L'uso del Catechismo della Chiesa Cattolica nella formazione teologica
L'iniziale diffusione del Catechismo della Chiesa Cattolica, a motivo della sua impressionante ampiezza, costituì un fenomeno sorprendente. Una voce molto autorevole fece riferimento a questa prima diffusione qualificandola come "una forma di plebiscito del popolo di Dio"1. Credo che il fenomeno costituisca un fatto storico evidente che conferma la giustezza delle opzioni di base che furono alla base della sua elaborazione2. Non di meno, al termine dei dieci anni nei quali abbiamo avuto il Catechismo a nostra disposizione come possibile strumento di lavoro pastorale, l'impressione generale è che l'entusiasmo sia andato man mano scemando. Si è anzi tornati a guardare la situazione con un certo pessimismo, come se niente di importante fosse cambiato. Con un certo tono di scoraggiamento si valuta quel primo fenomeno come un successo editoriale di vendite, più che come un indizio reale di diffusione e penetrazione della dottrina del Catechismo nell'opinione pubblica dei cattolici della fine del secolo XX e degli inizi del XXI.
Personalmente sono del parere che la situazione attuale sembra indicare che il Catechismo non fosse sufficiente. Aveva bisogno di essere accompagnato da un'azione pastorale organizzata su più livelli che ne diffondesse i contenuti. In questo senso, la pubblicazione del Catechismo, benché costituisse il coronamento di una fase importante e rappresentasse l'espletamento di un incarico della n Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi del 19853, contemporaneamente ne inaugurava un'altra, ricca di complesse sfide pastorali. Credo che sia nel campo delle iniziative che avrebbero dovuto accompagnare l'esistenza del Catechismo che risulta più facile scoprire lacune e individuare azioni che sarebbero state possibili, ma che sono state omesse. Naturalmente la consapevolezza di possibilità non realizzate può fornire indicazioni per cammini futuri che permettano di ricuperare il tempo perduto e adoperarsi per dare vita all'insieme di iniziative che permettano di sfruttare pienamente il tesoro costituito dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Nella presente relazione intendo limitarmi a indicare le possibilità di un utilizzo proficuo del Catechismo nei centri di formazione teologica.
______________
1. J. card. ratzinger, El nuevo Catecismo de la Iglesia Católica (Madrid 1993) p. 9.
2. Si trovano perfettamente descritte nella conferenza del Cardinale Ratzinger che pronunziò a Madrid e che ho citato nella nota precedente.
3. Cf. II assemblea straordinaria del sinodo dei vescovi, Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christì celebrans pro salute mundi. Relatio finalis II, B, a, 4 (E Civitate Vaticana 1985) p. 11.
I problemi attuali di una sintesi negli studi teologici
Una delle lamentele oggi più frequenti fra i professori di teologia consiste nel fatto che gli alunni concludono il corso completo dei loro studi teologici senza aver raggiunto una sintesi coerente. Un elemento che probabilmente influisce in questo è l'opzione compiuta nella stessa legislazione postconciliare dalle Normae quaedam4 fino ad oggi5, opzione che riduce, nelle Facoltà di Teologia, il tempo che obbligatoriamente va dedicato alla parte istituzionale, a favore di un maggior tempo dedicato alla specializzazione. Fino alle Normae quaedam, nelle Facoltà di Teologia venivano dedicati alla formazione sistematica quattro anni, attualmente ridotti a tre. Per contro, il tempo dedicato ai corsi di laurea è salito a due anni, concentrati in corsi monografici e in lavori seminariali, che necessariamente vengono circoscritti a temi molto concreti. D'altra parte, il tempo dedicato alla parte sistematica finisce per essere soffocato da innumerevoli discipline secondarie. Queste opzioni normative contengono qualche elemento non del tutto coerente: mentre nelle Facoltà di Teologia sono obbligatori soltanto tre corsi istituzionali, negli Istituti Teologici e nei Seminari ne sono prescritti quattro6. Non è facile capire perché le Facoltà vengano collocate in una situazione di inferiorità rispetto agli Istituti Teologici e ai Seminari, almeno per quanto si riferisce alla quantità di tempo che devono dedicare alla formazione sistematica. In ogni caso, non mancano coloro che ritengono che la riduzione del tempo dedicato alla formazione sistematica - che è stata imposta dappertutto nelle Facoltà di Teologia - sia responsabile della difficoltà di raggiungere le finalità che tali corsi si prefiggono. Perciò nell'VIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi, l’allora Arcivescovo di Santiago di Compostela e attuale Arcivescovo di Madrid, S. Em. il Cardinal A.M. Rouco Varela, fece osservare questo aspetto e chiese il ritorno all'obbligatorietà di una formazione sistematica di teologia per quattro anni anche nelle Facoltà7. Questo, come lui stesso indicava nel suo intervento, corrisponderebbe meglio alle previsioni dell'attuale Codice di Diritto Canonico (canone 250), nei confronti del quale sembrerebbe che nelle attuali opzioni delle Facoltà di Teologia esista una certa dissonanza.
Nell'insieme della formazione intellettuale del candidato al sacerdozio, che è molto ampia, la teologia occupa un posto centrale. In tale preparazione intellettuale del futuro presbitero, è tradizione attribuire alla filosofia un ruolo subordinato a quello della teologia, in quanto la prima (pur senza misconoscere il valore che la filosofia ha in se stessa) viene concepita al servizio della seconda:
______________
4. SACRA Congregatio de seminarii, Normae quaedam ad constitutionem apostolicam "Deus scientiarum Dominus" de studiis academicis ecclesiasticis recognoscendam, 44: Seminarium 20(1968)784-785.
5. Questo punto non è stato modificato nella Cost. apostolica Sapientia christiana; cf. giovanni paolo II, Cost. apostolica Sapientia christiana, art. 72: AAS 71(1979) 493-494.
