CONSIGLIO EPISCOPALE LATINO AMERICANO - CELAM

 

 

 

 

DALMANUTA

La gloria di Dio

 

 

 

Mons. Mario Marini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Dopo ciò salì sulla barca con i suoi discepoli

e andò dall’altra parte del mare in una

regione chiamata Dalmanuta"

(Marco 8, 10)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRESENTAZIONE

 

Il Consiglio Episcopale Latino Americano (CELAM) ha il piacere, e l’interesse pastorale, di pubblicare questo libro che raccoglie le riflessioni degli Esercizi Spirituali che Mons. Mario Marini - Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - ha presentato, dal 21 al 28 luglio 1996, a Puebla (Messico), ai novizi-seminaristi dei "Cruzados de Cristo Rey", giovane comunità religiosa di origine messicana, diffusa già in diversi paesi.

Una delle priorità del CELAM, nel complesso della sua programmazione generale, è sempre stata la viva sollecitudine per la formazione spirituale, accanto alla formazione umana, culturale, biblica, teologica e pastorale dei seminaristi e novizi, chiamati a essere testimoni e servitori della fede nelle nostre città. Il Dipartimento del CELAM per le Vocazioni e Ministeri, DEVYM, ha promosso in diverse occasioni riunioni di Direttori di Seminari e Noviziati e dei loro rispettivi responsabili di Direzione Spirituale come servizio alla Chiesa di Dio in America Latina.

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1 - Una Nuova Evangelizzazione.

Di fronte all’enorme sfida di una "nuova evangelizzazione" - di cui il Santo Padre ha sottolineato la necessità prima in America Latina ("nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione") e alla quale non cessa di convocare tutta la Chiesa -, una delle questioni fondamentali è quella di fondarla, animarla e alimentarla a partire dalla santità, che è "la segreta sorgente e la misura infallibile della sua laboriosità apostolica e del suo impeto missionario" (Cfr CHL, 17). Una "nuova evangelizzazione" di cui l’America Latina ha tanto bisogno in questi albori del terzo millennio, non si risolve certo con progetti e strategie umane. Ha origine solamente dall’irradiazione, da persona a persona, da famiglia a famiglia, da comunità a comunità, di una testimonianza di novità di vita e di un annuncio pieno di speranza di coloro che hanno incontrato il Signore Gesù, vivono la sua presenza nella comunione dei suoi discepoli e la comunicano in tutti gli ambienti dove vivono. L’America Latina ha bisogno di far risplendere questa testimonianza di "christifideles"! A tutti i battezzati si richiede una rifondazione radicale dell’esperienza cristiana, un rinnovato incontro e sequela di Gesu Cristo, una coscienza grata ed esigente della vocazione alla santità come cammino di perfezione nella carità. Quanto risulta fondamentale, per quella crescita del popolo di Dio e per il suo servizio evangelizzatore, che ci siano sempre più numerosi e, soprattutto, santi sacerdoti e religiosi!

 

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2 - Ritirarsi in disparte: per la grazia della conversione.

 

Ebbene, nella tradizione della Chiesa gli Esercizi spirituali sono stati strumenti appropriati, attraverso diverse modalità, per questo cammino di santificazione. Evocano quel ritirarsi di Gesù nel deserto prima di incominciare la sua vita pubblica in una solitudine alla quale più tardi condurrà, insieme a sé, anche i suoi apostoli. Non è un caso che Mons. Marini introduca il Ritiro ricordando ciò che viene raccontato dall’Evangelista Marco (6, 31 ss), quando il Signore disse ai suoi apostoli: "Venite in disparte con me, in un luogo solitario, a riposarvi un poco’.... Allora partirono con lui sulla barca verso un luogo, chiamato Dalmanuta" (Mc 8, 10).

Il prendere le distanze dall’agitazione e dalla distrazione, dove gli altri - persone e cose - diventano più discreti, dove il "cuore" dell’uomo è tutto teso al Mistero presente, dove il silenzio e la parola si concentrano nell’ascolto di Dio, dove si contempla e si gusta il rimanere nella Sua presenza e compagnia, dove opera forte la grazia della conversione, è sempre stato considerato, nella Chiesa, come feconda pedagogia ed esperienza spirituale. Non è proprio nella solitudine di Manresa dove, nel 1522, Ignazio di Loyola scrisse , nei suoi tratti essenziali, gli "Esercizi spirituali", che, da allora, assumono un profilo più preciso e un’importanza più diffusa nelle comunità cristiane? Al presente gli Esercizi spirituali, nella varietà delle loro forme, sono sempre presenti nell’ "agenda" delle più svariate comunità e istituzioni della Chiesa in America Latina. Le riflessioni spirituali raccolte in questo libro, nella spontaneità e semplicità della loro registrazione, con la sapienza biblica e teologica, spirituale e pastorale che esprimono, possono essere motivo di ispirazione ed edificazione per molti.

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3 - Un amico del Messico e dell' America Latina.

In qualità di Presidente del CELAM mi soddisfa personalmente poter pubblicare queste cordiali conversazioni spirituali, introduttorie alla "gloria di Dio" - tema di questi Esercizi - che provengono da un amico del Messico e dell’America Latina. Mons. Mario Marini, nato a Cervia (Italia) il 13 di settembre del 1936, laureato all’Università di Bologna in Ingegneria Civile, chiamato in seguito al sacerdozio, studiando a Roma ai tempi del Concilio strinse amicizia con non pochi "pío-latino-americanos". La Provvidenza lo portò al nord del Messico, dove rese servizio per due anni come missionario: rimase così "conquistato" da un popolo, amato in modo particolare dalla presenza e dalla compagnia della Vergine di Guadalupe, evangelizzato da una straordinaria quantità di missionari, fedele a una tradizione cattolica provata nella persecuzione e nel martirio, culla di una fioritura di molte fondazioni carismatiche (come quella degli stessi "Cruzados de Cristo Rey"). Durante il suo posteriore servizio nella Segreteria di Stato, sucessivamente come Capo Ufficio nella Congregazione per il Clero e attualmente come Sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Mons. Marini ha prestato sempre una appassionata attenzione e sollecitudine pastorale non solo alla sua Chiesa di adozione, ma a tutta la Chiesa dell’America Latina. Colui che è buon servitore del Papa è ben cosciente del fatto che in un "continente di speranza", in cui vive la metà dei cattolici di tutto il pianeta, sono in gioco questioni decisive per l’esistenza delle sue popolazioni - per la loro evangelizzazione e crescita umana - e, finanche, per tutta la Chiesa universale nel terzo millennio cristiano che sta per cominciare.

Santa Fe di Bogotá, 12 ottobre 1998.

+ Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga S.D.B.

Acivescovo di Tegucigalpa e

Presidente Consiglio Episcopale Latino Americano (CELAM)

(Nominato Cardinale da Giovanni Paolo II, nel Concistoro del 21 febbraio 2001)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PRIMA MEDITAZIONE

 

INTRODUZIONE GENERALE

 

 

 

 

 

 

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"Lo Spirito -l’Amore- è come il vento che "soffia dove vuole, tu ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove ti conduce" (Gv 3, 8).

 

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1 - "Come il vento".

 

 

Adotteremo questa frase come motto per questi esercizi.

È una frase bellissima.

L’amore è come il vento che soffia dove vuole; tu odi la sua voce e non sai da dove viene nè dove ti stia conducendo.

Potrebbe andare bene in una canzone del celebre compositore messicano Agustín Lara?

 

Questa frase è stata inventata molto prima di Agustin Lara, dallo stesso Gesu Cristo, Nostro Signore.

È del Signore a Nicodemo, a cui dice queste bellissime parole, che ora noi consideriamo come nostre.

Significa, allo stesso tempo, una grande realtà e un gran mistero: è una realtà che si può percepire - senti la sua voce - ed é anche un mistero, perché ogni volta che ti entra dentro non sai da dove viene e dove ti conduce.

È un po’ così anche nelle le nostre vocazioni.

Avevo pensato di adottarlo, così, come tema generale per i nostri esercizi; è vero, l’ho scelto perché mi piace molto.

 

'Sfortunatamente', quando si preparano riflessioni come queste, colui che le propone ha il coltello dalla parte del manico così da potere lui procedere al taglio del formaggio.

Il titolo del tema generale che mi proporrei di esporre è: la gloria di Dio.

Questo tema generale - La Gloria di Dio - si mette bene in relazione con la frase di Gesù Cristo che abbiamo appena ascoltato, e sarebbe stata una buona cosa se ... anche Agustín Lara l’avesse pensata.

 

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2 - Una "vocazione" dalla regione di "don Camillo".

 

Ciò premesso, prima di incominciare con la prima riflessione del giorno, credo di avere il dovere di presentarmi un po’ davanti a voi.

Questo fatto, di presentare ora me stesso, spero che agevolerà un po’ l’inizio degli esercizi.

Perché so già che avrò più volte bisogno della vostra comprensione e anche del vostro perdono.

In effetti sono sicuro che io otterrò da voi molto di più di ciò che voi riuscirete a tirar fuori da me. Perché io vengo da lontano e vedo di fronte a me la giovinezza della Chiesa. Al contrario, voi vi annoierete molto per colpa mia, perciò spero che mi perdonerete più facilmente se saprete da dove vengo, un po’ della mia storia: di fatto quando si conosce la storia di qualcuno è sempre come conoscere qualcosa del mistero di Dio.

Forse avrete visto un film che si intitolava "Don Camillo", o forse avrete letto il "romanzo" di "Don Camillo": sono brevi storie di un sacerdote, scritte con un tono molto ironico e cordiale.

Ve le consiglio como lettura piacevole e al tempo stesso spirituale. Sono anche state tradotte in spagnolo.

 

Quest’uomo - Don Camillo - è della mia terra, con una differenza: il paese di Don Camillo ha un fiume. Invece, al contrario, il mio paese ha il mare. Sono un uomo che viene da un paese di mare, come dice il mio cognome ... "Marini": più "mare" di così non si può!

Proprio nel mio paese - Cervia - è morto l’autore di questo romanzo "Don Camillo" (Giovanni Guareschi).

In questo romanzo si racconta una storia di contrasti tra un mondo secolarizzato e laico, a volte anticlericale e ateo, un pò aggressivo verso la Chiesa, e pochissimi cattolici praticanti.

In Italia ci sono regioni molto cattoliche, ma la mia regione è in parte ateizzata e vi si trovano famiglie secolarizzate.

In realtà, io vengo proprio da una famiglia così.

Alcuni di voi qui presenti hanno incontato e conosciuto a Roma mia madre, ormai piuttosto anziana. Lei, per esempio, quando era una bambina, quando nacque, non fu battezzata.

I miei nonni non si sposarono in Chiesa, non usavano nomi di santi...Ho ancora due zie che si chiamano "Nair"; non so da dove venga questo nome. Credo che sia un nome arabo. Qualunque cosa .... purchè non fosse il nome di un santo.

Ho vissuto in una famiglia, in parte secolarizzata, tutta la vita e così è ancora una parte dei miei parenti e familiari.

I loro valori sono differenti da quelli dei cristiani: che cos’è il dolore? Che cos’è l’allegria? Che cos’è la morte? Che cos’è la vita? Che cos’è la malattia?...hanno risposte diverse a questi interrogativi.

 

Voi avete valori che vi sembrano naturali; ma in effetti non sono naturali, sono invece valori cristiani, forse li avete ereditati dalle vostre famiglie.

Noi comunque - la mia famiglia - abbiamo la barca per pescare più antica del nostro paese.

Io sono stato mandato a studiare ingegneria all’Università di Bologna, la più antica Università d’Europa, insieme a quella di Parigi.

Anche lì c’era un ambiente difficile per la fede, e ho sofferto abbastanza quando mi si accese dentro questa luce della fede e della vocazione.

Questo, il mistero della mia fede e della mia vocazione, fu veramente un miracolo, io mi resi conto che era un dono straordinario.

A volte mi volto indietro a pensare alla mia vita e dico a Gesù, "Come hai fatto -Signore- a far venire fuori un sacerdote da un ambiente così?"

Ho davvero dovuto affrontare una guerra nella mia famiglia a causa della mia vocazione.

Mio padre mi disse (mi duole dirlo), ma credo che ne valga la pena: "preferirei qualsiasi cosa piuttosto che la disgrazia di un figlio prete". Fu la prima reazione, e le altre reazioni furono simili.

Allora io incontrai questo Signore Gesù Cristo... "l’amore è come il vento, che soffia dove vuole; tu ascolti la sua voce ma non sai da dove viene, nè dove ti conduce". Questo vento mi prese e mi conduce.

Da dove venivo io? Ho vissuto la seconda guerra mondiale, ero bambino ma mi ricordo molto bene cosa voleva dire stare sotto le bombe.

 

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3 - "Pio-Latino-Americanos".

 

Da dove vengo? Dove mi conduce? .Oggi mi ha condotto con i Cruzados...Beh, questo è per presentarmi un po’.

Dopo essere entrato in Seminario mi mandarono a studiare a Roma e mi affezionai molto ai "Pío-Latino-Americanos", i seminaristi dell’America Latina che studiano a Roma, perché mi è capitato, per una particolare circostanza, di vivere per un po’ di tempo - tre anni - con loro, nel loro Collegio Pio Latino-Americano, insieme ai miei compagni seminaristi italiani del Pontificio Seminario Lombardo.

Sono stato seminarista, a Roma, nel periodo del Concilio.

In effetti il Concilio invitò i giovani sacerdoti a passare una parte della loro vita in America Latina, nei luoghi dove non c’erano sufficienti vocazioni.

È allora che mi sono offerto, insieme a tanti altri: eravamo circa 650 giovani sacerdoti e religiosi italiani, ad offrirci per l’America Latina.

Generalmente gli italiani, che vanno in America Latina, vengono inviati in Brasile, mentre gli spagnoli vengono inviati nell’America "hispana, cioé di lingua spagnola" perché, dato che noi italiani dobbiamo comunque imparare una nuova lingua, per noi è indifferente che sia lo spagnolo oppure il portoghese. Così gli spagnoli non hanno bisogno di imparare un’altra nuova lingua.

 

Io, avendo già degli amici in Messico del Collegio Pio Latino-Americano, mi feci inviare in queste terre messicane.

Ed è così che trascorsi due anni prestando il mio modesto servizio sacerdotale a Chihuahua, nel nord del Messico.

Là sono stato nel Seminario di Chihuahua. Facevo un po’ di insegnamento e davo dei ritiri e riflessioni, ero professore. Ma ero sopratutto coordinatore della vita spirituale nel Seminario Regionale.

Successivamente, per motivi di cui forse in questi giorni parleremo - giacché io in precedenza avevo conosciuto il Papa Paolo VI - mi chiamarono a lavorare nel Vaticano, dove sono tuttora e dove mi hanno incontrato Luis Guillermo e Marcos, che sono qui presenti.

Dunque ora sono un "burocrate" sommerso da fogli di carta, e devo mangiarli poco a poco, finché non riesco a uscire dalla montagna della carta. Un burocrate è proprio questo: uno che ... "divora la carta".

Ed è per questo che quando il Padre Pepe (il fondatore dei "Cruzados") mi invitò, con molto affetto, a venire qui a fare questo ritiro con voi, ho accettato l’invito con molta gioia,...ma era più che altro un desiderio di....scappare dalla burocrazia e ... dalla carta.

Tutto ciò che vi sto raccontando della mia vita serve per farmi conoscere, perché mi possiate ubicare, perché abbiate comprensione e pazienza con me.

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4 - Gli "esercizi": in disparte, in luogo solitario.

 

 

Adesso addentriamoci negli esercizi. La prima riflessione è preparatoria: che cosa faremo durante gli esercizi?

 

Comincerò con due idee, da un lato perché sono uomo di mare e mi piace il mare. E dall’altro lato perché le due frasi sono tratte dal Vangelo di Marco; frasi molto belle (Mc. 6, 31 ss):

- "E il Signore Gesù disse loro: "Venite in disparte con me, in un luogo solitario, a riposarvi un po’."

- "Allora partirono sulla barca con lui, verso un luogo solitario".

Non vi sembra che queste frasi siano una bella presentazione per gli esercizi?. Gesù aveva l’abitudine di invitare i suoi discepoli ad andare soli con lui a riposare in un luogo tranquillo.

Sempre ha suscitato una grande attrazione su di me la persona del Signore Gesù e sempre ho avuto la curiosità di seguire quest’uomo... per esempio, il piacere che lui provava di ritirarsi -in luogo solitario con i suoi- e portarli in luoghi appropriati per riposare. Faceva le sue "vacanze" con i "suoi"!

La sua terra, la Galilea, è una terra molto bella, quasi come...Puebla.

La Galilea è una terra verde, con bei laghi.

La Giudea non è verde, è in gran parte un deserto secco.

In Galilea ci sono fiori e mandorli; in primavera è tutta fiorita, è una meraviglia, belle colline, tutta la Galilea è bellissima.

Stando in Galilea (questo non viene mai detto nel Vangelo perché a loro sembrava così naturale che nemmeno lo annotarono) si vede che tutto il panorama è sempre dominato (come Puebla dal monte Popocatepetl), da una montagna gigantesca sempre coperta di neve, il monte Hermon.

Al Signore Gesù piaceva andare sulla montagna: lì portava i suoi.

Sù, sul pendio della montagna, c’era un paesino, dove andavano a riposare, e si chiamava Cesarea di Filippo.

Gli piaceva anche attraversare le colline e arrivare alla spiaggia, ad un mare molto bello - lo dice il Vangelo - Tiro e Sidone.

Gli piaceva anche andare dalle parti di Gerico, la città più antica del mondo (settemila anni prima di Cristo).

È in Galilea che Gesù pronuncia questa espressione così bella che abbiamo appena letto: ""Venite con me in disparte, in un luogo solitario, a riposarvi un po’".... Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte." (Mc. 6, 31-32)

 

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5 - Dalmanùta.

Come si chiama questo luogo?

C’è un’altra espressione in Marco 8,10, un’ espressione che mi ha sempre affascinato.

Daremo un nome ai nostri esercizi, se voi permettete. È un nome molto bello perché siamo già, voi e io, con lui sulla barca.

Ci siamo, ed attarversiamo il mare: verso quale meta?

"Salì poi sulla barca con i suoi discepoli" -aveva questa abitudine, di salire sulla barca con i suoi discepoli-, "e andò dall' altra parte del mare (di Tiberiade) ad una regione chiamata Dalmanùta." (Mc. 8, 10).

Questo luogo, Dalmanùta, è molto interessante.

Guardate: non si sa nulla di Dalmanùta.

Ci sono biblisti che spendono la vita intera studiando tutta la Bibbia, ma qui, con Dalmanuta, non hanno pescato nulla.

Forse era un posto semplice, un piccolo paesino sulla riva del mare di Tiberiade: Dalmanùta.

A me piace moltissimo, mi affascina il nome di Dalmanùta, proprio perché non se ne sa nulla, è un luogo misterioso, è come se si dicesse: se ne andarono dall’altra parte del mare verso un luogo misterioso!

E poiché dice che il vento ci conduce verso un luogo che non conosciamo - DALMANUTA - e noi qui siamo negli Esercizi, voi non sapete dove andrete - nessuno di voi - allora, bene!: andiamo a Dalmanùta!

Andiamo insieme, con il vento che soffia, sulla barca con il Signore Gesù, verso un luogo misterioso, a Dalmanuta, dove Lui ci conduce.

 

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6 - Il fine degli esercizi: la conversione del cuore.

 

In realtà non esiste cosa migliore che rimanere da soli, essere da soli, perché uno possa leggersi dentro.

A voi è stato insegnato di leggere dei libri, ma la lettura più difficile è di leggere se stessi. Abbiamo questo libro - di ognuno di noi stessi - sempre a portata di mano.

Ecco: l’esistenza dell’uomo è strutturata come un enigma.

Non è così per i polli. I polli non hanno nessun enigma da risolvere. L’essere umano invece sì.

Dio ha posto nelle vostre mani un grande mistero, che bisogna decifrare. Non c’è niente di meglio che stare da soli per decifrare se stessi.

Per questo motivo, tutte queste frasi hanno lo scopo di portarci con entusiasmo verso questi Esercizi spirituali che stiamo facendo. Hanno uno scopo molto giusto: che ognuno rifletta un poco sulla sua vita.

Ora: lo scopo o fine degli esercizi.

Il fine degli esercizi lo capiremo sempre meglio a mano a mano che andremo sviluppando le nostre riflessioni.

Ma possiamo anche dirlo subito, é sempre lo stesso in tutti gli Esercizi che si sono fatti: la conversione del cuore.

Lo scopo di questi esercizi è la conversione del cuore.

Dopo chiariremo in che senso parliamo di conversione del cuore. Il cuore è molto importante, è il padrone di casa.

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7 - Il metodo degli esercizi: in parallelo al "cuore" di Dio.

 

Avrei pensato di portare avanti questi esercizi con un metodo particolare, quindi è chiaro che non tutti gli Esercizi vengono condotti in questo modo.

Sarebbe così: Porsi in parallelo rispetto al cuore di Dio.

Come il treno cammina su due binari paralleli, così si fa allo stesso modo per gli Esercizi.

Porre la nostra strada - il nostro cuore - in parallelo con la via di Dio, per camminare al suo fianco. Questo mi sembra un ottimo metodo.

E dunque questi Esercizi Spirituali, che hanno come scopo la conversione del cuore, non hanno come obiettivo particolare quello che é l' obbiettivo particolare di altri tipi di Esercizi spirituali.

Per esempio, la ricerca dei peccati in una visione di riforma morale e anche legale della vita: questo lo lasciamo per gli Esercizi dell’anno prossimo, o di quello successivo.

Così, ci sono Esercizi che vengono fatti specialmente od esclusivamente per cercare di convertirci dai nostri peccati, per essere "puliti" di fronte a Dio.

Questo è un buon metodo, ma non è esattamente quello che seguiremo noi, anche se fra i vari metodi c'é ovviamente complementarità e convergenza.

Il nostro metodo consiste nel cercare, se riusciamo, di metterci in parallelo con il cuore di Dio. Un po’ come se fosse: l’altra rotaia della ferrovia.

Il nostro metodo è il parallelismo del nostro cuore con quello di Dio.

In che cosa consiste la conversione del cuore, in parallelo con il cuore di Dio?

 

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8 - L' egocentrismo e la salvezza.

 

In realtà noi stiamo osservando, registrando, guardando verso Dio, stiamo guardando verso tutti gli altri uomini e donne, e guardando verso noi stessi, a partire da un punto naturale, da un punto di partenza, da un punto di osservazione, che è il nostro stesso io.

Da lì - dal centro del nostro "io" - stiamo fotografando tutto. L’io viene ad essere come un computer su cui riportiamo tutto e da dove osserviamo tutto.

Ma questo sistema di osservazione non é perfetto ed a volte non è propriamente corretto e può metterci fuori strada.

È un buon metodo, giusto per imparare - quando si è giovani, da ragazzini, va molto bene, perché si deve incominciare così - ma quando si cresce, può essere addirittura una cosa pericolosa.

Continuare a vedere tutto a partire dall’interno dei nostri occhi ?!

In effetti mi si potrebbe dire: senta, ma da dove si può vedere tutto? Ho sempre visto tutto a partire dall’interno dei miei occhi? Io quando vedo gli altri li vedo così a partire dai miei occhi. Quando osservo il mondo lo vedo a partire dall’interno dei miei occhi. E quando vedo Dio, Lui è là e io sono qui ed è da qui che lo sto vedendo.

Ma tutto ciò crea, a lungo andare, una serie di deformazioni. Si finisce con il fare il culto dell’ "ego", il culto dell’ "io", il culto ed il mito del punto di partenza, da cui si finisce per vedere tutto.

Si è così abituati a riferire tutto all’io, tanto che l’io arriva ad esssere il "personaggio" chiave della vita. Come se fosse l’unico della scena. Tutto a partire dall’"io" umano.

 

Anche per ciò che riguarda questo argomento, il problema morale potrebbe risultare molto deformato. C’è gente che non fa peccati per orgoglio dell' io, perché l’io - dovendo risultare vincitore di fronte a Dio - rimarrebbe invece in svantaggio se facesse dei peccati.

A uno viene detto: "guarda, non commetere peccati, così vinci di più; conquisti la vita eterna".

Così allora ci si viene a trovare come ad un livello di commercio: "Se commetti dei peccati, hai un guadagno più o meno piccolo. Ma se vuoi la vita eterna e metti i peccati sulla bilancia, allora perdi molto se perdi la vita eterna a causa dei peccati. Così ti conviene aver il "vantaggio" di non peccare."

Così, in questo modo, diventeremmo santi e puri per convenienza, per timore, per interesse, per vantaggio spirituale. Tutto ciò parte dall’idea di dover sempre dare la preminenza all’io. È l’io a dover, a volere comparire per primo.

Nella Chiesa si parla molto della "salvezza", tanto che, giustamente, nostro Signore Gesù Cristo è chiamato il Salvatore.

Allora questa chiave di lettura - della "salvezza" - potrebbe apparire un po’equivoca, o alquanto ambigua, perché si va sempre sottilmente laddove c’è vantaggio per l’io. L’io si salva. Così vinciamo, ci salviamo!

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9 - La tecnica del "paradosso".

 

Questo fatto della salvezza potrebbe davvero essere inteso in modo pericoloso, come chiave della vita cristiana, potrebbe addirittura essere deformante l’idea di salvezza in sé stessa.

 

C’è "Uno" che concorda con questo mio punto di vista, o per meglio dire sono io che concordo con il Suo punto di vista. Ricordate ciò che dice il Signore Gesù della salvezza quando afferma: ""Colui che vorrà salvare la propria vita, la perderà"" (Mt. 16, 25)

È un curioso paradosso! Lo si trova indicato in Matteo 16, 25 ed anche in Matteo 10, 39.

Credo che la prima delle due citazioni di Matteo sia quella in cui Lui insiste un po’ di più, e credo che sia in Mt 16, 25, dove Lui precisa questo tema.

Proviamo, dunque, ad analizzare Mt 16, 25 " "Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; - evidentemente l’io - ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà"".

Vediamo come potrebbe essere equivoca l’idea della salvezza. Colui che vuole salvare la sua vita, colui che vuole salvare la sua vita "normale", la perderà.

 

Il Signore Gesù si serviva di molti mezzi, di modi di dire, che erano molto diffusi nella sua epoca e nella sua cultura. Una di quelle tecniche era il "paradosso" (e anche le "figure", le "parabole"...).

Il "paradosso" consiste nel gonfiare un argomento per renderlo più visibile e più comprensibile. Lo gonfiamo ed è visibile a tutti: è un concetto esatto, ma ingigantito. È un modo per insegnare con grande evidenza.

 

E Nostro Signore si serviva del paradosso per parlare. Per questo bisogna stare attenti quando si legge il Vangelo. Ci sono frasi molto forti, come quella di Mt. 10, 39.

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10 - Lo "sguardo" e la sua direzione, per "vedere".

 

In proposito il nostro metodo, circa il punto di vista giusto dello sguardo dovrebbe essere un altro. Durante gli esercizi, e possibilmente durante la vita, si dovrebbe cercare di girare lo sguardo di 180 gradi, questa sarebbe la chiave esatta.

Il mio sguardo parte da me e va verso di Lui. Il mio sguardo va dal mio io a Lui. Girando invece lo sguardo di 180 gradi non sarà più così. Il mio nuovo sguardo dovrebbe essere a partire da Lui guardando verso di me.

Il mio sguardo deve girarsi totalmente di 180 gradi, dobbiamo incominciare a guardare da dentro del cuore di Dio verso fuori, non già da dentro del cuore nostro. Questo è il modo per riorientare lo sguardo.

Non è sufficientemente buono guardare Dio, guardare verso Dio. È molto meglio guardare dal punto di vista di Dio.

Non è sufficientemente buono guardare verso Cristo. È molto meglio guardare con gli occhi di Cristo.

Non è sufficientemente buono guardare il Sacro Cuore di Gesù, ma è molto meglio guardare a partire dal suo Sacro Cuore.

Questo è il modo migliore di vedere, perché siamo molto limitati per poter vedere bene; se guardiamo prevalentemente a partire dai nostri occhi umani, vediamo molto limitatamente.

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11 - Vestiti da "bambini" e vestiti da "adulti".

 

Quando i ragazzi sono piccoli, è evidente che imparano a credere in casa; viene insegnato loro il catechismo, così fanno le mamme che vogliono molto bene ai loro figli ed insegnano loro queste cose - che riguardano la fede - con molta dolcezza.

In casa mia queste cose non mi sono state molto insegnate, un pò si, ma non molto . Sapete, provo nei vostri confronti un pò di invidia e un po’ di gelosia. Mi sembra che voi siate come i figli dei ricchi, cui molto é stato donato nell' infanzia, mentre io mi sento piuttosto come i figli dei poveri cui poco é stato donato nell' infanzia.

 

Come dice San Paolo: voi, da bambini, andavate vestiti da bambini, ma ora che siete grandi - immaginatevi - se tutti voi andaste vestiti da bambini.

Non bisogna giudicare tanto negativamente coloro che perdono la fede quando giungono all’adolescenza: da bambino, ti vestivano da bambino, ora che sei grande devi vestirti da grande.

Ora che sei adulto, comprati un vestito da adulto. Non è colpa dei tuoi genitori, che ti hanno dato un vestito piccolo quando eri piccolo. Ora che sei grande, strapperai qualunque vestito da bambino se continui a mettertelo.

Non puoi continuare a guardare tutto dal tuo esclusivo punto di vista, come facevi quando eri piccolo, come normalmente fanno i bambini che sanno e possono guardare solo dal loro punto di vista: ora che sei adulto romperesti tutto, se continuassi a vestirti ed a guardare come un bambino.

Ora che siamo grandi è necessario che guardiamo le cose da una prospettiva diversa.

Bisogna conoscere il punto di vista degli altri e soprattutto bisogna avere il punto di vista di Dio.

 

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12 - Il linguaggio degli "esercizi" ed il linguaggio degli "spirituali".

 

Un altro aspetto importante della nostra introduzione generale é relativo a: il linguaggio degli esercizi.

Il linguaggio è una cosa molto importante: non immaginate la tentazione che mi prende talvolta di parlare in italiano (che bella lingua l’italiano)

 

In effetti esiste un linguaggio della spiritualità e degli Esercizi spirituali: esiste un metodo proprio ed anche un linguaggio proprio.

Il linguaggio degli spirituali non è il linguaggio dei canonisti, non è il linguaggio dei teologi, non è il linguaggio dei biblisti.

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- Y. Congar, O.P., Situation et taches présentes de la Théologie, du Cerf, Paris 1967, "Langage des Spirituels et langage des Théologiens", pp. 136-158; ed anche: AA.VV. Teologia Contemporanea, Borla, Torino 1970, pp. 155-179. Si veda pure:

- V. Lazzeri, Teologia Mistica e Teologia Scolastica, Ed. Glossa, Milano, 1994.

- R. Garrigou Lagrange, O.P., "Le Langage des Spirituels comparé a celui des théologiens", La Vie Spirituelle, suppl., Déc. 1936, pp.257-276.

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Qual è il linguaggio degli Esercizi?

In realtà, con questi Esercizi Spirituali, non vogliamo fare un corso accelerato di teologia, di morale, di filosofia, di diritto, di scrittura....

Da quale prospettiva ci porremo per i nostri Esercizi?

Desideriamo porci dove si collocano coloro che fanno orazione: si potrebbe dire che il nostro linguaggio vorrebbe essere quello dell’esistenzialismo cristiano, o si potrebbe dire che il nostro linguaggio vorrebbe essere quello di una spiritualità viva: con il sapore del vivere, in un livello esistenziale.

Il livello degli esercizi spirituali, giacché si va a toccare la vita, utilizza i dati della Scrittura, i dati della teologia, i dati della filosofia, alcuni canoni del diritto, un po’ di morale, ma sono dei dati.

Il livello in cui ci poniamo è il livello dell’esperienza di ognuno, l’esperienza di base, l’esperienza religiosa; vale a dire, lo sforzo che ognuno di noi fa nel leggersi dentro per interpretare l’enigma del vivere che ognuno ha in mano.

Così il linguaggio ci riporta a un modo di essere degli Esercizi spirituali, che si situano al livello dell’esistenzialismo cristiano, di qualcosa esistenzialmente provato e vissuto.

In questo esistenzialismo cristiano - in questo piano - entra la preghiera: nel senso della presenza di Dio.

La preghiera si può definire in molti modi: è farsi presenti a Dio ed è Dio che si fa presente a noi, é l'uomo che cerca Dio ed é Dio che cerca l' uomo.

Ci sono molte persone che vivono facilmente la presenza di Dio, mentre fanno qualunque cosa. È possibile, ad esempio, che le madri di alcuni di voi siano così.

Esistono persone che vivono, e vivono la presenza di Dio e Dio vive nella loro presenza.

"Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene né dove ti conduce" (Gv 3,8)

 

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13 - Esistenzialimo e spiritualità vivente :tre letture bibliche.

 

A proposito del linguaggio degli Esercizi e del metodo degli Esercizi, per avere un’idea di come stanno le cose, faremo tre letture della Bibbia.

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1) PRIMA LETTURA: "un mistero ardente".

 

Incominceremo con il tema che compare in Esodo. 3, 1-6:

"Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò - (il deserto e la montagna: un altro buon posto dove andare cercando Dio) - ,al monte di Dio, all’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve nelle fiamme ardenti che uscivano dall'interno di un roveto che bruciava. Egli guardava e vide che il roveto ardeva, ma che non si consumava - (si può notare che questo è un elemento di viva esperienza per Mosé: come egli si è imbattuto in Dio, più o meno così come noi ci imbattiamo nel vento; in una esperienza esistenziale e non non già con un’elucubrazione mentale)- Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grandioso spettacolo: perché il roveto brucia senza consumarsi?" Quando il Signore vide che Mosé si era avvicinato per vedere, allora lo chiamò da dentro il roveto -il Signore lo chiamò".

È molto interessante, a proposito del linguaggio degli spirituali, osservare che si usano espressioni che vogliono dire qualcosa in più di quello che significano letteralmente; che non sono comprehensibili, cioé che non possono essere rinchiuse e limitate in pure parole: come, per esempio, l’espressione "il vento", che è qualcosa che non si può nemmeno raffigurare o dipingere o rappresentare.

I pittori di tutti i tempi hanno avuto grosse difficoltà nel volere rappresentare lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è come il vento (questo é il tema di Cristo che parla con Nicodemo), ma i pittori non lo sanno rappresentare mai come vento.

È anche lo Spirito Santo é come il fuoco. Oh! l’amore, lo Spirito, è come il fuoco. Come si rappresenta o raffigura il fuoco?

Dunque lo Spirito Santo, l’amore - come tutti sappiamo - si indica anche come una colomba. Più facile, ma abbastanza riduttivo, dipingere una colomba.

Questo è un problema dei pittori; non è un problema di Dio. L’amore è molto difficile da raffigurare, da rappresentare. Ma invece si percepisce, si sente la sua voce.

Sono due cose differenti. Non si raffigura non si rappresenta facilmente, ma invece lo si conosce lo si sperimenta facilmente.

Non si dipinge facilmente il fuoco, ma provate a mettere il dito, se non credete che brucia.

(È molto interessante la metodologia, la "psicologia" con cui Dio ci parla: é stupefacente).

"Mosè pensò: "Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?" Il Signore vide che si era avvicinato per vedere (che coraggio!) e Dio lo chiamò dal roveto e disse: "Mosè, Mosè". Rispose "Eccomi!". Riprese: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa".

Guardate fino a che punto arriva Dio; che cosa sorprendente! Mosè stava pascolando le sue pecore. E....arrivò da queste parti

" "Togliti i sandali dai piedi". E disse: "Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe".

(Tutti sappiamo che Cristo ha usato questa frase quando ha parlato della vita eterna con i sadducei).

Allora Mosè fece una cosa incredibile, bellissima:

"Mosè allora si velò il viso, perché aveva timore di guardare verso Dio".

Nella bibbia italiana che possiedo c’è scritto: "Mosè pose un velo di fronte al viso perché temeva di fissare lo sguardo su Dio".

È un tipo di linguaggio.

Se voi incontraste un filosofo, allora - data la diversità del suo linguaggio - potreste finire tutti morti di sonno.

Il linguaggio degli Esercizi spirituali - al contrario - è un genere letterario a parte. E' una cosa diversa. È il linguaggio di un’esperienza religiosa esistenziale, vissuta, provata, sperimentata.

Col linguaggio degli spirituali prendiamo a prestito i dati da un’area reale, e ciò che vogliamo esprimere è l’invisibile presenza di Dio e la relazione di Dio con l’individuo.

Quando - per esempio - diciamo "mistero", durante gli Esercizi spirituali, non ci riferiamo a qualcosa di misterioso di cui non conosciamo la natura o il contenuto.

Sarebbe così in un altro linguaggio, sarebbe così in un linguaggio filosofico o puramente razionale.

Invece nel nostro linguaggio - degli spirituali - la parola "mistero" non si riferisce a qualcosa che non si conosce o che è occulta. No, questo no.

"Mistero", nel linguaggio degli spirituali, vuol invece dire qualcosa che si conosce, che si tocca, che si sperimente, ma che non si può comprehendere, non lo si può contenere per intero, non lo si può abbracciare per completo, é conoisciuto ma più ampio di quanto possiamo circumnavigare. Lo si sperimenta come il vento che soffia dove vuole, tu senti la sua voce, sai bene che cos’è, ma non riesci a comprenderlo completamente.

Per questo motivo il vento è misterioso, nel senso che è...molto più ricco di significato di quanto la parola stessa indica.

O anche come una goccia d’acqua di mare: ha un po’ il sapore di tutti i mari e tutti gli oceani, la goccia rivela il sapore di tutti i mari, ma evidentemente dentro quella goccia non possono essere contenuti tutti i mari e tutti gli oceani.

Cosicché il mistero è così, è qualcosa che tocchiamo molto bene, che riconosciamo come ben noto, ma resta un "mistero", nel senso che non riusciamo a contenerlo, ad abbracciarlo e a comprenderlo completamente.

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2) SECONDA LETTURA: "una brezza soave".

Ora leggeremo un altro passo, sempre in relazione con il linguaggio degli spirituali. I Re 19, 3 ss.:

"Elia ebbe pausa. Si alzò e partì subito per salvare la sua vita. [..] Egli si inoltrò nel deserto una intera giornata di cammino -(come fate voi ora durante il cammino dei vostri esercizi)- e alla fine andò a sedersi sotto un ginepro. Allora desiderò di morire - (tu che mi ascolti, tu ....non desiderare mai la morte, per favore!) - ed esclamò: "Ora basta Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri!" Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora ecco un angelo lo toccò e gli disse: "Alzati e mangia." Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve,quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: "Su mangia, perché ti resta ancora un cammino troppo lungo da fare" Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb"

(Troviamo un’altra volta il monte di Dio).

Ed ecco qui succede una cosa di una bellezza spettacolare. Quest’uomo era perso in se stesso. Quando giunse sulla montagna di Dio, l’Oreb, entrò in una grotta e passò la notte dentro la grotta, nel monte.

" [..] Quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore, il Signore gli disse: "Che fai qui, Elia?" -(Io sono molto curioso di vedere come é il procedere del .....cuore di Dio)- "Che fai qui, Elia?" Egli rispose: " Mi consuma il desiderio del Signore, ardo di di zelo per il Signore degli eserciti [..] Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita -(il poveretto pensa che la sua vita sia perduta)- Il Signiore gli disse: "Esci e fermati in piedi sul monte alla presenza del Signore" -(Così il Signore vuole che io capisca che Lui passa nella mia vita e che io permetta che Lui passi nella mia vita)- Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto risplendette un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco si udì il mormorio di una brezza soave. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, gli giunse una voce che gli diceva: "Che fai qui, Elia?" Egli rispose: "Mi consumo di zelo per il Signore, il Dio degli eserciti"."

Così fu come Elia incontrò Dio, quando passava in una brezza soave.

Quella soave "brezza" è un’ "espressione" semplice il linguaggio. Da un lato sappiamo cos’è, ma da un altro lato come la spieghiamo completamente, come lo descriviamo in modo esaustivo ?? Infatti qui significa ed è qualcosa di più ampio della parola stessa.

Nel linguaggio degli spirituali si utilizzano, come è gia stato accennato, queste espressioni esistenziali, o anche paradossali e figurate; si utilizzano anche affermazioni generali di concetti assoluti - ci sono delle espressioni in San Giovanni della Croce o in Santa Teresa d’Avila che sembrano esagerate o estreme - le antinomie, o contrasti.

 

È un linguaggio.......ma come potete leggere il tedesco se non imparate la lingua?.....o come potete leggere l’italiano, se non imparate la lingua?

Allo stesso modo bisogna fare con il linguaggio spirituale. Bisogna conoscere questo linguaggio per potersi esprimere e per poterlo leggere.

Michelangelo, il grande pittore - questo sì che era italiano -, creava quei preziosi dipinti, che tutto il mondo può ammirare tuttora.

Se voi li osservate,i suoi dipinti, vi sembrano "normali", ma non è vero che i dipinti di Michelangelo sono "normali"; usava dei trucchi per farli oservare meglio, per valorizzarne il significato, usava diversi trucchi.

Per esempio, faceva un braccio con un muscolo molto grande, il braccio più grande, più lungo; metteva in evidenza qualcosa che di per sé sembrerebbe "deforme".

Ingrandire, dilatare, creare prospettive, non era una menzogna per Michelangelo, era un modo per evidenziare i suoi dipinti, in modo che si potesse vedere leggere e decifrare ciò che lui voleva che finalmente vedessimo.

È una forma di linguaggio particolare, quella degli spirituali.

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3) TERZA LETTURA: "la gloria splendente"

Vi ho annunciato prima che avremmo letto tre brani della Sacra Scrittura. Vi leggerò ora il terzo ed ultimo.

Se qualcuno di voi, però, arriva al culmine della sopportazione e si annoia troppo, mi tiri pure....una scarpa.

Circa la lettura che stiamo per fare ho fatto una sorta di composizione e combinazione. Cioé lo stesso episodio viene riportato sia dal Vangelo di San Marco che dal Vangelo di San Luca, ma con la differenza che Marco dice alcune cose che Luca non dice e viceversa (Marco 9, 2-10; Luca 9, 28-35).

Come tutti sanno sia Marco sia Luca, senza mettersi d’accordo, danno un tocco personale alla propria narrazione.

Io ho fatto una composizione dei due testi, in cui compare sia il pensiero di Luca sia quello di Marco. E ora, come lo posso presentare?.....immaginatevi.

In definitiva, questo è ciò che successe:

"Otto giorni dopo questo discorso, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Salì su un alto monte," - (fate caso al fatto che in tutte e tre le letture si fa riferimento a un monte) - "il monte di Dio, in un luogo deserto, appartato, loro soli" - (come noi, soli) - "a pregare, e mentre pregava l’aspetto del suo volto si trasfigurò dinnanzi a loro. Le sue vesti divennero fulgide, bianchissime, di un colore sfolgorante e lo accompagnavano due personaggi: Elia e Mosè".

- (È curioso il modo in cui stiamo imparando la tecnica del linguaggio spirituale. Abbiamo letto due brani su come Elia e Mosè hanno trovato Dio ed ecco qui un terzo luogo in cui c’è un incontro molto esistenziale con Dio. Gli altri due brani sembrano essere in parallelo con quest’ultimo: Mosè nel primo; Elia nel secondo; Mosè ed Elia parlando con il Signore Gesù in quest’ultimo) -

"Elia e Mosè si intrattenevano con Lui. Questi, apparsi nella gloria, parlavano con Lui. Ora Pietro e i suoi compagni si erano svegliati dal sonno e videro" -(curioso)- "videro la Sua Gloria".

Che cos’è la Gloria di Dio? È il tema dei nostri esercizi.

Videro la Sua Gloria. L’Amore di Dio è la Sua Gloria. La Gloria di Dio è il Suo Amore. Ciò che conta di più di Lui è la Sua Gloria.

Essi, quando lo vedono splendente - abbiamo già detto che il mistero non è una cosa sconosciuta, ignorata, ma invece qualcosa di più grande di quanto si possa abbracciare completamente - vedono il mistero di Dio, il Suo Amore.

Il Suo Amore si è reso visibile in tutto questo mistero che abbiamo appena descritto. E lo videro.

Si vede la Gloria, dicono che videro, è qualcosa che si vede. I personaggi che erano con Lui.

"Prendendo la parola Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bene per noi stare qui. Faremo tre tende, una per Te, una per Mosè e un’altra per Elia". Non sapeva in reltà cosa diceva perché era stato preso dal timore" - (Qui non c’è alcun concetto filosofico. Ve lo sottolineo, che non ce n’è alcuno) - "E venne una nube che li ricoprì con la sua ombra". dell’om - (che cosa sorprendente: in tutta la Sacra Scrittura si parla dell’ombra di Dio) - "Ed essi, trovandosi nella nube della Gloria di Dio" - (ciò che succederà a noi durante questa settimana) -, "si spaventarono. Dalla nube venne allora una voce che diceva: "Questi è il mio Figlio amato, ascoltatelo"".

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14 - Disposizioni personali per Gli Esercizi Spirituali.

 

Rimarrebbero ancora alcuni minuti, li dedicheremo perciò alle DISPOSIZIONI PERSONALI PER INCOMINCIARE GLI ESERCIZI SPIRITUALI, esse sarebbero tre:

 

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1.- È necessario liberarsi dei miti pseudoreligiosi e ideologici

Ci imprigionano e ci impediscono di amare Dio secondo la logica di Dio.

La cultura mitologica, secolarizzata, la società del benessere, il denaro, il successo, la carriera....

Esiste tutta una serie di mitologie elaborate; quotidianamente ci sediamo passivi di fronte alla televisione, guardando i profeti di questi miti, che ci parlano in forma mendace, che ci raccontano le loro piccole storie.....

Io credo che dovremmo liberarci di queste cose e dobbiamo dire: "ora vado all' inconto di Dio". Punto.

E tutta questa "segatura" lasciamola da parte, almeno per un pò.

San Tommaso d’Aquino era un mio compatriota, italiano come me, e dicono che quando stava ormai terminando la stesura della sua famosa "Somma Teologica", la sua opera maggiore, gli si rivelò illuminato il mistero di Dio.

Dicono che lui - San Tommaso - vedendo il "mistero" di Dio avrebbe esclamato: "non continuerò oltre a scrivere tutto questo. Di fronte a ciò che è Dio, quello che scrivo io è soltanto paglia, solo "segatura"".

Se San Tommaso diceva una cosa del genere a proposito della sua grande cultura religiosa, che ne sarà dei miti pseudoreligiosi che ci circondano.

Badate bene che quando mi riferisco allo pseudoreligioso, non mi riferisco solo alle sette, mi riferisco anche ad un certo punto di vista che viene presentato come "cattolico", ma piuttosto per comodità.

In realtà ci sono molte persone che non vogliono uscire dall’ "infantilismo" spirituale, non vogliono incontrarsi veramente con Dio, come fece Giacobbe con l’angelo nella notte: affrontare e combattere con Dio.

Non si può solamente dire: "non peccherò", "digiunerò", solo perché lì c’è il semaforo.

Nelle città moderne è molto importante un semaforo, ma come dice il Vangelo: ... non di soli semafori vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio.

Allora bisogna finirla, almeno per una settimana, con ogni vantaggio pseudoreligioso di comodo, e in questa settimana ... andiamocene con Dio.

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2.- Rompere, strappare i vestiti da bambini, finirla con questi abiti.

Qui nella vostra casa ormai più nessuno vuole che andiate in giro per i corridoi con il vostro vestito da....bambino, ma invece vogliono che andiate in giro già con il vostro abito proprio da.....Cruzados.

 

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3.- Rompere totalmente l’isolamento dell’io.

 

Alcuni immaginano la loro vita essenzialmente come una relazione tra l’io (la loro persona) e tutto ciò che non è io, il non-io (tutto ciò che rimane al di fuori della loro persona), in tale visione Dio viene ad essere una parte di questo non-io.

 

Così ci sono persone che si immaginano, da un lato, il loro "ego", il loro io, e, dall’altro, tutto il resto come uno schermo che si trova al di fuori dell’io e che viene visto dall’io.

Che cos’è la vita di una persona così?

È una relazione di base fra due poli: l’io e tutto ciò che non è l’io. E l’io, la persona, in questa visione, viene ad essere più che altro il centro separato e isolato da tutto il resto, come un’isola solitaria e superba.

In effetti, ciascuno è condotto nella vita dallo scopo che si prefigge, dall’idea che ha del vivere, dal progetto che ha di fronte a sè da realizzare; e se uno ha un progetto sbagliato, capiterà in un posto sbagliato.

In realtà bisogna infrangere quell’immagine solitaria e isolata della persona (dell' io) e introdurre - tema molto forte e sul quale ritorneremo molto diffusamente - l’immagine "reale" della persona, che è fondamentalmente una "relazione".

È necessario vincere l’idea della coscienza dell’io isolato, superare la caricatura infantile che pone l’io al centro dell’universo, il quale girerebbe intorno ad una sorta di "ego imperiale", a cui tutto si sottommette e si riferisce.

Tutto ciò è un errore ed anche un orrore, la vita reale non è così e questa idea sbagliata dell’io può in realtà essere una gran idolatria, anzi la più grande idolatria, l' idolatria dell' io, fonte di errori e di orrori.

 

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15 - Conclusione della prima riflessione: "si fermarono presso di Lui" - "perché stessero con Lui".

 

Concluderei questa prima coversazione con una lettura, che è molto bella; è di un passaggio del Vangelo di San Giovanni, che è il mio preferito.

Abbiamo visto tre letture sulle tre teofanie (manifestazioni di Dio), ma quella che leggeremo ora è una teofania molto particolare, che ora io dono in modo speciale a ciascuno di voi, come regalo di inizio degli esercizi.

È di una bellezza impressionante.

Anche se l’avrete già letta molte volte durante tutta la vostra vita, se la rileggerete da anziani, come lo sto facendo io, vi sembrerà ancora e sempre nuova e selvaggiamente bella.

Gv.1, 35 ss. :

"Il giorno dopo Giovanni (il Battista) stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava" -(notate che qui dice anche che passava il Signore: il Signore passa! Qui Gesù passa nella vita di uno!)- "e, fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: "Ecco l’agnello di Dio". I due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano" - vedendoli, ci sono sguardi che si incrociano- "disse": - (chiede ora a voi, io vi chiedo, questi sono gli Esercizi: il Signore che vi pone delle domande.)- " "Che cercate?"" -(Ottima domanda: che cosa cercate? Ed è molto curioso. Uno può consultare grandi Trattati di Teologia, ma osservate la semplicità della risposta).- "Gli risposero: "Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?"" - (È tutta una questione esistenziale, non c’è nessun principio astratto o filosofico.) - "Disse loro: "Venite e vedrete"". -(È interessante la benevolenza del Signore Gesù. Quando uno è inquieto, o curioso, non ci rifiuta, cioé dice: Venite. Venite e lo vedrete. Ed in questo c’è qualcosa di sorprendente) - "Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di Lui".

Che cosa straordinaria!

Dice il Vangelo di San Marco:"Ne costituì dodici, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare". Il motivo principale del Signore è perché "stessero con Lui", il motivo secondario è "per mandarli a predicare" (Mc. 3, 14).

Questo è l’essenziale: "stare con Lui"; anche se sembrerebbe che a qualcuno interessi di più il "mandarli a predicare".

No! La questione del "mandarli a predicare" viene dopo, è secondaria. La cosa più importante è perché "stessero con Lui" (Mc. 3, 14), non si "va a predicare" nulla se non si é "stati con Lui".

Qui, nel nostro brano del Vangelo di San Giovanni, lo stesso Signore dice: ""Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno "stettero con Lui".

Per quest’uomo, cioé per l’evangelista San Giovanni, uno dei due discepoli che "stettero con Lui" quel giorno, la vita cambiò a partire dal momento in cui egli s’imbattè con il Signore Gesù.

S. Giovanni, l' evangelista, non se ne potè mai dimenticare per tutto il resto della sua vita, neppure del dettaglio con cui concluderemo la prima riflessione: "Erano circa le quattro del pomeriggio".

Si ritiene che l’evangelista San Giovanni scrisse questo libro quando era ormai avanti negli anni. Si parla di vari anni dopo la Resurrezione del Signore. Eppure egli si ricordava ancora dell’ora, in cui aveva incontrato il Signore. Secondo me è un particolare straordinario. Chi potrebbe dimenticarsi dell’ora in cui ha incontrato il Signore Gesù?

 

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SECONDA MEDITAZIONE

CHI È DIO?

 

 

 

 

 

 

1 - Il "senso di Dio": un' "intuizione universale".

Avere il senso di Dio è ciò che di più universale si possa immaginare, sia in senso geografico - in qualunque luogo al mondo - sia in senso temporale - in qualunque tempo od epoca della storia - : non ci sono eccezioni per questo senso universale di Dio, nè geografiche nè temporali nè storiche.

Ciononostante tutte le immagini di Dio, anche le più elevate, come per esempio quelle dell’Antico Testamento, ci riportano e ci dipingono un Dio isolato e solitario.

Il Dio unico è un isolato e un solitario. Dio è solo. È una solitudine.

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2 - Il Dio, "rivelato" da Gesù di Nazaret, é una "relazione".

 

 

Alcuni riflettono poco sulla grande novità di Gesù di Nazaret; il Dio rivelato da Gesù di Nazaret è totalmente diverso.

C’è una rottura nell’immagine di Dio, rispetto all’idea più elevata che fino ad allora ne aveva l’umanità.

Lo stesso San Paolo lo dice - e lo ripete anche il Vangelo e tutto il Nuovo Testamento - il Signore Gesù è venuto ad annunciare il "Mistero" nascosto dai secoli e ora rivelato.

Gesù di Nazaret, il Signore Gesù, annuncia che Dio, il Dio che ha creato il cielo e la terra, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che Lui annuncia, non è una solitudine. Non è un Dio solitario.

 

Il nostro Dio è una relazione.

Non è :una persona molto elevata, e sola. Ma é: una relazione fra persone.

Prima lo consideravano semplicemente come ciò che di più elevato esista e gli offrivano molto incenso. Non è una solitudine isolata che sta aspettando l’incenso.

In questo senso penso ci sia una straordinaria novità, da un lato, tra il Dio degli ebrei, il Dio dei musulmani, e, dall’altro, il nostro Dio, rivelato in Gesù Cristo.

La stessa idea di Dio è differente. Per noi Dio è una "Relazione".

L’idea di un Dio solitario e isolato ci porta a identificarci con Dio, come sue immagini, che siamo, ed considerarci così come se fossimo il "centro" dell’universo.

Se consideriamo la natura di Dio - salendo da noi fino a Dio - rimaniamo con l’immagine di un Dio solitario e isolato, e inoltre rimaniamo noi stessi in compagnia del nostro "ego" solitario e isolato, a immagine del Dio che concepiamo.

Ma se invece guardiamo alla sua intimità, l’intimità di Dio che il Signore Gesù ci ha rivelato e ci ha insegnato a guardare, troviamo qualcosa di diverso.

Se dobbiamo cercare guardare a partire dai Suoi occhi, allora dovremo captare cosa succede a casa Sua.

Il nostro Dio è una relazione straordinaria e densissima fra due persone, che "convenzionalmente" chiamiamo il Padre e il Figlio (le parole sono sempre segni convenzionali, come si vede bene anche passando da una lingua ad un' altra).

 

Curioso che Dio venga chiamato Trinità, ed è una "relazione fra due". Lo chiamano "tre" e sono "due"......

Sembrerebbe quasi che il Vangelo non dica certe cose, mentre al contrario le ripete continuamente. Dice:

"In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Si, Padre, perché così é piaciuto a Te ".

(Questo è molto interessante per noi. Dio si rivela a coloro che hanno un cuore buono. Ed ecco che qui di seguito viene la frase importante).

"Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio. Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Luca 10, 21- 22).

Vedete che sono "due" ...?

Curioso. Per cominciare a dire chi è il Padre, dice che nessuno sa chi è il Figlio. Poi nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre.... Sono "due", è una parità.

Quando abbiamo un amico, come quando Mosè parlava con Dio, "Dio parlava a Mosé, come un amico parla con il suo amico" (questa frase molto bella é una frase della Sacra Scrittura), quando uno parla con un amico, o quando due fratelli parlano fra di loro, o quando due fidanzati parlano tra di loro, sono due: un io e un tu che si parlano.

 

E per quanto si parlino e si amino, rimangono comunque due. Non cé modo che, pura furia di amarsi, con il più grande ardore e forza, diventino più di due, rimangono due.

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3 - il Mistero della Trinità

 

In Dio, al contrario, la stessa relazione fra le due Persone si "condensa" e "prende forma" a tal punto, che "giunge a essere" - "é"- una Persona, la "terza" Persona: "qui ex Patre Filioque procedit" (Credo), che procede dal Padre e dal Figlio; questa terza Persona (con la stessa convenzione costituita dall' uso delle parole, come prima abbiamo già accennato) la chiamiamo lo "Spirito Santo".

Lo Spirito Santo è il "terzo" della Santissima Trinità, cosicché l’amore tra il Padre e il Figlio è tanto "intenso" da raggiungere ciò che nelle nostre relazioni umane non si raggiunge.

È come una "condensazione" della relazione del Padre e del Figlio. La loro relazione è così "densa", che a sua volta "si fa ed é" Persona.

E convenzionalmente (le parole, lo sappiamo, sono convenzioni, contenitori, scatole, che cambiano persino da un linguaggio all’altro) chiamiamo questo Amore tra Padre e Figlio: lo Spirito Santo.

Sono pienamente convinto di ciò che dice il Credo cattolico: che lo Spirito Santo procede allo stesso tempo dal Padre e dal Figlio.

Ricapitolando ciò che abbiamo detto finora, il senso di Dio è ciò che vi é di più universale.

L’immagine più elevata che l’uomo -con le sue forze ed i suoi lumi- può avere di Dio, è l’immagine di un Dio solitario e isolato.

Il Dio di Gesu Cristo è un Dio totalmente diverso giacché non è una solitudine, è una "Relazione fra Due", ed è talmente "densa" la relazione tra le due Persone, che si fa ed é una terza Persona, lo Spirito Santo.

Questo è il "segreto mistero" di Dio che non si riesce ad afferrare, ad abbracciare, a circumnavigare, mai del tutto ed è il punto chiave della nostra fede.

Nel contempo, quando il Signore Gesù rivela la natura di Dio come relazione, rivela un’altra cosa importante, rivela la sua propria passione umana, la sua passione dominante, la sua passione unica, la ragione del suo agire, la ragione di Dio, la ragione del vivere, la ragione di tutto.

Dedicheremo una meditazione alla Persona di nostro Signore più avanti.

Divideremo i nostri esercizi in due parti: una parte fino a giovedì mattina e un’altra da giovedì in poi.

Nel corso della seconda parte dedicheremo una meditazione alla Persona del Signore Gesù. In effetti quest’uomo era divorato da una passione dominante.

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4 - La "ragione" del Signore Gesù e la "ragione" di Dio.

 

Si dice che un uomo è maturo quando raggiunge, nel corso di tutta la sua vita, un’idea dominante, o meglio ancora una sola idea, una sola passione. È questo che distingue nostro Signore: una passione unica.

Egli era un uomo con un solo motivo per agire, non agiva per cinque, quattro o tre ragioni.

Questa ragione è motivo, fine, causa, progetto del suo stesso essere.

Il Signore Gesù era un uomo di un’unica ragione: la ragione di Dio. La sua ragione di vivere è una sola: la ragione di Dio!

Se voglio capire la sua regola di vita e capire Lui e non essere un estraneo per Lui, devo incominciare a vedere dal suo punto di vista, osservare da dentro il suo cuore, conoscere la sua passione dominante e unica.

La ragione unica di tutto: è l’amore che c’è in Dio, l’Amore del Padre e del Figlio, che chiamiamo Spirito Santo.

È interessante una lettura pausata e lenta del Vangelo, e vedere che, se si legge con calma il Vangelo, si può osservare che Cristo Nostro Signore aveva molti e vari problemi; ma di ragioni ne aveva una sola: l’Amore del Padre e del Figlio, che chiamiamo Spirito Santo.

Uno dei problemi del Signore Gesù è quello che ha con ciascuno di noi qui presenti: farsi capire da noi e fare in modo che aderiamo a Lui.

Egli conosceva bene questa difficoltà.

Così dovette manifestare in modo graduale la "rivelazione" di questo "mistero" e di questa "passione" che lo divorava, attraverso avvicinamenti progressivi all’obiettivo, come ci dice molto chiaramente il Vangelo.

Egli sapeva e conosceva la difficoltà.

Si aiutava con predicazioni, miracoli, parabole, esempi e con la convivenza quotidiana, cosicché dava insegnamenti graduali, ogni volta più importanti; e si rendeva conto che non sempre riusciva nel suo intento con rapidità.

Era "passionale" e si "disperava" per la lentezza dei suoi discepoli nel capirlo. Quando Filippo gli disse: "Signore, mostraci il Padre e ci basta" (Gv 14, 8 ss).

(Com’era possibile che dopo essere stati così a lungo con Lui non avessero "visto" e "capito"....?)

Infatti "gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha veduto me ha veduto il Padre. Come puoi dire: mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre è in me? Credetemi: io sto nel Padre e il Padre sta in me. ...Ma lo Spirito Santo, che il Padre invierà nel mio nome, sarà Lui ad insegnarvi tutte queste cose e a ricordarvi tutto ciò che vi ho detto".

Non capivano... E così siamo noi.

È facile dirlo: guardare attraverso gli occhi di Dio, a partire dagli occhi di Dio.

È facile dirlo: Dio ha una sola passione, un’unica ragione del vivere.

E la rivela in modo progressivo, cosicché noi possiamo entrare in Lui, e infine ci manda il Suo Amore affinché ci induca a questa passione.

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5 - La Gloria di Dio, missione del Signore Gesù.

 

 

Collegando ciò che abbiamo detto ora a ciò che dicevamo questa mattina rispetto al paradosso, si può affermare che non è completamente vero ed esaustivo dire che il Signore è venuto per salvarci.

 

"Non" è venuto a "salvarci", ma è venuto essenzialmente per uno scopo unitario, divorante, esclusivo, bruciante, unico: per la Gloria di Dio che è l’Amore del Padre e del Figlio, che chiamiamo Spirito Santo.

Conseguenza di questo fine unico e totalizzante è "anche" la nostra salvezza; ma la questione della nostra salvezza non è la cosa principale, la cosa più importante è il Suo Amore Trinitario.

La ragione principale della venuta del Signore Gesù è stata la manifestazione dell’Amore del Padre, la storia e la Gloria di quell’Amore.

È proprio questo: la Gloria di Dio. La ragione per cui è venuto è questa.

Qual’è la ragione dell’Amore? La ragione dell’amore è l’amore!

Non esiste una ragione al di fuori di esso, nè più alta.

Tutto ciò che Dio fa, lo fa per amore. Tutto ciò che fa il Padre lo fa per il Figlio, tutto ciò che fa il Figlio lo fa per il Padre, e ciò che fanno - si amano - si chiama Spirito Santo.

Se Dio è Dio, se l’amore di Dio è amore, il fine unico di Dio è dentro Dio e non fuori di Dio, perché se fosse fuori di Dio, non sarebbe più adeguato a Dio, non sarebbe più Dio.

Nell’amore di Dio risiede la ragione, il mezzo, il fine e la soddisfazione del vivere.

 

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6 - La "bontà" dell' Amore di Dio e le "fragili colonne del Cielo".

Credo che dobbiamo trovare il coraggio per entrare in tutto questo, e non rimanere tutta la vita nella periferia del vivere, ma starci dentro.

Si dice, a volte, che "Dio è buono". Ma che cos’è questo "è buono"? Che cosa significa che Dio "è buono"?

Vi semplificherò la riflessione con un racconto.

Quando mia mamma incontra, al mercato del mio paese, la buona vecchia maestra di mio fratello - è una signora sola, molto buona e simpatica, che passeggia con un cagnolino legato ad un guinzaglio - si mette a chiaccherare molto piacevolmente con lei.

Il cagnolino si stanca un po’, dopo breve tempo, cosicché comincia a dare segni di impazienza perché vuole andarsene; ma la maestra, che al contrario vuole continuare a chiaccherare, lo tira forte dal guinzaglio perché si calmi e aggiunge, quasi a chiedere scusa, "è buono, il mio cagnolino, è buono!"

In effetti ci sono persone che hanno - più o meno - questa idea di ciò che "è buono": qualcosa, o qualcuno, che posso tirare a mio piacimento con il guinzaglio, al mio servizio, ai miei ordini, secondo il mio arbitrio e il mio capriccio.

Questa idea, di ciò che è "buono", è completamente inadeguata e improponibile per Dio; non è questo il senso della "bontà" di Dio: per me, per il mio uso, per la mia salvezza, per il mio capriccio...

Esiste una totalità ed una violenza dell’amore di Dio: ciò che va nella direzione di questo amore Trinitario in Dio, colui che lo considera come suo unico fine, colui che ne usufruisce, lo serve, lo ama, gli si identifica, "è buono" per Dio. Conseguentemente a ciò dice Gesù: "colui che non raccoglie con me disperde", non "è buono".

L’amore di Dio, l’amore Trinitario, del Padre e del Figlio, che chiamiamo Spirito Santo, è totalitario, violento, assoluto.....imperiale (crf. Denis De Rougemont: L’Amour et l’Occident, Paris 1935).

Abbiamo camminato un poco parlando di Dio.

Voi sarete, come dice la gente, "uomini di Dio".

Mi è sempre sembrato molto impressionante che, quando Pietro e Giovanni salivano al tempio, la loro stessa ombra - così riferiscono gli Atti degli Apostoli - curava.

Un "uomo di Dio" è un uomo che porta questo "mistero", la gente lo sa; io vedo come la gente considera un sacerdote, come un uomo caricato di "mistero".

Vi regalerò, ora, una bella definizione che mi è sempre piaciuta: "I sacerdoti sono le fragili colonne del cielo".

Modestamente - perché siamo fragili, voi ed io - portiamo il peso del "mistero" ("l’Amore è come il vento: tu senti la sua voce e non sai da dove viene nè dove ti conduce"), palpabile da tutti ma che, ciononostante, non si afferra e non si riesce a comprendere del tutto.

I sacerdoti fanno "presente", con la loro sola "presenza", il "mistero" (loro sono la voce del "vento"). La gente lo sente.

Cosicché, se voi sarete "uomini di Dio", dovete essere esperti di questo "vento". Un "uomo di Dio" conosce le strade del "vento" di Dio, in Dio stesso.

 

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7 - Lo spazio ed il tempo.

A proposito del cammino di questo "vento" verso Dio, toccheremo ora due tematiche chiave del vivere: lo spazio e il tempo.

Queste sono veramente due temi chiave del vivere.

Non possiamo mai pensare a nulla - nè alla cosa più bella della vita, nè alla più brutta - che non sia inquadrata in queste due dimensioni, che sarebbero lo spazio e il tempo.

Tutto ciò che crediamo di conoscere fa parte di esse. Sono due categorie senza le quali non si può pensare.

Tutto ciò che accade rientra nello spazio e nel tempo, meno Dio.

Lo spazio e il tempo non contengono Dio, non riescono a contenere Dio, a compre-endere Dio.

È piuttosto vero il contrario. Sia lo spazio sia il tempo, vale a dire, tutto ciò che riusciamo a concepire, sono creature di Dio.

A volte la gente crede che Dio abbia creato lo spazio, ma non il tempo.

Diciamo che ha creato la terra (spazio), ma pare - secondo alcuni - che Dio fosse dentro il tempo.

È certo che Dio invade tutto lo spazio e tutto il tempo. Lo si percepisce anche se non si sa da dove venga e dove vada. Invade ogni cosa.

 

Tuttavia lo spazio e il tempo non sono comprensivi di Dio. Al contrario, Dio li ha creati, sono creature di Dio.

Dio non è soggetto allo spazio e al tempo. Piuttosto, non possiamo pensarla nel modo giusto, riguardo a Dio, se non ci liberiamo un po’ di quelle categorie di spazio e di tempo.

Dio è essenzialmente fuori dallo spazio e dal tempo. I teologi chiamano ciò con la parola "trascendenza".

Che cosa straordinaria! Queste categorie non imprigionano, non ingabbiano Dio.

Non è possibile pensarlo in queste categorie o dentro di esse.

Queste categorie portano a degli "antropomorfismi" - un’altra parola un po’ inusuale, che mi perdonerete - vale a dire, che stiamo creandoci, di Dio, delle immagini umane, come se lui fosse un po’ più grande dell' "umano", ed un pò deformato rispetto al' "umano".

Dio non è in un altro luogo o in un altro tempo. Riempie tutto lo spazio e tutto il tempo, ma non vi sta rinchiuso dentro, piuttosto e principalmente ne é "fuori", é "trascendente".

Fuori dallo spazio e dal tempo, dove?

Questo "luogo" in cui si trova Dio, è oltre lo spazio ed oltre il tempo, e come conosceremo il cammino per giungervi?

Prima di tutto esiste sempre la strada dei filosofi e dei teologi, per conoscere e raggiungere questo "luogo" dove "sta" Dio; ma è una strada sempre difficile: non ve la consiglierei.

 

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8 - La "categoria" di Dio.

 

 

Noi abbiamo bisogno di sperimentare, provare, gustare, toccare la "categoria" dove vive Dio per poterla capire, captare, identificare.

Il Signore Gesù ha voluto e vuole che sperimentiamo la "categoria" in cui vive Dio, affinché conosciamo - non per ragionamenti filosofici e teologici - ma esperienza nostra propria personale vissuta, e perciò certa, dove si trova Lui.

Lui è venuto affinché la gente povera e semplice sperimentasse e conoscesse la via.

Così, occorre farsi all' idea che quest’Uomo vuole che la gente semplice comprenda e sperimenti.

La fede di Gesù Cristo non è una fede per iniziati o di "elite". No! Invece piuttosto é una fede che viene rivelata ai piccoli, Egli vuole che la gente semplice entri in essa.

La gente ha bisogno che le si parli di Dio. La gente ha sete di Dio (ricordatelo quando sarete sacerdoti).

Ci sono sacerdoti che quasi non parlano di Dio. O non lo sanno fare o non ne hanno il coraggio.

Io credo che la cosa peggiore sia avere timore di parlare di Dio.

Ci stiamo addentrando in questa faccenda e vi entriamo con passione, con ardore.

Lui vuole che si sperimenti la "categoria" di Dio.

 

Qual’è la categoria che nostro Signore Gesù Cristo ha raccomandato tanto che sperimentassimo e che non è per nulla limitata dallo spazio e dal tempo?

È una categoria che a sua volta non può essere pensata dentro lo spazio e il tempo.

Che cosa curiosa, quello è il Suo "luogo" di Dio.

Questa "categoria" non si limita nello spazio e nel tempo, nè si può verificare o controllare con lo spazio e il tempo.

Ma per sperimentarla deve essere reale e ognuno di noi deve avere la possibilità concreta di verificare quella esperienza.

 

 

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9 - La "prova" di Dio: "L' Amore é come il vento..".

 

Sempre é esistito l’affascinante tema della prova di Dio.

Quale prova abbiamo da Dio?

La gente che cerca Dio si è lanciata in questo tema, che è appassionante.

La più vera prova di Dio non viene dalla "causalità" delle cose.

Vale a dire: c’è il creato e c’è il Creatore, che é la causa del creato. Questa è la prova della "causalità" di Dio.

Tuttavia sembra, in questa prova della "causalità", che manchi qualcosa, non perché non ne siamo convinti razionalmente, ma perché non ci soddisfa del tutto.

Dunque la "vera" causalità nella "prova di Dio" viene dalle persone. Non tanto dalla "causalità" delle cose, ma invece dalla causalità "personale", delle persone.

Attraverso la "causalità personale" si può verificare meglio la prova dell’esistenza e dell’essere di Dio.

Così possiamo fare un esperienza reale e sicura, cosicché coloro che fanno questa esperienza possano esserne sicuri. Devono sapere che non si trovano in uno stato poetico, ma che ne hanno un’esperienza certissima, reale della Sua propria "categoria" di Dio, del "luogo" dove Lui sta Dio, e di Dio stesso.

Quando avremo quest’esperienza, in quel momento scopriremo che quel "luogo" è il "luogo" nostalgico della nostra persona.

È molto interessante mostrare che il "luogo" in cui sta Dio non è un luogo, e che il "tempo" in cui sta Dio non è un tempo.

Perché quando scopriamo questo "luogo" e questo "tempo", ci rendiamo conto di avervi sempre camminato.

"L’Amore è come il vento, senti la sua voce ma non sai da dove viene nè dove ti conduce".

Stiamo camminando con Lui.

Questa "categoria", in cui vive Dio è, al contrario, talmente reale che le altre due categorie - lo spazio e il tempo - si appoggiano su di essa, esistono e sussistono perché si trovano lì inserite, nella stessa propria "categoria" di Dio.

Di fronte a questa "categoria" così reale, lo spazio e il tempo sono categorie secondarie.

L’altra, quella in cui vive Dio, è quella fondamentale.

Lo spazio e il tempo, quando sono fuori dalla categoria di Dio, diventano illusioni, chimere, miraggi, solchi nel mare, sentieri nella sabbia, come dicono i Salmi.

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10 - Il vero Amore.

Vi racconterò altre cose del mercato del mio paese.

A me piacciono moltissimo le patate. Così mia mamma deve andare al mercato a comperare patate: va in bicicletta, come si usa fare là da noi.

Va a comperare, per esempio, quattro chili di patate.

Voi sapete riconoscere le patate; sono ben visibili con la loro buccia che è un po’ gialla o grigiastra, ma all’interno sono piuttosto bianche, e hanno un odore di terra...le patate sono una cosa reale, qualcosa di concreto, che si può vedere, toccare, palpare e comperare al mercato, a chili.

Ma, vi domando: possiamo andare al mercato a comperare, diciamo...l’amore?? (Per quanto commercializzato sia l’amore).

A questo proposito vi faccio una domanda: di che colore è l’amore? Giallo? O azzurro? O rosso?...

Potrei dire a mia mamma: mi comperi, per favore, 5 chili di amore verde?

No, no. È curioso.

Che odore ha l’amore? Come si pesa l’amore? Come si toglie la buccia dell’amore?

Tutti vanno parlando dell’amore e l’amore non ha nè odore, nè colore, nè peso, nè buccia, nè spazio, nè tempo.....Osservate la differenza dalle patate!

Vi farò un altro esempio, che traggo da diversi tipi di giornali e riviste che esistono. Ci sono tipi così diversi di periodici e riviste!

Ci sono riviste filosofiche, per esempio dell’Università di Parigi; ci sono riviste di ingegneria, ci sono riviste di medicina, riviste d’arte, di geografia, di storia, riviste per comperare e per vendere, riviste politiche, riviste specializzate e sofisticate su varie tematiche, magari con pochi lettori.

Ma le riviste più vendute nel mondo sono quelle di storie d’amore, di quelle piccole storie d’amore, in cui per esempio compaiono le parole che escono scritte dalla bocca di lei o di lui, come se fosse un palloncino con parole.

Quelli che si considerano colti disprezzano questo tipo di riviste, ritenendole molto banali; ma in realtà le riviste più sofisticate hanno vendite piuttosto scarse e ridotte, come sarebbe la punta di una piramide.

Mentre, al contrario, procedendo a esaminare le riviste che hanno vendite sempre maggori, si nota che diminuisce la concentrazione di idee sofisticate e aumentano le idee più comuni e diffuse fra la gente, così come scendendo dalla punta della piramide si allarga la sua base.

 

Sarebbe interessante prendere un setaccio e fare una cernita di quest’ultima categoria di riviste (con storie d’amore che, per esempio, escono dalla bocca dei personaggi) per capire le loro idee di fondo, per la gente semplice.

Hanno una così grande diffusione queste riviste, con storie romantiche o di avventura (per esempio anche storie del "west" o avventura ...), tanto che si potrebbe affermare che le idee in esse espresse, per quanto limitate in numero e quantità, fanno praticamente parte del patrimonio comune dell’umanità.

Le riviste con storie d’amore e d’avventura, con le loro idee, mostrano l’esperienza d’amore come qualcosa di assolutamente reale ed anche che non é soggetta allo spazio e al tempo.

Lì lo fanno vedere. Quasi non si rendono conto di dirlo, ma invece lo affermano come qualcosa di istintivo e naturale, che cioé i protagonisti stanno sperimentando qualcosa di diverso dallo spazio e dal tempo, ma reale. ("Il nostro amore è più forte della morte", "il nostro amore è eterno", "anche se sarò lontano da te, il nostro amore.....")

Nonostante l’amore non si possa trovare nei mercati, questo non significa che sia immaginario: è reale, è il "reale", é ciò che è autenticamente reale; chi lo vive, conosce - con esso - una realtà nuova, diversa, reale, imperitura, trascendente, sublime, potente, non soggetta allo spazio e al tempo: lo sperimenta così.

Quando il Signore Gesù ci da il comandamento dell’amore, vuole che sperimentiamo la stessa categoria in cui vive Dio, vuole che abbiamo esperienza propria di Dio.

Come uno che, bevendo un solo bicchiere di acqua di mare, ha l’esperienza del sapore dell’acqua di tutti i mari. Allo stesso modo ama e amando saprai di Dio!

 

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11 - I "pagani" e l' Amore di Dio.

 

Poveri i pagani! Sono sempre esistiti i pagani. Chi sono i pagani? A me hanno sempre fatto pena i pagani, perché io vivo in un paese ed in una casa ove ci sono dei pagani, la mia gente, la mia famiglia è fatta anche di pagani.

Quando cominciò il cristianesimo gli "altri" venivano chiamati pagani.

Che cos’è un pagano?

Ci sono diverse categorie di pagani: rozzi, sciocchi, presuntuosi, volgari, arroganti, crudeli....di tutto; ma ci sono anche pagani raffinati, sensibili, intelligenti, colti.

 

Il pagano è colui che fonda la sua vita sulle categorie dello spazio e del tempo. Questo è il pagano.

Un pagano é colui che nel momento in cui vede, per esempio, questo tavolo, lo tocca e lo tasta, ne conclude che questo è il reale.

 

Questo è un pagano.

Egli crede che sia reale qualcosa che in verità evapora e svanisce presto: egli ha un’idea illusoria di ciò che è reale; egli crede che le patate siano reali, perché le mangia.

I pagani si disgustano con i cristiani e ed anche si molestano, perché i cristiani - di fatto - dicono ai pagani che tutto ciò che costituisce il loro mondo di "spazio-tempo", tutte le loro speranze, tutti i loro amori sono illusori e vani.

 

Il pagano rude non sopporta il cristiano; il pagano rude può diventare come una bestia, come lo state ascoltando dalle letture della vita dei martiri messicani, che stiamo leggendo durante i nostri pasti comuni: lì si vede bene, infatti, come reagivano bestialmente certi pagani rudi con i cristiani.

Nemmeno il pagano colto e raffinato sopporta molto il cristiano, perché il cristiano, anche quando non parla, dice - di fatto - sempre, al pagano: non vedi che tutto ciò che tu possiedi è vano? È come un sogno che se ne va.

Il pagano crede in una "realtà" che svanisce; tutte le cose del pagano sono fragili, instabili, evaporano, si sciolgono come neve al sole.

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12 - I cristiani ed "il senso reale della vita".

 

 

Il cristiano, al contrario, è colui che vede "il reale", lo sperimenta, lo conosce, lo dona, lo riceve, ha un senso obbiettivo della vita, perché la categoria stessa del vivere del cristiano non è lo spazio e neppure il tempo, ma l’amore. È questa la categoria dove vive, o dove dovrebbe vivere il cristiano.

L’amore è reale, "il reale", il resto si dilegua. L’amore è eterno. Il cristiano crede in ciò che è la categoria stessa dell’esistenza di Dio. Dio si trova oltre le altre categorie, quali possono essere lo spazio e il tempo.

È vero. Guardate dove siamo. Io vi vedo, voi vedete me, fuori c’è il prato, la luce di questo giorno...Tutto sembra reale. Fra un anno, - un anno, che illusione! Fra un mese! - non ce ne ricorderemo più: sarà evaporato.

Fra un mese non sapremo più dove era seduto l’uno, o l’altro o l’altro ancora di voi. Ciò, che agli occhi di un pagano potrebbe sembrare realtà, sfuma, se ne va. Rimane solo un vago ricordo che poi svanisce.

Ciò che sembra reale, ciò che è sembrato reale nel passato, non lo è più, non servirà loro nel futuro.

Ma, soprattutto, il pagano non vuol bene al cristiano, perché questi - di fatto - gli dice una verità molto dura: gli amori del pagano sono inconsistenti. Non hanno appoggio, sfumano, sono fantasie poetiche.

L’amore é reale, in sé stesso non è poetico. Ha poesia, é pervaso di poesia, ma - in sè, essenzialmente - è realtà. Non è essenzialmente poetico, non è una poesia che svanisce. È realtà.

Io vivo a Roma, in una zona con stradine tranquille. E quando vado a casa, di sera, ci sono dei fidanzati, che stanno lì per parlarsi, per darsi qualche bacio, per parlare d’amore.

Siccome io sono un sacerdote, mi fanno piacere: mi piace la gente che parla d’amore e che crede nell’amore.

Quello che invece mi fa un po’ dispiacere è ciò che succede a volte "trenta anni dopo" - come lo ascolta a volte un prete in confessionale - : alcuni non sono rimasti fedeli a quell’amore che avevano conosciuto e assaporato.

Ecco, ci sono persone che hanno una strana opinione sui fidanzati e dicono: guardate quei fidanzati che che si vogliono tanto bene, "sembra" che vivano "in un altro mondo"; ma non vi preoccupate, presto passerà! ... Ha! Ha... presto passerà loro ?!

Verissimo! Non è che "sembri" che vivano in un altro mondo; realmente essi vivono veramente "in un altro mondo"! Hanno scoperto "un altro mondo". Esiste "un altro mondo": questo è l’amore!

 

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13 - Un altro mondo: la realtà dell' Amore, là dove vive l' Amore.

 

 

I grandi amori pescano "un’altra realtà". Sono già in "un altro mondo". Sanno che tutto ciò che hanno vissuto prima di allora, prima dell’amore, non è nulla.

Si trovano in un’altra realtà e sanno che questa "nuova realtà dell’amore", che hanno trovato, è autentica; l’altra categoria dello spazio-tempo, che prima sembrava loro così reale, non è più sicura, non conta più, non ha più valore, è "immaginaria" di fronte alla realtà nuova e ben concreta dell’amore.

Questo è il potere dell’amore. Sanno che tutto ciò che avevano trovato prima, fino a quel momento dell’amore, non valeva nulla.

E poi perché certa gente dice: ....passerà loro? Come se l’amore fosse una malattia.

Questa è la tristezza di un sacerdote in un confessionale, "trent’anni dopo", quando vede che quel grande amore per il quale si erano impegnati....... è passato loro: e sono ritornati nella prigione, nella scatola dello spazio-tempo: aspettando soltanto il definitivo sfumarsi dell’ultima illusione.

No! Non deve essere così: colui che ama ha la opportunità di toccare Dio stesso, di assaporarLo, di mettere la propria mano nel Suo Cuore, di conoscerLo, di sapere qualcosa di Lui e della categoria in cui Lui vive, che è l’Amore stesso.

Che tristezza se uno, dopo aver conosciuto "il luogo"dove vive Dio, il "tempo" specifico di Lui, la Sua categoria d’esistenza, abbandona poi tutto e ritorna alla condizione precedente dei fantasmi, dello spazio e del tempo, delle fragili illusioni che svaniscono presto.

No, quando uno arriva là dove vive l’Amore, non deve più ritornare da lì a questo "mondo", come ad un teatro d’operetta dove rimaniamo un momento per poi..... scomparire.

Ritornando ai pagani, provo sempre un po’ di pena per loro.

A me sembra, non so a voi, che è più difficile essere pagano che essere cristiano.

Ci ho già meditato molte volte e penso: senti, ma come fa una persona a non credere?

La persona che non crede - o che dice di non credere - ha bisogno di maggiore forza per non credere di quanta ne serva a me per credere. Io ho la vita e posseggo anche la ragione del vivere. Ma, come si può vivere senza la ragione del vivere?

Come vivere l’allegria, il dolore, la morte, le vicente belle e complesse del vivere e non possedere la ragione del vivere? Serve molta forza, e una forza molto drammatica, per vivere senza la ragione del vivere.

Molto dura è la loro vita, quella dei pagani: vivere di NON- AMORE. È neccessario una fatica molto maggiore per questo loro vivere di "non-amore", che non per vivere d'AMORE. A me sembra che sia così, non so cosa ne pensiate voi.

Come possono i pagani pensare che l’amore non è "reale"?

Per loro non è "reale". Di conseguenza hanno inventato dei "determinismi della natura" e così essi descrivono l’amore, come un miscuglio estremamente equivoco ed inconsistente di "determinismi della natura", senza un principio o un fine proprio.

Dà veramente un pò di pena questa loro lettura della vita. Ed inoltre i pagani hanno anche un altro problema, a mio parere, ogni volta che si imbattono con il mistero, tanto reale, dell’amore.

In effetti Dio li sfida, li provoca, li tormenta con il mistero dell’amore, sotto questo punto di vista, Dio è come "un persecutore", Dio li perseguita infatti con l’amore stesso.

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14 - La "seduzione" dell' Amore di Dio.

 

 

Ogni volta che essi si imbattono nell’amore, ogni volta che esso invade la loro vita, ogni volta che amano e sono amati (come ci insegna la letteratura amorosa di tutti i tempi), vanno a inciampare con categorie divine, con la categoria di Dio.

E tutti i loro meccanismi umani, tutti i loro meccanicismi, tutti i loro "determinismi", non sono in grado di maneggiare questo "mistero". Ogni volta che amano e sono amati e si trovano così nel momento migliore della vita, lì c’è Dio a sfidarli, a interpellarli e Lui si compiace nell’attirarli, nell' amarli, e nel sedurli.

E così finiscono - a volte - col rimanere piuttosto sedotti e affascinati da Lui.

E così è come veniva chiamato Cristo dai suoi nemici: il seduttore.

Molto ben detto e molto veritiero. Dio è un seduttore. Lo dice anche Geremia: "Mi hai sedotto, Signore Dio mio, ed io mi sono lasciato sedurre".

"L’amore è come il vento -(la categoria di Dio)- tu senti la sua voce, ma non sai da dove venga e dove ti conduca." (Giovanni 3, 8)

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TERZA MEDITAZIONE:

COM’È DIO?

