno di consacrazione, che implica l'appartenenza più intima a Cristo, ma un segno di configurazione, che imprime la figura di Cristo nella più profonda realtà dell'anima. La persona umana viene plasmata secondo un modello divino; più precisamente il sacerdote è configurato a Cristo pastore. L'immagine del buon pastore si imprime nell'anima di colui che è ordinato, come principio e progetto essenziale del ministero da svolgere.

Se il sacerdote viene chiamato, a titolo particolare, un "altro Cristo", non è in virtù di una semplice delega giuridica, ma a motivo della figura del Cristo sacerdote e pastore impressa nell'anima, figiura destinata ad illuminare tutta l'attività sacerdotale.

' Stato di vita del sacerdote

II carattere sacerdotale, segno di consacrazione e di configurazione a Cristo, richiede dal sacerdote uno stato di vita particolare. Questo stato di vita è stato inaugurato da Gesù stesso nella sua esistenza sacerdotale terrena; egli ha voluto condividerlo con i suoi discepoli.

Fra le esigenze di una vita che sia totalmente proprietà di Cristo dedicata allo sviluppo del suo regno, alcune sono molto importanti e hanno fatto l'oggetto di numerose contestazioni: la rinuncia alla famiglia e al matrimonio, la rinuncia al mestiere o alla professione profana, l'astensione da ogni impegno attivo nella politica.

Nelle controversie recenti, l'esercizio di una professione profana, l'impegno attivo nella politica e la scelta del matrimonio, sono stati presentati come diritti inalienabili dell'uomo che il ministero sacerdotale non può abolire. Ma un diritto non è una necessità: l'uomo ha il diritto d'impegnarsi in una professione o un attività che ne escludono altre; ha il diritto di rinunciare a un'attività politica o sindacale; ha il diritto di scegliere il celibato piuttosto del matrimonio. Colui che s'impegna nel ministero sacerdotale esercita dei diritti propri alla sua persona e non è per nulla privato della sua dignità e della sua responsabilità sul proprio destino.

Le chiamate a una vita consacrata, dedicata a Cristo e al suo regno, rispettano la libertà di quelli che vengono chiamati. L'episodio evangelico del ricco, personalmente invitato a rinunciare ai propri beni per seguire Cristo, dimostra questa libertà. Gesù gli ha rivolto uno sguardo di profondo amore (Me 10,21) e gli offre la possibilità di vivere presso di lui e di associarsi alla sua missione, ma preserva anche la sua libertà al punto che l'invito, pure seducente, viene respinto con un volto triste.

Dinanzi alle esitazioni di questo uomo al momento della chiamata, Gesù non indietreggia per poter ottenere più facilmente il suo consenso; non toglie niente delle sue esigenze, mostrando soltanto che sono le esigenze dell'amore più elevato che ispira la chiamata.

In contrasto con un ricco troppo attaccato alle sue ricchezze, Pietro appare come il modello di coloro che hanno accolto integralmente tutte le esigenze della chiamata. Fa una domanda a Gesù: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?" Il Maestro risponde addottando l'autorità che sarà affidata agli apostoli sul nuovo popolo di Dio e sottolineando l'ampiezza della rinuncia: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna"( Mt 19,27-29).

Questo testo deve essere completato da quello di Luca(18,29,-14,26), che cita la rinuncia alla moglie. Le rinunce alla madre e al padre, ai fratelli e alle sorelle, sono in parallelo con la rinuncia alla moglie e ai figli, rinuncia confermata con l'elogio del celibato volontario (Mt 19,12).

Nelle parole di Gesù discerniamo una triplice rinuncia fondamentale: rinuncia alla famiglia e al matrimonio, rinuncia ai beni, rinuncia al mestiere. Queste rinunce raggiungono le dimensioni essenziali dell'esistenza umana: l'essere relazionale dell'uomo che, con la famiglia e il matrimonio, s'inserisce nella società; 1'avere dell'uomo che, possedendo dei beni, estende il suo potere sul mondo e assicura il suo avvenire materiale; il faŁe_dell'uomo che con l'attività professionale provvede alla sua esistenza e collabora allo sviluppo del benessere sociale. Dunque, con la sua chiamata, Cristo rivendica il possesso della persona con tutte le sue facoltà.