6. Cf. sacra congregatio de seminariis, Normae quaedam..., 44: Seminarium 20(1968)784.
7 XV Congregazione Generale (10 ottobre 1990 a.m.); cf. G. caprile, Il Sinodo dei Vescovi 1990 (Roma 1991) pp. 257-258.
philosophia ancilla theologiae8. L'Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis mantiene la centralità della formazione teologica del futuro presbitero9, e a ragion veduta. Il presbitero partecipa delle tre funzioni di Cristo: profetica, sacerdotale e regale10. Tuttavia, all'interno di questa triplice partecipazione la priorità va attribuita alla sua partecipazione alla funzione profetica del Signore, giacché l'esercizio di quest'ultima è finalizzato a suscitare e irrobustire la fede, la quale è alla base della giustificazione e della salvezza ("La fede è il principio dell'umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione", come si esprime il Concilio di Trento)11. Infatti, siccome nessuno può salvarsi se non crede, i sacerdoti, in quanto cooperatori dei Vescovi, hanno come dovere primario quello di annunziare a tutti il Vangelo di Dio [...], perché per la parola di salvezza si suscita nel cuore di coloro che non credono e si nutre nel cuore dei fedeli la fede12. Per poter realizzare questo compito essi hanno assolutamente bisogno di una solida formazione in teologia, appunto a motivo della complessa relazione della teologia con la fede. Come si affermava nelle propositiones di quella medesima Assemblea del Sinodo dei Vescovi, la vera teologia proviene dalla fede e si sforza di condurre alla fede13.
Questa intima relazione tra la teologia e la fede è quello che voleva esprimere Sant'Anselmo di Canterbury quando definiva la teologia come "la fede che si sforza di comprendere"14 o come "l'intelligenza della fede"15. Questo implica che il teologo è prima di tutto un credente, un uomo di fede. Ma è un credente che si interroga sulla propria fede (fides quaerens intellectum), che si interroga per giungere ad una comprensione più profonda della fede16. Tuttavia, sia nella definizione della teologia, sia nel fatto che il teologo è un credente che si interroga sulla sua fede, appare ugualmente chiaro che non è possibile fare teologia senza conoscere previamente i contenuti della fede.
______________
8. Cf. san tommaso, 1, q. 1, a. 5, sed centra et ad 2.
9. Giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 53: AAS 84(1992)751.
10. Cf. concilio vaticano II, Cost. dogmatica Lumen gentium, 28: AAS 57(1965)34: "I presbiteri [...] sono stati consacrati come veri sacerdoti del Nuovo Testamento, a immagine di Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, per predicare il Vangelo e pascere i fedeli e per celebrare il culto divino".
11. Sess. 60. Decreto sulla giustificazione, e. 8: DS 1532.
12. CONCILIO vaticano II, Decreto Presbyterorum ordinis, 4: AAS 58(1966)995-996.
13. VIII assemblea ordinaria del sinodo dei vescovi, Propositio 26, citata in giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 53, nota 163: AAS 84 (1992) 751.
14. Proslogion, Prooemium: Opera omnia, ed. F.S. SCHMITT, t. 1 (Edinburgi 1946) p. 94 (PL 158, 225).
15. Proslogion, e. 2: Opera omnia, ed. SCHMm, t. 1, p. 101 (PL 158,227).
16. giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 53: AAS 84(1992)752.
Risulta chiara l'impossibilità di sforzarsi per capire ciò che nemmeno si conosce. Appare quindi primaria la necessità di conoscere il messaggio trasmesso da Dio ai nostri padri, che culmina in Cristo (cf. Eb 1, 1-2). Vorrei insistere sull'idea che il lavoro teologico viene portato avanti da credenti che non soltanto hanno accolto il primo annunzio del Vangelo, ma si sono sforzati di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio di Nostro Signore Gesù Cristo17. In altre parole, soltanto i credenti adeguatamente catechizzati possono diventare agenti di un lavoro teologico. Giovanni Paolo II è categorico su questo punto: "Non si può sviluppare una intelligentia fidei se non si conosce la fides nel suo contenuto"18.
D'altra parte, appare chiara la necessità che la catechizzazione conduca il credente ad assumere il messaggio nella sua integrità, il che equivale a dire che la catechesi deve trasmettere il messaggio nella sua integrità19. Il candidato al sacerdozio deve possedere una visione delle verità rivelate da Dio in Gesù Cristo e dell'esperienza di fede della Chiesa completa e unitaria: di qui la duplice esigenza di conoscere tutte le verità cristiane senza operare scelte arbitrarie e di conoscerle in modo organico20. La conoscenza del messaggio nella sua integrità farà in modo che esso si mostri in tutta l'armonia e la bellezza che deriva da questa armonia. Il messaggio rivelato non è un insieme di verità comunicate da Dio ma senza alcuna relazione fra loro. Quella che già Origene qualificava come "coerenza dei dogmi"21 implica che tale insieme si innalza come un edificio di contenuti dottrinali, nel quale le verità si corrispondono a vicenda; un edificio che si percepisce come unità. In esso non è possibile effettuare ritocchi parziali sui suoi elementi senza che, in misura maggiore o minore, questo produca un effetto sull'intera costruzione.
______________
17. giovanni paolo II, Esort. apostolica Catechesi tradendae, 19: AAS 71(1979)1292-1293.
18. giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Postares dabo vobis, 62: AAS 84(1992)767.
19. Cf. Giovanni paolo II, Esort. apostolica Catechesi tradendae, 30: AAS 71(1979)1302-1303.
20. Giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Postares dabo vobis, 54: AAS 84(1992)753.
21. origene, Contro Celsum 6,48: GCS 3,119 (PG 11,1373).
Bisognerà infine ricordare che la fede che il teologo cattolico si sforza di comprendere (intelligentia fidei), non è la sua fede soggettiva, il cui senso dei contenuti lui stesso spiegherebbe e interpreterebbe con una specie di libero esame, bensì la fede della Chiesa che ha come oggetto la parola di Dio autenticamente interpretata dal magistero vivo della Chiesa22. La teologia possiede una dimensione ecclesiale, perché è una riflessione matura sulla fede della Chiesa elaborata da un teologo che è egli stesso membro della Chiesa23. Non è necessario soffermarci qui a sottolineare l'importanza dell'aggettivo "vivo" in una teologia del magistero della Chiesa. L'aggettivo suggerisce che il magistero può dare risposte alle questioni più attuali ed urgenti, delle quali, appunto perché è vivo, è pure contemporaneo, come anche può offrire al teologo la possibilità di intavolare un dialogo serio e fiducioso con lo stesso magistero, quando sorgano dubbi fondati sul senso del depositum fidei24.
