Il senso teologico della Liturgia

di

Bruno Forte

 

L’incontro del tempo e dell’Eterno, compiutosi nelle meraviglie della storia della salvezza, viene ad attualizzarsi in modo sempre nuovo nella liturgia della Chiesa: in essa la Trinità mette le sue tende nel tempo, e il tempo si riconosce accolto nell’amore vivificante della Trinità. Nella liturgia la Trinità si offre come "dimora" e come "patria" dell’esistenza redenta: in essa il credente non sta davanti all’Eterno come uno straniero davanti all’irraggiungibile trascendenza, ma entra nelle profondità di Dio, lasciandosi avvolgere dal mistero delle relazioni divine nella comunione della Chiesa, vera "icona della Trinità". Lo specifico della preghiera liturgica, che la distingue da ogni altra forma di preghiera, è pertanto di essere preghiera trinitaria: nello Spirito, per il Figlio la comunità che celebra va al Padre, ed è dal Padre, per il Figlio, che ogni dono perfetto le viene nello Spirito Santo. Perciò le orazioni liturgiche si concludono con la formula trinitaria, che muove verso Dio Padre, per Cristo, nello Spirito, o accoglie dal Padre il dono dello Spirito per mezzo del Figlio. Così, la celebrazione dell’eucaristia, culmine e fonte della liturgia e dell’intera vita ecclesiale, consiste precisamente in questo movimento dalla Trinità alla Trinità, nel seno della Trinità: essa benedice il "Padre veramente santo", invocandolo perché invii il dono dello Spirito e perché questo dono renda il Cristo presente per coloro che fanno memoria della sua passione e della sua resurrezione. Dopo che il dono è stato invocato mediante l’azione di grazie al Padre e reso presente attraverso l’epiclesi dello Spirito e il memoriale del Figlio, i credenti ritornano al Padre per lo stesso Figlio nel medesimo Spirito, partecipando al pane e al vino trasformati dallo Spirito Santo nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, affinché tutto salga verso Dio Padre per Cristo, con Lui ed in Lui, nell’unità dello Spirito Santo, a lode della Sua gloria (cf. su questa struttura trinitaria l’opera che ha preparato immediatamente, nei suoi fondamenti biblici, patristici e teologici la teologia liturgica del Vaticano II, voce dell’unanime tradizione cattolica: C. Vagaggini, Il senso teologico della liturgia, Roma 19654).

L’essenza della liturgia consiste dunque nel pregare Dio nello stesso mistero di Dio, in unione a Cristo, che si rende presente nella pienezza del suo mistero pasquale, per l’azione dello Spirito Santo. Gesù stesso, peraltro, ha introdotto i suoi nel mistero trinitario quando ha insegnato loro a pregare: "Voi dunque pregate così: Padre nostro..." (Mt 6,9; cf. Lc 11,2). Nella preghiera liturgica il cristiano sperimenta il mistero della filiazione divina: egli non sta davanti a Dio come dinanzi a un assente o a uno straniero, adorabile e terribile, ma dimora in Lui nello Spirito, per il Figlio, come figlio, nel mistero del Padre. "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo, che grida: Abba - Padre!" (Gal 4,6; cf. Rm 8,15). Perciò la liturgia è il terreno della venuta della Trinità nella storia, il luogo di alleanza fra la storia eterna di Dio e la storia dell’umanità: in essa la storia viene accolta nel grembo della Trinità e la Trinità viene ad abitare nel cuore dell’uomo. È in essa che si compie in pienezza la santificazione del tempo. Si potrebbe affermare che il mistero dell’incontro fra l’eternità e il tempo - attuato nella liturgia - consiste nell’ingresso della comunità celebrante nella Trinità Santa: pregare, per il cristiano, non è pregare un Dio, ma pregare in Dio; nello Spirito, per il Figlio la liturgia si rivolge a Dio Padre, da cui, per Cristo, nello Spirito viene a noi ogni bene.