 

 

 

 

 

Ieri abbiamo considerato un tema che è molto importante, ciò che si riferisce al reale e all’immaginario.

Nella vita è importante distinguere ciò che è realtà e ciò che è "immaginazione" e che, non avendo consistenza, è svanito.

 

 

1 - Un "tesoro nascosto": la "categoria" propria di Dio.

La vita bella che ci è stata donata è un "enigma" da decifrare e da interpretare e questo è molto interessante; diversamente sarebbe una noia mortale.

Ognuno di noi deve scoprire qual è il tesoro nascosto nell’isola misteriosa della nostra vita.

Naturalmente ci sono false immagini, false categorie che, come abbiamo visto per lo spazio e il tempo, possono essere un inganno.

Bisogna cercare la realtà. La vera realtà è l’amore, che è categoria propria di Dio. Dà luce a tutte le altre ed è il fondamento e la forza della vita.

Abbiamo detto che Dio non si scopre, ordinariamente, in un processo intellettuale, discorsivo.

Il comandamento dell’amore di Nostro Signore ha precisamente lo scopo di farci conoscere Dio nell’esperienza dell’amore. Questa è la prima motivazione, una delle più importanti.

 

Metti la tua mano nel fuoco e vedrai che esiste, non c’è dubbio. Non hai bisogno della ragione per scoprire che lì c’è il fuoco.

E, se ami e sei amato, hai già conosciuto una realtà che non è di questo mondo. È la realtà propria di Dio.

Lo spazio e il tempo sono creature fatte da Dio, anche se Dio le invade; ma queste categorie non possono afferrrarlo e contenerlo completamente, nè imprigionarlo.

La categoria di Dio si trova al di là di esse - oltre - ed è, al tempo stesso, ciò che di più reale esista; tutto il resto è secondario ed in essa ha il proprio punto di appoggio e fondamento Lui.

 

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2 - CHE COSA SONO LO SPAZIO ED IL TEMPO ?

Lo spazio e il tempo sono uno scenario creato, uno scenario montato per mettere in scena un dramma: un "teodramma", un dramma che parla di Dio, la storia di Dio, Dio stesso è il protagonista del dramma che si mette in scena.

Lui si trova fuori dallo scenario, vive in un’altra categoria, ma ha messo su un teatro per raccontare una storia; piuttosto racconta la storia che più gli interessa: la Sua storia, la storia di Se stesso.

Se ci fate caso, ognuno di noi possiede, a sua volta, come un pezzo "di tempo e di spazio"; ognuno di noi ha il suo spazio e il suo tempo.

Dio ha creato le persone, ognuna con il suo spazio-tempo, con il suo proprio teatro; Dio ha creato un teatro per ognuno di noi.

 

Ha tante possibilità di montare la scena, Dio, quante sono le persone; nello spazio-tempo di ciascuno di noi cercherà di mostrare la Sua storia; Dio entrerà in scena nel teatro, nella vita, di ciascuno di noi, in modo sempre diverso e sempre nuovo.

Quando uno va al cinema si informa un po’. Chissà che cosa fanno vedere.

 

Uno deve sapere, prima di entrare a teatro, cosa si rappresenterà.

E che cosa si rappresenta in questo "teodramma"?

È la narrazione di Dio stesso, fatta da Dio; il racconto semplice e andante delle meraviglie dell’amore di Dio, dell’amore che è in Dio, della sua Gloria.

Questo è l’interesse che muove Dio.

Non è vero che Lui ha il nostro interesse, il mio interesse.

Ci immaginiamo che Lui debba avere l’interesse che ho io. No, non è così.

L’interesse di Dio è quello di mettere in scena la sua narrazione, la storia corrente delle meraviglie di questo soggetto per Lui unico, che è proprio l’amore stesso di Dio in noi.

Questo è il tema raccontato da Dio in questo "teodramma": l’amore di Dio, non tanto in quanto all' amore di Dio, ma soprattutto in quanto all’amore in Dio.

Questo lo potremmo chiamare la Gloria di Dio, che è il tema generale dei nostri esercizi.

Dio è concentrato in un unico tema: il Suo amore!

C’è un’unicità di idea chiave in Dio.

È ciò che i mistici cristiani hanno sempre ammirato in Lui e che chiamano la semplicità divina: il fatto che ci sia un solo tema.

Dio è monotematico! È la perfezione della maturità! Solo l’amore gli importa! Solo il Suo amore gli importa.

Osservatelo: stiamo camminando con i piedi scalzi nel cuore di Dio. È un buon modo per fare una riflessione: entrare in Dio e vedere cosa succede là dentro.

 

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3 - Fotografia ed immagine dell' "Amore andando", a milioni, a miliardi, a millenni ... "Deus creavit hominem et secundum imaginem suam fecit illum" (Eccli.-Sir. 17,1)

 

 

Sapete che ci sono molte professioni. Io, per esempio, oltre che sacerdote sono ingegnere; ci sono medici, autisti, muratori, idraulici, ci sono molte professioni che si possono avere ed esercitare.

È curioso che la Chiesa favorisca il fatto che esista un Santo protettore per ogni professione.

Ci sono Santi che proteggono ciascuna delle professioni, e ogni professione ha il suo santo protettore.

Mi vengono in mente i fotografi. Chi sarà il Santo protettore dei fotografi?

Vorrei avere un candidato, perché io ho l’ "hobby", il desiderio di fare fotografie. Io ho dei mucchi di fotografie: le ho clasificate secondo gli avvenimenti, le età, le persone, i luoghi...

 

Il problema delle fotografie è che è un "hobby" caro, molto caro, costa molto!

Quale sarà l’ "hobby" di Dio? È una buona cosa avere un "hobby". Quale sarà l’ "hobby" personale di Dio?

Sapete che coloro che amano e hanno "un amore andando", hanno una grande sete di esprimere ed esprimere e ripetere e ripetere e.... ripetere in continuazione, come in una edizione sempre nuova, il proprio amore, il loro "amore andando"".

Dicono le Sacre Scritture: "Dio fece l’uomo a Sua immagine e somiglianza, a Sua immagine e somiglianza lo creò" (Gen 1, 26-27; Gv 1,3; Col. 1, 15). - Click! - Dio ha fotografato se stesso. È un buon "fotografo" Dio.

Mi sembra che potremmo dire realmente che Dio stesso è il "patrono- protettore" dei fotografi e si potrebbe dire che l’ "hobby" di Dio è la fotografia. Non vi pare?

Dio deve avere sicuramente un "amore" vivente e ardente dentro di sé, di gran categoria: guardate infatti quante fotografie! migliaia di fotografie! milioni di fotografie! miliardi di immagini di Dio! per milenni! senza fine.

In effetti tutto ciò che ha fatto Dio lo ha fatto a immagine di ciò che Lui ama, del Suo "amato". Non solo ha fotografato se stesso, ma lo ha fatto con l’"impronta", lo "stampo" del suo "amato".

Dice San Giovanni all’inizio del suo Vangelo: "[..] tutto è stato fatto per mezzo di Lui (a Sua immagine) e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che é stato fatto." (Gv 1, 3). E così pure lo afferma san Paolo: "Cristo é la immagine del Dio invisibile ... Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui ed in vista di Lui" (Col. 1, 15-16),

Dio è un "fotografo" fantastico, perché ha fatto l’uomo a Sua immagine, e per mezzo di Se stesso ha fatto l’immagine.

Egli era la stessa macchina fotografica. Dio ha fotografato sé stesso, creando l’uomo, e per mezzo del Verbo fece la "foto" (Gv 1, 3).

A migliaia, a milioni, a miliard, a millenni, senza fine.....!

 

 

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4 - La "passione" ed il "fine" di Dio. "Deus creavit hominem in imaginem similitudinis suae fecit illum" (Sap. 2,23).

Con questo tema ci stiamo avvicinando molto a ciò che, in termini molto umani, potremmo definire la base della stessa "psicologia interna" di Dio. Perché Dio fa tutto ciò?

Ci stiamo avvicinando a vedere cosa c'é dentro di Lui. Così stiamo camminando "a piedi" nudi dentro di Dio.

Qual’è la Sua passione, qual è il motivo per cui egli agisce al di fuori di sé, perché monta il "teatro" ?

Perché Dio agisce al di fuori di Sè? Qual è il motivo della messa in scena della Creazione?

Deve essere un amore straordinariamente ardente e stupefacente, se per metterlo in scena ha montato la Creazione. Stupefacente!

Egli, in effetti, vuole esprimere fuori di sé ciò che Egli ha dentro di sé. Vuole mettere in scena, in questo grandioso teatro, l’amore che vive dentro di Lui.

La Creazione, a sua volta, che fine ha?

 

Egli ti ha creato perché, con l’amore che Egli ha in sé, vuole entrare nella tua vita. Per questo ti ha creato con il Suo amore.

Non ti ha creato per l’intenzione che hai tu, ma per l’intenzione che ha Lui.

La ragione e il fine del creato - e la ragione e il fine dell’uomo all’interno del creato - è Dio.

Si può dire che ci avviciniamo anche ad un altro tema, la finalità della redenzione, della morte e della resurrezione di Cristo.

Non è principalmente la nostra salvezza, che pure é parte del fine, ma la Sua intronizzazione nella Gloria.

Con Dio il fine è sempre lo stesso: il grande amore che c’è dentro di Lui.

 

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5 - La "ragione" di Dio e la "ragione del vivere".

 

Vediamo se riusciamo ad alleggerire un po’ la meditazione con qualche esempio o qualche racconto.

Per conoscere una persona, come si fa?

Come si conosce una persona, un nuovo amico?

Prima lo si identifica fisicamente, la sua statura, com’è la sua voce, che colore hanno i suoi capelli, come sorride.....

Dopo incominciamo a conoscerlo come persona e come amico.

 

Quando poi ci vogliamo avvicinare a lui per conoscerlo meglio, è importante capire qual è lo scopo della sua vita, perché vive, cosa vuole, che cosa si porta dentro.

Come puoi essere mio amico se non so che come sei dentro, qual è il fine della tua esistenza, che cosa vuoi dalla tua vita?

Quanto più importante è dunque, per noi, capire le ragioni, o la ragione e la finalità dominante di Dio, di "Colui che muove il sole e l’altre stelle" (Dante).

Se siamo interessati ad un compagno, quanto più ci interesserà Colui che ha creato tutto e che ci domina, che ci pervade e non ci lascia in pace, che ci attrae, che ci tormenta, che ci sveglia dal sonno e che ci accompagna quando andiamo a dormire; persino quando lo dimentichiamo, Lui non si dimentica di noi! Questo è Dio!

Per questo è importante conoscere la ragione di Dio per conoscere così anche la ragione del vivere.

Se Dio ha fatto tutto e anche me stesso, conoscendo la ragione che ha avuto Lui, conosco la ragione del vivere, conosco cioé la mia ragione di vivere, il fine della mia vita.

L’uomo può prescindere da molte cose. L’uomo può sopportare molti dolori, penitenze, croci, difficoltà...., ma non si può vivere senza la ragione del vivere. Questo è il punto.

Si può sopportare tutto se hai una ragione per farlo. Se non hai più la ragione del vivere, perché vivi?

La cosa più importante è la ragione di vivere e la ragione di vivere è la ragione di Dio.

Che cos’è la morale di ognuno?

È uniformarsi alla ragione di Dio, ai Suoi criteri, alla Sua passione; perché è così che uno trova la ragione di vivere, la ragione di vivere di una persona.

Diversamente, l’uomo a poco a poco "perde la ragione". Non ho dubbi su questo. Non si può vivere senza la ragione del vivere.

Io credo che l’uomo "perde la ragione" senza la ragione di vivere. Può mascherarsi per dimostrare che non ha "perso la ragione", fingere, ma la verità è che "perde la ragione".

Questa, ve l’ho già detto, é una questione che diventa piuttosto evidente quando uno invecchia, giacché da giovane, con tanti interessi e impulsi vitali, uno riesce quasi a dimenticare di dover trovare la ragione del vivere.

Ma quando uno diventa vecchio, la vita si presenta sempre più come é, nuda e cruda, e ci si trova all’improvviso di fronte a "ciò che rimane". "Ciò che rimane" di quella che era la mia vita: cosa è stata la mia vita? Che cos’è la vita? Qual’è la ragione del vivere?

In alcuni casi l’ego" (l'"io") esplode: io sono il "centro" dell’universo!? Quando uno diventa vecchio, "esplode".

Il nostro "ego"(io) non è il centro dell' universo: già non c’è un "ego-centro". Uno si rende conto che tutto ciò - l'"ego-centro"- è completamente ridicolo. E quando "esplode" uno si rende conto del fatto che la sua vita è stata inutile.

L’egoismo è "madre di perdizione" e di perdita della ragione.

La ragione di Dio è così importante per noi che in realtà è la nostra unica ragione. Non abbiamo altra ragione.

È vero che è la Sua unica ragione, ma è vero anche che è la nostra unica ragione.

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6 - Conoscendo Dio, conosciamo noi stessi. "Homines ad similitudinem Dei facti sunt" (Iac 3,9)

 

 

Il sacerdote dovrebbe saperlo bene. Abbiamo già menzionato il sacerdote come uomo di Dio. Il sacerdote dovrebbe essere un esperto di Dio. Il sacerdote è il navigatore del mare di Dio.

Vi regalo ora, a questo proposito, una preghiera irlandese. La regalo a voi, in quanto futuri sacerdoti. È così bella e recita così:

"Considera, o Dio, quanto è grande il tuo mare e quanto è piccola la mia barca!"

È bella, vero?

Stiamo ritornando a questo gran tema: "per sapere e conoscere qualcosa di noi, dobbiamo sapere e conoscere di Lui."

Non è il contrario.

 

È conoscendo Dio che finiamo per conoscere noi stessi: perché è la Sua ragione, che é la nostra stessa ragione di vivere.

Cosicché conoscendo la Sua ragione, scopriamo la nostra.

Che cos’è la nostra morale?

Il fondamento della morale è che la ragione di Dio è la mia ragione, le ragioni di Dio sono le mie ragioni, perché se non fosse così sono senza ragione; se perdo Dio, perdo la ragione del vivere, perdo la mia ragione del vivere, perdo la ragione.

Non è Dio ad esistere per causa nostra. Siamo noi ad esistere per causa Sua.

Non siamo noi il fine di Dio. Egli è il nostro fine. Esistiamo con il fine di andare da Lui, di essere il teatro di Lui, con il fine di "ripetere" Lui.

Senza di Lui noi non possiamo fare nulla. Senza di noi, Egli sì può esistere.

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7 - L' "atto libero" di Dio e l' "atto libero" dell' uomo: l' Amore Trinitario

 

L’"atto libero" di Dio.....Dio è libero! Libero in cosa?

La libertà di Dio è una libertà diversa da quella dell’uomo e più completa.

Io sono libero di accettare o di rifiutare Dio, ma non sono libero di creare Dio.

Al contrario, la libertà di Dio non consiste nell’accettarmi o rifiutarmi, mi ha già accettato a partire dal momento in cui mi ha creato.

La sua libertà nei confronti dell’uomo....nei miei confronti, consiste nel crearmi o non crearmi. Quella è la libertà di Dio. Egli ha potuto scegliere di crearmi o non crearmi......liberamente.

Vedete: coloro che Egli ha deciso liberamente di non creare non esistono! E, al contrario, ognuno di noi, che Egli ha deciso di creare, esiste.

Io non sono libero di creare Dio. E se Egli avesse deciso di non crearmi, Egli esisterebbe ugualmente.

Noi non possiamo decidere che Lui non esista. Non possiamo scegliere, per Lui, una ragione di vivere diversa da quella che Egli considera come Sua ragione di vivere per Lui e per noi.

La morale propria di Dio, la Sua "ragione di vivere" ha un solo comandamento: l’amore ardente, infuocato, bruciante e al tempo stesso leggero e dolce del Padre e del Figlio, che chiamiamo Spirito Santo.

Questa è l’unica ragione di Dio, la Sua unica morale.

Pertanto è la nostra unica ragione di essere, la nostra unica morale: la ragione trinitaria, la morale trinitaria, il suo dinamismo.

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8 - Se perdiamo la "unica" ragione del vivere, perdiamo noi stessi: la "ragione dell' Amore" é infatti assoluta.

 

L’unica ragione di Dio è Dio. La nostra unica ragione è Dio.

Se perdiamo la nostra unica ragione, perdiamo la ragione. Perdiamo noi stessi.

Fintanto che uno ha Dio, non è perduto.

E la Creazione a sua volta, che è fondata sulla ragione di Dio, ci rifiuta, ci destabilizza, ci caccia fuori, si sbarazza della nostra stabilità, quando noi ci allontaniamo dalla ragione di Dio.

 

Esistono due tipi di follia: la follia insana e la follia sana. Allora.......esiste anche una follia.....sana!

Sono l’eccesso distruttivo e l’eccesso costruttivo.

L’uomo che abbandona la ragione di Dio sperimenta il primo tipo di follia, di perdita della ragione, quella distruttiva, un eccesso di distruzione, quella insana.

Dio, al contrario, vuole bene e ama la Sua ragione di essere con totale eccesso. L’amore di Dio è "folle" (San Giovanni della Croce), totale, ardentissimo, una "follia" sana, costruttiva.

È la "follia" dell’amore! L’amore è una follia totale. È totalizzante.

Tutto lo vuole, tutto lo sottomette, tutto lo devasta, tutto lo costruisce, tutto lo trapassa, tutto invade: è un imperialismo totale.

È l’allegria di una follia completa. L’amore è una "follia" così imperiale, da rendere "folli" tutte le altre motivazioni, in modo da farne rimanere in piedi una sola: la Sua (Beato Raimondo Lullo: "Il Libro dell' Amore e dell' Amato").

L’amore mai perdona....

Tutti si sorprendono quando dico questo.

L’amore non perdona, perché è totalitario. Ovviamente perdona lungo il cammino; qualunque amore perdona con piacere lungo il cammino: tutti noi abbiamo l’esperienza ripetuta e consolante della misericordia reciproca e della Misericordia di Dio: quella di confessare i nostri sbagli, peccati e crimini e di riceverne l' amichevole e divino perdono.

Ma "alla fine" l’Amore vorrà che resti in piedi soltanto la sua ragione, è un imperialismo totale che non lascia spazio a nessun’altra "ragione" all’infuori della Sua.

"Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Matteo 25, 41).

San Luca dice (13, 25-30) "Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: Signore, aprici."... "Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio"..... "...comincerete a bussare alla porta dicendo: Signore, aprici.[..] Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. Ma egli dichiarerà: vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me...non vi conosco"

Non si gioca con l’amore: la "ragione" dell' Amore é assoluta.

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9 - Il potere dell' Amore.

Guardate com’è grande il potere dell’amore: quando termina la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, il giorno di Pentecoste, la violenza del fuoco, del vento, del terremoto nel cenacolo.

Essi, pervasi d’Amore, cominciano a parlare lingue comprensibili a tutti: così si fanno trasparenti le distanze fra le lingue.

L’amore, in effetti, "è come il vento: senti la sua voce, ma non sai da dove viene nè dove ti conduce."

È il più appassionato ardore della gioia di Dio, nel lavoro reciproco tra il Padre e il Figlio, come una cascata traboccante fuori di sé, perché questo amore non riesce a contenersi in sé stesso, anche se Dio è così grande ed è come una sorgente che sgorga zampillando e diffondendosi!

Il potere dell’amore!

Dio desidera ciò che tutti gli amanti vorrebbero, ma che loro non possono, mentre Lui può.

In effetti l’amore vuole reinventare sé stesso e moltiplicarsi sempre, in ogni momento, senza fine.

Gli amanti vorrebbero moltiplicarsi, moltiplicarsi nel loro amore.

Per questo motivo si dedicano tanto alle fotografie: cercano così di riprodursi, di fare delle copie di se stessi, di reinventarsi nel loro amore.

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10 - Che gran "Fotografo" é Dio: "Vir, quidem, imago et gloria est Dei" (1 Cor. 11,7)

 

Dio, a sua volta, vuole reinventarsi con una determinazione indomabile; Dio ha questo desiderio invincibile, interminabile, una ripetitività infinita di tutte le volte che il Figlio esprime il suo amore al Padre e il Padre al Figlio.

Egli vuole ripeterlo, e ripeterlo, e ripeterlo......e ogni volta in modo diverso.

 

Così Dio dice il Suo "ti voglio bene" al Figlio ogni volta che genera un bambino.

È una fotografia diversa di se stesso, instancabilmente, migliaia, milioni e miliardi di volte, a millenni senza fine, ma ogni fotografia è unica e irripetibile.

Che gran "Fotografo" è Dio.

Ciononostante, anche Dio ha un problema con le fotografie: lo....sviluppo. Gli piacerebbe moltissimo che le foto venissero bene. Ogni fotografia è per Lui molto importante, perché è l’immagine di Lui. Di uno dei suoi "poli" trinitari.

E con una differenza rispetto ai fotografi umani. Qui, nella foto fatta da Dio, la fotografia si muove. Dio ha dato alla fotografia una vita propria, le ha dato la libertà, l’ha resa capace di amare, di un amore nuovo; ha fatto una cosa che non si può fare nelle fotografie umane.

Ha fatto la foto in maniera tale, che questo amore umano, che ha creato, possa essere una novità perfino riguardo a Se stesso.

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11 - La "morale" del "Fotografo": L' Amore Trinitario "nuovo", senza limiti e senza fine.

 

 

In certo modo Egli ha reinventato il suo amore trinitario in maniera diversa, dandogli una potenza nuova, una originalità, un modo di essere diverso.

Ogni uomo è una nuova invenzione di Dio. È Dio che si ri-inventa e "rifà" Se stesso.

 

Per questo motivo, se vogliamo parlare di morale, a proposito delle foto, dobbiamo realizzare questo desiderio di Dio quando fa le fotografie.

La morale è una realizzazione dell’amore che Dio ha reinventato quando mi ha dato vita e creato come una nuova e irripetibile fotografia di Se stesso.

E desidera che questa reinvenzione che Egli ha fatto di Sé stesso viva un amore ardente come quello che vive in Lui.

L’uomo ha il comandamento dell’amore, non solo per scoprire com’è Dio, ma - cosa ancora più straordinaria - per ripetere in sé, con assoluta originalità e novità, l’amore che c’è in Dio.

Ognuno di noi ha questo potere. Io ho il compito di amare totalmente fino in fondo. Di dare la mia vita per l’amore.

In questo modo realizzo il massimo della morale trinitaria che è stata impressa dentro di me, quando Dio mi creò e, soprattutto, quando sono stato battezzato.

Io ho il dovere di realizzare l’amore nella mia vita, al massimo grado, di adorare l’amore nella mia vita, di goderne, di diffonderlo, perché questo è l’ordine trinitario scritto nella mia coscienza.

L’unico fine che è in Dio, diventa l’unico scopo che c’è dentro di me, in tutta la mia vita, in tutto ciò che faccio.

 

L’amore umano deve essere amato senza limiti e senza fine (San Bernardo: "Trattato sull' amore di Dio"); non è un’idolatria amare l' amore umano; è invece ciò che Dio ha inventato "di Sé" e "dentro di me".

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QUARTA MEDITAZIONE

 

IL REGNO

 

 

 

 

Come avete potuto vedere, abbiamo già fatto tre meditazioni.

 

Ora mi sforzerò di mettere in evidenza le "categorie" del mondo. Il mondo infatti possiede le sue categorie, che sono molto forti e che ci penetrano, quasi senza che ce ne accorgiamo.

 

Le assumiamo dall’ambiente in cui viviamo, dall’ambiente culturale, dalla radio, dalla televisione, ... e così poco a poco acquisiamo delle convinzioni fondamentali, a cui - essendo ormai basiche per noi - quasi non facciamo caso: diventano per noi come istintive e ci sembrano naturali.

E ci guidano, e ci fanno soffrire, e ci ... portano fuori strada.

Dunque, questa mattina abbiamo già dedicato del tempo ai fotografi.

Da quel tema, siamo giunti all’idea dello scenario di questo mondo, lo spazio-tempo.

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1 - Le "categorie" del mondo, i "pagani" e le persecuzioni.

 

I pagani sono quelli delle "categorie" di questo mondo. Mi piace, mi pare facile, parlare di questa categoria dei "pagani", perché in una sola parola - "i pagani" - sono racchiuse tutte le altre.

È una categoria tradizionale all’interno della Chiesa fin dalla antichità, fin dal tempo dei primi cristiani. Sempre - noi cristiani - abbiamo avuto a che fare con i "pagani".

Immaginatevi l’impatto dei "poveri" primi cristiani quando arrivarono a Roma. A quel tempo Roma era realmente l’impero del male.

Il Libro dell’Apocalisse descrive la Nuova Babilonia, che sarebbe la Roma di quel tempo: era l’impero del male, dove quelle categorie dei pagani trionfavano fino al disprezzo assoluto della persona umana.

Esiste una leggenda romana molto bella, dalla quale è stato ricavato un gran romanzo, e un film abbastanza famoso, che si chiama "Quo vadis?"

Ve lo consiglio, perché rende bene l’idea dell’atmosfera che si trovarono di fronte i primi cristiani che arrivarono a Roma in quei tempi.

Il romanzo riprende una "leggenda" - che alcuni considerano possa essere vera - relativa a San Pietro.

San Pietro è una delle figure più imponenti del Vangelo. Se si ha la pazienza di seguirlo, di osservarlo umanamente, è una figura interessantissima.

Si racconta che quando quest’uomo arrivò a Roma - San Pietro era un uomo coraggioso, di buon cuore, intelligente, molto generoso, irruente di carattere - nel vedere quell' impero del male, non resistette e decise che sarebbe stato meglio per lui di andarsene via da Roma; non ce la fece a sopportare i "pagani" di Roma.

E ne aveva ben motivo, dato che i cristiani avrebbero dovuto affrontare, successivamente, trecento anni di persecuzione da parte dei pagani.

Anche se, probabilmente, la "leggenda" non è vera, essa ben rappresenta - come una parabola - l’animo di quella gente, così come quello di San Pietro, che, stanco, se ne andava via.

Narra la "leggenda" che quando San Pietro arrivò ad un certo punto della Via Appia, dove attualmente si trova una piccola Chiesa molto bella, si rese conto del fatto che gli stava venendo incontro, dalla parte opposta, il Signore Gesù.

Allora San Pietro si sorprese moltissimo, e, vedendo il Signore, si rallegrò e gli disse questa frase che dà il titolo al libro: "Quo vadis, Domine?" "Dove vai, mio Signore?"

E, sempre secondo la "leggenda", il Signore gli avrebbe risposto: "Vado a Roma a farmi crocifiggere di nuovo, visto che tu scappi".

Allora San Pietro comprese e decise di tornare. Tornò a Roma, ma vi ritornò a a dar battaglia, e a dare la vita.

Si combatte sempre con questa gente - i "pagani" - non perché siano tutti cattivi, ci sono tra di essi alcuni stolti e brutali, mentre molti altri sono intelligenti e raffinati e attenti; ma loro si inquietano, si spazientano con noi cristiani, diamo loro fastidio, li molestiamo.

Quando ci vedono, al solo vederci si sentono incomodi. Si trovano a disagio, si sentono male con noi, perché noi cristiani - con la sola nostra presenza - destabilizziamo le loro categorie umane.

 

 

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2 - I "pagani" di fronte al mondo.

 

Andiamo al fondo della questione. I pagani vivono e credono in questo scenario, nello spazio-tempo, posseggono solamente questo, non hanno altro, questo è tutto per loro.

Allora devono arrangiarsi bene nel mondo, dentro lo spazio e dentro il tempo, che è tutta la vita che hanno.

 

Ma ogni volta che li vedete, che San Pietro li vedeva, che San Paolo li vedeva, anche senza parlare, senza neppure una parola, con la sola presenza, dite loro, dicevano loro: che no, che loro, i pagani, vivono nell’"immaginazione", in una fragile illusione.

La tua vita, dice il cristiano al pagano, è un fantasma che ti sembra reale, ma che evapora, si diluisce, si scioglie, ti scappa di tra le mani, se ne va.

All’altro - al pagano - non gli piace per nulla tutto ciò. Gli dà fastidio. Gli dà molto fastidio.

Così i "pagani" continuano a cercare di sistemarsi bene in questo mondo, che è l’unica realtà che pensano di avere, ma di fatto sentono una certa insicurezza. Una delle cose che li disturba di più è che nel fondo dell’anima si sentono un po’ insicuri, ed è per questo che si adoperano per la "sicurezza".

 

Ma il pagano si domanda: E se poi, alla fine, questi cristiani avessero ragione? E se poi fosse vero? Non sarà che a volte io stesso mi chiedo se è vero ciò di cui dico di essere così sicuro? Non sarà la mia piuttosto una fantasia?

Non si può ridurre la vita di uno semplicemente ad adattarsi nel mondo.

 

Guardate che molti hanno speso la loro vita per questo. Si accomodano, si sistemano nel mondo. Questo è il loro mondo e lì vi si vanno sistemando.

L’uomo non può consegnare il suo essere e tutta la sua essenza a questo mondo, ed illudersi in questo modo di rimanere padrone di se stesso.

A questo proposito c’è una parabola del Vangelo piuttosto tragica, in cui nostro Signore parla di ciò. Si parla di un uomo, che riempì i suoi magazzini di grano e di molte altre cose - aveva avuto un buon raccolto, se l’era cavata bene - e se ne andò a dormire dicendo: va tutto bene, ormai tutto è ben sistemato in questo mondo (Luca 12, 16 ss).

E il Signore ne descrive, invece, il destino tragico: immediatamente viene la morte e se lo porta via.

A cosa gli è servito sentirsi il padrone?

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3 - Il pagano ed il mondo.

 

 

Il mondo, che viene immaginato dal pagano come "qualcosa" di stabile, finisce col tradire l’uomo che si consegna a lui.

È infatti traditore il mondo, per colui che si affida totalmente a lui! Quando l’uomo si affida completamente al mondo, finisce con l’essere ad esso sottomesso e la morte diventa la sua eredità.

È chiaro che in questo consiste il tradimento del mondo: nel fatto che il mondo mette nelle mani di colui che si è dato completamente ad esso la ricompensa del traditore: la morte.

Il mondo ha come scenario lo spazio e il tempo e questa non è la dimensione adeguata e sufficiente per l’esistenza umana.

Il mondo, che a volte sembra così attraente, non è adeguato e sufficiente per l’uomo.

E quando uno si abbandona totalmente al mondo, esso finisce col distruggere tutto, capovolgere ogni cosa, sovrapporsi a lui come il suo vincitore.

Se fosse certo che l’essere umano appartiene completamente a questo mondo, allora il mondo avrebbe il diritto di sottometterlo completamente a se stesso, si prenderebbe la sua rivincita su di lui, distruggendolo alla fine e scaraventandolo a terra, attraverso la morte, e questa sarebbe la grande vittoria del mondo e la nostra grande disfatta.

Non è sufficiente sistemarsi nel mondo. Non è sufficiente. Non basta.

I pagani fanno male ad accomodarsi nel mondo. Non dobbiamo porre nelle mani di questo mondo la nostra essenza, perché esso ci sottomette, ci rende schiavi e ci dona come eredità e ricompensa la morte.

Per ogni uomo esiste un’alternativa di scelta: scegliere cioé tra il rimanere in questo mondo come colui che alla fine sarà il vincitore, o come colui che sarà finalmente il vinto.

Il mondo vincerà su di te o sarai tu a vincere?

La persona umana ha una grande genealogia, la nostra genealogia è divina, da Dio proveniamo!

Questa è la nostra genealogia, e pertanto la persona umana non può affidarsi completamente alla pura e semplice materia cosmica.

La nostra genealogia eterna, la nostra immagine divina, non la possiamo cosegnare e adattare definitivamente a questo mondo.

 

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4 - I pagani: "enigma" e "labirinto".

 

 

Se per sistemarci nel mondo ci allontaniamo da Dio, perdiamo la chiave del "mistero", e ci perdiamo nel labirinto dell’"enigma" che portiamo in noi.

Credo che un altro dei motivi del nervosismo dei "pagani" risieda nel fatto che essi si sentono persi in un labirinto.

Sanno di essere qui, vedono stralci di realtà, ma sfugge loro l’insieme e la tela di "fondo" del "mistero" in cui vanno. Non sanno dove vanno, nè da dove vengono. Non hanno la chiave della porta per uscire da questa trappola.

Come si esce da questa trappola?

Il cristiano - secondo una definizione che mi è sempre piaciuta molto e che è bellissima, e che veramente proviene dal Signore - il cristiano sa che appartiene simultaneamente a due mondi.

Il cristiano appartiene a due mondi contemporaneamente.

Questa è la cosa interessante. E il cristiano sa che deve sistemarsi bene in entrambi contemporaneamente.

È come se l' uomo avesse due gambe, non deve appoggiarsi solo su di una, altrimenti cadrebbe.

Ed a maggior ragione, dato che le due gambe si trovano in due parti differenti.

Sistemati bene, in una parte e nell’altra: appoggia bene entrambe le due gambe.

In questo mondo bisogna sistemarsi bene, sistemandosi bene contemporaneamente nell’altra parte, che è quella eterna.

Mai il Signore ci proibisce di sistemarci bene in questo mondo, giacché lo ha creato Lui stesso. Possiamo sistemarci in questo mondo, ma non dobbiamo affidarci completamente ad esso, come se fosse tutto, come se fosse un idolo o un mito.

 

Viviamo infatti contemporaneamente anche in un’altra realtà.

E se uno si allontana da un mondo (uno dei due), impoverisce la sua realtà.

D’altro canto non è infatti nemmeno positivo l’eccessivo spiritualismo di coloro che rinunciano a questo mondo, rifugiandosi in un altro mondo e alienandosi totalmente da questo scenario, in cui siamo stati posti da Dio.

Ma, certamente, solo nel momento in cui non ci abbandoniamo completamente a questo mondo, rimaniamo come padroni di lui, e non lui di noi. Egli non potrà cacciarci.

 

E così potremo conoscere bene i due mondi a cui apparteniamo contemporaneamente.

Questo stesso mondo, se lo assoggettiamo, diventerà lo strumento e il cammino della nostra vittoria, della nostra definitiva sistemazione nella vita, che non si conclude esclusivamente in esso.

Il tempo-spazio vuole sottometterci, ma se noi invece sottomettiamo lui, sarà il nostro strumento di vittoria.

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5 - Il tempo e l' eternità.

 

 

Vorrei ora farvi presente una delle tante categorie di questo mondo.

Cerco di combatterle, e voi, come sacerdoti che sarete, dovreste fare altrettanto. Per esempio, l’idea "mondana", cioé "pagana" di eternità. Che cos’è l’eternità?

Quelli del mondo, i pagani, vogliono inculcarci l’idea che l’eternità è qualcosa che é dopo la morte. Lo avete mai notato?

Vi siete accorti del fatto che, quando i pagani parlano con noi dell’eternità, ci dicono sempre: allora, secondo voi, dopo la morte andiamo in cielo.

Il cielo per loro è un "luogo", perché essi hanno solo queste idee di spazio e tempo, è un "luogo" dopo la morte: e vogliono indurre in noi questa idea e adirittura fare ironia su di essa.

Ma non è così. L' eternità non è un "tempo" dopo la morte; benché anche dopo la morte esiste l' eternità. Tuttavia non è sufficiente, non vale così, questa non è una categoria adeguata.

L’eternità, per sua stessa definizione (ritorneremo oggi stesso sul tema), non consiste nella successione di tempi. Non è un tempo che viene dopo un altro tempo.

Il tempo e l’eternità sono due categorie che si attraggono ma non sono uguali, non sono della stessa natura, e non si identificano.

Il tempo e l’eternità non sono uguali. Non è un "tempo" in un altro posto, non è un "tempo" dopo un altro tempo.

 

La dimensione eterna non è una dimensione di tempo che si sovrappone ad un altro tempo, come se fossero due cose inerti. (Questo va bene per spiegarlo ai bambini, provvisoriamente, mentre sono bambini).

L’eternità non sta dopo la morte, pur esistendo anche dopo la morte.

È pur vero che l’eternità si manisfesta nelle tunnel del tempo; dentro questo tunnel in cui ci troviamo, si manifesta "l’eterno".

Si manifesta anche all’interno dell’esistenza temporale, ma non è essa stessa, non coincide con essa. La orienta, la penetra, sfida l’esistenza temporale, ma non coincide con essa.

Ogni uomo ha una nostalgia permanente dell’eterno, dell’infinito.

 

Non riusciamo a raggiungere la felicità dei cani che conquistano la loro bistecca. Il cane, quando ha ottenuto la sua sua bistecca, è soddisfatto. L’uomo no. L’uomo ha nostalgia di qualcosa "di più".

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6 - La "luce" e la "porta".

La vita eterna, con il tempo, fa lo stesso lavoro che la luce fa con una vetrata.

Questa è un’immagine che mi è sempre piaciuta. La luce in una vetrata, quando la penetra, la fa risplendere e la fa esplodere di colori e di luminosità.

Così fa l’eterno con il tempo. Gli dà il suo significato, la sua luminosità.

Come dice l’evangelista Giovanni: "E la luce splende nelle tenebre...Egli era la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene a questo mondo. Egli era la luce vera....Io sono la luce del mondo, chi mi segue non cammina nelle tenebre."

(Gv 1, 4 ss)

 

Nel tempo (ed è questo il tema successivo di oggi) si può formare, nel tunnel del tempo, cioè nelle pareti del tubo del tempo, - mediante questa illuminazione, come di luce in una vetrata - si può formare una porta per passare di là, per entrare dentro all’eternità ??

C'é una porta per passare dall’altra parte ??

Questo lo vedremo più avanti.

"Io sono la porta. Se uno entra attraverso di Me, sarà sicuro; entrerà e uscirà a suo piacimento ..." (Gv 10, 9). .... Giovanni era un "mago".....

 

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7 - L' evangelista San Giovanni.

 

Realmente quest’uomo, Giovanni, ha captato nostro Signore Gesù Cristo. Provo per lui un infinito affetto.

Io ritengo che San Paolo e Sant’Agostino fossero grandissimi, probabilmente i più grandi dopo San Giovanni, ma gli arrivano sì e no all’altezza delle gambe.

In verità San Giovanni ha messo i suoi occhi "di aquila" nel cuore di Cristo e ha letto, e ha gioito dell’amore di Cristo!

Credo che le sue stesse qualità, già grandi, siano state arricchite da Cristo e dallo Spirito Santo.

Certamente quest’uomo, San Giovanni, che fu molto amato dalla Vergine, che visse con la Vergine, quest' uomo certamente ha potuto rivalutare con Lei tutto ciò che aveva e avrebbe scritto.

Ma è curioso che la Chiesa lo tratti male! E questo mi dispiace!

Come mai la Chiesa tratta male questo Santo, che è il più grande di tutti (a parte il Battista) ?

Fate la prova. Chiedete a un cristiano, a un seminarista: "senti, quand’è la festa di San Giovanni Evangelista?"

Non lo sanno (é al 27 dicembre). E perché lo teniamo lì accantonato al 27 dicembre ?

Non gli si dedica, in genere mai, una festa; non gli si dedica una chiesa, non viene praticamente mai festeggiato. Sorprendente!

San Giovanni ha scritto l’Apocalisse, libro divino, scrisse le stupende "Lettere di San Giovanni" e scrisse questo meraviglioso Vangelo di Nostro Signore Gesù......!

Se è bella la figura di Pietro, bellissima è quella di Giovanni; veramente lo splendido Giovanni!

Nel suo Vangelo traspare il suo stile. Era un uomo pieno di umore, di fine senso di umore. Si può prendere come esempio la storia del cieco dalla nascita (capitolo 9 del Vangelo di Giovanni). È una storia bellisima pervasa da un sottile umorismo-ironia...

Bene, ora torniamo al nostro tema.

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8 - Culturalmente, come concretamente evangelizzava il Signore Gesù ?

 

Tutta questa tematica, che stiamo analizzando, Nostro Signore la portava dentro il Suo cuore. Dovete pensare bene a questo. Si capiva che Egli, il Signore Gesù, aveva un gran problema, che consisteva nel come poter "evangelizzare", con tutto ciò si portava dietro, un popolo semplice e totalmente analfabeta.

Era un mondo culturalmente differente.

Quando ci dedicheremo alla persona e alla figura di nostro Signore, lo vedremo meglio. Ma se - fra la gente - c’era uno su mille che sapesse scrivere, questo era già una rarità.

Era un mondo che praticamente non conosceva la lettura e la scrittura.

Andavano alla Sinagoga (il luogo di culto degli Ebrei) perché lì c’era uno che faceva le letture.

Dunque la trasmissione di un dato agli altri, la comunicazione era molto complicata. Non c’erano giornali, non c’erano radio, non c’erano università per la gente; e nostro Signore visse in questo mondo ed in effetti Egli stesso proveniva da un mondo principalmente agricolo e di pescatori, la Galilea.

Il mondo della Giudea a cui si dirigeva era più colto.

Il Signore Gesù aveva certamente il problema del modo dell’ "evangelizzazione", della "catechesi" e di "come trasmettere" il mistero della vita e la ragione del vivere, le ragioni di Dio, come trasmettere Dio a questa gente;......e inoltre come fare penetrare tutto questo nell’animo del gruppo che stava con Lui, nell’anima dei discepoli, dei suoi amici.

Ci sono molti sistemi ed espedienti che venivano utilizzati in questo tipo di mondo culturale ai tempi di nostro Signore.

 

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9 - "Memoria" e "parabole".

 

Per esempio, essendo molto comune l’uso della memoria, ci si serviva di sistemi e tecniche di memoria, in modo che un concetto veniva frazionato in parti da colui che essi chiamavano maestro, ad esempio in parti ritmiche o, a volte, in parti contrapposte (come un’affermazione e una negazione, contrapposte per completare le due parti del concetto, mediante un contrasto mnemonico di opposti), così come si trova tante volte nella Sacra Scrittura.

È opinione piuttosto diffusa fra i biblisti che la struttura stessa delle Beatitudini, lo stesso Signore Gesù l’abbia costruita apposta per la memoria, per il mondo culturale di allora.

In quel contesto era necessario creare una costruzione speciale per concentrare le tematiche e i concetti, in modo tale che fossero mnemonicamente viabili, apprendibili.

Questo succedeva, ad esempio, con le parabole.

Che cos’è la parabola?

 

La parabola è come un sacco, da cui ognuno pesca con la sua mano. Queste parabole sono come dei sacchi in cui metti dentro qualcosa.

La parabola è fatta in modo tale che ciascuno ci peschi ciò che gli serve a lui. Se hai il braccio lungo, peschi fino in fondo; se ce l’hai corto, peschi solamente il racconto di superficie.

Ci sono molti di questi "sistemi od espedienti" mnemonici per trasmettere concetti.

Per esempio, le stesse strutture del resoconto di alcuni miracoli, o di alcune storie del Vangelo, risalgono alla stessa comunità del Signore, quando Egli era ancora con loro: quando li mandava a predicare, li inviava con la storia già impressa nella loro memoria, così come era stata strutturata per loro.

 

Così rapidamente la imparava molta più gente e così le tenevano a memoria e poi la trasmettevano ad altra gente e ad altri villaggi, e ad altri ancora.

Era un mondo fatto così, così si diffondevano le notizie; la parola "Vangelo" significa proprio "buona Notizia".

 

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10 - Il "giornale" parlato e cantato in versi.

Quando ero bambino esisteva ancora il "giornale parlato" nei paesi della mia terra.

Arrivava "questo signore", quello che portava le notizie con il "giornale parlato", in mezzo alla piazza del paese: aveva. per esempio, una trombetta, oppure una piccola fisarmonica, una berretto colorato, e sui gomiti aveva dei "piatti", che sbatteva per richiamare l’attenzione, ed anche portava un tamburo sulle spalle.

Tutti noi bambini correvamo là per vederlo e sentirlo.

Egli intonava in rima il "giornale parlato" (anni 1944-1946: era l’epoca immediatamente successiva alla Guerra Mondiale).

Allora le gente si affollava lì e lui cominciava a proclamare il "giornale parlato".

Era una sorta di poesia ritmica, tale da rimanere impressa nella memoria della gente, e ogni strofa si concludeva con un ritornello cantato. Lo imparavamo tutti.

Dunque la trasmissione del Vangelo - quando lo redassero - assomigliava un poco a queste antiche tecniche fondate sulla memoria.

San Luca lo dice molto bene al principio del suo Vangelo: dice di aver raccolto tutti i resoconti; alcuni erano di nostro Signore stesso e altri dei suoi apostoli; altri erano racconti o dettagli da lui ricavati presso vari testimoni immediati e diretti.

Ma molte cose, da lui racccolte, erano già redatte e già trasmesse tramite la memoria, e così venivano portate di villaggio in villaggio come una primitiva catechesi.

Ora, mettetevi sempre nella "mente" di Cristo, nel Suo "cuore": questa è sempre una buona cosa.

Quando avete dei dubbi domandatevi: "se io fossi Lui, che cosa farei adesso ?"

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11 - La categoria del "Regno". Un aneddoto circa un treno ed un pagano.

 

 

Con tutto ciò che abbiamo detto a proposito di Dio in questi giorni. ci possiam,o domandare: come il Signore Gesù avrebbe voluto procedere per comunicarlo a quella gente semplice e buona ? Come avrebbe comunicato il suo messaggio, il suo mistero, il grande mistero di Dio ?

La categoria chiave che il signore Gesù ha inventato e utilizzato per comunicare il mistero di Dio è la categoria del "Regno".

Il grande tema del "Regno".

Un tema importante per voi, che sarete i "Cruzados di Cristo Re"; dunque, dovete sapere tutto ciò che concerne il "Regno".

È fondamentale per voi, come un obbligo doppio.

Molto importante, per i "Cruzados" di Cristo Re, conoscere il REGNO del loro RE. Infatti intorno a quel Regno vi tocca svolgere il vostro ruolo di "Cruzados".

 

Vi alleggerirò ora la meditazione con un aneddoto della mia terra: c’è un piccolo treno, sul quale viaggiavo, quando ero molto giovane, durante cinque anni, dovendo andare a frequentare la scuola superiore (il Liceo), dalla mia cittadina di Cervia fino al capoluogo della provincia, che è Ravenna.

Su questo treno incontrai un signore, tranquillo, che sembrava sano e sereno.

Io gli chiesi: "Senta signore, ma lei dove va ?" Mi guardò, ci pensò e mi disse: "Non lo so".

Allora gli chiesi: "E, da dove viene ?" Lui mi rispose: "Non lo so". Che fare con un tipo così?

Allora gli chiesi: "Chi è lei?" Mi rivolse un sorriso gentile e mi disse che non lo sapeva.

Non avete mai letto il capolavoro del beato Raimondo Lullo? È un beato del Medioevo.

È un genio il Beato Lullo e questo suo piccolo capolavoro si intitola "Il Libro dell’Amico e dell'Amato".

Contiene una riflessione, più o meno di quattro o cinque righe, per ogni giorno dell’anno. L’episodio del treno che vi sto raccontando sarebbe una riflessione tipica dello stile di Lullo.

Curioso il fatto che quel signore del treno non sappia da dove venga, nè dove vada nè chi sia. Il treno continua a viaggiare e questo signore non sa.

 

Questa è una buona rappresentazione del "pagano".

Loro, i pagani, si trovano sul treno della vita, del mondo, vivono lì dentro, respirano, fanno tutto, magari anche bevono una "Coca Cola", ma non sanno dove vanno, da dove vengono, nè chi sono.

 

Che assurdità! Ma, ditemi, è giusta una cosa del genere?? È possibile vivere così??

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12 - Un aneddoto circa la nebbia ed il mare: il "cuore" é un radar nella nebbia.

 

La mia terra, come vi ho già detto, è una terra dove c’è molta nebbia.

Una notte stavo tornando a casa con mio padre in macchina. C’era una nebbia così spessa, che a un certo punto non sapevamo più cosa fare. Non si vedeva oltre un metro davanti alla macchina.

In queste situazioni non ci si può fermare, perché se ti fermi, quello che viaggia in macchina dietro di te non ti vede e ti tampona. Mio padre scese dall’auto e con l’aiuto di una lampadina camminava di fronte all’auto e io andavo guidando dietro di lui.

Provate a immaginarvi il mio mare, il mare della mia città, con la nebbia.

E viviamo tutto l’inverno con questa nebbia, e con un "nautofono": ma qui a Puebla nessuno sa cos’è un "nautofono".

Il nautofono è una faro da nebbia per il mare, cioé è una faro rumoroso: nel senso che non emette luce, emette invece dei suoni speciali per fare in modo che si sentano a lunga distanza.

Ogni porto di mare ha un nautofono diverso, che cioé produce dei suoni differenti, affinché i marinai - dalle barche in mezzo a quella nebbia fitta - sentendo il fischio del nautofono, possano capire di quale porto si tratta.

Immaginatevi di andare navigando in mare con questa nebbia tanto fitta d’inverno!

Questa, secondo me, è un’immagine molto bella di ciò che sono gli occhi della carne.

Gli occhi della carne, del corpo, non sono fatti per vedere. Non si vede con gli occhi della carne, del corpo. Il pagano crede di vedere con gli occhi della carne, ma questa è una visione cieca: é come navigare nel mare con la nebbia.

 

Invece c’è bisogno di un radar per andare nel mare con la nebbia.

L’occhio del cuore è quello che vede, l' occhio del cuore é quel radar.

Non vediamo con gli occhi della carne; vediamo con l’occhio del cuore. Così lo dice il Piccolo Principe nel ben conosciuto libro del celebre autore Saint Exupery.

L’occhio della carne dà una vista cieca. I pagani sono quelli che credono di vedere con gli occhi della carne.

Nostro Signore Gesù Cristo, a questo proposito, narra una breve parabola che conoscete: "Sono ciechi alla guida di altri ciechi. Finiscono tutti nel fosso".

Bene, seguendo il nostro tema, facciamo un altro passo.

Tra le ragioni del comandamento dell’amore ne abbiamo vista una prima, importantissima: quella di "assaporare" la stessa "categoria" di Dio, di fare cioé esperienza di Dio. Dio non tanto Lo si dimostra. Piuttosto Lo si assapora, Lo si prova.

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13 - La frontiera del Regno. I due mondi.

 

 

Una seconda importantissima ragione del comandamento dell’amore è che quando il Signore ci comanda l’amore e noi ci entriamo, proprio allora stiamo attraversando la frontiera fra "questo mondo" ed il "Regno".

 

Se Dio ti comanda di amare, quando ami è proprio così che tu riesci a passare dall’altra parte della frontiera.

Stare nell’altro mondo. Il cristiano sta in due mondi.

Come si arriva al "Regno"?

Il Signore ha lottato molto con questa storia del "Regno".

Per introdurre i suoi discepoli, per mezzo di questa categoria del "Regno" al mistero che Egli portava in pienezza.

Questo é talmente vero che lo abbiamo perfino nel Padre Nostro: "Venga il Tuo Regno".

Andiamo nel suo Regno! E come ci andiamo? E come viene questo Regno?

Cominciamo a considerare la nostra situazione: noi ci troviamo qui, in questo luogo in cui siamo attualmente e che è un "regno". Ora dobbiamo passare dall’altra parte, dobbiamo attraversare una frontiera.

Bene, abbiamo dunque questo problema: stiamo da questa parte, in questo mondo, ed occorre andare dall’altra parte, nell’ "altro mondo".

Esiste una frontiera tra i due.

Bisogna dunque passare la "dogana", ma "il di là", di là dalla frontiera, non è "dopo la morte".

I pagani ti vanno inculcando questa idea: che "l’altro mondo" è dopo la morte e nel frattempo....puoi fare tutto quello che vuoi. Falso......

Ci vogliono mettere nelle loro categorie,.... lungi da noi!

Il "Regno" sta qui stesso ed inoltre sta anche dopo la morte.

Se salto sul "cavallo bianco" dell’amore, posso già balzare ora, stando ancora di qua, "dall’altra parte" della frontiera (non già della morte), dove starò già fin d' ora in un "altro mondo", in un altro Regno.

Ma se devi passare "dall’altra parte", "all’altro mondo" oltre la frontiera, nell' altro regno, dov’è la "porta" per passare dall’altra parte? Dov' é il passaggio ? Dov’è la dogana?

Questo è interessante. Se uno deve andare nella sala da pranzo, deve passare dalla scala e lì c’è la porta.

Uno cerca la porta.

Era bello ciò che abbiamo letto di Giovanni: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà" (Gv 10, 9).

Pensateci, dice che entrerà ed uscirà. Si può andare e venire!

Se l'"altro mondo" fosse il "dopo la morte", non si potrebbe "entrare ed uscire", "andare e tornare". Non è vero che l' "altro mondo" sia esclusivamente dopo la morte.

Si va e si viene, perché c’è un andi-rivieni. Quasi tutti noi siamo già "andati" e "tornati" di là, voi ed io: ne sono sicuro.

 

Ci si può ora chiedere giustamente: dove si trova la porta per andare "dall’altra parte", "nell’altro mondo", oltre la "frontiera di questo Regno con l' altro Regno" ??

Credo che in qualunque "luogo" concreto ed in qualunque "tempo" del vivere, in qualunque punto del "tubo", del "tunnel" della vita, possiamo scoprire dove c’è una porta, una dogana, per "andare e tornare".

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14 - La "luce nella vetrata", la "porta", il "passaggio" nella frontiera.

 

All’improvviso il reale - ciò che per i pagani è "il reale" - dello scenario si "scioglie", si "fonde" in un punto il "tubo" (spazio-tempo) della vita, e mentre sono ancora quà, già sto entrando di là, dall' altra parte della "frontiera". La "frontiera" si é sciolta, si é fusa, in un punto, lasciando così una "porta" aperta.

Ecco sono già passato "di là".

E quando ci si trova "dall’altra parte" e "nell’altro mondo", nell' altro "Stato", nell' altro Regno, lo si sa - uno lo sa con certezza - non si sta parlando di una cosa ipotetica e teorica, ma reale, dell' esperienza reale di ognuno.

Uno sa con certezza di trovarsi "dall’altra parte del frontiera", "nell’altro mondo", nell' altreo Regno. Uno sa di essere già là.

Stiamo parlando di esperienze esistenziali.

Se lo sa la ragazza, che é innamorata del "tal giovanotto", com’è possibile che non lo sappiamo anche noi ?

E, come dice il Signore nel testo citato del Vangelo di San Giovanni: si entra e si esce; si può andare e ritornare.

Ascoltate voi, "Cruzados" del Regno! Dovete essere espertissimi in questo, perché tutti quanti vi domanderanno notizie del Regno e del suo Re.

Così il reale di questo mondo si scioglie in un punto e in un momento e può diventare trasparente, e poi fondersi, e di lì si può passare dall' altra parte.

Fate la prova: entrate nell’amore e vedrete come si dissolve un muro, come si dissolve l’oscurità della notte, come si dissolve il volto di un amico ed ecco che sapete di essere dall’altra parte.

A volte lo sapete, senza averne esplicitamente la consapevolezza riflessa di saperlo, ma sì lo sapete. Perfino lo dite.

Com’è possibile questo?

È come il tema di cui abbiamo parlato, riguardo alla luce nella vetrata. Quando la luce dell’amore colpisce in quel punto concreto della vetrata, questa s’illumina e arriva ad essere trasparente e luminosa di molti colori.

Si trasforma poco a poco in una vetrata illuminata, trasparente, poi diventa una griglia sempre più aperta, fino a fondere totalmente e ad arrivare ad essere una vera e propria "porta".

Sto utilizzando delle immagini, ma per un’esperienza che ognuno fa e può fare.

Fino a quando uno non si rende conto di essere totalmente dall’altra parte del confine, dall' altra parte della frontiera, nell’altro Regno.

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15 - Dall' altra parte della frontiera rispetto al "regno del tempo e dello spazio".

 

 

 

L' altro Regno é uno "Stato" diverso; e così l' altro Regno, l' altra "Nazione", l' altro "Territorio" ha altre regole, altre leggi, ha un altro passaporto, un’altra moneta, un’altra bandiera, un’altra lingua...oh, la lingua soprattutto! È una lingua totalmente diversa la lingua dell’amore nel Suo Regno.

L’amore è allo stesso tempo la luce nella vetrata, che si dissolve e fonde e diventa porta per farti passare dall’altra parte, e allo stesso tempo l' amore è anche il Regno dall’altra parte.

Bene, quando ti trovi dall’altra parte, non sei più rinchiuso nel "regno del tempo e dello spazio".

Così mentre ancora stai di qua, già vai in un altro Regno diverso da questo di qua.

 

Qualunque punto, di questo regno di qua, si può fondere e dissolvere per farsi porta e passare dall’altra parte; dove l’amore ti coinvolge, lì l’amore fonde e scioglie tutto e si fa la porta.

E quando poi ti trovi dall’altra parte, succede un’altra cosa, molto interessante: diventi "contemporaneo" di tutto il tempo di questa parte.

È un qualcosa di parziale mentre sei ancora vivo, ma diventa completo quando esci completamente da questa vita, perché allora precipiti totalmente in Dio.

Un uomo che muore è un uomo che precipita fuori dallo spazio e dal tempo, e precipita in Dio, precipita dentro l’Amore.

Parola del Signore Gesù: "Prima che Abramo fosse, Io sono." (Gv 8, 58)

Tutto il tempo è a Lui contemporaneo perché Egli è anche fuori dal tempo. I farisei Lo chiamano folle.

Si entra infatti nel "regime" della "vita eterna".

 

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16 - La vita eterna - l' Amore - é "fin d'ora".

 

Così, la vita eterna non è un qualcosa al di là della morte, è un qualcosa "fin d’ora".

 

E Dio ha molto interesse che noi sperimentiamo la vita eterna: fin d'ora.

Dio ci prepara, ci educa, inducendoci a sperimentarla. Quando avrai sperimentato la vita eterna, dato che sai di cosa si tratta, sai già dove ti stai dirigendo, puoi sceglierla, puoi volerla, perché l’hai provata e così puoi amare ancora di più.

Così è la vita eterna. Dio te la fa sperimentare, affinché tu voglia di più e tu non dica mai: basta.

Così diceva San Giovanni della Croce: "L’amore non dice mai: basta. Dice sempre: di più."

Anche questo è interessante dal punto di vista della morale cristiana.

Qui ci addentriamo in un punto di San Paolo. San Paolo non è il mio prediletto, il mio prediletto resta San Giovanni, ma San Paolo era veramente un grande.

Egli insiste molto su un tema, che noi non predichiamo quasi mai. Ve ne siete già accorti ?

 

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17 - Il "regime della Legge" e San Paolo.

 

Mi dispiace un pò che certi sacerdoti, nella fretta con cui a volte preparano l’omelia della domenica, non trovino il tempo per prepararsi su questi temi della vita eterna, del Regno, di Dio, etc...

E allora si fermano spesso su prediche di semafori e di regole morali.

Io, a dir la verità, non ho molta competenza in fatto di ... semafori.

Ieri, per esempio, sono venuti ad aggiustarmi la tuberia dell’acqua qui nella mia stanza. Quando c’è bisogno di un idraulico, io mi sento piccolo, incompetente e lo chiamo lui, perché io non sono specialista in proposito, nonostante io sia ingegnere.

Mi succede la stessa cosa con i semafori. Non ho molta esperienza di questo.

San Paolo ha molto insistito sul fatto che è terminato il "regime della Legge", il regime dei semafori.

Cioé il meccanismo della salvezza fondato sul "vantaggio", basato su un commercio con Dio, è terminato secondo San Paolo.

Per lui è una costante il fatto di essere contro il "regime della Legge"; per lui é quasi un’ossessione, ma noi invece non lo predichiamo quasi mai.

Ci conviene ed è più facile predicare il contrario: vale a dire, se ti vuoi salvare, devi obbedire a questo e quell’altro articolo della Legge, e così sarai salvo: facile da predicare così.

In definitiva, in verità occorre obbedire alla Legge, perché diversamente, senza semafori, non ci si muove; tuttavia per San Paolo questa mera osservanza della Legge non può più essere la chiave della salvezza.

Egli insiste molto contro il "regime della Legge": questo meccanismo della salvezza, attraverso il "regime della Legge" è ormai superato.

Vale a dire, la tua salvezza non è più racchiusa nella legge: facciamo un affare, dicevano gli ebrei del tempo della antica Legge, facciamo un affare con Dio, un buon affare, un buon vantaggio: obbediamo alla Sua Legge e abbiamo in cambio la salvezza.

 

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18 - Come andare dall' altra parte della frontiera: il Comandamento dell'Amore ed il Regno.

 

 

Il comandamento nuovo - dunque è una novità il nuovo comandamento dell’amore - ha lo scopo di farci passare dall’altra parte del confine, affinché facciamo esperienza di ciò che c’è dall’altra parte, nel Regno, così da avere esperienza della vita eterna.

Questo è il comandamento nuovo dell’amore che ci comanda di amare, cosicché sappiamo come passare dall’altra parte: dove c' é la vita eterna già.

Vi leggerò un altro brano del mio preferito, San Giovanni. (Gv. 18, 33):

"Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: "Tu sei il re dei Giudei?". Gesù rispose: "Dici questo da te, oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?" Pilato rispose: "sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cos’hai fatto?". Rispose Gesù: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori (i "Cruzados"!) avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù"(Ecco! Come lo dice chiaramente!) Allora Pilato gli disse: "Dunque tu sei re?". Rispose Gesù: "Tu lo dici; io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza della verità".

L’amore, dunque, è il mezzo, lo strumento, il carro, la vettura, che ci porta dall’altra parte del confine, dove la moneta è diversa, la giustizia è diversa, le guardie sono diverse, le leggi sono totalmente diverse, la bandiera è diversa e soprattutto, la logica è diversa, rispetto a questo mondo.

Ci sono due parabole che mi piaciono moltissimo, sotto questo punto di vista della logica differente.

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19 - Due linguaggi e due logiche differenti nelle due parti del confine e della frontiera.

 

 

 

Una è la parabola dei talenti. È una parabola crudele.

Sapete che nella lunga ed interminabile polemica storica dei Giudei contro Cristo, alcuni di loro si serviti di queste due parabole come prova che "l’uomo" (Cristo) non era buono.

Cristo non era buono, secondo alcuni Giudei. Ed essi utilizzavano come prova, per dimostrarlo, queste due parabole che invece io, al contrario, uso per provare una cosa veramente splendida di Lui.

Nella parabola dei talenti (Mt 25, 14 ss; cfr. Lc 19, 12 ss) si narra che un signore, che doveva andare lontano, chiama alcuni individui e dà: ad uno di essi cinque talenti, ad un altro due e ad un altro ancora, uno; poi se ne va lontano e quando ritorna ne richiede loro il resoconto.

Così questo signore, al suo ritorno, chiama quello che aveva ricevuto cinque talenti, e questi gliene restituisce altri cinque, oltre ai cinque che aveva ricevuto. Poi chiama colui che ne aveva ricevuti due, e questi gliene restituisce altri due, oltre ai due che aveva ricevuto; e infine chiama quello che ne aveva ricevuto uno, e quest' ultimo gli restituisce invece solamente l' unico talento che aveva ricevuto senza alcuno di guadagno.

Allora presentandosi, davanti a quel signore, colui a cui egli ne aveva dato uno solo e che glielo aveva restituito senza interesse, questi gli disse: "So che tu sei un uomo duro, che mieti dove non ha seminato e raccogli dove non hai sparso; per questo ho avuto paura, e sono andato a nascondere nella terra il tuo talento".

E aggiunge una parola tragica: "E così l’ho conservato puro: ecco dunque ciò che è tuo".

Allora il signore della parabola si infuria con costui e ordina di castigarlo, di togliergli il talento e di darlo a colui che ne possiede dieci.

Due volte nel Vangelo si trova questa frase: "Perché a colui che ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, verrà tolto quel poco che ha. E questo servo inutile, gettatelo fuori nelle tenebre. Ivi sarà pianto e stridore di denti".

Perché tutto questo?

Vedete, la logica "dell’altra parte", dalla parte del Regno, è una logica diversa: perché a chi ha sarà dato ancora di più e ne avrà in abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quel poco che possiede.

E dopo la parabola dei talenti dicono alcuni Giudei: vedete che Cristo era un uomo cattivo?. Guardate: a chi ha, verrà dato ancor di più, e a chi non ha nulla, sarà tolto anche quel poco che possiede; e nella parabola si dice che sarà dato a colui che ha già.

Questa logica non quadra, in effetti, con la logica di "questa parte della frontiera", di questo mondo. Sembra che tutto ciò non sia giusto.

Ma pensate cosa è l’amore.

Non è vero che nell’amore è così ?

Colui che ama, ama di più, avrà più amore, gli arriverà più amore, gli si darà più amore: l’amore è producente, accumulativo di amore.

Colui che non ama, al contrario, perde tutto, non amando, tutto gli sfugge, e anche il poco amore che può avere gli evapora.

 

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20 - Chi ama avrà tutto, chi non ama perderà tutto.

 

Tutto ciò è piuttosto logico: entra nell’amore e avrai di più, e di più e ancora di più. Sempre cresce. Se non vuoi entrarci, perdi anche quello che hai.

La seconda parabola è quella dei vignaioli (Matteo 20, 1 ss).

Racconta di un signore che aveva una vigna e andò a varie ore del giorno nella piazza del paese, e ogni volta che ci andava, vi trovava alcuni che non lavoravano, e diceva loro: andate nella mia vigna a lavorare e vi darò un "denaro", come ricompensa del lavoro.

 

Andarono in molti nella sua vigna in varie ore del giorno. Ad alcuni fu chiesto addirittura verso sera, nell' ultima ora del lavoro, di andare a lavorare nella vigna. A tutti, a qualunque ora essi avessero iniziato a lavorare, sia ai primi che agli ultimi, fu promesso lo stesso compenso di un "denaro", sia a quelli della prima ora che a quelli dell' ultima ora.

Quando si ritrovarono tutti alla fine, fu dato loro un "denaro" per ognuno di loro. Allora quelli che avevano lavorato tutto il giorno chiesero al padrone della vigna, perché ricevessero lo stesso compenso di quelli che non avevano lavorato altro che un’ora....

"Così gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi": ... è una logica differente quella dell’amore, la logica "dell’altro lato del confine", del Regno, confrontata con la logica di questo mondo.

Sono parabole crudeli, perché - così come suonano - sono in contrasto con la logica di questo mondo.

È un altro mondo, "dall’altra parte della frontiera".

Se ti lanci nell’amore, che importanza ha l’ora in cui sei arrivato! Ottieni tutto. È un gioco in cui ti si offre tutto. È Dio stesso. Dio dona Se stesso alla persona che ama. Questo è il massimo, è tutto, é in crescendo, e di colpo per sempre.

 

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21 - Dove si trova la porta - la dogana - per attraversare la frontiera, il confine? Dove il punto in cui si passa di là ?

 

Dunque ora ci chiediamo: qual è il punto più sicuro in cui attraversare il confine, la frontiera ?

La frontiera fisica del Regno di Dio passa all' interno del cuore di ciascuno di noi.

Da lì passa.

 

E noi abbiamo la possibilità di spostare i paletti, i limiti, della frontiera stessa più in qua o più in là. Così otterremo di più o di meno, questo dipende da noi.

Quelli che amano sono considerati dai pagani - vale a dire anche i veri cristiani sono considerati dai pagani - dei romantici visionari.

Dicono che la "ubriacatura" della "visione" d’amore, della "visione" di fede, passerà. Ed è vero che è una ubriacatura.

Il mio amico San Giovanni l' Evangelista annota sempre, nel racconto del miracolo di Cana: "ha conservato il vino buono fino ad ora" (Gv 2, 10). Il "buon vino dell’amore".

 

Tutta la Sacra Scrittura non fa che parlare del "buon vino dell’amore", a partire dal Cantico dei Cantici ("ti porterò nella casa del vino", "del buon vino dell’amore").

E, perché?

San Giovanni lo dice in una forma bellissima: "ha conservato il vino buono fino ad ora", in modo tale che, grazie al buon vino dell’amore, "si manifestasse la sua Gloria e i suoi discepoli credessero in Lui".

Coraggio: ubriacati d’amore con il buon vino conservato fin’ora!

 

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22 - Il "fuoco" dell' Amore di Dio secondo Santa Caterina da Genova.

 

Ormai alla fine di questa meditazione, mi mancherebbe solo un’appendice finale, un breve corollario, su due brevi temi e ve li direi rapidamente: semmai potrete poi chiedermi di più.

 

Me lo concedete?

"Dall’altra parte del confine" ci sono anche l’inferno e il purgatorio.

Cosa sono l’inferno e il purgatorio?

Sono ciò che la Chiesa ha sempre creduto che fossero.

Voglio però fornirvi una lettura molto bella di una grande mistica, cui sono molto affezionato: Santa Caterina da Genova. Santa Caterina da Genova era una donna sposata che rimase vedova, diventò poi religiosa e fu una grande mistica.

Dice ciò che segue a proposito di questa questione. Dice che Dio non si pente mai, e mai si pentirà, di avere amato, e tanto amato ciascuno di noi.

Sempre Dio ci ama, sempre e per sempre.

Possiamo fare qualunque cosa, la più orribile, la più penosa meschinità, la cosa peggiore, ma Dio non si pente mai di averci amato.

Siamo noi che possiamo cambiare.

Quando una persona muore, secondo Santa Caterina da Genova, precipita completamente dentro al cuore, dentro all’amore di Dio.

E lì scopre e vede con i suoi stessi occhi l’amore con cui Dio la ama.

Questa era una notizia molto antica nella Sacra Scrittura. Non si può vedere Dio e rimanere in vita, non si può vederlo completamente e continuare a vivere (questo è un tema che affronteremo in seguito).

Se uno vede con i suoi stessi occhi Dio e completamente, "non ha più" la possibilità di rifiutarlo. E dunque "non ha più" la libertà di amarlo.

 

Questo è il problema di Dio nel momento di creare l’uomo.

Dio ha dovuto creare l’uomo in modo tale che l’uomo potesse essere "libero" di rifiutarLo; perché solo avendo la "libertà" di rifiutarlo, potrà anche avere la "libertà" di dirGli di "sì": solo se puoi dirmi di no, allora puoi dirmi di sì; se non puoi dirmi di no, non potrai neppure dirmi di sì.

È la famosa frase dell’amore: "Poiché puoi dirmi di no, perciò puoi dirmi di sì".

Dio ha questo problema.

I pagani dicono: Perché il tuo Dio non si mostra per completo, così Gli crederemo ?

Se Dio si manifestasse completamente, si perderebbe la cosa più importante di tutte: la tua possibilità di dirGli di "no".

Tuttavia, secondo Santa Caterina da Genova, quando un uomo muore (sia i buoni, che i cattivi) precipita dentro il "cuore" di Dio.

Così vedrà Dio e vedrà quanto Lui lo ama; e così non avrà più la possibilità di dirGli di "no". Non si può vedere quanto Dio ci ama e dirGli di no, dunque veder Dio significa perdere la "libertà" di dirGli di no, vale a dire che significa parallelamente perdere anche la "libertà" di dirGli di sì, dunque significa perdere la libertà.

Morire significa vedere Dio senza veli, faccia a faccia, e non potere più rifiutarLo liberamente; quindi significa non poterLo nemmeno accettare liberamente: è la libertà che si perde con la morte (per questo vedere Dio per completo significa morire, perché si perde il segno più significativo del vivere, che é la libertà di dirgli di sì o di dirgli di no; ma su questo tema ritorneremo diffusamente).

 

Se uno muore, perde la libertà e rimane stupefatto e congelato nel suo atto libero finale: nel "sì" oppure nel "no".

Se Gli abbiamo risposto di "si" prima di morire, siamo sorpresi per sempre nell’amore.

Se Gli abbiamo detto di "no" prima di morire, allora con la morte non abbiamo più la libertà cioé la possibilità di dirGli di "si" cioé di amarLo, di dirGli "per sempre di si".

 

Ormai, dopo la morte - secondo Santa Caterina da Genova - vediamo che Dio ci ama moltissimo e, se noi Gli abbiamo detto di "no" prima di morire (quando eravamo nel regime della libertà), ormai non possiamo più ri-amarlo a nostra volta, perché abbiamo perso ormai per sempre la possibilità di dirGli di sì; perdendo la libertà, con la morte, siamo rimasti congelati nel "no" libero che Gli abbiamo già detto, "in limine mortis", sulla soglia della morte.

Questo inoltre dice Santa Caterina da Genova: che il cuore di Dio è un fornace ardente d’amore. E tutti alla fine vi precipiteremo dentro.

Sempre si è detto che l’amore è un fuoco. Per i beati è un fuoco benedetto, per i perduti è un fuoco di perdizione.

Questo è il purgatorio e questo è l’inferno: trovarsi nel fuoco dell’amore con cui Dio ti ama, e non poterGlielo restituire, oppure non poterGlielo "mai più" (l' inferno) restituire.

Questo era un breve corollario finale, riguardo a qualcosa che c’è al di là della frontiera.

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QUINTA MEDITAZIONE

 

LA PERSONA UMANA

 

 

Il programma di queste riflessioni, come ho già accennato, è diviso in due parti: la prima parte termina giovedì prossimo in mattinata, e l’altra parte continuerà nella restante parte di questa settimana.

In questa prima parte faremo una suddivisione. Finora abbiamo parlato esclusivamente di Dio. Da oggi vorrei parlare un po’ di più dell’uomo. L’essere umano.

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1 - "L' uomo vivente é la gloria di Dio".

 

"L’uomo vivente (che vive) è la gloria di Dio": questa é una frase ben conosciuta di San Ireneo di Lione. "Homo vivens est gloria Dei", una frase molto adatta per la nostra meditazione generale sulla Gloria di Dio.

L’uomo è gloria per Dio, perché Egli lo ha creato a Sua immagine. Dunque, si deve supporre che Dio è un grande fotografo e, quando le foto gli riescono, sono la sua Gloria.

Il sacerdote, come dice il Concilio, deve essere un esperto di umanità, un esperto dell’uomo.

Prima di tutto, poiché lo stesso sacerdote è un uomo, deve sapere cosa ciò significhi.

Secondo, perché parla con gli uomini; deve perciò sapere come sono gli uomini, come reagiscono, qual è il loro modo di essere, la loro cultura.

E terzo, perché nostro Signore Gesù Cristo era vero uomo.

Cosicché, ci interessa molto di sapere come é l’uomo, e così inoltre conosciamo, in modo indiretto, com’era lo stesso Signore Gesù Cristo.

Ora l’abbiamo detto: non si può conoscere l’uomo se non conoscendo Dio.

Questo è il procedimento.

Non è molto viabile il percorso inverso. Anche se il percorso inverso lo si può tentare, ed i filosofi vi si dedicano molto, ma praticamente per molti risulta di scarsi risultati.

La vera strada, per conoscere, l’uomo è conoscere Dio ("Ho conosciuto Te, Dio mio, ho conosciuto me" Sant'Agostino).

Se vogliamo sapere chi è l’uomo, dobbiamo sapere prima chi è Dio.

È necessario imparare tutto su Dio per potere poi decifrare gli enigmi dell’uomo.

Fino a che non saremo entrati direttamente nel cuore di Dio, non potremo entrare nel cuore dell’uomo.

Perché tutto ciò?

Perché l’uomo è fatto a immagine di Dio.

Guardando attentamente dentro al "progetto iniziale", possiamo capire ciò che si è realizzato successivamente, nel crearsi "l’immagine".

Che cosa fa un ingegnere quando deve costruire qualcosa? (Qui sto parlando come ingegnere).

Prende il progetto, lo guarda e osserva come è fatto; successivamente, a partire dal progetto stesso, si mette a costruire.

Se non si guarda il progetto, non si può fare la costruzione. Questo credo sia facilmente compreso da tutti.

Bisogna osservare molto attentamente il progetto iniziale per poi passare all’opera e dunque, se l’uomo è costruito a immagine di Dio, per poter dire la parola appropriata sull’uomo, è necessario prima leggere il "progetto" che è Dio stesso, da cui è stato ricavata la opera che ne é derivata, e cioé la Sua immagine, che é appunto l'uomo.

A questo punto vorrei dire qualcosa: ogni uomo presente misteriosamente in se il mistero trinitario; è questo come un istinto originario, in ogni essere umano, anche se non sempre esplicito.

O detto meglio: l’uomo sa, istintivamente, che il suo essere è costituito come una "relazione".

Nessuno ha pace nella sua vita fino a che questa "relazione", che è il suo desiderio più profondo, non diventa una realtà.

Dio è una "relazione".

L’uomo è fatto a immagine di Dio. Dunque, l’uomo è una "relazione".

È chiaro come la luce del giorno: nessun uomo è stato creato come un solitario. Nella "mente" di Dio non esiste una cosa del genere.

La "relazione" tra "l’io" e il "tu", che in Dio chiamiamo il Padre e il Figlio, è, in Dio, una "Relazione" così "intensa" e "densa" - ... come se si "condensasse", "diventando" a sua volta una Persona - che noi chiamiamo lo Spirito Santo. Nei rapporti umani quella relazione, fra l' io ed il tu, noi la chiamiamo amore, amicizia, affetto, carità, ecc.

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2 - "aut duo aut nemo".

 

L’uomo raggiunge il suo fine, nel momento in cui raggiunge il compimento della sua somiglianza con Dio.

Vale a dire, quando passa da "solitario incompleto" a "relazione compiuta".

C’è una frase che vi voglio donare, come un motto. È caratteristica di alcuni filosofi francesi: "O sei due o non sei nessuno" ("Aut duo aut nemo"). O sei una relazione, o non sei. "Non sei", finché non realizzi nella tua vita la relazione che si realizza in Dio. (Maurice Nédoncelle - La rèciprocité des consciences, essai sur la nature de la personne - Paris Aubier, 1942; 3° edizione 1962)

Consideriamo ora Cristo come uomo.

Egli, come "vero uomo", visse l’amore umano, visse la relazione umana, realizzò questo punto fondamentale di lui come uomo. Noi ben sappiamo pure della sua primaria relazione divina.

Dunque, questo è un tema sommamente interessante.

Quando la gente si avvicinerà a voi, quando sarete sacerdoti, e vi dirà: "padre, ho un problema con mio fratello, con un amico, con una persona cara....", voi dovrete essere esperti, esperti in questo aspetto di Dio, esperti dell’amore, esperti della vita eterna; ... non tanto e non solo esperto di leggi e di "semafori".

La gente vi si avvicina per il "mistero" che Egli porta in sé. Questo è l' aspetto sublime del sacerdozio.

Non dimenticate mai la bella immagine di cui vi ho parlato, di Pietro e Giovanni, la cui sola ombra, mentre si dirigevano verso il tempio, era sufficiente per guarire la gente.

Dunque, la gente vi si avvicinerà per stare sotto l’ombra del mistero che voi portate su di voi e dentro di voi.

Addentriamoci dunque di più nella persona.

Noi non siamo l’immagine di Allah, né siamo l’immagine del Dio dell’Antico Testamento. No, nemmeno.

L’essere umano, secondo la nostra concezione cristiana, è l’immagine del Dio di Gesù Cristo, che è una relazione.

Siamo immagine di questo Dio Trinitario.

Allora, per capire meglio la natura di questa relazione, "l’io" dell’individuo, per poter passare dal suo stato di "potenzialità di relazione" all’atto di "costituire ed essere una relazione", deve superare sostanzialmente due ostacoli.

 

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3 - Attraverso l' "impersonale": dall' io al tu verso la reciprocvità.

 

 

Il primo ostacolo (a cui ci dedicheremo più diffusamente) è "l’impersonale", vale a dire la natura esterna: cioé da un lato c'è "l’io" e da un altro lato c'é tutto ciò che non é "l'io", dunque da un altro lato c'è l’esteriorità.

Il secondo ostacolo è "l’anti-personale", cioè il male: questo secondo ostacolo è un mistero in cui non mi addentrerò durante queste mie riflessioni, perché non posso toccare tutti gli argomenti, ma è un tema molto importante e ve lo lascio per un altro corso di Esercizi Spirituali.

E il male, quando si manifesta, lo fa in due modi diversi: c’è il male fisico e il male morale, che è la malvagità.

Questo del male è un ostacolo molto grande nelle sue varie forme, nelle sue tentazioni, nei suoi fantasmi, per distruggere una vera possibilità di realizzazione della relazione d’amore; il male è molto grave.

Incominciamo con il primo dei due ostacoli che l’io deve superare per raggiungere il tu, "l’impersonale", la natura esteriore, le esteriorità.

L’essere umano sta cercando una relazione dell’ "io" con il "tu". E com’è questa relazione?

Questa è una lotta per attraversare le esteriorità che dividono "l’io" dal "tu".

Questa sarebbe l' opera che una persona fa per raggiungere l’amore.

In questo procedimento si dovrebbe riuscire a trasformare i due ostacoli in due servitori, vale a dire, i nemici della relazione in servitori della relazione.

Quando una persona raggiunge il "tu" si forma qualcosa di molto interessante. Tra "l’io" e il "tu" si crea una reciprocità personale, una reciprocità di sentimenti, una reciprocità di andata e ritorno tra "l’io" e il "tu", una nuova entità che potremo chiamare il "noi".

Osservate come stiamo parlando della Santissima Trinità.

Tutto ciò si vede molto chiaramente tra il Padre e il Figlio e la loro reciprocità (l'andirivieni), quando formano il "noi". Il "noi" sarebbe in Dio la Natura Divina, e "l’io" e il "tu", sarebbero in Dio le persone del Padre e del Figlio; mentre la "relazione" fra il Padre ed il Figlio é, in Dio, una persona, che chiamiamo lo Spirito Santo.

Noi siamo a loro immagine e ci comportiamo allo stesso modo. Incontriamo - supponiamo - un amico, oppure una fidanzata, oppure un fratello ... e discorriamo, condividiamo ... ed entriamo poco a poco in un’altra realtà che è il "noi".

Cioé entriamo in una nuova realtà che si sta costruendo più grande, che si è costituita come una novita, ed entrambi - l' "io" ed il "tu" - lottiamo per la nostra mutua e reciproca relazione.

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4 - L'uomo e la sua maschera.

 

Ora, per raggiungere il "noi", è necessario che "l’io" passi attraverso la maschera che il "tu" ha davanti a sé.

C’è un problema di maschere (come in un "carnevale"). Tutti portano delle maschere.

Dio è veramente molto delicato. Quando Dio ti ha dato la tua "maschera", ha voluto difendere la tua coscienza da ogni invasione indesiderata. Nessuno, per nessuna ragione al mondo, può entrare nella tua coscienza: "nessuno" ha questo diritto, questo é un diritto esclusivo della persona umana creata da Dio, Dio stesso si ferma rispettoso sulla soglia di ogni coscienza umana (Canone 220 del Codice di Diritto Canonico sui Diritti di tutti i Cristiani).

Tu hai una maschera, che mostri in pubblico, ma la tua coscienza è tua.

Esiste una soglia oltre la quale nessuno può passare se tu non gli dai il permesso e se non lo lasci entrare.

Questo è un "gioco" comune di molta gente qualunque. Come una partita di caccia tra cacciatori e prede. Ognuno cerca di togliere la maschera all’altro o di tenersi ben stretto la propria.

Ci sono espedienti terribili per smascherare l’altro. O cose raffinate o cose ridicole. Personalmente ho un’opinione piuttosto critica della "psicologia".

In generale sono favorevole alla psicologia, e so che potrebbe essere una cosa utile per la persona; dannosa invece se si utilizza a favore delle istituzioni, e in generale sono proprio le istituzioni a servirsene per impadronirsi della coscienza delle persone.

Pensano di potere smascherare le persone.

Dio, al contrario, è stato benevolo con noi ed è discreto e delicato, giacché concede a ciascuno di noi la sua "maschera", affinché uno si possa difendere o aprire con estrema libertà.

Dunque, per raggiungere il "noi", se tu ed io ci vogliamo bene, e arriviamo ad un "noi" come il Padre e il Figlio, è necessario attraversare la maschera esterna e interna del "tu" e dell’ "io".

Ognuno di noi ha due maschere.

Una maschera esterna: la sua apparenza, la sua voce, i suoi modi, etc.

E ognuno possiede anche una maschera interna: sono le qualità e i valori di una persona che formano la sua maschera interna, ma non costituiscono ancora il suo vero e proprio "io".

(C’è una barzelletta - lo dico per alleggerire un pò il tema - a proposito della maschera esterna: "dicono" che quando Dio ci ha creati.... sapete, no, cosa sono i forni dove si cuoce l’argilla? Bene, allora ci avrebbero messo in una catena di montaggio e ci avrebbero fatto cuocere lì dentro fino a cottura perfetta. E, come fanno certi fornai, ad ogni dieci di noi, Dio avrebbe fatto un taglio sul mento, come quello che ho io sulla mia maschera esterna e ce l’ha anche lui .....e lui ....beh!, quella è ....la maschera esterna.....)

Ho anche la mia maschera interna, che voi state a poco a poco conoscendo mentre vi sto parlando: è fatta delle mie qualità e dei miei difetti, delle mie virtù e dei miei peccati...

Ma quello non sono "io". Il vero "io" è più in là, oltre le due maschere, oltre quella esterna ed oltre quella interna.

Dunque, per dare vita al "noi", l’ "io" deve attraversare la maschera esterna e la maschera interna del "tu", per potere raggiungere realmente il "tu" ed, in direzione contraria, il "tu" deve attraversare la maschera esterna e la maschera interna dell’ "io" per raggiungere realmente il mio "io".

Ve l’ho già detto, per fare questa operazione non risultano utili tecniche puerili oppure tecniche elaborate e raffinate, come sono quelle psicologiche.

Che cosa bisogna fare?

Occorre perseguire l'ideale di fondo dell' "io", che è come un’ombra che ci precede e che consiste nell’ottenere ed essere una relazione.

Vi siete accorti che è così?

Ci sono cose che basicamente tutti sanno, ma si prende coscienza esplicita di esse, quando viene un altro e ...ce le dice.

Ognuno cerca una relazione profonda e questo desiderio procede dinanzi a noi come un’ombra.

Possiamo vivere comunque, ma abbiamo quest’ombra davanti a noi, che ci precede e che ci attrae.

E perseguiamo quest’ideale come un’ombra che ci precede e ci induce a riconoscere, in un regime di libertà di coscienza, la convenienza e la realtà di una reciprocità d’amore tra l’ "io" e il "tu".