II. Il Catechismo della Chiesa Cattolica come sintesi di fede
Nell'insegnamento della teologia, per le ragioni sopraindicate, si presuppone di avere alunni non soltanto credenti, ma anche catechizzati. L'esperienza degli ultimi anni dimostra che oggi non si può dare per scontato che tutti i seminaristi che accedono agli studi ecclesiastici possiedano previamente una sufficiente conoscenza della dottrina della fede. Purtroppo i casi di studenti che incominciano gli studi teologici con gravi carenze in termini di conoscenze catechetiche sono relativamente numerosi. Si può capire il frequente scoraggiamento dei professori di teologia nei confronti dei loro alunni, quando avvertono la difficoltà che alcuni di essi incontrano nel seguire il discorso teologico. Il fenomeno però è inevitabile fintantoché non si chiarisca quale sia la preparazione necessaria per accedere agli studi teologici. Insegnare teologia ad alunni con gravi lacune di conoscenze catechetiche altro non è che un vano intento di edificare sulla sabbia invece di costruire sulla roccia. Considero sommamente interessante il fatto che l'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis abbia affrontato il problema nel paragrafo che consacra alla preparazione preliminare per accedere al Seminario Maggiore e che si affidasse alla speranza che simili lacune possano essere più facilmente colmate dal prossimo Catechismo universale25.
______________
22. Cf. concilio vaticano II, Cost. dogmatica Dei Verbum, 10: AAS 58(1966)822.
23. giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 53: AAS 84(1992)752.
24. Cf. congregazione per la dottrina della fede, Istruzione Donum veritatis (De ecclesiali theologi vocatione): AAS 82(1990)1550-1570: commissione teologica internazionale, Las relaciones entre el magisterio y la teologia, en Documentos 1969-1996 (Madrid 1998) p. 127-136; ph. delhaye, Introducción: Ivi., p. 116-126; O. semmelroth-k. lehmann, Comentario: Ivi., p. 137-167.
25. giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 62: AAS 84(1992)767.
A distanza di dieci anni dalla pubblicazione del Catechismo e cinque dalla pubblicazione della sua editio typica, possediamo un testo che si presenta come un'esposizione completa ed integra della dottrina cattolica, tramite il quale chiunque è in grado di conoscere quello che la Chiesa professa e celebra, quello che vive e prega nel suo affanno quotidiano26. Il Papa ha definito il suo testo: una "presentazione autentica e sistematica della fede e della dottrina cattolica [...]; un cammino pienamente sicuro per presentare con rinnovato slancio agli uomini del nostro tempo il messaggio cristiano, in tutte e ciascuna delle sue parti"27. Il testo del Catechismo è "l'esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica, testimoniate e illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica ed dal Magistero della Chiesa"28. Ecco l'espressione solenne pronunciata dal Papa: "Lo dichiaro come regola sicura per l'insegnamento della fede e come strumento valido e legittimo al servizio della comunione ecclesiale"29. Disponendo di un testo che offre una visione completa della dottrina cattolica e che è inoltre "regola sicura per l'insegnamento della fede", la mia proposta è che tale testo divenga oggetto di studio all'inizio degli studi ecclesiastici. Così sì potrebbe garantire la conoscenza dei contenuti della fede prima di incominciare il lavoro di comprensione della stessa fede che costituisce la teologia. Per assicurare il possesso di tale patrimonio di conoscenze da parte degli alunni, penso che lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica all'inizio degli studi ecclesiastici in senso stretto dovrebbe concludersi con un esame di sintesi sul contenuto dottrinale del suo testo.
D'altra parte spero che così si potrebbe risolvere anche un altro problema riguardante gli attuali piani di studi. H Concilio Vaticano n deliberò che gli studi ecclesiastici si aprissero con un corso introduttivo sul mistero della salvezza, il mistero di Cristo, cercando con ciò di creare una certa articolazione fra le discipline filosofiche e quelle teologiche30. La mia impressione personale è che, dopo un certo entusiasmo iniziale nei confronti di questa disciplina31, il suo insegnamento ha costituito un insuccesso universalmente riconosciuto, forse perché non si è saputo collocarla nel contesto delle altre discipline del piano degli studi e perché, a quanto pare, non si è arrivati ad un'impostazione sufficientemente uniforme. Perciò, in conseguenza delle oscillazioni della sua impostazione, la sua utilità reale è stata spesso messa in discussione.
______________
26. giovanni paolo II, Lettera apostolica Laetamur magnopere, in Catechismus Catholicae Ecclesiae, ed. typica (Libreria Editrice Vaticana 1997) v. VIII.
27. Ivi., p. I.X.
28. giovanni paolo II, Cost. apostolica Fidei depositum, in Catechismus Catholicae Ecclesiae, ed. typica, p. 5.
29. Ivi.
30. Cf. concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 14: AAS 58 (1966) 722.
31. Come esempio dell'entusiasmo iniziale cf. L. rubio moran, La Historia de la salvación. Notas sobre su enseñanza en el curso preteológico: Seminarios 26 (1965) 307-336. L'autore di questo articolo ha anche curato una pubblicazione che potesse servire come libro di testo per l'insegnamento di questa disciplina: El misterio de Cristo en la historia de la salvación 2a ed. (Salamanca 1968).
Infatti, questa disciplina languisce, quando non è in piena decadenza, come temo che stia capitando in non pochi Seminali e Istituti teologici.
Confido, per contro, che nella mia proposta risulti chiaro il senso della disciplina: far conoscere la sintesi della fede della Chiesa prima di applicarsi alla sua comprensione, cioè prima del lavoro strettamente teologico. Dirò di più: il Catechismo della Chiesa Cattolica viene collocato come riferimento nel quale si trova un'autorevole esposizione di tale sintesi. Così si porrebbe rimedio al problema degli alunni che studiano la teologia senza una sufficiente conoscenza previa della fede della Chiesa.
Questa soluzione rispetto all'impostazione della disciplina "introduzione al mistero di Cristo" permetterebbe di fare in modo che, nel breve tempo di cui dispongono nell'insegnamento, i professori di sistematica possano alleggerire un poco la materia che devono spiegare nei propri trattati; ciò risulterebbe fattibile se fossimo sicuri che gli alunni possiedono questa prima sintesi di verità della fede.