Dal Padre al Padre: la liturgia pone la comunità e ciascuno dei battezzati anzitutto in rapporto al Padre. Il rapporto con il Padre vive di una duplice relazione: dal Padre agli uomini e dagli uomini al Padre. Dio Padre è la sorgente di ogni dono perfetto (cf. Gc 1,17), colui che prende l’iniziativa dell’amore ed invia il Figlio e lo Spirito Santo. Il Padre è la gratuità irradiante dell’amore, l’Amante eterno, che ama da sempre ed amerà per sempre, né sarà mai stanco di amare. La liturgia è il luogo in cui il singolo e la Chiesa riconoscono questa venuta dell’amore, fedele e sempre nuova. In quanto tutto viene dal Padre, la preghiera liturgica è accoglienza, terreno d’avvento del mistero di Dio nel cuore della storia: pregare è lasciarsi amare da Dio, stare davanti alla gratuità sorgiva del Padre, affinché il cuore e la vita vengano inondati della Sua generosità traboccante. Pregare liturgicamente è allora anzitutto ricevere, attendere il dono dall’alto nella perseveranza del silenzio pieno di meraviglia e di stupore dell’amore. È Dio ad agire nella liturgia e l’uomo è chiamato a stare davanti al mistero in umiltà per lasciarsi amare dall’Eterno. In questo senso, lo spirito della liturgia è esperienza notturna di Dio, silenzio, in cui ci si lascia inondare dal mistero della presenza divina (qui si coglie l’importanza dei tempi di silenzio nella celebrazione e l’urgenza che ogni parola aggiunta sia sobria!). Lo spirito liturgico appare qui in primo luogo nella sua natura di passività, "passio" che prepara l’"actio", accoglienza da cui nasce il dono.

Se tutto viene dal Padre, tutto ritorna a Lui: la liturgia, luogo d’avvento, è insieme movimento di risposta, atto del riportare tutto a Dio. La preghiera liturgica diventa così il veicolo della nostalgia di Dio che è nel cuore dell’uomo e nel cuore della storia, e in quanto tale è sacrificio di lode, azione di grazie, intercessione, in cui il mondo intero è assunto per ritrovare se stesso nella sua vera origine. In questo dinamismo della liturgia si radica la vita morale del cristiano, il suo impegno di fede e di carità, la sua azione a favore della giustizia e della pace, la sua solidarietà con i poveri. È pregando nella liturgia e a partire da essa che il cristiano impara a vedere tutte le cose nella luce di Dio e, di conseguenza, a denunciare l’ingiustizia e a proclamare la giustizia del Regno che viene. Pregando, egli orienta la sua vicenda personale, quella degli uomini e della Chiesa verso la Patria, intravista ma non ancora posseduta, del mistero eterno di Dio. In quest’ottica la liturgia educa a farsi voce dei senza voce, perché tutto sia ricondotto al cuore del Padre, e forma in chi la vive il senso delle cose di Dio, per cui l’impegno per la liberazione dell’uomo si unisce alla fame di un’altra giustizia e di un’altra liberazione, proprie soltanto del Regno di Dio, che deve venire.

Per Cristo, il Figlio eterno: la liturgia si compie per il Figlio, in unione al Cristo sommo ed eterno Sacerdote della nuova alleanza, nel farsi presente del suo mistero pasquale. Se il Padre è la sorgente pura della vita e dell’amore, il Figlio è colui che accoglie eternamente l’amore, l’eterno Amato, che si lascia inviare nel mondo e consegnare alla morte di croce, per essere colmato di Spirito Santo nel giorno della resurrezione. Pregare per il Figlio significa entrare nel mistero della sua accoglienza e, in questo accogliere grato davanti a Dio, divenire accoglienti verso la Chiesa e il mondo nella compagnia della vita. Sono i due aspetti che la preghiera liturgica in relazione al Cristo fa rifulgere nell’esistenza redenta: l’imitazione di Cristo e la compagnia della fede e della vita. La liturgia suscita l’imitazione di Cristo (imitatio Christi) non come copia di un modello lontano, che ci si debba sforzare di riprodurre. Secondo la grande tradizione spirituale "imitazione" significa "ripresentazione". Ethos liturgico vuol dire ripresentare il Cristo in noi, per la grazia della sua ripresentazione sacramentale, fino al punto da poter dire come Paolo: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me" (Gal 2,20). Imitare il Cristo significa aprirsi così profondamente all’ascolto della Parola di Dio ed alla venuta del Cristo vivo nell’evento sacramentale, che sia lui ad abitare in noi. La preghiera per il Figlio è allora il luogo in cui il Cristo viene a dimorare nei nostri cuori (cf. Ef 3,14). La liturgia è l’evento in cui il Figlio mette la sua tenda nella storia, nella carne e nella vita degli uomini. E poiché egli è in unità inscindibile il Crocefisso Risorto, l’ethos liturgico, in quanto "imitazione di Cristo", sarà esperienza della Sua croce e della Sua resurrezione. Imitare il Crocefisso vuol dire conoscere l’aridità nell’esperienza spirituale, che non è solo frutto della resistenza umana, motivata dal peccato o dalla fatica della sensibilità a lasciarsi far prigioniera dell’invisibile, ma anche e profondamente "notte oscura" (la noche oscura di San Giovanni della Croce), tempo che fa entrare il credente nel mistero della Croce del Signore. Perciò di questa notte si può dire: "O notte più amabile che l’aurora, o notte che hai congiunto l’amata con l’Amato, l’amata nell’Amato trasformata!" (San Giovanni della Croce, En una noche oscura, V strofa: "¡Oh noche amable más que el alborada! / ¡Oh noche que juntaste / Amado con amada, / amada en el Amado tránsformada!").

