L’uomo di oggi può comprendere lo spirito della liturgia?

Gehard Ludwig Müller, München

 

 

 

Dopo quasi quarant’anni di rinnovata liturgia, in molti Paesi l’euforia del movimento liturgico ha lasciato il posto al disinganno. La delusione, la frustrazione si fanno sempre più profonde. Alcuni si rifugiano nell’attivismo esasperato. La creazione di sempre nuove preghiere dovrebbe ridestare l’attenzione dei partecipanti. Spesso i membri del clero cercano di suscitare l’interesse di una generazione annoiata con iniziative divertenti, ad esempio invitando i bambini a partecipare alla Messa indossando i vestiti di carnevale oppure attirando nell’ambito ecclesiale persone che con la fede e la Chiesa hanno poco a che fare mediante concerti di musica classica, rock e pop, dei quali la liturgia è solo la cornice esteriore.

Si osserva una profonda discrepanza fra la liturgia ufficiale e la ricezione carente della sua istanza più profonda. Nei Paesi mitteleuropei la partecipazione alla celebrazione eucaristica della domenica si è ridotta drasticamente. Molti non sanno più che si tratta dell’incontro con Gesù Cristo, che ci ha offerto il dono dell’Eucaristia affinché possiamo giungere a Dio nella comunione con il Signore crocifisso e risorto, che è il senso e lo scopo della nostra vita. Anche molte forme di devozione sono andate perdute a tal punto che la liturgia non si basa più su una profonda vita di fede e non può dare frutti. La "mensa della Parola di Dio" (Sacrosanctum concilium, n. 51, Dei Verbum n. 21) non è mai stata per i fedeli tanto riccamente apparecchiata come oggi, ma la conoscenza della Bibbia, per non parlare di una viva familiarità con le Scritture, ha raggiunto anche nei circoli protestanti un livello terribilmente basso.

A ragione ci si lamenta di una crescita liturgica selvaggia. Spesso l’arbitrio di una struttura liturgica cosiddetta spontanea, alterata e dal senso ridotto arriva a negare alcune verità di fede e questo a causa di una mancata comprensione dell’essenza della liturgia ecclesiale. Mancanze ed errori nella dottrina di Dio, nella cristologia e nell’ecclesiologia provocano la crisi e la sconfitta della liturgia, dal momento che non è più determinante la legge interiore, ma vengono applicati i criteri dell’ intrattenimento. Invece la liturgia in senso cristiano non dovrebbe suscitare stati d’animo romantici, mettere in moto un’azione socio-politica né coinvolgere le persone in maniera pseudoreligiosa, ma rafforzare i fedeli. Lo scopo della liturgia non è farci sentire bene, suscitare in noi uno stato d’animo festoso che ci faccia dimenticare per un attimo il quotidiano. La liturgia deriva dalla fede nel Dio vivo e in suo Figlio Gesù Cristo, strumento di salvezza, che ci dona la vita eterna (Gv 17,3). La liturgia è la sintesi sacramentale della Chiesa, strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (Lumen gentium, n. 1).

Anche se in molti luoghi si compiono sforzi seri per dare alla liturgia una forma sensata, non si può trascurare di certo il bisogno di responsabili che si occupino della trasmissione dei contenuti teologici e spirituali dei Sacramenti e in particolare della celebrazione eucaristica. Per comprendere la differenza fra la dinamica iniziale del movimento liturgico, soprattutto dopo la prima guerra mondiale con i suoi successi fino al Concilio e la crisi della liturgia della fine del XX secolo possono essere utili i due libri, dal titolo quasi identico, di Romano Guardini e del Cardinale Joseph Ratzinger. Mentre il libro di Guardini "Dello spirito della liturgia", che in occasione della Pasqua del 1918 inaugurò la celebre serie "Ecclesia orans" dell’Abate Ildefons Herwegen, descrive un meraviglioso clima iniziale, J. Ratzinger, che nella sua opera "Introduzione allo spirito della liturgia" fa espresso riferimento a Guardini, tenta di far comprendere l’essenza della liturgia nella sua profondità spirituale e nelle sue essenziali e concrete forme di espressione fino all’atto dell’inginocchiarsi, al congiungimento delle mani, alle forme di adorazione silenziosa, alla dimensione spirituale della comunione verbale e mentale.

Entrambi gli autori hanno affrontato da diversi punti di vista il problema, divenuto sempre più grave nel corso del XX secolo, della "capacità liturgica dell’uomo moderno", della quale Guardini parlò tanto diffusamente nel Congresso liturgico di Magonza del 1946. In un’importante conferenza svoltasi nel 1965, durante la settimana dell’università a Salisburgo, Joseph Ratzinger, nel clima festoso della riforma liturgica post-conciliare, ha affrontato il tema dell’incapacità liturgica parlando della "crisi dell’idea sacramentale nella coscienza moderna".