La ricerca di sintesi teologica
La sintesi di fede deve precedere la sintesi teologica che costituisce il traguardo principale del triennio o quadriennio degli studi teologici. La sintesi di fede, seriamente assimilata dall'alunno di un istituto teologico sulla soglia dei suoi studi ecclesiastici, gli rende possibile ricevere la teologia sistematicamente, vale a dire, orientata verso una comprensione coerente delle verità rivelate nella loro relazione reciproca centrata sulla fede in Cristo e nel loro significato salvifico per l'uomo32. È notevole che nella Dichiarazione della I Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi33, manifestando la speranza che il Catechismo universale, allora ancora da venire, contribuisse al superamento dell'attuale crisi teologica, si concepisse la sintesi che questi avrebbe offerto come base comune oltre alla quale il pluralismo teologico sarebbe legittimo; inoltre, la dottrina del Catechismo esprimerebbe anche un senso del limite di fronte a quelle tendenze che non coincidessero con questa base irrinunciabile di fede.
______________
32. giovanni paolo II, Discorso ai teologi spagnoli (Salamanca, 1 novembre 1982), 2: AAS 75 (1983) 261.
33. I assemblea speciale per l'europa del sinodo dei vescovi, Ut testes simus Christì qui nos liberavit. Declaratio 2, 5 (E Civitate Vaticana 1991) p. 13.
In ogni caso, avendo presente il carattere di presentazione completa della dottrina di fede della Chiesa che contraddistingue il Catechismo, quest'ultimo può e deve costituire la base sulla quale incominciare il lavoro teologico. Il Catechismo ci presenta, in modo insieme sintetico ed integro, la fede che la teologia si sforza di capire. L'intelligenza della fede, lo sforzo per capirla nel suo senso più ampio, deve dispiegarsi in due direzioni fondamentali che si ispirano al metodo teologico che il Concilio Vaticano n desiderava venisse utilizzato nell'insegnamento della teologia: la direzione positiva e quella speculativa34. L'idea di fare una teologia che sia allo stesso tempo positiva e speculativa nasce agli inizi del secolo XVI negli ambienti dell'Università di Parigi. Infatti, quest'idea appare per la prima volta nel prologo del commentario di Giovanni Mair al quarto Libro delle Sentenze, la cui prima edizione risale al 1509: "Ho deciso - scriveva nel primo foglio esponendo il proposito programmatico di questa sua opera - in quanto mi sia possibile di trattare quasi totalmente le materie teologiche in questo quarto [libro delle Sentenze] sia positivamente, sia scolasticamente "35. Con questo testo, forse Mair è stato il primo che adoperò l'espressione "teologia positiva" in contrapposizione a "teologia scolastica"36. Inoltre, egli propone l'idea di trattare i problemi teologici tanto positivamente quanto speculativamente. Anzi, per essere più precisi, prospetta la trattazione positiva delle questioni come base sulla quale costruire la riflessione speculativa37.
______________
34. Cf. concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58 (1966) 723-724.
35. Quartus Sententiarum Johannis Maìoris (Parigi 1509) f. 1 v. L'opera venne pubblicata di nuovo nel 1512, 1516 e 1521 (cf. R. garcìa VlLLOSLADA, La Universidad de Paris durante los estudios de Francisco de Vitoria O.P. (1507-1522) [Roma 1938] p. 134), il che implica una diffusione non trascurabile per quell'epoca, per non parlare dell'influenza che le idee di Mair hanno potuto esercitare attraverso i suoi discepoli.
36. Garcia VILLOSLADA, La Universidad de Paris durante los estudios de Francisco de Vitoria, p. 155.
37Cf. Ibid., p. 139-143, sul lavoro che, secondo Mair, deve realizzare il vero teologo.
Sarebbe così Mair il primo che avrebbe introdotto una terminologia che ebbe incalcolabili conseguenze nella storia della teologia e lasciò una traccia profonda nella sua storia. E curioso che il secondo caso conosciuto dell'uso de questa distinzione terminologica sia quello di Sant'Ignazio di Loyola in un testo scritto a Parigi mentre studiava all'Università38. Si tratta della regola 11 tra le regole "Per il senso vero che nella Chiesa militante dobbiamo avere", del libro degli Esercizi Spirituali39. Lì insegna Sant'Ignazio che bisogna lodare la dottrina positiva e scolastica40. L'ulteriore sviluppo del testo di questa regola mostra che in essa Sant'Ignazio intende per "dottori positivi" i Santi Padri quali San Girolamo, Sant'Agostino, San Gregorio, ecc., mentre l'elenco degli scolastici si concentra sui nomi di San Tommaso d'Aquino, San Bonaventura, il Maestro delle Sentenze, ecc.41. In ogni caso, appare chiaro che Sant'Ignazio propugna una teologia che prevede due passi fondamentali: quello patristico e quello scolastico.
Sto evocando gli inizi del concetto di teologia positiva, non esente da una certa imprecisione (include anche lo studio biblico dei temi trattati o soltanto quello patristico?), il che è normale se si tiene presente che il concetto di 'positivo' non è stato ancora ben elaborato, si trova in formazione in quel periodo42. Nell'elaborazione di questo concetto ebbe un influsso molto notevole la scuola teologica della nascente Compagnia di Gesù, che a Parigi lo assimilò dagli ambienti nei quali in concetto nacque, che è la scuola di Giovanni Mair.
______________
38. F. cavallera, Théologie positive: Bulletin de Littérature Ecclésiastique 26 (1925) 21, afferma che quella di Sant'Ignaro è la testimonianza più antica che parla di teologia positiva; ma non conosce il testo di Mair.
39. Su queste regole cf. L.M. mendizabal, Reglas ignacianas sobre el sentido verdadero en la Iglesia, in Sentir con la Iglesia (Madrid 1983) pp. 193-223, dove si troverà anche una bibliografia che raccoglie gli studi più importanti in merito. Oggi si da per sicuro che queste regole sono state composte in due fasi: le prime tredici a Parigi e le ultime cinque a Roma prima del 1541. Cf. mendizabal, a.c.: Sentir con la Iglesia, p. 201.
40. Exercicios Spirituales, 363: MHSI 100, 410.
41. Ivi.
42. M. andrés, La Teologia espanola en el sigio XVI, t. 1 (Madrid 1976) p. 184.
In un primo tempo sembra che l'esistenza, nei centri d'insegnamento gesuitici, di una cattedra di Bibbia distinta delle cattedre di Prima e Vespri, abbia fatto sì che i teologi sistematici trascurassero un poco l'esegesi biblica, mentre gli stessi teologi ne trattavano i temi basandosi su una buona informazione patristica.