Quando sono là seduto nel giardino della mia casa, con un tavolino, delle sedie e ci sono fiori e tutto il resto, e converso con mio fratello, parliamo di qualsiasi cosa, in quel momento stiamo istintivamente riconoscendo la convenienza e la realtà dell’amore reciproco che ci unisce, in questo caso l’amore fraterno.

Inoltre..... quando due persone riescono a raggiungere - a partire da un "io" e da un "tu" - una relazione profonda, a realizzare un "noi", devono continuare a lottare per vincere i riflussi dall’esteriorità e la avversione dall’antipersonale.

È proprio questo ciò che dicono quelli che criticano e sottovalutano, per esempio, i fidanzati: ammettono che due fidanzati si trovano in un "altro mondo", ma ironicamente e cinicamente pensano che ... quel "romanticismo superficiale" "passerà loro" e non avrà futuro.

L’esteriorità cerca di riassorbire l’ "io" e il "tu" e distruggerli, dunque è una sfida ed una lotta destinata a continuare.

Non è che, una volta raggiunto l’amore, questo rimanga stabile; bisogna lottare per conservarlo e promuoverlo.

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5 - L'amore: libertà e fedeltà.

 

 

L’amore è opera della libertà dell’uomo; ma, una volta costituito, si mantiene e cresce grazie alla fedeltà.

Questo è un altro lavoro impressionante: quello della fedeltà.

Che tristezza! Quando sarete sacerdoti, vi potrebbe capitare di ricevere la confidenza di una brava signora, con vari figli, una donna per bene, preziosa, deliziosa, brava.

Suo marito è andato via con un’altra donna, ha un’altra famiglia. (Che pena! Come hanno capito male la natura umana!). Può capitare di sentire questo in un confessionale.

A me è toccato da poco. Un ragazzo giovane che è troppo addolorato, perché una ragazza gli aveva detto di si e poi gli ha detto di no.

Cosicché una volta che l’amore c’è, non si sostiene semplicemente da solo, perché si deve continuare a lottare contro le esteriorità.

È un fatto complesso e bisogna prepararsi bene, sapendo che da lì possono venire le croci più dolorose.

Abbiamo detto che il "regime della fedeltà" entra in campo "dopo" che ha operato il "regime della libertà".

La libertà di uno finisce, si estingue, quando uno si dona. Non è vero che io sono libero dopo essermi donato.

La libertà raggiunge il suo fine e finisce nell’atto d’amore. E poi quando la libertà "muore", allora "nasce" la sua figlia, che è la fedeltà.

Come avvengono queste lotte con l’esteriorità?

A volte ci prende la tentazione di sviare la direzione dello sguardo dell’ "io" ad un insieme, ad un pacchetto di qualità esteriori od interiori, cioé ad un oggetto invece che ad un soggetto. Allora diciamo di amare una persona, ma a volte non l’amiamo per nulla. Amiamo invece le sue qualità, le sue maschere.

Vi racconterò una bella storia.

Due signori si sposarono. Uno dei due si sposò con una ragazza bellissima, una favola e che lo amava alla perdizione. Allora lui era molto felice.

L’altro si sposò con una ragazza meno bella e nemmeno ricca, che lo amava molto, ma aveva altre qualità non tanto marcate come nel primo caso.

Una notte successe la stessa cosa a entrambi i signori. I due signori si trovano a letto con la propria moglie. Tutte e due le signore stavano dormendo e i due uomini si svegliano e cominciano a pensare.

A entrambi i signori viene lo stesso dubbio.

Quello sposato con la donna bellissima, incomincia a dire a se stesso: "voglio bene a questa donna, proprio a lei, oppure piuttosto a tutto questo insieme da favola, che lei riveste? a lei o alla maschera di lei ?" E rimane un pò con il dubbio, senza soluzione.

La domanda dell’altro è basicamente la stessa: "voglio veramente bene a questa donna ?" Questa seconda domanda ha una risposta più facile e positiva, dato che il secondo signore sa bene di non essersi soffermato all’insieme superficiale dell’esteriorità, alla maschera, ma di aver cercato di raggiungere il profondo, la essenza della persona amata: cioé lei e non già, o non solo, la maschera di lei.

Questo è il problema, siamo a volte distratti da un insieme di qualità esteriori e perdiamo di vista l’interiorità di una persona, il suo "io" reale.

Dunque è un errore grave, ma purtroppo molto diffuso, pensare che l’amore è diretto alle qualità personali, per elevate che esse siano.

E nonostante questo sia un grave errore, ci sono molti che si dedicano ad esso in modo patetico ed ostinato.

Questo porterà con sé il fallimento inevitabile.

Ci sono persone, invece, che sì capiscono che cos’è l’amore. Si vedono eroismi d’amore.

 

Basti pensare a una persona con il coniuge o un figlio ammalato ... : gli sta accanto e non lo abbandona, ed, anche se in apparenza sembra che non vi possa essere più nessun gusto, si comprende che lo ama realmente. Ci sono casi che commuovono fino alle lacrime per l' eroismo dell' amore.

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6 - Gli avvenimenti, le qualità e la persona.

 

 

In definitiva, bisogna raggiungere la persona in sé, il "tu", passando oltre il carnevale delle maschere, anche di quelle più nobili, che furono forse utili per innescare un procedimento di avvicinamento, ma diventano dannose se si tasformano in una parete impenetrabile.

Amare una persona vuol dire attraversare le maschere e superare gli avvenimenti, per raggiungere il "tu".

Amiamo qualcuno perché, nel contesto degli eventi, ci è sembrato molto interessante. Per esempio, i soldati coinvolti insieme in una guerra.

Gli avvenimenti esterni ci condizionano molto. Viene meno l’avvenimento ed era questo a dare vivacità alla relazione, ma la relazione - a volte - non continua se viene meno l’avvenimento. In certi casi alcuni compagni d'armi, che si credevano amici, finita la guerra, cessato l' avvenimento, si perdono di vista.

Una persona, per amare, deve cogliere ed afferrare ciò che è totalmente unico e irripetibile nel "tu", ciò che è "il proprio" di lui, del "tu".

Amare una persona significa molto. Significa che tu hai già un punto stabile nella continua mutevolezza della natura e degli eventi e delle abitudini, perché hai raggiunto lo scopo principale per il quale sei stato creato: essere una relazione.

Un ultimo dettaglio a proposito delle qualità. Le qualità non sono di per se stesse cattive, lo diventano quando sono una deviazione, quando si amano le qualità e non la persona.

Si possono amare anche le qualità, quando le si considera un’emanazione della persona. Io voglio molto bene ad un mio amico e mi compiaccio quando ha successo in qualcosa, dunque posso amare il fatto che "lui" abbia successo, mi rallegro per una "sua" qualità.

Ma io amo prima di tutto la persona, e poi le sue qualità. Ho un amico che suona molto bene la chitarra. Io voglio bene al mio amico e quando c’è una festa e lui si mette a suonare la chitarra, mi compiaccio di questa qualità che possiede. Questo posso farlo.

Non al contrario, cioè fermarmi prima sulle qualità, senza arrivare mai alla persona.

Come é dunque il procedimento corretto ??

 

Quando l’ "io" comincia a dirigersi verso il "tu", per produrre una relazione d’amore, bisogna dire che succedono varie cose.

Si incomincia ad allargare l’orizzonte dello spirito.

Non è più limitato al piccolo orizzonte del suo "io", ma l’orizzonte del suo spirito si va allargando.

Fintanto che "uno" è solo, "uno" "è" un "desiderio", un "istinto", una "aspirazione" di relazione, e "uno" si sente molto fragile, e sente diviso e frammentario tutto ciò che ha a che fare con la vita.

Al contrario, quando "uno" raggiunge e realizza una relazione forte, vede e sente che la vita si va unificando: entra nell’asse di Dio stesso , che è la relazione del Padre e del Figlio. Chiaramente tutto viene unificandosi.

Per questa operazione occorre uno impegno, si deve fare uno sforzo specifico. Si devono incominciare ad orientare i meccanismi mentali della vita di uno, poi i meccanismi intermentali fra l' io ed il tu, e infine fare in modo che un raggio possa andare direttamente dal cuore di uno al cuore dell’altro.

 

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7 - Trasparenza e reciprocità.

 

 

C’è una parola che mi piace molto e che tornerò ad usare; è quella che esprime l’idea della "trasparenza".

Bisogna raggiungere la trasparenza reciproca dell’ "io" e del "tu". Essere completamente trasparenti.

Poco a poco l’amore deve fare e realizzare ciò che succede in Dio, le due maschere devono diventare delle vetrate trasparenti che lasciano passare dall’ "io" al "tu", affinché si possa andare direttamente dal cuore "mio" al cuore "tuo".

La trasparenza reciproca non è la conclusione ridicola di una violenza, ma è il frutto di un dono reciproco e libero.

La comunione totale delle coscienze, che si realizza, illumina dunque, e supera gli ostacoli che la minacciavano all' inizio.

Abbandona le maschere e i travestimenti, attraversa e supera gli ostacoli, e permea della sua presenza le persone che comunicano fra di loro.

La comunicazione è diretta. L’amore, alla fine, è diretto. L’ "ultimo" amore è "a-simbolico" ed "a-strumentale".

Quando ci si trova lì, si può stare seduti uno di fronte all’altro senza dirsi una parola. È totale.

Raccontano questo di Mecenate e di Orazio: esistono belle storie di amicizia. Mecenate era un uomo del governo dell’imperatore Augusto (al tempo dell’Impero Romano), illuminato e colto, e fomentò le lettere e la cultura.

Strinse un’amicizia molto forte con Orazio, che era un grande poeta. Mecenate, dato che era ricco, aveva molti mezzi. La mattina arrivava a casa di Orazio con la sua carrozza e lo faceva salire in carrozza con lui.

Facevano un giro per le strade di Roma o nei dintorni e poi lo riportava a casa. Orazio racconta che c’erano giorni in cui non si scambiavano nemmeno una parola.

La comunicazione totale può essere "a-simbolica" e "non strumentale".

Puoi portare una rosa a una fanciulla e quello è già un linguaggio.

Ma può essere che tu sia già ad un livello di linguaggio in cui non è necessario dire ad un amico: "ti ho portato in regalo una bella penna stilografica".

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8 - La persona umana: immagine della Trinità.

 

 

Dunque, affinché la persona umana sia tale, vale a dire, immagine della Trinità, deve andare oltre le maschere della natura e giungere ad una forma speciale: l’avere coscienza di sé, dentro dell’altro, e avere coscienza dell’altro, dentro di sé.

Questa è la forma del "noi", questa è l’immagine che noi possiamo vivere - e forse già viviamo - nella nostra vita, della Santissima Trinità.

Il "noi" è, pertanto, la forma più autentica della persona ed è una forma in cui c’è una soggettività bipolare.

Se io sono ancora solo, mi considero un polo solitario del mio soggetto, che sono io.

Quando sono e mi trovo in un "noi", il soggetto di cui io sono parte, acquista due poli, l’ "io" e il "tu", protagonisti allo stesso modo.

Allo stesso modo della Trinità, in cui il Padre e il Figlio sono uguali e ugualmente protagonisti, contemporanei.

La Trinità è una soggettività bipolare.

La Trinità sono due , ma l’amore con cui si amano è così grande da farsi a sua volta Persona, lo Spirito Santo. Dunque sono due. E poi sono tre.

Il "noi" è la forma più autentica della persona ed è l’immagine della "relazione" della Trinità. Questa relazione del "noi" è costituita da due soggetti preesistenti.

Il "noi", tuttavia, zoppica un po' rispetto alla Santissima Trinità. Il "noi" deve accettare soggetti che già esistono. Non può costituirli, evidentemente.

Quando uno entra nel "noi", si rende conto di molte cose: per esempio che sta finalmente realizzando un desiderio, che da sempre desiderava e sognava.

Ma i campi di influenza della attività dell' io e del tu, che prima erano isolati, ora si spostano, per entrare nella sfera dell' influsso della reciprocità di amore che si è creato nel "noi".

L’ "io" non vive più per se stesso o in se stesso, ma vive nel "tu", e con il "tu" vive nel "noi", e cerca di ridurre totalmente la distanza fra i due.

Tutto ciò che vi sto dicendo, voi lo potete vedere come una grande analogia nella Trinità. Si trova lì, tale e quale.

È come se stessi facendo un racconto sulla Trinità - parlando a proposito dell’uomo - ma voi lo elevate e vedete la Trinità.

C’è, inoltre, un dinamismo del "noi" verso il futuro.

Non basta raggiungere il "noi" e rimanere lì, perché tutto ciò si impolvera e marcisce nel giro di quindici giorni.

Il dinamismo è ciò che mantiene una storia ed un' opera d’amore; si tratta di realizzare dei valori molto alti insieme, l'io ed il tu, il "noi".

 

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9 - Amicizia e cameratismo.

 

I greci avevano una legione militare molto celebre, la Legione Tebana, fortissima e quasi invincibile in guerra, e poterono così vincere i poderosi e numerosi persiani.

In tutto l’esercito greco la legione più forte era proprio la Legione Tebana, e la sua caratteristica era questa (molto propria, si potrebbe dire, del Vangelo): accettavano nella Legione Tebana solo gruppi di amici di "a due a due" (Lc 10, 1)

Perché solo gruppi di amici di "a due a due" ?

Perché quando è l' ora della battaglia, uno va alla battaglia con l’amico - gomito a gomito col suo amico - e perciò raddoppia gli sforzi per vincere per sé e per lui, per "loro", per l' esercito greco.

È dunque un dinamismo motivato nel profondo e moltiplicato; vincere la battaglia diventa una finalità non solo esteriore, giacché si sostiene il combattimento con l’allegria di un’unione di amicizia già raggiunta, e con il timore della rottura o della morte.

Si fa una solidarietà incredibile e questo meccanismo è ben conosciuto.

Vi dico un’ultima cosa molto difficile, molto difficile.

Si può far parte, ugualmente, di una relazione non solo di due , ma di tre, di quattro, di cinque, etc.?

No! Avete sentito bene?

No!

Si può far parte invece successivamente o simultaneamente?

Si! Uno può avere tre amici, cinque amici, in momenti differenti... ed anche contemporaneamente. Questo si, ed é un gran bene.

Ma in relazioni diverse, non tutti mescolati.

Sono molto amico di questo, di quest’altro e di quest’altro ancora, ma non di tutti e tre mischiati insieme. Le relazioni si complicano quando si moltiplicano insieme.

Dobbiamo creare in ognuna di esse un’immagine della Trinità.

Non esistono conflitti o esclusivismi se uno lo vive bene.

Ma se tutto succede nello stesso in modo rimescolato, si complica la situazione.

C’è una autore, un sacerdote francese (Maurice Nédoncelle, sacerdote e teologo della scuola cristiana personalista) che, come è stato già accennato, indica una massima: "aut duo, aut nemo: o due o nessuno", al di là del "due", c'è la massa.

Oltre il "due" si raggiunge il cameratismo. Questo sì é possibile, come ad esempio per gruppi in una classe di scuola, gruppi di preghiera, gruppi di vario tipo.....

Inoltre è molto sano che uno abbia molti amici. Ma con ognuno di essi deve avere un rapporto a parte e così è l’immagine stessa di Dio che lì si realizza.

Così succede per esempio in una famiglia. Per voi messicani è molto comune questa immagine. In una famiglia ci sono otto fratelli, o più fratelli ancora; che cosa succede?

Uno ha una relazione a parte con ogni fratello e diversa l’una dall’altra.

Ogni volta, se tu costruisci bene un rapporto, fino a raggiungere un’amicizia, si realizza l’immagine di Dio.

Poi, un altro esempio: la festa della mamma in una famiglia, e stiamo tutti insieme. In questo caso c’è cameratismo, c’è familiarità, ma se invece parlo singolarmente con il fratello, che in più è anche amico, allora il livello é più profondo e più significativo.

La stessa mamma, per esempio, ha un rapporto diverso con ognuno dei suoi figli, non li ama in blocco, nel mucchio, ma uno ad uno ed in modo differenziato e specifico per ognuno: ha un rapporto profondo e differente con ognuno dei suoi figli.

Con questa annotazione terminerei la prima parte della riflessione odierna.

 

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10 - Il regime di libertà.

La seconda parte di questa riflessione è quella relativa al regime o ambito in cui avviene la relazione d’amore.

L’ambito della relazione con Dio viene generalmente chiamato Fede, e nel suo livello più alto si può chiamare "l’Amore di Dio".

L’ambito delle relazioni umane, invece, viene chiamato amore o amicizia.

Ma il regime dei due amori, sia "l’amore divino", sia "l’amore umano", ha la stessa struttura fondamentale, che è quella che andremo a esaminare.

Vi dirò perciò ora una parola importante: la "penombra".

È un "regime o stato di penombra", che vuol dire ciò che segue: cinquanta per cento di luce e cinquanta per cento d’ombra.

Vi ho già citato la famosa frase: "visto che puoi dirmi di no, per questo puoi dire di sì". Questo è il regime della penombra.

Se non c’è il cinquanta per cento di "ombra", non puoi dire di no; dunque, se non puoi dire di no, non puoi dire di sì; se non hai la libertà e la possibilità di dire di no, vuol dire che non hai neppure la libertà e la possibilità di dire di sì.

Qui giungiamo ad un grande problema di Dio: Dio ha avuto, in realtà, molti problemi per mettere su e montare questo gigantesco "teatro", che é la creazione, soprattuto la creazione dell' uomo.

 

Uno dei problemi fondamentali che Dio ebbe nel montare su il "teatro" della Creazione fu questo: come fare per creare un regime di libertà? È un problema difficile da risolvere.

Egli voleva un regime di libertà perché voleva un "essere" (l’uomo) capace di amore, e per creare un essere capace di amore, deve esserci un regime di libertà.

Se tu non crei un regime di libertà, l’essere non è capace d’amore: l' amore nasce solo da un atto libero.

 

E' il cagnolino che si accontenta della sua bistecca senza bisogno di alcun atto libero: ma quello del cane non è infatti amore per la bistecca, ma è una semplice conseguenza della fame, cioé di un determinismo naturale.

Dunque, il problema di Dio, creando l' uomo, era quello di creare un regime in cui si potesse dirGli di no, cioé un regime di libertà, o di penombra: tanto di possibilità di dirGli di sì e tanto di possibilità di dirGli di no

E la stessa cosa, analogamente, succede con gli amori umani. La persona che vuole essere tua amica, tua amante, etc...... deve poterti dire di no: solo se ti può dire di no, potrà dirti di sì.

In effetti, il regime di libertà esiste anche tra fratelli.

Ci sono fratelli con cui abbiamo un semplice rapporto di cameratismo, oppure solo abbiamo una comunione di sangue, di beni, ci frequentiamo; ma ci sono invece fratelli con cui scelgiamo, con cui siamo liberi di essere in amicizia.

Questa è la libertà.

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11 - Libertà e Dio.

 

 

Questo regime di libertà è della massima importanza per Dio.

Egli doveva creare un regime in cui Gli si potesse dire di no, diversamente non ci sarebbe stato nessun altro sistema per poterGli dire di sì.

A sua volta anche Dio è libero.

Ma la Sua libertà è diversa dalla nostra.

Dio è "atto puro" come dicono gli "esperti". Nel momento in cui vuole una cosa, la cosa è, cioé volendola già la crea; oppure se non la vuole, la cosa non è, non la crea.

Questa è la libertà di Dio, cioé di volere o di non volere, cioé di creare o di non creare. Noi invece non abbiamo il potere di creare o di non creare, ma - nel nostro regime di libertà o di penombra - semplicemente abbiamo il potere di accettare o non accettare il creato, di dire si o di dire no a ciò che é già creato, di amare o di non amare.

Dunque, Dio ha dovuto mettere su, montare, tutto un gran "teatro". Il teatro dell’universo è montato con questa caratteristica: di essere metà ombra e metà luce. Cioé ci sono ragioni per dire no e ragioni per dire sì: questa é la soglia della libertà del cuore umano.

Questo si vede molto chiaramente nella Sacra Scrittura, nell’Antico Testamento: "Vedere Dio è morire (morire a questa vita)", perché, se lo vedi così com’è, esci dal regime della penombra e Lo vedi completamente e in tutta la sua luce, la sua chiarezza e il suo splendore, viene perciò a mancare la possibilità di diGli di no.

 

Nel momento in cui vedi Dio, non riesci e non puoi più dirGli di no, perché lo vedi proprio come Egli è. Dunque, se non puoi più dirGli di no, non puoi neppure più dirGli di sì, e lì dunque finirebbe il regime della libertà e perciò il regime della vita umana in questo mondo : non c'é persona vivente senza libertà. E così se si perde la libertà si muore a questo mondo di penombra, percò dice la Scrittua:"vedere Dio é morire".

Quando i pagani ci dicono: "e perché se Dio esiste non si mostra?" cioé intendono che si mostri per completo.

"Dio non si mostra per completo, mentre siamo nel regime di questo mondo, perché se ti si mostrasse per completo, tu non saresti più in grado di rifiutarlo", cioé non saresti più libero. Questo è il motivo.

Ma Dio non vuole questo. Egli desidera che tu abbia una possibilità reale di rifiutarlo, perché potendolo rifiutare, proprio per questo tu puoi avere una vera possibilità di compiere un atto libero di amore, cioé dirGli di sì (senza libertà non c' é amore e l' amore é l' unico interesse di Dio).

Negli amori umani abbiamo un esempio chiarissimo.

Quando amate una persona, una delle cose più belle di una persona che vi ama è che quella persona che vi vuole bene avrebbe potuto non volervene.

Questa è la cosa più bella: "questa persona ha veramente preso una decisione in mio favore." Poiché poteva dirvi di no, perciò ha potuto dirvi di si.

 

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12 - Penombra e libertà.

 

Dio non è meno in questo. Dio infatti non vuole essere amato con il tipo di amore con cui un cagnolino ama la sua bistecca.

Dio vuole essere amato come un amico è amato dal suo amico. La Sacra Scrittura dice che Dio parlava a Mosè "come un amico parla al suo amico".

Per questo motivo Dio ha dovuto creare e montare questo sistema, e il sistema si chiama "penombra", 50% di ragioni a favore e 50% di ragioni contro: sei libero.

Bisogna dire che il regime di "penombra", sia per quanto riguarda i nostri rapporti con Dio, sia per quanto riguarda noi e i nostri amori, ha un po’ più d’ombra che di luce.

Quando Dio ha creato l’uomo, lo fece in un regime del 50% di luce e del 50% d’ombra; ma con l’avvento della situazione di "peccato originale", la "percentuale" si è accresciuta in favore dell’ombra; non è scomparsa la luce, ma è aumentata la quantità d’ombra.

Diciamo, per dare un’idea, che ora c’è un 53% d’ombra e un 47% di luce, a causa dellla situazione di "peccato originale" (.... come se facessimo percentuali da ingegnere .... tutta la storia del "peccato originale" la lasciamo invece per il momento in cui studierete teologia).

Dunque, sia nei nostri amori, sia nell’amore per Dio, dobbiamo continuare a lottare, oltre che contro le maschere, le esteriorità, le infedeltà, etc., anche contro la situazione di "peccato originale", che accresce la quantità d’ombra.

Ma non finisce la luce.

 

Noi cattolici siamo una "specie" ottimista, perché sappiamo che ci resta un buon 47% di luce, più o meno.

E proprio nello stato di penombra sopraggiunge l’atto più sublime e misterioso della persona umana.

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13 - L' atto libero della coscienza e la "genealogia divina" della persona umana.

 

 

Qual è l’atto più sublime e più misterioso della persona umana? È l’atto libero della coscienza!

L’atto libero della coscienza è un atto grandissimo.

È un atto misterioso, nel senso che non lo potremo mai compiutamente descrivere, ed al tempo stesso è totalmente reale e chiaro alla coscienza che lo compie.

Colui che lo compie, sa perfettamente ciò che fa e cosa significa.

Questa è la cosa più propria e più conosciuta dalla persona, che la percepisce con la massima lucidità e come qualcosa della sua stessa essenza.

Allo stesso tempo, questo atto libero, supremo e misterioso sta "al di là" della soglia della stessa natura umana: é una realtà perfettamente reale ed é un "al di là" rispetto alla semplice natura umana.

Non possiamo nemmeno descriverlo compiutamente, pur avendone una autocoscienza perfette e sicurissima: abbiamo coscienza proprio certissima di esso, e allo stesso tempo non possiamo descriverlo del tutto: é un "al di là della soglia" della natura umana.

Se risaliamo pian piano i pendii della montagna che é la persona umana, e la descriviamo in tutte le sue parti, giungiamo alla fine ad un ultimo limite: oltre questa porta, termina la descrizione del creato dell’uomo.

L’atto libero è oltre questo limite, oltre questa soglia.

Vi ricordate del soffio con cui Dio creò l’uomo, e gli soffiò lo spirito? Questo è veramente il "marchio" di Dio.

L’atto libero è il "marchio supremo" della nostra somiglianza con Dio, della nostra genealogia divina.

È una trascendenza totale rispetto alla natura animale creata; è la possibilità del processo privilegiato della realizzazione dell’immagine trinitaria all’interno delle relazioni umane.

È "un più in là", un "più oltre", percepito come assolutamente reale. È la parte più reale della mia identità, del mio "io".

Quando il "tu" mi offre il suo "al di là", il suo "più oltre", cioé il suo atto libero, mi accorgo che mi offre la parte più reale di se stesso, e questo in nessun modo si può descrivere compiutamente, e un "màs allà".

È un atto che la natura non può circumnavigare del tutto o abbracciare completamente, mentre l’ "io" sì lo percepisce con totale realismo.

La ragazzina che non ha fatto studi teologici o filosofici, quando compie l’atto libero di donarsi con sincerità e amore, e di cuore, sa quello che sta succedendo, ma non lo può descrivere compiutamente.

Nell’atto libero davvero tocchiamo il divino e il mistero che è dentro di noi, come dicono tutti i mistici e come cantano tutte le canzoni del celebre cantautore messicano Agustìn Lara.

Ed ecco di nuovo che, a questo proposito, vengono i pagani, con le loro teorie o le loro caricature.

I filosofi e gli psicologi deterministi (i pagani devono essere per forza deterministi, perché per loro tutto è determinato da processi tecnici della natura), anche i più grandi e profondi filosofi e psicologi deterministi, rimangono sempre poveri di fronte al massimo mistero dell’essere umano, che è l’atto libero della sua coscienza.

Hanno sempre cercato di descriverlo e di costringerlo in forme animali elaborate ed anche evolute, ma animali.

Purtroppo .... anche qualche superiore religioso fa questo.

Alcuni Superiori Religiosi si lasciano abbagliare dall’illusione di potere pre-conoscere , pre-determinare, e pre-controllare i loro sudditi, i loro religiosi.

Quando sarete superiori, non lasciatevi accecare da questa meschina illusione. Con tecniche psicologiche non potrete pre-determinare i vostri subalterni, e se poteste non sarebbe lecito, perché sarebbe una violazione della coscienza umana

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Non si può distruggere il rischio a cui Dio è andato incontro con l’uomo: ricevere un no libero, a cambio dell’autentica possibilità di ricevere un sì libero!

Il sì libero si chiama "amore".

 

 

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SESTA MEDITAZIONE

 

I DUE AMORI

 

 

Quando si parla d’amore, generalmente si incontrano reazioni positive.

Alla gente piace questo tema.

Dunque, non smettete di prestare attenzione a questa tematica, per includerla nella vostra predicazione quando sarete "sacerdoti".

 

 

1 - Le varie facce dell' amore.

Queste reazioni positive sono a volte frutto di un generico sentimentalismo.

Allora si rimane ad un livello molto superficiale.

Altre volte si tratta di persone che sono prese da un romanticismo anacronistico.

In diversi casi ci imbattiamo in persone che non hanno una grande concezione dell’amore ed hanno invece una visione piuttosto solitaria, egoistica, ego-centrica ("se l’amore è buono, venga pure da questa parte"!).

In proposito c’è un’immagine, cui mi piace riferirmi: quella del signore che va al cinema a vedere un film. Si trova in una grande sala nell’oscurità. È solo, perché nella sala c’è una sola sedia per lui.

Si trova solo, nel centro della sala, di fronte allo schermo su cui si vede il film.

 

Egli è l’unico spettatore del film.

Tutte le persone che compaiono nel suo mondo, sono parte del film; è ben risaputo che non si può conversare con un film.

Tutto e tutti si presentano a quest’unica persona, all’ego-centrico, al solitario, per lui solo.

Un’idea simile dell’amore sarebbe una idea cattiva, perché in realtà fomenta l’egoismo, e in ultimo termine fomente l’ego-latria.

D’altro canto, devo dirvi che sono anche molto contrario all’amore "altruista".

L' amore "altrista" mi sembra l’egoismo visto dalla parte opposta.

Ritornando all’esempio del signore che guarda da solo il film, si può notare che egli considera le altre persone come "utili", utili per l’ "io", cioé utili per lui.

Questa è una questione molto sottile che ci riguarda da vicino: il "buono" è l’utile, ciò che mi conviene, é "buono" ciò che mi porta vantaggio.

Io sono stato cappellano di monache di clausura e ho dovuto combattere con i pagani - ci sono anche dei pagani-cristiani -: a cosa "servono", quale vantaggio portano le monache di clausura? Questo chiedono i pagani (e anche i pagani-cristiani).

Perché, se una cosa o una persona non è utile, non porta vantaggio, non mi porta vantaggio, a cosa serve?

L’idea è che tutto deve sempre essere utile, soprattutto utile all’ "io".

Esiste anche quest’utilitarismo cristiano, di vedere l’amore in chiave di "utilitarismo cristiano". È cosa buona se è utile.

 

Questo si allontana dalla visione di fondo, che sarebbe che l’amore non deve essere "utile" a nessuno, se non solo a Dio.

E che utilità ne ricava Dio? Ha l’utilità del Suo amore di "fotografo", perché gli piace sempre fare molte "fotografie", di debordare, tracimare, da Se Stesso, dal Suo proprio amore, di moltiplicare il Suo proprio amore.

Quando si realizza "questa utilità" dell’amore, l’amore funziona.

Dicevamo prima che quando si parla d’amore, si trovano reazioni positive.

Bisogna dire, andando più a fondo, che il nostro tempo, la nostra epoca, è particolarmente aperta alla tematica dell’amore.

Non è per semplice curiosità intellettuale o mistica che parliamo dell’amore.

Io credo che l’amore sia una grossa sfida per la Chiesa. Dovremmo sempre chiederci: come rispondiamo noi a questa inquietudine così grande del nostro tempo?

Forse che saremmo disposti ad abbandonare un tema, che è il tema chiave di Dio, in mano a coloro che sono più lontani da Lui, perché lo rovinino o corrompano a loro piacimento?

Non dovremmo piuttosto essere noi quelli che meglio lo vivono e lo presentano?

Per essere sacerdote oggi, bisogna essere specialisti in molte cose, ma soprattutto specialisti di Dio e di amore.

Se un sacerdote non sa nulla di queste cose, gli si potrebbe applicare la parola di Cristo: "[..] se il sale perde il sapore ... a null’altro serve se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini." (Mt 5, 13).

Dunque: dove ci conduce questo fiume tanto grande che scorre nel mondo odierno, questo fiume dell’amore, che è così pieno di mulinelli, anche pericolosi, e con tante splendide illuminazioni e folgorazioni del cielo?

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2 - La forza dell' amore: dove conduce ?

 

Dove ci conduce l’amore?

Incominciamo dal livello più elementare dell’amore, che è il livello morale, l’amore è fondamentale per il cristiano perché compie un’operazione morale basilare: combattere e lottare contro l’individualismo e l’egoismo, che tendono a incentrare la persona su se stessa (la ego-latria).

Quando uno è concentrato su se stesso, è come una bomba a orologeria: prima o poi esploderà.

L’amore ha un altro vantaggio: é molto contestatore e battagliero. Combatte alla radice il paganesimo, che concentra tutto nell’idolatria dell’"ego", nell' idolatria dell' "io".

L’amore vero lotta contro tutto ciò, lo sfida, lo spinge via, non gli dà pace; non lascia tranquillità al pagano: questi è sempre messo alle strette dall’amore, e mai sa cos’è.

Che cos’è l’amore? L’amore è una reciprocità, una comunione dinamica tra un "io" e un "tu". È una "diade" (un "a due"), come si dice in un’altra lingua (il francese).

Facciamo, per esempio, un piccolo calcolo riguardo alla relazione dell’ "io" e del "tu". Quante relazioni ci sono fra un "io" e un "tu"?

Un’osservazione molto superficiale direbbe che ce n’è una sola, ma non è vero.

Ne esistono sei. Contatele con me:

una dall’ "io" al "tu",

una dal "tu" all’ "io",

una dall’ "io" al "noi",

una dal "tu" al "noi",

una dal "noi" al "tu",

una dal "noi" all’ "io".

E sono sei. Tra due persone ci sono sei relazioni.

E se si siedono a tavola invece di due amici, tre amici, il numero delle relazioni fra loro aumenta in progressione geometrica, cosicché si moltiplica: fra tre amici ci sono nove relazioni possibili di cui tener conto, fra quattro amici ci sono sedici relazioni possibili...

In verità è impossibile stare dietro a tutte le relazioni possibili quando aumenta il numero delle persone.

D' altra parte occorre dire che la persona è molto soggetta all’amore.

Questo è un altro dei livelli di importanza dell’amore: quando una persona vuole scoprire la verità su se stessa, deve partire dall’amore; quando uno entra in una relazione interpersonale molto profonda, scopre finalmente la verità su se stesso.

 

 

Quando uno riesce ad andare oltre le maschere dell’ "io" e del "tu" e riesce ad arrivare direttamente all’altro e ritornare, e costruisce una reciprocità amica e trasparente, che è il "noi" dell’amore, allora scopre veramente chi è lui e perché Dio lo ha creato.

Qui scopriamo che cosa voleva Dio da noi nel crearci e così scopriamo chi siamo realmente.

Allora si arriva a ciò che si potrebbe denominare una "soggettività bi-polare". Il soggetto sente che è lui, ma "lui in due".

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3 - La "diffusione" dell' amore: come si propaga ?

 

Ora ... un' altro passo: come si diffonde l’amore?

Un modo un po’ generico è che tutti ci amiamo tra tutti in generale e ....va bene: ma rimane una specie di indistinzione ed imprecisione generale e generica.

L’amore possiede, in effetti invece, una sua legge di propagazione abbastanza umile e modesta, e al tempo stesso, potente. Tende a diffondersi "di due in due".

Io sono in relazione con un amico; poi quest’amico può essere in relazione con un altro amico, poi con un altro amico, poi con un altro ancora, e così via...... e io stesso, a mia volta, con un altro amico, in un altro momento, e con un altro, e questi con un altro e così successivamente.....

Si forma come una sorta di rete.

È curiosa questa parabola di Nostro Signore:"Il Regno di Dio è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci" (Mt 13, 47).

Questo l’ho capito fin da quando ero seminarista. Mi trovavo nel Seminario Pio Latino a Roma; stringemmo forti legami d’amicizia: le relazioni di allora furono molto intense e così abbiamo formato una grande rete, ... fino ad oggi.

Ogni nodo della rete è un’amicizia: così è la parabola della rete e del Regno.

Cosicché l’amore si propaga con modestia, non come una massa che cammina come un esercito.

Prestate attenzione ad un altro esempio: ormai conosco le famiglie messicane.

Pensate alla mamma di una delle vostre famiglie numerose di figli; l' amore della madre è l’amore più singolare; lei ha molti figli, ma li ama ad uno ad uno, non li ama in massa.

Per ognuno ha una parola speciale, un affetto speciale, una attenzione speciale. Questa umiltà è degna dell’amore.

Non è una forma trionfale dell’essere, ma la forma divina dell’essere.

Dio si muove così, modestamente, all’improvviso. Ma si muove anche "come un ladro nella notte". All’improvviso ti ruba il cuore.

 

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4 - La promozione della persona.

 

L’amore ha inoltre la tendenza a promuovere la persona.

La fa essere e la induce a realizzarsi, attraendola come se fosse la sua stessa ombra che cammina dinanzi a lei, che la attrae davanti a lei, che è l’ideale stesso di uno, che cammina e lo porta verso una relazione d’amore.

L’amore cammina davanti a noi, ci precede.

Pensavamo di cercarlo, e invece era lui a cercarci. Quando lo abbiamo trovato, era qualcosa di "superiore" e "diverso" rispetto a quello che avevamo pensato, cercato, costruito: è un "effetto" totalmente "superiore" e "diverso" rispetto alla causa che avevamo posto.

Pensiamo di seguire l’amore, ed è lui che ci insegue, che ci attrae, che ci affascina quasi inconsciamente, è lui a darci la forza di superare i momenti difficili della vita.

Al fondo del "noi" (dell’ "io" e del "tu") si scopre una Presenza misteriosa e reale.

Entrambi (il "tu" e l' "io")sanno che questa Presenza si trovava lì prima di loro, li aveva attratti, li aveva chiamati lì, e li conduce.

L’amore è una Presenza sproporzionata rispetto a tutto ciò che noi avevamo pensato, pianificato, costruito.

È come se uno dicesse: "mi farò una casa", e costruisse una piccola capanna, e si ritrovasse poi con un palazzo di venticinque piani, direbbe: com’è stato possibile questo?

Precisamente si tratta di qualcosa di molto sproporzionato rispetto a ciò che egli aveva avuto intenzione di costruire.

C’è una Presenza: la reciprocità fra l' io ed il tu è il "luogo" in cui Dio è più presente.

Cristo ci comanda l’amore, perché è proprio lì che incontreremo Dio.

Nel fondo di tutti gli amori si trova questa Presenza, che è Dio!

Anche per ciò che riguarda coloro che non sono buoni, sempreché abbiano un pò di amore, nel fondo dei loro amori Dio li sta aspettando, inquietando ed attraendo.

Vi farò un esempio riguardo a questo caso.

Ci sono alcuni che vanno con delle prostitute, il ché per molte ragioni é un male: c’è gente che si ferma solamente alle loro "qualità" molto esteriori.

Ma ci sono anche dei casi in cui la persona che va con una di loro, finisce con innamorarsi di lei, e viceversa.

A questo proposito la Chiesa, già nel 1600, aveva stabilito che colui, che si sposi una prostituta, ottenga ... addirittura l’indulgenza plenaria....

 

Non vi sembra significativo che anche al fondo di un amore, che sembrerebbe perduto, la Chiesa abbia pensato che si possa trovare una salvazione ??

 

"Come un ladro nella notte", dice la Lettera ai Tessalonicesi, così Qualcuno é "presente" - come in attesa - al fondo di ogni amore.

Voi troverete molti casi difficili nel corso della vostra attività pastorale.

Mi hanno appena detto che alcuni sacerdoti vostri, di voi "Cruzados", sono andati in servizio pastorale in Honduras. Lì hanno trovato vari casi di semplice "convivenza" fra un uomo e una donna: cosa fare pastoralmente in questi casi?

Si deve sempre cercare di salvare ciò che vi é di buono, soprattutto il buono dell’amore, quando esiste: "non spegnere il lucignolo fumigante".

Così quando ci sono le predicazioni delle "missioni" nelle parrocchie, bisognerebbe possibilmente aiutare i "conviventi" a giungere alla scelta del matrimonio, perché possano realizzare in pieno il loro amore.

 

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5 Una Presenza misteriosa.

 

Ecco dunque che: al fondo di ogni amore si scopre sempre una Presenza misteriosa, che ci attende e che ci ha preceduto.

Veramente quando uno comincia ad amare gli viene voglia di mettersi in ginocchio, di togliersi le scarpe come fece Mosè dinanzi al roveto ardente, o di coprirsi il volto come fece Elia fuori dalla grotta sul Monte Oreb. "Togliti i calzari, Mosè, perché questo luogo è sacro".

Egli era curioso di avvicinarsi, perché vedeva un fuoco che ardeva e non si consumava. È vero che l’amore è un fuoco che arde e non si consuma. "Esci, Elia, dalla grotta, che passa Dio". Coloro che amano lo sanno molto bene: "passa Dio".

"L’amore è come il vento: ascolti la sua voce e non sai da dove viene, né dove ti conduce", quello è Dio. Quella è la prova di Dio.

Ci sono uomini che non avevano fede, ma furono molto amati da una sposa, ... da un compagno d' armi che diede la vita per loro ... e si ritrovarono con la fede.

C’è poi, inoltre, qualcosa ancora in più nell’amore.

Due persone, che si addentrano in una relazione d’amore, si vengono a trovare in una situazione molto interessante.

I due naturalmente sono alla pari, si potrebbe dire che sono uno contemporaneo all’altro: succede la stessa cosa nella Santissima Trinità. In Essa il Padre e il Figlio sono uguali e contemporanei.

Inoltre l’ "io" e il "tu", visto che sono totalmente uguali, a causa del loro amore si generano reciprocamente, cosicché l’io sente che genera il tu, cioé in certo senso l’io viene ad essere prima del tu giacché lo sta facendo essere; allo stesso modo e contemporaneamente il tu sente di generare l’io e così, a sua volta, il tu viene ad essere prima dell’io.

In tal modo, nell’atto d’amore l’io e il tu sono, in un certo senso e sensibilmente, contemporanei, precedenti e successivi, l’uno all’altro, nello stesso atto.

Si sperimenta così, nell’amore, qualcosa dell' "eterno", nel senso che si percepisce tutto come contemporaneo, come passato e come futuro, nello stesso atto e momento.

In definitiva, è impossibile sfuggire al problema di Dio nel cuore della persona che si ama.

E Dio, di per sé, si comunica proprio attraverso il ricamo dell' amore umano.

Diverse sono le motivazioni del comandamento dei due amori: amare Dio e amare il prossimo.

Ma una ragione fondamentale è certamente questa: ci è stato comandato di amare il prossimo, perché in questo amore umano sperimentassimo la presenza di Dio e la vita eterna nel suo dinamismo. In questo modo, quando uno parla di Dio e della vita eterna, parla di ciò che conosce già, di ciò che ha assaporato e sperimentato, e non di ciò che ha letto in un libro.

È molto diverso ciò che uno ha sperimentato da ciò che uno ha solo letto su un libro oppure semplicemente valutato con degli astratti ragionamenti.

 

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6 - Tre tipologie di amore.

 

 

Passiamo ora ad un altro punto: ci sono vari tipi di amore. Essi corrispondono generalmente a tre tipologie principali, che sono di fatto le tre principali relazioni trinitarie.

1) Gli amori che hanno una caratteristica prevalente di amore di parità, o di maturità. Questo è un amore di perfetta reciprocità, in cui i due sono completamente alla pari. Generalmente, questo corrisponde all’età adulta, all’età matura, della metà della vita umana. Per esempio, l’amore fraterno in cui entrambi sono uguali, l’amore coniugale, il cameratismo, l' amicizia etc...

2) L'amore filiale, di dipendenza, o anche "eucaristico", dal basso verso l’alto, ricettivo .... Per esempio, l’amore dei figli verso i genitori, l’amore dei nipoti verso i nonni, degli alunni verso i loro maestri, di chi intraprende un gioco o un arte per chi gliela insegna, etc. Questo amore corrisponde di fatto all’età giovanile della vita.

3) L’amore paterno, generativo, dall’alto verso il basso, di anzianità ..... é donante, di eredità, paterno...., contrapposto e complementare al tipo precedente. Corrisponde alla terza tappa della vita. E' significativo che nelle famiglie si formano spesso rapporti più forti tra nipoti e nonni, che tra figli e genitori.

Se ora osserviamo la Santissima Trinità, scopriamo che in Essa esistono queste tre tipologie di base: l’amore del Padre per il Figlio, o amore paterno; l’amore del Figlio per il Padre, o amore filiale ed eucaristico; e l’amore del Padre e del Figlio, perfettamente reciproco e uguale, che noi chiamiamo Spirito Santo.

Su questa tematica ritorneremo più avanti, quando parleremo dei discepoli del Signore Gesù e di Cristo stesso, e soprattutto quando toccheremo il tema dei "criteri" per capire la vocazione sacerdotale.

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7 - Il "radicalismo" dell' amore: o é tutto, o non é.

 

 

Continuando, proviamo ad addentrarci di più nel tema dell' amore. Il cristianesimo ha infatti introdotto nella visione dell' amore una concezione che lo caratterizza profondamente.

La concezione dell’amore cristiano non è uguale alla visione dell’amore di altre religioni o di certe culture.

Siamo così imbevuti di cristianesimo, che abbiamo modi di essere che di per sé sono ormai cristiani, ma che ci sembrano naturali; ma non è così: non sono solo naturali, derivano fondamentalmente dalla nostra fede cristiana.

Quando San Pietro arrivò a Roma trovò concezioni e modi molto differenti sull’amore.

Noi là in Europa abbiamo i mussulmani molto vicini a noi. Per esempio io vivo in una casa libanese di suore francescane, da 19 anni. Esse convivono, in Libano, con i mussulmani, e veramente raccontano che essi sono così diversi nella concezione e nella struttura dell' ’amore e nel valore che danno alle persone, e specialmente alle donne, nella loro religione musulmana.

In definitiva, il cristianesimo ha introdotto nell’amore un elemento molto specifico, che caratterizza appunto l’amore cristiano: cioé l’ "assolutismo totalizzante e totalitario, estremo e definitivo".

L’amore cristiano è radicale ed "imperialista", perché nel momento in cui noi diciamo che è Dio, questo è totale, è tutto. E da lì scaturiscono molte conseguenze: amare - diciamo infatti noi cristiani - é per sempre e del tutto.

Anche negli amori cristiani più tragicamente deviati, si rivelano, non di rado, queste radici cristiane (Denis de Rougemont, "L’Amour et l’Occident", Paris 1935).

Quando, ad esempio, vedete il film di Zeffirelli, "Romeo e Giulietta" di Shakespeare, considerate quel grande amore come un amore splendido, ma allo stesso tempo come un amore deviato, perché finisce con un suicidio.

Ma anche così deviato gli resta un alto livello religioso e risente di forte espressione cristiana, per il suo assolutismo totalizzante e totalitario, anche se di un cristianesimo ormai deviato, a causa del suicidio.

Anche nei miti medievali, come quello di "Tristano e Isotta", per quanto l’amore sia deviato, giacché in questo caso si tratta di un tradimento, esso porta in sè i semi del radicalismo cristiano dell’amore.

C’è, in verità, anche un certo tipo di morale accomodante, dentro il mondo cristiano, abbastanza riduttiva e tranquillizzante a riguardo all’amore: è di impronta determinista.

Cioé pensa di poter sfuggire alla possibilità di un amore deviato, liquidando l’assolutismo dall’amore.

A questa visione non sembra conveniente il radicalismo dell’amore, allora si tende a sminuirlo. Questa è una visione riduttiva.

Ma sarebbe ancora più ... tranquillizzante, se si eliminasse del tutto l’assolutismo dell’amore... ed a dire il vero, si sarebbe del tutto più tranquilli se si eliminasse ...l’amore stesso, come forza inquietante e incontrollabile ... mantenere la gente come se avesse dodici anni di età, e così nessuno si preoccupa più....

No, questo non è veramente possibile, né ammissibile.

San Giovanni dice: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede." (Prima Lettera di San Giovanni, 4, 7 ss).

È chiarissimo: come puoi incontrare Dio, che non vedi?

Generalmente Dio ci si presenta proprio così, attraverso la filigrana dell’amore umano.

Così "vediamo" Dio e così lo amiamo. Quando nel fondo dei nostri amori scopriamo questa Presenza misteriosa di Dio, non possiamo non amarlo.

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8 - Lo Spirito Santo: L' Amore in Dio e l' Amore di Dio.

 

 

A questo proposito una domanda: come si va dal Padre al Figlio? Si va con lo Spirito Santo. La relazione dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre, il viaggio dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre é chiamato ed é lo Sprito Santo, cioé l' Amore di Dio.

Per andare invece dall’ "io" al "tu", come si va? Si va mediante l’Amore, che è Dio, che é l' Amore di Dio.

Quando ho bisogno di arrivare al cuore di un "tu", devo andarci con lo stesso "mezzo" con cui si va dal Padre al Figlio, vale a dire con lo Spirito Santo.

Così, ogni volta che dico a una persona "ti amo", amo l’Amore con cui la amo, vale a dire, amo Dio e dico perciò - con le stessissime parole - al mio Dio "Ti amo".

Si tratta di una giaculatoria molto facile e bisogna dirla spesso: "Come puoi amare, senza amare l’Amore con cui ami? Amando l’Amore con cui ami, ami Dio".....

Anzi piuttosto tu ami prima Dio che il "tu", perché per arrivare al "tu" devi andarci con la vettura che ti conduce verso il "tu" stesso. Vale a dire che devi amare prima l’Amore con cui ami, che è Dio, rispetto alla stesso "tu" verso cui va il tuo amore e che ami.

Non solo l’ "io" ama il "tu", ma l’ "io" ama Dio, e Dio ama l’ "io", e Dio ama il "tu" e Dio ama il "noi".

Tanto é questo vero, tanto é così, che Egli ci ha preceduti, e ci ha costituiti, e ci conduce.

È tutto uno scenario, che Dio ha montato, perché ci sia la similitudine di Lui, la immagine di Lui, nello scenario; addirittura é come una "reinvenzione" che Egli fa di Se stesso in ogni persona ed in ogni amore.

Ecco, Dio ha reinventato Se Stesso! È che Dio ha un potere impensabile: quello "reinventare" Se stesso!

E credete voi che Dio non ami tutto questo?

Nel nostro rapporto con Dio, non solo possiamo rivolgeGli preghiere e petizioni; ma fondamentalmente la cosa più interessante è che possiamo amarlo ed essere amati da Lui.

Egli così tanto ci ha amati, che ci ha preceduti: quando lo cercavamo senza forse ancora conoscerne il nome ed il mistero, Egli già ci aveva preceduti e ci attendeva.

Questa è un’idea che dovete avere molto chiara: "come un ladro nella notte", dice la Sacra Scrittura (I Tessalonicesi 5, 2; Apocalisse 16, 15; Luca 12, 39 ss; Matteo 24, 43 ss), aspettando nell’oscurità; proprio lì stava Dio aspettando che passassimo, come in agguato e zac! Ci ha trovati, lo abbiamo trovato!.

Così siamo entrati: pensavamo di entrare in "un" amore! Ed...ecco che invece siamo contemporaneamente in "due" amori! Amiamo il "tu" e amiamo Dio, nello stesso atto.

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9 - "Co-intuizione, per trasparenza".

 

Questa sì che è davvero preghiera : Amare Dio, con un’operazione che potremmo definire di "Co-intuizione per trasparenza".

 

"Co-intuizione" significa che, nel momento in cui guardo una cosa, con lo stesso sguardo ne vedo ed osservo anche un’altra (San Bonaventura sviluppa questo bel tema).

Non intuisco (intuire = guardare dentro) nel "tu" solamente, ma piuttosto intuisco contemporaneamente anche in Dio, con lo stesso sguardo.

La trasparenza sta nel fatto che lì si rende trasparente Dio stesso e pertanto devo essere scalzo, perché si tratta di un luogo sacro.

La "Co-intuizione per trasparenza" ci aiuta molto per comprendere e risolvere molti problemi dell’amore.

Eh sì, molti pensavano che l’amore fosse molto facile o banale; e invece no, è la cosa più interessante, complessa, e importante della vita.

Ognuno di noi si trova nella vita principalmente per questo.

Dunque, dovete approfondire tutto quello che è il mistero dell’amore; e soprattutto lo devono approfondire i sacerdoti, che rappresentano l’amore di Dio e che sono esperti di umanità ed esperti di Dio. Proprio così!

Così, il tema della "co-intuizione per trasparenza" ci aiuta a comprendere e a risolvere vari problemi dell’amore.

Il primo è il seguente: l’assolutismo e l’autonomia dei due amori, cioé dell’amore del "tu" e dell’amore di Dio. (Vale a dire, dell’amore umano e dell’amore divino).

Entrambi gli amori sono infatti totalitari.

All’improvviso cercavamo un amore e ci ritroviamo con due, ed ambedue totalitari.

E non si escludono a vicenda!

Ma come fanno ad esistere allo stesso tempo, se ognuno di loro è totalitario e vuole tutto per sé?

Ed inoltre il "tu"(sia il"tu" umano, che il "Tu" divino), se é corretto, è anche violento.

Quindi nessuno dei due amori, l' amore umano e l' amore divino, deve essere strumentalizzato dall’altro. Su questo aspetto facciamom una pausa e torneremo dopo.

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10 - La "condiscendenza" di Dio e l' unità dei due Amori.

 

Il secondo punto che la "co-intuizione con trasparenza" ci aiuta a risolvere è l’"unità dei due amori" in reciproca autonomia.

Noi tutti ed ognuno di noi vogliamo non essere divisi dentro di noi stessi.

Vogliamo amare la nostra madre, il nostro amico, la nostra fidanzata, o un’altra persona, e allo stesso tempo amare Dio, senza sentirci divisi dentro di noi.

 

Il tema della "co-intuizione con trasparenza" ci aiuta a risolvere questi due punti.

Dio è l’infinita trascendenza, abbiamo detto. Lo spazio e il tempo non possono imprigionarlo.

Ma è anche l’infinita condiscendenza, Dio è benevolo con coloro che si avviano sul cammino del suo amore.

 

 

Per questo motivo, della Sua infinita condiscendenza, Egli si aggiunge al "tu" e al "noi", Egli si fa presente e compare lì al fondo del "tu" e del "noi".

Questo è un aspetto curioso per i pagani.

Anche i pagani si amano. Dio li ha fatti.

Quando due pagani si amano, proprio lì, anche se non lo pensano o non lo vogliono, vanno ad incontrare Dio. Dio si aggiunge al "tu" e al "noi" senza strumentalizzazioni.

 

 

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11 - Come luce in una vetrata e "come in uno specchio".

 

È in loro come la luce in una vetrata.

C’è una frase di San Paolo che mi sembra spettacolare, e che mi è sempre piaciuta, anche prima di entrare io in Seminario: "Ora vediamo Dio come in uno specchio" (I Corinzi 13, 12). Frase bellissima!

Il film più bello del famoso regista Ingemar Bergman si intitola appunto "Come in uno specchio". Lui era figlio di un pastore protestante ed in questo film egli ha voluto mostrare ed adombrare il procedimento di "come" si vede Dio: come in uno specchio.

Questa immagine, e quindi questa frase, in San Paolo si trova nel suo "Inno della carità".

Ora noi "vediamo" "come in uno specchio", come una luce che si riflette in un lago, o in una pietra preziosa e trasparente, fatta come un prisma che diffonde e moltiplica la luce stessa; lì si vede Dio, lì si rifrange.

Quando entra la luce di Dio nell’amore umano, uno può risalire fino all’amore divino attraverso questa rifrazione o trasparenza.

Questo è un criterio molto delicato.

Perché Dio usa questo "gioco": si nasconde e si rivela al tempo stesso.

Si potrebbe dire che anche Lui possiede la sua "maschera". Si nasconde e si rivela nei nostri amori umani, secondo le disposizioni umili e pure dei nostri cuori.

Quando uno parte con un cuore umile e puro, allora sì incontra questa Presenza. È qualcosa che va al di là dei "due", che si amano e che si trovano lì. È qualcosa dell’altro mondo: senza dubbio.

I nostri amori umani, pur quando sembrano lontani dalla coscienza riflessa di Dio (così pure gli amori dei pagani, anche se essi non stanno riflettendo in Dio), diventano, se si ha un cuore puro, "trasparenti" di Dio e lasciano percepire l’influsso del Verbo Eterno e Incarnato.

Veramente uno arriva a poter "toccare" Dio.

È molto interessante che si possa fare un parallelo tra questo e la Prima Lettera di San Giovanni, dove si dice: "[..] ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato" (1, 1 ss).

Anche qui, nel mistero dell' amore vissuto, si può ripetere la stessa cosa. Uno fa prima questa esperienza e poi può parlare di Dio, perché l’ha conosciuto concretamente.

Vedere un essere per trasparenza, come facciamo in questo caso, vuol dire vederlo intuitivamente e direttamente, come si vede immediatamente la luce nella vetrata.

La vetrata è un mezzo, ma al tempo stesso dà modo di vedere la luce in modo diretto ed intuitivo.

C’è un’"intuizione" che si percepisce con la presenza di un essere nell’altro: la luce nella vetrata.

Così è Dio negli amori umani.

Così è la "Presenza" dell’Essere assoluto, che si fa "presente" nell’essere che non è assoluto.

L’ostacolo delle limitazioni umane è illuminato dalla luce della Presenza di Dio.

È proprio perché Dio non è un oggetto mondano, umano, carnale, di questo mondo, che il Suo modo di manifestarsi non può essere altro che di rendersi trasparente, rifrangendosi in oggetti mondani, fino alla trasparenza assoluta.

Vi ricordate la risposta del Signore Gesù all'apostolo Filippo, quando egli Gli propone il suo dubbio: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Allora Gesù gli dice: "Filippo ... chi vede me, vede il Padre" (Gv 14, 9) . Lì c’è una trasparenza totale e assoluta.

Egli, il Signore Gesù, è lo specchio perfetto del Padre. (Torneremo su questo tema).

Ma lo specchio c' è anche nei nostri amori umani.

Ci viene comandato di amare perché nel fondo dell’amore troviamo il "volto" di Dio e lo vediamo per trasparenza, ma lo vediamo direttamente.

Bisogna ammettere che Dio, anche visto attraverso l’amore umano, è amato per Se Stesso.

Amiamo l’amico e amiamo l’"amore" nell’amico. E amiamo cioé Dio nell’amico.

Amiamo la vetrata e amiamo il raggio di luce nella vetrata.

Il sole si riflette in un bel lago. Che gioco di luminosità e di colori! I raggi del sole si dividono, illuminano tutto.

Così Dio entra nel nostro cuore e lo illumina completamente; quando viene l’amico vede una luce meravigliosa.

Vuole bene a me, che sono suo amico, e vuole bene alla Luce, che mi illumina di per sé stessa.

Nel processo di trasparenza si ama simultaneamente, nello stesso atto, per co-intuizione, l’amico per se stesso e Dio per se stesso. (La sposa per se stessa e Dio per se stesso; il figlio per se stesso e Dio per se stesso).

Nessuno assorbe l’altro.

Divinizzare un amato è un’idolatria nella tradizione cristiana ??

No.

In una religione che insiste sulla vocazione divina dell’uomo, non lo è.

Bisogna rifiutare l’idea che possiamo aspettarci troppo da una persona umana, quando questa persona umana è l’immagine di Dio stesso.

L’idolatria non consiste nel contemplare troppo, o amare troppo i nostri simili; ma, al contrario, nel contemplarli non a sufficienza e nell’amarli troppo poco o troppo male.

Connesso con Dio, qualunque essere acquisisce una sorta di sufficienza eterna, di cui è incapace quando si trova solo.

Non devo pensare che solo io sono con Dio, ma che anche la persona che amo lo è.

Rivolgersi alle creature, secondo San Tommaso d’Aquino, non è la ragione del peccato. La ragione del peccato consiste nell’allontanarsi da Dio. Il male non consiste nell’amare troppo gli esseri umani, ma nel non amarli come li ama Dio, non amarli con Dio, non amarli in Dio.

Dio ha montato tutto questo "teatro" del creato, perché potessimo "amare".

È lo spirito con cui si ama, non l’intensità con cui si ama, che rende compatibile o no l’amore umano con l' amore mistico.

L’ "infinito" misterioso della persona umana, immagine di Dio, non si raggiunge se non attraverso l’"infinito" misterioso di Dio.

E così pure al contrario è la stessa cosa.

L’amore cristiano è "infinito" e anche "violento".

Non è l’amore appassionato del "tu", che ci allontana da Dio. Non è questo. Perché è molto difficile sfuggire a Dio nel cuore del "tu".

Così alla fine devo amare il "tu" per se stesso, e devo amare Dio per se stesso, e in Dio devo amare il "tu", e devo amare Dio attraverso del "tu".

 

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12 - La contrapposizione e la beneficienza.

 

 

Era un errore il porre un’alternativa o una contrapposizione tra l’amore di Dio e l’amore umano, come se l'uno escludesse l’altro.

Sarebbe un grosso sbaglio che va contro "i due comandamenti dell’amore", che ci ha dato nostro Signore Gesù Cristo: amare il prossimo e amare Dio.

Non sono contraddittori, l’uno dell’altro. Amare il prossimo per se stesso e amare Dio per Se Stesso.

Queste ultime espressioni ci possono portare a riflettere su un’altra immagine, in certo senso ambigua e perciò inaccettabile, dell’amore cristiano: l’idea della "beneficenza".

Ci è stato detto, a volte, che dobbiamo amare per "beneficenza". Vale a dire, devi amare il prossimo "per" Dio e tu devi amare "solamente" Dio per se stesso.

Visto che Dio ti comanda di amare, ami Lui "solo" e così "guadagni" dei meriti di fronte a Dio.

L’idea di "beneficenza" strumentale e utilitaria è inaccettabile.

Nessuno vorrebbe essere amato "per" Dio. Io non lo vorrei. Amami "a me", perché così tu avrai dei "meriti" di fronte a Dio. No, per favore no! Non "amarmi" così, non "usarmi" per farti dei meriti, non farmi "quel" favore di usarmi per il tuo vantaggio e profitto.

Il vero Dio non può ammettere che si abbia un concetto così riduttivo di Lui, che si debbano "usare" gli altri come strumenti per arrivare a Lui.

L’amore soprannaturale non consiste nel fare astrazione di ciò che c’è di personale nel "tu", che incontro.

Questa maniera di intendere l’amore del prossimo attraverso Dio sarebbe, di per sé, una caricatura dell’amore cristiano; giustamente irritante per coloro che rappresentano il prossimo.

Da questo punto di vista, hanno ragione i pagani quando ci prendono in giro, perché ci dicono: "Voi strumentalizzate la beneficenza e la carità".

È la "trasparenza" che ci aiuta a capire che è necessario amare Dio per se stesso e il prossimo per se stesso.

San Tommaso d’Aquino definì l’"amore puro" (il "puro amore" si dice in qualche lingua), nel modo più semplice e più giusto, dicendo che consiste nell’amare qualcuno per se stesso.

Cioé nel nostro caso dei due amori: Dio per Se stesso e il prossimo per se stesso, in un medesimo atto di co-intuizione.

Il "tu" e Dio sono amati per se stessi, entrambi; e devono essere amati insieme, nell’unità dei due amori.

L’unione dell’amore umano e dell’amore divino si compie per mezzo dello lo "sguardo".

Li vedo entrambi simultaneamente; con un solo sguardo amo e vedo i due amori.

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13 - L' Amicizia: bel tema cristiano. "Dominus Iesus, amicus fuit et amicus est et amicus erit semper et pro semper.

 

 

Giunti a questo punto, l’esempio che si presenta più facilmente e più immediatamente allo spirito, quello dell’amore più perfetto, è quello dell’amicizia. Il bel tema cristiano dell’amicizia. Addentriamoci un pò in esso!

Qualcuno ha detto che l’amicizia è l’amore più grande che esista.

È un tema molto importante, perché è il tema dell’amore umano vissuto dalla Persona di Nostro Signore Gesù Cristo.

E se vogliamo essere suoi discepoli, dobbiamo sapere più cose di Lui, soprattutto, qual è stato e come è stato l’amore umano che Egli ha vissuto.

Egli, il Signore Gesù, nella sua vita ha vissuto l’amicizia, come voi ben sapete. E giustamente, perché forse è proprio l’amore umano più grande che ci sia, e pertanto era conveniente che fosse vissuto da Cristo.

Perché si potrebbe dire che è il più grande amore possibile per una persona?

Perché, in effetti, l' amicizia, come lo diceva bene il celebre predicatore domenicano Lacordaire, in un suo celebre libretto di meditazioni su Santa Maria Maddalena, è il fine, il mezzo, e il punto di partenza di tutti gli altri amori.

Esaminiamo meglio questo punto.

Si può osservare infatti che, senza amicizia, nessuno degli altri amori può sussistere , mentre invece l’amicizia, sì, che può sussistere anche da sola.

È così infatti.

Che senso avrebbe - ad esempio - il mio rapporto con mio fratello, se non esistesse amicizia tra noi due ?? Resterebbe semplicemente una questione genetica, di sangue.

Il rapporto così fondamentale fra due coniugi, che senso avrebbe o come si ridurrebbe, se non esistesse amicizia tra loro due ??

A volte mi capita di andare a cena fuori con amici, alla sera, magari a prendere una pizza: credo che una delle cose più tristi sia quella di vedere, seduti ad un altro tavolo della pizzeria, una coppia di anziani coniugi, che per tutto l’arco della loro cena non si scambiano nemmeno una parola. Che tristezza se tra due sposi non c’è più nulla da dire, se non c'é più amicizia.

 

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14 - Senza amicizia nessun amore sussiste: "scimus enim amicitiam regnum Dei esse".

 

 

Senza amicizia nessun amore sussiste. L’amicizia, al contrario, può sussistere da sola.

L’amicizia è, infatti, il fine di tutti gli amori: tutti quelli che si amano cercano di raggiungere l' obbiettivo di essere amici. Essa è il il punto di partenza e di arrivo di qualsiasi amore; essa é inoltre mezzo insostituibile con cui cui essi realizzano il loro amore reciproco. In effetti se uno cercasse di costruire un amore senza amicizia andrebbe incontro ad un sicuro fallimento.

Di quale altra inclinazione dell' anima si può dire, ciò che si dice della amicizia, che è, al tempo stesso, la più pura, la più profonda, la più libera di tutte ??

Dunque era conveniente e giusto che l’amicizia fosse l' amore umano vissuta dal nostro Signore Gesù Cristo.

In effetti essa è, per le ragioni esposte, il punto culminante dell’amore umano e perciò - come diceva il già citato Lacordaire - essa supera in grandezza anche l’amore coniugale.

L’amore coniugale, infatti, ha bisogno dell’amicizia per raggiungere il suo fine, mentre l’amicizia non ha bisogno dell’amore coniugale per raggiungere il suo.

Sono, in effetti, gli animi nobili e coraggiosi ad avere necessità di espandersi in un’anima simile alla propria.

A questo proposito, pensate sempre come fondamentale all' esempio ed all’immagine del Signore Gesù. Occorre però dire che ci sono tanti altri bellissimi esempi di amicizie cristiane.

Come, per esempio, lo indica Sant’ Aelredo (che alcuni chiamano e conoswcono come Sant'Alfredo; ma il suo vero nome era Saint Aelred de Rievaulx, egli era un monaco cistercense metà scozzese e metà infglese dell'Età Media), che ha scritto un bellissimo libro che si trova nella "Patrologia Latina" sull’amicizia cristiana, il cui titolo è "L’Amicizia Spirituale".

Inoltre vi ho già citato il catalano medievale Beato Raimondo Lullo e il suo celebre libro "Dell’amico e dell’amato", con 365 massime, una per ogni giorno dell’anno.

Anche san Bernardo, che è mio patrono personale, ha una storia d’amicizia molto bella. San Bernardo era un uomo molto profondo, acuto, simpatico ed attraente. Affascinò tutta la sua epoca.

Ai suoi tempi non esistevano giornali, né radio, né televisione e difficilissimi mezzi di comunicazione. Nonostante ciò, l’Europa intera rimase come affascinata da quest'uomo. Raccontano che quando arrivò a Milano, tutti gli abitanti della città, che naturalmente nbon era così grande come adesso, uscirono per strada incontro a lui ed a riceverlo con grande entusiasmo. Era accompagnato dai suoi monaci vestiti di bianco come lui: la gente ne fu così incantata che volevano che restasse come loro Vescovo.

Pensate che quest’uomo - San Bernardo - si fece frate di clausura cistercense; ma durante la sua vita, a causa del suo grande prestigio, per ordine di vari Papi, viaggiò molto, per molteplici missioni spirituali, pastorali e di ogni altro genere (si trovò perfino coinvolto nei Conclavi).

San Bernardo era una figura stupenda. Quando, da giovane, decise di farsi frate di clausura, 36 suoi compagni - tra fratelli e amici - lo accompagnarono entrando in clausura con lui. Egli aveva un potere d’attrazione straordinario. Fu perciò poi considerato co-fondatore degli stessi cistercensi.

Fra i 36 che entrarono con lui in clausura c’era suo fratello Gerardo. Proprio con suo fratello Gerardo egli strinse una grande amicizia, per tutta la vita, veramente un' amicizia splendida.

Lo portava con sé dovunque, come suo segretario. Ad Orvieto il fratello Gerardo si ammalò gravemente, una malattia di morte: San Bernardo pregò moltissimo per poter riuscire a portarlo vivo in Francia, la sua patria, ed ottenne questa grazia, il fratello Gerardo migliorò ed egli potè così portarlo vivo in patria.

Ma, arrivato in Francia, ormai nel suo monastero, il fratello Gerardo morì; san Bernardo aveva appena iniziato, per i suoi monaci, una serie di omelie di commento del "Cantico dei Cantici", il celebre testo della Sacra Scrittura.

Nel momento in cui doveva fare l’omelia 26 sul "Cantico dei Cantici" (come lo riporta la "Patrologia Latina"), ebbe davanti a sé, nella chiesa del monastero, il corpo del fratello Gerardo.

Così San Bernardo ci regalò una splendida, commovente, profonda meditazione sull’amicizia, consacrata dalla sua vita e dalla morte del fratello.

In questa "omelia 26" sul "Cantico dei Cantici", san Bernardo ci dà una definizione splendida e molto profonda del primato dell’amicizia su tutti gli amori.

 

Egli manifesta ed afferma infatti che l’amicizia che univa lui e il fratello Gerardo era più grande e stabile e forte della stessa fraternità naturale che già li univa attraverso i legami della carne e del sangue, come figli degli stessi genitori .

L’amicizia è più forte dei legami della carne e del sangue: "Scimus enim amicitiam regnum Dei esse!". L’amicizia è la luce che illumina il tempo e l’Eternità; l’amicizia è la voce bella e trasparente che porta la Parola di Dio; questa è la voce che intona il canto della Gloria Celeste; e la gente semplice, imparziale, di fede, del popolo di Dio, sensibile al mistero divino, dice con tutta serenità e spontaneità: che bella è la "voce" di Dio!

 

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SETTIMA MEDITAZIONE

 

LA PREGHIERA

1 - L' enigma dell' amore.

Per avvicinarsi a captare ed a decifrare la grandiosità del mistero dell’amore, gli egiziani avevano una storia, che voi ben conoscete, la storia della sfinge.

La sfinge era un animale spaventoso, con testa di donna, che poneva un

quesito di vita o di morte a chi passava da lì: per sopravvivere e poter passare si doveva risolvere l’enigma, a costo della vita, in caso contrario la sfinge li faceva morire.

Allo stesso modo, la famosa Opera di Puccini "Turandot" ha i suoi tre enigmi: per la vita e l’amore, o per la morte e la dissoluzione.

In effetti la vita dell’uomo è proprio così: colui che non risolve l’enigma della vita e dell’amore, è morto.

L’imponente enigma dell’amore ci sfida per la vita o per la morte.

Come si risolve questo enigma?Come si risolve questo enigma?Come si risolve questo enigma?

L’enigma è composto di due parti che sembrano incompatibili e si risolve solo se si riesce a comporle tra di loro: esiste l’amore di Dio e l’amore umano; come si compongono tra di loro? Questo è l’enigma a cui ognuno deve dare risposta nella propria vita.

È come se a volte uno si sentisse diviso fra l’amore umano e l’amore divino.

Può sembrare che siano contraddittori tra di loro, e uno pensa che, a seguirli entrambi, rischia di creare una frattura dentro di sé.

Uno lo sente soprattutto quando, implicitamente o esplicitamente, prega, e dice a se stesso: "Se amassi qualcosa che non è Dio, mi sembrerebbe di tradire Dio".

Nello stesso tempo, uno è dispiaciuto ed ha pena per il fatto di non poter avere un amore umano; anche se, in realtà, siamo sempre coinvolti in diversi amori umani: amore per i nostri genitori, amore per i nostri fratelli, amore per i nostri amici ....

È come se facessimo un dipinto. Proviamo a proporre un’immagine così: quella di metterci a fare un dipinto, una pittura speciale.

Supponiamo che uno si trovi in una grande sala e ponga in fondo la scena de "L’ultima cena" dipinta da Leonardo da Vinci; cercate di ricordare ed immaginare com’è: c’è nostro Signore, i dodici apostoli, il tavolo, ecc ...

Immaginiamo come se il grande quadro fosse dipinto in parte, sulla parete del fondo della sala, ed in parte su un velo trasparente posto davanti alla parete del fondo.

Supponiamo di dipingere la testa di San Giovanni sul fondo, una mano del Signore sul velo, poi un pezzo del corpo di San Giuda Taddeo sul fondo, un altro pezzo di San Pietro lo dipingiamo sul velo ....

In definitiva, completiamo il quadro, ma non tutto sulla parete di fondo, e neppure tutto sul velo che si trova di fronte alla parete, ma parte sulla parete del fondo e parte sul velo.

E noi ci mettiamo qui davanti, a guardare.

A questo punto, se uno toglie il velo, vede varie cose e parti diverse, tanto che ogni pezzo è reale di per sé, come una mano, un piede, un bicchiere .... ma uno vede diverse parti non collegate fra di loro, e non può comprendere cosa rappresenti tutto quello così sparso e non collegato.

Bene, se uno fa il contrario, cioè se copre la parete al fondo con un velo nero, e fa vedere solamente la tela trasparente che si trova di fronte alla parete, riesce a vedere altri parti dipinte, un’altra testa, un altro braccio, altri occhi, altri bicchieri, dei piedi ... vale a dire che vede anche su questa tela che si trova di fronte alla parete del fondo varie parti e cose fra loro non collegate.

Ma neppure in questo caso riesce a vedere il dipinto nella sua completezza. Gli sfugge il senso del quadro. Ci sono dei pezzi o delle parti - compiute in per sé e di per sé logiche (un piede, per esempio, é un pezzo completo ed ha una sua logica anche se isolato) - che non hanno connessione ed attinenza fra di loro.

 

Ma chiaramente così non si vede e non esiste un senso globale del quadro. Infatti alcune parti dell' unico quadro dell' "Ultima Cena" sono dipinte sul fondo della parete, mentre le parti complementari sono dipinte sul velo, per cui mostrando solo il fondo o solo il velo si vedono solo dei pezzi complementari sparpagliati, sconnessi e senza senso globale.

Questo procedimento "diviso" fa sì che ci manchi la chiave di lettura dell’enigma: si vedono pezzi o parti che, in se stesse, sono logiche, come una mano, un braccio, un piede, un occhio, ecc. ma l’insieme non ha senso e sfugge.

Per comprendere la pittura della vita, è necessario vedere sia le linee che sono dipinte sulla tela trasparente che si trova di fronte alla parete di fondo, sia le linee che sono dipinte sulla stessa parete di fondo: con un solo sguardo.

In effetti è possibile captare , attraverso il processo descritto e sviluppato in questi giorni, cioé il processo di "trasparenza", l’unità dei due amori, e così vedere il significato dell’"insieme" del quadro e risolvere l' enigma della vita.

 

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2 - L' enigma della vita.

 

È in effetti così che riusciamo ad unificare la nostra vita. Non possiamo vivere una vita divisa dentro noi stessi.

 

Dobbiamo unificare il senso del vivere, l’amore di Dio, la nostra vita abituale, gli amori umani che viviamo, la nostra speranza, le nostre lotte.

È necessario avere un modo unitario di guardare; con un solo sguardo penetrare, per il processo di trasparenza, l’unità dei due amori (l' amore divino e l'amore umano) in cui siamo coinvolti, giacché così ognuno dei due amori è l’oggetto unico del medesimo sguardo.

Senza che un amore sia sottomesso all’altro, entrambi si possono vedere unitariamente con un solo sguardo.

Alcuni dicono "Ti amo, perché (utilitarismo) così tu mi devi servire ad amare in effetti Dio solo". No! Non così. Come vedremo e come abbiamo già accennato, questa è un' idea sostanzialmente sbagliata!

Ieri abbiamo parlato dell’amore puro, cioè quello che ama qualcuno per se stesso e non per qualche altro motivo, per quanto alto e nobile.

Cosicché, proprio con il processo di trasparenza, risolviamo questo problema e questo enigma così difficile gli esseri umani.

Nella relazione d’amore lo sguardo, posato sulla persona che si ama, percepisce questa persona in se stessa, in modo tale che lo stesso sguardo d’amore percepisce per "trasparenza" o "cointuizione" (intuire entrambe le cose allo stesso tempo, con un solo sguardo) qualcosa di profondo dello stesso Dio e del Suo mistero.

Quando guardiamo nel profondo del cuore di una persona che amiamo, in fondo a questo amore, guardiamo direttamente e scopriamo presente qualcosa di profondo di Dio stesso e del Suo mistero; la Sua stessa Presenza Divina lì ci attende e la guardiamo, la "co-intuiamo".

Abbiamo già visto che nella reciprocità umana lo sguardo aveva un ruolo importante, nel senso che lo sguardo doveva prima passare attraverso la maschera esterna, poi per trasparenza, la maschera interna, cioè le qualità e i valori della persona, e in ultimo arrivare al "tu".

Quindi già nel processo di relazione tra due persone esiste qualcosa di simile.

Con un solo sguardo uno vede le maschere (interna ed esterna) del tu ed il suo cuore profondo.

Si vedono due cose con un solo sguardo (la "co-intuizione").

Ma con una differenza: nella relazione dell’amore umano le maschere avvolgono "l’io" della persona, essendo parte integrante di essa.

Le due maschere (esterna e interna) sono come l’involucro aderente al "tu" che "io" amo.

Quando si tratta di Dio esiste una differenza, evidentemente.

Io incontro Dio come una Presenza misteriosa in fondo al cuore di un amico, e lo incontro per trasparenza, come la luce in una vetrata, visto che non si può dire che Dio ha un "involucro" (come invece dicono i panteisti: noi rifiutiamo il "panteismo" e i suoi derivati e affermiamo invece la sublime trascendenza di Dio).

Esiste dunque una differenza tra la co-intuizione semplicemente inter-umana e la co-intuizione quando si sta guardando con lo stesso sguardo si sta guardando l’amore umano e l’amore divino.

Dio è sempre "màs allà", un più-oltre, trascendente, cioé non é prigioniero del tempo e dello spazio, come abbiamo già detto ampiamente, pur invadendoli per completo, ma ne é il creatore.

Così, in fondo al cuore dell’amico, che rappresenta l’esempio preso in considerazione, si trova Dio presente, direttamente presente, attuando e precedendo, ma in quell’altra forma che già abbiamo detto, cioé come il sole in una vetrata: tale è la presenza di Dio.

Dunque, con lo stesso sguardo vediamo il cuore dell’amico e proprio lì vediamo il cuore di Dio, e lo vediamo come si vede la luce del sole in una meravigliosa vetrata: si vede per trasparenza.

C’è di più: Dio stesso, se abbiamo intenzioni sincere, ha il potere, attraverso questa sua luce, di illuminare il fondo del cuore dell’amico con una fulgore così grande, che Lo si può raggiungere "quasi direttamente", così come si vede "quasi direttamente" la luce del sole in una vetrata .

Quando terminerà il teatro di questo mondo, Lo vedremo senza necessità di trasparenza, senza più co-intuizione, senza più vetrata, lo vedremo del tutto direttamente tale come Egli é.

Come dice San Paolo nel celebre "inno della carità": "Ora Lo conosciamo come in uno specchio; allora lo vedremo così come Egli è".

L’incontro con Dio, nell’amore, ha anche un altro nome, un nome molto popolare, anche se a volte - per il continuo uso - è un po’ impoverito nel suo significato profondo: il nome di preghiera.

 

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3 - Che cos'é la preghiera ?

Possono esistere diverse specie e categorie di preghiera.

Ci sono, per esempio, preghiere importanti, ma sempre un po’ semplici. Come quelle di petizione. Ce ne sono molte, di questo tipo, nel Vangelo; come quando gli ammalati chiedono la guarigione, o quando ci sono pericoli, ecc...

Ma la massima preghiera è la preghiera divina: di "presenza di Dio" e del Suo amore.

Credo che si possa comprendere meglio, nel cammino che stiamo percorrendo, che cos’è la preghiera divina, facendo un parallelo con la preghiera umana.

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4 - Che cos'é la preghiera umana ?

È un’invocazione che ci facciamo gli uni gli altri, e anche in questo caso ci sono invocazioni di richiesta, di petizione, (per esempio, ho già fatto quattro volte "l’invocazione", la richiesta di poeter mangiare patate, e le ho ottenute).

Ci sono però invocazioni che non sono di richiesta o di petizione; sono preghiere umane più profonde, sono invocazioni d’amore.

È così, in effetti, che si arriva a una relazione d’amore umano.

L’invocazione di amore può essere tacita, molte volte non si pronuncia esplicitamente.

 

Vi ho parlato, con tanta discrezione di questo amico (padre Taddeo Styczen) che ha il Papa, e come il padre Taddeo è un pò anche amico mio, e di come loro possono stare insieme quasi in silenzio, andando per esempio sulla montagna.

Lì si vede chiaramente "come" si può essere amici - in parte solo - ... in tre. Sarebbe infatti una mancanza di delicatezza da parte mia se io volessi intromettermi tra quei due "amici", cioé tra il padre Taddeo e il Santo Padre. Ma le due amicizie possono convivere parallelamente, cioé il Padre Taddeo ha una stretta e grande amicizia con il Santo Padre e ha anche una piccola buona amicizia con me.

Dunque, qui abbiamo un esempio di ciò che è un’invocazione umana quasi silenziosa.

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5 - La preghiera umana di unione e di invocazione.

 

La preghiera umana più alta è quella d’unione, che si alterna a quella d’invocazione.

Questa è una bella immagine, mi pare, di ciò che è la preghiera divina. La preghiera di Dio.

Così, quando abbiamo fatto questo tipo di preghiera umana, possiamo capire meglio la nostra stessa preghiera a Dio, quando siamo silenziosi nella cappella, di fronte al Signore.

Vorrei fare una piccola sintesi di tutti i dati che abbiamo finora.

L’incontro con Dio, preghiera divina, si scopre e si comprende meglio nella profondità dell’incontro con l’altro, con il "tu", preghiera umana.

Ciò che la persona scopre nel più profondo della relazione interumana è che la profondità dell’ "io" e del "tu", che formano il "noi", è anteriore all’invocazione e all’unione d’amore reciproca che c’è fra di loro.

Quando arrivo al profondo del "tu", scopro che il "tu" ha una consistenza in se stesso, possiede una realtà che non si può spiegare con gli elementi della natura.

Quando scopro realmente il cuore di un amico, mi rendo conto che non è il frutto della natura.

Non solo scopro la Presenza misteriosa di Dio nel profondo della relazione, ma la persona stessa che raggiungo è "qualcosa di più" rispetto alla natura.

Questo "di più", a sua volta, mi indica una trascendenza, mi indica che questa persona è oltre la natura, c’è una grandezza nel "tu" che va oltre tutti gli elementi naturali che lo costituiscono.

Questo è ciò che dicono dell’ "anima immortale".

Piuttosto, si scopre che nell’amore stesso del "noi", nella sua essenza, stiamo compiendo qualcosa che non è proprio della natura.

Nell’essenza dello stesso amore scopriamo sempre questa sorprendente caratteristica: lo abbiamo cercato, e scopriamo che ci aveva preceduti.

Da qui la famosa frase di nostro Signore a Nicodemo: "l’amore è come il vento. Senti la sua voce, e non sai da dove viene né dove ti conduce".

Ed inoltre, si scopre questa misteriosa, benevola, amante Presenza, che ci ha preceduto nei nostri amori e che ci guida.

Quando faccio la mia personale invocazione a un amico, praticamente sto invocando la presenza di Dio.

Ecco il tema della preghiera di Dio; quando si manifesta questa Presenza amabile e amante, totalizzante e benevola, in realtà sono già dentro la preghiera di Dio, anche se a volte la cosa non è così esplicita.

Le persone sono precedute dall’amore, ma - in fondo - l’amore, che si presenta a noi per trasparenza, è lo stesso Dio che ci ha preceduti e ci ha condotti. Ci avvolge, ci accende. Noi sentiamo di bruciare con il Suo fuoco.

Questi due amici scoraggiati – come a volte lo siamo tutti - "i due discepoli di Emmaus", cosa dicono dell’amore quando ritornano a Gerusalemme? "Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre Lui ci parlava durante il cammino?"

Supponevano che non fosse Dio. Essi camminavano come due amici e Lui si fa presente a loro. Quella Presenza è così, anche se non la riconosciamo esplicitamente, è ugualmente e fortemente ardente; Dio ama con ardore violento, con grande fuoco.

Dunque, noi andiamo avanti come amici lungo il cammino. Ed ecco questa Presenza si manifesta e ci accompagna; in questo caso (di Emmaus) non era neppure per trasparenza, ma con il Suo stesso Corpo.

(Quando parleremo della Resurrezione, vedremo che è una caratteristica propria dell’amore - così come pure del Corpo Risuscitato del Signore - che, quando è presente, a volte non si fa riconoscere ed, allo stesso, tempo produce questo fenomeno del fuoco).

A maggior ragione, non siamo noi a creare l’invocazione reciproca, cioè la preghiera umana d’amore e la sua realizzazione.

Supponiamo di essere noi che invochiamo un atto d’amore di un amico. Ma non é così. Questa stessa nostra invocazione la riceviamo da Dio come una grazia e ci viene imposta come un dovere.

Come l’essenza di un soggetto, non è questi a crearla, ma è Dio stesso che la crea; così, allo stesso modo, l’essenza di un amore, o relazione "a due", non è creata sostanzialmente dai due, ma da Dio stesso, che è l’Amore che la precede.

In entrambi i casi, il principio divino sta ordinando la sua creazione verso

il bene. Ci precede una benevolenza e una gratuità, nella vita e nell’amore.

 

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6 - La preghiera di ringraziamento.

 

Perciò è bello fare anche un altro tipo di preghiera: la preghiera di ringraziamento. Ringraziare Dio: "perché mi hai preceduto nella mia vita, dandomi la vita e dandomi l’amore".

La preghiera umana si compie nell’amore reciproco di coloro che si amano e nell’amore che si rivela, perché è l’opera non tanto e non solo dell’uno e dell’altro – anche se è sì un atto libero di entrambi - quanto piuttosto e soprattutto opera di Dio.

Essi percepiscono quest’amore come l’essere del proprio essere, scoprono un nuovo spazio in cui vivranno, in cui il loro essere consisterà, e questo nuovo essere del loro essere viene dato loro dalla stessa mano di Dio.