L’ethos liturgico conduce parimenti a imitare il Cristo glorificato: qui la liturgia si offre come sorgente di pace, partecipazione viva alla potenza di Colui, che ha vinto la morte. La vita morale del cristiano non è che "conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3,10s). La gioia dei risorti è esperienza della vittoria di Pasqua, in cui tutto l’uomo ed ogni uomo è accolto con Cristo in Dio. Ed è proprio attraverso questo lasciarsi accogliere nell’accoglienza del Figlio che la liturgia educa all’accoglienza degli altri in Lui. La liturgia genera la compagnia della fede e della vita: in essa i molti diventano l’unico Corpo del Signore, vivente nel tempo. Il senso della Chiesa si nutre perciò alle sorgenti dell’esperienza del mistero, che è la liturgia, evento dell’ingresso dell’eternità nel tempo: chi vive la liturgia ama la Chiesa, e chi ama la Chiesa vive veramente la liturgia! Oltre la compagnia della fede, però, anche la compagnia della vita si radica nella realtà dell’essere accolti nel Cristo (cf. il racconto della lavanda dei piedi in Gv 13, che corrisponde nel quarto vangelo alla "liturgia" dell’ultima cena). La compagnia della vita è pane condiviso (da cum e panis), solidarietà dell’ "essere con", prima che dell’ "essere per": in questo senso dalla liturgia nasce la solidarietà; in essa si impara a portare gli uni i pesi degli altri.

La liturgia si compie infine nello Spirito Santo: nel seno della Trinità la teologia occidentale pensa lo Spirito come il legame dell’amore eterno. Fra l’Amante e l’Amato, lo Spirito è l’Amore, il "vinculum caritatis aeternae" (Sant’Agostino), la comunione divina, che suscita la comunione e la pace nel cuore degli uomini. Accanto a questa tradizione, che è intensamente pasquale, la teologia orientale considera piuttosto lo Spirito nell’evento della Croce del Signore. Per essa lo Spirito è Colui, grazie al quale Gesù è entrato nella solidarietà dei peccatori, dei senza Dio, e perciò è l’ "estasi di Dio", il dono, grazie al quale Dio esce da se stesso. Lo Spirito è Colui che suscita il nuovo, che apre al futuro: egli è libertà nell’amore. La liturgia insegna a pregare "in unitate Spiritus Sancti": in quanto lo Spirito è fonte d’unità, la preghiera nello Spirito fa fare esperienza dell’unità del mistero. L’ethos che ne consegue è quello del dialogo e della comunione, che induce a riconoscere l’altro come dono, che non fa concorrenza o suscita timore. Ed insieme, in quanto lo Spirito è apertura e libertà, l’ethos che nasce dalla liturgia apre alla fantasia dell’Eterno, rende docili e sensibili alla profezia, disposti al "nuovo" di Dio nell’ "antico" degli uomini. Chi prega nello Spirito non potrà non essere aperto alla speranza, perché lo Spirito è sempre vivo nella storia. Nella liturgia celebrata nello Spirito fedeltà e novità, lungi dall’opporsi, si offrono come aspetti della medesima esperienza, in cui il futuro di Dio viene a mettere la sua tenda nel presente degli uomini.

La liturgia è dunque il luogo in cui la Trinità - eterno evento dell’Amore - entra nelle umili e quotidiane storie dell’esodo umano, e queste a loro volta entrano liberamente e sempre più profondamente nel mistero delle relazioni divine. Nella liturgia l’antropologia dell’identità prigioniera di sé è superata grazie all’accoglienza del dono divino, mentre l’antropologia nichilista dell’incomunicabilità è vinta nell’esperienza dell’Alterità trascendente e salvifica. L’ethos liturgico è perciò quello della vita corrispondente alla buona novella, dove l’uomo ha tempo per Dio, perché Dio ha avuto tempo per l’uomo, e il tempo entra nell’eternità, perché l’eternità è entrata nel tempo: l’ethos di coloro che resi nuovi dall’amore che viene dall’alto, cantano con la vita il cantico nuovo dell’amore, in una perenne liturgia di lode e di riconoscenza. "Novi novum cantamus canticum!" (Sant’Agostino).