In questo punto vale la pena porre l'accento sul primo trattato di teologia che fu composto nella Compagnia di Gesù. Si tratta di un'opera sulla Trinità, della quale fu autore Diego Lainez. Il trattato è rimasto inedito, ma è stata pubblicata la relativa censura a cura di Alfonso Salmerón. In essa questi chiede che si moderassero le allegazioni di Padri e dottori, perché sono molte e molto lunghe43. Questo dimostra che la prima sistematica gesuitica si occupava delle questioni non soltanto speculativamente, bensì accompagnandole con una notevole documentazione patristica. Per contro, sorprende che Salmerón nella sua censura osservi che nel testo di Lainez manchi uno studio biblico più accurato. Scrive così: "Che in li citazioni delli luoghi delle Scritture che fa, saria espediente tal volta ponderar qualche luogo, et darli qualche vita, acciò più efficacemente concludesse quello che pretende!44.
Quest'idea di una teologia con un doppio compito, quello positivo e quello speculativo, finì per includere nel primo di essi non soltanto gli aspetti patristici, ma anche quelli biblici. Si tratta di un metodo teologico che trova la sua espressione più profonda in Juan de Maldonado. Infatti, Maldonado pronuncia nel Collegio gesuitico di Clermont a Parigi, all'inizio di corsi differenti (dal 1565 a 1574), quattro discorsi inaugurali sul metodo teologico; anche di lui conserviamo un breve trattato su questa materia45. Sempre si esige, per essere buon teologo scolastico (il che, in questo contesto, è sinonimo di sistematico), una seria conoscenza della Scrittura, dei Concili e dei Padri46.In nessun'altra parte è necessaria una conoscenza così grande e così perfetta delle lingue che dove quasi non occorre usare altre argomentazioni che non siano tratte dalla Sacra Scrittura, e in seconda istanza dalle testimonianze dei Padri dei primi secoli, la cui comprensione dipende spesso della capacità di leggere una sillaba o un accento47. Infatti, la fama di Maldonado è legata ai suoi commenti ai quadro vangeli, che hanno conosciuto 29 edizioni fino ai nostri giorni48; infatti, benché fosse professore di sistematica, è conosciuto principalmente come esegeta.
______________
43. "Lettera al P. Juan de Palanco (Napoli, 3 febbraio 1554): MESI 30, 113.
44. Ivi.
45. Sia i discorsi che il breve trattato sono stati pubblicati da R. galdos, Miscellanea de Maldonato (Madrid 1947) pp. 43-141.
46. Cf. maldonado, De studio Theologiae, 2: galdos, Miscellanea de Maldonato, pp. 134-135.
47. MALDONADO, Orario prima, 22: galdos, Miscellanea de Maldonato, p. 60.
48. Elenco d’edizioni in galdos, Miscellanea de Maldonato, p. 19-20.
Il metodo teologico che viene proposto nel secolo XVI e che continua a prevalere praticamente fino ai nostri giorni, è quello che poco fa ho evocato. Ha un'importanza singolare il fatto che il Magistero ecclesiastico lo abbia fatto suo nelle due occasioni in cui lo stesso Magistero ha voluto insegnare un metodo per fare o insegnare teologia: con Pio XII, nell'Enciclica Humani generis (12 agosto 1950)49, e col Decreto Optatam totius del Concilio Vaticano II50. In questi testi si parla rispettivamente di una speculazione che ringiovanisce se si opera su una base solida di teologia positiva (Pio XII) e si traccia un ambizioso programma speculativo dopo aver assegnato la priorità del lavoro teologico allo studio della Bibbia e della tradizione sia patristica che posteriore (Vaticano II). In entrambi i casi si ha una chiara consapevolezza che nella storia della Chiesa si sia verificato un processo di progresso dogmatico. La differenza più importante in termini di impostazione metodologica nei due documenti del Magistero che stiamo studiando consiste, a mio parere, nel fatto che Pio XII propone di partire dall'insegnamento attuale del Magistero per mostrare come la sua dottrina si trova esplicitamente o implicitamente nella Sacra Scrittura e nella tradizione divina. Egli propone, dunque, un percorso da ciò che è attualmente esplicito e sviluppato a quanto si trovava in germe nelle sue prime fonti. Il metodo che, secondo il Concilio Vaticano II, occorre applicare nell'insegnamento della teologia segue piuttosto lo sviluppo del dogma nella storia; perciò si parte dalle radici. Assumendo, come punto di partenza, i temi cosi come si trovano nella Sacra Scrittura (nell’ambito di quest'ultima, penso che sarebbe conveniente mostrare 'geneticamente' il suo sviluppo dall'Antico al Nuovo Testamento), si spieghi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d'Oriente e di quelli della Chiesa d'Occidente alla trasmissione fedele e allo sviluppo di ciascuna delle verità della rivelazione, nonché la storia posteriore del dogma - tenendo conto pure della sua relazione con la storia generale della Chiesa51. È di somma importanza il fatto che, nelle parole del Concilio a riguardo di questo studio della storia del dogma, esista la consapevolezza, in modo riflesso, che il progresso dogmatico non si conclude con il contributo dei Santi Padri; esiste una storia successiva del dogma che non si può ignorare e che, in alcuni casi, risulta decisiva (si pensi alla dottrina dell'Immacolata Concezione, che giunge alla sua piena maturità, anche per quanto riguarda la sua definibilità dogmatica, in tempi posteriori ai Padri, mediante una riflessione che è fondamentalmente medievale).
______________
49. DS 3886.
50. concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58 (1966) 723-724.
51. concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58 (1966) 723.