Quando l’amore è nato e si realizza, tutte le cause che avevamo posto per realizzarlo sembrano occasionali, banali, improprie ed anche ridicole rispetto al risultato che si ottiene, dato che l’amore è una trascendenza molto più grande di tutte le cause che uno pone per costruirlo.

Se uno rimonta con sincerità all’origine ed all’intenzionalità della propria esistenza personale e dei propri amori, scopre facilmente che tutto ciò porta una attrazione verso Dio ed è una rivelazione di Dio.

Io inizio da ciò che di più immediato faccio e che mi succede, poi comincio a salire, salire, ... e scopro che tutta la mia vita sta rimontando, risalendo verso Dio. Così è il cammino della preghiera nei nostri amori.

Il cammino della preghiera a Dio può accadere attraverso la mediazione delle creature e della natura, attraverso le stesse creature inerti (per esempio: uno spettacolo naturale), anche se lo dico senza troppo entusiasmo .

Uno può veder un bel panorama, e vedendo il bel panorama si sente sospinto a pregare Dio. O attraverso un fiore bellissimo, o attraverso il semplice volto sorridente di un bambino .... Ma sempre appoggiandosi su ciò che è la natura esterna. La preghiera a Dio può passare attraverso queste mediazioni esteriori.

 

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7 - La "preghiera" attraversa la mediazione del cuore delle persone.

Ma io credo, soprattutto, che la preghiera a Dio passi attraverso la mediazione delle persone, che sono ciò che di più importante e profondo Dio ha fatto e dentro le persone, attraverso la mediazione del cuore delle persone.

Attraverso le persone e i loro cuori incontriamo con più esattezza, con più facilità, e con più prossimità e più direttamente Dio. Lì lo vediamo con maggior trasparenza.

Dio è colui che precede e promuove tutti gli amori. In ogni amore viene presentito e invocato. Salva e conduce tutti gli amori.

L’universo delle persone è un movimento che procede direttamente da Dio e che ritorna a Dio. Dunque, per sperimentare le grandezze e le altezze e le profondità divine, la strada più normale e più giusta è quella di partire da un’esperienza umana.

Ci si serve, così, del cammino che é più proprio e più conveniente. Lì Dio ha la sua sede, perché ciò che di più grande Egli ha fatto è stata la persona umana. Quello è il tempio principale dove Egli risiede, la Sua immagine più propria e peculiare, la Sua somiglianza più adatta.

Così, se vogliamo incontrarlo - per quanto possiamo frequentare anche opportunamente una bella chiesa - è in realtà il cuore di una persona il luogo più santo dove si può trovare Dio.

Nella co-intuizione orante è dove si può conoscere Dio stesso.

Non dobbiamo perdere di vista la differenza fra la relazione umana e la relazione divina.

 

L’amore di Dio è sempre mediato, come una luce in una vetrata. Non lo vediamo ancora completamente. Quando perderemo il "peso" del corpo, allora lo vedremo direttamente così come egli è, come dice San Paolo nell’inno della carità.

Dopo vedremo solamente l’Amore, giacché precipitiamo dentro all’Amore e vedremo solo l’Amore, vale a dire, Dio, fuori dal tempo e fuori dallo spazio, nell’altro regno, nel Regno. (Tutti temi che abbiamo già affrontato in questi giorni).

Cosicché l’amore, la preghiera, l’intuizione orante di Dio sarà sempre mediata. Mediata vuole dire come una luce in una vetrata, non come una luce vista direttamente.

Ma sarà molto diverso se io faccio la mia preghiera posando il mio sguardo sulle cose, rispetto al farlo posando il mio sguardo sul cuore trasparente di un amico.

 

Bisogna però aggiungere qualcosa in più su questa visione mediata di Dio. Questa mediazione non significa che non sia diretta.

Al contrario, c’è una visione di Dio indiretta, che non mi piace tanto: discorsiva, filosofica, attraverso un ragionamento. Questo sì che è indiretto. Praticamente non si vede nulla. È una visione indiretta di Dio. È il pensiero simbolico, che è incapace di vedere l’essenza personale e anche quella di Dio, senza deformarle.

Mentre Dio viene cercato e conosciuto da voi, buoni studenti di filosofia, come il Dio dei filosofi, attraverso idee generali, un velo non-trasparente rimane posato sul volto di Dio. Voi state vedendo un Dio che ha il volto velato.

Così non è possibile percepirlo se non come un valore anonimo.

Dio non può essere conosciuto, realmente e immediatamente, se non nella Sua creatura. E prima di tutto, nel nostro "foro interno", cioé nel nostro cuore. Proprio lì! La prima mediazione è il nostro stesso cuore, e nel cuore dell’altro.

Questa mediazione potrebbe essere chiamata via mistica (diversa dalla via filosofica).

 

Nella via mistica, dato che esiste sempre una mediazione dell’ "io" e del "tu" per raggiungere Dio, la Sua presenza di fronte a noi si fa diretta e nell’atto stesso.

Tutto questo si comprende meglio e più semplicemente, se voi pensate bene al fatto che la relazione di Dio con me e la mia con Dio è la relazione più fondamentale e basilare che esista.

In effetti, io non possiedo nulla di più importante che la mia relazione con Dio e della Sua con me.

Perché Egli ha con me una continuità totale, è sempre dentro il mio cuore, non mi abbandona mai, anche se io lo vedo come una luce in una vetrata, Egli mi vede direttamente, senza vetrata.

Io lo raggiungo attraverso il cuore di un amico, Lui mi raggiunge direttamente.

Così, quando noi preghiamo in silenzio in una cappella, praticamente siamo "appoggiati e seduti" dentro il cuore di Dio.

Egli ci tiene così, appoggiati sulla Sua mano, lì stiamo.

 

Come l' episodio del vecchio uomo che andava sempre a pregare nella chiesa del Santo Curato di Ars. Stava lì, seduto in chiesa, senza dire nulla. Quando il Santo Curato di Ars gli chiese: "Cosa fa lei qui?" quegli rispose: "Io Lo guardo, Lui mi guarda".

 

Con la differenza che Lui mi vede direttamente. Io lo vedo in una vetrata.

 

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8 - Dio, "un' intimità dentro un' intimità".

 

Dio lo conosciamo con facilità: come un’intimità dentro un’intimità.

Dio ama molto l’intimità. È Lui l’inventore dell’intimità. Tutte le intimità furono inventate da Lui.

E soprattutto, Gli piace molto la "Sua" intimità. Non parliamo solo della Sua intimità dentro la Santissima Trinità. Gli piace anche la Sua intimità con me, con il "noi", dentro al "noi". Gli piace molto di stare lì.

Ci sono dei genitori che sono già maturi, che hanno già passato gli ardori delle passioni di gioventù ed, a volte, se li osservate, quando sono insieme fra loro due, benché quasi non si parlino, godono di un’intimità straordinaria: in quella casa si sente una grazia straordinaria, la grazia di coloro che si amano profondamente, in totalità, con la presenza di Dio.

Cosicché il cammino verso Dio deve seguire piuttosto il cammino dell’esperienza religiosa (non filosofica) dell’amore.

Sfortunatamente, nella storia millenaria del cristianesimo, ci fu un problema su questa questione dell’amore e della preghiera.

Al principio, seguendo i normali ed importanti processi di inculturazione, il cristianesimo ha incontrato filosofie già stabilizzate, ormai come culture comuni e correnti. Una di queste, al principio, fu il plotinismo, che ha avuto un influsso deformante in alcune linee di spiritualità cristiana.

I plotinisti avevano la buona idea di promuovere il raccoglimento, esortando ad abbandonare i fantasmi ingannevoli del mondo, abbandonando il mondo, per una severa ascesi .

Per arrivare con più sicurezza a Dio, alcuni cristiani o alcuni spirituali (sotto l’influsso del plotinismo corrente), partiti dall’idea giusta di prendere le distanze dal mondo, sono poi stati sedotti dall’idea di mortificare definitivamente l' aspirazione ed il desiderio d’amore.

C’è stato anche questo nella spiritualità cristiana.

È cosa buona prendere le distanze dal mondo e soprattutto dai suoi fantasmi pervertiti. È cosa buona avvicinarsi a Dio e purificare il cuore.

Ma alcuni hanno pensato di portare avanti quest’opera di purificazione in modo molto radicalizzata, fino a coltivare addirittura l’idea di una mortificazione totale e definitiva dell’amore umano.

Questo ha portato un danno molto grave alla storia della spiritualità cristiana.

In questa prospettiva si è esaltata l’idea della "natura" di Dio, trascurando gravemente la misteriosa "relazione" di Persone in Dio, vale a dire l’aspetto forse più originale e fondamentale della rivelazione del Signore Gesù.

Si è parlato, in questo cammino, di un ascetismo radicale e senza amore.

Questi "plotinisti" o "neo-plotinisti" finiscono con l’avere un Dio che ha solo la "natura" di Dio. Questo sì, come il Dio degli Ebrei o il Dio dei musulmani.

Ma c’è una gran differenza fra il Dio degli ebrei, o quello dei musulmani, ed il nostro Dio. E la differenza sta nella rivelazione di Gesù Cristo.

 

Non possiamo e non dobbiamo rendere vana la rivelazione di Gesù Cristo. Sarebbe un errore! Gesù Cristo, in effetti, non è venuto inutilmente, o semplicemente per avvicinarci ad un Dio di cui si sapeva già tutto.

L’aspetto forse più originale e fondamentale della rivelazione del Signore Gesù è la rivelazione sulla misteriosa relazione delle Divine Persone. Questo è il punto.

Noi dobbiamo, in verità, considerare Dio non solamente nella Sua "natura", ma come in effetti Egli è, e cioé con le Sue Persone, che hanno una forma di relazione fra di loro e che noi chiamiamo Trinità.

 

La creazione dell’uomo e del cuore umano é stata appunto fatta come "immagine" di Dio; per cui, come lo abbiamo ripetuto più volte, é sapendo come é Dio che si sa come é l' uomo ed il suo cuore.

 

Nel nostro Dio, c'é una relazione fondamentale fra il Padre ed il Figlio, che chiamiamo lo Spirito Santo, per cui la relazione di amore dell' uomo é fondamentale per l' uomo, perché é creato "a Sua immagine e somiglianza".

Noi non andiamo dietro all’ "altro Dio" - degli ebrei e dei mussulmani - a causa della insufficienza della loro immagine di Dio, Che loro riducono, alla sola "natura divina", e così finiscono coll' impoverire la stessa immagine dell' uomo.

 

Con tutto il massimo rispetto per le due grandi religioni monoteiste degli ebrei e dei musulmani - anche se cerchiamo di stare buoni rapporti con loro - noi non possiamo ridurci alla loro religiosità, a causa della rivelazione di Gesù Cristo, il Quale ha detto una parola del tutto fondamentale su Dio e pertanto sull' uomo e sul cuore dell' uomo.

Proseguendo sul nostro tema si deve aggiungere che il Tu eterno, che ognuno incontra dentro se stesso, precede e completa l’azione della persona che ci ama.

Se qualcuno mi ama, il Tu eterno di Dio - che incontro nella mia persona - precede e porta a compimento tutto ciò che viene fatto dalla persona che mi ama.

Quando mia mamma mi ama, Dio precede e compie dentro me l’amore con cui lei mi ama.

Egli, Dio, è l’amore che noi amiamo in ognuno dei nostri amori.

Egli, Dio, è l’amore con cui andiamo - all' interno dei nostri amori - dall' "io" al "tu" e viceversa.

Egli, Dio, è l’amore in cui siamo immersi ed in cui navighiamo nel "noi".

In una parola Egli, Dio, ci ama; Egli mi ama più ancora dell’amico che mi ama.

Quando scopro un amico che mi ama e ne sono felice, io so che il mio Dio mi ama da prima e di più.

 

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9 - La preghiera inter-umana e la preghiera a Dio.

 

Ora, a proposito del nostro tema circa la preghiera, bisogna sottolineare in ogni caso, per equità, le differenze che ci sono tra la preghiera interumana e la preghiera a Dio.

Esistono delle differenze.

Come abbiamo già detto, quando io prego Dio, non posso dire che la apparenza o maschera di questo mondo sia una parte o un sottofondo di Dio.

Il mondo, o le persone, sono solamente espressive di Dio - al massimo - per trasparenza.

Il mondo non è mai comprensivo di Dio, non lo contiene mai totalmente, non è il suo involucro, lo abbiamo già detto.

Non è il mondo a servire da appoggio a Dio, ma viceversa.

La mia relazione con Dio è diversa dalla relazione di Dio con me.

E tutto ciò é diverso da ciò che succedeva nella relazione dell’ "io" e del "tu" di un amico, in cui il rapporto tra me e lui è uguale al rapporto tra lui e me.

Nella mia relazione con Dio non è così, non succede la stessa cosa.

Di fatto, Dio penetra totalmente la mia persona, Dio mi vuole, mi previene, mi conosce, mi ha creato, è nel profondo di me più di me stesso.

Egli è, rispetto a me, l’Altro, il mio Tu eterno.

Nello stesso tempo, è il mio intimo più profondo.

In ogni momento di preghiera a Dio c’è, allo stesso tempo, una trascendenza ed un’immanenza simultanee di Dio rispetto a me.

Dio è allo stesso il mio altro tu, così come Egli è contemporaneamente la mia profonda intimità.

Quando io sono in relazione con Dio, non si può dire altrettanto di me, nei suoi confronti. Cioé, né io sono trascendente rispetto a Lui, né io sono il fondo della sua intimità.

La mia persona è sempre in Dio quando sono in preghiera, ma non può sorpassarlo, noi non possiamo precederlo, non posso sottrarmi a Lui.

Come dice il salmo: "Non c’è luogo in cui io possa fuggire e dove Tu non ci sia".

Inoltre la mia persona, l’ "io", è sempre fuori dal centro di Dio, nel senso che non può possedere Dio, dirigerLo o darGli degli ordini.

Dio è il mio principio, il mio superiore assoluto, che mi sfugge sempre in qualcosa e da cui non posso mai fuggire.

"Dove fuggirò lontano dai Tuoi occhi, mio Signore?"

La "preghiera umana" (o interumana) ha luogo tra due che si trovano uno accanto all’altro e cerca di eliminare totalmente la distanza esistente tra di loro.

Mentre invece che la "preghiera divina", di una persona a Dio, è una preghiera che "zoppica", in cui Dio non è accanto all’uomo, ma è all’interno dell’uomo, mentre invece l’uomo si trova accanto a Dio, ed in certo senso "esterno" a Dio.

No. Dio non sta "accanto" all’uomo, ma invece sta all' interno dell’uomo.

 

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10 Conoscere Dio per conoscere l'uomo: "noverim te, noverim me".

In ogni modo, anche nella "preghiera divina", per grazia di Dio, tendiamo ad un’identità progressivamente sempre maggiore con Lui, fino all’unione massima che molti mistici hanno raggiunto.

Vorremmo, nella nostra "preghiera umana", essere penetrati "dal" e "nel" nostro amico così intimamente come siamo penetrati da parte di Dio.

Questa è la nostra "preghiera umana": giungere all’intimità con un amico, fino a che egli stia dentro al nostro cuore, così come Dio sta dentro al nostro cuore.

Ricordate quel brano così bello, la lotta di Giacobbe con "l’angelo", che era poi Dio stesso, nella notte. (Genesi 32, 23). È impressionante. La lotta per raggiungere l’intimità con Dio.

Vorremmo raggiungere, d’altra parte, la parità d’amore con Dio come la viviamo con i nostri amici. Questa è la nostra "preghiera a Dio": averlo come amico. Dice la Sacra Scrittura che Dio parlava a Mosè "come un amico parla con il suo amico".

Appena mi avvicino a Dio, so che il segreto del mio essere Gli è svelato.

Egli mi conosce perché Dio è totalmente rivelazione e luce in se stesso, ed Egli mi penetra totalmente e mi accompagna sempre.

L’iniziativa di Dio ci sorpassa totalmente. Le sue risposte ci sorprendono sempre. E se ci liberiamo delle false attrattive di questo mondo, finiremo progressivamente nell’intimità di Dio.

La risposta di Dio alla nostra preghiera sarà totale! Si potrebbe descrivere ciò in quattro punti:

- Primo: Egli ci donerà alcuni eventi speciali, nella nostra vita, come segni esistenziali evidenti della Sua presenza e della Sua risposta, dai quali noi dedurre ed identificare che Egli ci sta rispondendo.

- Secondo: Egli ci donerà il senso di tutti gli avvenimenti del vivere: non si può infatti vivere senza la ragione di vivere ed Egli ci donerà il senso e la ragione del vivere.

- Terzo: Egli ci farà il dono di un amore umano, cioé di una reciprocità, in cui Lo possiamo incontrare;

- Quarto e per ultimo: come quarto dei Suoi doni, delle Sue risposte alle nostre preghiere, Egli ci donerà la sua stessa Presenza amata.

 

 

Per concludere questa riflessione, vi leggerò questo bel brano di Sant’Agostino. Questo brano è come una sorta di conclusione alle prime (sette) riflessioni fatte finora. Con questo brano, cioé, si conclude anche la prima parte degli esercizi spirituali.

Abbiamo detto che per conoscere l’uomo, bisogna prima conoscere; conoscere Dio, per sapere com’è fatto l’uomo:

"Noverim te, noverim me: non ergo essem, Deus meus, non omnino essem, nisi esses in me. An potius non essem, nisi essem in te".

("Conoscere Te, e così conoscere me: io infatti non sarei, Dio mio, non sarei per nulla, se Tu non fossi dentro di me. Anzi, piuttosto io non sarei, se io non fossi in Te". Sant' Agostino)

 

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OTTAVA MEDITAZIONE

SPECULUM VISIBILE INVISIBILIS DEI

("Specchio visibile dell' invisibile Dio")

I DISCEPOLI DEL SIGNORE GESU'

 

Sant'Agostino non era un biblista; era un buon teologo, anzi ottimo; era buon filosofo, ottimo; era un bravo oratore, molto rinomato, ma non era un biblista.

Ebbe un problema quando era vescovo di Tagaste in Africa. Lì c’erano degli eretici che si chiamavano "Donatisti". Erano degli eretici un po’ "curiosi", che assomigliavano, in certo senso, agli odierni "Testimoni di Geova".

Erano molto perseveranti, molto insistenti, anche molto fastidiosi, molto aggressivi, e, per argomentare, usavano, come fanno i "Testimoni di Geova", molte frasi della Sacra Scrittura. Così appena rispondi loro su un argomento, passano ad un altro, e poi ad un altro e poi ad un altro e così via senza tregua .... un tormento.

I "Donatisti" rendevano la vita difficile a Sant' Agostino ed ai poveri Vescovi dell' Africa, a causa della continua molestia ed insistenza. Era veramente gente fastidiosa.

Giacché sapevano che Sant’Agostino aveva un grande ascendente come oratore e che la gente accorreva per ascoltarlo predicare, gli facevano dispetti odiosi.

Si mettevano, con trombe, con tamburi e con piatti, di fronte alla porta della chiesa, dove lui celebrava messa e predicava; e si dedicavano a fare rumore e ad gridare quando lui parlava, per disturbare in modo tale che la gente che era in chiesa non potesse sentire ciò che Sant’Agostino diceva.

Sapete che è per questo motivo che noi possediamo scritto il commento di Sant’Agostino al Vangelo di San Giovanni?

Infatti, durante una quaresima, egli prese come tema della sua predicazione quaresimale la meditazione sul Vangelo di San Giovanni.

Lui parlava, ma nessuno lo poteva udire, perché alla porta della Chiesa c’era un gran baccano, fatto dai "Donatisti".

Allora Egli si decise a scrivere tutto ciò che predicava, dato che nessuno poteva ascoltarlo.

E sicuramente il commento al Vangelo di San Giovanni di Sant' Agostino non appare così eccezionale ed importante, soprattutto se messo a confronto con le opere maggiori di Sant’Agostino (con rispetto e venerazione parlando); infatti, se provate a leggerlo, si vede chiaramente che, da un lato è una meditazione spontanea, tale come si farebbe in un’omelia, e d' altro lato risente dell’angustia per quelle persone, "i donatisti", che gli stavano dando fastidio ed inquietudine.

A quei tempi i "Donatisti" attaccavano sempre - come fanno oggi i "Testimoni di Geova" - su qualche punto della Sacra Scrittura.

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1 - Sant' Agostino e San Girolamo.

 

Allora c’era un altro personaggio - molto importante nella Chiesa - che era, contrariamente a Sant’Agostino, un grandissimo biblista: San Girolamo.

San Girolamo era un esperto celeberrimo della Sacra Scrittura. San Girolamo è uno dei più grandi biblisti che la Chiesa abbia mai avuto nel corso della sua storia.

Ma, con San Girolamo, il "povero" Sant’Agostino aveva un altro problema.

San Girolamo era un uomo con vasta cultura, ma con un pessimo carattere: molto nervoso, polemico, aggressivo, impaziente, suscettibile...

Allora, da un lato, c’erano i "Donatisti", che attaccavano Sant’Agostino per cose che riguardavano la Bibbia, cioé la Sacra Scrittura; d' altro lato, visto che lo stesso Sant’Agostino non era un grande biblista, doveva fare molta attenzione se voleva ricorrere ai consigli di San Girolamo, perché questi si innervosiva e si nquietava troppo facilmente.

Di fatto, in una certa occasione, Sant’Agostino si trovò nella necessità di consultare San Girolamo; gli inviò dunque un suo grande amico, che è pure santo, San Possidio, vescovo di Càlama, una città vicino al luogo dove risiedeva Sant’Agostino.

 

Lo mandò con una sua lettera, in cui Sant' Agostino presentava San Possidio e diceva a San Girolamo: questo mio amico, Possidio, vi spiegherà qual è il problema, a proposito del quale vorremmo la vostra illuminata opinione.

Questo San Possidio fu un uomo chiave nella vita di Sant’Agostino. Quando il Nord Africa fu invaso dai Vandali, che devastarono e distrussero ogni cosa, San Possidio - dopo la morte di Sant' Agostino - riuscì a mettere in salvo le "opere" di Sant’Agostino.

 

Dunque, è merito di san Possidio se ora noi possiamo disporre de "corpo intero" delle famose "opere" di Sant’Agostino. Se non fosse stato per lui, a malapena avremmo potuto avere una qualche lettera, un dettaglio, o una frase ripetuta da altri in un altro documento, e nient’altro di più.

Dopo la morte di Sant’Agostino, San Possidio scrisse inoltre la prima "Vita di Sant’Agostino", nella quale egli ricorda che loro due erano stati amici per più di qauaranta anni....

Quando, dunque, Sant’Agostino scrisse a San Girolamo, presentando San Possidio, che andava umilmente a chiederegli spiegazioni su qualche punto della Sacra Scrittura interpretato e contestato dai "Donatisti", usò una celebre espressione, che mi piace sempre di citare, quando si parla della vocazione sacerdotale.

Dice Sant’Agostino nella lettera a San Girolamo: "Ti presento il mio amico Possidio, nel quale troverai il mio proprio abbastanza somigliante ritratto".

In realtà, questa frase non è troppo elegante dal punto di vista letterario e grammaticale, specialmente in un autore come Sant’Agostino, ma come spiritualità è una frase bellissima, bellissi-missima.

A sua volta, lo stesso San Girolamo, in una lettera posteriore a questa di Sant Agostino e diretta ad un’altra persona, fa un’annotazione molto importante a proposito dell’amicizia; egli dice: "L’amicizia, o trova due amici già uguali, o li rende uguali".

Dunque, riassumendo le due frasi: che cos’è un amico?

Un amico è "il proprio abbastanza somigliante ritratto" del suo amico e, se l’amicizia non li ha trovati già uguali fra loro, li renderà poi uguali.

 

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2 - "Sacerdos alter Christus".

 

Da qui viene la frase molto conosciuta da tutti: "Sacerdos alter Christus": il sacerdote é un altro Cristo !

 

 

Perché è "un altro Cristo"?

Appare ora, dopo quanto abbiamo annotato, piuttosto evidente: perché il sacerdote è "il proprio abbastanza somigliante ritratto" del suo amico, che è Cristo, e se la loro amicizia non li ha trovati uguali fra loro, li renderà uguali.

E così la gente buona, il popolo di Dio, quando vede un sacerdote, sente naturalmente ed avverte chiaramente di vedere un altro Cristo: lo considera veramente - come in effetto é - una immagine vivente di Cristo.

Il sacerdote è un amico di Dio, è un esperto di Dio, e la gente ha ragione nel pensarlo.

 

In effetti il sacerdote è un amico del Signore, e quindi é un altro Cristo, o perché già lo è, o perché sta diventandolo sempre più.

Pensate che il Vangelo, quando parla dei "discepoli del Signore Gesù", "discipuli Domini", non usa mai i titoli che per noi sono così abituali e familiari.

Il Vangelo non chiama mai i "discepoli del Signore": sacerdoti, presbiteri, padri, vescovi, pontefici .... Non dà mai loro questi titoli.

Quando il Signore Gesù costituisce e dichiara il loro "stato" in relazione a Lui ed al Padre, e rispetto a loro stessi ed al resto della gente, usa normalmente una parola suggestiva e inquietante, molto profonda e misteriosa, affascinante per ogni uomo, è una parola allo stesso tempo sublime e piena di drammaticità e di stupore: la parola "amico". Li chiamò "amici".

Mi ricorderò sempre - come potrebbe non essere così! – del giorno della mia ordinazione sacerdotale!

Fui ordinato sacerdote nella mia città di Cervia, un sabato pomeriggio: erano le cinque del pomeriggio.

Ricordo che mentre mi recavo alla chiesa, suonavano le belle campane del mio paese – abbiamo un concerto di campane molto bello, nella mia piccola città – e io dicevo a me stesso in quel momento: "queste campane stanno suonando per me".

E mentre ero in ginocchio di fronte all' Arcivescovo e lui mi ungeva le mani con l’Olio Sacro, ricordo bene che erano presenti i seminaristi della mia Arcidiocesi e che loro cantavano in latino queste parole, che sempre ricordo, e che mi sembra ancora di udire, a distanza di più di 30 anni:

 

 

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3 - "Vos amici mei estis"!

 

 

"Voi siete miei amici [..] Non vi chiamo più servi [..] Ma vi ho chiamato amici".(Gv 15, 14-15)

L’amico è infatti "il proprio abbastanza somigliante ritratto" del suo amico, e se l’amicizia - ai due amici - non li ha trovati uguali, poco a poco li va facendo uguali.L’amico è infatti "il proprio abbastanza somigliante ritratto" del suo amico, e se l’amicizia - ai due amici - non li ha trovati uguali, poco a poco li va facendo uguali.L’amico è infatti "il proprio abbastanza somigliante ritratto" del suo amico, e se l’amicizia - ai due amici - non li ha trovati uguali, poco a poco li va facendo uguali.

D’altro canto - a controprova - quando nostro Signore Gesù dichiara per quale ragione egli vada alla morte morirà, che cosa indica esplicitamente ??

Mi piace richiamare qui una suggestiva immagine medioevale, quella di tutte le "virtù", che passano in processione davanti alla Croce di Cristo: la speranza, la carità, la fede, la fortezza, l’umiltà, la prudenza ... e tutte le altre virtù. Passano lentamente, una dopo l’altra, di fronte al Signore in croce, per sapere e per chiedere per quale di esse Egli, il Signore Gesù, ha dato la vita.

La risposta che esse ricevono é che Cristo non è morto per nessuna di loro esclusivamente (anche se per tutte insieme, evidentemente): ma per nessuna di esse specificatamente, se non per una di loro specialmente: cioé per l'amicizia.

 

Infatti Egli ha esplicitamente dichiarato: "Nessuno ha un amore più grande di colui che dona la vita per i suoi amici". (Gv, 15, 13), indicando così per quale intenzione, per quale ragione, per quale finalità, per quale virtù, Egli donava la Sua preziosa vita specialmente.

Egli, il Signore Gesù, lo ha così espresso esplicitamente: ha dato la sua vita ammirabile per i suoi amici; per amicizia ha dato la sua santa vita.

 

Ora ci addentreremo un pò di più in questo argomento. Che cosa c’entra, che cosa ha a vedere la amicizia con il Signore Gesù e con il sacerdozio? E perché?

 

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4 - "Speculum visibile invisibilis Dei".

 

C’è infatti un tema molto interessante e importante, utilizzato spesso dai teologi del Medioevo: é il tema molto ricco e suggestivo dello "specchio".

Lo stesso Signore Gesù era infatti, Egli stesso, "specchio visibile dell' invisibile Dio" (espressione in effetti molto bella: "Speculum visibile invisibilis Dei").

Tu vedi Lui e al contempo vedi, "in uno specchio", Dio stesso.

Ma anche ciò che Egli concretamente ha voluto fare, nella sua vita e missione, é stato - a sua volta - di "costruire uno specchio visibile" di Dio stesso.

 

(Questo argomento è interessante, perché ci fa ritornare su un tema centrale, esposto precedentemente, circa la finalità propria di Dio: la finalità propria di Dio è Dio stesso!)

Dunque, questo tema è molto importante nella mente del Signore Gesù.

La finalità principale del Signore Gesù era l’amore del Padre, la Gloria del Padre. Questa era la Sua finalità. Praticamente, la sua finalità unica.

Risulta molto difficoltoso comprendere Cristo se non teniamo conto di quella che era la sua principale intenzione, anzi praticamente l’unica: la Gloria del Padre Suo.

Così é, in effetti, chi ha un amore: vi si dedica completamente e non ha altre finalità.

L’amore infatti è esclusivo, è totalizzante; e ciò molto di più dentro di Dio, ancor di più in Cristo.

Dunque, il fine di Cristo era certamente quello che noi abbiamo adottato come tema dei nostri esercizi fin dall' inizio di queste riflessioni, vale a dire, la Gloria di Dio.

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5 - "Amicitia discipulorum Domini, Speculum Gloriae Dei".

 

 

Con questo scopo principale, e praticamente unico, il Signore Gesù si è dedicato, durante gli anni della sua vita pubblica, principalmente a costruire uno "specchio".

Questa, che stiamo esponendo, è un’immagine che mi sembra molto adeguata e che aiuta a unificare il tutto della Sua vita e missione.

Dopo - quando terminò il corso della Sua vita terrena - il Signore Gesù se ne é andato, ma lo "specchio" costruito e costituito da Lui é rimasto visibile.

La Sua "idea" operativa principale era questa: come nella Santissima Trinità esiste una "relazione" tra il Padre e il Figlio, che è lo Spirito Santo, così Egli ha cercato di costruire uno "specchio" visibile di questa "relazione", cioé di ciò che è più intimo alla Trinità.

La comunione che esisteva tra Lui ed i Suoi discepoli, e dei Suoi Discepoli tra di loro - alla cui costruzione e costituzione Egli ha dedicato tanta pazienza e la maggior parte del Suo tempo - era tanto importante ai Suoi occhi, perché era la costruzione dello "specchio" permanente e visibile dell’invisibile di Dio.

Il Signorer Gesù stesso era specchio di Dio Padre.

 

Dentro la Santissima Trinità, il Figlio è specchio perfetto del Padre.

Cristo è venuto a costruire uno "specchio", affinché lo "specchio" rimanesse dopo il Suo ritorno al Padre, in modo che la gente, poi, vedendo lo "specchio", vedesse Dio.

Quando passa un sacerdote, è Dio stesso che passa. È una presenza misteriosa di Dio, che si vede come in uno "specchio" e che passa in mezzo a noi.

In pratica, questo tema, nell’ottica della finalità principale del Cuore e dell’Animo di Cristo, vale a dire la Gloria di Dio - la Gloria del Padre nello Spirito Santo, la Gloria dell’Amore di Dio - rimane il tema interamente fondamentale della Sua vita e del Vangelo.

 

 

 

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6 - "Speculum Trinitatis".

 

Egli si è impegnato, pian piano, ma con pazienza e decisione, a questo progetto di costruire uno "specchio" vivente ed un’ "immagine" concretamente visibile della realtà della "Vita Trinitaria", con il fine di rendere Gloria a Dio, di rendere visibile la Comunione Trinitaria, e di porre il fermento dell' "Amore Trinitario" nel popolo di Dio.

Le ragioni o finalità, dunque, potrebbero essere tre, ma sempre convergenti in una:

prima: la Gloria di Dio;

seconda: rendere visibile la comunione trinitaria;

terza: fare da fermento per quell’altro grande specchio dell’amore di Dio, che è tutta la Chiesa, il Suo popolo santo.

 

Bene, ora ci chiediamo come ha fatto il Signore Gesù a costruire lo "specchio" ??

Brevemente e sinteticamente si potrebbe dire che Egli ha utilizzato l’amicizia come forma e come materia costruttiva dello "specchio".

 

Cioé, come tra il Padre e il Figlio esiste una "relazione" profonda ed intima – che noi chiamiamo Spirito Santo - così Egli doveva costruire un’altra "relazione" - parallela e speculare rispetto a quella prima e principale "relazione trinitaria" - dei Suoi Discepoli fra di loro e dei Suoi Discepoli con Lui stesso (una "relazione" tra di loro e con Lui): per questo fine dunque Egli si è servito del "mezzo" privilegiato, che é l' "amicizia".

L’amicizia è stata pertanto il "mezzo" privilegiato, di cui si è servito Nostro Signore Gesù per costruire la "specchio" visibile dell' invisibile Dio, uno specchio visibile dell’Amore Trinitario.

In proposito ricorderete che abbiamo già fatto una specie di catalogazione dei vari tipi di amori umani.

Si era già accennato allora che più avanti avremmo utilizzato queste categorie.

Cioé gli amori umani, secondo quel nostro schema, si potrebbero dividere in tre tipologie fondementali:

1) un amore di parità o di maturità, in cui le due parti si trovano allo stesso livello, e che corrisponde alla maturità della vita: amore fraterno, amore coniugale, amicizia, cameratismo ...

2) un amore eucaristico o filiale, di dipendenza ... : dal basso verso l'alto

3) un amore paterno: dall' alto verso il basso (avevamo dato vari esempi, cui rimandiamo)

 

E abbiamo annotato allora che questi tre tipi di amore sono presenti nella Santissima Trinità: l’amore eucaristico del Figlio rispetto al Padre, l’amore paterno del Padre verso il Figlio e l’amore di parità tra Padre e Figlio, che chiamiamo Spirito Santo.

Ora, alla ragione appare conveniente che nostro Signore Gesù Cristo, cercando di vivere Lui stesso nella stessa Sua umanità l’amore umano, e cercando un amore umano che riflettesse l’amore della Santissima Trinità, abbia cercato uno degli amori di "parità", e in concreto quello della amicizia.

Ricorderete che noi lo abbiamo molto esaltato come il più grande di tutti gli amori, per il fatto che é il fine, il mezzo e il punto di partenza di tutti gli altri amori; ed anche perché, senza l’amore di amicizia, gli altri amori non possono sussistere, mentre invece l’amore d’amicizia può sussistere completamente solo.

 

Così che questo amore di amicizia, che apparirebbe come il più grande in sé, umanamente parlando, fu scelto dal Signore Gesù per questa operazione di "costruire uno specchio".

 

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7 - Il sacerdote non é un "funzionario".

 

 

Facendo questo, il Signore Gesù ha voluto educare "i suoi" - poco a poco - e li ha introdotti a questo progetto, pian piano. Ed inoltre Egli ha voluto dare a questo amore umano, che Egli elevava al massimo grado, caratteristiche proprie che stanno nella Santissima Trinità.

Così diede ad esso, logicamente, la caratteristica di una "totale radicalità".

Mi piace notare sempre con piacere, soprattutto quando predico sulle vocazioni sacerdotali, che il sacerdote non é un funzionario, neppure un funzionario di altissimo grado. Ciò che é caratteristica principale in un sacerdote non é il distribuire sacramenti, od il predicare, o ..... svolgere la "funzione" la più alta.

Tutto questo è molto molto importante, ma la cosa principale per un sacerdote è di essere l’immagine vivente e visibile di Dio e, concretamente, del Signore Gesù, del Buon Pastore.

La gente deve poter vedere il Signore che passa.

Lo vedevano passare allora in Galilea, o in Samaria, o in Giudea; ed ora, in ogni sacerdote, la gente Lo vede passare di nuovo, e soprattutto lo vede passare nella "comunione sacerdotale", nella "fraternità sacerdotale", cioé nella "comunione apostolica"; è così che la gente vede ora nuovamente passare il Signore.

 

Quando Giovanni e Pietro andavano al tempio, la gente sapeva che era sufficiente l' ombra di loro due, perché ove passasse questa ombra ogni male venisse curato, perché era il Signore stesso che passava (Atti 5, 15).

In proposito si può sottolineare che il radicalismo proprio del mistero dell'amore, se ben compreso, è fondamentale, perché aiuta a comprendere che il sacerdozio non é e non può essere immaginato come una funzione.

L’amore cristiano, infatti di per sé, è radicale, sempre... "tutto"!.

Così dice San Pietro, come uomo pragmatico e pratico: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa dunque ne otterremo?" (Lc 18,26 ss; Mt 19,27 ss Mc 10,28 ss).

E il Signore Gesù, come risposta, fa loro una lista: "In verità vi dico: [..] chiunque abbia lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" ... (ecco visibile il radicalismo di questo amore).

D’altro canto, sono profondamente convinto del fatto che tutti gli amori devono essere radicali, diversamente non sono amori.(San Girolamo ha una espressione profondamente indicativa: "l' amore, che può cessare, non é esistito mai")

 

Immaginate quando, per esempio nell’ambito dell’altro amore di parità – quello coniugale - due si sposano. Questo è un amore molto radicale. E questo non significa che in questo tipo d’amore non ci siano poi dei sacrifici ed eroismi da fare.

Certamente sì, questo amore nel matrimonio è un amore del tutto radicale: quando uno sceglie una ragazza per sposarsi, questa scelta rappresenta una decisione totalmente radicale e positiva per lei, e totalmente negativa per tutte le altre ragazze possibili e future.

È un radicalismo così: totale.

D’altro canto, quando uno diventa sacerdote, sa e deve sapere che questo Signore Gesù Cristo non lo manda a fare il funzionario.

Non fatevi quest’idea del sacerdozio come funzione, è un’idea profondamente sbagliata: non siamo funzionari per distribuire sacramenti. Per favore, no!!

Io non avrei mai pensato, né accettato, di fare il "funzionario di grado elevato".

No: io mi sono compromesso con l’amore che mi attirava e che mi interessava, e mi gioco tutto in quello che è l’amore della mia vita.

 

Certamente i sacramenti sono importanti, anzi importantissi-missimi: bene, amministriamo dunque bene e volentieri i sacramenti. Se devo celebrare un’eucaristia, molto bene, celebriamo con grande pietà e devozione l’eucaristia. Se devo predicare, certamente devo farlo con spirito di fede e con passione certamente, ed è quello che sto facendo qui.

Ma, fondamentalmente, io mi sono messo in gioco "come amico" del Signore Gesù.

 

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8 - La fraternità sacerdotale.

 

 

Il Signore ha fatto di una relazione umana pre-esistente, la amicizia ("Non vi chiamo più servi, [..] ma vi ho chiamati amici" Gv 15,15), uno "stato di vita" ed un "sacramento".

 

Vi faccio un esempio. Succede la stessa cosa nel matrimonio. Il matrimonio è un sacramento, ma l’unione coniugale non è stata inventata al tempo di Cristo, esisteva già prima di Lui.

Anche tra i pagani esiste l’unione coniugale.

Ciò che Egli ha portato - inventato - è stato il "sacramento" del matrimonio.

Egli prese "qualcosa" che già esisteva, l’unione coniugale, e partendo da questa Egli ne ha fatto "un sacramento", il sacramento del matrimonio.

 

Come succede analogicamente con il sacramento dell’Eucaristia. Il Signore prese "qualcosa" di già esistente, il pane e il vino, e ne fece un sacramento, che é il Suo Corpo e il Suo Sangue.

Così ha preso l’acqua, che già esisteva, e ha istituito "il sacramento" del battesimo.

Dunque, Egli si serve di elementi che già esistono, e ne fa un sacramento. (Non vi farò ora tutta la teologia dei sacramenti).

Vi farò solo l’esempio di come, nei due sacramenti che costituiscono uno "stato di vita", il Matrimonio e l’Ordine Sacerdotale (Ordine Sacro), Nostro Signore Gesù prese una "relazione" che già esisteva precedentemente e la elevò a "Sacramento" di "Stato di vita": per il sacramento del matrimonio la relazione pre-esistente era la unione coniugale, mentre invece nel caso specifico del sacramento dell' Ordine Sacerdotale (Ordine Sacro),la relazione pre-esistente era la amicizia:

"Io vi ho chiamato amici, perché vi ho manifestato tutto quello che ho sentito dal Padre mio. Non voi avete scelto me, ma Io ho scelto voi e vi ho costituiti, affinché andiate e portiate frutto ed il vostro frutto rimanga" (Giovanni 15,15-16).

 

A questo proposito, si potrebbe aprire la Bibbia e leggere, per esempio, la bellissima storia profetica di Davide e Gionata, che fu una splendida amicizia.

Proprio lì si racconta che dopo che uccisero Gionata - insieme a suo padre, Saul - Davide ha composto un bellissimo inno sulla sua amicizia con Gionata.

In ricordo di quella bellissima amicizia, il Re Davide stabilì che, per tutto il resto della vita, il figlio di Gionata (che era zoppo) stesse alla mensa di fronte a lui, durante i pasti, come memoria perpetua del suo grande amico. E così fece il figlio di Jonata.

Dunque, quando Gesù Cristo volle istituire il sacramento dell’Ordine Sacerdotale, prese come base la "amicizia", e la caricò di un radicalismo singolare ed inoltre la colmò di tutti i doni possibili e immaginabili.

Così l’amicizia fu elevata a livello di sacramento, un Sacramento esistenziale, o "stato di vita". Lo stesso Signore Gesù spiegò tutto questo e lo realizzò ampiamente, soprattutto durante l’Ultima Cena.

È molto interessante vedere come la Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II, abbia voluto riscoprire e mettere in luce questo tema così fondamentale e radicale della "fraternità sacerdotale", nel Sacramento dell' Ordine Sacro.

Principalmente, i sacerdoti sono discepoli del Signore Gesù e fratelli tra di loro, e la loro fraternità rappresenta ed è specchio visibile e sacramentale, posto dallo stesso Signore Gesù, della Santissima Trinità: dunque non solo una fraternità "spirituale", ma una esplicita fraternità "sacramentale".

E ciascuno se ne rende conto. Durante una Festa grande, per esempio una processione del Santissimo Sacramento, tutti sentono e vedono che è vero: che i sacerdoti che si trovano lì sono lo specchio di Dio.

Non è necessario tanto predicare questo fatto, infatti è evidente, è visibile.

C’è di più: perché alcuni desiderano diventare sacerdoti ??

Perché sono attirati ed affascinati da ciò che vedono con i propri occhi, sono attratti dallo "stato di vita" dei "discepoli" del Signore Gesù, sono attirati da quello "stato di vita" che è allo stesso tempo radicale e soave ("il mio giogo é soave").

 

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9 - Esperienza esistenziale.

 

 

Vi racconterò ora qualcosa della mia vita.

Nella mia vita - come tutti del resto nella loro vita - ho avuto "tutte" le tentazioni possibili; "tutte" meno due, finora.

Ho avuto "perfino", o "quasi" la tentazione dell’ ...omicidio, che credo sia la tentazione più grave. Successe così: là a Roma, c’era un "Prelato" che mi pareva terribile e molto pericoloso per la Chiesa.

 

Lui passava, a piedi, tutti i giorni sotto la finestra del mio ufficio; forse un vaso di fiori, cadendo dal davanzale della mia finestra, avrebbe potuto risolvere la difficoltà ...(??). Evidentemente non successe mai ....!

Dunque, è normale avere tutte le tentazioni. Una persona normale le ha praticamente tutte, in forma tranquilla.

 

Non pensate di essere anormali perché avete strane tentazioni. Non é così. Se uno invece le ha in forma ossessiva, allora questo non va bene; ma tutti quanti abbiamo un po’ di "tutte" le tentazioni.

La prima delle due tentazioni che finora io penso di non avere ancora mai avuto - forse per incompetenza mia - è l’invidia. O almeno così mi pare.

 

Anche se mi sembra poco normale che uno non abbia, almeno un poco, la tentazione dell’invidia. Tuttavia, finora non mi pare di avere provato la tentazione dell’invidia.

La seconda tentazione che finora non ho mai avuto - e questo sì per una grande grazia di Dio - è la seguente: finora mi pare di non avere mai avuto tentazioni contro la mia vocazione sacerdotale.

Ho 30 anni di sacerdozio e fino a questo momento - lo dico umilmente e con gratitudine a Dio - non mi è mai successo, nemmeno una volta, di avere una tentazione contro la mia vocazione sacerdotale.

Al contrario, quando mi passa dinanzi una ragazza molto bella dico a me stesso: meno male che sono già stato ordinato sacerdote e che la mia decisione é già fatta !

Ma questa della "apparizione" di una bella ragazza - comunque, di per sé - non sarebbe forse tanto una tentazione contro la vocazione sacerdotale, ma eventualmente potrebbe divenire una tentazione contro la correttezza della castità.

La vera tentazione contro la vocazione sacerdotale sarebbe inveve piuttosto quella di pensare:

"Forse ho sbagliato nel farmi sacerdote. La mia vita, forse, avrebbe dovuto essere diversa. Attualmente mi trovo in una bataglia ed in una vita che forse non é la mia".

No! Al contrario! Mi sembra e mi è sempre sembrato così bello e così normale di essere sacerdote, che non solo - grazie a Dio – non ho avuto la tentazione, ma se dovessi tornare indietro, vorrei essere immediatamente sacerdote, e sempre con grande entusiasmo.

Credo che la vita sacerdotale abbia un grande fascino ed eserciti una misteriosa e soave malìa: si vede bene che é come un divino incantesimo ed "uno" ne resta "preso" e "preso per sempre".

 

Dovete sapere che, nell’ufficio in cui lavoro a Roma, abbiamo i dati delle vocazioni sacerdotali nella Chiesa al momento presente.

Attualmente c’è, in effetti e grazie a Dio, come un’esplosione di vocazioni sacerdotali.

L’America Latina non ha mai avuto - in tutta la sua storia - tante vocazioni al sacerdozio, come in questo momento.

Proprio in Messico, per esempio, abbiamo recentemente fatto i calcoli che c’è un aumento generale ed impressionante di vocazioni sacerdotali; esistono seminari che si sono quadruplicati, sestuplicati nel numero dei seminaristi maggiori presenti, e ciò anche escludendo molti candidati per scarsità di posti e di mezzi.

Quella sacerdotale é infatti una vocazione estremamente affascinante ed attraente: splendida!

 

 

 

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10 - Sacramento di "stato di vita".

 

Dunque, Gesù elevò "l’amicizia" ad essere un "sacramento di stato di vita": il sacerdozio ministeriale.

Ed Egli stesso la visse intensamente.

Egli era il Figlio dell’Uomo. Egli era vero uomo.

Egli era vero uomo e vero Dio. Egli era vero uomo, simile in tutto all’uomo, meno che nel peccato.

Dunque l’amore , l’amore umano, non è un peccato, è anzi una virtù! Il Figlio dell' Uomo infatti ha vissuto l' amore umano!

Domanda molto importante: quale fu l’amore umano così degno da essere vissuto da Lui ??

La risposta risulta molto chiara dal Vangelo: è evidente che Egli visse l’amore di amicizia.

Egli ebbe degli amici e sappiamo come si chiamano, uno per uno.

Ebbe anche delle preferenze tra i suoi amici, e conosciamo bene le gerarchie e le sfumature di quelle sue amicizie.

Egli anzi usava mandare i Suoi, come lo ricorda l' Evangelista San Luca (10,1), "a due a due".

Questa é una buona domanda: perché "a due a due"?

Alcuni - in modo grossolano e superficiale - dicono che Lui li mandava "a due a due" affinché si controllassero l’un l’altro: mi parrebbe una interpretazione irriguardosa, ed anche insolente.

Prendiamo, per esempio, i discorsi dell’Ultima Cena. Osservate che tutti i discorsi da Lui fatti nell' Ultima Cena sono indirizzati "espressamente" ai suoi discepoli, che pertanto ne sono i destinatari immediati e diretti.

 

Inoltre, in senso più ampio e generale, quei discorsi sono indirizzati "anche" a tutti i fedeli ed a tutta la Chiesa: quindi quei discorsi vanno letti ed ascoltati primariamente nel contesto esistenziale dei loro destinatari immediati; non già il contrario.

I destinatari immediati di quei discorsi sono loro, lì presenti, e poi, attraverso di loro, tutti i fedeli e tutta la Chiesa.

"Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".(Gv 13, 34-35).

Ecco dunque il punto! E come funziona tutto questo ?? Questo è in effetti proprio il montaggio, la costituzione, la costruzione dello specchio.

 

Allo stesso modo, analogamente, si può dire che "come in uno specchio" si riconosce Lui stesso, il Signore Gesù, quando Egli manda i suoi discepoli "a due a due".

"A due a due", perché sono amici; cosicché dall’amore ("amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati") con cui si amano questi "due" si riconosce, "si vede", che sono Suoi discepoli, e "così" si riconosce e si vede Lui, "come in uno specchio" in loro.

C’è di più: si vede, per trasparenza, nell’amore con cui si amano "a due a due", lo stesso Amore Trinitario che c’è tra il Padre ed il Figlio. Anzi, per meglio dire, è l’Amore che c’è tra il Padre e il Figlio quello stesso Amore con cui si amano "a due a due": visibile "come in uno specchio".

Proprio dal fatto della loro amicizia, dal loro amore di amicizia "a due a due", si riconoscerà che sono Suoi discepoli.

 

 

 

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11 - "Che siano una cosa sola - ut unum sint".

 

Lo stesso Signore Gesù lo dice espressamente e nuovamente nella Sua preghiera al Padre: "E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo riconosca che tu mi hai mandato" (Giovanni 17, 22-23)

Il vederli "a due" come "uno", è precisamente questo l’effetto del fatto che sono "amici", che perciò si amano, che sono una unione, una comunione sacerdotale di discepoli del Signore Gesù; è così che il mondo riconosce " [..] che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me" (Gv 17, 23).

(Se avremo tempo, riprenderemo con abbondanza i Discorsi del Signore Gesù nell’Ultima Cena: sono infatti del tutto straordinari)

Col Concilio Vaticano II, e poi successsivamente e ripetutamente, la Chiesa ha ripreso ed approfondito costantemente il tema importante della "fraternità sacerdotate". Infatti nel Documento Conciliare sul sacerdozio e sui sacerdoti, "Presbiterorum Ordinis", al numero 8, si introduce proprio un elemento molto fondamentale ed interessante a questo riguardo.

Si esplicita infatti l' argomento della "comunione apostolica" dei sacerdoti mediante un tema, che meriterebbe da solo una meditazione: il tema della "fraternità sacramentale dei presbiteri".

Vale a dire, proprio lì, nel documento "Presbiterorum Ordinis" al n. 8, si afferma questa "fraternità sacramentale":

 

cioè quando uno viene ordinato sacerdote, dunque quando riceve il Sacramento dell’Ordinazione Sacerdotale, esce dalla famiglia in cui vive e dove ha, per esempio, 10 fratelli, e viene inserito in un’altra fraternità, una "fraternità sacramentale", ancora più grande e più profonda.

Così come dice San Bernardo nella sua celebre Omelia fatta in occasione della morte di suo fratello Gerardo: "La fraternità che ci univa come sacerdoti era molto più forte della fraternità che ci univa come fratelli di carne" (San Bernardo, Patrologia Latina, "Commento al Cantico dei Cantici", Omelia 26).

E così è. Io, per esempio, per ragione di questa "fraternità sacramentale", sono - di fatto, ontologicamente - "più fratello" di un sacerdote che si trova in Australia e che non ho mai visto, che del mio stesso fratello della carne, che si trova a casa mia. E' infatti un potere straordinario, quello del sacerdozio, e dell’Ordinazione Sacerdotale.

 

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12 - La cultura occidentale.

 

 

A questo proposito, mi piace presentare ora per voi un tema, che mi pare interessante.

L’occidente e la parte settentrionale del mondo possiedono una cultura non diciamo uniforme, ma piuttosto dominante, che si definisce "cultura occidentale".

All’interno di questa cultura ci sono vari aspetti negativi, ma anche alcuni aspetti positivi; altri aspetti, invece, sono neutri.

Per esempio, parlando di immagini antropomorfe (cioé prese a partire dall' uomo), abbiamo in occidente l’immagine del "cuore".

Nel mondo occidentale il "cuore" é una immagine molto importante: si rappresenta il "cuore" come simbolo, espressione ed immagine dell’amore. Nella cultura, anche popolare, occidentale "cuore" equivale ad "amore".

Ciononostante, quando i chirurghi fanno delle operazioni al cuore, non trovano mai l’amore; anche se aprono e dividono in due il cuore, non troveranno mai l’amore.

Ma, nonostante ciò, è abitudine piuttosto diffusa in occidente di usare la parola "cuore" come immagine antropomorfa dell’amore.

Se, per esempio volete cercare un pò:

- solamente nelle canzoni di Agustín Lara: quante volte compare il "cuore" come simbolo dell’"amore";

- quando poi arriva la festa degli innamorati, il 14 di febbraio, i fidanzati cominciano a disegnare due cuori con una freccia ... se poi uno va a passeggiare nei boschi, spesso trova questi disegni sugli alberi;

- così le mamme, quando baciano il proprio figlioletto, gli dicono con trasporto ed amore: "cuoricino mio";

- o anche noi stessi, i cristiani, siamo un esempio: abbiamo così diffusa la devozione al Sacro Cuore, che è relativa all’amore del Signore Gesù (in effetti - e mi scuso per la involontaria irriverenza, che però evidenzia l' argomento - non abbiamo il "sacro fegato", o il "sacro piede"¼ )

-........

La connessione simbolica dell’ "amore" con il "cuore" è dunque evidentemente un fatto culturale importante del nostro mondo occidentale.

Perché? Perché è una parola carica di significato. Per cui tutti la comprendono e ne capiscono il suo uso, così che non bisogna spiegarlo nemmeno a un bambino.

Così che, in conclusione, nella cultura occidentale la parola "cuore" corrisponde analogamente alla parola "amore".

 

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13 - La cultura orientale.

 

Nella cultura orientale, al contrario, c’è qualcosa che noi occidentali non abbiamo nella nostra cultura, ma che è ugualmente importante: ed è "il sangue", la parola "sangue".

Questo tema - del "sangue" - è dominante lungo lo svolgersi di tutta la Sacra Scrittura; ma siccome noi occidentali non abbiamo quella sensibilità e quel concetto culturale orientale, circa il "sangue", leggiamo talvolta la Sacra Scrittura senza renderci perfettamente conto di certe "profondità".

 

Il "Sangue", come indicato dalla Sacra Scrittura, è "Spirito e Vita", lo "Spirito e Vita" della persona.

Voi sapete che gli ebrei, secondo la loro consuetudine di origine orientale, per mangiare la carne devono andare a comperarla in macellerie speciali, dove viene trattato in modo speciale l’animale, la cui carne sarà poi venduta.

 

Cioé, secondo il loro uso, non vanno in una macelleria qualunque, perché non possono mangiare la carne di un animale, che conservi anche solo una goccia di sangue.

Sembrerebbe loro un’atrocità, come se ne mangiassero lo "spirito". In effetti, noi occidentali quando - per esempio - vogliamo mangiare carne di pollo, generalmente, gli "tiriamo il collo": e così il sangue del pollo gli rimane dentro.

Invece, per ebrei e musulmani, cioé per la cultura religosa "orientale", bisogna "tagliare la testa" al pollo e lasciarlo dissanguare, in modo tale che si possa essere sicuri che non sia rimasta, dentro il corpo dissanguato, nemmeno una goccia di sangue, diversamente non si potrebbe mangiare.

Lo Scià di Persia, cioé il Re-Imperatore dell’Iran, che non era troppo religioso, pur di dare da mangiare alla gente, non si preoccupava tanto di questa questione del sangue, e commerciava con l' Australia e la Nuova Zelanda: in cambio del petrolio che egli vendeva, comperava da quei Paesi tonnellate di carne bovina.

Così quando Komeinì prese il potere in Iran, con la sua rivoluzione mussulmana integralista contro lo Scià, c' erano in Iran centinaia di tonnellate di carne bovina provenienti dall' Australia e dalla Nuova Zelanda, ma non si poteva garantire che in essa non ci fosse del sangue residuo.

Così Komeini, per sicurezza della loro sensibilità orientale e religiosa, ordinò che si seppellisse tutta quella carne, nel dubbio che potesse esserci in essa anche solo un po’ di sangue.

Quindi in Iran non si poté più mangiare nulla di quella carne.

È dunque un fatto culturale (e quindi anche religioso); come per noi è un fatto di cultura dire "cuore" per significare "amore", così per loro dire "sangue" significa dire "spirito e vita".

Questo fatto del "sangue" è molto espressivo.

I missionari cattolici hanno sempre preso spunto dalla storia e dal tema del "sangue", come inteso dai popoli orientali e dell’Africa, per attirarsi simpatie, e anche per ottenere possibilità di evangelizzazione e di protezione per il loro lavoro apostolico.

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14 - La Fraternità di Sangue.

In realtà, un tema molto comune e importante per gli orientali e per gli africani è il tema della "fraternità di sangue".

È questa una cosa molto importante per molti di quei popoli e di quelle tribù.

Che cos’è di fatto e formalmente la fraternità di sangue?

Ci sono, per esempio due amici, che vogliono diventare "fratelli di sangue", vale a dire completamente e totalmente fratelli.

In varie culture dell’Oriente Medio e dell' dell’Africa, la "fraternità di sangue" comporta conseguenze anche legali, per questo deve essere formalizzata: per esempio comporta eredità, comproprietà, doveri d’assistenza¼ ....

Dunque c'erano, e ci sono talvolta ancora, dei riti formali di "fraternità di sangue". Come erano tali riti formali ??

C’erano diversi riti, dipendeva più che altro da tribù a tribù o da popolo a popolo.

Fondamentalmente, il rito constava di due parti: una era il proprio rito del sangue e l’altra era la preghiera celebrativa ed imprecatoria che si recitava mentre si faceva il rito del sangue.

Fra alcune tribù e popoli, per esempio, si era soliti fare così: i due amici che dovevano diventare "fratelli di sangue" si tagliavano un po’ il braccio (una piccola incisione) di fronte alla gente (doveva succedere di fronte alla gente, perché aveva conseguenze legali, pubbliche) e, dopo il taglio, i due univano le braccia in corrispondenza della parte ferita, perché - si supponeva - il sangue di uno dei due potesse passare nel corpo dell’altro, e viceversa.

Intanto, i presenti intonavano "litanie", che potevano essere positive o negative: nel primo caso poteva trattarsi di frasi come "benedetto colui che si mantiene fedele a questa fratellanza", etc.... e, nel secondo caso, di maledizioni come "maledetto colui che tradisce questa fratellanza di sangue, che sia "spezzato" (cioé "squartato" in due parti, così dicevano alcuni di quei versi imprecatori) in due", etc....

In altri casi si faceva in modo diverso, per esempio si prendeva un bicchiere, vi si metteva in un pò del sangue di uno dei due amici, ed anche un pò del sangue dell’altro, e poi i due amici bevevano entrambi successivamente il sangue dal bicchiere, mentre i presenti intonavano le solite "litanie", vale a dire, le benedizioni e le maledizioni contrapposte.

C’era anche un altro tipo di rito: invece di bere il sangue, mettevano in un bicchiere del sangue di qualche animale come ad esempio di un agnello, e vi aggiungevano poi del grano o altri semi commestibili; successivamente entrambi mangiavano il grano od i semi ben imbevuti di sangue, mentre si intonavano, al modo solito, le litanie di benedizione e maledizione.

Ci sono stati anche altri riti di "fraternità di sangue" differenti, dai precedenti.

Per esempio un altro tipo di rito di "fraternità di sangue" consisteva in questo: si metteva sempre il sangue in un bicchiere, od in un vaso, e poi si faceva un’aspersione, vale a dire, si prendeva il sangue e si irrorava prima sull' uno e poi sull’altro dei due amici, sempre mentre si intonavano le solite litanie di benedizione e maledizione.

Vi era poi anche un altro rito, molto diverso e molto significativo, in cui, invece di prendere il sangue degli animali, prendevano gli animali, cioé alcuni animali e li tagliavano (spartivano o squartavano) a metà, e disponevano le due parti di ogni animale una di fronte all' altra, in modo tale da formare una sorta di sentiero, in parallelo, con ognuna delle due parti destre degli animali dalla parte destra e le contrapposte parti sinistre degli animali dall' altra parte sinistra.

Allora i due amici, in procinto di mettere in atto il rito della fraternità di sangue, passavano insieme in mezzo a questo sentiero fatto di animali divisi in due parti e proprio lì aveva origine la loro "fraternità", mentre la gente cantava le solite litanie di benedizioni e di maledizioni.

 

In effetti, una delle litanie recitava così: "maledetto colui che tradisce questa "fraternità di sangue", possa egli rimanere spartito (squartato) in due come questi animali".

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15 - Le promesse e l' Alleanza.

Vi leggerò ora un testo della Sacra Scrittura al riguardo (Gen 15, 7 ss):

"E gli disse:"Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese". Rispose: "Signore mio Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?". Gli disse:"Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un piccione". Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calavano su quei cadaveri, ma Abramo li scacciava. Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abramo, ed ecco un oscuro terrore lo assalì. Allora il Signore disse ad Abramo: "Sappi che i tuoi discendenti saranno forestieri in un paese non loro; saranno fatti schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito la giudicherò io: dopo, essi usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri, sarai sepolto dopo una vecchiaia felice....

Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un forno fumante e una fiaccola ardente passarono in mezzo agli animali divisi. In quel giorno concluse il Signore Dio questa alleanza con Abramo: "Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d’Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate""

Questa è la "fraternità di sangue" tra Dio e Abramo, che noi chiamiamo Alleanza o antico Patto o Antico Testamento.

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16 - Conclusione dell' Alleanza.

 

La stessa cosa successe poi con Mosè (Ex 24, 3 ss):

"Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: "Tutti i comandi che ha dato il Signore, noi li eseguiremo!".

Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele (o pietre) per le dodici tribù d’Israele. (L’altare così eretto significa ed indica la presenza di Dio in questa fraternità di sangue) Incaricò alcuni giovani tra gli israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore.

Mosè prese la metà del sangue (badate bene: la metà!) e la mise in tanti vasi e ne versò l’altra metà sull’altare.

Quindi prese il libro dell’Alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!".

Allora Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo (metà del sangue era stata versata su Dio, cioé fu sull' altare che significava la presenza di Dio, e l' altra metà viene invece versata o aspersa sul "fratello di sangue" di Dio, che è il "popolo di Israele"), dicendo:"Ecco il sangue dell’Alleanza (osservate bene), che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole"".

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Questo rito si ripete poi varie volte nella Sacra Scrittura; quando gli Israeliti costruirono il Tempio, quando lo ricostruirono, quando lo ripararono, quando tornarono da Babilonia..... ogni volta con questo "rito di sangue".

 

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17 - Fratelli di Sangue.

Orbene, il Signore Gesù, durante l’ultima cena, disse ai suoi discepoli (Matteo 26,27; Marco 14, 24; Luca 22, 20):

 

"Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo avere reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati"."Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo avere reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati"."Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo avere reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue, sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati".

Così Egli pertanto costruì uno "specchio"; se li fece amici; una radicalità di amici, cioé una fraternità molto profonda e molto grande, la fraternità dei suoi discepoli, una "fratellanza di sangue" che, in effetti, noi abbiamo con Lui; noi sacerdoti, in particolare, siamo i "fratelli di sangue" del Signore Gesù: fratelli di "Spirito e vita".

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18 - La categoria del "mangiare".

 

Lo stesso procedimento culturale-religioso possiamo fare analogamente per comprendere il significato dell'espressione o categoria del "mangiare".

Nella cultura occidentale, non abbiamo praticamente quasi nulla della categoria, o tema, della "fraternità di sangue", mentre invece abbiamo "qualcosa in più" sul tema, o categoria, del "mangiare".

Nei nostri ambienti occidentali, "mangiare" vuol dire anche in parte comunicare; la parola "mangiare" per molti già quasi lo significa: "fare comunione", e realmente nel mangiare insieme si mette in atto una sorta di comunione fra coloro che mangiano insieme, fanno comunione fra loro.

Per gli orientali, "mangiare" è una cosa importante; é un rituale, poiché "fa la comunione" delle persone.

Quando uno mangia con un altro, comunica con l’altro; è un gusto che si condivide, che si dà e che si riceve. Condividendo il cibo, si condivide la vita ed il vivere.

Ci sono infiniti esempi di ciò nella Sacra Scrittura.

Il segno massimo, nella cultura orientale, quando uno si metteva a mangiare, era dato dall’amico, o dal padrone di casa, che gli preparavano il "boccone".

Voi messicani potete preparare il "boccone" come lo preparavano loro, gli orientali, perché avete la materia prima, che loro avevano, e che è la "tortilla".

Essi, gli orientali, avevano infatti la "focaccia" di farina (farina, lievito ed acqua).

Allora, con la focaccia di farina facevano una sorta di cono in cui, chi era "adagiato o steso, su tappeti o cuscini, generalmente per terra" (come essi usavano per mangiare) e teneva questo cono di focaccia (o tortilla) con la mano sinistra, vi metteva dentro, con la mano destra, varie cose saporite.

Lì per terra, al centro dei tappeti e cuscini, cioé nell' area riservata e preparata per consumare il pasto, c’erano dei vasi, dei bricchi e delle terrine, in cui erano conservati dei sughi, succhi e spezie varie, per loro deliziosi, dolci, salati,e piccanti.

Quando il padrone di casa, il capotavola (ma generalmente essi non usavano tavole e sedie per mangiare) o l' amico ospite, finiva di preparare il "boccone", faceva una cosa che ai nostri occhi può apparire forse sorprendente e forse anche sgradevole, ma per loro di grande importanza e trascendenza.

Egli prendeva il "boccone" e con la mano (questa volta la mano destra) lo immergeva, intingeva, dentro uno (o più di uno) dei vasi e bricchi preparati e lo tirava fuori mentre colava ancora di sughi saporiti, e così preparato, fragrante e grondante, lo offriva poi all’amico perché ne gustasse e lo mangiasse, come a dire: "prendi,ecco l’ho fatto proprio per te".

Era il massimo della comunione: "Mangia di ciò che ti ho preparato: mangia da me, mangia di me"!.

Solo alla luce di questo si comprende la gravità dell' episodio relativo a Giuda. Quando Nostro Signore gli offrì il "boccone intinto" (Giovanni 13 ,26), non gli stava dando, in effetti, un boccone "qualunque", ma compiva un gesto importante e rituale nella sua cultura.

Il Signore Gesù preparò a Giuda il "boccone", lo intinse e glielo diede: "Rispose allora Gesù: "(il traditore) è colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, Satana entrò in lui.[..] Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte." (Gv 13, 26-30)

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19 - Il "Fare comunione" - "mangiando".

Anzi, ancor più, secondo la cultura orientale si "mangia" con un amico, mentre invece non si "mangia" con i nemici, con i malvagi, con i pervertiti, per non "farsi comunione" con loro.

Per cui, alla luce della cultura orientale, uno diventa impuro nel "fare comunione" con un pervertito. In questo modo si spiegano le note espressioni del Vangelo: "come mai il vostro Maestro mangia con i pubblicani e con i peccatori?".

Questo fatto del "mangiare" è una cosa così sacra e così bella, perché dunque Egli, il Maestro, "fa comunione" con loro?

A questa categoria o fatto del "mangiare" si può aggiungere un altro tema dell’amore, che ha a che fare con il mangiare.

In effetti l’amore divora - o vorrebbe divorare - colui che ama, per giungere alla massima identificazione ed identità con lui.

Perché - ci si potrebbe chiedere - l’amore è divorante ??

L' amore é, in effetti, divorante di sua propria natura, a causa dell’istinto di identificazione totale. L’amore vuole identificare l’uno con l’altro ... il Padre con il Figlio. Così che l' uno vuole "mangiarselo" all' altro (senza tuttavia annullarlo).

Il tema del "mangiare" contiene dunque in sé due significati importanti, soprattutto nella cultura orientale, ma anche un po’ nella nostra cultura occidentale: mangiando insieme si crea un ambiente di comunione, si costituisce una comunione; ed inoltre a questo significato si può aggiungere l'altro significato del "divorare", per "amore di identificazione".

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20 - Il "Fare Eucarestia".

Credo che quando si parla del tema dell’Eucaristia , per quanto riguarda i discepoli del Signore Gesù, è necessario mettere in luce ciò che realmente fu fatto con loro.

Il Signore Gesù diede loro da mangiare il Suo Corpo ed il Suo Sangue, vale a dire era una "fraternità di sangue" che si costituiva: essi sapevano cosa significava una "fraternità di sangue". Inoltre: "Quanto ho desiderato mangiare questa cena con voi!" Vale a dire, fare questa comunione con voi, e il "massimo" fu che in realtà mangiarono con Lui e mangiarono di Lui.

Hanno potuto "masticare" Colui che amavano!

E la cosa più straordinaria è che la comunione non fu solo con Lui, ma anche fra di loro.

Egli ha dunque fatto, costruito e montato uno specchio quasi perfetto, con le sole imperfezioni che ognuno di noi porta con sé: cioé ha costruito una immagine visibile del Dio invisibile, fino a raggiungere la "fraternità di sangue" e, con la "comunione dell’Eucaristia", lo specchio è realmente divenuto divino: "Speculum visibile invisibilis Dei".

È lo stesso Corpo e Sangue del Signore Gesù ad essere dentro lo specchio, così come é stato costruito e montato, dentro gli "amici" e fra di loro.

Questo - come risulta ben chiaro dal Vangelo - avvenne principalmente ed immediatamente con i soli discepoli del Signore Gesù, affinché questo grande "specchio dell’amore di Dio" venga poi successivamente da loro stessi montato e costruito in tutto il popolo di Dio; e così tutta la Chiesa, nel suo insieme, finisca per essere il grande specchio visibile dell’invisibile amore di Dio.

Abbiamo già detto che San Gregorio Nazianzeno e San Basilio Magno andarono ad Atene, quando erano giovani, a studiare all’Università, dove furono inviati dalle loro famiglie (a quell’epoca, i figli delle famiglie "accomodate" andavano a studiare ad Atene, la città della cultura del mondo antico).

Come dice lo stesso San Gregorio nella omelia funebre per la morte di San Basilio: "Successe a loro la stessa cosa che successe al giovane Saul, il quale inseguendo delle asine, che gli erano scappate, trovò Samuele che lo cercava per farlo re".

Così dice San Gregorio di Nazianzo, della grande amicizia che lo univa a San Basilio: " A noi due successe come a Saul, che cercando delle asine trovò un Regno: in effetti, noi eravamo andati ad Atene per cercare la sapienza ed abbiamo trovato l’amicizia, che è il Regno".

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21 - "L' Amicizia é un grande Regno".

Il Regno! osservate come esce di nuovo a proposito, il Regno!

Quale regno è in effetti più perfetto e desiderabile dell’amicizia?

L’amicizia è un grande regno.

Il "Regno del grande Re dell’amicizia", il Signore Gesù, come lo definiva il beato Raimondo Lullo, quando parlava di Colui che, per amicizia, ha dato la Sua vita. "Nessuno ha un amore più grande di colui che dona la vita per i propri amici!" (Giovanni 15,13)

Il Signore Gesù lo dice: non esiste amore più grande.

L’amicizia possiede e raffigura, in effetti, tutte le frontiere e le realtà del Regno, e a noi sacerdoti è stato impresso il sigillo ed i carattere di quel Regno, del "gran Regno dell’amicizia".

Da quel Regno siamo stati inviati "a due a due", "fino ai confini della terra", per ampliare le frontiere del Regno e proclamare le eterne meraviglie e la Gloria immortale di Nostro Signore.

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22 - Specchio visibile dell' infinito Amore di Dio.

 

Vorrei qui aggiungere una annotazione a riguardo di coloro che studiano il Vangelo. Bisogna dire che alcuni pensano che non sia ben fatto, o piuttosto che gli Evangelisti non l’abbiano scritto in modo equilibrato per ciò che si riferisce al modo in cui Gesù spendeva il Suo tempo, cioè come impiegava e distribuiva il suo tempo fra le sue varie occupazioni ed i diversi impegni.

Infatti, se voi ci fate caso, dal Vangelo risulta (ed è per questo che viene criticato) che Gesù dedicò molto tempo o piuttosto la gran parte dei tre anni e mezzo di vita pubblica ai Suoi discepoli: a "montare" questo specchio.

Questo, secondo alcuni critici del Vangelo, non sembrerebbe in armonia organica con una concezione prioritaria dell’ evangelizzazione e della salvezza.

Come mai una tale sproporzione e sbilanciamento, se si deve evangelizzare il mondo ? Perché perdere tanto tempo con questi "dodici", ..... , "settanta" ... discepoli, invece di portare la salvezza al mondo intero?

Secondo loro, in ciò sembrerebbe intravvedersi una struttura non armonica della redazione del Vangelo.

Inoltre, secondo loro, in questo aspetto si potrebbe osservare, sempre nella redazione dei Vangeli, anche un "corpo di evangelizzazione e di salvezza" troppo remoto e troppo ridotto.

E, sempre secondo certi critici, si vedrebbe anche che gran parte dell' "apparato di preparazione" (del "lavorio") di Cristo è stata dedicata a scegliere i discepoli, ad ammaestrarli, a convivere con loro, a cenare con loro, insegnando loro la sua dottrina ....; mentre invece - quando poi Egli venne crocifisso - essi ... Lo abbandonarono....

Questi "economisti del tempo" della salvezza, nella loro particolare logica, sembrano suggerire che , considerando l’urgenza e l’ampiezza della missione di salvare l’immensa umanità, il Signore Gesù - secondo la redazione dei Vangeli - abbia dedicato un tempo troppo ridotto a questa prospettiva, utilizzando invece la maggior parte del Suo tempo per formare i Suoi discepoli, convivendo con loro (forse é un correttivo del Vangelo, che qualcuno vorrebbe suggerire, in omaggio ad una logica diversa).

Parrebbe pertanto, secondo loro, che il Signore Gesù, almeno restando alla immediata redazione dei Vangeli, si sia sbagliato nell' organizzare e spendere il Suo tempo.

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23 - La "economia dei Vangeli e la costruzione dello "specchio".

La economia dei Vangeli mostrerebbe - secondo questi critici - che Egli avrebbe dovuto valutare meglio il modo in cui investire le sue energie: tante parole e tanti discorsi e tanti segni ... per un numero relativamente ridotto di discepoli.

INVECE si potrebbe - e forse si dovrebbe - piuttosto pensare che questa impostazione strutturale del Vangelo ci aiuti a comprendere la reale ed oggettiva intenzione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Parrebbe perciò più esatto dire che in effetti Egli non si é sbagliato e che "neppure" il Vangelo ha falsificato la Sua prospettiva. E' stata piuttosto una Sua decisione "intenzionale" quella di distribuire così il Suo tempo.

Egli ha procurato e voluto che i Suoi discepoli trascorressero molto tempo con Lui, per essere poi così preparati ad essere il grande "specchio" della Gloria di Dio, dell' "Amore" del Padre e del Figlio, che noi chiamiamo lo Spirito Santo.

C’è una tessera nel Vangelo, relativa ai discepoli del Signore.

Si intende come tessera una catechesi minima e sintetica, brevissima, puntuale, fatta di una o due piccole frasi, che uno può memorizzare, come una specie di "credo" essenziale.

Voi sapete, per esempio, che il segno della Santa Croce che noi facciamo, è stato promosso e diffuso da Sant’Atanasio come tessera minima del Credo Cristiano contro gli Ariani.

Sant’Atanasio, infatti, volle e diffuse il segno della Santa Croce, con l’espressione annessa "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen", come un atto di fede minimo ed essenziale per la gente semplice, che non poteva memorizzare molte espressioni: così si professava un atto di fede minimo e sintetico nella Santissima Trinità (Questa "tessera" é il "credo minimo" di Sant' Atanasio).

Così dunque, parimenti, nel Vangelo di San Marco c’è una tessera, ugualmente breve, sintetica, ma bellissima ed essenziale, sul sacerdozio, vale a dire sui discepoli del Signore Gesù.

Vi proporrò dunque questa "tessera" o "credo minimo ed essenziale" a conclusione delle meditazioni di oggi (cfr Mc 3,14):

Chiamò quelli che egli volle e ne costituì Dodici perché stessero con Lui e per mandarli a predicare.

1) "Ne costituì dodici": prima li costituì,

2) "perché stessero con lui": secondo perché stessero con lui,

3) "per inviarli a predicare": terzo per la missione.

Queste sono le finalità essenziali dei discepoli.

Egli non perse tempo. Stare con Lui non significa perdere tempo, e nemmeno il Suo stare con loro è una perdita di tempo.

Non è una perdita di tempo, ma anzi una ragione fondamentale!

Significa infatti montare uno specchio divino, affinché si possa "vedere come in uno specchio".

E quando il divino "specchio" è montato, bisogna solo passare di lì per vedere. Per vedere Dio che passa, nei "dodici" costituiti: "speculum visibile invisibilis Dei".

 

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NONA MEDITAZIONE

 

A PROPOSITO DELLA PERSONA DEL SIGNORE GESU’

 

 

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"Non c'é evangelizzazione vera, mentre non si annunci il nome, la dottrina, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio" (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, n.22)

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La meditazione che faremo oggi deborderà dalla abituale consuetudine delle precedenti meditazioni: vorrei infatti che, durante questa riflessione, se possibile, leggessimo un poco insieme la Sacra Scrittura.

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1 - Gerico

Incominciamo perciò con la nostra prima lettura, che sarà presa daVangelo di San Luca, capitolo 18, versetti 35 e seguenti.

Ma prima ancora collochiamo questa nostra prima lettura nel suo contesto.

Sapete che la città (o villaggio) di Gerico è una "fantasia" nella mente di tutti gli ebrei ed è di una bellezza straordinaria in sé stessa; è la città più antica del mondo (7000 anni prima di Cristo).

La situazione geografica di contesto generale è la seguente: la Terra Santa è una regione relativamente piccola, sulla costa orientale del Mare Mediterraneo.

Gerusalemme si trova a circa 700 metri sul livello del mare, ed è la capitale della Giudea.

La Terra Santa è infatti suddivisa in tre regioni:

- una settentrionale, verso le montagne e con bei laghi, che sarebbe la Galilea, da cui proviene nostro Signore;

- una centrale, piuttosto fertile, ondulata, con belle colline, che sarebbe la Samaria;

- ed infine una meridionale, piuttosto desertica, più o meno come Chihuahua nel nord del Messico, e che sarebbe la Giudea, la cui capitale è per l’appunto Gerusalemme.

Ad ovest, la Terra Santa è bagnata dal Mare Mediterraneo, mentre ad est è percorsa dal fiume Giordano, che scende dalla Galilea verso il Mar Morto, cioé da nord a sud, e di fatto ne costituisce la frontiera naturale ad oriente (salvo brevi sconfinamenti).

 

Dunque, tutta la Terra Santa si viene a trovare praticamente fra il mare Mediterraneo e il fiume Giordano.

Se uno perciò scende da Gerusalemme, che é la Capitale ed il centro della Giudea, verso est, cioé verso il deserto – che è un deserto spettacolare - dapprima raggiunge il livello del mare, e poi scendendo ancora più giù sempre verso est, fino a 300 metri sotto il livello del mare, arriva ad un punto da cui si ammira un panorama, che è uno degli spettacoli più belli e più selvaggi al mondo.

È un deserto assolutamente pittoresco, e da lì si vede il punto in cui il fiume Giordano, scorrendo da nord a sud, va a confluire in un lago gigantesco, chiamato il Mar Morto, che è appunto un grande lago salato, dai colori fantastici soprattutto al tramonto; poco prima del punto in cui il fiume Giordano sfocia nel Mar Morto c’è una verde oasi, chiamata l’Oasi di Gerico.

Lì c’è Gerico, la città più antica del mondo.

Al lato opposto del Giordano, verso Est, si intravedono altre montagne, azzurre nel sole, come quelle di Moab, sulle quali riuscì a giungere Mosè ed a vedere da lassù la Terra Santa, senza però poi potervi entrare.

 

In questo luogo fantastico si trova "Gerico", che fu luogo prediletto dal Signore Gesù; in effetti, attraverso il Vangelo si vede che Gesù preferiva alcune città e luoghi, come Gerico appunto; mentre per altri posti, che pur frequentava per diverse ragioni, si percepisce che non Gli piacevano altrettanto,

(Gerusalemme - ad esempio - che egli amava e sulla cui triste sorte futura pianse, tuttavia sembrava ispirargli timore e riguardo, nel presentimento di eventi drammatici e dolorosi).

Nella regione di Gerico risiedeva allora la famosa comunità degli Esseni (di cui tanto si é scoperto e si é scritto negli ultiumi cinquanta anni); lì nella regione di Gerico trovò i suoi primi discepoli; lì in quella regione si battezzò e lì fece la sua quaresima, il digiuno, sul monte che si trova prima di arrivare a Gerico, quando si viene da ovest, cioé da Gerusalemme¼

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2 - "Passa Gesù , il Nazzareno"

Questo è dunque il contesto del brano di Vangelo che ci accingiamo a leggere:

"Mentre Gesù entrava, camminando a piedi, a Gerico, accolto da una grande folla, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada.

Sentendo passare molta gente, domandò che cosa accadesse.

Gli risposero: "Passa Gesù il Nazareno!" .

Allora il cieco incominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi compassione di me!".

Quelli che camminavano davanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava a gridare ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!".

Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: "Che vuoi che io faccia per te?".

Egli rispose: "Signore, che io veda".

E Gesù gli disse: "Guarda! Abbi la vista! La tua fede ti ha salvato".

Sull' istante recuperò la vista e cominciò a seguire Gesù, glorificando Dio.

Alla vista di ciò, tutto il popolo diede lode a Dio" (Luca 18, 35 ss).

Questo è il brano che ci introduce a quello che vorrei fosse l'"esercizio spirituale" di oggi, cioé "letture" del Vangelo, intercalate da pause di riflessione.

Perché leggere il Vangelo questa mattina ?? Per cercare di avvicinarci alla Persona di Gesù, e possibilmente di conoscerLa meglio, proprio attraverso lo strumento principale e più diretto di cui disponiamo e che é il Vangelo stesso

Leggere il Vangelo per avvicinarci di più alla Persona di Gesù e specialmente alla sua umanità. Come lo indicava San Francesco: "Evangelium sine glossa" (Il Vangelo diretto senza interpolazioni o interferenze).

In proposito credo che ci siano vari modi di leggere il Vangelo, per esempio Sant' Ignazio insiste molto nell' ambientazione o "composizione di luogo".

Infatti generalmente siamo un po’ distratti mentre lo leggiamo; distratti o dal fatto stesso che lì si descrive, o dalla parabola che lì si racconta, o dall’insegnamento che lì ci viene dato.

 

Infatti, leggendo lo stesso passo, ci sono molte maniere di farlo e di osservare con più attenzione e precisione molti particolari e vari aspetti concorrenti.

Per esempio, si potrebbe per un momento lasciare in secondo piano - come sullo sfondo - il fatto principale ed osservare gli elementi marginali: così si farebbero scoperte inattese ed interessanti.

Se uno fa questo tipo di osservazioni, che a prima vista potrebbero sembrare del tutto secondarie, si impara a porre la persona di Nostro Signore Gesù in un contesto: osservare la gente che si trovava intorno a Lui, ciò che la gente dice e come lo dice, le cose che sono descritte od annotate appena, il clima, la natura ...

Si può anche, invece di concentrarsi sul fatto centrale del brano evangelico (o dei brani evangelici, che vengono letti), osservare specialmente le persone che vi compaiono, per esempio la storia della persona di San Pietro lungo i Vangeli e gli Atti degli Apostoli...

Un’altro procedimento che si può anche seguire, e che è molto consigliabile, è quello di osservare - in rilievo - la propria Persona di Nostro Signore Gesù, e non tanto e non solo il fatto, magari anche molto importante, di cui Egli è protagonista.

Cioé osservare come Egli appare nel brano evangelico, quale è il suo atteggiamento, quali i suoi tratti personali, come si trova e come si comporta la varia gente intorno a Lui, come Egli si mette in relazione con loro, quali sono le espressioni e le parole con cui egli affronta una certa situazione, e soprattutto com’è Lui, se è calmo, sereno, serio, ironico, nervoso, benevolo, a suo agio....

Risulta infatti molto stimolante ed interessante ... decodificarLo e decifrarLo.

Incominceremo perciò modestamente con brevi letture, acompagnate ognuna di esse da una semplice frase a modo di brevissimo commento; poi faremo altre letture con relativo breve frase di commento e così di seguito: se le letture saranno troppo numerose, per il tempo a disposizione, di alcune darò solo la indicazione sommaria, lasciando a voi la conseguente ricerca e riflessione.

 

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3 - Decodificare e decifrare il Vangelo, seguendo ed osservando il Signore Gesù.

 

1° Lettura: Gesù, a 12 anni, rimane nel Tempio¼

Com’è possibile che un bambino di 12 anni prenda questa iniziativa di rimanere nel Tempio? (Lc. 2, 41).

"I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.

Quando il bambino compì 12 anni, vi salirono secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre Maria e Giuseppe riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che essi se ne accorgessero.

...... Dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava.

(Questo ci fa valutare la intelligenza e la curiosità del bambino. I bambini infatti sono proprio così: curiosi).

E tutti quelli che lo udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte".

2° Lettura: Gesù si fa battezzare: quest' "uomo" si "sottomette" al battesimo di Giovanni. (Mt. 3,13)

"In quel tempo Gesù andò dalla Galilea fino al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.

Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "Sono Io ho che bisogno di essere battezzato da te, e se tu che vieni da me?".

Ma Gesù gli disse: "Lascia fare per ora, perché conviene che così adempiamo ogni giustizia".

Allora Giovanni acconsentì.

Appena Gesù fu battezzato, uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.

Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".

 

 

3° Lettura: Gesù chiede da bere ad una donna. È interessante il discorso di Gesù con questa donna. (Gv. 4, 5 ss)

Sapete, forse, che alcuni pensano che San Paolo era un po’ misogino, vale a dire che non sembrava sempre attento con le donne.