L’uomo moderno, forgiato dal secolarismo e da un ambiente immanentista e tecnicizzato, non comprende più i singoli riti e gesti della liturgia. La crisi non si risolve con mutamenti estetici e passatempi pedagogici. Gli studiosi della liturgia nella prima metà del XX secolo hanno operato in maniera eccellente per il rinnovamento della liturgia, perché erano teologi. Invece, questi nuovi personaggi dalle vedute ristrette, che considerano al liturgia un parco giochi delle loro idee fisse, non fanno altro che consolidare la crisi liturgica, perché creano una liturgia volta a sortire effetti esteriori e non a trasmettere il contenuto della fede.

E ‘ necessaria una Sanatio in radice. Il problema è profondo e riguarda la comprensione che l’uomo moderno ha di sé e del mondo e il suo rapporto stravolto con Dio. Nella mentalità media del secolarismo e dell’immanentismo le idee fondamentali della liturgia trovano difficilmente un accesso. L’idea effettiva della liturgia deriva dalla realtà incarnazionale del rapporto fra Dio e uomo e significa che la simbologia propria della finitezza di questo mondo dovrebbe essere la mediazione nell’immediatezza a Dio. Nei Sacramenti si compie l’unione di Dio con gli uomini in un modo che corrisponde alla natura umana. Questa idea non è solo un bel pensiero, ma realtà in Gesù Cristo, che è la presenza umana di Dio fra noi uomini.

Per quanti non conoscono Gesù Cristo, l’essere e l’agire di Dio rimangono un enigma insolubile, di fronte al quale capitolano. Si punisce Dio con l’indifferenza fino a sospettare di avere a che fare solo con una proiezione o una cifra dell’inesplicabilità dell’esistenza umana. La nuova religiosità del movimento New Age, il sincretismo del pluralismo religioso e la penetrazione delle concezioni monistiche del mondo tipiche della tradizione delle religioni asiatiche seguono la nozione di realtà personale e la comprensione personale che l’uomo ha di sé fino al primato del generale sull’individuale. Non si cerca un’attualizzazione sacramentale della salvezza in modo dialogico e comunicativo, ma un’esperienza religiosa nella quale il soggetto possa dissolversi. La religione biblica dell’autorivelazione del Dio Uno e Trino si basa sul fatto che il Verbo di Dio si rivolge all’uomo che Lo incontra nella sua azione di grazia nello Spirito. L’uomo è chiamato per nome e in qualsiasi situazione deve volgersi a Dio, che lo conferma come persona nell’atto di esaudimento. Lo scopo dell’incontro con Dio è l’amore, che non dissolve e generalizza, ma afferma e personalizza, nel quale Dio mi dice "tu". Le persone come creature personali non si dissolvono nel numinoso divino o in una natura personale. Divengono evidentemente "figli nel Figlio". Attraverso Cristo possono dire a Dio nello Spirito Santo: Abba, Padre. La liturgia e quindi anche la Messa possiedono una forma essenziale e strutturale trinitaria (cfr Gal 4, 4-6; Rm 8).

Già Immanuel Kant, nella sua opera "La religione entro i limiti della semplice ragione" (1793) aveva svuotato le confessioni di fede del loro contenuto di realtà e di conseguenza anche i Sacramenti cristiani del loro carattere di strumento di grazia e li considerava solo simboli dell’istanza morale della coscienza. Laddove la critica alla religione nella sua forma di regime totalitario dell’ empietà e dell’odio di Dio oppure del cosiddetto smascheramento psicologico e sociologico della Chiesa quale nemica della scienza, della libertà e del progresso in Marx, Nietzsche e Freud non aveva liquidato la liturgia delle religioni come un insieme di forme espressive di straniamento pericolose e dannose e come strumento di dominio della consolazione, in alcuni orientamenti della psicologia e della sociologia moderne i Sacramenti, al di là del loro contenuto teologico, sono stati ridotti a una funzione stabilizzatrice dell’equilibrio psichico e sociale. Sono considerati espressione simbolica della nostalgia del numinoso, legata alla dimensione mitologica della coscienza, piuttosto che strumenti di comunione reale fra Dio e uomo, stabilita dal Dio personale stesso attraverso Gesù Cristo e affidata alla Chiesa per la celebrazione. Dunque non si pone solo la questione del fondamento antropologico della capacità simbolica dell’uomo, ma anche quella ancor più importante della sua capacità di trascendenza che si esprime e si compie nel simbolismo delle parole e dei segni.

Può comprendere e adottare il linguaggio liturgico solo chi comprende i concetti principali del dire e dell’agire nella loro natura di Parola di Dio, che opera in chi crede (cf. 1 Ts 2, 13).

Un motivo essenziale per cui l’approfondimento teologico dell’Eucaristia e la sua riforma liturgica hanno recato così pochi frutti, è dato dalla situazione generale della fede e dalla difficoltà di individuare il rapporto fra mondo e Dio nell’intervento della storia della salvezza, che raggiunge il suo culmine escatologico in Cristo. E’ da Lui infatti che scaturisce l’ attualizzazione ecclesiale e sacramentale della comunione di vita con Dio, plasmata dall’incarnazione.