Mi pare evidente che uno studio serio dei fondamenti positivi, cioè biblici e patristici, di una verità di fede costituisce un contributo fondamentale all'intelligenza della fede, alla comprensione di quella stessa verità. Non è lo stesso conoscere con esattezza la formulazione di una verità di fede che imparare il cammino del progresso dogmatico per il quale si è giunti ad essa. Per proporre un esempio classico, non è lo stesso conoscere la portata dottrinale della definizione del Beato Pio IX sull'Immacolata Concezione di Maria52, il che in fondo corrisponde ad una conoscenza catechetica53, che conoscere il cammino per il quale la riflessione di fede della Chiesa è arrivata alla convinzione espressa nella definizione. Oltre a conoscere in modo chiaro quali sono storicamente gli agenti del progresso dogmatico in questo caso concreto (la storia, ben conosciuta, delle discussioni medievali circa il privilegio dell'Immacolata oppone, in modo curioso, la 'fede dei semplici' alla 'teologia sapiente', come anni fa scriveva H. Holstein)54, ci sono altri aspetti di una intelligenza più profonda del senso del dogma che si acquistano attraverso la conoscenza delle difficoltà che è stato necessario affrontare lungo la storia del progresso dogmatico di questo mistero. Ne segnalo tre già ben conosciute:
1) Prima di tutto, va registrato l'influsso esercitato dalle idee di origine agostiniana sulla trasmissione del peccato originale; secondo questa concezione, il peccato originale si trasmette mediante la generazione naturale (non verginale) e mediante la concupiscenza che la accompagna.
2) D'altra parte, secondo idee allora comuni, nel feto c'era una "qualità morbosa", effetto della concupiscenza con cui era stato prodotto; quando dopo qualche tempo (forse alcuni mesi) il feto veniva "animato" (cioè, quando l'anima veniva creata e unita al corpo), il contatto dell'anima con quella "qualità morbosa" infettava l'anima e la macchiava. 3) La redenzione di Cristo deve essere universale; non si capiva però come Maria potesse essere stata redenta se non aveva il peccato originale55. La conoscenza dei problemi che la riflessione di fede nella Chiesa sulla Concezione Immacolata di Maria doveva risolvere, non soltanto illumina la teologia della trasmissione del peccato originale e la sua intima natura col superamento di una impostazione troppo materiale e biologica del peccato originale, per un'accentuazione del carattere primario dell'idea di privazione di giustizia per spiegare l'essenza del peccato originale, ma chiarifica anche le condizioni, reali o superflue secondo i casi, perché la concezione di Maria fosse immacolata. In una parola, si sta rifinendo la percezione di quello che si vuoi dire proclamando Maria come Immacolata sin dal primo momento della sua esistenza. Finalmente la terza difficoltà, l'apparente contrasto fra assenza di qualunque genere di peccato (anche del peccato originale) e l'universalità della redenzione di Cristo, venne risolta, a incominciare da Duns Scoto, col concetto di redenzione più perfetta e col presentare l'Immacolata non già semplicemente come redenta,
______________
52. Pio IX. Bolla Ineffabilis Deus: DS 2803.
53. Il testo della definizione dogmatica di Pio IX si trova riprodotto in Catechismus Catholicae Ecclesiae, 491, ed. typica, p. 134.
54. Le développement du dogme marial, in H. DU MANOIR, Maria, t. 6 (Paris 1961) p. 270.
55. C. Pozo, Maria en obra de la salvación, 2a ed. (Madrid 1990) p. 304. A riguardo della difficoltà che viene qui evidenziata, San Tommaso scrisse "Si nunquam anima Virginis fuisset contagio originalis peccati inquinata, hoc derogaret dignitati Christi, secundum quam est universalis omnium Salvator" (3, q. 27, a. 2, ad 2).
bensì come la più perfettamente redenta: preservare dalla caduta è più perfetto che liberare dopo la caduta56. Sembra così chiaro che lo studio degli aspetti della teologia positiva di un mistero che prima si conosceva soltanto catecheticamente, lo studio del progresso dogmatico di una verità, cioè del cammino percorso dai suoi primi indizi nella Bibbia fino alla sua definizione infallibile, reca un contributo essenziale all'intelligenza del mistero stesso.
Nel metodo didattico applicato alla Teologia che il Concilio Vaticano n sviluppa, si prescrive che dopo lo studio positivo dei temi, per illustrare nella forma più completa possibile i misteri della salvezza, gli alunni imparino ad approfondirli e a scoprire le loro connessioni reciproche, secondo il magistero di San Tommaso57. Si arriva così a completare il lavoro teologico, ormai sviluppato nel suo aspetto positivo, con un ulteriore lavoro speculativo. La speculazione permette di approfondire i misteri, ma è anche di grande interesse che il Concilio affidi al lavoro speculativo la ricerca delle connessioni esistenti fra i misteri stessi. Ciò è di somma importanza perché permette di fare una coerente sistematizzazione delle verità teologiche58. La nuova sintesi va oltre quella prima sintesi di fede che ci offriva il. Catechismo della Chiesa Cattolica. Nella sintesi iniziale le verità di fede si relazionavano fra loro, mentre adesso, come frutto maturo della formazione sistematica, si relazionano verità teologiche la cui conoscenza è stata raggiunta attraverso un approfondimento delle stesse verità della fede. I grandi sistemi teologici che sono stati proposti nella storia corrispondono a questo schema di ricerca di sintesi di verità teologiche59. La formula "sotto il magistero di San Tommaso" (Sancto Thoma Magistro) è frutto di un difficile compromesso fra i Padri conciliari; con essa, più che imporre determinate idee del sistema tomistico, si presenta l'atteggiamento teologico di San Tommaso come esemplare60.
È importante essere consapevoli dell'atmosfera in cui il Concilio Vaticano E colloca idealmente la realizzazione di tutto questo lavoro teologico. Considero quindi molto suggestiva l'indicazione che s'insegni agli alunni a riconoscere questi misteri [della fede] sempre presenti ed operanti nelle azioni liturgiche ed in tutta la vita della Chiesa61. In essa si propone la necessità di relazionare lo studio teologico con la vita liturgica, vale a dire, con la preghiera ufficiale della Chiesa.
______________
56. Cf. J. galot, L’Immaculée Conception, in Du MANOIR, t. 7 (Paris 1964) p. 68-69.
57. Concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58(1966)723.
58. La ricerca di sintesi, come compito della teologia speculativa, attribuisce alla speculazione un campo molto più ampio di quello che gli concedeva la cosiddetta "teologia di conclusioni"; per questo concetto cf. J. beumer, Konklusionstheologie?: Zeitschrift für katholische Theologie 63(1939)360-365.
59. Sulle prime grandi sintesi medievali cf. H. cloes, La systématisation théologique pendant la première moitié du XIIe siecle: Ephemerides Theologicae Lovanienses 34(1958)277-329.