Al contrario è certamente molto interessante da osservare il modo in cui nostro Signore si comportava con le donne: le trattava con affabilità, credo questa sia la parola più appropriata; le trattava con benevolenza, con un certo affetto, con partecipata attenzione e pur sempre con discrezione e delicatezza, ed esse lo percepivano.

Si vede infatti che tutte le donne che hanno avuto a che fare con Lui hanno percepito che Egli le tratta con benevolenza.

"Giunse pertanto Gesù ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. (Io stesso ho bevuto da quel pozzo, che é ancora in funzione ed è molto profondo).

Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. (Ma guardate; sono queste le annotazioni belle del Vangelo, tutti i dettagli: qui si annota l' ora).

Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù. "Dammi da bere". I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi.........

(Dopo che lei Gli da’ da bere, Lui le dice queste bellissime parole:) "Chiunque beve di quest’acqua avrà sete di nuovo; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". (Giovanni 4,5 ss)

4° Lettura: a Gesù piace stare con amici. Questo si deduce da vari particolari, e inoltre Gli piacciono le cene: cenare possibilmente con persone amiche. (Nel Vangelo generalmente non si parla di pranzi, ma di cene).

Gesù andava volentieri a cenare con famiglie, con amici, con coloro che Lo invitavano, a volte gli toccarono anche ospiti ... inospitali. (Lc. 10, 38 ss):

"Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio ed una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa.

Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.

Marta invece era tutta presa dai molti servizi..... Ma Gesù le rispose ...." (voi ben conoscete il resto: si notano bene anche gli aspetti umani del Signore Gesù).

5° Lettura: Gesù e i bambini (Mc. 10, 13).

"Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli facevano rimostranze a coloro che li presentavano.

Gesù, al veder questo, se ne sdegnò e disse loro: "Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.

In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso".

E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva".

 

 

6° Lettura a Gesù piaceva osservare le persone (Mc. 12, 41):

"E sedutosi Gesù di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro.

E tanti ricchi ne gettavano molte.

Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino.

Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri [..]".

7° Lettura Gesù si autoinvita in casa altrui (Lc. 19,1):

"Entrato Gesù in Gerico, attraversava la città.

Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura.

Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.

Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua".

In fretta scese, e lo accolse pieno di gioia."

8° Lettura: Gesù e la sua famiglia (Mc, 3, 31):

"Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare (come quando vengono i vostri familiari e rimangono fuori dal seminario e vi mandano a chiamare)

Tutta attorno era seduta la folla (questo è un altro dettaglio molto bello: osservare quanto la gente ricercava quest’uomo .... e venivanoa Lui da tutte le parti; allora non c’erano né radio, né televisione, né giornali ... si passavano la voce) e gli dissero: "Ecco tua madre, ecco i tuoi fratelli e le tue sorelle, sono fuori e ti cercano".

Ma egli rispose loro: "Chi sono mia madre e i miei fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli!

Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre".

 

 

 

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4 - Il Volto del Signore Gesù: "vultum tuum Domine requiram".

Ora interromperemo per un attimo le letture del Santo Vangelo, per parlare un po’ della Persona del Signore Gesù.

Quello che stiamo cercando di fare è di conoscere la Sua Persona attraverso la Sua Umanità.

Una domanda che la gente spesso si pone è questa: com’era l’aspetto fisico di Gesù, di Gesù di Nazaret ??

E' questa una bella inquietudine, carica di nostalgia; é così da sempre questo desiderio: come appariva concretamente il Signore Gesù ?? Come era il Suo Volto ? "Vultum tuum, Domine, requiram": "sto cercando il Tuo Volto, Signore"!

Prima di tutto, si può notare dire un elemento interessante ed é che il Signore Gesù era attraente.

Voi già sapete che non abbiamo nessuna descrizione esplicita del suo aspetto fisico.

Non fu fatta tale esplicita descrizione nei Vangeli, che tanto parlano di Lui, non tanto per dimenticanza, ma piuttosto semplicemente perché tutti potevano vederlo (mentre si redigevano i primi nuclei mnemonici evangelici) o comunque poi perché tutti lo avevano visto.

Chi conosce un'altra persona, quando parla di lei, con qualcuno che pure la ha già conosciuta, non la descrive esplicitamente nei suoi tratti fisici: per esempio quando vi capita di parlare di un compagno di seminario, con un altro compagno di seminario, non state a descrivere il suo aspetto fisico, perché sapete che egli già lo conosce molto bene.

Il Santo Vangelo fu scritto da gente che Lo aveva conosciuto, ed è rivolto a gente che lo aveva visto, e così probabilmente nessuno ha pensato di farne una descrizione esplicita ed esauriente dei suoi tratti fisici, perché tutti ormai l’avevano visto.

Così - sfortunatamente per noi - giacché non era necessario descriverlo per loro, non l’hanno descritto esplicitamente ed ampliamente nemmeno per noi.

In una parola, i cristiani della prima generazione – la generazione che redasse le prime "catechesi" evangeliche - lo avevano visto: dunque, per questo probabilmente, non pensarono di lasciare a noi una descrizione fisica esauriente di Gesù di Nazaret.

Ma sicuramente essi lo avranno descritto ai loro figli ed ai figli dei loro figli e comunque a coloro che sono venuti dopo di loro e che non lo avevano visto personalmente; si può arguire perciò che così sia nata la tradizione cristiana sull’aspetto fisico di Nostro Signore Gesù.

 

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5 - I martiri romani e la tradizione della loro immagine.

A Roma abbiamo avuto un problema simile con diversi martiri romani, di cui, per lo stesso motivo, non sappiamo molto.

Circa certi martiri romani siamo infatti certi della data della loro morte, cioé della data del loro martirio; ogni anno coloro che li avevano conosciuti li celebravano e li ricordavano nell' anniversario del loro martirio; ma, avendoli appunto conosciuti, non pensarono di farne una descrizione esplicita della loro vita e del loro aspetto fisico, proprio perché tutti li avevano conosciuti e visti.

Così - di certi martiri romani - sono rimaste le date certe del loro martirio, ed, a volte, abbiamo delle tradizioni orali, più o meno successive, sintetiche ed anche tardive, circa la loro vita ed il loro martirio.

Noi possediamo invece moltissimo di assolutamente certo e di contemporaneo, circa Nostro Signore Gesù, per esempio: un fiume infinito di suoi discorsi e di suoi detti, una infinita descrizione di fatti ed episodi della sua vita, il racconto circostanziato e contemporaneo dei molti miracoli, le celebri parabole ed infinite testimonianze di amici, di nemici, racconti favorevoli, contrari, neutrali .... ma non abbiamo un’esplicita ed esauriente descrizione fisica di Gesù di Nazaret.

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6 - Indizi ed indicazioni: la "pseudo-lettera di Lentulo".

Ciononostante, si può provare di dedurre qualche interessante elemento concreto da vari "indizi" che si trovano nel Vangelo, come ad esempio che Egli era attraente.

Era, con ogni verosimiglianza, alto di statura, perché sovrastava la media ed era dunque normalmente visibile: lo si distingueva.

C’è un dettaglio, che mi è sempre piaciuto, molto "femminile" se volete (non so che esperienza abbiate voi di psicologia femminile, ma almeno avete l’esempio di vostra madre e delle vostre sorelle).

Le donne hanno un modo di osservare tutto sommato alquanto diverso da quello degli uomini.

Quando quella donna si mette ad esclamare, vedendolo ed "alzando la voce in mezzo alla folla": "Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato!" (Lc, 11, 27) che significato ha quest’espressione ?!?

È una banale espressione o non piuttosto un apprezzamento molto "femminile" e non di secondaria importanza, riguardo allo stesso aspetto dell’uomo ?! Questo viene in effetti detto da "una" donna.

Abbiamo anche, ed é anche molto conosciuto e citato in proposito, il Salmo 45, 3: "Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, la grazia é diffusa sulle tue labbra".

Una cosa comunque è certa: le generazioni che seguirono dovettero sentire curiosità e chiedere alla generazione precedente come era Gesù di Nazaret.

Tardivamente perciò, sulla base della tradizione tramandata da una generazione all’altra, si redasse ciò che veniva trasmesso in un testo conosciuto come la "Pseudo-Lettera di Lentulo", con una descrizione fisica di Nostro Signore Gesù.

Vi leggerò dunque questa "lettera".

Questa sembra essere una descrizione piuttosto importante, perché - insieme alla Sindone, al "Divino Volto" della Veronica" e al cosiddetto Mandillon - ha contribuito a fornirci l’immagine che abbiamo e che ci tramandiamo di Gesù Cristo, ed a cui si sono ispirate tante generazioni di pittori, scultori e mosaicisti.

Ci sono state, nei secoli, anche persone che affermano di avere avuto delle apparizioni del Signore Gesù, e perciò Lo descrivono nei suoi tratti fisici. Per esempio Santa Faustina, una suora polacca, ci descrive Gesù come il Signore della Misericordia e tale sua descrizione, tradotta in una pittura, è divenuta attualmente un’immagine molto diffusa e popolare di Gesù.

Sapete bene che questo fatto delle immagini, cioé di venerare questa o quella immagine del Signore, non è di per sé un dogma di fede, ma è piuttosto un desiderio molto nobile del nostro cuore: Vultum tuum, Domine, requiram: sto cercando il tuo volto, mio Signore.

Si ritiene dunque che la "Pseudo-Lettera di Lentulo" - così lo afferma il Ricciotti, un biblista molto noto per la sua celebre "Vita di Cristo" - abbia raccolto le tradizioni precedenti e più antiche che venivano tramandate riguardo all' aspetto fisico di Gesù Cristo.

La "Pseudo-Lettera di Lentulo" dice così:

"Apparve un uomo di grande virtù, chiamato Gesù Cristo, che il popolo considerava vero profeta ed i cui discepoli chiamavano Figlio di Dio. Uomo di statura rispettabile e superiore alla media".

 

A proposito della statura di Nostro Signore Gesù Cristo si considera generalmente che fosse intorno al metro e 73 o metro e 74 centimetri; così all’incirca si deduce dalla misurazione della immagine della Sindone.

Ma una statura di un metro e 70 centimetri potrebbe già essere stata considerata una statura "rispettabile", come dice la "Psedo-Lettera", perché i popoli antichi avevano una statura media abbastanza inferiore a quella attuale, a causa della loro povera e deficiente alimentazione.

Prosegue la "Pseudo Lettera":

"Aveva un volto venerabile, in tal modo che coloro che lo osservavano potevano essere attirati ad amarlo od indotti a temerlo.

I capelli erano del colore delle noci avellane (cioé castani). Erano lisci fino alle orecchie e, da lì in giù, ondulati e più chiari che nella parte superiore.

I capelli scendevano fino alle spalle, con una riga che li divideva in mezzo (sopra) alla testa, secondo il costume dei nazareni.

La fronte era piana e serenissima, e il volto senza rughe né macchie, resa rispettabile da un lieve rossore.

Il naso e la bocca erano regolari, con barba abbondante dello stesso colore dei capelli, non lunga, ma leggermente suddivisa al centro.

Aveva un aspetto semplice e maturo, con occhi chiari cangianti.

Terribile nelle perorazioni, benevolo ed amabile negli ammonimenti, allegro nelle conversazioni, salva la serietà.

Nella statura del corpo, ampio ed eretto.

Aveva mani e braccia gradevoli alla vista. Serio nel colloquio, amabile (rarus) e modesto, tanto che giustamente il profeta dice (Sal. 45, 3) "bello tra i figli dell’uomo"".

 

Questa è la descrizione dell’immagine fisica di Nostro Signore Gesù, secondo la "Pseudo-Lettera di Lentulo", che raduna alcune delle tradizioni precedenti e primitive.

 

 

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7 - Gesù di Nazaret, "transiit benefaciendo", passava facendo il bene, medico delle anime e medico dei corpi: "una potenza usciva da lui".

Ora riprenderemo ad intercalare letture del Vangelo, con alcuni brevissimi commenti, come abbiamo fatto già all’inizio di questa meditazione.

Procediamo cioé come abbiamo indicato più sopra, col nostro sguardo fisso sulla Persona di Gesù, nei testi che andiamo leggendo.

 

9° Lettura: Gesù si lamenta perché toccano i suoi abiti (Mc 5, 25):

"Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: "Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita". E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "chi mi ha toccato il mantello?". I discepoli gli dissero:"Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: chi mi ha toccato?"".

 

 

10° Lettura: Gesù e una donna curva (Lc 13, 10):

"Una volta Gesù stava insegnando in una Sinagoga il giorno di sabato. C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma, era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: " Donna, sei libera dalla tua infermità", e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio".

 

11° Lettura: Gesù e un indemoniato (Mc 5, 1):

"Intanto giunsero all’altra riva del mare, nella regione dei Geraseni. Come Gesù scese dalla barca, gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito immondo. Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce, disse: " Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!".

Gli diceva infatti Gesù: "Esci, spirito immondo, da quest’uomo!". E gli domandò: "Come ti chiami?". "Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti". E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione.

Ora c’era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. E gli spiriti lo scongiurarono: "Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi".

Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono da lui ed entrarono nei porci ed il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l’altro nel mare.

I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. Giunti che furono da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione ...".

 

12 Lettura: Gesù e la peccatrice pentita (Lc 7, 38 ss):

"Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola.

Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro di lui vicino ai suoi piedi, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che lo aveva invitato pensò tra sé: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice". .... Volgendosi Gesù verso la donna, disse a Simone: "Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. (Sapete che questa era un’abitudine molto comune ed importante, a quei tempi: camminavano con i piedi scalzi o con i sandali e non c’erano delle belle strade.

Le vie ed i sentieri, che c’erano allora, erano polverosi e non di rado sporchi per il passaggio frequente di singole cavalcature ed anche degli armenti che vi transitavano continuamente. Dunque, veramente si affaticavano e si sporcavano facilmente i piedi: così, la prima cosa che si faceva quando arrivavano degli ospiti in una casa, era di lavare loro i piedi perché si sentissero meglio ed a loro agio ed anche perché avessero un buon odore. Anche nelle Sinagoghe c’era spesso una fonte, od una vasca, nell' atrio precedente l' ingresso, in modo che la gente potesse bagnarsi e lavarsi i piedi prima di entrare. In questo contesto si può comprendere meglio la frase che qui dice il Signore Gesù).

Tu non mi hai dato un bacio,

(Noi europei, insieme agli orientali, abbiamo l’abitudine di salutarci, a volte, baciandoci sulla guancia; invece voi messicani – ed i latino-americani in generale - avete l’abitudine di darvi, a volte, un solido abbraccio, per salutarvi)

lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso i piedi di profumo.

Per questo io ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece colui a cui si perdona poco, poco ama".

Poi disse a lei: "Ti sono perdonati i tuoi peccati" .... Ed egli disse alla donna: "La tua fede ti ha salvata, va’ in pace"".

 

13° Lettura: Gesù ridona il figlio alla madre vedova (Lc 7, 11)

(Luca è chiamato "Evangelista mansuetudinis Domini - Evangelista della mansuetudine del Signore", perché coglie volentieri gli aspetti più caratteristici della benevolenza del Signore Gesù, anche quegli aspetti non menzionati dagli altri Evangelisti):

"In seguito Gesù si recò in una città chiamata Naim e facevano la strada con lui i suoi discepoli ed una grande folla. Quando Egli fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei.

Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: "Non piangere!". E, accostatosi, toccò il feretro, mentre i portatori si fermarono.

Poi Gesù disse: "Giovinetto, dico a te, alzati!".

Il morto si levò a sedere e cominciò a parlare.

Egli lo diede alla madre.

Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio".

 

14° Lettura: Gesù dice che le venga dato da mangiare (notate il dettaglio) - (Lc 8, 49):

"Gesù stava ancora parlando, quando venne uno della casa del capo della Sinagoga a dirgli: "Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro".

Ma Gesù che aveva udito rispose: "Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata".

Giunto alla casa, non lasciò entrare nessuno con sé, all’infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della fanciulla. Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei.

Gesù disse: "Non piangete, perché non è morta, ma dorme". Essi lo deridevano, sapendo che era morta.

Ma Gesù, prendendole la mano, disse ad alta voce: "Fanciulla, alzati!". E ritornò in lei lo spirito ed ella si alzò all’istante.

Ed Egli ordinò di darle da mangiare".

 

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8 - L' aspetto umano di Gesù di Nazaret: la tradizione delle immagini del Signore.

Ora faremo una seconda interruzione delle lettura evangeliche poi, successivamente, torneremo a leggere altri passi del Vangelo con lo stesso metodo.

Continuiamo adesso un poco a parlare dell’aspetto umano di Gesù, con l’intento di avvicinarci sempre più alla Sua benedetta Persona.

Concretamente, andremo ora a riferirci alle "immagini" più antiche e conosciute del Signore.

Voi certo sapete che esistono tre immagini immagini di Nostro Signore Gesù molto celebri, cui abbiamo già accennato. Ma sicuramente la più famosa e la più impressionante è quella della Sindone.

1° ) prima immagine: incominciamo dal "Santo Mandillon di Edessa" e dalle sue riproduzioni e derivazioni.

La parola "Mandillon" significa "tovaglia, telo o asciugamano". Indubbiamente si tratta di un’immagine antichissima di Nostro Signore Gesù, documentata al meno a partire dal quinto secolo.

La pia tradizione narra che il Re Abgar di Edessa (La città di Edessa si chiama attualmente Urfa, e si trova nell’attuale Turchia), essendo malato di lebbra - ai tempi di Nostro Signore Gesù - inviò presso di Lui alcuni suoi amici, tra cui un pittore di nome Anania, per invitarlo ad andare ad Edessa a curarlo.

Nostro Signore Gesù - secondo questa tradizione - non avrebbe accettato di andare, ma avrebbe posto un "tovaglia o telo" sul Suo Volto, e su quel "telo" sarebbe rimasta impressa l’immagine del Suo Santo Volto.

Il "telo" o "Santo Mandillon", con la immagine impressa del Volto di Cristo, portato ad Edessa, sarebbe stato lì conservato dai cristiani con grande venerazione fino all’anno 944, quando fu trasferito a Costantinopoli, e lì vi rimase fino alla caduta della città, nel 1204.

Nella Cappella Redemptoris Mater, in Vaticano, è ora conservato ciò che alcuni considerano l’autentico "Santo Mandillon di Edessa", che prima del 1870 era conservato nel Monastero delle Clarisse di San Silvestro, a Roma. Invece quella che sarebbe la sua riproduzione più famosa è conservata a Genova, nella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.

2° ) immagine: la seconda celebre immagine di Nostro Signore Gesù è quella che chiamano brevemente "la Veronica". Anche in questo caso si tratta di un’immagine del Divino Volto di Nostro Signore Gesù.

La storia della immagine chiamata "la Veronica" non compare nel Santo Vangelo, ma viene descritta solo nelle vecchie "vie crucis", nei "vangeli apocrifi" ed in altre tradizioni.

Si racconta - in queste tradizioni - che, mentre conducevano il Signore Gesù alla crocifissione, ed Egli stava portando dolorosamenre sulle spalle la croce, Gli vennero incontro delle pie donne, ed una di loro avrebbe asciugato con un panno leggero (un fazzoletto) il Volto dolorante del Signore Gesù: così sarebbe rimasta impressa, sul panno con cui ella Gli aveva asciugato il viso, la Santa Immagine del Suo Volto.

Secondo questa tradizione, che naturalmente non vuole essere un dogma di fede, l’immagine del Volto di Cristo Signore sarebbe rimasta miracolosamente fissata, indelebilmente, sul panno della Veronica ("Veronica" sarebbe appunto, secondo alcuni, il nome della donna pietosa, e certuni pensano che si possa trattare della stessa donna emoroissa, Berenice Veronica, che fu curata da Nostro Signore secondo un noto miracolo evangelico: da qui il nome di Veronicas che si dà a questa immagine).

Quando visiterete la Basilica di San Pietro a Roma, vedrete che in mezzo c’è l’altare papale; ai quattro angoli dell' altare papale si trovano le "quattro reliquie maggiori" di San Pietro, con le quattro gigantesche statue dello scultore Bernini (e della sua scuola) riproducenti i Santi che ebbero relazioni con le quattro reliquie maggiori.

Così vi si trova la statua di Santa Elena, la madre dell’imperatore Costantino, e più in alto, in una nicchia, la reliquia della Santa Croce che lei avrebbe portato a Roma.

C’è la statua di Sant’ Andrea Apostolo giacché, fino al tempo in cui che io sono stato seminarista a Roma, lì era conservata la testa di Sant’ Andrea Apostolo. Poi Paolo VI volle restituirla agli Ortodossi, e così ora non c’è più la reliquia, ma rimane solo la grande statua.

Poi c’è la statua di San Longino; dicono che San Longino fosse nativo della mia terra, cioé della Romagna, nel Nord dell’Italia da dove veniva la "Legio Italica" che presidiava la Terra Santa al tempo dei Romani. San Longino sarebbe il soldato, che ferì il costato di Cristo con la sua lancia, dopo la Sua morte, e da quella ferita fuoriuscì sangue e acqua. E in effetti lì si conserva ciò che si presume sia la punta di quella lancia.

La quarta importante reliquia di San Pietro è per l’appunto l’immagine del Volto di Cristo, chiamata "la Veronica", e lì c’è appunto la grande statua di Santa Veronica, che mostra il velo o fazzoletto con la immagine impressa.

Questa immagine della Veronica o chiamata "la Veronica" ora non è tanto famosa come quella ben più celebre della Sindone; anche se nel Medio Evo e per molti secoli - quando ancora non erano state fatte le importanti scoperte fotografiche della Sindone - veniva molto visitata e venerata da moltitudini di fedeli e pellegrini.

Anzi: per secoli i pellegrini, che andavano in pellegrinaggio a Roma, si portavano via poi - come ricordo del pellegrinaggio - una riproduzione, più io o meno fedele, dell’ Immagine del Volto di Cristo della "Veronica".

Tale immagine era il simbolo stesso, o il "logo" antico, dei "romei", cioé dei pellegrini che andavano a Roma; essi infatti portavano spesso una fascia per raccogliere i capelli, con impresso sulla fascia, sulla fronte, questo "logo".

In effetti vennero fatte moltissime e diverse riproduzioni della "Veronica", alcune delle quali addirittura poco somiglianti, con aggiunte - di vario gusto - inventate dai pittori che la riproducevano.

Forse per proibire tali abusi (ma forse a causa piuttosto della cosiddetta storia di "Manoppello", di cui diremo) ad un certo punto i Papi ne proibirono la riproduzione. (Alcuni sottolineano invece il fatto che quest’immagine, nel corso dei secoli, sarebbe diventata molto pallida e tenue).

Le vicissitudini della "Veronica" furono molte: nel 1622 Papa Gregorio XV permise che si facessero tre copie di quest’Immagine del Volto di Cristo, una delle quali si trova nella Chiesa del Gesù, a Roma.

 

Tra le cosiddette riproduzioni - riproduzione o piuttosto originale vero, come sembra suggerire con molto fondamento il celebre esperto gesuita Padre Heinrich Pfeiffer, professore alla Università Gregoriana - connesse con la "Veronica", ce n’è una molto celebre e conosciuta, venerata appunto a Manoppello in Italia.

La teoria del Padre Pfeiffer, sempre più accettata dagli esperti, circa la celeberrima "Immagine del Volto di Cristo" di Manoppello, in Abruzzo Italia, é che la vera Immagine detta la "Veronica" conservata per secoli nella Basailica di San Pietro, sarebbe stata trafugata e trasportata in segreto da San Pietro nella piccola città dell' Abruzzo di Manoppello, ove é conservata attualmente nella Chiesa dei Cappuccini. (Questa immagine straordinaria merita realmente gli studi che le dedica l' Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo).

Ce é poi un'altra Immagine (considerata anche essa come una riproduzione parziale della Veronica), venerata piuttosto per ragioni di grande pietà popolare, a Tours in Francia.

Il padre di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (il Volto Santo di Tours, appunto) promosse la devozione al Santo Volto del Signore, di Tours, nella cattedrale di Lisieux; e sua figlia Santa Teresa prese in effetti, come nome di professione religiosa, quello di Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo

(Le sorelle carmelitane di Santa Teresa ottenero che, durante la agonia della Santa, la Venerata Immagine fosse trasportata alla vista della Santa morente).

 

Un’altra tradizione, anch’essa molto antica e venerata ed accreditata, è quella del Santo Sudario di Oviedo, in Spagna; si tratterebbe di un panno che coprì

il Volto insanguinato di Gesù durante il lasso di tempo che intercorse

tra la deposizione dalla croce e la sua inumazione; per questo motivo

non mostra una vera e propria immagine, ma delle tracce vistose di sangue raggrumato.

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9 - Il Volto di Gesù ed il Volto della "Sindone".

3° Immagine: la terza e più importante immagine di nostro Signore Gesù Cristo, di Gesù di Nazaret, è quella tanto venerata e conosciuta della Santa Sindone.

 

 

Personalmente io sono totalmente convinto, con ogni genere di argomento, del fatto che questa Immagine della Sindone (lenzuolo) sia la vera immagine di Nostro Signore, di Gesù di Nazaret.

 

Mi sembra, anzi, del tutto impossibile di non esserne convinto, anche se non é mancato qualcuno, forse anche per certa preconcetta animosità anticristiana, che ha tentato di sollevare dei dubbi, con vari espedienti .

La Sacra Sindone è conservata attualmente nella Cattedrale di Torino; si tratta di un’immagine del Corpo intero del Signore Gesù e verrà esposta (questa meditazione fu fatta nel luglio 1996) pubblicamente ed eccezionalmente in occasione del Giubileo del 2000, bimillenario della nascita del Salvatore.

Conoscete sicuramente la affascinante storia della Sindone. Non ve ne parlerò molto, perché credo che abbiate letto tutto su questo argomento così affascinante.

La Sacra Sindone è un lenzuolo, in cui rimase avvolto il Corpo di Cristo dopo la Sua morte, nella tomba, e su cui, presumibilmente a causa degli unguenti applicati sul Suo Corpo, è rimasta lievemente impressa la immagine intera di Lui.

Esistono, inoltre, studi molto seri che segnalerebbero una ipotesi, secondo la quale nel momento della Resurrezione, ci sarebbe stata una specie di folgorazione, che avrebbe "fissato" la immagine prodotta dagli unguenti, dal sangue e dagli umori del Corpo.

La Sindone é sempre stata conservata come "reliquia" primaria del Corpo di Cristo. Tuttavia si deve dire che nella trasmissione storica della Sindone, nell’arco dei secoli, c’è un misterioso e lungo periodo di "silenzio".

Gli studiosi di questo periodo misterioso e lungo di "silenzio" ritengono ormai sempre più concordemente che questo periodo di "silenzio" corrisponda e coincida col periodo in cui il "Mandillon" - di cui prima si é già parlato - rimase conservato ad Edessa, in Turchia.

Vale a dire che tali esperti studiosi pensano che l’antichissima immagine del Sacro Volto di Nostro Signore, chiamata "Mandillon di Edessa", non fosse in effetti altro che la Sacra Sindone ("lenzuolo" con impressa la immagine intera del Signore, davanti e di dietro), piegata più volte, in tal modo da mostrare solo, alla vista e alla venerazione, la parte del "lenzuolo" con il solo Volto del Signore.

Da questa immagine, così mostrata (lenzuolo piegato in modo che restasse visibile solo il Volto), deriverebbero quelle più antiche del Volto del Signore, con le varie tradizioni loro relative.

Da un lato, questa ipotesi degli esperti - accettata sempre più comunemente - coprirebbe l’intero arco temporale della trasmissione storica della Sacra Sindone, da un luogo all' altro in cui fu successivamente conservata e quindi trasferita, fin dall' inizio, e quindi coprirebbe anche il lungo periodo di misterioso silenzio storico.

Dall’altro gli studi proseguono sotto il vigoroso impulso del citato Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo e gli esperti fanno notare che le altre due immagini che abbiamo citato sopra - sia la "Veronica" che il "Mandylon" - presentano la immagine del solo Volto del Signore (cioè senza il collo).

Un’altra variazione, che viene studiata, risiede nel fatto che l’Immagine delle "Veronica" rappresenta il Volto di un Uomo tormentato e sanguinante, mentre quella del Mandillon rappresenta un Uomo senza segni di ferite e senza sangue.

 

Ma anche così vari studiosi si orientano comunque a ritenere che in effetti la Sindone sarebbe, in un modo o in un altro, alla origine di tutte le immagini più antiche del Salvatore.

 

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10 - La "fotografia" del Volto di Gesù.

Ma la grande scoperta della Sindone avvenne alla fine del secolo scorso, con l’invenzione della fotografia, perché la Santa Sindone, se osservata direttamente, si presenta piuttosto pallida.

Ovviamente, infatti, a causa del tempo è alquanto consunta ed impallidita, ma evidentemente nessuno osa ritoccarla in nessun modo.

Ma appunto - fotografandola - proprio grazie al processo fotografico, il negativo della foto della Sindone permette di mettere in evidenza fortemente ed in modo straordinario tutte le linee e tutti i segni, e si riesce così a vedere molto nitidamente l’Immagine nel suo negativo fotografico.

Le immagini della Sacra Sindone (Lenzuolo), che voi avrete visto finora e che conoscete, non sono generalmente fotografie del Lenzuolo o Telo in cui era involto il Corpo di Cristo dopo la sua morte, ma sono invece piuttosto fotografie del negativo fotografico della stessa Sindone, o Lenzuolo, o Telo.

Fu il fotografo Pia di Torino, il primo fotografo che fece - circa un secolo fa - il primo negativo fotografico della Sacra Sindone.

Nel vedere il negativo della Sacra Sindone dentro al liquido in cui era immerso per lo sviluppo fotografico, egli stesso rimase pieno di stupore e di commozione, perché egli vedeva - per primo così nitidamente - l’immagine dello stesso Corpo di Gesù Nazareno, completa, sia nella parte anteriore sia in quella posteriore: di fronte a a quella immagine in negativo fotografico, ancora immersa nel liquido per lo sviluppo della foto - egli si mise in ginocchio, emozionatissimo.

 

Successivamente "fissarono" il negativo che era così nitido, ed è proprio il negativo fotografico che fu successivamente fotografato per essere mostrato e così si potesse vedere con precisione, in modo che noi ora possiamo osservare con chiarezza l’Immagine stessa del Signore Gesù.

(A Torino, ed anche in volumi specializzati, si possono trovare le due foto, una al lato dell' altra, cioé quella della Sindone molto pallida e quella del negativo fotografico della Sindone, del tutto uguale alla prima, ma molto nitida).

La Immagine della Sacra Sindone contiene in effetti molti dati del tutto interessanti.

Per esempio, riguardo alla crocifissione: molti degli antichi crocefissi - e comunque le antiche statue del Cristo crocifisso e del Cristo morto (le cosiddette "Pietà"), che conserviamo nelle nostre Chiese, case e musei - mostrano il Signore Gesù crocifisso con il chiodo infisso nel palmo delle sue mani (oppure le piaghe, o fori, dei chiodi proprio nel mezzo delle mani).

In realtà, l’ "Uomo della Sindone" ha invece i chiodi infissi e piantati in un punto diverso dal palmo della mano e cioé sul polso della mano (prima che la mano vera e propria cominci).

In effetti questa osservazione ha portato a vari studi e ricerche e quindi a scoprire che, in realtà, i romani non infiggevano i chiodi nella mano dei crocifissi, ma invece li infiggevano nel polso.

Ci sono davvero molti dettagli interessanti e commoventi, che permettono di far coincidere l’Immagine dell' "Uomo della Sindone" con i dati in nostro possesso sulla crocifissione di Nostro Signore Gesù, così come erano soliti compierla i romani.

Per esempio sono stati fatti degli studi sui flagelli che colpirono l’"Uomo della Sindone", e si è potuto constatare che corrispondono al modo in cui li facevano i romani.

Per molte altre informazioni - sempre molto commoventi ed impresionanti sulla Sindone - vi rimanderei agli studi ed ai libri specializzati e molto interessanti (per esempio ai testi dei più esperti sindonologi, come il noto G. Ricci ed altri anche recentissimi).

Aggiungerei però ancora una particolare: recentemente, prima che partissi da Roma per venire qui in Messico, è stata annunciata una scoperta straordinaria, a riguardo della Sindone; di questa scoperta sono state pubblicate fotografie su tutti i giornali e le riviste italiane.

E' stato trovato, attraverso un sistema fotografico estremamente sofisticato, e anche esaminato con l’aiuto di computers, un punto della Sindone (o Lenzuolo, o Tela), che reca l’impronta di una moneta romana dell’epoca di Nostro Signore Gesù, del tempo cioé di Gesù di Nazaret.

 

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11 - Il Volto di Maria.

4° Immagine: quella di Maria: il Volto "che più somiglia" (come dice il famoso poeta Dante) a quello del Signore Gesù, è quello della Sua Santa Madre Maria, Madre Sua e Madre nostra.

Per chi voglia avvicinarsi all’aspetto fisico del Signore Gesù e specialmente all' Immagine del Suo Santo Volto, esiste anche la possibilità di ricorrere alla antica tradizione delle cosiddette "Madonne Nere".

Questa tradizione, delle cosiddette "Madonne Nere", ha una storia interessante.

In Europa, infatti, conserviamo un certo numero ridotto di antiche Immagini di Nostra Signora Santa Maria, la Madre di Dio, chiamate "Madonne Nere" (e poi vi é un numero imprecisato di loro riproduzioni). Le cosiddette "Madonne Nere", anche se di diversa dimensione, si assomigliano tutte sostanzialmente fra loro, vale a dire: sembrano rappresentare la stessa donna e risalire più o meno al III-IV secolo.

Si ritiene dunque che le cosiddette "Madonne Nere" siano riproduzioni di una Immagine, o Icona, precedente di Nostra Signora Santa Maria, che ormai non esiste più e che si trovava probabilmente a Costantinopoli.

(Sarebbe stata distrutta per mano degli "iconoclasti": che distruggevano le immagini, e le loro riproduzioni, perché non le ritenevano compatibili con la loro fede religiosa).

Così, di questa antica preziosa Immagine, o Icona, di Nostra Signora, abbiamo ormai solamente alcune antiche riproduzioni.

 

A Roma se ne conserva una, che è la Immagine più venerata della città. Si tratta dell’Immagine della Madonna che si trova nella bellissima Basilica di Santa Maria Maggiore, anzi questa stupenda Basilica fu proprio costruita e poi riadattata per quella Immagine, che viene chiamata da tutti: "Salus Populi Romani" ("Salvezza del Popolo Romano").

Questa Immagine o Icona (dunque una delle cosiddette "Madonne Nere") non è forse la più completa di quelle che sono state conservate, ed anche non é di dimensione molto grande, ma resta un "documento" antichissimo, celebre, prezioso e straordinariamente "leggibile", che induce alla pietà e che conduce alla "salvezza".

Io ho visto molte volte anche la Immagine o Icona (anche essa considerata come una delle "Madonne Nere"), che chiamano la "Madonna di San Luca", che é conservata a Bologna, la città ove ho fatto i miei studi di Ingegneria. Io ho potuto vedere anche la celebre Immagine o Icona, chiamata di Czestochowa, in Polonia, che è una delle meglio conservate ed é di grandi dimensioni. Un’altra ancora si trova a Venezia, la "Nikopeia"; .....

Un aspetto interessante delle immagini delle "Madonne Nere" è che sembrano rappresentare la Vergine Maria come una donna anziana.

Infatti la curiosità sta nel fatto che, nella storia della Chiesa, non c’è la tradizione di rappresentare l’immagine della Vergine Maria, come una donna avanzata negli anni.

La Vergine Maria, generalmente, é sempre stata rappresentata in due modi.

In alcuni casi è rappresentata come una giovane intorno ai quindici-venti anni, nell’Annunciazione; in altri, come una donna matura, di circa quarantacinque-cinquanta anni, nell’Addolorata o nell’Assunzione.

Sono poi piuttosto rare le rappresentazioni della Vergine Maria come bambina, sia nella sua nascita, che coi suoi genitori: a Milano, per esempio, la Cattedrale è dedicata proprio a Maria Bambina "Mariae Nascenti".

Invece sono praticamente inesistenti le rappresentazioni della Vergine Maria come una donna anziana, o comunque avanti negli anni.

Questo nonostante sappiamo che la Vergine Maria ha prolungato la sua esistenza anche dopo la Morte e Resurrezione di Gesù.

L’Apostolo San Giovanni, infatti, dopo la Morte e Risurrezione di Cristo, la accolse e la tenne con sé fino al giorno dell’Assunzione.

Ma, dove ha risieduto, con San Giovanni, dopo la morte e la Risurrezione di Suo Figlio? Esiste una grande ed antica tradizione che indica nella città di Efeso il luogo di tale residenza, e lì ad Efeso, in Turchia, sulla riva del mare, si mostra ancora oggi quella che si considera come la "Casa della Vergine Maria".

Per esempio, quando san Luca si mise a raccogliere i dati relativi alla vita di Cristo, per redigere il suo Vangelo – torneremo di nuovo sull’argomento - sarebbe andato proprio ad Efeso per cercare notizie dalla Vergine.

In effetti, nel suo Vangelo ci sono dei particolari, che egli non potrebbe avere ricevuto se non da Maria stessa.

Efeso é una città di mare, che si trova non troppo lontano dal luogo dove, successivamente, fu fondata la città di Costantinopoli.

E' dunque possibile immaginare che la gente di Efeso abbia voluto imprimere in qualche modo i tratti della Madre di Gesù, averne cioé una immagine.

(Ricordo che, quando io ero ragazzino, era ancora viva la madre di Santa Maria Goretti: tutti volevano andarla a vedere, si organizzavano addirittura degli autobus, dal mio paese, per andarla a vedere; non viveva troppo lontano da casa mia, in un giorno si poteva andare e tornare)

E' perciò facile immaginabile che da varie parti andassero ad Efeso a vedere la Madre del Signore, Nostra Signora Santa Maria, e che avessero il desiderio di portare con sé la Sua immagine.

La pia tradizione delle immagini chiamate "Madonne Nere" vorrebbe suggerire che sarebbe stato lo stesso evangelista San Luca a dipingere la prima e più famosa immagine di Nostra Signora, quell’Immagine originaria, che non abbiamo più, ma da cui deriverebbero tutte le copie che chiamiamo con questo nome.

Ma anche se non é possibile determinare che sia stato proprio San Luca a disegnare e dipingere l’immagine originaria, in ogni caso sembra possibile pensare che abbiamo una buona probabilità di risalire ai tratti essenziali di Nostra Signora, nella età più matura, e cioé prima della Sua Assunzione in Cielo.

Anzi, secondo alcuni studiosi, il fatto che le "Madonne Nere" rappresentino - inusualmente - una donna già matura, sarebbe un buon segno ed indizio di autenticità, proprio a causa della sua inusualità.

Questa è, accennato in breve, la tradizione delle "Madonne Nere", che perciò ci offrirebbe dei lineamenti ben definiti della Vergine Maria gà matura negli anni.

Ad esempio: il Suo Volto piuttosto allungato, il mento un poco pronunciato, il naso lungo e sottile, non molto largo e senza quella parte sporgente al di sotto, come invece abbiamo noi europei (eredità, quella europea, dell' "incrocio" dei romani - che non la mostrano nelle loro statue - con i barbari).

Si osserva, per esempio, anche la punta del naso che è leggermente piegato in avanti. Ci sarebbero molti altri particolari da notare, riguardo alla bocca e soprattutto agli occhi...

In effetti coloro che osservano le cosiddette "Madonne Nere" sono generalmente molto colpiti dagli "occhi", come se l' autore avesse avuto una speciale capacità, o ricevuto uno speciale dono, per dipingere "quello sguardo", acuto, sofferto, benevolo, che vide il Figlio sulla croce, e che guarda ai figli come guarda al Figlio; uno sguardo che ognuno vorrebbe avere in favore e mai in contro: "nunc et in hora mortis nostrae".

Ritornando alla bella espressione del poeta Dante: il Volto di Maria é dunque Il Volto "che più somiglia" a quello di Cristo; dunque anche attraverso i lineamenti della immagine di Maria, come si possono rilevare da queste antiche "Madonne Nere", possiamo forse risalire a quelli di Gesù di Nazaret, per avvicinarci sempre più al compimento dell' inestinguibile desiderio: "Vultum tuum Domine requiram, Vultum Tuum" - "Il tuo volto io ricerco, Signore, il Tuo Volto".

 

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12 - La missione del Signore Gesù.

Riprendiamo ora ad intercalare letture evangeliche, con alcuni brevissimi commenti, come abbiamo già fatto precedentemente in questa meditazione, con lo sguardo fisso sulla Persona di Gesù nei testi che andiamo leggendo:

15° Lettura: Gesù e la vocazione del pubblicano (Matteo 9,9)

"Partitosi di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco dei gabellieri, e gli disse: 'Seguimi'. Quegli si alzò e lo seguì.

Ora avvenne che mentre Gesù stava a mensa in casa di Matteo, molti gabellieri e peccatori vennero a mettersi a tavola insieme a Gesù e con i suoi discepoli.

Ciò vedendo, i Farisei dicevano ai discepoli: 'Perché il vostro Maestro mangia coi pubblicani e coi peccatori ?'

Ma Gesù, uditili, rispose: 'Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati .... io voglio la misericordia e non la punizione ... io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori'"

 

16° Lettura: Gesù e la vocazione dei pescatori (Marco 1,16)

"Ora andando Gesù lungo il mare di Galilea, vide Simone ed Andrea, il fratello di Simone, che gettavano in mare le reti, erano infatti pescatori, e disse loro Gesù: 'Venite con me ed io vi farò pescatori di uomnini'.

Ed essi, abbandonando subito le reti, lo seguirono.

Poi, andando un poco più avanti, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, i quali, anche essi nella loro barca, raccomodavano le reti; e subito Gesù li chiamò, ed essi, lasciato nella barca Zebedeo loro padre cogli operai, lo seguirono"

 

17° Lettura: Gesù cammina sulle acque (Marco 6,45; Matteo 14,22)

"Dopo di ciò Gesù sollecitò i suoi discepoli a salire sulla barca ed a precederlo sull' altra riva di fronte a Betsaida, mentre egli licenzierebbe la folla. E dopo averli congedati se ne andò sul monte a pregare.

Fattasi sera, la barca era in mezzo al mare ed egli era solo a terra. Ed avendoli visti affaticarsi per remare perché il vento era loro contrario, verso la quarta vigilia della notte venne verso di loro camminando sul mare, come per oltrepassarli.

Ma essi, vedendolo camminare sul mare, immaginarono che fosse un fantasma e si misero a gridare, perché tutti lo avevano veduto e ne erano spaventati.

Ma egli rivolse subito loro la parola, dicendo: 'Abbiate fiducia, sono io, non temete!' E montò da loro nella barca ed il vento cessò ... e si stupivano sempre più ...e fatta la traversata, vennero a terra presso Genezaret e vi approdarono"

18° Lettura: Gesù calma la tempesta (Marco 4,35)

"E quello stesso giorno, venuta la sera, Gesù disse loro: 'passiamo all' altra sponda'. Ed essi, licenziata la folla lo presero così come era nella barca, e le altre barche lo accompagnavano.

E si levò un grande turbine di vento, che lanciava flutti nella barca, in modo che questa già si riempiva.

Gesù, nel frattempo, era a poppa, dormendo su un cuscino.

Allora essi lo scossero dicendogli: 'Maestro non ti importa che noi periamo?'

Alzatosi Gesù, comandò al vento e disse al mare 'Calmati, già taci!' E il vento si calmò e si fece grande bonaccia.

E soggiunse loro: 'Perché temete? ancora non avete fiducia ?' ed essi furono presi da grande timore e si dicevano tra di loro: 'Chi é mai costui, cui il vento ed il mare ubbidiscono?'":

 

19° Lettura: Gesù rifiuta l’ambizione (Marco 9,35)

"E vennero a Cafarnao. E quando Gesù fu in casa li interrogò: 'Su che cosa discutevate nel cammino?'.

Ed essi restavano in silenzio, perché per strada avevano discusso fra loro chi di loro avesse il primato.

E sedutosi Gesù chiamò i Dodici e disse loro: 'Se qualcuno vuole essere il primo sia l' ultimo di tutti ed il servitore di tutti'.

20° Lettura: Gesù non si fidava di loro (Giovanni 2,23)

"Mentre poi Gesù era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i miracoli che faceva, credettero nel suo nome.

Ma egli non si affidava ad essi, perché conosceva tutti, e non aveva bisogno che qualcuno gli facesse conoscere l' uomo, perché egli stesso sapeva quello che vi era nell' uomo"

 

 

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13 - Morte e Risurrezione.

 

21° Lettura: Gesù ordinò che lo slegassero (Risurrezione di Lazzaro, Giovanni 11,1)

"Era ammalato un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta, sua sorella ... Le sorelle allora mandarono a dire a Gesù: 'Signore, colui che tu ami é ammalato' ...

Quando dunque ebbe saputo che Lazzaro era ammalato ... si fermò ancora due giorni nel luogo dove era (al di là del Giordano); dopo di ché Egli parlò ai suoi discepoli .... e disse loro: 'Lazzaro, il nostro amico, ... é morto ...ma andiamo da lui'.

Gesù venne dunque e trovò che egli era nella tomba da quattro giorni.... Marta, appena seppe della venuta di Gesù, gli andò incontro ... e Marta disse a Gesù: 'Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto ...'

Le rispose Gesù: 'Tuo fratello risorgerà'. E Marta a lui: 'Lo so bene che risorgerà al momento della risurrezione nell' ultimo giorno'.

Gesù soggiunse: 'Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, quando anche fosse morto, vivrà, e chi vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu?'.

Ed essa a lui: 'Si, o Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto nel mondo'. ....

Gesù dunque quando vide che (anche Maria) piangeva e che anche i Giudei venuti con lei piangevano, fremette in cuor suo e si turbò ... E Gesù pianse. Dicevano perciò i Giudei: 'Ecco quanto lo amava'.

Allora Gesù, fremendo di nuovo, venne al sepolcro... Gesù disse: 'Levate via la pietra dal sepolcro' ... Rimossero dunque la pietra. Allora Gesù ... esclamò a gran voce: 'Lazzaro vieni fuori!' E subito il morto uscì legato ai piedi ed alle mani con striscie, ed il suo viso era coperto da un sudario. Gesù disse loro: 'slegatelo e lasciatelo andare'.

Così molti Giudei, che erano venuti da Maria ed avevano veduto quello che Gesù aveva fatto, credettero in lui; tuttavia alcuni di loro se ne andarono dai Farisei e raccontarono loro quello che aveva fatto Gesù.

Allora i capi dei Sacerdoti ed i Farisei radunarono il Sinedrio e dicevano: 'Che cosa facciamo noi, mentre quest' uomo fa molti segni ?? ("Quid facimus, quia hic homo multa signa facit ?", Volgata). Se lo lasciamo fare così liberamente, tutti crederanno in lui ("Si dimittimus eum sic, omnes credent in eum..." Volgata) ....

Da quel giorno dunque fu presa la risoluzione di farlo morire ("Ab illo ergo die cogitaverunt ut interficerent eum" Volgata)....

Intanto i Capi dei Sacerdoti ed i Farisei avevano dato ordine che, se qualcuno sapeva dove egli fosse, lo denunciasse per impadronirsi di lui ("Dederant autem pontifices et Pharisaei mandatum, ut si quis cognoverit ubi sit, indicet, ut apprehendant eum" Volgata)."

 

22° Lettura: Gesù prega nell’angoscia della morte (Marco 14,37)

"E Gesù disse loro: 'Io sarò per voi tutti, questa notte, un'occasione di scandalo ...Ma, dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea'....

E giunsero così ad un podere detto Getsemani e disse ai suoi discepoli: 'Sedete qui finché io abbia pregato'.

Prese quindi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e cominciò ad essere in preda allo spavento ed all' angoscia e disse loro: 'L'anima mia é triste fino a morirne...' Ed essendosi allontanato un poco da loro si gettò a terra e pregava ...

Ritornò e disse loro '...L' ora é giunta; ecco il Figlio dell' uomo é dato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, il mio traditore é vicino'".

 

23° Lettura: Gesù viene giudicato dal Sinedrio (Matteo 25, 57 ss.)

"Intanto quelli, impadronitisi di Gesù, lo condussero da Caifa, Sommo Sacerdote, presso il quale si erano riuniti gli Sribi e gli Anziani ...Intanto i Principi dei Sacerdoti e tutto il Consiglio cercavano false testimonianze contro Gesù per condannarlo a morte; ma non ne trovarono, per quanto si fossero presentati falsi testimoni ...

Allora il Sommo Sacerdote si alzò e gli disse: 'Nulla rispondi a quanto costoro depongono contro di te ?'

Ma Gesù taceva.

Il Sommo sacerdote riprese: 'Io ti scongiuro per il Dio vivo di dirci se tu sei il Cristo, Figlio di Dio'.

Gesù gi rispose: 'Tu l' hai detto, anzi io vi soggiungo: da ora in poi vedrete il Figlio dell' Uomo sedere alla destra di Dio Onnipotente e venire sulle nubi del cielo'.

Allora il Sommo Sacerdote si stracciò le vesti, esclamando: 'Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco voi ne avete ora sentita la bestemmia! Che ve ne pare?'

'E' reo di morte' risposero essi.

Allora gli sputarono in faccia e gli diedero pugni; altri poi lo schiaffeggiarono ....".

24° Lettura: Gesù resuscitato con i suoi (Luca 24; Giovanni 20 e 21)

"Levatisi in quello stesso momento i due discepoli di Emmaus, tornarono immediatamente a Gerusalemme, e trovarono riuniti gli Undici ed i loro compagni, i quali dicevano: 'Il Signore é veramente risorto ed é apparso a Simone'. Ed essi (i due discepoli di Emmaus) pure raccontarono ciò che era avvenuto per via e come lo avevano riconosciuto allo spezzare del pane.

Mentre si intrattenevano così, Gesù stesso si presentò in mezzo a loro e disse: 'La pace sia con voi. Sono io ; non temete!'

Stupiti e spaventati, temevano di vedere un fantasma. Ed Egli disse loro: 'Di che siete turbati? e perché nei vostri cuori sorgono pensieri dibbiosi? Guardate le mie mani ed i miei piedi; ecco, sono proprio io. Toccatemi e guardatemi; e rendetevi conto che un fantasma non ha carne ed ossa come io ho'. Ed a queste parole mostrò loro le sue mani ed i suoi piedi.

Ma siccome erano ancora incerti e stupefatti per la grande gioia, chiese loro: 'Avete qualcosa da mangiare ?'

Ed essi gli offrirono del pesce arrostito ed un favo di miele, che egli prese e mangiò in loro presenza; ed a loro ne distribuì le parti restanti."

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"Ed ecco che, quel giorno stesso, due di loro se ne andavano ad un villaggio, chiamato Emmaus, ... , e parlavano fra di loro di tutto quello che era accaduto.

E mentre parlavano e ragionavano insieme, Gesù stesso avendoli raggiunti camminava con loro....".

 

 

"...camminava con loro ...": "Il Signore, da servi che ci ha incontrato, ci ha fatti amici. Per questo ci ha detto: 'Già non vi chiamo più servi, ma amici' (Giovanni 15,15): ... Causa immortalitatis amicitia Domini est". (Sant' Ireneo)

 

 

 

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14 - Gesù di Nazaret, la sua umanità.

 

Riprendiamo ora il filo delle riflessioni e dei ragionamenti sui vari aspetti visibili di Gesù di Nazaret, il Signore Gesù, cominciando dagli aspetti fisici ed umani; cerchiamo di "raccogliere alcuni elementi", "colligite fragmenta" (Giovanni 6,12).

 

Un primo aspetto, fisico: la voce.

La Sacra Scrittura pone sempre una speciale enfasi sul tema della "voce", la Voce di Dio per esempio.

Ci potremmo perciò chiedere, ad esempio come era la voce,ed anche la parlata, il modo di esprimersi del Signore Gesù.

Spesso infatti il Vangelo fa riferimento alla maniera di esprimersi del Signore: chiamò qualcuno, gridò a gran voce, parlò ai bambini, conversò a tavola, curò con la parola gli infermi, cacciò i demoni mediante alcune espressioni, parlò ai nemici, parlò agli amici, parlò alla Madre sua, annunciò il Regno, parlò al Padre ...Il Vangelo riporta addirittura alcune delle sue parole nella sua stessa lingua originaria.

Si deve ritenere, in proposito, che la sua "parlata" fosse quella delle lingue mediorientali, sostanzialmente a base parzialmente gutturale, più o meno attenuata.

Noi occidentali, soprattutto quelli delle latitudini più a nord, abbiamo un parlata generalmente a base labiale, che pertanto ci sembra "naturale". Di fatto, per parlare, usiamo prevalentemente la parte anteriore della bocca.

Invece gli ebrei, gli arabi, i mediorientali e vari abitanti delle coste mediterranee utilizzano per parlare espressioni prevalentemente gutturali, più o meno marcate, che perciò giustamente sembrano a loro "naturali".

Per questo, se volessimo evocare il contesto della voce del Signore, si potrebbe dire che Gesù di Nazaret avevail tipo di pronuncia della sua lingua nativa e della sua gente.

 

Un secondo aspetto fisico: la cura del corpo e l' alimentazione

Si potrebbe considerare che Egli viaggiava molto e, come tutti gli ebrei, soprattutto in viaggio, aveva molta cura della igiene personale.

Mosé, seguendo anche la grande cultura medico-sanitaria egiziana, aveva indotto gli ebrei a curare molto l’igiene del corpo e la scelta e preparzione dei cibi, fino a darne minuziosi precetti religiosi.

Era questo un fattore molto positivo, nell’antichità, ove molti si ammalavano, anche di gravi malattie endemiche, per mancanza di pulizia o per alimentazione incorretta.

"Impura" era la espressione, che si usava tecnicamente, e così "impuri" erano coloro che non seguivano le regole igienico-sanitarie-alimentari, trasformate appunto, per maggiore sicurezza ed enfasi, in regole religiose: era perciò naturale e normale per ogni pio Israelita, come Gesù di Nazaret, di lavarsi spesso e di curare il tipo ed il modo della alimentazione.

Prima di mangiare, per esempio, avevano l’obbligo di lavarsi fino ai gomiti.... e "molte cose simili facevano secondo la tradizione degli antichi" ...

Le regole sanitario-religiose erano diventate assai rigide e simboliche, specialmente al tempo della epopea, dolorosa e gloriosa, dei Maccabei, che, della osservanza minuziosa di tali regole - come di rutta la legge - avevano fatto una bandiera nella lotta contro la persecuzione dei Sovrani pagani Seleucidi.

Il Signore Gesù non ha mancato di ironizzare - come lo indica specialmente il Vangelo di San Matteo - sugli aspetti divenuti ormai formalistici di questo grande armamentario di regole sanitario-religiose, moltiplicate a dismisura, a scapito della sostanza della Legge Religiosa.

Tutti gli obblighi di lavarsi esternamente, non possono essere a scapito o sostitutivi della pulizia interiore del cuore: non si dovrebbe essere puliti e profumati al di fuori e ripieni di sgradevoli odori al di dentro.

Ma certamente possiamo pensare, in questo contesto, che Gesù di Nazaret sostanzialmente seguiva la cultura della igiene corporale del suo popolo; infatti egli, come tutti, prendeva il cibo con le mani. Non si usavano ancora, allora, tutti gli strumenti che abbiamo noi a disposizione per assumere il cibo.

Allora usavano, per esempio, avvolgere il "boccone" principale del cibo, più o meno elaborato con vari ingredienti e spezie, con delle speciali focacce; poi, prima di portarlo alla bocca, intingevano tale involto o "boccone" - "un cono di cibo" - dentro delle brocche o vasi, pieni di salse speciali.

Così pure sappiamo che Gesù di Nazaret, come era proprio della cultura del suo popolo e come risulta dal Vangelo, beveva vino (c'é un' area geografica intorno al Mediterraneo che alcuni chiamano "della cultura del vino").

Per mangiare, poi, secondo l’abitudine del tempo, stavano generalmente leggermente distesi, piuttosto sul fianco sinistro, appoggiandosi perciò sul braccio e sul gomito sinistro e servendosi pertanto il cibo con la mano destra; dando quindi ognuno parzialmente di spalle a chi si trovava alla sua sinistra ed avendo di fronte, a sua volta parzialmente di spalle, chi si trovava alla destra, mentre il cibo da consumare era raccolto nel centro fra i commensali ed alla portata di tutti (come del resto si era usato da sempre nel deserto).

Stando in questa posizione, i piedi erano perciò opportunamente lontani dal cibo.

Si potrebbe forse aggiungere che a Gesù di Nazaret piaceva il pesce arrostito, con miele glielo offrirono la sera della sua risurrezione; ed Egli stesso poteva prepararlo con pane abbrustolito, come fece per i suoi discepoli sulla riva del mare di Galilea, all' alba, per offrire loro una prima colazione (Giovanni 21).

 

Un terzo aspetto di Gesù di Nazaret: come si presentava la Sua personalità nel suo contesto ambientale ?

Quest’Uomo era normalmente e bene ambientato nei Suoi luoghi, nel Suo tempo, con la Sua razza e nazione, tanto che per comprenderne il "linguaggio" e la personalità è opportuno ed anche necessario vederLo calato nel Suo ambiente.

Così si può meglio capire la sua "idiosincrasia", il Suo modo di essere, i Suoi comportamenti, le Sue modalità, ciò che Gli piaceva e come era la Sua terra e la gente che vi abitava, con cui egli e la sua vita era unito e coinvolto.

Per esempio, é facile osservare che la Galilea - la sua terrra - esercitava un grande fascino ed una forte attrazione su di Lui e sugli apostoli, che erano galilei.

Anzi è importante conoscere qualcosa della Galilea: è infatti una terra bellissima e rigogliosa, ed è anche per questo che li affascinava.

La Galilea, fra tanti deserti circostanti, é una terra verde, feconda, fiorita, con laghi, con dolci colline, con una gigantesca e bella montagna dominante da Nord-Ovest, quasi sempre coperta di nevi perenni (l' altissimo monte Hermon).

Quindi in Galilea, scendendo da Nord verso Sud, dapprima c’è la parte della montagna alta e poi ci sono le colline, come nella zona di Nazaret, che è terra collinare, poi c’è il lago più grande, che è il lago di Tiberiade (chiamato anche mare di Galilea), e successivamente, scendendo sempre da Nord verso Sud, c’è un’enorme valle (la valle di Esdrelon), che va quasi direttamente dal Mediterrane ad Ovest al Giordano ad est, e con la quale termina la Galilea e comincia la Samaria, con le sue dolci colline non molto alte ed anche fiorite di mandorli.

I Galilei, Gesù ed i "suoi", amavano la loro terra ed andavano sempre volentieri in Galilea: "[..] andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno". (Mt 28,10)

È come dire: andiamocene a casa ... pescando nel mare di Galilea fino all' alba e poi mangiando insieme una prima colazione di pesce arrostito e pane tostato, proprio preparati da Lui (Gv 21, 1ss).

Questo contesto ambientale ci può aiutare ad avvicinarci ed a capire "l’idiosincrasia" di quest’Uomo, Gesù Nazareno, il Galileo, come lo chiameranno poi con un certo tono di disprezzo i pagani suoi nemici, come ad esempio l' Imperatore Giuliano l' Apostata ("Galileo hai vinto" furono le sue ultime parole mentre moriva, dopo il suo prolungato, sanguinario e vano tentativo di estirpare il cristianesimo ormai dilagante nell' Impero).

Gesù infatti era Galileo e perciò Gli piaceva la semplicità di quei luoghi e di quella gente. Egli era inoltre uno straordinario osservatore della natura e della gente.

Se si legge il Vangelo, tenendo presente questo aspetto, quante osservazioni di ogni genere Egli fa, da attento osservatore della bella natura della Sua terra!

(Gli uccelli del cielo, la spiga, il giglio del campo, il lievito, il seme, il raccolto, la pesca, le galline, le pecore, il sole, le nuvole, il clima, il vento....).

Si vede bene che osservava con compiacimento e anche con soddisfazione: "Neppure Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come il giglio del campo".... Deve esserGli piaciuto osservare i gigli nei campi ....

La natura era, al tempo stesso, bella e terribile: la montagna altissima, le tempeste del mare, il calore estivo .... Egli amava la montagna. Questo è un dettaglio che non si coglie a prima vista, se uno non osserva bene. Infatti non lo si dice mai esplicitamente nel Vangelo.

È un po’ - parallelamente - come la questione della descrizione del Suo Volto e fella Sua Immagine: siccome tutti lo vedevano e lo avevano conosciuto, perciò nei Vangeli non viene descritto.

 

La stessa cosa, analogicamente, succede con la alta montagna (il monte Hermon). Dato che da ogni parte della Galilea si vedeva questa grande montagna, quasi sempre coperta di neve (come il monte Popocatepetl a Puebla, in Messico), proprio per questo motivo era così comune, che alla fine nessuno dei quattro evangelisti nomina espressamente il monte Hermon.

...... E lassù sulla montagna Gesù portava con sé i suoi discepoli. Infatti secondo il Vangelo di Marco: "Egli disse loro: Venite con me in disparte, in un luogo solitario, a riposarvi un poco" (Marco 6, 30 e altri) ed infatti li portava con sé in un luogo chiamato Cesarea di Filippo, che era l’ultimo paese prima di arrivare alle regione delle nevi sulle pendici della grande montagna.

A Gesù piaceva anche andare sulla riva del mare, ... fino alla riva del Grande Mare Mediterraneo. Il Vangelo racconta appunto che Egli si recò a Tiro ed a Sidone, che si trovavano sul mare Mediterraneo, già nel Sud del confinante Libano. Gesù andò varie volte a quel celebre, selvaggio e pittoresco mare, che é chiamato il Mare Morto (che poi é un grandissimo lago). E poi, soprattutto, così spesso Egli andò a quel bellissimo mare - familiare e vicino - che era il mare di Tiberiade, che erano poi piuttosto il più grande dei laghi della Galilea; anzi presso questo mare, sulla costa occidentale prese spesso dimora.

Il suo spirito di osservazione e le sue predilezioni ambientali e personali fanno immediatamente pensare ad un animo robusto, profondo, fermo, acuto, tenero e poetico. Nell' elaborare, comporre e narrare le sue celebri parabole, inseriva infatti tutte quelle osservazioni che faceva a proposito della natura, della gente e delle singole persone.

Durante le Sue conversazioni e i Suoi sermoni, Gesù amava riferirsi ai fenomeni naturali, agli uomini, alle vicende umane, buone e cattive, semplici e drammatiche, al modo di vivere, ... ed anche per questo il suo linguaggio era facile e comprensibile.

Tutto ciò da un lato fornisce un quadro umano di fondo del Signore Gesù, e mostra il Suo spirito attento e benevolo di osservatore; da un altro lato tutto ciò già ci introduce a qualche considerazione sul suo temperamento.

 

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15 - Gesù di Nazaret: "figlio di Dio, figlio dell' uomo".

 

Un quarto aspetto di Gesù di Nazaret: il "figlio dell' uomo" (Daniele, 7, 17 e testi paralleli).

Il Signore Gesù, "il figlio dell' uomo", aveva senza dubbio un temperamento "mediterraneo". Il "Figlio di Dio" concretamente dovette incarnarsi in una forma umana specifica: "quel mondo mediterraneo" fu il "luogo concreto" della Sua incarnazione umana.

(A questo proposito si può semplicemente annotare che la scelta di "questo" "luogo concreto" non significa in alcun modo una sottoestimazione di chi é di un altro temperamento e di un'altra razza)

Il temperamento - ed il carattere - di Gesù di Nazaret emerge facilmente dal Suo modo di essere, di parlare, di reagire, di rivolgersi alle varie categorie di persone e specialmente alle persone singolarmente prese.

Egli era spontaneo, diretto, sincero, affettuoso ("non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici": non esiste atteggiamento più affettivo di questo),

Era acuto, rapido, riflessivo, fortemente passionale ("questo è il momento in cui chi possiede un mantello lo vende, per comperarsi una spada").

Era profondo, attento, delicato, ardente ("sono venuto a portare il fuoco alla terra e cos’altro posso cercare se non che arda").

Era energico, paziente, perseverante, emotivo (¼ Egli poteva piangere per l’emozione quando moriva un amico o quando vedeva ormai vicina la rovina della Sua città di Gerusalemme e della sua gente).

Si osserva ripetutamente che il Signore Gesù "inveiva con impeto" contro i farisei e contro gli scribi, e così pure egli giunse a prendere a frustate coloro che commerciavano nel Tempio, disonorando il luogo santo di Dio.

Egli aveva una straordinaria forza di volontà: poteva affrontare un lunghissimo digiuno, lunghe camminate faticose (seduto ormai stanco ed accaldato per il cammmino, vicino al pozzo di Giacobbe, lì incontrò la Samaritana ...), dure penitenze e privazioni, grandi avversità e contraddizioni ... e il tradimento, ... mantenendo sempre fermo il timone del suo cuore ("firmum est cor meum").

A Gesù di Nazaret piacevano .... le cene. La "cena", in effetti, sembrava essere un elemento importante, non solo della cultura di un popolo, che viveva in regioni calde, ed in parte desertiche

(ove la idea del pranzo nel caldo meridiano, cedeva il passo all' idea della cena nella frescura e tranquillità della sera);

ma la "cena" era anche, per Lui, un elemento chiave della Sua psico-pedagogia.

Infatti Gesù di Nazaret non solo cenava, piuttosto che pranzare, ma la "cena" era per Lui occasione speciale per le "conversazioni", per "l’insegnamento", per l’amicizia; la cena era l’esempio e l' esemplare per molte parabole; la cena era l’immagine della vita eterna ed era l’immagine dell’Eucaristia; fu alla fine ¼ l’Ultima Cena; fu poi la Cena di Emmaus e fu la celeberrima cena (nel Cenacolo) della Risurrezione nella sera della Pasqua ... ; la Santa Messa, il Suo Memoriale che Egli ci ha lasciato, é una Cena ... "ad coenam vitae aeternae perducit nos Rex Aeternae Gloriae!"

 

 

Un quinto aspetto di Gesù di Nazaret: il "Figlio di Dio" (Salmo 2 e testi paralleli)

Gesù di Nazaret dominava il mare, i venti e le tempeste, e si commuoveva con i bambini e con i deboli e pecatori, il Figlio di Dio era un "Uomo forte" ed era un uomo tenero e delicato.

C’era un "mistero" celato nel Suo sguardo; spesso gli evangelisti dicono: "lo guardò e gli disse..", "guardandolo", "dopo averlo guardato"...

Il Signore Gesù portava un "mistero" nella Sua voce, nelle Sue mani, e soprattutto - facilmente leggibile da noi occidentali - nel Suo Cuore.

La gente cercava Gesù di Nazaret, accorreva dove egli si trovava, venendo anche da molto lontano, affrontando ogni genere di disagio per vederlo, per ascoltarlo, per toccarlo ... come pecore senza pastore, Lo amava, Lo seguiva incantata, in ogni angolo della Galilea e poi giù giù dalla Galilea fino a Gerico e fino all’entrata trionfale a Gerusalemme.

A Gesù di Nazaret, al Figlio del Dio Vivente, piaceva molto di stare con gli amici, sempre, cioé sia prima sia dopo la Sua beata Resurrezione.

I nemici invece Lo odiavano e Lo perseguitavano con ostinazione; San Giovanni - l'amico per antonomasia, "colui che Gesù amava", colui che giunse fin sotto la Croce, colui che ricevette come eredità la Madre di Dio, il "Figlio del Tuono" come Gesù lo chiamava - nel suo Vangelo descrive "i nemici: il nemico" come le tenebre, che lottano contro la luce, lungo tutta la Sua santa vita e fino alla morte, dopo la morte, fino ad oggi.

 

Gesù di Nazaret era di un’intelligenza molto vivace, pronta, intuitiva, sagace, progressiva: aveva l’abitudine di donare la Sua dottrina per gradi, con prudenza, poco a poco, con paradossi, con parabole...

Egli aveva anche un forte senso dell’umorismo, anzi un senso dell' umorismo "forte", a differenza del senso dell' umorismo dell' evangelista San Giovanni, che era piuttosto "sottile": proprio lo stesso Vangelo di San Giovanni mette in luce l' intreccio fra questi due tipi differenti e convergenti di umorismo e permette anche di farne un paragone.

Era il Signore Gesù un Uomo franco, dalla risposta diretta e immediata, senza paure, e senza paura, ponderato ma rapido, come pronta era la Sua intelligenza: basti pensare al Suo stesso processo ed al diverso atteggiamento ed alle diverse risposte di Lui ai differenti personaggi di quel processo.

Il Figlio del Dio Vivente fu di profilo e temperamento coraggioso, fu coraggioso con i sommi sacerdoti, con i farisei, con i sadducei, con i dottori della legge, con Pilato e poi sempre con tutti i potenti e con tutti gli iniqui in favore dei giusti, in favore dei giusti di tutti i tempi: testimone impavido del Mistero di Dio, che Egli portava in sé.

Egli fu fermo nella Sua volont༠... anche nell' ora delle decisioni supreme e nell' ora dei tradimenti drammatici e dolorosi, nelle tentazioni, ... nell’orto degli ulivi ... sempre

 

Gesù di Nazaret fu combattivo, non inutilmente o spavaldamente combattivo - di fronte ad Erode restò in silenzio - ma pronto al combattimento (dicono che "gli Arcangeli siano angeli da combattimento"): veramente egli era il "Figlio di Davide" ed il "Principe degli Arcangeli", colui che "aveva venduto il mantello per comprare una spada": fu combattivo, a partire dal digiuno nel deserto, .... fino all’ultima battaglia, sulla croce.

Allo stesso tempo Egli era ponderato e prudente: tutta la vicenda fra Erode e Giovanni Battista fu da Lui affrontata con prudenza; in più di un’occasione, si ritirò lontano, a parte, per non dover provocare e sostenere inutili conflitti, o polemiche o pericoli.

Soprattutto Egli, Gesù di Nazaret, il Figlio del Dio Vivente, era "benevolo", benevolo con tutti: negli "Atti degli Apostoli" San Pietro, presentandolo pubblicamente, afferma solennemente che i Sommi Sacerdoti avevano fatto crocifiggere quest' Uomo, Gesù di Nazaret, che "era passato facendo del bene" – " transiit benefaciendo " -.

Egli era benevolo - e con occhio sempre vigile ed attento - soprattutto con i più fragili e con i più necessitati, con i bambini, con le donne (che in quel mondo culturale antico erano spesso indifese ed emarginate), con i poveri, con i poveri di spirito, con i peccatori, con coloro che cercavano la verità e la giustizia.

Le celebri Beatitudini sono un catalogo perenne lelle sue immortali benevolenze! Nel rileggerle si apprezza la dilagante, eroica, impenitente benevolenza di quest’Uomo - il "figlio dell' uomo" e "figlio di Dio" - verso tutte le persone di buona volontà, soprattutto se fragili, umiliate, deboli, frustrate, malate ed andicappate, emarginate e desolate dal dolore, e poi robustamente benevolo verso ....i giusti, specialissimamente per coloro che credono, sperano, soffrono e preparano la verità e la giustizia !

 

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16 - "Agnello di Dio", "Figlio di Davide", "Maestro" e "Medico delle anime e dei corpi"

 

In effetti il Signore Gesù veniva chiamato simultaneamente:

- "Agnello di Dio", simbolo di mansuetudine e di benevolenza (proprio San Luca viene definito: "Evangelista mansuetudinis Domini"),

- e "Figlio di Davide", cioé gli veniva attribuito anche il titolo più importante per gli israeliti, cioé quello di "Figlio di Davide", come lo mostra chiaramente il brano di Vangelo relativo al cieco di Gerico: giacché l' espressione "Figlio di Davide" riassumeva il meglio dell’eredità e della fortezza di Israele.

 

 

Era chiamato Maestro, e lo era veramente: nelle sinagoghe, sulla montagna quando pronunciò "quel" celebre Discorso, nelle conversazioni conviviali, nelle parabole, in pubblico di fronte al popolo ed alle maggior istanze religiose e civili, in privato, di fronte a Nicodemo, di fronte alla Samaritana, di fronte agli amici, di fronte ai discepoli ...

Era chiamato Medico, e fu medico dei corpi e soprattutto medico delle anime, delle vite, delle persone; la medicina del corpo era immagine e segno della medicina dell' anima, come ad esempio nel caso del paralitico, cui ordinò di portarsi via la sua barella ( o lettuccio), come immagine e segno della curazione dei mali dell' anima: "i peccati sono perdonati".

 

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17 - La seduzione dell' Amore.

A Lui si può giustamente attribuire l’ingiuria che Gli avevano tributato i suoi nemici, depurata dalla loro malizia e piena di verità: Lo chiamavano infatti "seduttore", e lo era veramente, ma non certamente nel senso che essi gli attribuivano.

Niente infatti seduce più dell’amore, ed Egli possedeva questa straordinaria seduzione, la seduzione dell’amore di Dio.

Questo era l' "incantesimo", la "magia" del Signore Gesù, la seduzione dell' amore di Dio: tutto o niente, Giovanni o Giuda, il vero o il falso, la ragione del vivere o il vivere senza ragione.

San Pietro, che conviveva con Lui, lo descrive con parole molto speciali e indicative. Pietro infatti lo conosceva bene e fu portato a dirgli:

- "allontanati da me, perché io sono peccatore";

- ed anche "Tu solo hai parole di vita eterna",

- ed inoltre "Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".

E Lui, Gesù di Nazaret, il Signore Gesù, cosa diceva di sé ??

San Giovanni Battista Gli mandò a chiedere: Chi sei tu? Cosa dici di te stesso? Sei colui che deve venire od aspettiamo un altro ??

Gesù rispose ai discepoli di Giovanni Battista, che erano venuti ad interrogarlo a nome suo:

"Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano, i poveri sono evangelizzati, e beato é colui che non prende scandalo a causa mia" (Mt 11,4).

Ed é così, cari amici, che tutti i profeti, tutti i re, tutti i martiri e tutti santi - da sempre - hanno cercato il "volto" di questo Signore: "Il tuo volto, Signore, io cerco".

Questo "seduttore", Gesù Cristo, ha un potere che corre inarrestabile attraverso i secoli ("I cieli e la terra passeranno, le mie parole non passeranno").

Affascina i popoli più diversi e le persone più differenti, le più colte, le più semplici, le più peccatrici, le più dure, le più nobili, le più normali.

Ed, allo stesso tempo, attraverso i secoli corre anche quel misterioso filo di sangue, che scende dalle Sue braccia sulla croce e che non finisce mai, perché Lui portava con sé l’Amore, il Mistero e la Gloria di Dio, e dunque, la Salvezza di Dio.

Egli, il Signore Gesù, è infatti il Salvatore, Il Figlio del Dio vivente!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DECIMA MEDITAZIONE

 

SUL DISCERNIMENTO DI UNA VOCAZIONE SACERDOTALE

 

 

 

 

Con il tema odierno vorrei toccare un argomento piuttosto interessante, relativo ai discepoli di Gesù; vale a dire, il problema della vocazione sacerdotale o, per meglio dire, il discernimento di una vocazione sacerdotale.

Quali criteri si potrebbero avere e seguire per capire se si ha o non si ha la vocazione sacerdotale?

Questo tema del discernimento della vocazione sacerdotale, che stiamo per presentare, é naturalmente successivo all’altro tema parallelo, che abbiamo presentato ieri: "come il Signore Gesù abbia chiamato e costituito i 'dodici'".

 

Ricordate che ho parlato e vi ho donato quella "tessera" breve, che era l’ "atto di fede minimo" del grande Sant’Atanasio: "Nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo".

Così pure vi ho anche già offerto la "tessera" minima - o sintesi brevissima - del sacerdozio, che sarebbe la espressione evangelica: "Ne costituì Dodici, - che stessero con lui, - e per mandarli a predicare" (Mc 3, 14).

Questa frase, importantissima, contiene tre elementi, come potete ben vedere: 1) "costituì dodici", 2) "perché stessero con lui", 3) e "per mandarli a predicare".

Questi tre elementi, così senticamente espressi dal Vangelo di San Marco, sono in effetti i tre elementi fondamentali minimi e comuni ed essenziali della vocazione sacerdotale.

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1 - I criteri di osservazione.

 

In pratica e di fatto, per capire se un giovane seminarista ha la vocazione sacerdotale, alcuni utilizzano criteri di osservazione come i seguenti:

osservare, per esempio, se egli è pio, se assolve volentieri ai suoi doveri religiosi e alla preghiera; poi egli se è umile, non si vanta non é orgoglioso ed arrogante, se riesce a convivere bene con gli altri compagni; se egli cerca di essere santo e se ha fede; se è obbediente e se può vincere le tentazioni contro la castità; se è studioso e capace, se é preciso e puntuale nei suoi impegni e doveri, sé ha zelo apostolico e misssionario ....

Quindi, se uno possiede - più o meno - queste caratteristiche o altre simili a queste, secondo alcuni significa che ha un chiaro segno di vocazione sacerdotale.

Orbene, si può aggiungere che questi criteri sono già alquanto antichi o, come si dice oggi, "datati"; cosicché alcuni li hanno "aggiornati", e li hanno "aggiornati" con operazioni e procedimenti un po’ complessi ed - in certi casi - anche singolari, cioé vi hanno aggiunto e mescolato anche studi, indagini, "tests" e terapie psicologiche (adesso da qualche parte si sta cercando, infatti, di suscitare questa moda della psicologia e del suo uso specifico in vari campi).

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2 - L' uso della psicologia.

 

Mi piace parlare di quest’uso della psicologia, perché quando studiavo Teologia Spirituale alla Università Gregoriana di Roma ho avuto, tra gli altri maestri di psicologia, un maestro di psicologia molto rinomato e competente, autore di vari libri sulla materia, il noto Padre Gesuita Georges Cruchon, S.J. (Psycologia Pastoralis I /II).

I maestri che avevamo allora, alla Gregoriana, ci trasmettevano un sano "senso critico" nei riguardi dell’uso della psicologia, perché alcuni, fin da allora, tendono a convertire la psicologia in una specie di "mito".

In effetti la psicologia non è una scienza esatta, come ad esempio sarebbe la matematica (la matematica sì é una "scienza esatta" ed anche ho avuto modo di studiare molto quando mi preparavo al mio dottorato di ingegneria alla Università di Bologna), la psicologia é invece una scienza sperimentale.

Cioé, per le scienze sperimentali, per fare delle valutazioni, si prendono in considerazione vari e distinti casi e parametri e, studiando poi generalmente una media di come essi risultino in base a certi criteri di selezione e di orientamento, si giunge a formulare delle ipotesi ed anche si arriva a delle proposte pratiche od operative.

In effetti nella storia della psicologia sono esistite diverse scuole di pensiero, non di rado in contraddizione ed anche in contrapposizione l’una con l’altra, anche su punti, prospettive e conclusioni importanti.

Dunque bisogna essere cauti e non avere fretta e fiducia "assoluta" nelle conclusioni di una scuola, piuttosto che di un’altra: non di rado ciò che in psicologia era apparso sicuro e definitivo oggi, in breve tempo tramontava e veniva rovesciato da un altro studio o da un' altra scuola.

Vi farei un esempio. Se prendete in considerazione diversi elementi (parametri di valore) relativi a una persona: questa possiede un tanto di affettività, un tanto di memoria, un tanto di volontà, un tanto di intelligenza, un tanto di aggressività, eccetera, fino ad arrivare a 25 o 30 parametri, o ancora di più.

 

La media - la media - che gli studiosi propongono sperimentalmente potrebbe essere per esempio "5" per un elemento, poi "7" per un altro elemento, "19" per un altro e "12" per un altro ancora.... Se poi tu vai a vedere una persona concreta può essere - che questa persona concreta risulti nella media per un elemento e per un altro ..., ma che non rsulti proprio nella media per un altro elemento ed un altro ancora....

Dio in verità è un musicista e certamente Gli piace la armonia del concerto che si ottiene variando le note e così dunque sembra proprio che Egli proceda quando crea le persone: ad una Egli dona un po’ di più di affettività, all’altro un pò più di memoria, all’altro più o meno di volontà, ad un altro ancora da un po’ meno aggressività....

Dunque, per quel che riguarda la media sperimentale, tutti ci troviamo - del tutto normalmente - un po’ più in alto o un po’ più in basso della media di ogni singolo elemento.

Quindi si potrebbe quasi dire - per assurdo - che, per uno psicologo, una persona "normale" (cioè una persona che stia nella media esatta di tutti i parametri sperimentali fissati dalle varie scuole psicologiche), di fatto, non esiste.

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3 - Abusi molto gravi nell' uso della psicologia.

 

Questo era solo un esempio relativo alle normali cautele e precauzioni necessarie; ma bisogna tenere in considerazione, inoltre, che ci possono essere - e di fatto ci sono - degli abusi, anche gravissimi, nell’uso della psicologia.

 

Supponiamo, per esempio, che uno di voi venga a confessarsi da me e mi dica: "guardi, padre, ho detto una piccola bugia e, per la tranquillità della mia coscienza, prima della Santa Messa, vorrei confessarmi".

Una piccola bugia non è un grande peccato.

Se io poi, dopo quella confessione, incontro - per esempio -casualmente il Rettore nella sala da pranzo e gli dico: "pensi che il tal dei tali è venuto a confessarsi da me e mi ha detto di aver detto una piccola bugia", io incorro immediatamente in ogni serie di pene che la Chiesa possa infliggermi, cioé rimango sospeso e impedito, per avere violato il segreto della persona, il "foro della coscienza", il segreto sacramentale.

Mi sottopongono cioé ad ogni sorta di pena, per avere rivelato che il tal dei tali mi ha confessato una ....piccola bugia: così ferocemente, e giustamente, la Chiesa tutela e difende ed ha sempre tutelato e difeso la coscienza delle persone

(San Giovanni Nepomuceno, il caso é celebre, preferì farsi gettare nella Moldava ad affogare nel tumultuoso e freddo fiume di Praga, piuttosto che rivelare un segreto di coscienza).

Pio XII, ricevendo un gruppo di penalisti, di medici e psicologi, il 3 ottobre 1953, tenne loro un celebre Discorso sulla sacralità ed inviolabilità assoluta della coscienza umana: "Sulla soglia della coscienza - Egli disse - Dio stesso si arresta e non entra se non Gli viene aperta la porta e se non viene invitato liberamente ... La coscienza é dunque un santuario, sulla cui soglia tutti devono fermarsi; tutti, anche il padre e la madre, quando si tratti di un bambino".

 

Vorrei perciò infondere nel vostro animo un sano senso critico nei confronti di un uso affrettato della psicologia, affiché possiate respingerne fermamente la mitologizzazione e gli abusi, ed affinché possiate utilizzarne in modo conveniente ed appropriato gli aspetti positivi.

In proposito: la modestia autocritica della presentazione di questa materia e dello stesso psicologo potrebbe essere considerata da voi una buona raccomandazione; mentre invece la volontà imperiale di imporsi e di imporre criteri, metodi e conclusioni é generalmente un segno prossimo e quasi sempre sicuro di inaffidabilià.

Concretamente mi sembrerebbe che si potrebbe considerare un criterio di uso sano dei servizi di uno psicologo, da parte di una "Istituzione" (come ad esempio un Seminario od un Noviziato), quando si procede analogamente a quando si utilizzano, da parte della medesima Istituzione, i servizi per esempio di ... un dentista.

Supponiamo infatti che il Seminario contatti, per esempio, un dentista e poi avverta tutti che: se qualcuno degli alunni o superiori del Seminario avrà qualche problema relativo, vada pure dal dentista che si trova nel tal posto alla tale ora; poi il Seminario provvederà a saldare la spesa corrispondente.

Circa l' uso dei servizi di uno psicologo si dovrebbe procedere in una maniera analogamente semplice. Cioé si potrebbe fare la stessa cosa, suggerendo i nomi di due o tre psicologi, bravi, di buon orientamento e cattolici, ed offrire così ai seminaristi la possibilità di conversare con uno psicologo su qualche argomento delicato, consigliati a ciò eventualmente non già dal Superiore ma invece piuttosto dal rispettivo Padre Spirituale, se lui lo considera opportuno.

Ma questa consulenza dovrà essere una conversazione o consulenza strettamente privata, coperta dalla massima riservatezza e segreto, ed in nessun modo - neanche indiretto - potrà essere riferita ai Superiori del seminario. Inoltre non si potranno fare in alcun modo delle schede, trasmetterle (o trasmetterne il contenuto) ai Superiori del seminario e neppure si potranno conservare tali schede; il rispetto della coscienza dovrà perciò essere assoluto.

(le uniche informazioni che i Superiori di una Istituzione potrebbero legittimamente ricevere da uno psicologo sarebbero quelle "attitudinarie-tecniche" esterne, cioé fatte con "tests" semplici e "non-proiettivi": per esempio se una industria automobilistica deve destinare degli operai a tre diversi settori tecnici può fare prove o tests attitudinari tecnici, ma non può fare mai tests relativi alla persona o alla coscienza ....)

 

 

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4 - Nella libertà della coscienza si scopre e si realizza la vocazione: "Allora, come si fa per sapere se uno ha o non ha la vocazione ??"

Questa è la domanda giusta.

Se un sacerdote è superiore di un seminario per diversi anni, e ha alla sua osservazione un alunno per cinque, sei, sette anni o più, ed alla fine non sa dire - assieme agli altri Superiori - in base alla osservazione quotidiana di moltissimi parametri e punti di osservazione del "foro esterno alla coscienza" se quell' alunno può essere ammesso alla ordinazione sacerdotale, o non può esserlo, allora crederei che in questo caso il problema sia piuttosto un altro e cioé crederei che la cosa da fare sia di cambiare immediatamente quel superiore.

E, comunque, non c'é mai il diritto a violare la intimità della coscienza, da parte di nessuno e per nessuna ragione per quanto importante e seria, abbiamo visto infatti che: "Dio stesso si arresta sulla soglia della coscienza" (Pio XII diceva: "anche della coscienza di un bambino"), per cui dove Dio si arresta per rispetto, nessun altro ha il diritto di entrare: la Chiesa ha sempre avuto un assioma chiarissimo: "de internis neque Ecclesia", neppure la Chiesa ha alcun diritto a violare o manipolare la coscienza.

Com’è possibile, infatti, che un superiore abbia vissuto per anni, quotidianamente, con una persona, e non sia in grado di valutare se quella persona possa rimanere e procedere verso la ordinazione sacerdotale oppure andarsene dal Seminario ??