Lasciare tutto per seguire Cristo: la formula usata da Pietro mostra che egli ha capito l'esigenza di rinuncia universale inerente alla chiamata e l'ha pienamente accettata. Il vasto orizzonte della rinuncia aiuta a cogliere il significato del celibato, che non è solo una rinuncia alle cose della carne ma vuole stabilire una adesione più profonda a Cristo, riconoscendolo come lo scopo assoluto della vita umana e l'amico sempre presente che da un valore superiore ad ogni momento dell'esistenza. Il "lasciare tutto" è inseparabile dal "seguire Cristo"; deve essere totalmente vissuto perché l'unione con Cristo, essenziale a tutta l'attività sacerdotale di predicazione, di culto, di testimonianza di vita e di sollecitudine pastorale possa produrre i suoi frutti.

10 Stato di vita degli Apostoli

Sullo stato di vita degli Apostoli, sono state emesse delle opinioni molto diverse. Spesso queste opinioni si fondano su ciò che viene detto negli apocrifi. Una analisi accurata mostra in realtà che per tutti gli apostoli abbiamo soltanto come affermazioni attendibili, quelle che troviamo nei vangeli.

Nei racconti evangelici, non si tratta mai di moglie o di bambini per un apostolo. L'esigenza di "lasciare" moglie o bambini non significa abbandonare una moglie o i bambini, ma rinunciare a avere moglie e bambini. Gesù, che proclamò il matrimonio indissolubile non avrebbe mai separato un uomo da sua moglie. Siccome richiedeva la volontà di lasciare tutto per seguirlo, ha soltanto chiamato degli uomini non sposati e li ha impegnati sulla via del celibato. Tutti i discepoli, e fra di loro gli apostoli, furono dunque celibi.

Gesù viveva nel celibato e voleva condividerlo con i suoi discepoli: era fra coloro che si sono fatti eunuchi a motivo del Regno (Mt 19,12). Suscitava questo impegno, ma non ha mai fatto una legge in questo campo; ha promosso un ideale destinato a crescere con lo sviluppo della Chiesa.

All'inizio, questo ideale è stato vissuto dagli apostoli, come ne testimonia Paolo, che rivendica il suo diritto di apostolo di "portare con sé una donna sorella, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa" ( 1 Cor 9,5). Vivendo nel celibato, gli apostoli beneficiavano dei servizi domestici di una donna che li accompagnava come sorella. Cefa, cioè Pietro, viveva dunque nel celibato.

L'espressione "donna sorella " è stata interpretata molto spesso in modo inesatto e tradotta : "donna credente". In realtà, gli apostoli avevano applicato la soluzione data da Gesù al problema dei servizi domestici per coloro che vivevano nel celibato: la presenza di donne (cf. Le 8,2-3) che rendevano questi servizi conservando la distanza di "sorelle".

Nei sette primi secoli, molti sacerdoti furono ancora sposati, seguendo la tradizione giudaica del sacerdozio: ma finalmente, l'ideale del celibato s'impose come regola nella Chiesa occidentale.

- Stato di vita di Pietro

II caso di Pietro merita più attenzione, non solo perché egli è stato il primo capo della Chiesa e ha esercitato il più alto grado del ministero sacerdotale, ma perché è stato considerato come un uomo sposato, secondo un racconto evangelico che gli attribuiva una "suocera".

Ma se fosse stato un uomo sposato, come si fa che mai si tratta di moglie né di figli per lui? E come avrebbe potuto affermare, nel modo più sincero: "Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito"? Egli era consapevole di aver fatto un grande sacrificio, rinunciando a avere moglie e figli. Non poteva dunque essere stato sposato. Gesù non avrebbe mai strappato un uomo a sua moglie, ed è difficile immaginare Pietro vedovo. La rinuncia non gli è stata imposta; è lui che per decisione personale ha lasciato tutto. Siamo costretti di ammettere che Pietro era celibe e viveva adesso volontariamente nel celibato.

Se Pietro fosse stato sposato, non si capisce perché la sua casa viene chiamata "la casa di Simone e Andrea", una casa in cui abiterebbe con il fratello e con i suoceri. Inoltre, l'assenza di ogni moglie per il servizio è notevole. Queste difficoltà spariscono se ammettiamo che Simone è nella sua casa con i genitori e se diamo al vocabolo "penthera"(Mc 1,30, abitualmente tradotto "suocera", un altro significato.

Nel suo significato proprio, il vocabolo "pentheros" designa una persona che entra in una famiglia per mezzo di una alleanza, di un matrimonio: un suocero, un cognato, un genero. Nel femminile, può designare la suocera ma anche la seconda moglie del padre. II presupposto sarebbe che il padre di Simone, dopo la morte della moglie, si fosse risposato.

Nel racconto evangelico, tutto diventa chiaro se si ammette che la "penthera" è la seconda moglie del padre di Simone, la donna che accoglie e serve gli ospiti.

La casa è quella di Simone e di Andrea, casa della loro famiglia; né l'uno né l'altro era sposato.