60. Cf. Congregatio Generalis 146 (11 octobris 1965). Schema Decreti de institutione sacerdotali. Relatio de modis propositis et examinatis. Ad num. 15. Nota praevia: Acta Synodalia 4/4 (Typis Polyglottis Vaticanis 1977) p. 95-96.
61. concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58(1966)723-724.
La connessione fra lo studio della teologia e la preghiera e la vita spirituale rappresentò un'idea deliberatamente coltivata dalla teologia monastica62. Più tardi, con la prevalenza della scolastica, non lo si postulò più con tanta enfasi, senza che per ciò smettesse di rappresentare un tema tradizionale63. In un interessante saggio, H.U. von Balthasar ha fatto un notevole sforzo per ravvivare quest'impostazione nell'elaborazione attuale della teologia64. A ragione egli sottolinea che la preghiera [...] è l'unico atteggiamento oggettivo dinanzi al mistero65, come già ce lo insegnava Sant'Anselmo nel suo modo di fare teologia: "Non posso cercarti se tu non m'insegni, né trovarti se tu non ti mostri"66. La stessa impostazione appare in San Bonaventura, del quale l'Esortazione apostolica. Pastores dabo vobis cita alcune parole programmatiche67: "Nessuno creda che gli basti la lettura senza l'unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza lo stupore, l'osservazione senza l'esultanza, l'attività senza la pietà la scienza senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio senza la grazia divina, l'indagine senza la sapienza dell'ispirazione divina"68. Nella storia della teologia, una teologia orante, inginocchiata, fu prevalente fino al subentro della scolastica, fino al predominio, nel modo di coltivare ed insegnare la teologia, dell'aspetto accademico: ci fu un momento nel quale si passò dalla teologia 'inginocchiata' a quella 'seduta'69.
Forse il primo e più clamoroso tentativo di spezzare la connessione fra teologia e vita spirituale si produsse con Pietro Abelardo. Ho l'impressione che le riserve di San Bemardo a suo riguardo, più che riferirsi a punti dottrinali concreti (sebbene alcuni di essi provocassero apprensione nel Santo di
Chiaravalle), fossero frutto dell'atteggiamento generale di Abelardo.
______________
62. Per il concetto di teologia monastica cf. J. leclercq, La teologia monastica: Seminarios 11(1965)203-223.
63. Cf. J. beumer, Theologie als religiöses Anliegen: Münchener theologische Zeitschrift 8(1957)295-307; J. ochagavìa, La oración en la Teologia: Teologia y vida 14(1973)165-179.
64. Teologia y santidad, in Ensayos teológicos, 1. Verbum caro, trad. spagn. (Madrid 1964) p. 235-268.
65. Ibid., p. 266.
66. Proslogion, c. 1: Opera omnia, ed. Schmitt, t. 1, p. 100 (PL 158, 227); cf. von balthasar, a.c.: Ensayos teológicos, t. 1, p. 265.
67. giovanni paolo II, Esort. apostolica postsinodale Pastores dabo vobis, 53: AAS 84(1992)753.
68. Itinerarium mentis in Deum, Prologus, 4: Opera omnia, t. 5 (Ad Claras Aquas 1891) p. 296. Già il concilio vaticano E, Decreto Optatam totius, 16, nota 32: AAS 58(1966)723, citava queste parole per chiedere che, nello studio teologico, gli alunni convertissero la dottrina cattolica in "alimento della loro propria vita spirituale".
69. Von balthasar, a.c.: Ensayos teológicos, t. 1, p. 267.
A lui allude probabilmente San Bernardo in un brano che indica i motivi che egli ritiene incorretti per fare teologia e, sull'altro versante, gli unici motivi che giustificano il lavoro teologico: "Ci sono dunque alcuni che vogliono sapere soltanto per il gusto di sapere, e questa è una turpe curiosità. Ci sono poi alcuni che vogliono sapere per essere conosciuti, e questo è una turpe vanità. [...] E ci sono pure alcuni che vogliono sapere per vendere la loro scienza, per esempio, per denaro, per ricevere onori: e questo è un turpe negozio. Ma ci sono anche alcuni che vogliono sapere per edificare: e questo è carità. Ed anche alcuni che vogliono sapere per essere edificati: e questo è prudenza"70. A ragione degli svantaggi che storicamente sono derivati dalla secolarizzazione della teologia, si dovrà salutare con gioia l'indicazione del Concilio Vaticano II che postula che l'insegnamento teologico sia messo in connessione con la vita di preghiera, specialmente con la vita di preghiera ufficiale e liturgica della Chiesa, e che si cerchi di praticarla.
L'indicazione con la quale si chiede che si faccia in modo che gli alunni imparino a cercare, alla luce della rivelazione, la soluzione dei problemi umani, e ad applicare le sue eterne verità alla mutevole condizione della vita umana71 esige che si pratichi una teologia non atemporale, bensì vicina ai problemi dei nostri contemporanei. A prescindere dalla soluzione che si diede a questo postulato nel movimento che venne chiamato "la nouvelle Theólogie", la sollecitudine, che espresse J. Daniélou in un articolo che va considerato programmatico per la tendenza citata72, era corretta e giustificata. La teologia, infatti, non può rinchiudersi in una torre d'avorio, al contrario deve essere sensibile agli interrogativi di ogni epoca. A condizione, naturalmente, che la teologia non si trasformi fino a convenirsi in mero ricettario per i problemi di oggi. Le risposte a tali problemi devono partire dal corpo dottrinale che Iddio si è degnato rivelare agli uomini (cf. Eb 1,1-2) ed essere correlate ad esso. Questo corpo dottrinale coerente e perciò capace di sistematizzazione deve conservare un posto prioritario tra le preoccupazioni del teologo.
D'altra parte, nemmeno si può dimenticare che la Parola di Dio è il fattore immutabile. In essa vanno cercate le risposte alle mutevoli vicissitudini e problemi nella storia dell'umanità. Nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, il Concilio Vaticano n, trattando il tema dei segni dei tempi, vide in essi l'origine degli interrogativi, mentre il Vangelo costituisce la fonte delle risposte: "È dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo"73.
______________
70. SAN Bernardo, In Cantica Canticorum, sermo 36, 3: Sancti Bernardi Opera, ed. Cisterciensium, t.2 (Romae 1958) p. 5-6 (PL 183, 968).
71. Concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58(1966)724.
72. Les orientations présentes de la pensée religieuse: Études 249(1946)17-21 (l'articolo completo incomincia a p. 5). È classico come presentazione di tutto questo movimento lo studio di Th. deman, Tentatives françaises pour un renouvellement de la Theólogie: Revue de l'Université de Ottawa 20(1950) 129*-167*.
73. Concilio vaticano II, Cost. pastorale Gaudium et spes, 4: AAS 58(1966)1027.
Nel metodo per l'insegnamento della teologia proposto dal Concilio Vaticano II, viene richiesto
che gli alunni imparino a comunicare le verità eterne della rivelazione in un modo appropriato ai loro coetanei74. Ancora una volta il Concilio Vaticano II fa propria una giustificata sollecitudine che fu molto presente nella corrente conosciuta col nome di 'teologia kerigmatica': la preoccupazione di praticare una teologia 'predicabile'75. Quella corrente produsse alcuni frutti molto positivi. Basti evocare la sintesi teologica che pubblicò H. Rahner, tutta costruita con una forte colorazione biblica e patristica, e avendo cura che l'insieme risultasse predicabile76. Le riserve vennero dall'impressione che producevano i teologi kerigmatici, di contrapporre una teologia scientifica non predicabile (la teologia delle aule), ad un'altra più modesta (non scientifica) predicabile77. Il malinteso pratico più importante della cosiddetta 'teologia della predicazione' - o almeno favorito da essa - fu appunto l'opinione, nata come presupposto, che la teologia scientifica potesse restare come era, e che l'unica cosa da fare fosse quella di costruirle accanto una teologia kerigmatica. Tale teologia consisterebbe essenzialmente nel dire le stesse cose che la teologia scientifica scolastica aveva già elaborato, ma in modo leggermente diverso, più 'kerigmaticamente', e nel presentarle in modo più pratico. In realtà, la teologia più rigorosa, che si dedica appassionatamente ed unicamente al suo oggetto, attraverso incessanti domande sempre nuove, la teologia più scientifica risulta sul lungo termine la più kerigmatica78.
La stessa teologia scientifica deve poter essere predicata, e non essere soltanto una teologia di peso minore che si colloca accanto all'altra. Bisogna rinnovare quello che fu l'ideale formativo della Facoltà di Teologia di Parigi nel Medioevo, in particolare nel secolo XII. Come affermava Petrus Cantor, il teologo deve saper leggere, disputare, predicare79. Leggere, ovvero raggiungere una conoscenza della Scrittura che gli permettesse di spiegarla. Disputare: doveva saper discutere per difendere la verità - e se questo verbo ferisce la sensibilità attuale, diciamo che doveva saper dialogare senza dimenticare la sua irrinunciabile fedeltà alla verità. Predicare: doveva, infine, essere capace di trasmettere il messaggio al popolo cristiano in modo intelligibile e senza alterarlo.
______________
74. Concilio vaticano II, Decreto Optatam totius, 16: AAS 58(1966)724.
75. Su questa corrente cf. E. kappler, Die Verkündigungstheologie. Gotteswort auf Lehrstuhl und Kanzel (Freiburg in der Schweiz 1949); A. STOLZ, De theologia kerygmatica: Angelicum 17(1940)337-351.
76. Eine Theologie der Verkündigung (Freiburg i.B. 1939).
77. Cf. VON BALTHASAR, a.c.: Ensayos teológicos, t. 1, p. 250-251.
78. K. rahner, Über den Versuch eines Aufrisses einer Dogmatik, in Schriften zur Theologie, t. 1, 30 ed. (Einseideln-Zürich-Köln 1958) p. 15-16.
79. In tribus igitur consistit exercitium sacrae Scriptura: circa lectionem, disputationem et praedicationem (Verbum abbreviatum, e. 1: PL 205, 25).
Conclusione
Giunti alla fine di queste riflessioni, come frutto delle medesime, desidero formulare una doppia proposta. In primo luogo, penso che ci sarebbero grandi vantaggi nel convertire il corso di introduzione alla storia della salvezza e al mistero di Cristo in un corso sul Catechismo della Chiesa Cattolica, collocato all'inizio degli studi ecclesiastici. In questo corso si offrirebbe agli alunni una sintesi completa della dottrina della fede. Bisognerebbe verificare la conoscenza di tale sintesi da parte degli alunni con un esame complessivo.
Gli studi strettamente teologici dovrebbero prendere questa sintesi di fede come punto di riferimento. È questa la fede della Chiesa che la teologia deve sforzarsi di capire. Questa intelligenza della fede potrà realizzarsi con il metodo che il Concilio Vaticano II propose per l'insegnamento della teologia. Prima di tutto, sarà necessario far conoscere la storia del dogma in ciascuno dei temi trattati (teologia positiva). Su questa storia si costruirà il lavoro speculativo, che deve essere concepito in tutta la sua ampiezza senza tralasciare la ricerca delle connessioni tra le diverse verità. In questo modo, si arriverà ad un'ulteriore sintesi teologica, più ampia della mera sintesi della dottrina di fede. D'altra parte, tutto questo lavoro dovrà svolgersi in un'atmosfera spirituale di preghiera ('teologia inginocchiata'). Si cercherà di fare in modo che la teologia, senza dimenticare la centralità del suo studio sistematico, costituisca un punto de riferimento in cui si possano trovare risposte alle grandi questioni che preoccupano l'uomo d'oggi. Infine si dovrà fare in modo che gli alunni dei nostri centri teologici imparino a trasmettere il messaggio che durante il tempo dei loro studi teologici si sono sforzati di penetrare e di capire..
Non voglio concludere senza ricordare che tutto questo deve realizzarsi, sotto la guida del Magistero della Chiesa (sub Ecclesiae Magisterii ductu) secondo l'espressione del Concilio Vaticano II80. D teologo, già nella sua fase iniziale di studente di teologia, ma come atteggiamento da mantenere sempre, deve essere consapevole che il suo compito consiste nel cercare di capire la fede della Chiesa, della quale il Magistero è l'interprete autentico81.
______________
80. Decreto Optatam totius, 16: AAS 58(1966)723.
81. Concilio Vaticano II, Cost. dogmatica Dei Verbum, 10: AAS 58(1966)822.