A volte, forse, alcuni Superiori - nella illusione un pò puerile di auto-semplificarsi la vita ed i propri doveri - sarebbero forse tentati di cercare di avere, invece di un seminario con persone libere e dotate di una coscienza inviolabile, una specie di "gabbia con dei docili porcellini d’India"; ma questa non sarebbe, ovviamente, che una caricatura di cattivo gusto e dai risultati peggiori.

La libertà e precipuamente la libertà di coscienza, come lo abbiamo già più volte sottolineato e come non sarà mai sottolineato abbastanza, è il dono più prezioso che Dio ci abbia dato: é la immagine stessa di Lui stampata in noi; essa ci conduce all’atto d’Amore e il suo scopo è l' autocompimento della persona in un progetto di identità e di fedeltà a Dio: là infatti, nella libertà, si scopre e si realizza la vocazione.

In effetti nel piano di Dio, che ci ha creati simili a Lui, il regime di libertà rimarrà per sempre; lo vediamo pardossalmente bene anche nel caso estremo negativo, quello di Giuda, che era stato chiamato ad una splendida vocazione e rimase libero, fino alla fine, di poter essere fedele o di tradire la fedeltà il suo grande Amico.

 

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5 - Vocazione sacerdotale o "determinismi psichici" ?_

Ecco dunque che, a tutti i criteri antichi, che prima abbiamo enumerati, per riconoscere la vocazione sacerdotale, nei tempi moderni é stato aggiunto, in vari e differenti modi, l' uso di tecniche, terapie psicologiche.

 

Alcuni infatti sembrano dire molto semplicisticamente: "sottoponiamo il candidato ad una serie di esami psicologici, e lo psicologo ci potrà dire se egli ha la vocazione sacerdotale oppure no". Così, con una apparenza di modernità, essi tendono a liberarsi, in modo puerile, ma grave, del serio problema del discernimento della vocazione sacerdotale.

In realtà questo "signor psicologo" non sa nulla a proposito della vocazione del "tal dei tali" ed egli non può né ricevere delegazioni, né fare rivelazioni relative al soggetto da lui esaminato: il ruolo stesso del buon psicologo é delicatissimo e va esso stesso protetto e tutelato dalla rozzezza di certi ... superiori, che cercano piuttosto di liberare facilmente la loro coscienza, delegando a lui un ruolo che é loro proprio.

La vocazione è qualcosa di molto profondo, serio e delicato, un "mistero" che riguarda la persona umana ed il suo Dio, Cui la persona può essere rannodata solo da un atto libero, unico tipo di atto - per quanto fragile nelle circostanze - degno della persona e di Dio, allo stesso tempo.

Come é possibile che ci immaginiamo una specie di determinismo o pre-determinismo universale, in cui tutto verrà saputo e regolato da alcuni tests e terapie più o meno sofisticati ??

Quattro punti:

1) Il complesso sistema dei criteri antichi, che abbiamo riferito in precedenza, 2) con l’aggiunta moderna dell' uso di metodi psicologici (a volte male utilizzati), 3) si usa non di rado oggi - più per la pura e semplice tranquillità dei superiori che per l’obbiettività del risultato - 4) per dichiarare la realtà e la oggettività di una vocazione sacerdotale.

Questo criterio o complesso di criteri in quattro punti, che abbiamo appena enunciato, non é adeguato e sufficiente, per valutare e capire se esiste la vocazione sacerdotale.

Non é adeguato, soprattutto se lo si adotta come criterio unico, in se stesso sufficiente. Esistono infatti parametri o valutazioni utili, ma non decisive, per capire se uno ha o non ha la vocazione sacerdotale. Cerchiamo di vedere perché non è un criterio adeguato e sufficiente.

Secondo questo criterio o parametro di valutazione, se tu, per esempio, non sei molto pio, se non sei tanto umile, se non sei tanto santo, se non hai molta fede, se non sai ubbidire molto ...., invece di accedere al Sacramento dell’Ordine Sacerdotale, accedi piuttosto a quello del Matrimonio.

Se così fosse, verrebbe da pensare che non é questa una bella considerazione per il Sacramento del Matrimonio. Sembrerebbe indicare: i "buoni" per il Sacerdozio e quelli un po’ "meno buoni"... per il matrimonio.

Senza forse volerlo esplicitamente, con tali procedimenti, di fatto, non staremmo tanto catalogando la gente e le persone, quanto piuttosto staremmo catalogando i sacramenti: paradossalmente finiremmo per avere un sacramento di prima classe per i "buoni" ed un sacramento di "seconda classe" per i "meno buoni; e questo sembra inconveniente ed anche inaccettabile.

Se noi consideriamo di pari ed uguale dignità i due stati di vita, ed i due sacramenti corrispettivi, il sacerdozio e il matrimonio, non possiamo procedere con criteri orientativi che finiscono col sottovalutare e deprimere l'uno rispetto all’altro.

Siamo così giunti, almeno mi pare, ad una valutazione o conclusione, e cioè che quei criteri prima descritti sopra, possono essere utili, ma non sono sufficienti ed adeguati per discernere una vocazione sacerdotale.

La vocazione, infatti, viene da Dio e la Chiesa si limita generalmente a riconoscerla, ad accettarla, a favorirla, a promuoverla.

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6 - I segni dei tempi.

In alcuni casi, poi, ai criteri orientativi, ma non sufficienti, già menzionati, se ne possono aggiungere altri, come quello dei "segni dei tempi" relativi alla vita personale. Per esempio se uno viene da una famiglia molto cattolica, numerosa, ed è entrato in seminario fin da bambino, ci è rimasto molto volentieri, ha sempre giocato a calcio, studiato ed ha sempre avuto buoni voti, sta volentieri con i compagni ..... perché ora dovrebbe cambiare via ? Il "segno dei tempi", in questo caso, per questa persona concreta, sarebbe che: "egli è già sulla buona strada".

Cioé se un tale è già ben indirizzato, allora questo sarebbe, secondo alcuni, già un segno di vocazione. Se questo criterio fosse adeguato, giusto e sufficiente, io stesso dovrei essere andato da un’altra parte. In verità, le vicende ed i trascorsi della mia vita e della mia famiglia, della mia giovinezza - di cui vi ho fatto allusione nella prima meditazione - non erano tali da poter far dire allora che io avevo la vocazione sacerdotale.

In realtà non è così: quello esteriore non può essere l’unico, il sufficiente e definitivo criterio di giudizio circa una vocazione sacerdotale.

Si potrebbero citare numerosi esempi di vocazioni eccellenti, nella storia della Chiesa, non provenienti da una situazione, da un ambiente o da una classe precostituita, ma provenienti dalla libertà di Dio, che chiama chi Egli vuole liberamente chiamare, c'é la misteriosa ed efficace libertà stessa di Dio qui in gioco.

Realmente, è il Signore che chiama: "Gesù fissò lo sguardo sul giovane ricco e gli disse ..."!

Ora, può essere opportuno tenere in considerazione le condizioni fisiche, psicologiche, geografiche, economiche, familiari....

Ci sono situazioni in cui qualcuno di questi fattori può essere importante per valutare il caso nel suo insieme, ma non possono essere questi gli elementi definitivi e determinanti.

È infatti del tutto inattendibile ed insufficiente basarsi solamente su un esame psicologico o su una valutazione ambientale, per decidere la propria vocazione sacerdotale. Si finisce col cadere in un meccanismo piuttosto deterministico e anche pericoloso.

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7 - Variegate santità ed anomalie rispetto ai "criteri deterministici".

 

Ci sono grandi Santi della Chiesa, di cui dovremmo ora rifiutare la vocazione, perché non rientrano in quelle "categorie", che ora stiamo prendendo in considerazione.

Per esempio, Sant’Alfonso de’ Liguori. Egli aveva un problema, che ora gli psicologi non accetterebbero: era afflitto da una "malattia psicologica", che si aggravò ulteriormente prima della sua morte.

La stessa "malattia psicologica" aveva colpito Santa Luisa di Marillac, la fondatrice delle Madri della Carità, la Congregazione religiosa femminile più grande della Chiesa, anche in Santa Luisa di Marillac si aggravò prima della morte.

La "malattia psicologica", che avevano questi due santi, era lo scrupolo. In qualche tappa della vita ci può essere la prova dello "scrupolo", per chiunque: è normale.

(Nel caso di Santa Luisa di Marillac, anzi sappiamo che San Vincenzo de Paoli, il suo Padre Spirituale, non volle assecondarne gli scrupoli, benché essa fosse ormai alla fine della vita.)

San Camillo, a sua volta, era zoppo a causa di ferite di guerra, ed al suo tempo coloro che zoppicavano non erano ammessi agli ordini e congregazioni religiose e perciò egli, che voleva essere francescano non poteva neppure essere ordinato sacerdote.

San Camillo venne anzi a conflitto col suo padre spirituale, che era San Filippo Neri, figura molto nota nella Roma del suo tempo; San Filippo infatti, seguendo i criteri usati per discernere le vocazioni nel suo tempo, cercò di convincere San Camillo che, in quanto era zoppo .... non poteva avere una vera vocazione.

A questo punto, San Camillo, seguendo invece la sua vera vocazione, si dedicò a fondare una nuova Congregazione, che è quella molto conosciuta degli Ospedalieri di San Camillo, conosciuta anche con il nome di "Camilliani".

Pare che lo stesso Santo Padre Giovanni Paolo II abbia incontrato, in giovinezza, qualche incomprensione nel discernimento della sua vocazione, da parte dei Carmelitani. Lo stesso Santo Pasdre ne parla nel volume autobiografico "Dono e Mistero": sembrerebbe che egli fosse, in realtà, molto attirato dalla vocazione carmelitana e per una diversità di criterio di discernimento

(circa la diversità di citeri di discernimento di questa famosa e bella vocazione, si veda il citato testo autobiografico del Santo Padre ed altri testi paralleli ed autorevoli, come ad esempio il noto volume del sacerdote e giornalista polacco Malinski "Il mio vecchio amico Karol"),

alla fine egli optò per la Vocazione Sacerdotale Diocesana: ma, in omaggio alla spiritualità carmelitana, al tema della "fede" in San Giovanni della Croce egli dedicò poi la sua tesi dottorale a Roma.

La vocazione, occorre affermarlo con fermezza e coraggio, è realmente una chiamata di Dio. Per valutare il suo discernimento può essere interessante mettere sul tavolo l' insieme delle circostanze, ma non possono essere sufficienti e decisive.

Uno deve alla fine sempre riuscire a capire se egli ha realmente la vocazione, al di là delle circostanze.

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8 - Vocazione sacerdotale o vocazione canonica ?

Ci sono alcuni che, per esempio, che pongono l'enfasi su un criterio diverso, che a loro sembra oggettivo - e lo é - ma resta insufficiente, benché importante. Questi pensano che la "vocazione sacerdotale" coincida con la "vocazione canonica" fatta dalla Chiesa a un individuo concreto e particolare.

Vale a dire: il vescovo o un superiore ti chiama e ti dice: "tu hai vocazione, io ti chiamo, vieni". Allora, se succede questo, c’è la vocazione "canonica" fatta da un’autorità della Chiesa, che ha il potere di chiamare al servizio sacerdotale o religioso.

Questo é ovviamente molto importante, ma questo da solo non é sufficiente per significare che tu concretamente abbia davvero la vocazione.

A questo punto potrebbe essere utile di esaminare e prendere in considerazione anche il rovescio della medaglia. Cioé vedere, per esempio, che, quando due persone si sposano, devono essere d’accordo entrambe, non é sufficiente la "vocazione" di una sola delle due.

Così, analogamente, quando uno deve diventare sacerdote, si viene a costituire un rapporto ed un vincolo speciale e particolare tra lui e la Chiesa; vincolo e rapporto che dovrà essere reciprocamente consensuale; ecco pertanto che, nella realizzazione di una vocazione sacerdotale, occorre tenere presente anche il punto di vista dell' altra parte, cioé della Chiesa (del Vescovo o del Superiore Religioso), ed é questo punto di vista che si potrebbe chiamare la "vocazione canonica".

Se tu hai il diritto di dire: "Io ho, oppure non ho, la vocazione", occorre ammettere che anche la Chiesa ha diritto di poter dire: "Ti accetto oppure non ti accetto come sacerdote".

Rimane pertanto il fatto che l’autorità (Vescovo o Superiore Religioso) della Chiesa può dire "si" oppure "no", riguardo all’accettazione della vocazione che uno manifesta: quella sarebbe la cosiddetta "vocazione canonica".

Ma questa "accettazione" o "non accettazione" non implica immediatamente che io "abbia" oppure "non abbia" la vocazione sacerdotale: é un requisito praticamente necessario, ma non sufficiente.

C’è di più, quando un’autorità mi chiama formalmente e "canonicamente", dovrei aver già chiarito e deciso se io ho la vocazione sacerdotale o se non la ho: c’è un discernimento e giudizio fondamentale sulla vocazione, che la stessa persona deve esercitare liberamente e completamente, e nessun altro può farlo al posto suo.

 

Va anzi aggiunto su questo punto che se una determinata autorità della Chiesa mi rifiuta, questo, di per sé, non vuole assolutamente dire che io non abbia la vocazione sacerdotale.

Posso invece sempre andare legittimamente da un’altra parte, in un’altra circostanza - o con la stessa "persona ecclesiastica" - ma in un’altra occasione, per insistere e manifestare la mia eventuale vocazione sacerdotale.

Ci sono stati infatti molti casi simili di Santi, e di altri buoni sacerdoti, che hanno avuto traversie eed incomprensioni nel riconoscimento canonico e formale della loro vocazione sacerdotale, che era poi dimostrata assolutamente autentica.

 

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9 - Il Criterio: la comunione apostolica, "apostolica vivendi forma".

Ma ecco, dopo tutte queste considerazioni, viene finalmente la domanda fondamentale e decisiva, che tutti voi vi ponete e che è:

Quale è il criterio?

Che criterio bisogna seguire ed utilizzare per discernere con sicurezza e decidere se si ha o se non si ha la vocazione sacerdotale?

Si può dire più o meno rapidamente; poi ci ritorneremo sopra con varie immagini, da vari punti di vista e con più precisione.

Il Criterio.

Visto che il sacerdozio comporta una testimonianza globale di vita

(non ti obbliga solo ad una funzione, ma ti impegna ad essere, nella tua vita, il testimone e lo specchio del Signore Gesù; ti impegna ad un esistenza speciale, con modalità precise),

il primo elemento determinante ed essenziale della vocazione al sacerdozio consiste in questo:

la intuizione irrinunciabile, che si ha, per grazia dello Spirito Santo, di un piano globale ed esclusivo della propria vita e del proprio amore umano e soprannaturale, da realizzarsi nella vita sacerdotale.

"Non posso, cioé, concepire me stesso in un'altra forma, se non così!"

Pur avendo tutti i peccati della terra - se qualcuno può raggiungere questa convinzione e pensare così (e San Paolo, per esempio, pensava così) - egli si trova sulla buona strada per diventare un sacerdote, ha in effetti una buona base di vocazione sacerdotale.

Grandi Santi furono prima grandi peccatori ed, essendo essi ancora nel peccato, Dio già li ha chiamati perché, fossero Suoi apostoli.

Questa percezione non si ha - di solito - di colpo; ma spesso, come sta succedendo a voi qui in seminario, si viene scoprendo tutto quanto é relativo alla vocazione sacerdotale attraverso un processo di maturazione personale.

Far parte dei "discepoli" del Signore Gesù significa, in effetti, far parte di una comunione intorno a Lui, chiamata e conosciuta, fin dai tempi dei Padri della Chiesa, come "Apostolica vivendi forma", cioé "il modo di vivere degli apostoli".

Vale a dire, significa essere introdotti in una comunione di persone, cioé in un "organismo" di persone, o anche "ordine" di persone; in latino si parla appunto di "ordo", e da qui deriva la parola "L' Ordine", cioé l' "Ordine Sacro del Sacerdozio".

Si entra dunque in una comunione di persone intorno al Signore Gesù, in un "ordine" di persone intorno a Cristo, in un insieme coordinato di discepoli intorno al Signore.

Il carattere collegiale della comunità apostolica, come fu ben chiaro fin dagli inizi della Chiesa, è stato molto rivalutato dal

Concilio Ecumenico Vaticano II, e prima ancora fu rilanciato a molte riprese in varie occasioni ed epoche della vita e della storia della Chiesa.

Cioé si vuole e si é sempre voluto realizzare, ripetere e fare presente l’immagine del "gruppo dei discepoli intorno al Signore": la comunità degli apostoli, la "apostolica vivendi forma".

Voi qui nella vostra comunità di giovani "cruzados de Cristo Rey", che vi preparate al sacerdozio, avete una grande grazia, perché potete fare vita comunitaria.

La vita comunitaria, da un lato, porta con sé anche qualche penitenza e principalmente quella di dover sopportare qualche compagno ed, a volte anche qualche superiore, fastidioso.

Ma, da un altro lato e principalmente, la vita comunitaria è molto importante, interessante e stimolante, perché in essa si impara a essere e a vivere come fratelli, come amici, come succedeva nella comunità apostolica.

La vita comunitaria è una possibiltà molto positiva per una persona, soprattutto, se si cerca con pazienza, con delicatezza, in modo adatto, con coraggio, di creare buone amicizie.

In tal modo la vita comunitaria diventa assai fruttuosa, lasciando vivente nel cuore, per tutto il resto della vita, la immagine stessa di Dio, Che é "in Sé stesso" una unica e specialissima comunità e comunione, che noi chiamiamo la Santissima Trinità.

A partire dal momento in cui il seminarista, o novizio, viene accettato tra i candidati a futuri sacerdoti del Signore, egli entra nel cammino per essere aggregato ad un corpo, ad un "ordine", a una comunità; entrerà infatti - quando sarà sacerdote - a far parte dello "specchio" ("speculum visibile invisibilis Dei") cui ha voluto dare vita il Signore.

Ricorderete infatti che abbiamo già trattato questo bellissimo tema dello "specchio visibile del Dio invisibile", e ricorderete perciò che abbiamo sottolineato come "la comunità degli apostoli" sia "lo specchio, montato e messo in opera dall'amore trinitario".

Perciò quando si entra a far parte di questa vita di comunione speciale - "la apostolica vivendi forma" - si diventa parte dello "specchio" vivente e visibile.

Se si scattasse una foto ad un gruppo di sacerdoti del Signore Gesù, mentre passano, andando insieme, si potrebbe vedere in quella foto lo stesso Dio che passsa.

O piuttosto si può giustamente dire che: quando ci vedono passare insieme, é Dio stesso che vedono avvicinarsi e passare.

Questo è molto evidente e la gente - la gente che ha fede - lo pre-sente ed é molto evidente che la gente lo "sa".

Poco a poco, infatti, colui che entra nell’ "Ordine Sacerdotale" si inserisce sempre più profondamente all’interno di questo "corpo".

E non potrebbe essere altrimenti: così anzi sarà sempre più e "per sempre"; e questa é la vera "gloria" del sacerdozio: "per sempre"! Si "ama" veramente e si "é" veramente: solo "per sempre"!

Così succede, esattamente come quando Nostro Signore ha chiamato intorno a sé i dodici, allontanandoli e separandoli dai loro legami precedenti, per costituire con loro e fra di loro una profonda e personale comunione di vita.

Qual è il segno visibile, che viene così costituito e mostrato per Israele ? Il segno per eccellenza è questo: la comunione di vita degli apostoli con il Signore.

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10 - La vita degli Apostoli.

A questo proposito, se osservaste lo sviluppo della vita di ognuno degli apostoli, potreste vedere qualcosa di molto interessante: potreste prendere, esaminare pian piano e seguire la vita di qualcuno degli apostoli:

1) come ad esempio San Pietro.

E' molto impressionante infatti vedere San Pietro che dice al Signore: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito" (Luca 18, 28; Matteo 19, 27; Marco 10, 28); e vedere che il Signore stesso risponde a San Pietro - "risponde loro" - esattamente: "Ecco, voi, che avete lasciato tutto ...¼ " e poi il Signore, lui stesso, fa la lista di tutto quello che loro hanno lasciato per seguirlo.

2) Se invece osserviamo e seguiamo la vita di un altro apostolo, per esempio di San Paolo, vediamo che San Paolo, a Listra, incontra un discepolo, che si chiama Timoteo, che arriverà ad essere il suo più grande compagno ed amico.

Quando San Paolo incontra Timoteo, il libro degli Atti degli Apostoli - scritto da un altro compagno di San Paolo, che era San Luca - dice che San Paolo (Atti 16,3): "volle che partisse con lui". Gli Atti degli Apostoli presenta poi sempre Timoteo come compagno di San Paolo nell’apostolato e come un fratello che partecipa in modo speciale ai suoi sentimenti (cfr. Filippesi 2,20).

3) Oppure, proseguendo in questa osservazione ed esame delle vite degli apostoli, troviamo che negli Atti degli Apostoli, ci sono pagine e pagine in cui l’evangelista San Luca (autore anche del libro degli Atti) usa il "noi" per indicare che "lui (San Luca) e San Paolo" andavano insieme in molti luoghi. In altre sequenze di pagine, invece, San Luca usa la parola "egli" per indicare che San Paolo (da solo) andava in altri luoghi senza essere accompagnato da lui (San Luca): da compagni nell' apostolato ed amici quali erano, a volte stavano insieme e altre volte no, tuttavia il contesto chiarisce assai bene la radicalità definitiva dell' impegno "apostolico".

4) Così si potrebbero trarre utili osservazioni analoghe dall' osservazione delle vite di tutti gli Apostoli, circa la "apostolica vivendi forma" ....

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11 - Il celibato sacerdotale e l' "apostolica vivendi forma".

In questo contesto si comprende come il celibato non sia un accessorio o un aspetto funzionale e pragmatico del progetto di vita in cui si vuole entrare seguendo la vocazione sacerdotale.

Se si pensasse che il sacerdozio è una funzione, che lo scopo è quello di "avere più tempo possibile e più facilità" per distribuire i sacramenti, si potrebbe concepire il celibato come un accessorio, utile appunto per avere più tempo disponibile "per la funzione".

Ma non sembra che sia e che sia stato così. Si tratta invece basicamente e prima di tutto di una comunione totale di vita col Signore Gesù! "Li chiamò, perché stessero con lui e per inviarli a predicare" (Marco 3,14)

Gli apostoli, in effetti, hanno abbandonato tutto (Luca 18, 28 e testi paralleli), a cominciare dalla famiglia.

Nel Vangelo si parla effettivamente di una suocera di San Pietro (Marco 1,30 3 e testi paralleli); ciò che sembra si voglia dire è che Pietro realmente aveva avuto una moglie, ma essa veramente non compare mai nei Vangeli o negli Atti degli Apostoli.

I biblisti hanno elaborato diverse ipotesi a questo proposito: secondo molti, la cosa più probabile è che forse lei era deceduta; qualcuno, basandosi su Luca 18, 28. ipotizza che egli possa essersi separato da lei per seguire il Signore. A me personalmente, e per vari motivi, sembrerebbe più certa e fondata la ipotesi che essa fosse già defunta al tempo, in cui invece appare nel Vangelo la suocera (del resto l' Evangelista San Marco, compagno per tanti anni di San Pietro significativamente non la ricorda mai).

Nella "apostolica vivendi forma" e perciò nella vocazione sacerdotale ci troviamo effettivamente di fronte a un radicalismo totale, ti addentri in qualcosa che cambia la tua vita e ti conduce "per sempre" Dio specialmente arriva e ti chiama al suo progetto massimo e più profondo ed intimo, dunque é "per sempre"! Con Dio é "per sempre"!.

Il celibato è, dunque, per meglio dire, una conseguenza interna, una necessità inscritta naturalmente in questa condizione di vita, instaurata dal Signore Gesù con i suoi, in questa comunione fraterna dei discepoli con Lui e tra di loro (con Lui e tra di noi).

In effetti Nostro Signore Gesù Cristo, modello ed esemplare di ogni sacerdote, visse celibe. Se uno sentisse di essere chiamato a essere sacerdote di Gesù Cristo, potrebbe e dovrebbe pertanto cercare di vivere come visse Lui.

Mi sembrerebbe questa una motivazione molto indicativa, molto esistenziale, per nulla funzionale e provvisoria, ed abbastanza evidente.

Cerchiamo a volte differenti motivi per il celibato sacerdotale, ma questa sembra essere "la ragione delle ragioni": la ragione evangelica.

Non stiamo dicendo che la ragione evangelica del celibato sia facile.

Ma neppure la ragione evangelica del matrimonio é facile; il Vangelo riporta infatti le parole di San Pietro, che, riferendosi alla condizione evangelica del matrimonio, disse che la sua difficoltà (del matrimonio) é tale che, anche per chi ne abbia la piena vocazione, forse varrebbe piuttosto la pena di non sposarsi.

In effetti, a proposito di "vocazione", non si dovrebbe cercare quella che sembri "facile", ma si dovrebbe cercare quella che sia "realmente per me" la vocazione di Dio, qualunque difficoltà poi comporti.

In ogni vocazione ci sono infatti le sue proprie difficoltà: la condizione di persona vivente in questa vita comporta infatti un impegno e delle inevitabili difficoltà.

Queste difficoltà, tuttavia, vengono normalmente accompagnate da gioie, che esse pure non mancano e che sono assai spesso significative, come a profetizzarci e ad anticiparci con la loro allegria la imminenza già attuale della vita beata ed eterna.

Non diciamo, dunque, che sia facile la vocazione sacerdotale, per persone fragili come siamo noi: potrei forse dire io di non avere peccati, potrei forse dire io che non mi confesso per i miei peccati, e potreste dire voi che non siete parimenti peccatori ??

San Pietro espresse questo sentimento di fragilità nelle ben conosciute parole da lui rivolte al Signore Gesù: "allontanati da me Signore, perché io sono un uomo peccatore" (Luca 5,8) - quante espressioni simili e tutte vere troviamo nelle vite di tanti e tanti Santi di Dio !.

Ma il punto sostanziale ed irrinunciabile per noi - qualunque sia la nostra fragilità - è invece piuttosto il seguente: che dobbiamo metterci in asse con quella che oggettivamente sia la vocazione fondamentale della nostra vita, per poter cercare di realizzare la nostra identità come persone.

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12 - "Sequela Christi": mirare a Lui per tentare di raggiungere la méta.

Così, nonostante ogni possibile difficoltà, una volta scoperta la nostra vocazione sacerdotale dobbiamo e possiamo "almeno tentare" di "seguire" il Nostro Signore Gesù (la famosa "sequela Christi"), tentare cioé di vivere "così" come Egli visse, tentare di vivere con Lui e con i "suoi", come Egli ci ha indicato, anche con espressioni straordinarie, con tanta benevolenza ed affetto.

Credo, in effetti, che la cosa che piace soprattutto al Signore sia il coraggio del tentativo, piuttosto che la gloria della riuscita; ciò é ben chiaro nella vita e nelle contraddizioni di San Pietro, come pure di tanti altri Santi. Dio non abbandona e dona il suo perdono ed il suo premio, soprattutto a chi cerca, a chi si sforza ed a chi si impegna.

Forse sentiamo che non riusciamo a raggiungere la méta, se cerchiamo di farlo con le sole nostre forze: ma questo - di poter "raggiungere" la méta - è in realtà un dono, un dono del Signore Gesù stesso e del suo Santo Spirito, ed a Lui va chiesto con allegria e con umiltà.

Questo, del celibato, è anzi un dono prezioso, perché ci dà la possibiltà di realizzare un forma di amore anche umano: quello di amare i fratelli nel sacerdozio, come il Signore amava i "suoi" e come gli stessi apostoli si amavano gli uni gli altri e fra loro.

In questa prospettiva l’ "amicizia sacerdotale" ha un senso pieno e completo:

- da un lato si possono e si devono amare, con tutto il cuore, i fedeli, che si incontrano nel corso della vita;

- ma, da un altro lato, occorre dire che l’amore di cui è costituita l’amicizia sacerdotale è un amore specialmente sostanziale e fondato in un modo del tutto specifico: è lo stesso identico amore che c’era tra il Signore Gesù ed i "Suoi", è cioé l’ "amore umano" che il Signore Gesù aveva deciso di vivere Lui stesso.

In questo caso dell' amore fra il Signore Gesù ed i "suoi" e perciò della fraterna amicizia sacerdotale - cui Egli ha dedicato espressioni così straordinarie e belle, soprattutto nel Vangelo di San Giovanni - non stiamo parlandone come di un amore esclusivamente soprannaturale, ma invece anche come di un amore pienamente umano.

Nel Suo ministero, Gesù separò alcuni uomini dai loro legami naturali per costruire una comunità umana di un genere nuovo, ma unita da legami non meno profondi di quelli che essi abbandonavano.

E tutto questo per poter dare una testimonianza visibile - "specchio visibile dell’invisibile Dio" - della Gloria di Dio, dell’Amore che è in Dio, dell’amore del Padre e del Figlio che noi chiamiamo Spirito Santo.

Egli, il Signore Gesù, fece questo. E perciò il celibato sacerdotale, vissuto in questo modo, in comunione fraterna, rende visibile e rende attuale la comunione di vita vissuta dal Signore Gesù con i "Suoi"; e pertanto è il grande "fermento" ed il "lievito" di quella comunione più ampia che é la comunione di tutta la Chiesa, della comunione vissuta da tutta la Chiesa.

Di fatto la Chiesa vive della comunione dei sacerdoti.

Se non ci fosse il "corpo sacerdotale", non esiterebbe la Chiesa.

La comunione sacerdotale è il punto su cui si appoggia tutta la Chiesa, il punto da cui sgorga e sorge, di cui si nutre tutta la Chiesa, ed è proprio così come Cristo Gesù ha concepito che Essa ne vivesse.

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13 - "Dalmanuta": la méta misteriosa.

Qui in America Latina hanno pubblicato un piccolo libro, che ho scritto, assieme ad un vecchio missionario italiano, sui "Missionari Italiani in Messico".

Questi missionari! Quali missionari! Quanti missionari! Quanto hanno fatto per portare la fede e la speranza del Signore Risorto da quest' altra parte dell' Oceano Atlantico! Cosa non è costato loro! Che cosa straordinaria ed ammirabile!

All’inizio di quel libro ho riportato un brano del Vangelo di San Marco.

C’era una regione, o territorio, o paese, o borgo - dall’altro lato del mare di Galilea - che non è segnato su nessuna carta geografica antica, cioé una cittadina piccola, o un territorio di scarso rilievo, che si chiamava Dalmanuta.

Questo nome di Dalmanuta compare solo una volta nel Vangelo, e solo nel Vangelo di San Marco.

Che cos’era Dalmanuta? Non é detto e non si sa, e per questo motivo di incertezza resta per noi, in un certo senso e propriamente un luogo misterioso.

Per questa ragione "misteriosa" ho posto, come brano iniziale del mio libro sui "Missionari Italiani in Messico", il testo del Vangelo di San Marco che riporta il nome di Dalmanuta:

"Dopo ciò salì sulla barca con i suoi discepoli e andò dall' altra parte del mare in una regione chiamata Dalmanuta" (Marco 8, 10).

Andarono, dunque, verso Dalmanuta, vale a dire verso un "luogo misterioso": un luogo misterioso verso il quale ci si imbarca con il Signore Gesù.

Mi piace che questo nome, Dalmanuta, corrisponda ad un "luogo misterioso", come parola ed analogia che indica la "meta misteriosa" - ed anche affascinante - di coloro che si imbarcano con il Signore Gesù.

Il Padre Luis (il Padre Superiore di questa casa, in cui noi ci troviamo ora col nostro corso di esercizi spirituali) mi ha chiesto di mettere una dedica per voi sulla copia del mio libro "Missionari italiani in Messico", libro che vi lascerò in dono. Io vi ho scritto queste parole:

"Ai cari "Cruzados", assieme ai quali sono salito sulla barca, col Signore Gesù, e tutti insieme ci stiamo dirigendo verso Dalmanuta".

In effetti i missionari italiani, che sono venuti in Messico in epoche successive via via fino ad oggi, si sono sbagliati; essi pensavano di andare in Messico, ma non è stato così .... in realtà essi andavano verso "Dalmanuta".

Essi sono saliti in realtà, in un giorno importante della loro vita, su una grande barca, che li avrebbe portati a ... "Dalmanuta".

Colui che accetta l’invito del Signore per diventare sacerdote, accetta di salire sulla barca con Lui e i con "Suoi".

Io vi rivolgo perciò oggi l’invito del Signore Gesù: "Salite con me sulla barca, insieme al Signore Gesù, e andiamo dall’altra parte del mare, a "Dalmanuta"!

 

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14 - L' "ordine" sacerdotale: una comunione.

 

Abbiamo visto in questi giorni che l’elemento fondamentale per la realizzazione dell’ "io" è la relazione interpersonale, l’"inter-soggettività", la fusione delle persone, degli spiriti, che vince l’isolamento interiore, l’egoismo, il senso di frustrazione di colui che è molto solitario.

E certamente - lo sappiamo dalle nostre famiglie - una buona via per realizzare questa fusione di spiriti, è quella che si compie nel matrimonio.

E un’altra via molto bella - lasciate che ve lo dica: un' avventura forse anche più bella - è quella che si realizza nella comunione fraterna e amichevole che ci regala il Sacramento dell’Ordine Sacerdotale, é quella che il Sacramento del Sacerdozio instaura, che costituisce, che impone e crea, e che lega le persone che ne entrano a far parte,

 

Così lo dimostra, con piena chiarezza, la stessa vita di Nostro Signore Gesù nella sua radicale convivenza con i "Suoi", e così pure lo dimostra anche l’esempio assai celebre di San Paolo e dei suoi collaboratori nel ministero apostolico (Timoteo, Silvano, Tito, Luca, ecc.).

In questo processo di comunione e di unione, che si realizza nel Sacramento dell’Ordine Sacerdotale, la persona può ugualmente e completamente realizzarsi nella sua propria umanità.

Pensate - come esempi - a tanti santi, figure bellissime ... e che cosa non hanno essi fatto! E come ne sono stati realizzati e felici, anche nelle inevitabili prove!

Si dice oggi che nella vita occorre essere felici; essere felici significa e vuol dire, in effetti, essere riusciti a realizzare la perfetta fotografia di Dio! Se un uomo è felice, vuol dire che la fotografia - la immagine - è ben riuscita.

Il giorno più felice della mia vita è stato - in realtà - quello in cui sono stato ordinato sacerdote. "Non stavo più nella pelle" a causa della allegria e della gioia.

 

Come umilmente vi ho detto ieri, ed ora ve lo ripeto come modesta testimonianza, da allora e finora non ho mai avuto nemmeno una volta la tentazione di abbandonare il ministero sacerdotale.

 

Il ministero sacerdotale tanto ci ricolma, che non basta l’intera esistenza per realizzare il sacerdozio che Dio ci ha donato, e non bastano le parole per ringraziare di un dono così grande e squisito. Grazie a Dio, qualunque cosa succeda, saremo sacerdoti sempre , e, grazie a Dio, sacerdoti moriremo.

 

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15 - La "intuizione": di un progetto globale ed irrinunciabile di vita.

Dunque, se questo è il progetto di vita globale, quale sarebbe l’intuizione che uno dovrebbe avere per sapere se ha la vocazione ??

Uno ha la vocazione se intuisce, con gioia e attrazione, un progetto globale della sua vita futura.

Questa intuizione può essere un processo progressivo, nel tempo, di acquisizione della propria vocazione, per esempio durante la vita nel seminario, o durante il noviziato.

Uno intuisce, a poco a poco, che "lì" c’è una vita completa e che questa vita gli potrebbe piacere, ed anzi che non potrebbe prescindere o fare a meno di essa.

Si tratta di uno "stato di vita", di un tipo di amore che tu senti di volere ed anche di potere realizzare.

 

 

 

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16 - "Fantasmi" e realtà: "Sacerdos alter Christus"!.

 

Bene, ora vorrei cercare di allontanare da voi uno "spauracchio", cioé un fantasma. Lo "spirito tentatore" è molto abile con i suoi "fantasmi", ma i suoi fantasmi vanno spaventati e soffiati via lontano. Cercherei di allontanarli con un esempio.

Supponiamo che un giovane voglia sposarsi. Per farlo ha bisogno di "una ragazza" disposta a divenire sua moglie. Ma questa non è una cosa tanto ovvia e semplice, perché succede che dopo averne trovata una, gliene può piacere poi un’altra. La chiave della sua soluzione non sta solo nella parola "ragazza", ma anche nella parola "una".

Nel momento in cui uno decide di sposarsi con una ragazza, non significa che da quel momento smetteranno di girargli intorno altre infinite e bellissime ragazze simpatiche e buone, ma piuttosto che lui deve creare un progetto di vita con la ragazza che ha scelto, un progetto per tutta la vita, esclusivamente con lei.

Questo significa che dovrà rinunciare a tutte le altre ragazze ed a tutti i restanti, possibili, progetti di vita.

A volte lo spirito tentatore pone davanti ai seminaristi ed ai novizi proprio questo fantasma: se entrerai qui, in questo progetto di vita, dovrai rinunciare a molte ed a molte altre cose.

È vero che bisogna fare delle rinunce. Ma é vero anche che chiunque scelga di entrare in "qualunque" progetto di vita - anche nel matrimonio, ovviamente - deve contemporaneamente rinunciare a tutti gli altri progetti di vita alternativi possibili.

Chiunque voglia radicarsi in una identità completa e definita ed afferrarne la sostanza deve necessariamente rinunciare al resto: é puerile e patetica la illusione di poter stare contemporaneamente in più progetti globali di vita: la bilocazione vitale o la trilocazione o la quadrilocazione é impossibile e la sua illusione é fatale: non é possibile cavalcare contemporaneamente due cavalli o servire due padroni.

Uno, quando sta per fare il passo, deve avere la percezione e la intenzione di volersi donare con esclusività ed irreversibilmente alla prospettiva che ha scelto.

- Hai scelto questa ragazza? Non puoi giocare con la tua e la sua vita: devi perciò donarti a questa prospettiva in forma esclusiva e irreversibile. È giusto.

- Hai scelto il sacerdozio? È giusto; sarai in gioco con il Signore Gesù tutta la vita, insieme a dei compagni, che a loro volta hanno investito qui tutta la loro vita per coinvolgersi con Lui e con te. Non puoi giocare con loro. Si va in battaglia insieme e non ci si volge indietro da solo e per proprio conto; non si può mettere mano all' aratro e volgersi indietro per proprio conto.

Non comprendere la connessione tra il sacerdozio e la irreversibilità - vale a dire fra il sacerdozio ed il celibato sacerdotale - significa non avere capito il significato, la profondità ed il radicalismo dell' impegno e del compromesso che si vuole assumere, e pertanto significa soprattutto non avere capito cosa sia la chiamata e la vocazione al sacerdozio.

 

Sembra facile pensare che: chi non capisce la "chiamata" non ha la "chiamata". Infatti significa non avere capito che questa è una "chiamata" verso un tipo specifico di vita, verso una modalità di esistenza, che a sua volta diviene testimonianza e segno nella vita di comunione degli altri discepoli.

 

Il sacramento dell’Ordine Sacerdotale, secondo il Concilio Vaticano II, prescrive ai presbiteri, non solo di edificare il popolo di Dio mediante il ministero della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, ma di manifestare in una maniera unica e sacramentale l’amore fraterno, servendo così ugualmente la causa della edificazione del Regno di Dio. (Presbiterorum Ordinis, Num.8).

Nel sacerdozio ministeriale c’è una partecipazione originale al sacerdozio di Cristo, come Capo della Sua Chiesa, una partecipazione alla Sua stessa persona ("Sacerdos alter Christus"), cosicché il sacerdote rappresenta realmente il Signore Gesù stesso nella comunità, e tutta la sua vita sarà come la stessa vita del Signore di fronte alla comunità.

Sacerdos alter Christus, il sacerdote è un altro Cristo.

A questo punto si potrebbe forse già dire: quando uno non ha la vocazione sacerdotale. Si potrebbe infatti dire, per esempio, che non sembrano avere la vocazione sacerdotale quelli che pronunciano frasi più o meno di questo tipo:

 

- "Accetto volentieri il celibato, ma penso che, in generale, si dovrebbe permettere, a chi voglia farsi sacerdote, di scegliere se accettare o rifiutare il celibato".

 

Se uno infatti dice o pensa questo, cioé se uno è fermo in una idea come questa, si potrebbe forse facilmente dire che lui non ha la vocazione sacerdotale. - Perché non ce l'ha? - Perché evidentemente egli non sta pensando ad un "progetto globale ed esemplare di vita", ad uno "stato completo e radicale di vita", ma sta evidentemente pensando ad una "funzione", all' esercizio di una "funzione".

- Se uno pensa che si possa essere - allo stesso tempo ed indifferentemente - sacerdote e uomo sposato, ciò sembra in effetti voler dire che egli pensi che alla fine "essere sacerdote" sia, analogamente, come "essere medico", "essere ingegnere", "essere elettricista" ... od altra professione o funzione, per le quali si può essere allo stesso tempo sia "funzionario" che sposato.

- Se invece uno pensa che il sacerdozio sia uno "stato di vita" (i sacramenti chiamati "stato di vita" di per sé sarebbero due: "il matrimonio" e l' "ordine sacerdotale"), allora l' esercizio della "la funzione sacerdotale" (per esempio amministrare sacramenti), per quanto importante, diventa secondario rispetto al "punto principale", cioè quello che abbiamo tanto sottolineato: di costruire lo "specchio" della comunità e della comunione degli apostoli con il Signore Gesù.

Allora, appunto, se realmente uno pensa che il sacerdozio sia uno "stato di vita", allora sì che si potrebbe dire che egli ha compreso sostanzialmente e realmente che cosa sia il sacerdozio.

Ma se uno non ha compreso quello che il sacerdozio è fondamentalmente, e continua a pensare erroneamente che esso sia basicamente una funzione, allora è meglio che egli lasci stare, che lasci perdere: già questo errore di valutazione sembra essere - ed é - un segno sufficiente per dire che non ha vera vocazione al sacerdozio.

Colui, dunque, che pronuncia una frase come quella che abbiamo riportato sopra, lo fa evidentemente perché non ha intuito che il sacerdozio è - prima di tutto - un progetto ed una testimonianza di vita e di amore globale e irreversibile.

 

 

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17 - Una testimonianza personale: non poter essere od immaginarsi altrimenti.

Ora vorrei alleggerire la meditazione, raccontando qualcosa di personale. Quando ho cominciato a sentire attrazione per il sacerdozio, ero innamorato di una ragazza della mia città: avevo allora circa 15 o 16 anni.

Lei era una "biondina" carina, io l' accompagnavo a scuola ogni giorno: mi sentivo attirato e contento. Pensavo di essere innamorato di lei. In realtà ero un po’ innamorato anche di altre ragazzine - come succede a volte agli adolescenti - ma non credo che fosse una inclinazione per la ... poligamia ....

Di fatto, credo che le mie compagne mi apprezzassero e mi stimassero; anzi le mie compagne di scuola mi avevano preferito "eleggendomi" il più simpatico della scuola..: sempre sono giochi di adolescenti questi, ... e comunque mi favevano sentire contento con le ragazze.

D' altra parte provavo una crescente e misteriosa, ma reale, attrazione verso il sacerdozio, mi incantava e mi affascinava molto.

Un giorno decisi di parlarne con un sacerdote, e quel colloquio è stato per me indimenticabile fino ad ora. Il sacerdote doveva andare a trovare un altro sacerdote e mi chiese di accompagnarlo, ma arrivati a destinazione, non trovammo nessuno.

Ci sedemmo vicino ad un pozzo – mi ricordo che questo pozzo lo ho poi sempre ricordato come quello del celebre episodio evangelico della samaritana - ed io gli esposi la situazione, dicendogli:

"Guardi, tutto é molto semplice; io voglio molto bene a questa ragazza ed, allo stesso tempo, sento che vorrei diventare sacerdote. Mi sembrerebbe perciò ragionevole di fare entrambe le cose, perché io sarei un buon marito se mi sposassi con questa ragazza, e allo stesso sarei anche un buon sacerdote."

Allora quel sacerdote mi diede una risposta, che, secondo me, si dimostrò molto saggia. Mi disse:

"Senti, Mario, non uscire dal seminato: la Chiesa Cattolica latina "ordina" sacerdoti solamente uomini che non siano sposati.

Punto!

Pertanto tu hai solamente due possibilità: o l' una o l’altra; o divieni sacerdote, o ti sposi.

È inutile che tu vai giocando con le due possibilità contemporaneamente, come se tu le potessi combinarle, questa combinazione non esiste".

In verità, a me questo discorso sembrò molto duro! Era un discorso realmente duro, ma aveva il profumo fragrante della rude verità, ed anche della carità, giacché mi indirizzava sulla giusta via del realismo oggettivo.

Dopo quel famoso incontro con quel sacerdote, passai alcune settimane tragiche, dibattendomi tra le due possibilità.

Alla fine, dopo avere molto riflettuto, molto pregato e molto sofferto arrivai ad una prima conclusione: che cioé dovevo decidermi e scegliere alternativamente tra le due opzioni.

Una cosa risultava perciò chiara per me, dopo questo primo sofferto discernimento: non si potevano avere entrambe le opzioni contemporaneamente; inoltre mi era ormai chiaro che qualunque fosse la mia decisione - qualunque delle due opzioni avessi scelto - avrei comunque sofferto molto.

Fu importante quando dissi a me stesso:

"Per prima cosa, ti devi decidere; secondo, qualunque scelta ti farà soffrire, dunque devi accettare il fatto che dovrai affrontare una grossa sofferenza. Quindi, quale delle due?"

Ci ho pensato molto, andavo in Chiesa a pregare, poi tornavo a casa, leggevo il Vangelo... cercavo di indagare a fondo in me stesso.

Alla fine, sono arrivato ad un punto che mi ha aiutato poi moltissimo. Mi sono detto infatti:

"So che qualunque delle due possibili opzioni mi farà soffrire, ma è meglio che cerchi di capire quale delle due è un "qualcosa" senza cui non io riesco a concepire e ad immaginare me stesso.

Se, per esempio, mi faccio sacerdote soffrirò molto perché dovrò smettere di vedere la ragazza da cui mi sento così attirato, e dovrò smettere di parlare con lei.

Se invece mi metto con lei e abbandono la idea stessa del sacerdozio..... Oh no, nooooo - mi sono detto - questo no!. In quel momento, in cui facevo oggettivamente questa ipotesi, mi sono reso conto che non potevo neppure pensarmi o immaginarmi così. Cioé mi é stato chiaro, anche se dolorosamente chiaro, che: non potevo non essere sacerdote".

In quel momento, dunque, ho visto e scoperto, anche se assai dolorosamente, la mia vocazione!!

Senza la possibilità del sacerdozio, io non avrei potuto vivere, e neppure pensare al mio futuro: così, con un notevole travaglio spirituale, sono approdato a terra ferma.

E così, amici, e perciò, eccomi qui! Qui con voi, fra voi e dei "vostri".

 

 

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18 - Convenienza del celibato con la vita sacerdotale.

 

Ritorniamo ora al tema di prima: l’intuizione della "convenienza" del celibato con la vita sacerdotale non è cosmetica o funzionale.

 

Quando uno intuisce la convenienza del celibato col sacerdozio, deve andare verso la vita sacerdotale, non già per una convenienza pratica, o di facciata, ma per quella che potremmo chiamare una "convenienza teologica ed evangelica", ed in modo del tutto specifico e particolare, perché il "radicalismo di comunione di vita" con il Signore Gesù è lo "specchio" della Santissima Trinità.

Questa intuizione, della convenienza radicale ed irreversibile del celibato col sacerdozio, è la intuizione più caratteristica e più indicativa per uno che viene chiamato al sacerdozio.

A questo proposito vi presenterò un’analogia, prendendola dal matrimonio. Un giovane può conoscere e frequentare molte ragazze. Ma quando é che egli si rende conto che deve sposarsi con una specifica ragazza e con nessuna delle altre ??

Si tratta della stessa situazione, in parallelo: quando cioé lui - e lei - intuiscono un progetto di vita irrevocabile e completo.

Allora, in questo caso, si può dire che lui ha la vocazione per "quella ragazza" in particolare, e non per le altre.

Quando cioé sente di non potere più rinunciare a una delle varie opzioni possibili, perché non riesce più a concepirsi in un modo diverso e senza di lei; allora il nostro giovane sarà pronto per la scelta, ma naturalmente - più o meno dolorosamente - dovrà rinunciare alle opzioni diverse, cioé in questo caso alle altre ragazze.

A questo punto porrei una questione concreta: possono esistere matrimoni "giuridicamente validi", nei quali manchi la vocazione matrimoniale nei confronti della compagna o, viceversa, del compagno ??.

Due persone si vedono, si incontrano, poi per semplice convenienza, per interesse, per motivi di eredità, per accordi tra le famiglie... liberamente si sposano. Il matrimonio è giuridicamente valido.

Ma non è un matrimonio di "prima categoria", per il quale si possa dire che entrambi hanno la vocazione l’uno per l’altra; soprattutto non sarà un matrimonio esemplare e paradigmatico, cioé "di riferimento" adeguato di cosa e di come debba essere un matrimonio.

La stessa cosa, analogicamente, può succedere con il sacerdozio. Ci sono infatti uomini che sono stati ordinati sacerdoti senza averne realmente la vocazione.

 

Anche in questo caso il loro sacerdozio è "valido", ma non è felice, non é pienamente ed evangelicamente "esemplare" , non é "paradigmatico" o "di riferimento" di ciò che dovrebbe essere un sacerdote: confeziona cioé validi sacramenti, ma non "compie" adeguatamente la immagine sacerdotale, evangelica ed apostolica, come sopra abbiamo indicato.

Vorrei riflettere maggiormente e con attenzione su questa questione del celibato. La nostra argomentazione infatti non vuole indicare o significare che coloro - che sono sicuri in un progetto globale di vita e dicono che il celibato deve essere necessariamente unito al sacerdozio - non possano fare peccati contro la castità.

Se uno ha la vocazione, capisce ciò che potrebbe e dovrebbe fare. Ma anche se sbaglia, anche più di una volta, ciò non significa che, per questo, perda la vocazione; deve pentirsi degli eventuali peccati e ritornare alla sua vocazione sacerdotale.

La vocazione non cambia, per quanto uno possa sbagliare. Così come analogicamente succede nel matrimonio.

Quando sarete sacerdoti, potrà succedere che vengano da voi in confessionale degli uomini o delle donne, che hanno tradito le rispettive mogli o i rispettivi mariti; e voi, cosa direte loro ?

Direte ciò che la Chiesa misericordiosa ci insegna di dire: "Cerchi di recuperare e rinnovare la sua vocazione matrimoniale".

Succede perciò analogicamente lo stesso per il sacerdozio. Una cosa, dunque, è la vocazione: un’altra cosa, connessa ma differente, è la fedeltà alla vocazione.

Se hai la vocazione - dopo averla scoperta - può darsi che tu sia sempre ad essa fedele, o può darsi che tu non sia sempre ad essa fedele; può darsi che un giorno tu stia bene con la tua vocazione ed un altro no, ma ciò non cambia il fatto sostanziale che tu "hai la vocazione".

(la questione della fedeltà alla vocazione è un argomento collegato, parallelo, ma differente e che perciò analizzeremo a parte).

Per ora stiamo cercando di capire come si può intuire se uno ha la vocazione sacerdotale.

 

 

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19 - Clero coniugato o clero celibe (Mons. Alfred Ancel) ?

 

Aprirei qui una parenetesi delicata. Ci sono infatti casi di ordinazioni sacerdotali di uomini sposati secondo riti orientali. Io vivo da 19 anni in una casa di suore religiose maronite; tra i maroniti orientali ci sono ancora dei sacerdoti sposati.

Ci sono riti orientali che stanno cercando di limitare il fatto dei "sacerdoti sposati". (S.E. Mons. Alfred Ancel, PRADO, Le Célibat Sacerdotal, in "La Documentation Catholique", Avril 1967, col. 727750 ss.).

Questa dei sacerdoti sposati praticamente appare come una situazione spesso assai difficile a livello pratico; ma la cosa più delicata non riguarda l’aspetto pratico, anche se le difficoltà ci fanno pensare acutamente a quello.

Per esempio, ho ascoltato alcune religiose della casa in cui vivo, figlie di sacerdoti sposati. Esse confermano quello che diceva e scriveva, al tempo del Concilio, S.E. Mons. Ancel, il fondatore del PRADO; che cioé, a poco a poco, si sono create, in seno a certe diocesi, due tipi di clero: il clero sposato e il clero non sposato o celibatario.

Il clero sposato è un clero non troppo manovrabile e perciò non troppo utilizzabile dalle Diocesi. E questo per vari motivi pratici. La gente non ama andare o non va a confessarsi dai sacerdoti sposati. Forse perché temono che il sacerdote possa parlarne con la moglie...

 

(Questo inconveniente - ed altri simili - si sono di recente ripetuti e verificati in Inghilterra, dopo l' ammissione alla Chiesa Cattolica di un notevole numero di Pastori Anglicani sposati)

Vi é poi un particolare che finisce col dare fastidio ai sacerdoti sposati: per esempio - in una cittadina - un sacerdote sposato si stabilisce, ha dei figli e si suppone che debba mantenerli, dunque c' é un problema economico non indifferente a carico della parrocchia, per lui e per la moglie.

Non é facile trasferire i sacerdoti sposati da una parrocchia ad un' altra o ad un altro incarico, perché quando li si vorrebbe spostare e dovrebbero cambiare casa e cambiare paese ci sono problemi, con la scuola dei bambini, ecc... e così per vari aspetti pratici, che rendono la situazione piuttosto complicata.

In pratica e di fatto in certe diocesi il Vescovo finisce col poter contare facilmente sui sacerdoti celibi; e così, avendo più facilità con questi ultimi, che possono svolgere con più disponibilità e con meno impedimenti il loro compito, e gli eventuali spostamenti e trasferimenti, questi sacerdoti celibi finiscono coll' avere, in genere, ruoli più importanti.

Dunque é possibile che si inneschi un conflitto di confrontazione, tra gli sposati ed i celibi, anche perché le mogli di quelli sposati non sempre restano discretamente sullo sfondo, e finiscono a sospingere i rispettivi mariti in un piano rivendicativo, con le conseguenze di contrapposizione dei "due cleri".

D’altro canto, un aspetto assai triste, presso noi latini, si presenta quando un sacerdote celibe subisce una "caduta" (... con una donna ..., o con qualcos’altro che non va...).

La situazione triste diventa, però, forse ancora più problematica nel caso di sacerdoti sposati; non solo nella penosa eventualità che lui possa venir meno alla fedeltà alla sposa, o ....; ma - peggio ancora - se casualmente fosse invece la sposa a venir meno alla fedeltà verso di lui, o ....

(Nel "rito latino" non siamo stati esposti a tali eventualità e pertanto non facilmente ne immaginiamo la portata).

Tristissimo poi il caso in cui i figli di un sacerdote sposato non vanno più in Chiesa, e non credono più. La parrocchia - per esempio -dovrebbe sostenerne le spese degli studi, mentre potrebbe succedere che essi non cooperino neppure... o che non diano buon esempio, creandosi malessere fra i fedeli

In definitiva, da un punto di vista pratico, ci si trova di fronte a una serie di situazioni delicate.

Quindi, anche volendo prendere in considerazione solamente l’aspetto pratico, non è facile pensare di ampliare la prospettiva di sacerdoti sposati per noi della Chiesa Latina.

 

In effetti però l'aspetto principale non é quello pratico, ma quello del vero segno della "radicale comunione degli apostoli con il Signore Gesù". I sacerdoti sposati impartiscono certamente sacramenti validi, ma compiono pienamente la immagine evangelica ? La stessa tradizione orientale sembra fornire alcuni indizi sicuri ed indicativi.

La consuetudine orientale di avere sacerdoti sposati sembra sia stata favorita - secondo S.E. Mons. Ancel - dalle antiche invasioni dei musulmani; essi infatti, volendo ridurre o annientare la Chiesa, pensavano che perseguitando, ed anche a volte uccidendo, i sacerdoti celibi avrebbero più facilmente raggiunto il loro scopo.

Questa dunque sembrerebbe essere la opinione - abbastanza indicativa - che i musulmani avrebbero avuto dei sacerdoti sposati e dei sacerdoti celibi: cioé che per indebolire o ridurre la Chiesa occorre combattere il clero celibe; che pertanto risulterebbe ai loro occhi il "punto forte" di appoggio della Chiesa.

(Per tutto ciò che concerne questo argomento si veda l’articolo citato di S. E. Mons. Alfred Ancel: si tratta della trascrizione di una conferenza che egli tenne, a riguardo di questo tema, per i Vescovi del Brasile e dell' America Latina, durante il Concilio Vaticano II).

D’altro canto nella Chiesa - sempre secondo S.E. Mons. Ancel - durante quella antica persecuzione dei musulmani, si sarebbe preferito garantire almeno la distribuzione dei sacramenti, in quel momento così penoso e delicato.

Ma ora, cambiati i tempi, varie diocesi orientali avrebbero il desiderio di ritornare all’immagine evangelica della "comunità radicale dei discepoli intorno al Signore": Mons. Ancel fornisce anche alcuni esempi.

 

 

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20 - Una analogia fra i due sacramenti di "stato di vita", matrimonio e sacerdozio.

 

Per esemplificare - circa la "immagine" - prenderei di nuovo una anlogia dal matrimonio. Si legge infatti, a volte, in certe vite di alcuni santi antichi, che due coniugi si erano sposati facendo voto di completa castità ed astinenza (in effetti, secondo commentari, in qualche caso forse si tratta solo di una figura letteraria).

Mi chiederei ora: tra due sposi che fanno voto di castità ed astinenza completa (cioé che non consumano il matrimonio), e due sposi che non lo fanno, quale dei due casi riempie e compie maggiormente il segno sacramentale del matrimonio ??

Mi sembrerebbe che la risposta sia: quelli che non fanno il voto di castità e di astinenza completa, cioé quelli che consumano naturalmente il loro matrimonio.

Anche se ci fossero casi di tali voti, il segno sacramentale del matrimonio sembra più completo nel caso in cui il matrimonio si compie e si consuma naturalmente nella sua pienezza.

Nel caso del sacerdozio, analogicamente, sembra succedere qualcosa di simile.

Sia un sacerdote celibe sia uno sposato, infatti, impartiscono sacramenti validi. Ma, tra i due chi realizza più pienamente il segno sacramentale del sacerdozio, come "immagine radicale della comunione di Cristo con i suoi" ??

La risposta sembra implicita e facile dal punto di vista evangelico, che scertamente non é punto di vista secondario.

 

 

 

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21 - Tre aspetti fondamentali, immemoriali ed indicativi presso gli Orientali.

 

A questo proposito della importanza della immagine evangelica si potrebbero considerare degli indizi indicativi provenienti proprio dagli orientali.

 

1) Essi infatti, gli orientali, pur avendo ammesso nei secoli - come si é accennato - che uomini sposati siano ordinati sacerdoti, non hanno mai ammesso, in nessun caso, come Vescovo un sacerdote sposato.

Ci si potrebbe chiedere perciò perché gli orientali, che avevano anche sacerdoti sposati, non abbiano mai ammesso che uno di essi, per quanto degno e meritevole, fosse fatto Vescovo ?

La risposta a questa domanda sembra stare nel fatto che, in effetti l' "ordine episcopale" rappresenta la pienezza del "sacerdozio", cioé la vera pienezza del vero segno della "radicale comunione di Cristo con i suoi".

Oltre a questo primo importante indizio, altri due indizi significativamente convergenti su questo punto - presso gli orientali - sono i seguenti:

2) la ordinazione sacerdotale - per i casi accennati di preti sposati - viene ammessa solo per uomini già sposati; mentre non si ammette mai la possibilità di sposare per preti già ordinati: cioé la ordinazione sacerdotale sembra dunque essere considarata, di per sé, un obice al matrimonio.

3) se un prete sposato, rimane vedovo, anche con vari figli minori di età, non viene ammesso a risposare: cioé chi é ordinato prete non può accedere al matrimonio, anche se é già stato prete sposato e con figli).

 

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22 - Il Celibato Sacerdotale e la volontà della Chiesa.

 

Per sintetizzare ora brevemente, su questa questione del celibasto sacerdotale in relazione alla vocazione sacerdotale, si può annotare che la Chiesa Cattolica, con il Sinodo Mondiale dei Vescovi del 1990, che riprende e riafferma ciò che era stato già dichiarato nel Sinodo Mondiale dei Vescovi del 1971, ha fatto la seguente Dichiarazione formale ed esplicita:

"Il Sinodo non vuole lasciare nessun dubbio nella mente di nessuno riguardo la ferma volontà della Chiesa di mantenere la legge che esige il celibato, liberamente scelto e perpetuo, per i candidati all’Ordine Sacerdotale nel rito latino. Il Sinodo sollecita che il celibato sia presentato e spiegato nella sua ricchezza biblica, teologica e spirituale."

(Ed è ciò che stiamo cercando di fare con queste brevi considerazioni).

 

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23 - Il Celibato: legge puramente ecclesiastica o criterio di intuizione e discernimento della vocazione ?

 

 

Ritorniamo ora ad una domanda tipica - che abbiamo già presentato più sopra - circa il discernimento della vocazione sacerdotale; cioé se un candidato, riflettendo dentro di sé, può giungere a dire:

"Accetto personalmente il celibato, ma penso che, in generale, si dovrebbe lasciare libertà di scegliere fra lo sposarsi e il non sposarsi, a chi desidera fare il sacerdote".

si può dire allora che egli ha la vocazione sacerdotale ??

Se uno giungesse a pensare questo, sembrerebbe che egli in effetti stia pensando che l'obbligo del celibato sacerdotale, voluto dalla Chiesa, non sia altro che una "legge ecclesiastica".

 

(Naturalmente le indicazioni evangeliche vengono tematizzate giuridicamente e divengono anche leggi ecclesiastiche; ma occorre ben distinguere fra leggi che sono puramente e meramente ecclesiastiche e leggi che sono invece tematizzazioni giuridiche di indicazioni evangeliche).

Cioé quel candidato parrebbe pensare che il celibato sacerdotale è solo una legge ecclesiastica, piuttosto che una tematizzazione giuridica della logica evangelica interna all’esperienza religiosa degli "apostoli" del Signore Gesù e della loro testimonianza globale e radicale di vita e di comunione con Lui.

Quel candidato, cioé, non sembra rendersi conto che è l' obbligo del celibato sacerdotale, voluto dalla Chiesa, é la tematizzazione giuridica dell’esigenza evangelica di vivere con e come il Signore Gesù, modello ed esemplare di ogni sacerdote.

Dunque, tra il candidato, che pensa che il celibato sacerdotale sia solo una legge ecclesiastica, e il matrimonio, che cosa si interporrebbe, nel caso di una sua crisi affettiva nel sacerdozio ?

Supponiamo infatti che quel candidato arrivi al sacerdozio e che, durante la sua vita sacerdotale avvenga una crisi affettiva, per una donna concreta per esempio (questa di una crisi affettiva potrebbe essere una eventualità normale nella vita di un sacerdote).

Allora, in questo caso, quel candidato come potrebbe rifiutare l' attrazione di un affetto romantico?

In base alla sua idea egli potrà infatti dire a sé stesso: "No, no. L' obbligo del celibato sacerdotale, che ora mi impedisce di realizzare il mio sogno romantico, é solo una stupida legge ecclesiastica. Perché non la cambiano ?"

Se egli pensa che l' obbligo del celibato sacerdotale sia solo una stupida legge ecclesiastica, egli non potrà avere alcuna speranza di uscire vittorioso dalla sua crisi affettiva.

In effetti ed onestamente nessuno può chiedere a un uomo che egli si sposi ... con un "canone del diritto ecclesiastico", e che faccia questo ... solo per esercitare una "funzione", o una "grande funzione".

D' altra parte, ci sono stati casi di crisi sacerdotali molto gravi, magari giunti fino all' abbandono di tutto, ma nei quali casi, nel fondo dell' animo del sacerdote in grave crisi c'era una corretta immagine del sacerdozio, e della radicalità evangelica e significativa del sacerdozio. In questi casi, la nostalgia del sacerdozio é sempre rimasta invincibile nel cuore del sacerdote e capace - come un volano nei motorori - di risospingere piano piano verso il recupero della autentica identità sacerdotale.

(Che parole commoventi si possono ascoltare in questi casi: "¼ ¼ ... però mai, padre, ho perduto la mia vocazione .... vorrei ritornare, vorrei ritornare ma non so se posso¼ .")

 

 

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24 - Sacerdos enim alter Christus.

 

 

Concludiamo, concludiamo ormai.

 

Per sapere se uno ha la vocazione sacerdotale, elemento e criterio fondamentale sembra essere il seguente: la intuizione "irrinunciabile" del tipo di amore - la comunione apostolica nella sua radicalità - che egli si troverà a vivere nel sacerdozio, come immagine visibile dell' invisibile Dio e come segno e fermento per la Chiesa e per il mondo: "sacerdos enim alter Christus".

A questo proposito ne consegue un dettaglio interessante e non irrilevante. Se uno infatti intuisce questo, si può già dire che è piuttosto avanti nel discernere pienamente la propria vocazione sacerdotale.

Intuisce infatti correttamente che egli si giocherà tutto, tutta la vita, e questo gli piace. Anzi egli non può più concepire sé stesso in un altro modo; per lui sarà inconfondibile l' idea radicale di "comunione apostolica" che si è già formato.

Tuttavia, in considerazione del fatto che questo aspetto del radicalismo della "comunione apostolica" è ciò che egli dovrà concretamente vivere nel sacerdozio, per questo stesso motivo questo aspetto sarà per lui uno dei segni che egli dovrà mostrare, incominciando a viverlo mentre è seminarista o novizio, per dare credibilità ed affidabilità alla propria vocazione.

Se uno, come sacerdote, dovrà vivere questa comunione totale con il Signore Gesù e con i "suoi" - che è il "segno" per Israele e per il mondo e l' immagine visibile della Santissima Trinità - evidentemente dovrà cominciare a viverla fin da quando si prepara a divenire sacerdote.

Fin da seminarista, o da novizio, dovrà vivere questa profonda relazione di comunione con i confratelli seminaristi, o novizi, dovrà avere buone amicizie, dovrà essere benevolo convivendo con loro e essere felice per questa comunione, dovrà saperla costruire per il futuro; cioé dovrà sapere salire "con loro e col Signore Gesù" su quella barca che li porterà dall' altra parte del mare, sull' altra riva verso ... Dalmanuta.

 

 

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25 - Il sacerdote: uomo evangelico o uomo clericale.

 

 

Per finire su questo tema della vocazione sacerdotale, aggiungerei due pensieri:

1) Il sacerdote è colui che - per sua propria natura e per suo dovere - promuove, custodisce e difende l'unica vera fede e l'adesione alla retta comunione della Chiesa ed, in questo contesto, favorisce la carità fraterna all’interno della comunità.

Perciò dovrà essere l' "uomo della fede" e l'"uomo della obbedienza" all’interno della Chiesa, cioé ci si aspetta da lui che sia un promotore di vera fede e di unità nel tessuto della Chiesa .

 

Questo aspetto è uno degli elementi che non potrà essere considerato come secondario nella valutazione di una vocazione sacerdotale. Infatti per la Chiesa sono sommamente importanti - ed imprescindibili - la capacità e la volontà dei suoi sacerdoti di promuovere la vera fede, la comunione coi Pastori e col Papa e la unità di tutta la Chiesa.

2) Se un candidato al sacerdozio si rivelasse un "clericale", non converrebbe ammetterlo alla ordinazione sacerdotale.

 

(devo riconoscere che io personalmente sono contrario al "clericalismo". Nella mia regione di origine c' é infatti come una naturale allergia al "clericalismo"; anzi si é così contrari al clericalismo fino a forme estreme ed ugualmente riprovevoli di "anti-clericalismo")

Quando è che uno è potrebbe essere considerato un "clericale" ??

Un sacerdote potrebbe essere definito "clericale" quando tende immischiarsi in ciò che non riguarda il suo ruolo, il suo carisma e la sua vocazione sacerdotale: quando tende ad usare il suo compito sacerdotale per influire o manipolare altre aree, differenti ed autonome.

 

Di per sé il "clericalismo" potrebbe riguardare sia le "alte sfere" del clero, sia i sacerdoti semplici.

Per esempio, se un Vescovo si mettesse a fare il politico, o il sindacalista o l'uomo di governo o il rivoluzionario o il dittatore, o a promuovere lotte sociali ... potrebbe giustamente essere considerato un "clericale" (così, analogamente, se si mettesse a svolgere qualunque altro ruolo "laico", cioé proprio dei "laici", come il banchiere, il generale, il commerciante....).

Perché un sacerdote non dovrebbe mettersi a fare il politico o il "promotore sociale", o il banchiere o il generale, o il ....?

Perché all’interno della Chiesa, come lo indica molto bene l' Apostolo San Paolo e come lo chiarisce espressamente il Concilio Vaticano II, esistono diversi carismi, diversi ruoli e diverse vocazioni: da un lato per i "laici" - propri del carisma dei "laici" - e da un altro lato per i sacerdoti - propri del carisma dei sacerdoti -.

(Per contrapposto parallelismo si dovrebbe parimenti segnalare che sembrano inaccettabili quei laici, che tendono ad interferire indebitamente sull' altare, quando un sacerdote celebra la Santa Messa.

Mi sembra che non sia giusto che un laico cerchi di immischiarsi indebitamente - per esempio cercando di dare la omelia nella Santa Messa - con il ruolo proprio dei sacerdoti: questo infatti non tocca a lui.

Osservo - da questo punto di vista - che, in generale, i sacerdoti tendono tutelare ed a difendere, giustamente, la loro area di competenza).

Cioé noi sacerdoti non dobbiamo immischiarci nelle aree proprie della autonomia e della competenza dei laici, dando fastidio con un "paternalismo" distruttivo ed, appunto, "clericale". Tocca infatti ai laici la promozione delle "realtà temporali", cioé delle attività ed aree politiche e sociali ..., naturalmente ai laici cristiani e formati.

A noi sacerdoti tocca, forse, di aiutare i laici ad essere cristiani preparati, a conoscere la dottrina sociale della Chiesa, a formarsi nella loro competenza propria, relativa alle "realtà temporali", ci tocca questo, ma non possiamo e non dobbiamo fare politica con loro, direttamente, e neppure in modo surrettizio.

Per una buona vocazione sacerdotale è perciò necessario che il candidato conosca e sappia valutare giustamente queste distinzioni: deve essere assolutamente chiaro per lui che egli non é chiamato ad andare a vivere una vita da "leader politico".

Dicendo questo non stiamo disprezzando il ruolo proprio dei politici. Devono esserci dei laici politicamente impegnati, deve esserci gente buona, e anche santa (San Tommaso Moro, per esempio), che compie e riveste il suo proprio ruolo e carisma di laico impegnato, magari anche di "leader", ma questo in nessun modo spetta a noi sacerdoti.

D’altro canto, a me piace sempre riprendere l' esempio della vita vissuta nelle nostre famiglie e nelle nostre parrocchie. Ognuno di voi conosce il suo proprio padre e il suo proprio parroco ed ognuno di voi sa fare con semplicità questa elementare distinzione:

- perché il suo padre si deve intromettere nel ruolo e nell' area del suo parroco?

- e perché il suo parroco deve intromettersi nel ruolo e nell' area del suo padre?

Ad ognuno il suo proprio ruolo ed il suo proprio carisma e la sua propria area.

 

Noi sacerdoti, seguendo le parole del Signore Gesù, diamo volentieri "a Cesare quello che é di Cesare ed a Dio quello che é di Dio", mentre noi stessi, serenamente:

"saliti sulla barca con Lui, andiamo dell' altra parte del mare, verso una regione chiamata Dalmanuta".

 

 

 

 

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UNDICESIMA MEDITAZIONE

 

 

NOSTRA SIGNORA SANTA MARIA, MADRE DI DIO E MADRE NOSTRA

 

 

 

Siamo giunti all’ultima giornata di "esercizi spirituali", e termineremo domani con la Santa Messa di clausura.

Personalmente avrò un appuntamento piuttosto importante la settimana prossima, a Città del Messico. Mi "sembra" infatti di essere convocato ad un incontro con Nostra Signora di Guadalupe al suo stesso Santuario. Visiterò questa Signora con molto affetto. Presumo anche che Lei mi voglia bene.

E precisamente oggi vorrei che trattassimo, un poco, il tema della Vergine Maria. Chi è questa donna? Che importanza ha? Quale ruolo svolge?

 

 

 

 

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1 - Chi é la Vergine Maria ?

 

Soffermiamoci perciò, per cominciare, sul primo punto: chi è la Vergine Maria?

In effetti c’è un problema di vecchia data, a riguardo della Vergine Maria, in seno alla Chiesa; si potrebbe dire un problema millenario.

Da un lato ci sono certi teologi, biblisti, alcuni vescovi ... ed una certa "cultura" sofisticata e di "élite", mentre dall’altro lato generalmente ci sta "il popolo di Dio", il semplice "Popolo di Dio", così esaltato dal Concilio Vaticano II: sembra che queste due parti si siano trovate in contrapposizione, a proposito della Vergine Maria, nel corso dei secoli.

In generale la gente è molto entusiasta della Vergine Maria, mentre alcuni teologi sono piuttosto "freddi", così come certi biblisti, e alcuni vescovi...

 

Succede spesso, o sempre, così. La gente corre dietro a "questa donna", e sembra che "questa donna" vada dietro alla gente, alla gente semplice ed alla gente povera.

E la cosa curiosa è che "quegli altri" - quei certi "chierici" -tengono testa, o meglio, sono dissidenti, distaccati e dissenzienti.

D’altra parte è pure vero che di fronte ai fenomeni di devozione bisogna avere un minimo di prudenza, per distinguere quelli autentici da quelli inaffidabili.

Non bisogna infatti lasciarsi trasportare da manifestazioni ridicole, o penose, o inventate, o legate a bassi interessi.

Ma - a parte questa prudenza minima necessaria - quella dissidenza di quei tali "chierici" pare realmente eccessiva.

La gente, in realtà, crede che "questa donna" sia presente nella storia della Chiesa, nella storia delle famiglie ... e nella storia della propria vita. La gente lo sente e lo apprezza molto.

Nel frattempo, quei "certi teologi", un po’ freddi, un pò colti, un pò sofisticati e che hanno letto un mare di libri, dicono che "questa gente entusiasta" è sostanzialmente incolta ed ignorante e, per questo motivo, ha tutte queste "superstizioni", o per lo meno, queste "esagerazioni":

"In effetti la gente non sa, mentre noi teologi sì sappiamo e per questo possiamo leggere la Sacra Scrittura".

Credo che, in fondo, i motivi di questo dissidio siano due.

Uno sembra essere il principale ed é il seguente:

 

 

 

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2 - Primo motivo: lettura biblica del ruolo di Maria.

 

Essi (quei certi teologi renitenti e critici) dicono: "Va bene. La gente fa tutto questa agitazione e questo strepito intorno alla Vergine Maria; ma da dove viene fuori ciò che noi sappiamo di questa donna?? Esso proviene dalla Sacra Scrittura".

Ecco allora che essi cominciano quella loro famosa operazione sulla Sacra Scrittura, che è come una sorta di "autopsia", ed esaminano così tutti i brani e le parti della Sacra Scrittura che parlano della Vergine Maria.

Si potrebbe dire, con certa ironia, che essi prendono in considerazione il "cadavere ben morto", cioé la pura "lettera" della Sacra Scrittura - la Scrittura "alla lettera" - e così la trattano: come cosa inerte e morta.

E, che cosa ne ricavano?

Ne ricavano comunque qualcosa di molto rilevante, questo: che ""Questa donna" era la Madre di Cristo, e che pertanto bisogna dire e bisogna ammettere che Essa era molto importante".

Così, tutto sommato un po’ freddamente, se non proprio controvoglia, Le attribuiscono e ammettono alcuni titoli molto importanti, per il fatto di essere Lei la Madre di Cristo.

Ma quei "teologi" sembrano non trovare altro nella Sacra Scrittura.

Allora essi cominciano a dire: "Bisogna educare il popolo per correggere la sua fede esagerata, affinché sia più "Cristocentrica" (parola chiave per questi critici della devozione mariana), più sana, più corretta.

 

Anzi - essi dicono - bisogna frenare e controllare tutte queste manifestazioni esagerate e tutto questo culto eccessivo ed improprio, per esempio, il "rosario", così ripetitivo, così irriflessivo ed un pò alienante.

Com’è possibile, dicono infatti alcuni di loro, che un intellettuale moderno ripeta in continuazione sempre le stesse parole cinquanta volte di seguito? Diviene una noia mortale, con una distrazione continua.

In definitiva, quello che vogliono dire o sottintendere é che bisogna finalmente controllare la tendenza un po’ superstiziosa della gente, della popolo di Dio semplice, che è ... "ignorante".

 

 

 

 

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3 - Secondo motivo: lettura ecclesiale del ruolo di Maria

 

C’è anche un’altro aspetto che fa sì che certi teologi, e con loro alcuni vescovi, siano in dissenso riguardo alla Vergine Maria.

In effetti essi, direttamente o indirettamente, si sentono un poco assediati da Lei e si domandano:

"Come é possibile? ... dicono che Essa è apparsa qua, che è apparsa là? - Come é possibile? .... dicono che Essa ha detto questo e ha detto quell' altro?"

"Ma questo non può essere, non é ragionevole .... Non siamo forse noi l' autorità nella Chiesa? - Non siamo forse noi che dobbiamo dire questo o quell' altro, che dobbiamo risuonare qua o là ??"

Essi non osano dire: "Che cosa viene a fare qui questa Donna? ... a dar fastidio qui, dove comandiamo noi?" In effetti non lo dicono così apertamente, ma sembra che sia veramente quello che pensano.

È vero che bisogna essere cauti con le "apparizioni", perché ci può sempre essere qualcuno che inventa o manipola.

Ricordo che una volta sono venute da me alcune persone e ho dovuto occuparmi di una questione di "apparizioni".

Vi dirò, perciò, come comportarvi nel caso in cui vi troviate nella stessa mia situazione di allora.

Mi dissero allora che una "signora" aveva avuto un’apparizione in forma mistica, e che, dunque, c’era un ,messaggio.

"Bene" dissi "il primo criterio sano da tenere è il seguente: Dio e la Vergine Maria hanno tutto il diritto di apparire a chiunque, e questo non dipende da noi".

Quindi nessuno ha il diritto di affermare, sulla base di un pregiudizio, che la Vergine Maria non sia concretamente "apparsa" o che non possa "apparire".

Ora, se la Madre di Dio appare a qualcuno, cosa si deve fare ?

 

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4 - Interventi della Madre di Dio: le apparizioni. Primo caso:le apparizioni del tutto private.

 

Supponiamo, per esempio, che io stia confessando e che venga da me qualcuno dicendomi che ha egli avuto una "intuizione mistica nel suo cuore", o ancora più che ha avuto una "apparizione" di qualche tipo: "È successo un 'fatto mistico' straordinario ed il Signore mi ha detto qualcosa di personale per me solo, per esempio che devo convertirmi da un tale peccato ... e niente di più per altre persone".

In questo caso non è necessario provare nulla esternamente per gli altri, nemmeno se è vero o se non é vero il "fatto mistico". Si tratta di un affare totalmente privato di quella persona, non viene detto a nessuno, nessuno deve averci fede o compiere qualche atto conseguente, non è perciò qualcosa che possa dare fastidio a qualcuno esternamente.

Allora si dice a quella singola persona, e per lei sola, proseguiamo, con un certa prudenza, ad oservare gli effetti concreti di quel "fatto mistico", per vedere se essi sono buoni; l' albero cattivo dà infatti frutti cattivi, mentre l' albero buono dà frutti buoni.

 

 

 

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5 - Secondo caso: le apparizioni con risonanza pubblica ed i Santuari.

 

Se, al contrario la persona dice, per esempio: "Ho avuto una "apparizione" e sono stata incaricata di trasmettere un messaggio - un messaggio esterno - qualunque anche semplice, come per esempio che ogni giorno bisogna dire un certo numero di Ave Maria ...".

 

Allora non siamo più di fronte ad un evento strettamente privato per la persona sola, ma davanti ad un evento, ad un "messaggio" da trasmettere pubblicamente, per gli altri. In questo caso, allora, occorre provare la autenticità dell' evento, cioé della "apparizione" o del "fatto mistico", a causa della sua trascendenza esterna nella Chiesa.

L' "onere della prova", cioé la prova della autenticità dell' evento - cioé per esempio del fatto che la Madre di Dio sia apparsa o meno a una detereminata persona e le abbia dato un messaggio da trasmettere pubblicamente nella Chiesa - non tocca alla Chiesa.

La Chiesa deve solo riconoscere - non già provare - se c’è stato o meno questo "evento mistico", questa apparizione; cioé se la "prova" addotta - per esempio dal vidente - é sufficiente per garantirne la autenticità.

L' "onere della prova" tocca al "vidente"; cioé é la persona che afferma l' "evento mistico e la sua trascendenza esterna", che deve provarne la autenticità di fronte alla Chiesa. La persona che dice, per esempio di avere avuto una "visione ed un messaggio", deve provarlo inconfutabilmente. Inconfutabilmente e cioé nei tre modi o con i tre criteri seguenti:

1) criterio: la buona vita della persona stessa; cioé deve trattarsi di una persona affidabile, cié cui si può credere.

 

2) criterio: la corrretta dottrina, sia dell' eventuale messaggio o evento mistico, sia della persona stessa: cié la dottrina presente nell' "evento" deve sempre corrispondere a quella della Chiesa

 

3) criterio: infine, aspetto molto importante e fondamentale, un segno soprannaturale, inoppugnabile, che tutti possano riconoscere - cioé visibile e tangibile - che sia la necessaria prova soprannaturale della avvenuta apparizione o evento mistico.

Se la persona in questione non è in grado di provare coi tre criteri o modi sopra indicati, allora deve rimanere in silenzio, tenendo ciò che ha sperimentato nel suo cuore e nella sua personale relazione col suo confessore o padre spirituale.

Infatti é naturale e normale che nessuna persona possa rivendicare di essere rivestita di una autorità divina nella Chiesa se non é in grado di provarne la autenticità.

Tutto questo che ho appena esposto voi lo potete osservare molto bene nel "relato", cioé nella relazione delle "apparizioni" della Vergine di Guadalupe: cioé nel testo chiamato "Nican Mopohua".

Quando il vidente di Guadalupe, il Beato Juan Diego, si è presentato opportunamente di fronte alla autorità della Chiesa, cioé davanti al Vescovo Don Fray Juan de Zumárraga della Città del Messico, questi gli disse giustamente, anche se con tono troppo rude: "Vai prima a provare ciò che tu affermi".

Questo è ciò che normalmente chiede l’autorità della Chiesa.

Allora Juan Diego ritornò umilmente dalla Vergine Maria, Madre di Dio, e Le disse: "Non mi vogliono fare caso, occorre che Tu mandi un altro, più bravo di me, come Tuo ambasciatore, perchè ascoltino lui".

La Signora, la Madre di Dio "per cui si vive", ben sapendo queste cose, non solo non si mostrò offesa o dispiaciuita, ma anzi con benevolenza disse a Juan Diego:

"Vai a raccogliere, lassù sulla collina, quelle rose di Castilla e portale al Vescovo".

Quando Juan Diego fu di fronte al Vescovo con le rose di Castilla raccolte nel suo mantello ("serape"), si spaventò di fronte all' accoglienza rude ed impaziente del Vescovo e, per la emozione, gli caddero in terra le rose di Castiglia, proprio di fronte al Vescovo, lasciando scoperto e visibile il suo "serape".

 

Così - come voi ben sapete - su quel "serape" il rude Vescovo Juan de Zumárraga vide per primo e per la prima volta, assieme agli altri presenti, impressa miracolosamente la splendida immagine della Signora, della Madre di Dio, per cui si vive.

 

Allora, di fronte alla "prova soprannaturale", il Vescovo, rendendosi conto del miracolo, immediatamente si pose umilmente in ginocchio, riconoscendo il fatto, l' evento mistico, la apprizione ed il messaggio.

Di fronte a queste considerazioni, quei certi teologi critici, cui abbiamo fatto riferimento prima, non hanno il diritto di negare, di contrastare, di mettere in dubbio le apparizioni della Vergine Maria: non sono infatti loro i padroni della Madre di Dio, così da poter dire quando e come Essa debba apparire o cosa essa debba o voglia dire e comunicare.

Esistono dei criteri oggettivi: se si compiono, allora sì che si può dire che è apparsa la Vergine Maria; se non si compiono, non si può dire che Essa sia apparsa.

Non ci sarebbe perciò alcuna ragione per essere dissidenti in questo senso; ma sì, sembra invece che quei certi teologi si sentano incomodi ed incerti col fatto stesso che la Madre di Dio possa o voglia intervenire.

 

 

 

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6 - Maria Ausilatrice: "Virgo Potens", la Regina delle Vittorie.

 

A questo punto potremmo forse chiederci: quando è che appare la Vergine Maria ??

Sembra che si possa dire che Essa comincia ad apparire quando nella Chiesa, o nel mondo, le cose non vanno bene, e quando la Chiesa ed il popolo di Dio si trovano a dover molto soffrire per varie cause gravi.

 

Allora, proprio allora - si potrebbe forse notare che storicamente é stato così - contestualmente e contemporaneamente alle situazioni di crisi, comincia ad apparire la Vergine Maria: si direbbe che è la Madre che non abbandona i figli, ma si avvicina a loro.

E così, evidentemente, quei certi teologi ed alcuni vescovi con loro, si sentono come intimiditi e inquieti: sembrano infatti percepire l'"interventismo" della Madre di Dio quasi come una critica per loro. Cioé, in breve sintesi:

Primo punto: essi esaminano il testo biblico molto freddamente, e da questo studio giungono alla conclusione che Lei non è altro che la Madre di Cristo.

Secondo punto: essi - in certo senso forse inconsciamente - hanno la impressione di sentire che la Madre di Dio, con le sue "apparizioni", in qualche modo, li richiama e li emargina. Cioé che Lei farebbe, col suo "interventismo", un' opera di "supplenza" a quanto essi forse avrebbero dovuto fare e dire.

Essi hanno addirittura trovato o inventato una parola curiosa, che sembra essere una delle più singolari, che esistano nella teologia, come struttura grammaticale: "anteprevisamerita".

Con questa parola vogliono dire che la Vergine ha ricevuto tutti i doni i ruoli ed privilegi suoi - cioé è Immacolata, è Madre di Dio e Madre nostra, .... e tutto il resto – in previsione ed in considerazione dei meriti futuri di Suo Figlio, morto sulla Croce e poi risorto.