Tutte le attività catechetiche relative al Battesimo, alla Confermazione e alla Prima Comunione girano a vuoto e deludono genitori, sacerdoti, ecclesiastici e studiosi, perché non riescono a trasmettere un rapporto con Dio vivo che sia radicato nella persona e nella sua eticità, razionalità e spiritualità. In molti adulti si generano tensioni e contrasti insanabili fra il Magistero ecclesiale e la loro immagine del mondo presumibilmente plasmata dalla scienza. Sembra loro credibile soltanto ciò che appare possibile alla razionalità ridotta a causalità naturale. La presenza attuale di un uomo morto 2000 anni fa sembra in ogni caso l’attualizzazione simbolica dell’immagine morale di Gesù. La presenza reale non può significare altro che il fermo proposito di seguire il Suo esempio in occasione del mangiare un pezzo di pane quale oblazione e un’esperienza di comunione di natura meramente sentimentale.

L’Eucaristia appare come l’attualizzazione di Cristo crocifisso. Commettendo un noto errore di interpretazione, l’uomo contemporaneo, educato alla scuola freudiana, valuta la morte di Gesù attraverso la categoria del sacrificio o persino della vittima che ci rappresenta ed espia i nostri peccati.

Dunque in contrasto con il Nuovo Testamento e anche con le grandi concezioni della dottrina della liberazione, l’interpretazione della morte di Gesù come sacrificio voluto da un Dio adirato e terribile, che Lo distrugge, è un’interpretazione alterata in modo superficiale e cinico e la caricatura che ne deriva viene rifiutata con sdegno. L’interpretazione del sacrificio di Cristo legata a un’immagine di Dio, che la tradizione cristiana generale rifiuta in quanto contraria alla Rivelazione, non è null’altro che la dimostrazione di metodi intepretativi fuorvianti, adottati da persone che trasformano la fede cristiana nel suo contrario per farsi beffe della sua ostilità alla ragione. In realtà, la Croce è un sacrificio sanguinoso non nel senso rituale dell’offerta pagana umana o animale, ma perché l’atto sacrificale consiste nel dono di sé per la salvezza degli uomini, che giunge fino al dono da parte di Gesù della propria vita umana (cf. Eb 5, 8 e seg). Conformemente a questo, mangiare e bere "del suo corpo e del suo sangue" non è un banchetto iniziatico o un "cibarsi del corpo di un Dio" nel senso reale o metaforico di alcune religioni misteriche, ma è la reale comunione umana con la "parola di Dio Incarnato" (Gv 1, 14), in Gesù Cristo, il Figlio del Padre, che dona la sua carne, ossia la sua vita, per la vita del mondo. Chi è di questo pane, ossia ha familiarità con il Gesù storico e pasquale, resta in Cristo e Cristo in lui: "Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me " (Gv 6, 57). Gesù si rivela in questo modo: "Io sono il pane della vita " (Gv 6, 48). Il mangiare sacramentale i doni del pane e del vino trasmette autentica koinonia con il Verbo Incarnato e dona a chi crede nel Suo nome, "il potere di diventare figli di Dio " (Gv 1,12).

Nella prefazione del già menzionato libro del Cardinale Joseph Ratzinger "Lo Spirito della Liturgia", l’autore affronta il tema delle possibilità e dei rischi di una liturgia rinnovata e promuove una comprensione approfondita e un’attuazione dinamica delle forme liturgiche da parte dello Spirito di Cristo, che fonda la fede della Chiesa e in tal modo anima il suo corpo liturgico e lo riempie di vita:

"Si potrebbe affermare che allora, nel 1918, la liturgia, da un certo punto di vista, appariva come un affresco, perfettamente conservato, ma ricoperto da uno spesso strato di intonaco. Nel messale, con il quale il sacerdote la celebrava, la sua forma , che dalle origini si era evoluta, era presente, ma per i fedeli era nascosta da forme e orientamenti privati di preghiera. Grazie al movimento liturgico e in maniera definitiva con il Concilio Vaticano II l’affresco fu riportato alla luce e per un momento restammo tutti affascinati dalla bellezza dei suoi colori e delle sue figure. Tuttavia, nel frattempo, a causa delle condizioni climatiche e di diversi tentativi errati di restauro o di ricostruzione, quell’affresco è stato messo a repentaglio e minaccia di andare in rovina, se non si provvede rapidamente a prendere le misure necessarie per porre fine a tali influssi dannosi. Non si tratta, ovviamente, di ricoprirlo di nuovo d’intonaco, ma è indispensabile un nuovo rispetto e una nuova comprensione del suo messaggio e della sua realtà cosicché l’averlo riportato alla luce non rappresenti il primo gradino della sua definitiva rovina" (p. 7-8)