Così, quei certi teologi vogliono sempre mettere tutto quanto si riferisce a Maria, in relazione solo con i meriti del Figlio suo morto in Croce e poi risorto. Per indicare questo esclusivismo assoluto parlano appunto di "cristocentrismo" esclusivo della Mariologia.

 

 

 

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7 - Guadalupe.

Ora, d'altra parte, osserviamo cosa succede con il popolo di Dio in relazione a questa Donna, alla Madre di Dio. Cosa succede cioé con quel Popolo di Dio, che secondo il Concilio, ha tutte quelle caratteristiche profetiche, regali, sapienziali e di una unzione del tutto speciale del carisma dello Spirito Santo

Voi giovani messicani, che mi ascoltate, sapete questo molto meglio di me: voi sapete quello che succede quando la immensa moltitudine della gente cristiana si muove da Toluca, da Querétaro, da Puebla, da Tlaxcala da tutto il Messico e da altrove .... a piedi, o con tutti i mezzi possibili, in masse enormi di decine di migliaia di ogni età e condizione, per andare durante giorni di cammino o di viaggi comodi e scomodi, durante tutto l' anno, verso il Santuario della Madre di Dio a Guadalupe.

Mi verrebbe da chiedermi a questo punto: quanti, di tutte queste migliaia, e migliaia di migliaia, avranno letto i libri di ... Rahner, o almeno di San Tommaso d’Aquino, o il catechismo della Chiesa Cattolica?

È proprio vero che questa gente è, a volte, in parte, o in gran parte, analfabeta, o quasi analfabeta, e dunque da dove viene quella "sapienza" cristiana così profonda del popolo di Dio, di cui parla il Concilio ??.

A me, per esempio, è toccato di andare "rancheando" (visitando pastoralmente i piccoli paesi, o "ranchos") per il grande deserto del Chihuahua nel nord del Messico; ed è stata una immensa e gradita sorpresa per me di scoprire, di vedere e di venerare la fede nobile, semplice e profonda di quella gente del deserto.

Mi chiedevo: com’è possibile che abbiano una fede così grande, così profonda e così semplice, semplice e pulita?

Sapevano le cose della fede (le preghiere, il catechismo ...) a memoria e le dicevano con franca umiltà: l’atto di dolore, il credo, il gloria e le altre preghiere, le sapevano anche in formulazioni antiche e stupende ... e credo che le vivevano con umiltà.

Mi è capitato l’anno scorso, venendo in Messico dopo 22 anni che non ritornavo, di visitare il Santuario di Guadalupe a Città del Messico e così ero là il giorno in cui arrivò il grande pellegrinaggio da Querétaro alla "Villa" di Guadalupe.

 

Una immensa folla mossa da quella loro fiducia e affetto verso la Madre di Dio: é qualcosa di impressionante e di indimenticabile, con canti, musiche, entusiasmo di ogni genere e devozione semplice e pura.

Io posso capire che un certo tipo di teologo possa essere ... "preso dal panico".

Lo spettacolo della devozione mariana - che dilaga con ardore ed entusiasmo nei cuori della gente - se uno non la porta dentro di sé, può far venire il ... "panico" a chi é troppo abituato a freddi raziocini.

 

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8 - Lourdes, Fatima ...: c'é un "segreto" nell' Amore di Dio.

Uno va a Lourdes o a Fatima ... e vede ... seimila carrozzine che portano dei malati. Seimila! Vanno avanti nella notte alla luce delle torce come un fiume di luce e vede poi gente, e gente di ogni tribù, razza e nazione, e di ogni età e condizione ... e cantano.

Queste persone, forse, non hanno letto ... Rahner! ¼ Allora, cosa li muove da dentro? Quali ragioni li muovono e perché? buone ragioni ?? hanno buone ragioni? hanno ragione?

Sembra proprio che ci sia "un segreto" in tutta questa faccenda.

 

Vi faccio un esempio: supponiamo che una persona ami un’altra persona. Perché la ama?

 

Vi faccio un altro esempio: di tutte le azioni che noi uomini compiamo e che sono degli effetti, cioé dei risultati concreti a cui perveniamo, noi possiamo andare a ricercare le cause di quegli effetti, le cause cioé che ci hanno portato a giungere a quei risultati, a quegli effetti. Infatti: "Non c'é effetto senza causa".

 

L'amore é l'unico effetto che non possiede una causa all' infuori di se stesso.

L’unica ragione dell’amore è l’amore.

E quando uno ama una persona, dentro il suo cuore ha questo segreto, che colui che è amato intuisce e "sa".

Tra loro (chi ama e chi é amato e riama) non riescono a spiegarselo bene. Trascorrono a volte una vita cercando di spiegarselo l’un l’altro e non riescono a farlo completamente, non basta loro la vita per spiegarselo compiutamente l' un l' altro.

Con questa Donna, la Vergine Maria, la Madre di Dio, c’è "un segreto".

Con Lei succede questo: questa Donna, per un "segreto che non conosciamo", perché nella sua essenza è nascosto nello stesso cuore di Dio, è stata amata da Dio.

Dio l’ha amata a Lei direttamente, personalmente, singolarmente, per Lei stessa, di un amore divino e profondo, semplice e divorante ...., che - come tutti gli amori veri e profondi - è un amore di privilegio.

Quando uno ama, ama una persona in modo privilegiato per quella persona lì.

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9 - Il Privilegio dell' Amore di Dio.

Guardate ciò che fa Dio. Quando amò Abramo, privilegiò lui e la sua discendenza, rispetto a tutti gli altri uomini e a tutte le altre discendenze e popoli, per sempre.

È un amore per spiegare il quale non basta tutta la vita intera.

 

Si ama per privilegio, non si ama per uguaglianza; si ama per sempre; si ama per esclusione e comprensione: cioé si ama per amore, che é tutto.

Il regime dell' amore non consiste nel fatto che di fronte a chi ama tutti gli altri sono uguali e così si amano tutti gli altri allo stesso modo.

 

Il regime dell' amore non é così; piuttosto invece il regime dell' amore consiste nell' amare una persona di più ed in modo privilegiato ed anche esclusivo, rispetto agli altri, proprio per un mistero nascosto nel cuore e molto reale: "un segreto", un privilegio di amore di quella persona lì; è così!

La profonda relazione di simpatia che c’era fra il Signore Gesù e Giovanni, l' evangelista, non era uguale a quella che esisteva fra il Signore Gesù ed altri, e con ognuno degli altri era differente, non già uguale: e questo è proprio di Dio stesso.

Dio stesso ama per privilegio: lo vediamo chiaramente nella Sacra Scrittura.

Ecco, é proproio così: Dio ha amato questa Donna qui! La ha amata in modo diretto, singolare, speciale, di privilegio, ...a Lei!.

Diciamo la verità, se così si potesse dire: Dio si è come "incantato" di questa Donna qui!

Il "segreto" di questo amore di Dio, per questa-Donna-qui, è nascosto per sempre dentro il "cuore" stesso di Dio; e Lei, quella-Donna-lì, lo hà intuito. Cioé Lei sa più di noi circa quel privilegio di amore di Dio stesso per Lei e che Lei ricambia in pieno.

(certi teologi ... "se lo sognano" di fare un esame critico "completo", ossia di fare ...l'"autopsia" del cuore di Dio: la "ragione" di quel privilegio è, e resterà, essenzialmente "un segreto" del cuore di Dio ).

Questo è il "segreto", "il suo segreto", di Dio e di quella- Donna-lì.

Quando infatti l’Angelo appare a Maria (l’Angelo sembra infatti essere un po’ più¼ ..sagace di quei certi teologi), cosa Le dice l'Angelo a Maria?

L' Angelo le dice proprio: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio" (Lc 1, 30).

Eccola! Questa è la ragione! La ragione é: "...hai trovato grazia presso Dio". Osservate - prego - questa espressione ed il suo significato immediato e profondo, letterale, esplicito e decisivo: "hai trovato grazia presso Dio".

 

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10 - "Hai trovato grazia presso Dio": Maria piena di grazia.

 

E quella moltitudine di gente, di ogni razza, di ogni condizione e di ogni età, che cammina con entusiasmo verso Guadalupe e verso tutti i grandi Santuari Mariani del mondo, che cos’è che sa effettivamente di Lei??

Non é facile distinguere se quelle moltitudini - e tutti i singoli fedeli - lo sanno, perché glielo insegna la loro la sapienza popolare, o perché lo Spirito Santo lo suggerisce loro, o perché la stessa Madre di Dio lo insinua nella loro mente.

 

Il dato di fatto è quella gente - immensa e senza numero - capisce "e sa" che questa è la Donna privilegiata di Dio, che questa é la Donna amata da Dio per un "segreto di amore" essenzialmente nascosto nel cuore stesso di Dio, che Lei é colei che "ha trovato grazia presso Dio" e che, in effetti e giustamente, é chiamata dalla Chiesa e da tutti "piena di grazia".

 

Questo sembra essere, in realtà, ciò che intuisce e capisce, con profonda sapienza, tutta quella gente, che va pellegrinando e camminando verso di Lei, da tutta la vita e fino alla "hora mortis nostrae"!

 

Quelle moltitudini di gente, e tutti i singoli fedeli, intuiscono che la Vergine Maria non tanto e non solo è la Madre di Cristo! Ed questo é già così tanto!

Sanno ed intuiscono che il "privilegio del cuore di Dio" é Lei che lo attira e lo possiede, intuiscono e sanno che Dio la ama a Lei del tutto singolarmente, e perciò intuiscono e sanno - di sapienza invincibile - che se uno vuole arrivare a Dio, deve "rubare il cuore" a questa Donna: questo intuiscono e sanno molto acutamente e senza inganno.

(Ed in questo non c' é nessuna esagerazione, nessuna superstizione o sopravvalutazione)

 

Dante, il grande poeta cristiano e italiano, lo esprime chiaramente così:

"Chi (Colui che) vuol grazia, ed a Lei non ricorre, suo desìo (il suo desiderio) vuol volare senz' ali."

Così é il tuo desiderio, se non ricorri a Lei: vuole volare senza ali. Questo è ciò che la gente semplice sembra comprendere di Maria, che Lei é colei che é amata da Dio.

Non sembra sufficiente di dire - e perciò non sembra completamente vero di dire - che Essa è colei che é amata da Dio, perché sarà la Madre del suo Figlio. Anche non sembra sufficiente di dire - perciò non sembra completamente vero - che Essa è stata amata prima, per quelli che saranno i meriti posteriori e futuri del suo Figlio ("ante-previsa-merita").

Si potrebbe forse dire - per paradosso - che sembra invece più completo e perciò più vero il contrario. Cioé poiché Essa fu amata da Dio così singolarmente, perciò Essa fu fatta Madre del suo Figlio. Dio, in effetti, l’ha amata tanto, da renderla Madre del Suo Figlio.

L’amore di privilegio di Dio per Lei sembra venuto prima, non dopo la Maternità Divina di Cristo. E questo amore di privilegio di Dio verso di Lei perdura ora e perdura "per sempre".

 

 

Se per noi un amore é "per sempre", tanto di più e definitivamente per Dio l'amore verso qualcuno é "per sempre"; e tanto di più il Suo Amore di privilegio verso questa-Donna-qui é "per sempre".

 

E proprio questo "privilegio di amore" - di questa-Donna-qui - che sembra essere ciò che la gente, che va peregrinando verso Guadalupe e che va perregrinando nella vita, intuisce e capisce.

 

Tutti quelli, "che vanno-andando verso di Lei", intuiscono bene che Lei è l’Arca dell’Alleanza, che Lei è la Sede ed il Vaso dell' immenso Amore di Dio.

E così continua la confrontazione fra quei "certi teologi" ed il "popolo di Dio".

La gente possiede, infatti, il dono evangelico della "sapienza", di vedere cioé con semplicità questo punto fondamentale. I fedeli "andando (mentre vanno)" in effetti lo "pre-sentono" e lo "sanno" e voi vedendoli "andare peregrinando" ve ne rendete ben conto.

Ecco, così é il prolungato confronto tra "certi teologi" ed il "popolo di Dio", riguardo alla straordinaria devozione alla Madre di Dio.

Alcuni, da un lato, si dedicano troppo puntigliosamente allo studio "anatomico" dei testi biblici, senza intuire il profondo mistero che non è tutto circo-scritto; da un altro lato, il popolo di Dio dispone della sapienza e della intuizione evangeliche, che fanno capire ai fedeli che questa-Donna-qui "ha trovato grazia presso Dio" e che la pienezza di questo "segreto" é nascosta nel cuore di Dio stesso.

E si vede, nel corso dei secoli, come Dio abbia dato potere a questa Donna qui. Essa è una Donna veramente potente - Virgo Potens - coraggiosa, combattiva, un terrore per il "nemico", ed allo stesso tempo Essa é una dolce consolazione e speranza per gli umili, per i sofferenti e gli abbandonati, per i poveri di Dio, i Suoi figli prediletti.

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11 - SECONDO PUNTO: il ruolo attuale e dinamico della Madre di Dio.

 

Passiamo al secondo punto, vale a dire il ruolo della Vergine Maria, la Santa Madre di Dio.

A Roma, nel Vaticano, c’è una Congregazione (cioé un Ufficio speciale della Santa Sede) che si chiama la Congregazione delle Cause dei Santi.

Che cosa fanno in quella Congregazione?

Esaminano la vita di una persona, per veder se si può proporre al Santo Padre di proclamarla Santa, come voi stessi lo avete sentito riferire molte volte.

In effetti, dopo aver esaminato con molta attenzione tutta la vita e le virtù della persona in questione, vengono passati tutti i dati al Santo Padre, affinché lui valuti se é possibile canonizzare questa persona, vale a dire, proclamarla santa e così proporla all' esempio e alla venerazione di tutti i fedeli.

Dopo aver terminato tutti questi esami e questi studi, su quella persona, che cosa si fa con tutta la documentazione e con tutti gli studi utilizzati dalla Congregazione delle Causa dei Santi?

Ovviamente si archiviano gli studi e la documentazione dei casi portati a termine e ... forse ... archiviano un pò ... anche i santi.

A certi teologi piacerebbe forse che certi santi restino un pò archiviati in cielo e che ... "noi, qui in terra, continuiamo a svolgere in pace il nostro ruolo"!

C' è una certa tendenza, forse anche di qualche "liturgista", che vedrebbe volentieri ..."archiviati" i santi nel cielo.

Il "problema" con la Vergine Maria, la Santa Madre di Dio, è che non si riesce ad "archiviarla" in cielo: non riescono ad "archiviarla" in Cielo quella-Donna-lì.

In realtà si vede che, non solo non è possibile archiviarla, o metterla da parte, o emarginarla, ma anzi che quella-Donna-lì, e questo è un punto fondamentale per Lei, possiede, svolge ed esercita piuttosto un "ruolo attuale, presente ed attivo" nella Chiesa.

 

 

 

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12 - Ruolo di presenza attuale, attiva ed efficace.

 

Dio Le ha dato un ruolo dinamico e l’ha resa presente - ora - nella vita della Chiesa, nella vita delle famiglie, nella vita delle persone, e questo fa parte dell’amore con cui Lei propriamente ama.

È stato Dio a conferirle ed a volere per Lei questo ruolo attivo ed attuale.

Lei, Santa Maria la Madre di Dio, "ora ed al presente", sta operando nel cuore stesso della Chiesa, si muove ed agisce dentro la Chiesa, ha un compito dinamico impegnato e costruttivo; non è stata "archiviata in cielo", non la si può neppure immaginare "archiviata in cielo", anche in questo Essa non è semplicemente una santa come tutte le altre.

La Madre di Dio ha un ruolo importante nel presente e verso il futuro.

Non si deve dimenticare che questa-Donna-qui visse un’esperienza unica, brutale, terribile ai piedi della Croce del suo Figlio: Essa vide in quella terrificante e crudelissima esperienza il "volto" del potere del "suo nemico".

Non si può dimenticare che Essa vide morire suo Figlio - a poco a poco - davanti ai suoi stessi occhi, e lo vide morire ucciso nel modo peggiore, dopo che lo avevano devastato, in condizioni miserabili, umilianti, sporche: il suo unico Figlio, buono, amabile, colui che ovunque era passato facendo del bene "qui transiit benefaciendo" (S. Ppietro, Atti).

In quel momento della croce, la Madre non solo vide suo Figlio. Vide anche il vero "volto" del potere e della capacità e della astuzia del male, il volto dello "spirito del male".

Vide il potere dello "spirito del male", che riuscì a piantare dei chiodi nelle mani e nei piedi del suo Figlio, e che riuscì a conficcarGli una lancia nel cuore: il potere immenso del "nemico".

 

E' una Donna che nessuno riesce a distogliere, a distorcere, a distrarre, a piegare: Lei sa contro "chi" e contro che cosa sta combattendo, dentro la Chiesa, per mezzo della Chiesa e fuori la Chiesa: oggi.

Lei va all’attacco del male, del "nemico" e della sua corte, che si trovano nel mondo, e soffre ogni volta che vede i suoi figli tormentati; c' é in Lei lo stesso sentimento che provava sotto la Croce del suo Figlio, nel vedere la vittoria del nemico. E' madre del Figlio ed é Madre dei figli, Madre nostra

Dio Le ha assegnato un ruolo di presenza attiva e Dio Le ha dato il potere per sostenere questo ruolo, e Lei lo svolge attualmente all’interno della Chiesa.

Maria non è fuori del mondo e fuori della Chiesa, né si trova confinata nella Chiesa trionfante nel Cielo; Essa non é lontana, ma si trova qui ora ed agisce proprio qui adesso.

Credo personalmente che le apparizioni della Madonna, alcune già riconosciute dalla Chiesa come Lourdes, Fatima, Guadalupe, ed anche altre ..., costituiscano una delle forme della presenza attiva di questa-Donna-qui.

La Vergine raccoglie, coagula e riunisce i "poveri di Dio", i più abbandonati, come quei fiumi di gente che seguivano Suo Figlio, che erano e sono come pecore senza pastore.

 

Lei si preoccupa per questa gente, per coloro che sono abbandonati, senza difesa e senza protezione, per coloro che si trovano negli ospedali, i feriti, i malati, per coloro che non hanno lavoro, che non hanno cultura, che non hanno difesa e che non hanno nulla, per coloro che patiscono ogni genere di emaginazione, di ingiustizia, di umiliazione, di dolore e di solitudine.

Così Lei, la Madre di Dio e Madre Nostra, raccoglie questa gente, i "poveri di Dio" (gli anawin") che si coagulano e trasformano in un esercito suo, in marcia ... Lourdes, Fatima, Guadalupe, Czestochowa ...

I grandi santuari mariani, che sono sorti nel corso dei secoli grazie alla Madre di Dio, alle Sue apparizioni, ai Suoi interventi, sono le fortezze invincibili del Suo esercito di Lei.

Io capisco che un teologo un pò razionalizzato, o pò secolarizzato, senta un certo timore - ed a volte anche un certo panico - nel vedere quelle folle immense riunite da Lei, per Lei e in marcia con Lei.

Non a caso nelle grandi persecuzioni e nei grandi traumi storici - quando ormai tutto sembra perduto, a cominciare dalla ragione - resistono invincibili i grandi Santuari Mariani, pegno e promessa della vittoria finale di Colei che é stata chiamata la Regina delle Vittorie.

Vi dico la verità, con piena modestia, personalmente mi sono sentito molto bene quando mi sono trovato al Santuario di Guadalupe, con tutta quella moltitudine di gente del pellegrinaggio di Querétaro.

 

Mi sono sentito a mio agio, mi sono sentito come a casa. In casa di Maria, un figlio é a casa; nessun Santo - dai Padri della Chiesa, ai Dottori, ai Martiri ... alla gente semplice e prediletta da Lei - é straniero e fuori casa, quando sta nella casa di Lei: a casa Sua siamo a casa nostra!

Mi sentivo come se quella fosse la mia gente, il mio esercito, la mia battaglia; sentivo, insomma, che tutto quello era qualcosa di "nostro", qualcosa cui io appartenevo ; Lei ci aiuta ad essere e ci trasforma in una famiglia, la sua famiglia.

A sua volta tutta quella gente La ama veramente e La tiene come sua, come Madre sua.

 

Allo stesso tempo quella gente così "mariana" - con una devozione così ardente ed invincibile - pone interrogativi e contestazioni a certi teologi ed a certi liturgisti, che forse non assolvono sempre pienamente al loro compito di promuovere il linguaggio di fede del popolo con la Madre.

 

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13 - Una parentesi redazionale.

Aprirei qui una parentesi. Il padre rettore della vostra comunità di Cruzados ha chiesto che si registrassero su nastro le riflessioni che vi sto presentando, ma vi prego di averne cura con prudenza. Se no mi potrebbe succedere come a San Marco.

Sapete infatti già che l' evangelista San Marco faceva da "segretario" all' Apostolo San Pietro. Quando San Marco redasse il suo Vangelo si servì di varie "catechesi", che erano ormai consolidate, ma anche di episodi e frasi, presi direttamente dalle predicazioni dello stesso San Pietro; cosicché nel suo Vangelo apparvero anche delle ... "parole ed espressioni "improprie"".

Evidentemente San Pietro pronunciava "parole ed espressioni molto popolari": era pescatore, aveva un linguaggio popolare, un pò forte.

Quando San Girolamo fece la traduzione della Sacra Scrittura dal testo greco a quello latino (vi ho già detto com’era colto, temperamentale e nervoso San Girolamo), giunto al Vangelo di San Marco, pensò opportuno di dargli una "ripulita" dalle¼ .. "parole ed espressioni improprie".

Credo perciò che - fatte le dovute differenze - dobbiate procedere nello stesso modo con le registrazioni delle mie riflessioni, e trovare prudentemente un "San Girolamo" che dia loro una piccola "ripulita"....

 

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14 - Santa Maria: "la donna forte" della Sacra Scrittura.

 

Riprendiamo ora il tema della nostra meditazione sulla "Santa Madre di Dio": se io dovessi scegliere, tra le tante donne Sante della lunga Storia della Chiesa (quante grandi Sante ha avuto la Chiesa!), una in particolare, che nella mia mente assomigli di più e rappresenti la Vergine Maria più delle altre - che me la raffiguri e me la mostri come al vivo - quale, tra tante Sante tanto grandi, indicherei ? o a quale penserei ?

Non so quale eventualmente, fra tante Sante, scegliereste voi ; io preferirei Santa Giovanna d’Arco; Santa Giovanna d'Arco: una donna combattente e combattiva. Penso infatti volentieri in questa specifica caratteristica della Vergine Maria: una donna combattente, "Virgo Potens", "Virgo Potens in bello" (Donna potente e poderosa nellla battaglia).

San Giovanni Evangelista, che ha vissuto con la Madre del Signore, La rappresenta in effetti, nel suo celebre testo dell’Apocalisse, come combattente e vincitrice contro il "drago", contro il "nemico". (Apocalisse, 12.1 ss.).

Essa, la Vergine Maria, come bene la descrivono le Litanie Lauretane, è in realtà "donna piena", viva, attiva, dinamica, presente e combattente sia nel tessuto ecclesiale attuale che in quello familiare ... e la gente semplice, umile e sofferente, il popolo di Dio, è "l'esercito di quella Donna lì", esercito che perciò non é possibile fermare e vincere.

 

E' infatti Maria la Madre della Chiesa, come lo indica bene Isaia: "Eccomi, sono qui con i figli che Dio mi ha dato, come segno e presagio per Israele e per tutto il popolo" (Isaia 8,18). (Invece, come lo ha scritto il Card. Ratzinger, non "ha bisogno" di Maria, chi crede nella "ideologia").

Mi rendo conto che vi sto, in effetti, presentando un’immagine forte di Maria, la Grande Madre di Dio; ma é così che Essa é ed attua in realtà, per cui i riduzionismi romantici, patetici od ideologici non sono adeguati per lei.

 

In effetti questa Donna forte (la celebre immagine della "donna forte" della Sacra Scrittura) ci tiene - tutti i suoi figli e devoti - sempre impegnati a combattere per la Sua Causa e per le Sue cause; proprio a Lei rivolgerò dunque una preghiera molto tenera ed affettuosa - quale figlio suo che sono - nell’andare, la prossima settimana, a visitarla al Suo Santuario di Guadalupe.

Là, nel Suo Santuario, in Sua presenza, Le rivolgerò l’antichissima e bella preghiera Mariana, che tutti i Santi Le hanno rivolto con affetto e devozione nei secoli:

"Dignare me laudare te, Virgo sacrata, da mihi virtutem contra hostes tuos" (che, come ben lo sapete significa: "Concedi a me di lodare te, Santa Verrgine Maria, e dona a me la forza di battere i tuoi nemici").

 

 

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15 - 3) Terzo punto: cosa sappiamo del Suo cuore? "Evangelium Mariae".

 

Affrontiamo ora il Terzo Punto, che è piuttosto interessante. Abbiamo detto infatti che la Vergine è oggetto del privilegio di Dio, cioé del privilegio del Suo Amore, di quell’amore che l’Angelo le ha comunicato nell’Annunciazione.

Come e cosa ha sentito, percepito, reagito e risposto Lei nel suo cuore, nella sua anima ?

Il terzo punto é perciò proprio relativo a questo tema interessante: cosa sappiamo noi del Suo cuore, della Sua anima, cioé cosa sappiamo infine proprio di Lei ??

 

 

In realtà sappiamo moltissimo, davvero moltissimo!

A volte forse non ci pensiamo, non riflettiamo esplicitamente, mentre invece abbiamo già quasi "tutto" tra le nostre mani; ci succede cioé come a chi guarda di fianco e di lato, di "sottecchio", mentre invece ha quasi "tutto" davanti a lui; per vedere "parechio" di più basterebbe che dirigesse lo sguardo nel senso giusto, cioé direttamente davanti a lui.

L’evangelista San Luca, nell' iniziare il suo Vangelo, scrive di aver raccolto, per poterlo redigere, tutto ciò che aveva meticolosamente cercato e trovato riguardo alla persona e figura del Signore Gesù.

Egli andò dunque a cercare in ogni parte e presso tutti coloro che potevano dargli ogni pur minima informazione. È molto importante, serio e confortante ciò che ha fatto San Luca e gliene siamo tutti così riconoscenti!

Non so se avete mai visto le "Sinossi Colorate" dei quattro Vangeli; se non le avete qui nella casa, sarebbe bello richiederle, perché sono bellissime e, soprattutto, si vede bene ciò che stiamo dicendo a proposito del Vangelo di San Luca (Ci sono anche altri tipi di Sinossi non colorate, ma per così dire "letterarie", ma qui non ci occupiamo di quelle).

Nelle "Sinossi Colorate" si mettono in parallelo i quattro Vangeli, come quattro linee continue e prolungate come i quattro vangeli stessi, e sotto - a piede di ogni pagina - si trova la "legenda", cioé la spiegazione di come va letta la "Sinossi Colorata".

Ci sono infatti dei colori. Per esempio, ciò che c’è solo nel solo Vangelo di Luca e non negli altri, potrebbe essere indicato con il colore blu; ciò che c’è solo in Marco, con il colore giallo, etc... Poi, quello che si trova in due Vangeli, per esempio in Luca e in Marco, potrebbe essere indicato con il colore verde.... Quello invece che si trova contemporaneamente in tre Vangeli, con un altro colore, per esempio rosso, e così via....

Ogni colore sta ad indicare che una determinata frase o episodio, per esempio del Vangelo di Luca, si trova solo in uno, o in due, o in tre, oppure in tutti e quattro i Vangeli, e concretamente, in quale di essi.

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16 - L' evangelista San Luca e gli altri evangelisti dell' "infanzia di Gesù"

 

Ed è molto bello constatare come nel Vangelo di Luca, in cui si possono trovare episodi presenti anche in altri Vangeli, ci siano dettagli peculiari ed esclusivi della sua redazione, grazie alla sua paziente e minuziosa ricerca di qualunque particolare della vita del Signore Gesù.

 

San Luca ha cercato e pescato dovunque, di tutto, con tutti, tutto ciò che ha potuto e non ha sprecato nulla. Ciò è facilmente visibile e visualizzabile proprio attraverso le "Sinopsi Colorate", in cui sono chiaramente evidenziati, attraverso la diversa colorazione, i punti che si caratterizzano - in San Luca - dagli altri Vangeli, mettendo in luce anche tutta una serie di dettagli tipici di quello di Luca.

Egli era medico, e si nota come in tutta la sua opera sicuramente egli sia stato molto aiutato dalla sua tipica "forma mentis" precisa, analitica e sistematica di medico e di studioso serio.

Pertanto - come lo indicano i Santi Padri della Chiesa - è normale che quest’uomo, San Luca, cercando testimonianze, dovette cercare la principale testimonianza esistente della persona di Cristo, che era proprio quella della Sua Santa Madre; la quale, dopo la morte e risurrezione del Signore, viveva a Efeso con l' evangelista San Giovanni.

E di fatto sappiamo, dagli Atti degli Apostoli, redatti dallo stesso San Luca, che effettivamente ad Efeso egli c'é sicuramente andato, anche seguendo i cammini di San Paolo, di cui era stretto e costante collaboratore.

Ora, qui va annotato un elemento molto importante: nel Vangelo di San Luca, i primi capitoli sono significativamente diversi dagli altri.

Alcuni anzi, chiamano questi capitoli come "Il Vangelo di Maria".

Osservate in proposito che ormai, attraverso le varie operazioni fatte con un "computer", si può specificamente scoprire con certa facilità che esiste un numero rilevante di parole e di costruzioni linguistiche che esistono quasi solamente in questi primi capitoli, e non nel resto del Vangelo di San Luca.

Vale a dire che parrebbe evidente che, quando San Luca redasse questi primi capitoli del suo Vangelo, utilizzò le espressioni, le parole e l' eloquio di un’altra persona, cioé di un "testimone" per lui così privilegiato da non volerne perdere neppure le forme verbali. Infatti quelle espressioni e parole lui, San Luca, non le ha poi utilizzate, nella stessa proporzione, nel resto del suo Vangelo.

Secondo la tradizione, che risale ai Santi Padri della Chiesa ed anche secondo altri studiosi successivi, proprio da questo particolare importante - attualmente così ben evidenziato dal moderno uso del "computer" - verrebbe la indicazione del tutto singolare ed importante che tale "testimonianza privilegiata" proviene proprio dalla Vergine Maria, della quale potremmo pertanto avvicinare le espressioni verbali e le stesse preghiere da Lei usate.

Per esempio, se pensiamo appunto alle "sue preghiere": come avremmo potuto conoscere così precisamente la preghiera che Essa era solita recitare, il bellissimo "Magnificat", se non fosse stata Lei stessa ad informarne San Luca ?!

E così pure le altre preghiere, e poi le storie bellissime intorno alla nascita di Gesù, dall' annunciazione ... ai pastori...

 

Chi era stato presente al tempo di quegli eventi e poi ancora vivente e testimone di tutto ciò, quando San Luca ha raccolto le testimonianze per redigere il suo Vangelo, se non la stessa Madre del Signore Gesù ?!

Possiamo pertanto ammettere che abbiamo a nostra disposizione ampli brani molto importanti e molto interessanti del Vangelo di San Luca, che ci aiutano ad esaminare ed a conoscere la maniera di esprimersi, di pensare, di valutare, cioé la "psiche", di questa "Donna", cioé di Maria la Madre di Gesù il Signore. Ci é permesso perciò di avvicinarci, umilmente ma realmente, alla Sua mentalità ed alla Sua maniera di essere.

 

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17 - Maria serbava tutte queste cose, meditandole nel Suo cuore (Lc 2,19).

 

 

Si potrebbe fare ora una annotazione ulteriore: infatti quando San Luca indica, al principio del suo Vangelo, il metodo da lui seguito per raccogliere tante notizie per la redazione del suo testo evangelico, egli annota anche, a proposito della Madre del Signore Gesù: "... Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore".(Luca 2, 51).

A questo proposito - cioé di "serbare tutte queste cose nel suo cuore" - si deve pensare che Essa abbia proceduto esattamente come normalmente si procede con la memoria, nel serbare "tutte queste cose nel suo cuore".

Esiste in effetti un utensile, che avete anche voi qui in Messico, e che ci aiuta a capire , come una analogia, come funziona "la memoria". Questo utensile - che incanta gli psicologi come immagine funzionale della memoria - é rotondo ed ha al centro una griglia a maglie finissime, vi si mette dentro da sopra la farina grezza mescolata a crusca, in modo che scuotendolo ritmicamente avanti ed indietro ne esca da sotto solamente farina pura.

Si tratta di un "setaccio", un "cernidor". Ecco la nostra memoria in effetti funziona normalmente come un setaccio.

Infatti noi non ricordiamo "tutto" e "tutto contemporaneamente" della nostra vita passata, ma ci sono episodi e ricordi che noi naturalmente ed anche inavvertitamente filtriamo e selezioniamo e che perciò rimangono impressi e significativi; altri episodi e ricordi, invece, li abbiamo lasciati evaporare e poi cadere quasi del tutto.

Ci sono dei casi in cui non ci ricordiamo praticamente più di alcune persone e fatti loro relativi, cioé di fatto le dimentichiamo completamente, fin quando non ci capita di rivederle improvvisamente ed allora ne riemerge il ricordo dal serbatoio in cui era ormai riposto. La nostra "psiche" ha questa possibilità di selezionare i ricordi, anche in grado: maggiore, medio, minore o praticamente nullo.

L' evangelista San Luca ci indica dunque che "Maria conservava queste cose nel suo cuore", che cioé aveva compiuto e compiva naturalmente questa operazione nel suo cuore.

Cioé quando lui, San Luca, va a raccogliere i particolari ed i ricordi, non solo ci viene presentato il resoconto di Lei, ma questo resoconto rappresenta una normale ed interessante operazione mentale della Sua memoria.

Cioé San Luca ci presenta le storie della nascita e dell’infanzia del Signore Gesù, filtrate naturalmente dai processi della memoria, cioé della mente, della Vergine Maria.

Ella infatti ha "naturalmente" selezionato e ricordato, alcuni temi, eventi, atmosfere e persone, piuttosto che altri, e questo procedimento, come lo indicano bene gli psicologi, ci rivela moltissimo, non solo delle tematiche ricordate e presentate da Lei e riprese da San Luca, ma anche di Lei stessa.

 

Infatti la memoria viene setacciando e selezionando i ricordi in vari gradi ed intensità, a seconda degli interessi, degli affetti, dei punti di vista e di prospettiva, del sistema emotivo e razionale di chi compie tali operazioni, per cui, attraverso la selezione ed il setaccio della memoria é proprio alla persona della Madre di Dio, al suo intimo modo di sentire, di vedere, di prospettare e di sperare che si può risalire con certa prossimità.

Mediante questa "rilettura" dei Vangeli si vede che la Santa Madre di Gesù ricorda bene il viaggio che fece per andare a trovare Santa Elisabetta sua cugina; Essa ricorda vivamente e con precisione l’Angelo che le diede l' "annuncio"; ricorda i pastori e le loro parole, ricorda i Magi, ricorda la presentazione al Tempio e le parole difficili che le furono dette, ricorda la fuga ed i pericoli, ricorda il bambino, suo Figlio, che cresceva "splendente nel sole", ricorda un viaggio interessante fatto con Lui a Gerusalemme quando era già cresciuto abbastanza, ricorda ...; mentre invece altri eventi, persone e parole, che non compaiono nei suoi racconti a San Luca e ad altri, sono rimasti evidentemente selezionati e riposti nel deposto generale dalla Sua memoria.

 

(per facilità di esposizione dell' argomento ci siamo limitati a riferirci all' autore "mariano" più fecondo, che é San Luca, ma evidentemente altri "ricordi mariani" sono stati raccolti da altri, cominciando da San Matteo ... e poi anche in forme certamente non canoniche e confuse da certi Vangeli apocrifi, sempre difficilmente leggibili)

A questo riguardo, potrebbe essere molto interessante che qualche bravo psicologo, competente e rispettoso, aiutasse ad approfondire la conoscenza del "cuore" di questa Donna a partire dalla stuttura e dalla selezione dei "suoi ricordi", così ci si potrebbe avvicinare maggiormente alla Sua mente, alla Sua anima ed al Suo cuore, nel quale Essa "aveva custodito tutte queste cose" (Lc. 2,51)

 

 

 

 

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18 - Maria, la Madre del Signore, ed il Vangelo di Luca: incanto ("enchantment", "encanto", "incantesimo"), "magia", sorpresa, gioia e pace.

 

Vi é poi un’altra riflessione interessante che si potrebbe fare nel leggere i brani "mariani" del Vangelo di San Luca, tenendo conto che ci troviamo di fronte a resoconti di una Donna matura, che racconta vicende ed eventi vissuti, con una straordinaria freschezza e precisione, con vivo stupore e con un fascino incantevole.

Forse non é usuale di pensare alla Madre di Gesù come a una persona di età "matura", ma dobbiamo osservare che, quando San Luca raccolse eventualmente (direttamente e per intermediazione) le sue testimonianze, Essa era in una età successiva a quella che aveva al momento della "morte e risurrezione" del suo Figlio.

In effetti se prendiamo, per esempio, la descrizione della "storia della nascita di Gesù" - il Natale - occorre dire che il resoconto è un vero "incantesimo"; i medievali avrebbero detto :"una magia", cioé una "sorpresa di stupore"; e tutto questo mostra un aspetto molto importante, profondo, interessante ed acuto di questa Donna.

Così poi - sempre ad esempio - all' interno del resoconto stesso della nascita di Gesù, é splendida la testimonianza di Maria nel riferire sul ruolo e la vicenda dei "pastori"; le loro parole e l' intera loro vicenda sono rimaste impresse nella memoria di Lei col colore ed il sapore con cui Lei le aveva sentite e percepite e così Essa ha "selezionato" positivamente - "per noi" - nella sua memoria una delle esprerssioni più delicate dei ricordi del "Natale".

I pastori infatti arrivano di fronte a Maria .... e cominciano a raccontare a Lei degli angeli che sono loro apparsi, con loro grande sorpresa, ... la luce, ... le loro parole ed ora la scoperta del Bambino... Tutto é pervaso di un potere di così grande fascino, gli Americani dicono "enchantement" un grande incantesimo, la prossimità gioiosa del mistero di Dio, la Sua presenza imminente, mescolata ad una straordinaria e forte tenerezza!

Si porebbe dire che Lei riesce a dirci ed a comunicarci la Sua stessa sorpresa quando si sente invasa dall’Amore di Dio! Lo vede germogliare tra le sue mani, uscire dal suo corpo, ... la festa e la gioia sono intorno a Lei come una quieta inondazione felice, silenziosa e solenne; la Donna stessa é un incanto! Incanto di Dio: Lei é incantata di Dio, Dio é incantato di Lei, noi siamo incantati di Lei e Lei verso di noi ("Eccomi qui coi figli - figli nel Figlio - che il Signore mi ha dato, come segno e presagio per Israele e per tutto il popolo". Isaia 8,18)

Ogni anno, nel correre dei secoli e del tempo, tutte la "storie" dell’Avvento, del presepe, dei canti popolari del Natale... ritornano come un invito, come un incantesimo, come una sfida, creati da Lei per noi, elaborati nel Suo cuore per noi.

L' incantesimo del Natale, il suo fascino straodinario, la magia di quei gorni, non sono affatto un 'invenzione della Chiesa, o di teologi o di grandi catechisti o liturgisti, né sono un ritrovato pastorale di vescovi o di straordinari apostoli o missionari. Desisamente e chiaramente: no!

La magia del favoloso "clima natalizio" è stata elaborata e creata da Lei, ed è stata Lei a comunicarla ("Evangelium mulieris"), e Lei lo ha fatto a causa della stupefacente sorpresa di Dio che l' aveva inondata e che l’amava. E' così: Dio La ha sorpresa di gioia e di allegria e Lei lo ha percepito e voluto con tutto il suo cuore, ed ora - nel Natale - lo regala a noi sempre e per sempre, ogni anno, ogni anno a Natale. Stupefacente e stupendo dono di Dio per noi, figli nel Figlio: nel Natale del Figlio é infatti inserito il Natale dei figli che noi siamo!

Pur già nella maturità degli anni, Essa aveva ed emanava intatta la freschezza di questo divino incanto... Ma immaginatevi l'incanto! L’incantesimo di questa Donna è così grande che, addirittura, nel giorno di Natale, si arrestano i conflitti delle persone e delle famiglie e finanche si fermano le guerre più orribili, e prevale - per un momento magico - il clima che Lei riesce a donarci col Suo fascino del beato divino mistero.

Nessuno può resistere del tutto al Suo fascino: pochi, pochi, pochissimi - quasi nessuno - possono resistere totalmente al richiamo di Maria, che riesce come Madre dei suoi figli a sciogliere un pò anche i cuori più vecchi e più duri.

 

Così, da un lato, Essa è una Donna agguerrita e combattente, e dall’altro lato Essa ha un cuore benevolo, splendente, attrattivo, rispettoso ed ospitale: dolce e forte Cuore di Maria, la Madre dei suoi figli nel suo Figlio .

 

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19 - Maria, "causa nostrae laetitiae": allegria indicibile.

 

Vi vorrei qui fare una confidenza personale. Per molto tempo, per anni ed anni, non sono mai voluto andare a Lourdes. Mi pare che non sono un uomo molto attirato da curiosità per i miracoli; nonostante io creda normalmente nelle apparizioni di Nostra Signora. Se ci sono miracoli, io ne sono felice per tutto ciò che essi significano e producono, ma personalmente non sono attirato da curiosità per i miracoli.

Raccontano, in proposito, del re San Luigi Nono, re di Francia (non so se l' episodio sia vero, ma è comunque un aneddoto simpatico), che gli comunicarono un giorno che sarebbe apparso il Bambino Gesù, col suo proprio Corpo, sull’altare della Cappella Reale. Al ricevere questa notizia Egli avrebbe risposto: "Non sono curioso di andare a vederLo, giacché ogni volta che entro nella Cappella, e sono di fronte all’Eucaristia, lì sono alla presenza del Corpo vivo del Mio Signore Gesù".

Più o meno allo stesso modo, io non avevo sentito mai la curiosità di andare a Lourdes e per tanti anni non ero andato. Finalmente, un giorno, un amico sacerdote mi disse cordialmente: "Senti, Mario, perché non andiamo a Lourdes?"

In effetti io avevo bisogno di chiedere qualcosa alla Madre di Dio, ed anche avevo bisogno di fare un viaggio con un amico: sarebbero state delle belle vacanze. Ma ci andai con questa faccia da italiano un pò cinico e bruto, che voi mi vedete, così un po’ disincantato.

Ne rimasi impressionatissimo e molto commosso! Con tanti ammalati e tanta gente senza speranza: era impressionante! Credo in realtà che in questi Santuari ci sia una sorta di "frontiera" ed all’entrare, all' atraversare la "frontiera", la Madre di Dio ti tocca il cuore.

Arrivando a Lourdes, partecipavo contento alle processioni, alle preghiere, ai canti, alle fiaccolate e a tutto ciò che si fa lì in quella "casa di Maria"; poi ... io arrivai di fronte alla Grotta della Madonna di Lourdes, accompagnato dal mio amico, sacerdote pure lui.

Lui si mise in ginocchio, e io mi misi pure in ginocchio, dietro di lui, piuttosto vicino a lui. Mi sentivo contento di essere lì, ma "normalmente" contento e quieto.

Forse non mi crederete, ma vi dico la verità. All' improvviso ho sentito dentro al cuore un’allegria così grande, come non l’avevo mai provata così. Una allegria così grande, un' inondazione di allegria, quieta e felice: e .... cominciai a piangere. Curioso, mi uscivano le lacrime e piangevo, piangevo di gioia grandissima. Bagnai completamente il fazzoletto, ed ora lo conservo quel fazzoletto come testimonianza di un’allegria straordinaria, quando il mio cuore fu repentinamente toccato dalla mano di Maria, "la Madre di tutti i suoi figli, e Madre mia" (Isaia 8,18).

Non piangevo dal dolore, piangevo per un’allegria indescrivibile! (L' anno scorso - un anno fa - ho poi provato una sensazione ed una gioia simile, senza piangere, quando ho visitato, proprio qui in Messico, il Santuario dalla Madonna di Guadalupe).

L' incanto ed il fascino di questa Donna!

 

Uno viene preso, penetrato dal "fascino" di questa Donna, dalla "magia" di questa Donna, poderosa, guerriera, che vince i "mali", i malvagi, il male ed é tenerissima coi suoi figli!

"Qual (chi) vuol grazia ed a Lei non ricorre, sua disìanza (il suo desiderio) vuol volar senz' ali" (Dante).

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20 - Il Santo Rosario: "evangelium vitae cum Maria".

 

Passiamo ora ad un altro punto: il Santo Rosario.

Questo è un punto classico di un piccolo partito di teologi e liturgisti "reazionari e sostanzialmente contrari" alla devozione mariana: "Il rosario é noiosissimo, ripetitivo, magico (un pò superstizioso), antiquato, improduttivo, divaga la mente, distrae dalla liturgia! Perché mai recitare il Rosario?"

Dalla parte mia - invece - mi sorprendo quando alcune persone, nel confessarsi, dicono, come se fosse una colpa da confessare, che "si distraggono" nel recitare il Santo Rosario.

E io generalmente domando: "Ma com’è possibile distrarsi mentre si recita il Santo Rosario?" E loro, di risposta: "Sì, padre, mi distraggo quando recito il Santo Rosario".

Ma come é possibile distrarsi?! ... Ma no! ... Il Santo Rosario è una preghiera fatta apposta "per distrarsi". Cioé la "distrazione" fa parte della struttura stessa del Santo Rosario.

 

In certo senso si potrebbe dire che una sua finalità è il "distrarsi"; esso non è fatto - di struttura sua - per "concentrarsi", é una preghiera di natura sostanzialmente diversa da quella meditativo-razionale, di altre importanti preghiere, come ad esempio i vari "Metodi di Orazione Mentale".

 

("I Metodi di Orazione Mentale" così si chiamava un celebre volume del Cardinale Giacomo Lercaro, il quale era personalmente un propagandista ed un recitatore del Santo Rosario, che egli aveva sempre per le mani).

Viene qui alla mente la robusta raffigurazione del Santo Rosario fatta da Michelangelo, nel Giudizio Universale della Cappella Sistina: lì si vede un' anima che viene salvata e riportata verso il cielo da un' altra anima, che la "tira su" per mezzo della dolce catena del Santo Rosario ("dolce catena che ci rannodi a Dio" dice infatti la Supplica alla Madonna di Pompei)

Se poi volessimo fare un discorso un pò culturale, a proposito del Rosario e del suo uso, si potrebbe osservare che non esiste religione che non abbia un suo "rosario" o qualcosa di assimilabile.

In effetti questo tipo e modo di preghiera, così strutturata, corrisponde alla natura umana, ad un modo di essere e di fare naturale umano. La troviamo infatti analogamente presso i musulmani, presso i buddisti, presso gli induisti e presso quasi tutte le religioni di qualche rilievo.

Nel caso dei musulmani, per esempio, si tratta di una preghiera molto bella: vi sono indicate tutte le invocazioni ad Dio, con espresse le Sue meraviglie.

 

Se si visita un paese musulmano è impressionante ed anche indicativo o edificante di vedere la gente recitare ovunque, anche in pubblico, il "rosario" delle invocazioni delle meraviglie di Dio.

Io stesso ricordo di avere visto, in occasione di un pellegrinaggio nel 1967, due soldati musulmani, che camminavano in una strada di Gerusalemme, con il loro "rosario" nella mano e, mentre parlavano, lo andavano pian piano scorrendo.

Così pure, prima della guerra del Libano, sono stato a Beirut. Al banco di una compagnia aerea dell’aeroporto, un impiegato - evidentemente musulmano - molto distinto e formale, mi ascoltava attentamente, ed allo stesso tempo, nella mano, che teneva appoggiata al banco, aveva il suo "rosario" delle meraviglie di Dio, ed - a secondo della occasione che si dava - lo veniva scorrendo lentamente.

Voi poi avrete sicuramente visto in televisione il Dalai Lama, guida spirituale del popolo di religione buddista, che porta con sé sempre visibile il suo "rosario".

La natura umana é dunque familiare del "rosario" come tipo e struttura di preghiera. Per cui le persone "tanto colte" che dicono che il rosario "non ha senso", sembrano essere in realtà piuttosto un pò incolte; giacchè, appunto, il "rosario" corrisponde ad una forma tipica di espressione umana, e non è semplicisticamente un’invenzione anacronistica della Chiesa Cattolica.

È dunque la natura umana ad avere bisogno di questa tipologia specifica di preghiera. La motivazione della ripetitività così caratteristica delle preghiere litaniche e del rosario è dovuta al fatto che, in effetti, ogni volta il "ripetitivo umano" è "diverso".

Con la ripetitività, col ripetitivo, é l’istinto umano che gira pian piano intorno al suo tema. Se, per esempio, il tema é l' amore, l'istinto umano, mediante una apparente ripetività, gli gira intorno pian piano fino ad approfondirlo ed a farlo fiorire e maturare.

"Se te lo dico cento volte che ti amo, ogni volta é certamente in modo diverso; e poi, mentre gli giro e gli rigiro intorno sempre di più a dirti che ti amo, sempre di più cresce l' amore senza che mai finisca di dirtelo del tutto".

Dio è infinito, dunque non si finisce mai di girargli intorno, di circumnavigarlo, di andare navigando e crescendo nel suo amore. La ripetitività è cosa umana, é parte essenziale della natura umana, é parte della cultura umana; basterebbe pensare ai musicisti: come ripetono e lavorano e rigirano senza fine un tema musicale in una sinfonia!.

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21 - "Distrazione" o "familiarità" col Santo Rosario: riassunto di tutto il Vangelo e di tutta la vita" (Beato Papa Giovanni XXIII).

 

A questo punto riprenderei quanto già prima accennato, circa la "distrazione" nella recita del Rosario: come la mettiamo con il problema della "distrazione" nella recita del Rosario?

Vi racconterei, in proposito, qualcosa di importante che succede quando vado a casa a visitare mia mamma. Noi abbiamo una grande casa. Per meglio dire, sono due case molto vicine; in una, vive mio fratello con la sua famiglia, e a pochi metri di distanza c’è la casa di mia mamma, dove io vado a trovarla (e dove va anche mia sorella con la sua famiglia giacché é tutto piuttosto grande).

Quando ci troviamo lì noi soli, mia mamma ed io, sapete che cosa facciamo? Ci mettiamo nella cucina e mentre lei prepara la cena o fa altre sue faccende, io mi siedo lì tranquillo a conversare con lei.

In effetti, mentre lei sta facendo quelle cose familiari, si crea un’atmosfera di serenità, di confidenza e di fiducia e si apre il cuore - il cuore ha bisogno di atmosfere per aprirsi - e così parliamo in modo trasparente e confidente di tutte le nostre gioie e preoccupazioni, di tutto: dei miei fratelli, dei vicini, delle sue cose, delle mie, del passato, del futuro, delle pene, delle speranze....

Quella cucina, con l’andirivieni di mia mamma nelle varie faccende domestiche, fa da catalizzatore, crea quell’atmosfera di fiducia, serve per suscitare convergenza di cuore, complicità di affetto, comunanza di speranze tra madre e figlio....

Lei, mia mamma, fa tranquillamente le sue faccende, ma quel suo "fare le sue faccende" non crea "distrazioni"; anzi, all’interno di quelle cosiddette "distrazioni", cioé in quell’ambiente familiare che si crea tra lei e me, parliamo delle nostre cose, che così si decantano, si chiariscono, si precisano ed assumono prospettiva.

L’ambiente che si crea, cioé, permette e favorisce che parliamo con confidenza, perché possa tranquillamente fluire quello che abbiamo nel cuore e ne possiamo insieme vedere e progettare.

Col Rosario è così: qualcosa di analogo, anzi ancora più specifico ed interessante.

 

Il ritmo della preghiera mariana del Santo Rosario produce il clima e l'occasione per prendere fiducia e confidenza, di fronte alla Madre di Dio e nel Signore Gesù Suo Figlio; ed é così che affiorano e fluiscono, come attraverso una rete di preghiere, di affetti e di ricordi, quelle che alcuni chiamano, del tutto impropriamente, "distrazioni".

 

In realtà, é ormai chiaro che non sono "distrazioni", ma sono piuttosto le inquietudini e le speranze che abbiamo nell’animo¼ ... e che affiorano e fluttuano pian piano al ritmo delle Ave Maria.

Non bisogna pensare in modo ostinatamente razionale, direttamente ed esclusivamente ad ogni Ave Maria che si recita; bisogna invece proprio lasciare galleggiare e fiorire, attraverso la rete delle Ave Maria, le famose "distrazioni" che "distrazioni" non sono, ma sono invece parte integrante di questa struttura di preghiera.

 

Poco a poco, infatti, le "distrazioni" si sedimentano, si assestano e si rischiarano, prendendo la giusta forma. E così riusciamo a vederne meglio la prospettiva ed a montarne dei proponimenti costruttivi e sereni alla luce della intima familiarità, che il Santo Rosario stesso crea fra noi e la Madre di Dio, e fra noi ed i Misteri della vita del Signore Gesù

(Misteri, che sono il sottofondo evangelico di tutto il Santo Rosario, che proprio per questo fu sempre chiamato: "Biblia Pauperum").

Lei, La Madre di Dio e Madre nostra, con il suo affetto e con la sua familiarità, ci ambienta pian piano - ritmicamente poco a poco -nella area della sua intimità e così ci dona una sorta di luce serena e penetrante, per potere vedere attraverso le nostre inquietudini e le nostre speranze.

A me piace molto la compagnia del Santo Rosario ed è una preghiera che non ho mai lasciato, anche se a me personalmente piace molto di recitarlo da solo, come facevano certi Santi Gesuiti.

Infatti, generalmente, quando esco alla sera a cenare a Roma, prendo appuntamento coi miei amici sacerdoti in Piazza San Pietro in un posto, dove riesco a fermarmi facilmente con l’auto, e generalmente arrivo una prima dell' ora dell' appuntamento; così ho la bellissima opportunità di mettermi a recitare il Santo Rosario in tutta pace.

 

Lì sopraggiungono tutte le mie "distrazioni"; ma non sono distrazioni, sono le mie preoccupazioni, le mie speranze, le mie inquietudini e le mie allegrie; e, mentre all' inizio tutto emerge confusamente dentro di me, poco a poco tutto - secondo il ritmo pausato della preghiera del Rosario - tutto si sedimenta, si riorienta, si tranquillizza, ed io posso sentire, vedere e pianificare meglio e con calma ogni cosa, nella luce di Dio, nell' intimità della Vergine Maria.

 

Soavemente e con fede il Papa Giovanni XXIII diceva infatti che "Il Santo Rosario é riassunto di tutto il Vangelo e di tutta la vita"

 

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22 - Antonio Boturini, l'apostolo della Madonna di Guadalupe.

 

 

Al termine ormai di questa riflessione sulle Glorie di Maria, vorrei "peccare un poco di presunzione" con voi amici messicani, da italiano quale io sono, a riguardo alla questione della Madonna di Guadalupe.

In effetti c’è un italiano, una grande figura di italiano, nella storia di Guadalupe; egli fu grande grazie a Lei, alla Madre di Dio - suppongo - perché la storia di quell' italiano, così legato a Guadalupe, è interessantissima, anche se, nel fondo, resta uno splendido "mistero" delle predilezioni di Maria di Guadalupe.

Si tratta di un laico italiano, che si chiamava Boturini (Lorenzo Antonio Boturini Benaducci, 1702-1755). Era di Sondrio, e nel 1700, durante un viaggio in Messico, visitò il Santuario di Guadalupe.

Boturini si affezionò tanto alla Madonna di Guadalupe, al punto di farsi apostolo Suo e di quella che é la devozione mariana più importante di America; per questa sua devozione compì vari laboriosi viaggi tra il Messico e Roma, ottenendo Bolle Pontificie a favore di di quella grande devozione alla Madonna di Guadalupe e di quel celebre Santuario.

Boturini fu addirittura incarcerato, in Messico, a causa della sua straordinaria devozione alla Madonna di Guadalupe, perché si era permesso di introdurre e pubblicare, sempre in Messico, quei Documenti Pontifici senza la "Cedula Real", cioé senza il permesso del Re, il che era allora proibito.

(Che onore, per un italiano, di andare in prigione per la Madonna di Guadalupe!)

Boturini si appellò allora a Madrid, al Re stesso, e là non solamente fu assolto, ma scoprirono che era un uomo di valore, colto, devoto, competente ed innocente; così, per la sua competenza ed intelligenza, gli furono offerti, a Madrid, vari incarichi prestigiosi ed importanti: fu nominato "Cronista delle Indie" e promotore, a Madrid stessa, del Grande "Museo Storico delle Indie (cioè di America)".

Scrisse vari e importanti libri: "Idea di una nuova Storiografia Generale dell’America Settentrionale", "Storia Generale dell’America Settentrionale, come cronologia delle sue principali nazioni", "Catalogo del Museo Storico delle Indie", ......

Questo è un grato e positivo ricordo "italiano" a proposito di Nostra Signora di Guadalupe: in effetti i messicani furno grati a Boturini così che, nel centro della Città del Messico, una delle strade più polose e importanti porta attualmente proprio il nome di Boturini.

 

 

 

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23 - "Non fecit taliter omni nationi": il singolare privilegio di Guadalupe.

 

Vorrei anche aggiungere che in Italia, oltre a varie chiese dedicate alla Madonna di Guadalupe, c’è un antico Santuario dedicato proprio a Nostra Signora di Guadalupe, a Santo Stefano d’Abeto, vicino a Genova, dove si conserva una delle più antiche riproduzioni della Venerata Immagine della Madonna di Guadalupe, che sia giunta in Europa. La sua storia é molto interessante.

Quest’antica immagine della Madonna di Guadalupe, proveniente direttamente dal Messico, fu un dono speciale dell’Imperatore di Spagna, Filippo II (fratello di Don Giovanni d'Austria), a Giovanni Andrea Doria, il Grande Ammiraglio e lo stratega della celebre e decisiva Battaglia Navale di Lepanto, fra la flotta cristiana e quella turca.

 

L'Ammiraglio Giovanni Andrea Doria la portò conficcata sull’albero maggiore della sua nave durante la celebre battaglia e considerò Lei, la Madonna di Guadalupe, come la vincitrice della Battaglia, per questo egli Le dedicò il Santuario nel suo paese natale di Santo Stefano di Abeto, dove si conserva e si venera attualmente quella celebre riproduzione della venerata immagine di Guadalupe.

In effetti gli indiani aztechi, a cui apparteneva il vidente di Guadalupe il Beato Juan Diego, nella loro lingua "nahuatl" attribuiscono alla parola "Guadalupe" (parola importata dagli Spagnoli in Messico, come in molti altri casi di toponomastica coloniale) una interpretazione mistica: Essa é "Colei che scaccia il nemico".

 

(A Roma, intitolate alla Madonna di Guadalupe, si trovano: una Basilica-parrocchia sull' Aurelia, una Parrochia a Monte Mario, inoltre varie celebri Cappelle in diverse Chiese romane cominciando da quella celebre di San Nicola in Carcere, poi in San Ildefonso in via Sistina ...

Un Santuario alla Madonna di Guadalupe si trova ad Arsoli in Abruzzo, poi una chiesa a Trento, una ad Albino di Bergamo, una ad Andria in Puglia, un Santuario in costruzione a Crotone il Calabria ... e sull' "evento Guadalupe" si trovano poi molti libri e pubblicazioni in italiano.

Infine si può ricordare la cappella di Guadalupe, nel Monastero della Visitazione in via Galla Placidia all' Aventino, ove si conserva una riproduzione assai famosa fatta dal celebre pittore messicano Cabrera: é di fronte a questa immagine che il Papa Benedetto XIV pronunciò la ben nota frase, che egli donò ai Messicani come motto e come sigillo guadalupano: "non fecit taliter omni nationi" Salmo 147,20)

 

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24 - CONCLUSIONE DELLA RIFLESSIONE MARIANA: "Posuerunt me custodem".

 

 

 

Al terminare il tema odierno di meditazione sulla Madre di Dio, vi vorrei lasciare un piccolo dono.

Quando a Cervia, la mia città natale, ci fu la dominazione della Repubblica di Venezia, sul frontone dello stupendo palazzo municipale bramantesco, in una grandissima nicchia, i veneziani posero, con il consenso e fra l' entusiasmo di tutta la popolazione, una bellissima e molto grande statua in pietra della Madonna Assunta.

Di tutte le invocazioni a Nostra Signora, quella di Assunta è quella che a me piace di più; perché così La vedo già nella Sua Gloria, e, come figlio Suo quale mi considero, è nella sua gloria dove mi piace vederla.

Non mi piace invece di vederla nella sofferenza, ma nella gloria, dove Lei é che la penso come Madre Mia; è per questo motivo che sono sempre stato molto affezionato al titolo ed al nome di Assunta.

Anche la Chiesa Cattedrale e Parrocchiale della mia città è dedicata a Maria Santissima Assunta; poi la barca da pesca della mia famiglia, che é la barca da pesca più vecchia di Cervia, si chiama anche Assunta.

Sotto a quella bellissima e grande statua di pietra della Madonna Assunta, che è alta circa due volte la mia statura, ci sono scritte queste parole, che ora vi regalerò:

"Posuerunt me custodem": "Mi hanno posto come custode".

Vi dono queste bellissime parole, affinché ognuno di voi ponga Nostra Signora Santa Maria, la Grande Madre di Dio, nel suo cuore, nella sua famiglia, nella sua vita, come custode e come protezione.

Lei, la Santa Madre di Dio, vi proteggerà nel vostro sacerdozio, nella vostra vita, nella vostra vocazione. Qualche volta Dio permetterà forse che restiate feriti nelle Sue battaglie di Lei, ma poi Lei stessa vi consolerà, giacché Essa è una buona madre.

Infine, vi vorrei chiedere un favore, per potermi presentare bene di fronte alla Signora, la Madonna di Guadalupe, il prossimo martedì.

Da parte mia e per me personalmente chiederei ad ognuno di voi il dono di un' Ave Maria; questo sarebbe un regalo molto grande e questo vi chiedo con semplicità e cordialità.

Ora, mentre vi domando una preghiera, so che io non la vedrò recitata, ma questo sarà ancora più meritorio: che ognuno di voi mi regali, quando si trovi da solo, un Ave Maria a favore mio: molte grazie e di tutto cuore!

 

 

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DODICESIMA MEDITAZIONE

 

LA RISURREZIONE DEL SIGNORE GESÙ

 

 

Tra gli episodi più emotivi del Vangelo di San Giovanni, presentato in una forma magnifica, c’è quello della risurrezione di Lazzaro.

San Giovanni riporta in questo episodio le seguenti splendide parole di Nostro Signore Gesù Cristo: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (Gv 11, 25).

"Dixit ei Iesus: Ego sum resurrectio et vita: qui credit in me, etiam si mortuus fuerit, vivet; et omnis qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum"

Tutto l’episodio meriterebbe di essere letto attentamente, poco a poco, piano piano.

(I testi dei Vangeli, in latino, riportati in questo Capitolo, sono ripresi dalla edizione Volgata originale secondo la edizione: "Evangelia quattuor Gaece et Latine", SEI Torino, 1930/1961)

Il tema che tratteremo oggi, come conclusione degli esercizi spirituali, è il tema del "Risorto", Nostro Signore Gesù Risorto, il Corpo di Cristo Risorto.

Il Corpo di Gesù Risorto aveva infatti due caratteristiche importanti: era diverso ed era uguale al Corpo di Cristo di prima della sua morte e risurrezione.

 

Procediamo per gradi.

 

 

 

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1 - La Croce: trofeo, ormai, di vittoria e di gloria.

 

 

Già abbiamo accennato ad una punto che lascia sempre sorpresi, data la sua ampia portata storica: l’umanità cristiana (cioé la cristianità primitiva) era rimasta violentemente impressionata dal fatto della Risurrezione e dal senso e significato della vita, che emanava da "questo" evento.

La Risurrezione cambiava infatti - di molto - il senso e significato della vita: la vita cambiava molto alla luce della Risurrezione; la vita di coloro che credevano e la vita stessa del mondo.

Il fatto della Risurrezione fu a tal punto impressionante, per i primi cristiani, che durante i primi cinque secoli della Chiesa essi non rappresentarono mai Gesù Cristo sulla Croce, vale a dire come "il Crocifisso".

Essi erano come folgorati dall’immagine del "Risorto", dall’idea del Corpo di Cristo Risorto, "il Risorto"!

Ai cristiani dei primi secoli non mancavano certamente sofferenze e persecuzioni, e tuttavia proprio per questo essi non vollero tanto fissarsi sull’immagine di Cristo sulla Croce, quanto piuttosto sulla immagine di Cristo Risorto e vincitore della sofferenza e della morte.

 

Ai primi cristiani non mancarono durissime sofferenze durante i primi tre secoli: toccarono loro persecuzioni violente, crudeli ed interminabili.

Impressionante, per ciò che concerne le persecuzioni, é il caso di Roma stessa: una città che all’epoca dell’Impero Romano aveva un milione di abitanti ed era con ciò la più grande città di quel tempo.

 

Per una città di quelle dimensioni, possiamo conoscere e visitare ancora oggi più di 800 chilometri di "catacombe", allora costruite ed ancora esistenti al presente; si può immaginare, anche solo da questo dato, come poteva essere allora la vastità e continuità della situazione delle persecuzioni.

Ma appunto durante tutti i prolungati e crudeli periodi di martirio della Chiesa, essi, i cristiani perseguitati ed i martiri, non avevano come tema di riferimento il Signore Gesù Cristo "in croce".

 

Nella loro situazione di oppressione, di emaginazione e di dolore essi non facevano riferimento ad un altro "dolore", ma alla grande speranza, alla grande gioia, alla "grande vittoria" sulla sofferenza, sulla morte e sulla croce che si portavano addosso.

Un martire non pensava tanto al Signore Gesù Cristo sulla Croce, non pensava tanto ad uno "sconfitto"; ma pensava piuttosto al Signore Gesù Cristo già ormai definitivamente Risorto, pensava piuttosto al "Vincitore", che gli stava offrendo la Sua mano, ferita ma gloriosa, per renderlo a sua volta libero dall' oppressine e vincitore sulle sofferenze e sulla morte.

In tal senso ed allo stesso modo, i testi ed i documenti della Chiesa nell' ora terribile e grande del martirio e della persecuzione, cioé il grande testo dell’Apocalisse (il "liber consolationis" della persecuzione) e in generale le Lettere degli Apostoli e gli scritti dei Primi Padri della Chiesa, quando parlano della persecuzione, fanno riferimento al Signore Gesù Cristo "Risorto e Glorioso".

 

(Il nostro secolo XX° ha visto le più grandi ed atroci persecuzioni della storia cristiana, cominciando da quella del Messico.

Una sopravvissuta della terribile persecuzione dell' Ucraina, nella ex-Unione Sovietica, Marija Ribko-Vuytisk di Leopoli - come lo riporta un' intervista dell' Osservatore Romano - così si esprime:

"No, non avevo paura. A casa mia c'era il Santisssimo Sacramento ... di cosa avrei dovuto avere paura?! ... Ero nella Chiesa Cattolica e non avevo paura, perchè Cristo é risorto! ... E' stata una grande grazia di Dio avere visto la fine della persecuzione. La nostra Ucraina é piena delle ossa e del sangue dei martiri ... Abbiamo fatto semplicemente ciò che come cristiani dovevamo fare. Cristo, infatti, é risorto: 'Khrystos Voskres - Cristo é risorto!'"

"Cristo é risorto" dicevano i martiri dell' Ucraina; "Viva Cristo Re" dicevano i martiri del Messico!)

 

I cristiani della Chiesa primitiva si riferivano al Risorto ed alla Risurrezione con un aggettivo del tutto speciale e splendido, a causa del fulgore e della allegria della Risurrezione, chiamavano infatti la gioia della Risurrezione: "Immarcescibile".

 

Una gioia immarcescibile, incorruttibile, intramontabile, invincibile, immortale.

Proprio questa era la loro idea: come se ci fose un mucchio di foglie, cadute in autunno, e piovesse loro sopra e così cominciassero a marcire; questo dà esattamente la idea di qualcosa che "marcisce".

Ebbene la gioia della Resurrezione è proprio "immarcescibile". Questo era il tema della allegria invincibile dei primi cristiani: la gioia immarcescibile della Risurrezione del Signore!

E' così, ed é per questo che, durante i primi cinque secoli della Chiesa, i cristiani non utilizzavano - e non avevano - l’immagine di Gesù Cristo Crocifisso, né quella della Croce come strumento di supplizio e di morte: cioé durante cinque secoli Cesù non venne mai raffigurato come "il Crocifisso".

Nei mosaici della mia città di Ravenna ed in quelli di San Paolo Fuori le Mura (che sono tra i più antichi di Roma) è rappresentata infatti solo la "Croce Gloriosa", come "glorioso trofeo del Risorto", non già e non più come strumento di tormento e di morte.

La Croce Gloriosa, rappresentata nei mosaici antichi, è una croce, che appare di un materiale assolutamente prezioso, é completamente coperta di pietre preziose, con le gemme più belle possibili: segno e trofeo di vittoria e di gloria.

E generalmente si rappresenta la Croce Gloriosa come "spoglia" - cioé senza il Corpo del Crocifisso - ed a volte magari con un telo bianco che pende da entrambi i bracci della croce (a significare che Egli non é più lì, ma è risorto).

E così é l’idea della "Croce gloriosa"! Anzi a volte veniva raffigurata - la Croce Gloriosa - come seduta essa stessa in trono, in un "Trono di Gloria" appunto: trofeo di vittoria e di gloria!.

 

Col dilagare dell' invasione dei barbari in Europa, nel quinto secolo, cambiarono varie sensibilità e letture culturali (ci fu un problema di "inculturazione della Fede"): così fu necessaria una "inculturazione della Fede" nelle "culture barbariche"; il chè diede un’importanza differente a diversi aspetti della Fede Evangelica.

Bisogna accettare che, con il cambio di cultura, il Vangelo rimane tale e quale nella sua sostanza, ma gli elementi di rilettura si adattano alla cultura che sta sopraggiungendo.

La Chiesa, naturalmente, ha sempre favorito questa evangelizzazione delle culture ed inculturazione del Vangelo: é la grande opera dei missionari di ogni tempo. Bisogna dunque entrare in una cultura, cristianizzandola ed inculturando il Vangelo.

Così, grazie a San Gregorio Magno, a San Benedetto, ai suoi monaci e frati ed allo loro discendenza spirituale (San Leone Magno e tanti altri ...), si riuscì nel quinto secolo e nei secoli successivi a far fronte - in Europa - alla difficile conversione dei barbari alla Fede Evangelica ed alla "inculturazione" così delicata del Vangelo nelle culture barbariche.

È semplicemente ammirevole l’opera di conversione e di inculturazione compiuta dalla Chiesa, a strategia ed impulso specialmente dei monaci e frati di San Benedetto, di fronte all’invasione dei barbari (in Europa e nel nord Africa), che erano così rozzi, violenti e primitivi.

Gli evangelizzatori dell' Europa barbarica, seguendo la primitiva e geniale visione di San Gregorio Magno, hanno assunto gli elementi chiave delle culture barbariche e di quelle culture voi stessi potete cogliere certi elementi significativi.

 

Per esempio, se ascoltate la musica di Wagner, si possono riconoscere in essa il richiamo e la evocazione di elementi importanti di quelle antiche culture barbariche, come i motivi dolorosi ed impressionanti relativi alla loro nomade esistenza, spesso tragica e difficile, ma piena di dolci nostalgie; od i motivi un po’ tristi e romantici - o anche lugubri e mostruosi - dovuti al loro andare trasmigrando e vagando come popoli nomadi, qua e là, in quel freddo, inospitale e vasto mondo nord-asiatico, da cui provenivano generalmente ....

I loro "Dei" erano pertanto severi, difficili, paurosi e spesso terribili, così come i loro affanni, i terrori e i miti dei loro cuori. Dai loro "sogni" e dai loro "incubi notturni" derivano poi le antiche "storie" delle streghe, delle fate, dei maghi, degli gnomi e tutto quel genere di leggende favolose, a volte anche belle e stupefacenti ed a volte crudeli ed ossessive, che si diffusero poi nel Medioevo.

Nel momento in cui la cultura barbarica si cristianizzò ed il Vangelo si inculturò nelle culture barbariche, i barbari cominciarono ad apprezzare - del cristianesimo - gli elementi che riuscivano a captare con più facilità per mezzo dei loro "armamentari" culturali.

Ecco perciò che essi rimasero piuttosto molto impressionati ed attirati dalla dolorosa storia della "via della Croce" e dello stesso Signore Gesù Crocifisso, rapportandola quasi istintivamente alla gravità o mostruosità dei loro "peccati" e dei loro "crimini", a volte veramente "vandalici" ( i "Vandali" erano appunto barbari, come gli Unni, i Goti ...).

 

L’idea della Croce, come frutto e rimedio del peccato e di ogni devastazione interiore, li attrasse e li sedusse.

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Vorrei qui fare una annotazione personale: mi sono scelto quattro Santi Protettori per la mia vita, e tra questi ne vorrei citare uno in particolare, per il quale nutro una grande venerazione ed affetto, e cioé San Francesco, San Francesco di Assisi.

Ebbene, nonostante io lo abbia scelto, con grande devozione ed ammirazione, come mio Santo Protettore e nutra nei suoi confronti una venerazione infinita, penso che posso dire di lui, con ogni rispetto ed affetto: egli fu il più Santo dei barbari. L' epoca barbarica, il Medioevo, si compiva infatti in lui cristianizzata ed evangelicamente inculturata, in una forma sublime.

In effetti era proprio molto viva in lui la mistica e la teologia della Croce; e lo stesso Signore Gesù gli fece la grazia straordinaria di concedergli le Sue venerate Stimmate (le Ferite del Crocifisso) sul suo corpo; a lui donate da un angelo Serafino, mentre egli si trovava in preghiera sul santo monte della Verna.

 

 

 

 

 

 

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2 - Gesù, il Signore, é Risorto

 

Con il Concilio Vaticano II, si é voluto dunque:

- non tanto e non già rifiutare il gran bene che la pietà cristiana, influenzata dalla cultura barbarica, aveva tratto dal Vangelo,

- quanto piuttosto riprendere e dare il giusto valore all' elemento primitivo e primigenio, e del tutto straordinario e fondante della fede cristiana, che era ed é il tema della Risurrezione del Signore Gesù: il tema del Risorto.

Il Concilio ha voluto dare impulso e promuovere questo grande tema spirituale e teologico, come centrale e fondamentale per la nostra fede e per la vita del mondo: Gesù, il Signore, é risorto.

In verità non si era mai perso il senso del primato della Resurrezione nella liturgia, nei canti, nella fede, nella religiosità popolare, nella grande tradizione mistica ....

Ed il "Rito" cristiano, che ha conservato intatta la più antica e completa tradizione del tema della Risurrezione e del Risorto, é stato quello che si chiama Rito Bizantino Orientale; in effetti i Bizantini (nel loro centro culturale e religioso di Bisanzio) non furono mai invasi dai barbari e dalla cultura barbarica: dunque non toccò loro questo tipo di inculturazione e di influsso.

(L' impero bizantino, come nazione e come centro culturale, ebbe infatti fine in seguito agli attacchi dei musulmani, che provenivano dal sud, e non già dei barbari che invece provenivano dal nord-est).

Si potrebbe dunque dire con tutta certezza e sicurezza che, nell’ambito di questo "rito cristiano bizantino orientale", quel profumo "immarcescibile" della Resurrezione e del Risorto non si sia attenuato mai (mentre in tutti gli altri riti cristiani sia comunque rimasto preminente).

Nel "Rito cristiano Bizantino Orientale" vi sono poi come due correnti: quella "ortodossa" e quella "cattolica". Sono numerose infatti le Diocesi bizantine-cattoliche.

Entrambe le correnti hanno in comune dei riti stupefacenti e molto belli, con canti ed inni, che conservano intatto l' antico profumo "immarcescibile" della Resurrezione e del Risorto, accompagnato singolarmente da una contemporanea e del tutto straordinaria presenza di inni e preghiere a Nostra Signora Santa Maria, la Santa Madre di Colui che é Risorto.

 

 

 

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3 - Come era realmente il Risorto ?

 

Stiamo dunque arrivando ora alla domanda veramente interessante ed importante: Come realmente era il Risorto ?

Cioé in pratica: che cosa concretamente videro coloro che incontrarono il Risuscitato?

Come fu, di fatto ed oggettivamente, quell' impatto così forte e così definitivo, sia per i discepoli che lo videro Risuscitato, sia per la Chiesa?

Voi sapete bene che il Corpo del Signore Gesù che si fa presente nella Santa Messa e che riceviamo al momento della Santa Comunione, è il Corpo di Cristo Risuscitato, il Corpo del Risorto.

 

Quindi è veramente molto importante ed interessante di parlare di Lui, cioé del Risorto, giacché è proprio Lui che noi troviamo nella Santa Messa e che riceviamo colla Santa Comunione.

Ma anche quando Egli, il Signore Gesù, appare e si mostra (per esempio nelle apparizioni a Santa Margherita Maria, o a Santa Faustina, o a Santa Teresa o in altre apparizioni riconosciute dalla Chiesa ....) è proprio il Corpo del Signore Gesù Risorto, che appare; é il Risorto che appare!

 

Molto e moltissimo é dunque l' interesse che noi abbiamo a sapere di più sul Risorto!

Al riguardo si può dire subito che, in effetti, i "Vangeli della Resurrezione" - cioé l' insieme dei brani evangelici che parlano della Risurrezione del Signore Gesù - sono un "conjunto", o come si direbbe oggi tecnicamente "sono un corpus", un complesso ed un insieme, in certo preciso modo, unitario.

 

Per cui, se li si legge con calma ed attenzione, essi immediatamente appaiono semplicemente spettacolari, soprattutto i capitoli 24 di San Luca e 20 e 21 di San Giovanni (ma non solo quelli).

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4 - Le caratteristiche del Corpo del Signore Risorto. i due di Emmaus.

 

In proposito abbiamo già annotato sopra che le caratteristiche del Corpo del Signore Risorto sono due:

1) il Corpo del Risorto è uguale, assolutamente uguale, al Corpo del Signore Gesù di prima della Risurrezione: questo risulta molto chiaro;

2) d’altro canto, il Corpo del Risorto ha caratteristiche completamente differenti dal Corpo del Signore Gesù di prima della Risurrezione.

In proposito, prendiamo ora in considerazione, per esempio, il testo del Vangelo di San Luca 24, 30 ss, in particolare la parte finale della apparizione del Signore Risorto ai due discepoli di Emmaus. La apparizione comincia così (Luca 24,13):

"Et ecce duo ex illis ibant ipsa die in castellum, ... nomine Emmaus. Et ipsi loquebantur ad invicem ... Et factum est, dum fabularentur et secum quaererent, et ipse Iesus appropinquans ibat cum illis; oculi autem eorum tenebantur, ne eum agnoscerent. Et ait illis ..."

"Ed ecco che, in quel giorno stesso, due di loro se ne andavano ad un villaggio, chiamato Emmaus. E mentre parlavano e ragionavano insieme, Gesù stesso avendoli raggiunti casmminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti, così da non riconoscerlo. Ed egli disse loro ..."

 

Nella sua parte finale, questo brano del Vangelo di san Luca si riferisce al momento in cui - già avvenuta l’apparizione del Signore Risorto ai due discepoli di Emmaus, senza che essi lo abbiano ancora riconosciuto - essi lo invitano a fermarsi con loro: "Resta con noi, perché si fa sera ed il giorno volge al suo termine":

"Ed egli entrò per fermarsi con loro. Ed avvenne che quando fu a tavola con loro, prese il pane, pronunciò la benedizione, e dopo averlo spezzato lo diede loro. Allora gli occhi dei due discepoli si aprirono e lo riconobbero". (Luca 24,30 ss)

"Et intravit cum illis. Et factum est , dum recumberet cum eis, accepit panem, et benedixit, ac fregit, et porrigebat illis. Et aperti sunt oculi eorum et cognoverunt eum ...".

 

Veramente molto importante, interessante e significativo: essi erano andati camminando e parlando con Lui e non lo avevano ancora riconosciuto, fino a quando spezzò il pane: allora, allo spezzare il pane, lo riconobbero.

Questa, che si nota qui, è una caratteristica molto importante del Corpo del Risorto, è una differenza; cioé questo che succede qui, dopo la risurrezione, non succedeva prima della sua morte e risurrezione.

È stato necessario che i loro occhi si aprissero per poterlo riconoscere.... "ma Egli sparì dalla loro vista"! ("Et ipse evanuit ex oculis eorum"). Dopo che essi lo riconobbero, Egli scomparve agli sguardi della loro vista.

Questa è dunque una caratteristica nuova: che egli compariva e scompariva. È lo stesso corpo, con una caratteristica diversa.

Allora: "Essi si dissero l’un l’altro: "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?". (Luca 24, 32).

"Et dixerunt ad invicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loqueretur in via, et aperiret nobis Scripturas ?".

 

Questa è dunque la nuova caratteristica: che pur comparendo e scomparendo, come prima non soleva fare, essi lo riconoscono con assoluta certezza, tanto che "levatisi in quello stesso momento tornarono a Gerusalemme" ("et surgentes eadem hora, regressi sunt in Ierusalem; et invenerun congregatos undecim, et eos qui cum illis erant...". Luca 24, 33) per informare "gli undici ed i loro compagni".

 

 

 

 

 

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5 - La prima testimonianza della Risurrezione: Maria Maddalena.

 

Così, similmente, era successo anche con la prima apparizione - del Signore Risorto - cioé con la prima apparizione che conosciamo, quella a Maria Maddalena (Giovanni 20, 1 ss).

Lei, Maria Maddalena, era venuta al Sepolcro e lo aveva trovato vuoto, perciò era doppiamente triste ed addolorata, quando di repente vide "quest’uomo":

"Maria autem stabat ad monumentum foris, plorans. Dum ergo fleret, inclinavit se, et prospexit in monumentum ... conversa est retrorsum, et vidit Iesum stantem, et non sciebat quia Iesus est" (Giovanni 20, 11 ss).

"Maria invece piangente se ne stava vicino al sepolcro, di fuori; e continuando a piangere si chinò ed osservò attentamente nel sepolcro .... si voltò indietro e vide Gesù in piedi, ma non sapeva che fosse Gesù".

 

Egli dunque comparve vicino a lei, lei conversò con lui, e ciononostante lei non lo riconobbe immediatamente, analogamente ai due discepoli di Emmaus.

"Dicit ei Iesus: Mulier quid ploras? quem quaeris? Illa existimans quia hortulanus esset, dicit ei ... Dicit ei Iesus: Maria. Conversa illa, dicit ei: 'Rabboni' (quod dicitur Magister). Dicit ei Iesus ...".

"Gesù le dice: donna perché piangi? Chi cerchi? Essa, credendo che fosse l' ortolano, gli risponde ... Gesù le dice: Maria. Ed ella voltatasi esclama (in ebraico) 'Rabboni', che significa Maestro. Gesù le dice ...."

Là, ad Emmaus, i due lo riconoscono nel momento in cui Egli spezza il pane; qui, con Maria Maddalena, lei Lo riconosce nel momento in cui Gesù la chiama per nome, quando Egli pronuncia il suo nome e dice: "Maria"!

Qui, nella narrazione fatta dall' Apostolo San Giovanni nel suo Vangelo, realmente si vede come a Maria Maddalena, dopo aver sentito che Lui la chiama con il suo nome, "Maria", viene spontanea ed immediata la parola con cui lei lo riconosce .

 

Lei lo chiama infatti immediatamente "Rabbonì" ("mio Maestro" in ebraico), che è proprio la parola esatta e familiare con cui ella Lo conosceva ed ora Lo riconosce Risorto. San Giovanni ci riporta proprio quella parola stessa - in ebraico - che con tutta spontaneità uscì da Maria Maddalena all' istante di riconoscerlo risorto.

Inoltre, tutta la narrazione del Vangelo di San Giovanni, sulla prima apparizione del Signore Risorto alla Maddalena - ed i riferimenti paralleli negli altri tre Vangeli - mette in evidenza la disposizione "sofferta ed ardente" del cuore di lei.

 

 

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6 - Le caratteristiche dell' Amore:

 

Farei ora una piccola parentesi.

All’inizio di qualunque amore - quando un amore comincia, quando è nel suo principio - questo fenomeno è piuttosto comune ed é ben conosciuto. E' molto importante sottolinearlo in questo punto.

Prima che ci sia il riconoscimento, la presa di coscienza di un amore, già si commuove e ne arde il cuore. E' un un tipo di esperienza tanto certa e comune, che sicuramente la ricordiamo con facilità.

In proposito si potrebbero anzi fare, molto opportunamente, un parallelo ed una analogia, tra le caratteristiche proprie dell’ "amore in sé" e le caratteristiche del Corpo Resuscitato.

L’amore - all’improvviso - è al tuo fianco, molto vicino a te, e tu non lo riconosci ancora; ma tu sei già inquieto, molto inquieto, perché lo stai ancora cercando. Finché, quando ti chiama con il tuo nome, lo riconosci e puoi dire: "Rabbonì".

Non è forse vero che l’amore compare all’improvviso al nostro fianco? Non stava da un' altra parte. E' all’improvviso che compare sul nostro cammino ed ... é all’improvviso che scompare.

Se ricordiamo ora tutto ciò che abbiamo detto precedentemente sul mistero dell’amore e sul mistero del Regno, possiamo rifarci a quelle riflessioni, riprenderle qui ed applicarle in questo momento.

Così si potrebbero fare abbondanti parallelismi ed analogie tra l’ "amore in sé" ed "il Regno", da una parte, ed il "Corpo del Risuscitato", da un' altra parte.

Il "Corpo del Risuscitato" mostra e manifesta infatti caratteristiche e proprietà analoghe e parallele alle esperienze che possono fare e ricordare tutti coloro che conoscono ed esperimentano l' amore nelle varie sue forme.

 

 

 

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7 - Ritorno a Gerusalemme: il giovane Marco, l'evangelista.

Torniamo ora un momento alla narrazione del Vangelo di San Luca, a riguardo dell’apparizione del Risorto ai due discepoli di Emmaus:

"allo spezzare il pane...."...Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero; ma egli sparì ai loro sguardi. Ed essi si dissero l' un l' altro: 'Non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre per strada ci parlava e ci interpretava le Scritture ?' E levatisi in quello stesso momento tornarono a Gerusalemme, dove trovarono riuniti (nel Cenacolo) gli undici e gli altri che erano con loro". (San Luca 24, 30 ss)

"...Et aperti sunt oculi eorum, et cognoverunt eum; et ipse evanuit ex oculis eorum. Et dixerunt ad invicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loqueretur in via,et aperiret nobis Scripturas? Et surgentes eadem hora, regressi sunt in Ierusalem; et invenerunt congregatos undecim et eos qui cum illis erant" (... nel cenacolo ...)

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Aprirei qui un’altra parentesi: a Gerusalemme dove erano riuniti? nel cenacolo? dov' era il cenacolo?

C' é in proposito una antica tradizione, bella come una parabola: dicono che c' era una famiglia ricca, a Gerusalemme; benché, per quanto si intende, fosse soprattutto formata di donne, possibilmente sorelle.

 

Il padrone della casa era forse lo sposo di una di loro, ed avevano un figlio giovane, di nome Giovanni Marco, colui che sarebbe poi l’Evangelista San Marco.

Secondo questa tradizione sarebbero stati proprio loro, a dare la grande sala - il cenacolo - al Signore ed ai suoi, per i loro incontri.

Proprio nel Vangelo di San Marco - nella descrizione della notte della Passione del Signore - si trova la breve e bella storia, che sarebbe appunto di questo giovane ragazzo; é così, infatti, che lo stesso Giovanni Marco, secondo molti autorevoli commentatori, apporrebbe come la propria firma nel suo Vangelo, col racconto di questo episodio del tutto particolare ed autobiografico, inserito nel racconto della Passione .

Vi si narra che quando le guardie andarono a catturare il Signore Gesù, un ragazzo sentì dei rumori mentre stava dormendo, allora si coprì con un telo – poiché era nudo - e corse, probabilmente a nascondersi dietro un albero per vedere quello che succedeva e vide che portavano via "quell' Uomo" con lanterne e con spade e bastoni.

 

Mentre il giovane assisteva alla scena, nascosto dietro l’albero, una delle guardie lo vide, e volle afferrrarlo; ma, dice lo stesso Vangelo che il giovane gli lasciò il telo nelle mani e scappò via nudo (Mc 14, 51-52).

 

"Allora tutti i suoi discepoli lo abbandonarono. Lo seguiva però un giovinetto, coperto solo di un lenzuolo; lo pigliarono, ma egli, lasciando andare il lenzuolo, se ne fuggì nudo" (San Marco 14, 5O-52)

"Tunc discipuli eius relinquentes eum, omnes fugerunt. Adolescens autem quidam sequebatur eum, amictus sindone super nudo; et tenuerunt eum. At ille, reiecta sindone, nudus profugit ab eis".

 

Appunto il racconto di questo dettaglio autobiografico sarebbe la firma dello stesso San Marco al suo Vangelo, giacché racconta un evento che sarebbe della sua adolescenza, quando egli stesso vide il Signore Gesù arrestato e portato via nella notte della Passione.

Le zie di San Marco, che erano benestanti o ricche, fecero studiare il giovano Giovanni Marco, tanto che, quando era già istruito nel leggere e escivere, divenne come il segretario dell' Apotolo San Pietro, anzi suo compagno ed amico (San Marco si era associato, per un certo tempo, anche con l' Apostolo San Paolo).

In effetti, il Vangelo di San Marco è l’unico ad essere stato scritto per completo a Roma. Quando San Pietro, a Roma, andava a predicare in varie parti della città (nella Suburra, a Trastevere ...), il più giovane San Marco lo accompagnava, e dalla sua predicazione e vicinanza San Marco poté trarre molte notizie ed anche delle espressioni tipiche del suo Vangelo.

 

 

 

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8 - La apparizione del Risorto.

 

I due discepoli di Emmaus ritornarono dunque a Gerusalemme - al cenacolo - dove erano riuniti gli altri discepoli.

Pertanto, nella casa della famiglia del giovane Giovanni Marco, trovarono riuniti gli undici e gli altri che si trovavano con loro; e questi, che erano riuniti a Gerusalemme, diedero anzi per primi ai due discepoli di Emmaus la gioiosa notizia: "Il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone!" (Lc 24, 34).

 

"Surrexit Dominus vere, et apparuit Simoni"

Questa apparizione del Signore Gesù a Simon Pietro non è descritta, in modo particolareggiato, nel Vangelo; ma viene qui semplicemente indicata nel Vangelo di San Luca ed inoltre viene poi espressamente segnalata da San Paolo, quando egli enumera varie apparizioni del Signore Gesù Risorto, nella sua Prima Lettera ai Corinzi (15, 5).

A sua volta i due discepoli di Emmaus raccontano agli altri discepoli riuniti ciò di cui erano stati testimoni: "Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane" (Lc 24, 35).

E, proprio qui di seguito, viene il centro ed il nodo del racconto di San Luca: "Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse loro ....¼ " (Lc 24, 36).

"Dum autem haec loquuntur, stetit Iesus in medio eorum, et dicit eis ..."

 

L' evangelista San Giovanni, su questo stesso punto, annota che i discepoli stavano raccolti e rinchiusi per timore dei Giudei: "[..] mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse ...¼ " (Gv 20, 19).

"Cum ergo ... fores essent clausae ubi erant discipuli congregati, propter metum Iudaeorum, venit Iesus, et stetit in medio, et dixit eis ...".

In questa apparizione del Signore Gesù si osserva, in effetti, una caratteristica del suo Corpo, che non aveva prima della Resurrezione: di passare ed entrare attraverso le porte chiuse o le pareti.

 

 

 

 

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9 - Il potere dell' Amore.

 

E ... qui si potrebbe forse fare opportunamente un altro parallelismo fra il corpo del Risorto da un lato e l’"amore" stesso, dall' altro lato.

L’"amore" ha infatti questa caratteristica e questo potere: che può attravesare facilmente e velocemente qualunque ostacolo.

 

Non solo le ... "benedizioni" - come dicono - possono attraversare le pareti, ma l’amore stesso traspassa ed oltrepassa tutto: l' amore ha un potere così acuto e sottile, da potere giungere in ogni parte ed ovunque; l' amore ha un potere di trasparenza assoluta sia per sé stesso che per ciò che tocca, che coinvolge e che avvolge.

L'"amore" trapassa tutto ed attraverso di tutto e dove giunge è sempre completamente presente per intero, sostenendo e colorando del suo proprio colore tutto ciò che tocca.

 

 

 

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10 - La reazione dei discepoli.

 

"E Gesù disse loro: "Pace a voi. Sono io. Non temete"".(Luca 24, 36; Giovanni 20, 19).

"... et dicit eis: Pax vobis; ego sum, nolite timere."

A questo punto é forse importante di osservare la reazione dei discepoli di fronte al Signore Gesù, che sta in mezzo a loro Risorto; cioé é interessante esaminare come si sviluppa, in loro, il processo di presa di coscienza del Corpo del Signore Gesù Risuscitato.

Più in generale, si potrebbe dire, che è molto conveniente di esaminare i "Vangeli" (cioé i "brani evangelici") della Risurrezione del Signore Gesù per osservare diversi aspetti collaterali.

 

 

 

 

 

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11 - L' orizzonte femminile del Signore Gesù.

 

Per esempio, per limitarci ad uno di questi aspetti collaterali, si potrebbe osservare che la considerazione che il Signore Gesù aveva della "donna" era diversa da quella, che avevano San Pietro ed i discepoli in generale.(Marco 16, 1 ss; Matteo 28, 17; Luca 29, 9-11 e 24, 22; Giovanni 20, 1-18).

 

L' orizzonte femminile del Signore Gesù, in effetti, é vasto ed aperto, e comprende una serie di episodi evangelici, che nell' insieme formano un mosaico sufficientemente completo sull' atteggiamento, e sulla cordiale e favorevole comprensione e visione che il Signore aveva dell' "universo femminile".

 

Basterebbero qui dei nomi e dei richiami a celebri episodi evangelici: la Samaritana, Marta, Maria Maddalena, la emorroissa, la adultera, la peccatrice in casa di Simone il fariseo, la vedova di Naim, le donne indicate per nome da San Luca e dagli altri, la moglie di Pilato, le donne della "via crucis", le donne ai piedi della croce ... specialmente poi Sua Madre e la sorella di Sua Madre, Maria di Cleofa, .... Sua Madre ...

(Tommaso da Kempis, nella sua "Imitazione di Maria" - e con lui vari autori spirituali, fra cui Sant' Ignazio di Loyola, Giovanni Paolo II, ed altri... - ipotizza che il Signore Gesù sia apparso Risorto direttamente a Maria Sua Madre)

 

La comprensione cordiale che il Signore Gesù aveva dell' "universo femminile" é bene indicata nei vari brani evangelici, i quali mostrano poi esplicitamente che le singole donne, a loro volta, percepivano ed esprimevano questa comprensione. Una per tutte - e molto celebre e sintetica - quella donna che, rivolta a Lui, proclamò a gran voce e significativamente: "Beato il ventre che ti ha portato e beato il seno a cui hai succhiato"!

Questo atteggiamento, in Lui - diverso e positivo - lo si nota bene in occasione della Risurrezione del Signore Gesù, giacché Egli apparve prima di tutto a Maria Maddalena - ad una "donna" cioé - e quando lei, Maria Maddalena, andò a riferirlo a Pietro e ai discepoli, essi invece non mostrarono di crederle; cioé, per una questione tanto importante, non si sentirono di far fede ad una "donna".

Il Vangelo, pudicamente, non dice perché non credettero a Maria Maddalena. In realtà non le credettero, perché era una "donna" ed essa, al momento dell’apparizione del Signore Gesù, si trovava assieme ad altre donne: alle "donne" non si faceva molto caso, non si dava molta retta.

"Ma essi (i discepoli) udito che era vivo ed era stato visto da lei (da Maria di Magdala), non vollero credere" (Marco 16, 11) - "Et illi audientes quia viveret et visus esset ab ea, non crediderunt".

"E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici ed a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro un vanneggiamento e non credettero ad esse" (Luca 24, 9-11) - "Et regressae a monumento nuntiaverunt haec omnia illis undecim, e ceteris omnibus. Erat autem Maria Magdalene, et Ioanna, et Maria Iacobi , et ceterae quae cum eis erant, quae dicebant ad apostolos haec. Et visa sunt ante illos sicut deliramentum verba ista, et non crediderunt illis."

 

In ogni caso, quando giunge a Pietro, agli apostoli ed agli altri discepoli l' annuncio di Maria Maddalena, essi si trovano in una situazione di estrema tristezza e sommamente addolorati.

In proposito esiste un ben noto dipinto, che raffigura Pietro e Giovanni, che corrono al sepolcro a vedere di persona, dopo l' annuncio di Maria Maddalena.

 

Nel citato dipinto si vedono in primo piano i volti di Pietro e Giovanni. Il volto di San Pietro - nel quadro - è estremamente teso, preoccupato, addolorato e cosparso di rughe, come di chi da tempo non dorme e piange ... : in effetti non solo era morto il Signore Gesù, ma lui - Pietro - di fatto lo aveva anche rinnegato e tradito, nell' ora della Sua passione.

 

 

 

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12 - Il Risorto si presenta in mezzo a loro: "stetit in medio eorum".

 

Ma ecco riprendiamo qui il filo - sopra interrotto per un momento - quando il Signore Gesù compare in mezzo a loro - "Gesù stesso si presentò in mezzo a loro", "stetit Iesus in medio eorum"; "stetit in medio" (Luca 24,36; Giovanni 20,19) - nel cenacolo ed essi rimangono, come dice San Luca, attoniti e timorosi.

 

Pensavano di vedere un fantasma. "Stupiti e spaventati, sembrava loro di vedere un fantasma." (San Luca 24, 37).

"Conturbati vero et conterriti, existimabant se spiritum videre".

 

In effetti non sembra tanto che essi abbiano avuto paura di Lui, quanto piuttosto che abbiano avuto paura di ingannarsi e di illudersi: dopo il dolore ed il timore, faticavano a passare ed a cedere alla speranza.

"Ma egli disse loro:"Perché siete turbati e perché sorgono dei dubbi nel vostro cuore? (Lc 24, 38). E per la seconda volta disse loro: "Disse dunque loro di nuovo: Pace a voi!" (Giovanni 20, 21).

"Et dixit eis: Quid turbati estis et cogitationes ascendunt in corda vestra?" - "Dixit ergo eis iterum: Pax vobis!".

Ma essi dubitavano, perché erano turbati ed inquieti. Ma Gesù dice loro : "Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate". E poi esplicitamente e direttamente: "Palpate e rendetevi conto che uno "spirito" non ha carne e ossa, come vedete che io ho". (Luca 24, 39).

"Videte manus meas, et pedes, quia ego ipse sum: palpate et videte, quia spiritus carnem et ossa non habet, sicut mew videtis habere!"

 

 

 

 

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13 - San Luca e San Paolo.

 

Quando San Luca scriveva tutto questo, egli viveva con San Paolo, in un sodalizio apostolico, ed andava con lui evangelizzando in varie parti del mondo, fino a giungere con lui fino a Roma, come lo racconta lui stesso nell' altro libro suo degli Atti Apostoli, e come pure lo conferma San Paolo nella sua seconda lettera a Timoteo.

 

E' così - andando per ogni parte con San Paolo e parlando per ogni dove con discepoli, apostoli ed ogni genere di testimoni - che San Luca raccolse anche le testimonianze sulla Risurrezione del Signore Gesù.

Ci si potrebbe infatti chiedere perché non esista un Vangelo di San Paolo? San Paolo non si mise a redigerne uno, gli sarebbe infatti sembrato superfluo, poichè sempre stava andando con San Luca.

 

Così é, come se i due si fossero divisi e ripartiti i compiti rispettivi, e, fra i due, il compito di redigere concretamente il Vangelo fosse toccato di fatto al medico San Luca; che, appunto, aveva quel particolare spirito di osservazione, di analisi e di valutazione che é così proprio dei medici. In certo senso - perciò - il Vangelo di San Luca può essere considerato anche il Vangelo di San Paolo.

 

 

 

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-14 - Gesù "mangia", dopo la Risurrezione.

Quando il Signore Gesù apparve - "stette in mezzo a loro" - agli apostoli ed ai discepoli nel cenacolo, come racconta San Luca, e come lo racconta nel suo Vangelo anche anche San Giovanni – che era stato personalmente presente - la situazione era la seguente:

gli undici e gli altri discepoli udivano la sua voce, lo vedevano con i loro occhi, lo toccavano con le loro mani: "Guardate le mie mani ed i miei piedi, sono proprio io! Toccatemi e guardatemi; e rendevi conto che uno spirito non ha carne ed ossa come io ho" (Luca 24, 39-40)¼ . "Ed a queste parole, mostrò loro le sue mani ed i suoi piedi".

"Videte manus meas, et pedes, quia ego ipse sum: palpate et videte, quia spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere. Et cum hoc dixisset, ostendit eis manus et pedes"

Finalmente era tanta la allegria e lo stupore che si andava impadronedo di loro, al vederlo ed all' udirlo, che - anche così, o forse proprio per questo - resistevano e stentavano a credere: "Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse..." (Lc 24, 41).

"Adhuc autem illis non credentibus, et mirantibus prae gaudio, dixit ...".

 

Erano pieni di gioia perché era Lui, ma al tempo stesso stentavano a credere, perché sembrava loro una gioia troppo grande ed una allegria troppo bella.

Ed é proprio qui che viene un aspetto ed un punto stupefacente del Vangelo della Resurrezione. Davanti alla residua situazione di esitazione e di dubbio degli apostoli e dei discepoli, Gesù dice loro: "Avete qui qualche cosa da mangiare?". (Luca 24, 41)

"Habetis hic aliquid quod manducetur ?"

Da un lato essi sapevano che il Signore Gesù consumava volentieri il pesce arrostito (Lui stesso, come lo racconta San Giovanni nell' ultimo capitolo del suo Vangelo, sulla riva del Lago di Tiberiade si dedicò ad arrostire del pesce per loro) e da un altro lato essi intuiscono che la prova massima della oggettività di quel corpo risuscitato sta nel fatto che egli possa realmente mangiare: "Gli offrirono una porzione di pesce arrostito ed un favo di miele; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro, distribuendo loro gli avanzi".(Lc 24, 42-43).

"At illi obtulerunt ei partem piscis assi, et favum mellis. Et cum manducasset coram eis, sumens reliquias, dedit eis".

 

 

 

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15 - "Ciò che le nostre mani hanno toccato".

 

Il Vangelo mette dunque in evidenza che il Risorto ha tutte le caratteristiche oggettive di un corpo vivente e tutte le narrazioni evangeliche insistono sul fatto che si tratta proprio ed esattamente di Gesù di Nazaret.

In tutti i Vangeli, negli Atti degli Apostoli, nelle lettere di San Giovanni .... non si tratta mai di una mera apparizione senza corpo, ma si tratta del Signore Gesù, in carne ed ossa, tale e quale come quando viveva con i suoi discepoli prima della Sua morte.

Ci troviamo di fronte ad un fenomeno importante ed interessante in quanto reale, concreto ed oggettivo: "Ciò che le nostre mani hanno toccato..." - "et manus nostrae contrectaverunt" - é la "ideologia" concreta di San Giovanni (1 Gv. 1,1).

Già fin da quando si parla della pietra rimossa dal sepolcro si trova, per esempio, un particolare molto speciale e concreto: si dice infatti che il sudario era riposto ordinatamente, da parte:

"[..] e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (Gv 20, 7). "et sudarium, quod fuerat super caput eius, non cum lineaminibus positum, sed separatim involutum in unum locum".

Ciò che si può facilmente dedurre da questa osservazione molto pratica e marginale, aggiunta però esplicitamente da chi ha redatto il brano, è che ci troviamo di fronte a qualcosa di concreto e preciso, anzi dettagliato: cioé siamo lontani dall’idea di una fantasia e di un fantasma.

Cioé bisogna capire che i discepoli Lo vedono, Lo toccano, sentono la Sua vicinanza fisica, percepiscono la realtà del Suo Corpo e tutto questo in un contesto di concretezza oggettiva.

Lo stesso accade, in modo impressionante e preciso, con la descrizione del Signore Gesù che sta mangiando: lo fa realmente come esercizio di un processo e di un' attività esclusivamente fisica, propria di un corpo fisico, come é il mangiare, con esplicitazione di dettagli sul cibo (pesce arrostito e miele) e sulle quantità fisiche (si indicano esplicitamente "gli avanzi di una porzione di pesce arrostito ed un favo di miele" - "partem piscis assi, et favum melli", Luca 24, 42).

 

 

 

 

 

 

 

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16 - La apparizione sulle rive del Mare di Galilea.

 

A sua volta la apparizione del Signore Gesù Risorto sulla riva del mare (lago) di Tiberiade, in Galilea, è un episodio stupefacente e bellissimo, veramente - si direbbe quasi - bello come da ... "fine del mondo"! (San Giovanni tutto il capitolo 21).

Si sa che il capitolo 21 di San Giovanni ha una storia. Al principio della redazione del Vangelo di San Giovanni, questa capitolo 21 non sembrava previsto.

In effetti il capitolo 20 del Vangelo di San Giovaqnni sembra avere una sua conclusione, che, nella prima redazione del Vangelo di San Giovanni, avrebbbe probabilmente dovuto essere la conclusione di tutto il Vangelo di San Giovanni.

Ma, poiché l' evangelista San Giovanni continuava a ricordare, a predicare ed a raccontare, così la sua stessa narrazione e redazione si prolungò e continuò col capitolo 21, che pertanto fu aggiunto in seguito al capitolo 20.

"Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo (Giovanni e Giacomo) e altri due discepoli (di questi due discepoli non viene indicato il nome). Disse loro Simon Pietro: "Vado a pescare". Gli dissero: "Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando era già l’alba, Gesù si presentò ("stetit") sulla riva..." (Giovanni 21,1-4).

"Postea manifestavit se iterum Iesus discipulis ad mare Tiberiadis. Manifestavit autem sic: Erant simul Simon Petrus, et Thomas, qui dicitur Didymus, et Nathanael, qui erat a Cana Galilaeae, et filii Zebedaei, et alii ex discipulis eius duo. Dicit ei Simon Petrus: Vado piscari. Dicunt ei: venimus et nos tecum. Et exierunt, et ascenderunt in navim; et illa nocte nihil prendiderunt. Mane autem facto, stetit Iesus in littore ....".

Ecco dunque, all’improvviso, compare ("stetit", "sta", "stette", "stava", ..."stare") il Signore Gesù - Risorto - sulla riva, ... "ma i discepoli non riconobbero che fosse Gesù". (Giovanni 21,1-4) - "..non tamen cognoverunt discipuli quia Iesus est". Gesù dunque c’è già, ma loro non lo riconoscono ancora.

"Gesù disse loro: "Figlioli, non avete nulla da mangiare?"" "Dixit ergo eis Iesus: Pueri, numquid pulmentarium habetis?" (Giovanni 21, 5). Come nel cenacolo, ancora qui la richiesta e la prova, precisamente fisica, del "mangiare"; in questa apparizione del Signore Risorto, anzi, la richiesta di qualcosa da mangiare é la prima parola, che lui pronuncia e con cui si rivolge e si manifesta loro. "Dixit ergo eis Iesus: Pueri, numquid pulmentarium habetis?"

 

(Si potrebbe forse annotare qui, con simpatia, per la vostra comunità di "Cruzados de Cristo Rey": guardate come sembra importante la prima colazione del mattino! Essa può infatti ricordare facilmente questa prima colazione di primo mattino, così singolare, sul Lago di Galilea - o mare di Tiberiade - del Signore Gesù Risorto con i "suoi", cioé ... con voi!).

"Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della braca e troverete". La gettarono dunque e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci, di cui si era riempita." (Giovanni 21, 6).

"Responderunt ei: Non. Dicit eis: Mittite in dexteram navigii retem, et invenietis. Miserunt ergo; et iam non valebant illud trahere, prae multitudine piscium".

(Era facile per loro, in quel momento, di ricordare altre occasioni, in cui erano andati a pescare col Signore Gesù, "prima" della sua Risurrezione: "vi farò pescatori di uomini" aveva loro promesso allora!).

 

E così si può qui osservare, con semplicità ed con evidenza, cosa fa "il cuore": Guardate il cuore! In questo caso guardate il cuore di Giovanni.

Gli occhi della carne infatti sono "ciechi": non servono per "vedere"; da soli non rieescono a "vedere", come se gli occhi della carne guardassero nella nebbia e non vedessero: "occhi per vedere e non vedono".

Per "vedere" sono invece necessari gli "occhi del cuore"! Così lo dice il celebre "Piccolo Principe": per "vedere" ci vogliono gli occhi del cuore, é con gli occhi del cuore che si "vede". Infatti gli "occhi del cuore" di Giovanni gli fecero vedere e riconoscere per primo il Signore Gesù :

"Allora quel discepolo (Giovanni) che Gesù amava disse a Pietro: "È il Signore"".! (Giovanni 21, 7ss) "Dixit ergo discipulus ille, quem diligebat Iesus, Petro: Dominus est".

"Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la tunica, poiché era nudo, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri (duecento cubiti). Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace sul quale era disposto del pesce (non era quello pescato da loro) e del pane. Disse loro Gesù (la situazione è simile a quella dell’ultima cena: Lo vedono, il pesce è pronto, così come il pane; ma è ... come se non osassero): "Portate un po’ del pesce che avete preso or ora".

"Simon Petrus, cum audisset quia Dominus est, tunica succinxit se, erat enim nudus, et misit se in mare. Alli autem discipuli navigio venerunt, non enim longe erant a terra, sed quasi cubitis ducentis, trahentes rete piscium. Ut ergo descenderunt in terram, viderunt prunas positas, et piscem superpositum, et panem. Dicit eis Iesus: Afferte de piscibus, quos prendidistis nunc."

"Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di cento cinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò" (Il racconto é pieno di dettagli concreti e pratici, che evidenziano il realismo oggettivo dell' evento).

"Ascendit Simon Petrus, et traxit rete in terram, plenum magnis piscibus centum quinquaginta tribus. Et cum tanti essent, non est scissum rete. Dicit eis Iesus: Venite, prandete. Et nemo audebat discumbentium interrogare eum: Tu quis es? scientes quia Dominus est".

"Gesù disse loro: "Venite a mangiare". E nessuno dei discepoli osava domandargli: "Chi sei?", poiché sapevano bene che era il Signore". (Giovanni 21, 7-12)

(Ricordate la prima meditazione di questo nostro Corso di Esercizi Spirituali: i discepoli sono qui stupiti ed attoniti, come lo avevamo allora segnalato:

- per Mosè, che si era tolto i sandali davanti al "roveto che ardeva senza consumarsi"

- e per Elia, che si era coperto il volto di fronte alla "brezza che passava" davanti alla Grotta sul monte Oreb).

 

 

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17 - Il dialogo con Simon Pietro.

"Quando dunque ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?"". (Giovanni 21,15)

 

"Cum ergo prandissent, dicit Simoni Petro Iesus: Simon Ioannis, diligis me plus his?"

 

Questo "Simone di Giovanni", cioé Pietro, Lo aveva rinnegato pubblicamente per tre volte. Il Signore Gesù, nell' incontrarlo qui in questo momento, cioé dopo quel suo tradimento, che cosa gli dice o gli chiede??

1) Con ogni diritto il Signore Gesù avrebbe potuto domandargli perché lo avesse tradito; "Simone, avevi detto che non mi avresti mai rinnegato?!"

Ma Gesù non gli fece questa domanda imbarazzante.

2) Con benevolenza, il Signore Gesù avrebbe potuto dirgli: "Simone, io ti perdono".

Ma non gli disse neppure queste parole generose.

4) O - ancora più benevolmente - Gesù avrebbe potuto dirgli: "Simone, io ti amo".

Ma non gli fece pressione neanche coll' abbondanza del suo amore divino.

Il Signore Gesù, incontrando Simone Pietro, dopo il suo triplice rinnegamento e tradimento, non gli rivolse nessuna di queste tre espressioni.

Il Signore Gesù "non gli disse" e "non gli diede", ma invece "gli chiese". L' atteggiamento del Signore Gesù non fu: "io ti esigo", oppure "io ti dò"; ma invece fu: "io ti chiedo".

 

Il Signore Gesù gli chiede infatti : Simone mi ami tu?! Il Signore Gesù dunque "chiese amore" a quel Simon Pietro, che lo aveva rinnegato: glielo chiese!

Il già citato autore Maurice Nédoncelle ha una espressione assai bella: é più amore chiedere amore, che dare amore!

Il Beato Raimondo Lullo, a sua volta, nel suo celebre e bellissimo volume, "Il libro dell’amico e dell’amato": "Ama di più colui che elemosina l'amore" ("limosnero de amor").

Bussiamo dunque alla porta dell’amore e chiediamo amore, "elemosinandolo", imparando dal Signore Gesù, che andò ad "elemosinare amore" alla porta di colui che lo aveva rinnegato e tradito.

Simone Pietro Lo rinnegò tre volte ed il Signore Gesù per tre volte elemosinò il suo amore. "Simone di Giovanni, mi vuoi tu bene più di costoro? ... Simone di Giovanni, mi ami tu? ... Mi ami tu?". "Simon Ioannis, diligis me plus his? ... Simon Ioannis, diligis me? ... Amas me?" (Giovanni 21, 15-17)

 

(Simone Pietro, dunque, per il resto della sua vita e fino alla testimonianza della sua morte col sangue, poté andare annunciando: non solo che il Signore Gesù era risorto - come anche fecero gli altri apostoli e discepoli - ma anche che il Signore Gesù lo aveva tanto amato, fino ad elemosinare l' amore proprio da lui, che lo aveva rinnegato e tradito).

 

 

 

 

 

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18 - L' annunzio: "evangelium resurrectionis".

Proseguendo ora con le nostre osservazioni sul "corpo del Risorto", si potrebbe notare come assai significativo che si tratta del medesimo corpo del Signore Gesù prima della Sua Morte e dopo la Sua Risurrezione, ed inoltre che l’apostolo ed evangelista San Giovanni:

 

- da un lato, é colui che maggiormente pone l’accento sulla corporeità del Risorto e maggiormente specifica gli elementi concreti ed animati del Suo Corpo.

- mentre da un altro lato, é anche colui che con maggiore profondità ha parlato del "Logos", del Verbo, del Figlio Eterno del Padre.

Questo aspetto é molto interessante: dapprima San Giovanni, nel suo Vangelo, accentua la trascendenza di Gesù - il Verbo, il "Logos", il Figlio Eterno del Padre - ed ora, d'altra parte, mette in risalto con precisione ed abbondanza, i tratti specifici e concreti del "Corpo del Risorto".

Ciò che San Giovanni pone in evidenza ed in maggiore rilievo è la oggettività palpabile della "carne" del Risorto, ormai Vivente per sempre.

A questo proposito, sono memorabili le parole dello stesso San Giovanni Evangelista nella sua "Prima Lettera di San Giovanni", riguardo alla corporeità di Lui, del Signore Gesù, del Verbo: "Ciò che era fin da principio, ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato [..] noi lo annunziamo anche a voi" (Prima Lettera di Giovanni 1, 1-3).

"Quod fuit ab initio, quod audivimus, quod vidimus oculis nostris, quod perspeximus, et manus nostrae contrectaverunt .... adnuntiamus vobis".

"Lo annunziamo": "annunzio" dunque di una oggettività palpabile, fisica e concreta del Risorto, ormai vivente per sempre.

 

 

 

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19 - Le caratteristriche "nuove" del Risorto.

Le differenze fra il Corpo del Risorto ed il Corpo del Signore Gesù, prima della sua Risurrezione, già siamo venuti annotandole pian piano finora, seguendo la esperienza dei testimoni evangelici; ma cerchiamo ora di ricapitolarle brevemente.

Il Vangelo mostra infatti che il Corpo del Signore Risorto ha caratteristiche nuove, che non aveva prima della Risurrezione, e che non avevano gli altri "tre" risuscitati di cui parla il Vangelo.

Gli evangelisti avevano già scritto a proposito di loro tre: cioé di Lazzaro, della figlia di Giairo e del figlio della vedova di Naim. Costoro sono stati risuscitati e ritornano alla loro vita, tale e quale era prima, e sono ancora soggetti alla morte.

I loro corpi non hanno le caratteristiche del Corpo del Signore Risorto. Questi ha caratteristiche nuove, totalmente differenti rispetto agli altri tre.

Anche per ciò che si riferisce a questo aspetto, le narrazioni evangeliche insistono sul fatto che il Signore Risorto ha caratteristiche nuove, radicalmente diverse da quelle che Egli aveva prima della Sua Risurrezione e da quelle degli altri uomini in generale.

C’è qualcosa di nuovo e di differente, che riveste il Suo Corpo dopo la sua Risurrezione.

La Sua vicinanza - cioé il Suo primo avvicinarsi, il Suo primo apparire, il Suo "stare in mezzo a loro" - è oggettiva, misteriosa, certa, consolante ed anche conturbante; provano stupore, gioia e timore per la Sua presenza, giacché subito non riescono a comprenderne ed ad intuirne tutto il significato e la portata.

la Sua presenza repentina ed inattesa riempie e colma di sorpresa e di stupore coloro che pure oggettivamente Lo vedono.

Prima infatti Egli andava e veniva con loro, era sempre con loro, in ogni momento sapevano dove era e lo potevano localizzare; ora invece appare, cammina all’improvviso di fianco a loro, sta in mezzo a loro di repente, ... scompare ... ; non sta sempre con loro e non é sempre localizzabile da loro....sta....non sta...

Per Lui non esistono più i limiti e gli ostacoli della corporeità. Le barriere dello spazio e del tempo non Lo limitano più.

 

Si muove con la più totale libertà dentro e fuori i confini del tempo e dello spazio, e dentro e fuori le frontiere del Regno; passa da un lato all’altro della frontiera con facilità, e con una libertà nuova che, sulla terra normalmente è impossibile per gli altri uomini.

 

Da un lato dunque, per il Signore Gesù, qualcosa di importante e rilevante è cambiato. Non vive più come viveva prima.

Dall' altro lato, nulla in Lui è realmente cambiato, Egli non ha abbandonato nulla di ciò che era prima. Il Suo Corpo, la Sua Vita, tutto ciò che Egli é stato, i suoi affetti, i ricordi, le vicende anche dolorose come la "croce" - di cui porta i segni, che mostra come trofei di vittoria - i suoi progetti, le sue speranze e la sua missione: tutto è in Lui presente e reale.

Ma, nonostante ciò, si deve insistere sul fatto importante e rilevante che ora Egli riveste una novità ed un potere spirituale sorprendente, profondo, sereno e pacifico: "la pace sia con voi"!.

La Sua esistenza corporale attuale, dopo la Resurrezione, è completa; comprende Gesù nella Sua interezza: la Sua sostanza, il Suo carattere, il Suo modo di essere, tutto ciò che Gli è accaduto.

È presente, con Lui, il Suo Corpo intero, tutta la vita vissuta, il destino che ha percorso, tutti gli affetti, i Suoi amici, tutta la Passione e la Morte sono presenti: é proprio Lui, Lui stesso, come sempre lo hanno conosciuto; l' apostolo San Tommaso, come e dopo tutti gli altri, lo verifica e lo dichiara nel celebre e ben noto episodio:

"Gesù venne ..., poi disse a Tommaso: 'introduci qui il tuo dito ed osserva le mie mani. Stendi la tua mano e mettila nel mio costato, e non volere essere incredulo, ma credente'. Tommaso gli rispose: 'Signore mio e Dio mio1'". (Giovanni, 20,27-28)

"Venit Jesus ..., deinde dicit Thomae: Infer digitum tuum huc, et vide manus meas; et affer manum tuam, et mitte in latus meum; et noli esse incredulus, sed fidelis. Respondit Thomas, et dixit ei: Dominus meus et Deus mesus!".

Questa è la realtà che sperimentano i discepoli: il Suo Corpo, Vivente nello Spirito, come inondato di Spirito Santo; e questo Corpo è giunto alla Sua pienezza come primizia per noi.

Anche il nostro corpo arriverà a ciò; noi tutti abbiamo questo presentimento ed istinto - come naturale - per noi e per i nostri cari. Ogni essere umano possiede, in fondo all’animo, un istinto di perfezione eterna per il suo corpo. Sappiamo, sentiamo, percepiamo, che il corpo umano non è il corpo di un animale.

Il Corpo Glorioso di Cristo Risorto rivela dunque il destino del corpo che riveste la persona umana.

I discepoli del Signore, senza nessun dubbio, videro il Signore Gesù di fronte al sepolcro, in cammino verso Emmaus, nel cenacolo, sulle sponde del lago (o mare) di Tiberiade .... "Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio.. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere ..." (Atti 1, 3-4).

"Iesus ... apostolis ... et paebuit seipsum vivum post passionem suam in multis argumentis, per dies quadraginta apparens eis et loquens de regno Dei. Et convescens praecepit eis ab Hierosolimys ne discederent, sed expectarent ...".

C’è di più.

Per il fatto stesso di averlo visto Risorto - proprio gli stessi che si erano dimostrati timorosi e fuggitivi nell' ora della "Passione"- dedicarono, con coraggio e decisione, il resto della loro vita a comunicare, ad annunciare ed a predicare questo avvenimento, che li dominò ed assorbì completamente, così da:

- condurli ai luoghi più impervi e lontani, fino ai confini della terra (Atti 1,8).

- e renderli capaci di ogni dedizione e sacrificio, fino a sopportare persecuzioni interminabili ed inenarrabili.

Videro il Signore Gesù Risorto, che era nel mondo, senza tuttavia appartenere esclusivamente al mondo. Egli, il Risorto, stava nell' ordine di questo mondo, ma anche stava nell' ordine della Vita Eterna.

Guardare, osservare, considerare, vedere questa realtà del Signore Risorto era per i discepoli qualcosa di più e qualcosa di diverso dal vedere ... un albero lungo il cammino, o ... un altro uomo che entra in casa....

Piuttosto, invece, il vedere Cristo Risorto era per loro la rottura di un abito mentale o di di una consuetudine naturale. Naturale infatti sarebbe stato per loro piuttosto il vedere una persona normale, che normalmente muore.

Ma vedere il Signore Gesù nel Suo Corpo Risorto aveva per loro un impatto ben diverso.

 

Nei Vangeli della Risurrezione appaiono addirittura parole nuove, che non ci sono nel resto dei Vangeli: "apparire", "scomparire", "all’improvviso stette in mezzo a loro", ..."stare"...."non stare".....

Vedendo il Signore Risorto, essi anzi vedono realizzate quanto Egli aveva annunciato di fronte ai farisei, ai dottori del tempio e agli anziani del popolo, quando essi Gli avevano chiesto chi Egli fosse, e tanto si erano scandalizzati per le Sue parole, quando Gesù aveva risposto loro:

"Se qualcuno custodisce la mia parola non vedrà la morte in eterno ....In verità, in verità, vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono". (Giovanni 8, 51-58). "Si quis sermonem meum servaverit, mortem non videbit in aeternum ....Amen Amen dico vobis, antequam Abraham fieret, ego sum".

Ed è così: Egli entra ed esce dallo spazio e dal tempo con piena libertà. È questo anzi uno dei temi dei nostri "esercizi spirituali": il tema della "porta".

Da qui l’esperienza dell’"improvviso",dello "stare" o "non stare"...: qualcosa che irrompe e che contrasta con l’abitudine. È una forma nuova per una materia genuina e anteriore. Luca dice: "Non doveva forse il Cristo soffrire tutto questo e così entrare nella sua gloria?" (Luca 24, 26).

"Nonne haec oportuit pati Christum, et ita intrare in gloriam suam?".

 

 

 

 

 

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20 - Gesù appare ai Suoi.

 

 

A questo punto, potremmo forse farci una domanda: perché il Signore Gesù, prima della Risurrezione, si presentava a tutti - di fronte al mondo - ed ora, dopo la Sua Risurrezione, lo fa specificamente ed intenzionalmente di fronte ai Suoi ??

 

L' Apostolo San Paolo, nella sua Prima Lettera ai Corinti, dà conto di più di 500 fratelli, che, tutti insieme, lo hanno visto vivo dopo la sua Risurrezione:

"Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, ... : che Cristo morì ..., fu sepolto ed é risuscitato il terzo giormo ... che apparve a Cefa (a Simone-Pietro) e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta; la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me ....". (San Paolo Prima Corinzi 15, 3-8)

"Tradidi enim vobis in primis ... : quoniam Christus mortuus est ..., et quia sepultus est et quia resurrexit tertia die, ... et quia visus est Cephae (Simone-Pietro) et post hoc undecim; deinde visus est plus quam quingentis fratribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormierunt; deinde visus est Jacobo, deinde Apostolis omnibus; novissime autem omnium ... visus est et mihi".

(questa testimonianza di San Paolo, secondo alcuni biblisti, sarebbe da riferire specialmernte al primo incontro, a Gerusalemme, avuto da S. Paolo stesso - dopo la sua conversione, come narrato dagli Atti degli Apostoli 9,26- con Pietro, con Giacomo e con molti fratelli che avevano visto il Signore Risorto)

 

Questo tema, della manifestazione specifica del Signore Gesù ai 'suoi', era già stato trattato in precedenza, prima della Sua Morte e Risurrezione, come risulta evidente dal Vangelo di San Giovanni (14, 22): "Gli disse Giuda, non l’Iscariota, "Signore, come è accaduto che dovrai manifestarti a noi e non al mondo?"".

"Dicit ei Iudas, non ille Iscariotes: Domine, quid factum est, quia manifestaturus es nobis teipsum, et non mundo?".

 

(Si potrebbe forse qui notare che vari biblisti e commentatori del Vangelo di San Giovanni, ritengono che, per ragioni redazionali e di unità di tematica, l' Evangelista San Giovanni avrebbe accorpato insieme - nell'occasione dell' "ultima cena" - tutti i discorsi ed i grandi temi del Signore Gesù, sia quelli da Lui fatti in quella occasione dell' "ultima cena", sia quelli da Lui fatti successivamente, dopo la Sua Risurrezione; come sembrerebbe dedursi - secondo tali commentatori - anche dall' esame dei testi stessi).

 

In effetti questa, di mostrarsi Risorto - di veder il Signore Gesù Risorto - è una grande grazia ed un grandissimo privilegio, che Egli manifesta, concede ed offre specialmente ai Suoi, come un dono ed un premio di amore. "[..] Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui".(Gv 14, 21).

"Qui autem diligit me, diligetur a Patre meo; et ego diligam eum, et manifestabo ei meipsum".

(Nel linguaggio del Signore Gesù troviamo, come abbiamo già notato in precedenza a proposito di "linguaggio", espressioni forti ed anche inusuali. Egli utilizza anzi un’espressione piuttosto singolare e paradossale per visualizzare, senza possibilità di equivoco, un Suo intendimento: "Non date le cose sante ai cani, e non gettate le vostre perle davanti ai porci". (Mt 7, 6).

"Nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos").

 

Proprio a questo proposito, potremmo forse convenientemente riprendere e ritornare ai nostri parallelismi: tra il "Corpo del Signore Gesù Risorto", da un lato del parallelismo, ed il mistero dell’"amore vissuto" dall' altro lato del parallelismo.

Non succede forse lo stesso con il mistero dell’"amore vissuto"?? Quando qualcuno trova esistenzialmente l’amore, quando qualcuno incontra realmente l' amore, quando l' amore vissuto si affianca camminando al lato di qualcuno, quando gli appare l' amore visibilmente.... che cosa fa?

Forse, questa esperienza - di incontrare l' amore - esperienza, che tutti potrebbero fare, che potrebbe essere in corso od essere avvenuta per tanti, la si vorrebbe poi manifestare e raccontare a tutti ??...

Ma, di questa eventuale esperienza - di un vero amore conosciuto e vissuto - vogliamo poi forse noi farne parte con gli indifferenti, con i mal disposti, con coloro che sono prevenuti o maldicenti, con coloro che ci mostrano aggressività ed inimicizia ...??

 

Non si preferisce invece piuttosto di manifestare e raccontare il mistero dell’"amore vissuto" - le scoperte, conoscenze ed esperienze di "un amore andando"- a coloro che sono benevoli e ben disposti?? ...cioé di condividerlo piuttosto con coloro che sono predisposti a riceverlo, cioè specialmente con gli amici??

In realtà quando noi manifestiamo il mistero del nostro "amore-andando" ad un amico, è un dono - il grande dono - che noi gli offriamo.

Sembrerebbe dunque evidente che il Signore Gesù abbia seguito questo criterio; il fatto di manifestarsi Risorto è di per sé un dono: un privilegio ed un dono che Egli fa ai "suoi amici" ("Vos amici mei estis", Giovanni 15,14 ... "Vos autem dixi amicos", Giovanni 15-15).

Tutti coloro, infatti, che Lo vedono e Lo ricevono Risorto, ricevono in primo luogo una immensa pace, il dono di una pace palpabile. La Sua stessa presenza lascia già dietro di sé - lontane ed evaporate - tutte le paure e le tensioni, anche durissime, anteriori alla Sua Risurrezione. Questo è il significato dell’espressione: "Pace a voi!... Sono io! Non temete, non abbiate paura".(Gv 20, 19; 20, 26; Lc 24, 36¼ ..)

"Pax vobis! ... ego sum, nolite timere!".

Realmente è il momento in cui il Risorto si dona maggiormente ai Suoi amici, ai Suoi discepoli; per loro è il regalo, il dono e l’impatto più forte: vederlo Risorto dopo averlo visto Morto.

Questo dono - per loro, "i Suoi amici" - rimarrà per sempre e cambierà per sempre la loro vita! Dice il Libro degli Atti degli Apostoli che: Filippo al ministro della Regina Candace "Gli evangelizzò Gesù!" (Atti 8,35) "Evangelizzavit illi Iesum!" Gli evangelizzò il Risorto!

 

L' Apostolo San Paolo riassume questo impatto, questo regalo, questo dono, questo "Credo" minimo essenziale e sufficiente, con le celebri parole della Sua Lettera ai Romani:

"Se confesserai con la tua bocca che Gesù é il Signore, e crederai col tuo cuorer che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo!" (Romani 10,9).

Se crederai, infatti, che Gesù di Nazaret, il Signore, é Risorto, sarai perciò già dall' altra parte della frontiera del Regno, cioé sarai salvo!

"Si confitearis, in ore tuo, Dominum Iesum et in corde tuo credideris quod Deus Illum suscitavit a mortuis, salvus eris"!

 

Questo "dono" - di salvezza - così straordinariamente ricevuto, con la forza sopravvenuta dello Spirito Santo, essi, gli Apostoli andarono a comunicarlo, cominciando da Gerusalemme, fino ai confini della terra a tutti coloro che avessero la disposizione di riceverlo:

 

"Allora Pietro levatosi in piedi con gli altri undici parlò a voce alta così: 'Uomini di Giudea e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme ... uomini di Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, ... fu consegnato a voi, ... e voi per mano di empi lo avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalla .... morte. Questo Gesù, Dio lo ha risucitato dai morti e noi tutti ne siamo testimoni ..." (Atti degli Apostoli 2, 14-36).

"Stans autem Petrus cum undecim levavit vocem suam et locutus est eis: Viri Iudei et qui habitatis Ierusalem universi ... Viri Israeelitae, audite verba haec: Iesum Nazarenum virum approbato a Deo in vobis virtutibus et prodigiis et signis ... hunc traditum per manus iniquorum ... interemistis. Quem Deus suscitavit, solutis doloribus inferni ....Hunc Iesum resuscitavit Deus, cuius omnes nos testes sumus"!

 

Ed ecco le parole stesse del Signore Gesù Risorto, "Il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi ardenti come il fuoco":

"Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Io sono ...il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre..." (Apocalisse 1,17-18; 2,18)

".... Filius Dei , qui habet oculos tamquam flammam ignis, ... et posuit dexteram suam super me dicens: 'Ego sum primus et novissimus: et vivus et fui mortuus, et ecce sum vivens in saecula saeculotrum ...".

"...Ego sum ... vivus et fui mortuus ..."!

 

 

 

 

 

 

 

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21 - La testimonianza del Risorto.

 

A questo punto ci viene necessaria un’altra domanda, osservando il filo di sangue, che corre nella storia umana; si tratta del sangue crudelmente e copiosamente versato da coloro che danno testimonianza che il Signore Gesù é Risorto.

 

Ecco la domanda: perché "certi pagani", non tutti i pagani per fortuna, nei primi secoli - e poi nei secoli successivi, fino al tragico secolo ventesimo - non hanno voluto accogliere la testimonianza dei cristiani ??

(Come abbiamo già accennato nel corso di questi "Esercizi spirituali" potremmo, in effetti, definire come "pagano": colui che crede reale ciò che cade sotto la vista dei suoi occhi della carne, o ciò che può toccare con le sue proprie mani; questo sembra essere "il reale" per il pagano.

Mentre invece é davanti a tutti la relativa rapidità con cui questa illusione "del reale" evapora e svanisce, non lasciando alcuna traccia, come nave nel mare.

In una parola "il pagano" potrebbe essere colui che affida la genealogia del suo essere, le sue speranze ed i suoi amori alle apparenze fragili ed effimere di questo mondo, destinate a dissolversi come neve nel sole)

 

Anzi, potremmo chiederci ancor più: perché "quei certi pagani", non hanno voluto accettare neppure le persone stesse dei cristiani, cioé di coloro che danno testimonianza che Gesù di Nazaret, il Signore, é Risorto ??

I "cristiani", in effetti, a causa della loro testimonianza e della loro fede nel Signore Risorto e nella Vita Eterna, finiscono per essere percepiti e sentiti come "destabilizzanti" da quei pagani.

In proposito verrebbe da pensare che ci siano "odi" irrazionali. Ma forse l' odio stesso come tale é un idolo irrazionale; é come la caricatura rovesciata, parallela e "gratuita" dell' amore.

L' odio storico di "certi pagani" - solo di alcuni pagani - nei confronti dei "cristiani" e della Chiesa non ha solitamente motivi personali. La sola presenza dei "cristiani" viene infatti percepita - di per sé, da sé sola, anche senza motivazioni - da quei pagani, come destabilizzante.

Essi percepiscono il "cristiano" - cioé colui che dà testimonianza del Risorto e della vita eterna - come se ricordasse loro che l’eredità della loro vita, dei loro amori, delle loro speranze e delle vicende importanti della loro esistenza é, alla fine, la morte ed il nulla.

 

Quei pagani, in effetti, si rendono conto, almeno oscuramente, che tutto ciò che loro hanno di più caro sta camminando sul filo di un precipizio e verso il baratro del nulla.

La presenza dei cristiani finisce con lo svelare e rendere palpabile per "quei pagani" il senso di una solitudine estrema; essi, a causa della contrapposta luce cristiana, finisciono col sentire il malessere di scoprirsi come abbandonati nell’immensità dell’universo, si ritrovano come danzando su un abisso, o quasi lanciati, per un capriccio oscuro, verso un mondo senza senso.

 

Purtroppo, in queste condizioni, essi intuiscono almeno indirettamente che "la loro eredità è la morte" (così dice la Scrittura) e, nel tentativo di esorcizzare quel malessere oscuro e profondo, finiscono col reagire con violenza contro la rivelazione e testimonianza cristiana, che perciò percepiscono come aggressiva e destabilizzante, se non anche insolente.

I "cristiani" sperano e anche sanno - al contrario - che invece l’eredità della morte è la vita. Per i "cristiani" infatti la vita non è un’inutile passione, ma una vocazione reale, concreta e divina, fondata sulla luce immarcescibile del Risorto e della Risurrezione, una vocazione all’amore, cioé alla vita eterna e immortale.

I "cristiani" "sanno" che l’eredità della morte è la vita eterna, la vita stessa del Signore Risorto, quella vita eterna di cui la vita del Signore Risorto è pegno e primizia.

 

Queste sono, infatti, le parole stesse di tale lieto annunzio pronunciate da San Paolo e riportate da San Luca negli Atti degli Apostoli (Atti 13, 30-33):

"Deus vero suscitavit eum a mortuis tertia die, qui visus est per dies multos his qui simul ascenderant cum eo de Galilea in Ierusalem, qui usque nunc sunt testes eius ad plebem. Et nos vobis adnuntuiamus eam, quae ad patres nostros repromissio facta est; quoniam hanc Deus adimplevit resuscitans Iesum"

 

"Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli é apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono suoi testimoni davanti al popolo. E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri nostri si é compiuta; poiché Dio l' ha attuata risuscitando Gesù"

 

 

 

 

 

 

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22 - Il termine "Il Signore - Kyrios" .

Dopo la Risurrezione i cristiani cominciarono a chiamare espressamente Gesù di Nazaret: "il Signore". Gesù Risorto è "il Signore Gesù".

 

Il termine "Signore" era già stato usato nei suoi confronti, alcune volte, negli anni precedenti la Sua Risurrezione, come risulta dalle narrazioni evangeliche, a significare forse semplicemente rispetto e cortesia, conformemente alle normali abitudini sociali.

(Comunque significativo e speciale é l' uso del termine "Signore", nel contesto - circonfuso di luce pasquale - dell' episodio della Trasfigurazione: "Pietro prendendo la parola disse: Signore ..." Matteo 17,4 "Respondens autem Petrus, dixit ad Iesum: Domine...".

Alcuni studiosi ritengono in effetti che il titolo "Signore", usato da certi brani evangelici relativi ad episodi precedenti la Risurrezione, sia prevalentemente redazionale, giacché quei brani di Vangelo furono concretamente poi definitivamente redatti dopo la Risurrezione e perciò alla luce della Risurrezione già avvenuta)

 

Ora invece sì, dopo la Risurrezione, Lo chiamano espressamente "il Signore", il Signore Gesù, con la piena valenza del termine Il SIGNORE!. In Lui, il Signore Gesù, risplende, ormai visibile, la Gloria di Dio.

Egli, il Risorto, è infatti il Signore della vita e della morte, della morte e della vita.

Gli apostoli, i discepoli e la prima comunità cristiana attribuirono il titolo di "Signore-Kyrios" a Gesù di Nazaret, con la chiara ed esplicita consapevolezza dell' intima connessione di questo titolo con la nuova condizione di "Risorto" del Figlio di Maria, cui adesso é stato perciò dato

ogni potere in cielo ed in terra, cioé dall' una e dall' altra parte della frontiera, attraverso la quale egli transita ormai con totale libertà.

"Et accedens Iesus (il Signore già Risorto) locutus est eis: Data est mihi omnis potestas in caelo et in terra: Euntes ergo, docete omnes gentes, ... Et ecce ego vobiscum sum omnibus diebus, usquae ad consummationem saeculi" (Matteo 28, 18 ss).

"E Gesù (il Signore già Risorto) avvicinandosi così parlò loro: A me é stato dato ogni potere in cielo ed in terra: andate dunque, istruite tutte le genti ... Ed ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo". (Matteo 28, 18 ss)

 

Scaturendo dall' evento della Risurrezione, la Signoria di Gesù Cristo é Signoria prima di tutto sulla morte: "La morte non ha più potere su di Lui"! - "Christus resurgens ex mortuis iam non moritur, mors illi ultra non dominabitur"! (Romani 6,9).

 

Gesù, "il Crocifisso Risorto", é vivo; non come chi non ha ancora incontrato la morte - e quindi é ancora un suo suddito potenziale - ma come chi, avendola incontrata, l' ha superata, traspassata e vinta: Egli é quindi il dominatore della morte.

 

 

In questo concreto ordine di cose, in cui ci é toccato di vivere, in questo mondo e da questa parte della frontiera, la morte é la sola potenza invincibile: tutti appaiono a lei sottomessi, predestinati a cadere presto o tardi in suo potere: questo, così ed umilmente, lo vedono bene anche "certi altri pagani", cioé "quegli altri pagani", sensibili, inquieti e di "buona volontà", cui é diretto del tutto specialmente l' annuncio del Vangelo.

"Gloria in altissimis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis" (Luca 2, 14) - "Euntes in mundum universum, praedicate evangelium omni creaturae" (Marco 26, 15)

 

Dalla caduta di Adamo fino a Gesù Cristo, la morte si é imposta quasi come la antitesi di Dio, che é "vita ed amore", ed ha fatto del mondo - da questa parte della frontiera - il suo regno: "La morte ha regnato": "Sed regnavit mors" (Romani 5,14).

 

Essa, la morte, é dunque "la signora" dell' universo - da questa parte della frontiera - ma se invece c'é Uno che l' ha sconfitta, allora é Lui il Signore.

Avendo spodestato la morte, Egli é subentrato a lei in tutta la ampiezza del suo dominio, perciò Gesù, il Risorto, é il Signore - Kyrios - di tutti senza eccezioni, non solo di quelli che vivono oggi sulla terra, ma anche di quelli che sono vissuti prima o vivranno dopo: Egli é il Signore!

"Per questo Cristo é morto ed é tornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi" (Romani 14,9) "In hoc enim Christus mortuus est et resurrexit, ut et mortuorum et vivorum dominetur".

 

La Apocalisse - il "Liber Consolationis" del tempo della gran persecuzione ed il Libro Conclusivo del Nuovo Testamento - così riporta la Signoria del Risorto: "Io sono il Primo e l' Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre ed ho il potere sopra la morte ..." (Apocalisse 1, 17-18).

"Ego sum primus et novissimus: et vivus et fui mortuus et ecce sum vivens in saecula saeculorum et habeo claves mortis ..."

Paolo e Sila, alla domanda del "carceriere", nel noto episodio di Filippi, rispondono così: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvo"! (Atti 16,31) - "Crede in Dominum Iesum et salvus eris"!

 

Ecco infatti le celebri e belle parole di Gesù di Nazaret, il Risorto, il Signore Gesù:

"Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se fosse morto vivrà, e chi vive e crede in me non morirà in eterno"! (Giovanni 11, 25-26)

"Dixit ei Iesus: Ego sum resurrectio et vita: qui credit in me, etiam si mortuus fuerit vivet; et omnis qui vivit et credit in me, non morietur in aeternum"!

 

La Gloria, che viene donata nel Signore Risorto, non vuole tuttavia essere così sfolgorante da umiliare noi e coloro, cui viene offerta come "Evangelium Vitae".

Vuole invece essere così consolante ed amichevole da aprire sempre più il cuore alla speranza, alla fede, ed indurre ad appoggiarsi definitivamente, senza esitazione e senza timore in Dio.

Perciò dunque - sia per i nostri fratelli pagani "di buona volontà", come per ognuno di noi che già Lo seguiamo - valgono le parole amichevoli e cordiali del Signore Risorto:

"Ecco io sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce ed apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui e lui con me"! (Apocalisse, 3, 20).

"Ecco io verrò presto e porterò con me il mio salario ... Io sono l' Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine. Beati cloro che ... avranno parte all' albero della vita e potranno entrare per le porte .... Io, Gesù ... sono la stella radiosa del mattino ... Vieni Signore Gesù ...Chi ha sete venga. Chi vuole attinga l' acqua della vita gratuitamente ... Sì verrò presto"! (Apocalisse 22, 12-20)

"Ecce sto ad ostium et pulso: si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi ianuam, intrabo ad illum et cenabo cum illo, et ipse mecum"!

"Ecce venio cito, et merces mea mecum est ... Ego sum alpha et omega, primus et novissimus, pricipium et finis. Beati qui lavant stolas suas ... ut sit potestas eorum in ligno vitae, et per portas intrent ... Ego Iesus ...sum stella splendida et matutina ... Veni Domine Iesu ... Et qui sitit veniat. Et qui vult accipiat aquam vitae gratis ... Etiam venio cito"!

 

 

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23 - Breve epilogo: Andando con Lui verso ... Dalmanuta, i discepoli trovano ... la Gloria di Dio!

 

 

"Dopo di ciò salì sulla barca coi suoi discepoli ed andò dall' altra parte del mare in una regione, chiamata Dalmanuta" (Marco 8,10).

"Egli era la luce vera, quella che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Egli era nel mondo ed il mondo era stato fatto per mezzo di Lui .... e noi abbiamo contemplato la sua gloria ..."! (Giovanni 1, 9-14)

"Et statim ascendens navim cum discipulis suis, venit in partes Dalmanutha" (Marco 8,10)

"Ille erat lux vera, quae illuminat omnem hominem venientem in huc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est ... et vidimus gloriam eius..."! (Giovanni 1, 9-14)

 

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"Signore io amo la bellezza della tua casa ed il luogo ove abita la tua gloria" (Salmo 25/26, 8) - "Domine dilexi decorem domus tuae et locum habitationis gloriae tuae"!

 

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Appendice

 

 

Articolo apparso sul Settimanale "Il Risveglio", di Ravenna-Cervia, nella Santa Pasqua 2000

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Resurrexit !

"Nolite expavescere; Iesum quaeritis Nazarenum, surrexit"!

("Non abbiate paura: Gesù Nazzareno, che voi cercate, é risorto"! - Marco 16,6)

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Non fanno bene i pagani ad affidare tutta la loro vita, la genealogia del loro essere, i loro amori e le loro speranze, alla fragile apparenza di questo mondo: questa loro fede – nelle apparenze effimere di questo mondo - è altrettanto difficile che amara, ed anzi, crudele.

 

Il pagano è, in effetti, colui che crede reale ciò che cade sotto la vista dei suoi dei suoi occhi della carne o ciò che può toccare con le sue mani: questo é "il reale" per il pagano.

Mentre invece è davanti a tutti la relativa rapidità con cui questa

illusione evapora e svanisce, come neve al sole, non lasciando alcuna

traccia, come nave nel mare.

D’altra parte, come poter credere ai pagani che vorrebbero negare ciò

che è "il reale" di noi cristiani ??

È possibile conoscere l’amore umano, il colloquio profondo di un amico,

il bello del creato, lo stupore del cuore .... e dire che tutto ciò è nulla,

che dal nulla viene, che al nulla si riduce e che nulla è la ragione che lo

ha prodotto e sostenuto ??

Come è severa la fede e l’ascesi del pagano, la fede e l’ascesi del nulla!

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1 - Il Vangelo "secondo Ravenna".

 

Ci si potrebbe domandare: come si può vivere senza la ragione del vivere??

La fede cristiana di noi "ravennati" è celebrata in tutto il mondo e non da oggi; il famoso scrittore André Frossard è venuto ogni anno a Ravenna da Parigi, per quarant’anni – da quando era ateo e pagano fino a quando è divenuto cristiano e credente - ad abbeverarsi alla luce della fede cristiana di Ravenna, che risplende diffusa sui nostri celebrati mosaici: è la luce "immarcescibile" della Risurrezione di Cristo, la luce della vita eterna!

Frossard chiamò i nostri mosaici ravennati "Il Vangelo secondo Ravenna" ed anche li definì: frutto del "secolo d’oro della Fede Cristiana nella Vita Eterna".

Il soffio della vita eterna del Signore Gesù, risorto per sempre, plana

robusto sui mosaici nostri e sulle vite nostre: in realtà la magia dei nostri

mosaici, come dice Frossard, sta nel fatto che i volti e le espressioni e gli

sguardi dei personaggi dei nostri mosaici guardano, come incantati e

stupefatti, dall’altra parte della frontiera, direttamente nella vita eterna,

anzi ci guardano e già ci sono, già ci danzano con armonia; la vita eterna

è già qui e già ci illumina.

In effetti i primi cristiani erano rimasti violentemente impressionati

dal "fatto" della Risurrezione del Signore Gesù e dal "senso della vita"

che emanava da questo "fatto", che essi stessi avevano sperimentato in modo del tutto inatteso e concreto.

Il "fatto" della Risurrezione (cui noi "ravennati" abbiamo dedicato la

nostra Cattedrale: la Cattedrale della Risurrezione) cambiava molto il

senso della loro vita. La vita cambia molto alla luce della Risurrezione:

sia la vita personale di quelli che credono e credendo vedono, sia il senso

proprio intrinseco della vita in sé, la consistenza stessa e il fine del vivere.

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2 - L' esperienza del Risorto.

 

I primi cristiani, quelli che erano passati dal timore alla gioia,

erano come folgorati dall’immagine del "Risuscitato", dall’esperienza del

Corpo di Cristo Risuscitato: il Risorto!

Il Corpo Glorioso di Cristo Risorto, che essi videro e toccarono davanti al sepolcro ormai vuoto, in cammino verso Emmaus, nel Cenacolo, sulla riva del lago di Tiberiade, ... , senza alcun dubbio era il Signore Gesù e rivelava loro il destino del corpo umano.

Questa è la realtà che sperimentarono i discepoli: il Corpo di Lui,

vivente nello Spirito, inondato dallo Spirito Santo, e giunto alla sua

pienezza, come primizia per noi.

La realtà che essi sperimentarono corrisponde in effetti all’istinto

profondo di ogni essere umano. Ogni uomo ha, nel fondo del suo io, l’istinto indelebile di una perfezione eterna del suo corpo: sa, sente, presente, che il corpo umano non è il corpo di un animale ed è rivestito di un mistero stampato in esso e trascendente rispetto a quello di un animale.

Dirà San Pietro con tutta certezza: "Noi abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la Sua Risurrezione" (Atti 10.15).

Fu a causa del fatto che lo videro impavidamente e concretamente

risuscitato che essi impegnarono tutto ciò che restava della loro vita,

predicando questo avvenimento reale, che ormai li dominava e che poi li

condusse fino agli estremi della terra, capaci di sopportare vicissitudini

e persecuzioni inenarrabili e interminabili, con il cuore illuminato da

un’allegria "immarcescibile".

Ma cosa videro coloro che videro il Signore Gesù Risuscitato??

Com’era il Risuscitato?? Come fu questo impatto, così forte da lasciare

impressionata per sempre la Chiesa e la stessa umanità ??

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- 3 - Le due caratteristiche del Risorto: uguale e differente.

 

Il Corpo di Nostro Signore Gesù Risuscitato aveva due caratteristiche

peculiari:

1) il Corpo del Risuscitato era uguale, assolutamente uguale al Corpo di Cristo di prima della Resurrezione;

 

2) ed e edinoltre, il Corpo del Risuscitato aveva caratteristiche totalmente differenti dal Corpo di Cristo di prima della Resurrezione.

I discepoli lo videro, lo udirono, sentirono la sua vicinanza fisica e

la sua presenza, osservarono i normali processi fisici del suo corpo, come

ad esempio quello di mangiare; la sua esistenza attuale dopo la Resurrezione era completa, comprendeva Gesù intero, la sua sostanza, il suo carattere, il suo modo di essere, le sue maniere umane, gli avvenimenti del suo vivere (le piaghe della Crocifissione sono presenti in Lui ed egli le mostra).

Con Lui sta presente in lui il suo corpo intero, la sua vita vissuta,

tutto il destino che ha percorso, tutti gli affetti per i suoi amici,

tutta la sua passione e la sua morte ... questa è la realtà che sperimentano

i discepoli.

D’altra parte essi videro senza alcun dubbio il Signore che stava nel

mondo, senza appartenere esclusivamente al mondo: lui stava ancora nell’ordine di questo mondo, ma già stava nell’ordine della Vita Eterna, che è appunto la dimensione nuova in cui egli ci viene introducendo mediante la sua Risurrezione.

Il Corpo del Risuscitato aveva, dopo, caratteristiche differenti rispetto

a prima della Risurrezione, ci sono addirittura parole nuove per descriverle: prima andava e veniva con loro, ora appare, sparisce, all’improvviso sta in mezzo a loro, ... il repentino che irrompe e che contrasta con l’abituale ...., egli entra ed esce dallo spazio e dal tempo: "Io sono la porta; se qualcuno entra per me sarà al sicuro, entrerà e uscirà" (Giovanni 10, 9).

C’è qualcosa di nuovo e differente che riveste il Suo Corpo dopo la

Risurrezione: prima lui veniva e andava con loro, adesso non sta sempre con loro, la sua vicinanza non sempre è immediatamente identificata e tuttavia è sorprendente, conturbante e portatrice di pace e di ardore, si dice che appare, che cammina all’improvviso accanto a loro, che sparisce.

Andavano con lui nel cammino senza ancora riconoscerlo, poi alla

frazione del pane lo riconobbero; parlava con loro e ancora non lo

identificavano e di repente, al pronunciare "un nome", lo riconoscevano ...; e così il Corpo risuscitato può entrare nel Cenacolo attraverso porte chiuse, come prima non avveniva....

Le barriere della corporeità già non esistono per lui; si muove con

tutta libertà dentro e fuori delle frontiere del tempo e dello spazio,

dentro e fuori le frontiere del Regno, passa da un lato all’altro della

frontiera con facilità e con una libertà nuova, che è impossibile sulla terra

per gli altri.

Da un lato nel Signore Risorto nulla è cambiato realmente, egli non ha

abbandonato nulla di ciò che egli era prima; il suo corpo, la sua vita, tutto è reale, la sua esistenza corporea attuale, dopo la Risurrezione, è completa, comprende Gesù intero.

 

Da un altro lato egli riveste ora una novità ed un potere nuovi e guardare ed osservare questa realtà era per i discepoli qualcosa di più e di diverso che vedere una persona normale e che normalmente vive: era per loro la rottura di un’abitudine o di una consuetudine naturale.

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4 - I "due mondi" del Signore Risorto: "questo mondo " e la "vita eterna".

 

Ci si potrebbe domandare ora: c’è un’esperienza umana che possa essere rapportata a questa del Corpo Risuscitato del Signore Gesù, cioè di appartenere contemporaneamente a due mondi ?? Cioè: c’è una dimensione ed un’esperienza, nota all’uomo e certissima, con cui l’uomo possa leggere, con linguaggio a lui conosciuto, il fatto della Risurrezione e della Vita Eterna ??

Se gli occhi della carne sono inadeguati per vedere ciò che è reale,

come è troppo comprovato dall’esperienza dei pagani: come si può fare

per vedere ??

Saint-Exupery lo dice apertamente in quel suo così noto e prezioso libro "Il Piccolo Principe": gli occhi della carne non servono per vedere,

danno infatti una visione cieca, come andando nella nebbia; per vedere

occorre guardare con gli occhi del cuore.

Per navigare nella nebbia ci vuole un "radar": il cuore è quel

"radar" costruito con "occhi" capaci di vedere ciò che è reale.

Il nostro tempo è così sensibile al tema dell’amore; ma l’amore non

è in verità poetico ed effimero o inconsistente, come così spesso sembrano

crederlo i pagani; l’amore, che ogni uomo può conoscere con il suo cuore,

è reale, oggettivo, consistente: è "il reale in sé" ed è il fondamento di

tutto il resto, anzi, è la vera chiave di lettura di tutto.

La persona umana è in effetti progettata e costruita come un "computer" capace di giungere a vedere il mistero reale dell’Amore.

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5 - L' Amore "risorto" é Dio.

 

La "dimensione" dell’Amore è della stessa natura della "dimensione"

della Vita Eterna, giacché in entrambi i casi si è al di là e al di qua,

contemporaneamente, della frontiera dello spazio e del tempo.

 

Un "amore - andando" ha tutte le stesse caratteristiche analoghe a

quelle tipiche che aveva il Corpo Risorto del Signore Gesù: può camminare vicino a te ancora senza farsi riconoscere e già ardendo nel tuo cuore; può

apparire all’improvviso e può sparire dileguandosi per un momento; può

essere identificato al pronunciarsi di un "nome"; può attraversare

direttamente pareti e porte chiuse e rendersi palpabile; può alimentare

i cuori degli amici all’alba sulle rive del lago, .... , e soprattutto può dare

una gran gioia e una pace "immarcescibili": l’Amore risorto è Dio e Dio

è reale, è l’unico reale che non evapora mai e che non è effimero.

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6 - L' annuncio del Signore che viene: "ecco io sto alla porta e busso".

Dovremmo fare anche noi come i discepoli ed i primi cristiani: andare

con gioia ed umilmente a raccontare ai pagani di buona volontà ciò che in

realtà essi cercano, pre-sentono e di cui hanno una struggente nostalgia ed

un’estrema necessità: "Nolite expavescere, Jesum quaeritis Nazarenum,

Surrexit" Alleluia! - "Non abbiate paura: Gesù Nazzareno che voi cercate, è risorto" Alleluia! - (Marco 16, 6).

Anche noi personalmente, come i discepoli dopo la morte di Gesù e

prima della sua impavida risurrezione, siamo stati nella paura e nell’ombra

della morte, cioè nell’angoscia del nulla; ma ormai i nostri piedi, come lo annuncia gioioso il profeta Isaia, sono beati, perché noi cristiani siamo ormai, per noi stessi – gli uni per gli altri - e per i pagani di buona volontà, come le sentinelle: che

hanno visto ed annunciano, all’aurora, il Signore che ritorna! (Isaia 52, 7-10).

Per i nostri fratelli pagani, come per ognuno di noi, valgono infatti

le belle parole amichevoli del Signore Risorto: "ecco io sto alla porta e

busso, se qualcuno ascolta la mia voce ed apre la porta, io verrò da lui e

cenerò con lui e lui con me". (Apocalisse 3, 20).

Mario Marini

Sacerdote di Ravenna- Cervia

Santa Pasqua di Resurrezione 2000

 

INDICE GENERALE

 

PRESENTAZIONE *

PRIMA MEDITAZIONE *

INTRODUZIONE GENERALE

IL METODO DEGLI ESERCIZI

DISPOSIZIONI PERSONALI PER ENTRARE AGLI ESERCIZI SPIRITUALI

SECONDA MEDITAZIONE *

CHI È DIO? *

TERZA MEDITAZIONE: *

COM’È DIO? *

QUARTA MEDITAZIONE *

IL REGNO *

QUINTA MEDITAZIONE *

LA PERSONA UMANA *

SESTA MEDITAZIONE *

I DUE AMORI *

SETTIMA MEDITAZIONE *

LA PREGHIERA *

OTTAVA MEDITAZIONE *

SPECULUM VISIBILE INVISIBILIS DEI

("Specchio visibile dell' invisibile Dio")

I DISCEPOLI DEL SIGNORE GESU'

NONA MEDITAZIONE *

A PROPOSITO DELLA PERSONA DEL SIGNORE GESU’ *

DECIMA MEDITAZIONE *

SUL DISCERNIMENTO DI UNA VOCAZIONE SACERDOTALE *

UNDICESIMA MEDITAZIONE *

NOSTRA SIGNORA SANTA MARIA, MADRE DI DIO E MADRE NOSTRA *

DODICESIMA MEDITAZIONE *

LA RISURREZIONE DEL SIGNORE GESÙ *

Appendice:

Articolo sopra la Risurrezione

Santa Pasqua 2000 *

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Traduzione del Testo dallo spagnolo:

Prof.ssa Agnese Saglia

Revisione: Sac. Carlo Bertola

 

 

 

 

INDICE DEI SOTTOTITOLI

 

PRESENTAZIONE *

1 - Una Nuova Evangelizzazione. *

2 - Ritirarsi in disparte *

3 - Un amico del Messico e dell' America Latina. *

PRIMA MEDITAZIONE *

INTRODUZIONE GENERALE *

1 - "Come il vento". *

2 - Una "vocazione" dalla regione di "Don Camillo". *

3 - "Pio-Latino-Americanos". *

4 - Gli "esercizi": in disparte *

5 - Dalmanùta. *

6 - Il fine: la conversione del cuore. *

7 - Il metodo: in parallelo al "cuore" di Dio. *

8 - L' egocentrismo e la salvezza. *

9 - La tecnica del "paradosso". *

10 - Lo "sguardo" e la sua direzione *

11 - Vestiti da "bambini" e da "adulti". *

12 - Il linguaggio degli "esercizi" e linguaggio degli "spirituali". *

13 - Esistenzialimo e spiritualità vivente :tre letture bibliche. *

1) "un mistero ardente". *

2) "una brezza soave". *

3) "la gloria splendente" *

14 - Disposizioni personali per gli Esercizi Spirituali. *

15 - "si fermarono presso di Lui" *

SECONDA MEDITAZIONE *

CHI È DIO? *

1 - Una "intuizione universale". *

2 - Dio é una "relazione". *

3 - il Mistero della Trinità *

4 - La "ragione" di Dio. *

5 - La Gloria di Dio, missione del Signore Gesù. *

6 - L'Amore di Dio e le "fragili colonne del Cielo". *

7 - Lo spazio ed il tempo. *

8 - La "categoria" di Dio. *

9 - La "prova" di Dio *

10 - Il vero Amore. *

11 - I "pagani" e l' Amore di Dio. *

12 - I cristiani ed "il senso reale della vita". *

13 - Un altro mondo: là dove vive l' Amore. *

14 - La "seduzione" dell'Amore di Dio. *

TERZA MEDITAZIONE: *

COM’È DIO? *

1 - Un "tesoro nascosto": la "categoria" *

2 - Che cosa sono lo spazio ed il tempo ? *

3 - Fotografia ed immagine dell' "Amore andando" *

4 - La "passione" ed il "fine" di Dio *

5 - La "ragione" di Dio e la "ragione del vivere" *

6 - Conoscendo Dio, conosciamo noi stessi *

7 - L' "atto libero" e l' Amore Trinitario *

8 - La "ragione dell' Amore" é assoluta *

9 - Il potere dell' Amore. *

10 - Gran "Fotografo" é Dio *

11 - La "morale" del "Fotografo" *

QUARTA MEDITAZIONE *

IL REGNO *

1 - Le "categorie" del mondo *

2 - I "pagani" *

3 - Il pagano ed il mondo *

4 - "Enigma" e "labirinto" *

5 - Il tempo e l' eternità *

6 - La "luce" e la "porta". *

7 - L' evangelista San Giovanni. *

8 - Come evangelizzava il Signore Gesù ? *

9 - "Memoria" e "parabole". *

10 - Il "giornale" parlato e cantato in versi. *

11 - La categoria del "Regno". Un treno ed un pagano *

12 - La nebbia ed il mare: un "radar" *

13 - La frontiera del Regno. I "due mondi" *

14 - La "luce nella vetrata", la "porta", il "passaggio" nella frontiera. *

15 - Dall' altra parte della frontiera *

16 - L' Amore é "fin d'ora" *

17 - Il "regime della Legge" e San Paolo. *

18 - Come andare dall' altra parte della frontiera *

19 - Due linguaggi e due logiche differenti nelle due parti del "confine" *

20 - Chi ama avrà tutto, chi non ama perderà tutto *

21 - Dove si trova la porta "la dogana" per attraversare la frontiera? *

22 - Il "fuoco", secondo Santa Caterina da Genova. *

QUINTA MEDITAZIONE *

LA PERSONA UMANA *

1 - "L' uomo vivente é la gloria di Dio". *

2 - "aut duo aut nemo". *

3 - Attraverso l' "impersonale": dall' io al tu verso la reciprocità. *

4 - L'uomo e la sua maschera. *

5 - L'amore: libertà e fedeltà. *

6 - Gli avvenimenti, le qualità e la persona. *

7 - Trasparenza e reciprocità. *

8 - La persona umana: immagine della Trinità. *

9 - Amicizia e cameratismo. *

10 - Il regime di libertà. *

11 - Libertà e Dio. *

12 - Penombra e libertà. *

13 - L' atto libero e la "genealogia divina" della persona umana. *

SESTA MEDITAZIONE *

I DUE AMORI *

1 - Le varie facce dell' amore. *

2 - La forza dell' amore: dove conduce ? *

3 - La "diffusione" dell' amore: come si propaga ? *

4 - La promozione della persona. *

5 - Una Presenza misteriosa. *

6 - Tre tipologie di amore. *

7 - Il "radicalismo" dell' amore: o é tutto, o non é *

8 - Lo Spirito Santo: L' Amore in Dio e l' Amore di Dio. *

9 - "Co-intuizione, per trasparenza". *

10 - La "condiscendenza" di Dio e l' unità dei due Amori. *

11 - Come luce in una vetrata e "come in uno specchio". *

12 - La contrapposizione e la beneficienza. *

13 - L' Amicizia: tema cristiano *

14 - Senza amicizia nessun amore sussiste *

SETTIMA MEDITAZIONE *

LA PREGHIERA *

1 - L' enigma dell' amore *

2 - L' enigma della vita *

3 - Che cos'é la preghiera ? *

4 - Che cos'é la preghiera umana ? *

5 - La preghiera umana di unione e di invocazione. *

6 - La preghiera di ringraziamento. *

7 - La "preghiera" attraversa la mediazione del cuore delle persone. *

8 - Dio, "un' intimità dentro un' intimità". *

9 - La preghiera inter-umana e la preghiera a Dio *

10 - Conoscere Dio per conoscere l'uomo: "noverim te, noverim me". *

OTTAVA MEDITAZIONE *

SPECULUM VISIBILE INVISIBILIS DEI *

("Specchio visibile dell' invisibile Dio") *

I DISCEPOLI DEL SIGNORE GESU' *

1 - Sant' Agostino e San Girolamo. *

2 - "Sacerdos alter Christus". *

3 - "Vos amici mei estis"! *

4 - "Speculum visibile invisibilis Dei". *

5 - "Amicitia discipulorum Domini, Speculum Gloriae Dei". *

6 - "Speculum Trinitatis" *

7 - Il sacerdote non é un "funzionario". *

8 - La fraternità sacerdotale. *

9 - Esperienza esistenziale. *

10 - Sacramento di "stato di vita". *

11 - "Che siano una cosa sola - ut unum sint". *

12 - La cultura occidentale. *

13 - La cultura orientale. *

14 - La Fraternità di Sangue. *

15 - Le promesse e l' Alleanza. *

16 - Conclusione dell' Alleanza. *

17 - Fratelli di Sangue *

18 - La categoria del "mangiare" *

19 - Il "Fare comunione" - "mangiando" *

20 - Il "Fare Eucarestia" *

21 - "L' Amicizia é un grande Regno" *

22 - Specchio visibile dell' infinito Amore di Dio *

23 - La "economia dei Vangeli e la costruzione dello "specchio". *

NONA MEDITAZIONE *

A PROPOSITO DELLA PERSONA DEL SIGNORE GESU’ *

1 - Gerico *

2 - "Passa Gesù , il Nazzareno" *

3 - Decodificare e decifrare il Vangelo, seguendo ed osservando il Signore Gesù. *

4 - Il Volto del Signore Gesù: "vultum tuum Domine requiram". *

5 - I martiri romani e la tradizione della loro immagine. *

6 - Indizi ed indicazioni: la "pseudo-lettera di Lentulo". *

7 - Gesù di Nazaret, "transiit benefaciendo", "una potenza usciva da lui" *

8 - L' aspetto umano di Gesù di Nazaret: la tradizione delle immagini del Signore *

9 - Il Volto di Gesù ed il Volto della "Sindone" *

10 - La "fotografia" del Volto di Gesù *

11 - Il Volto di Maria *

12 - La missione del Signore Gesù. *

13 - Morte e Risurrezione *

14 - Gesù di Nazaret, la sua umanità *

15 - Gesù di Nazaret: "figlio di Dio, figlio dell' uomo". *

16 - "Agnello di Dio", "Figlio di Davide", "Maestro" e "Medico delle anime e dei corpi" *

17 - La seduzione dell' Amore *

DECIMA MEDITAZIONE *

SUL DISCERNIMENTO DI UNA VOCAZIONE SACERDOTALE *

1 - I criteri di osservazione. *

2 - L' uso della psicologia. *

3 - Abusi molto gravi nell' uso della psicologia. *

4 - Libertà di coscienza e discernimento di una vocazione *

5 - Vocazione sacerdotale e "determinismi psichici" *

6 - I "segni dei tempi" *

7 - Variegate santità ed anomalie rispetto a "criteri deterministici". *

8 - Vocazione sacerdotale e vocazione canonica *

9 - Il Criterio: "apostolica vivendi forma" *

10 - La vita degli Apostoli. *

11 - Il celibato sacerdotale e l' "apostolica vivendi forma". *

12 - "Sequela Christi": mirare a Lui, verso la méta. *

13 - "Dalmanuta": la méta misteriosa. *

14 - L' "ordine" sacerdotale: una comunione. *

15 - La "intuizione": di un progetto globale ed irrinunciabile *

16 - "Fantasmi" e realtà: "Sacerdos alter Christus"! *

17 - Una testimonianza: non poter essere altrimenti *

18 - Convenienza del celibato col sacerdozio *

19 - Clero coniugato e clero celibe (Mons. Alfred Ancel) *

20 - Una analogia fra i due sacramenti di "stato di vita", matrimonio e sacerdozio *

21 - Tre aspetti fondamentali, immemoriali ed indicativi presso gli Orientali. *

22 - Il Celibato Sacerdotale e la volontà della Chiesa. *

23 - Il Celibato: legge puramente ecclesiastica o criterio di intuizione e discernimento della vocazione ? *

24 - "Sacerdos enim alter Christus" *

25 - Il sacerdote: uomo evangelico o uomo clericale. *

UNDICESIMA MEDITAZIONE *

NOSTRA SIGNORA SANTA MARIA, MADRE DI DIO E MADRE NOSTRA *

1 - Chi é la Vergine Maria ? *

2 - Lettura biblica del ruolo di Maria *

3 - Lettura ecclesiale del ruolo di Maria *

4 - Interventi della Madre di Dio: le apparizioni. Primo caso:le apparizioni del tutto private *

5 - Secondo caso: le apparizioni con risonanza pubblica ed i Santuari *

6 - Maria Ausilatrice: "Virgo Potens", la Regina delle Vittorie *

7 - Guadalupe *

8 - Lourdes, Fatima ...: c'é un "segreto" nell' Amore di Dio *

9 - Il Privilegio dell' Amore di Dio *

10 - "Hai trovato grazia presso Dio": Maria piena di grazia *

11 - Il ruolo attuale e dinamico della Madre di Dio *

12 - Ruolo di presenza attiva ed efficace. *

13 - Una parentesi redazionale *

14 - Santa Maria: "la donna forte" della Sacra Scrittura. *

15 - Cosa sappiamo del Suo cuore? "Evangelium Mariae". *

16 - L' evangelista San Luca e gli altri evangelisti dell' "infanzia di Gesù" *

17 - Maria serbava tutte queste cose, meditandole nel Suo cuore (Lc 2,19). *

18 - Maria, la Madre del Signore, ed il Vangelo di Luca: incanto, gioia e pace *

19 - Maria, "causa nostrae laetitiae": allegria indicibile *

20 - Il Santo Rosario: "evangelium vitae cum Maria" *

21 - "Distrazione" o "familiarità" col Santo Rosario: ed il Beato Papa Giovanni XXIII *

22 - Antonio Boturini, l'apostolo della Madonna di Guadalupe *

23 - "Non fecit taliter omni nationi": il singolare privilegio di Guadalupe. *

24 - Conclusione mariana: "Posuerunt me custodem". *

DODICESIMA MEDITAZIONE *

LA RISURREZIONE DEL SIGNORE GESÙ *

1 - La Croce: trofeo, ormai, di vittoria e di gloria *

2 - Gesù, il Signore, é Risorto *

3 - Come era realmente il Risorto ? *

4 - Le caratteristiche del Corpo del Signore Risorto. i due di Emmaus. *

5 - La prima testimonianza della Risurrezione: Maria Maddalena. *

6 - Le caratteristiche dell' Amore: *

7 - Ritorno a Gerusalemme: il giovane Marco, l'evangelista. *

8 - Le apparizioni del Risorto. *

9 - Il potere dell' Amore. *

10 - La reazione dei discepoli. *

11 - L' orizzonte femminile del Signore Gesù. *

12 - Il Risorto si presenta in mezzo a loro: "stetit in medio eorum". *

13 - San Luca e San Paolo. *

-14 - Gesù "mangia",in presenza dei suoi discepoli, dopo la Risurrezione *

15 - "Ciò che le nostre mani hanno toccato". *

16 - La apparizione sulla riva del Mare di Galilea. *

17 - Il dialogo con Simon Pietro. *

18 - L' annunzio: "evangelium resurrectionis". *

19 - Le caratteristriche "nuove" del Risorto. *

20 - Gesù appare ai Suoi. *

21 - La testimonianza del Risorto. *

22 - Il termine "Il Signore - Kyrios" . *

23 - Breve epilogo: "andando verso Dalmanuta, trovano la Gloria di Dio" *

Appendice, Articolo di Pasqua *

"Nolite expavescere; Iesum quaeritis Nazarenum, surrexit"! *

1 - Il Vangelo "secondo Ravenna". *

2 - L' esperienza del Risorto. *

3 - Le due caratteristiche del Risorto *

4 - I "due mondi" del Signore Risorto *

5 - L' Amore "risorto" é Dio *

6 - L' annuncio: "ecco io sto alla porta e busso". *

 

 

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