Videoconferenza Venerdì 13 Dicembre 2002 – Prof. Silvio Cajiao (Bogotà, Colombia)

Contemplazione di Cristo con Maria nel Santo Rosario

 

Nella sua lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002 – la stessa data che marca l’inizio del suo venticinquesimo anno di pontificato – Giovanni Paolo II ci invita a commemorare i 120 anni trascorsi dalla pubblicazione della prima enciclica dedicata da un Papa al Santo Rosario. Fu infatti Leone XIII, il 1 settembre 1883, che la promulgò con il titolo: Supremi Apostolatus officio. L’attuale Papa ha scritto 12 encicliche, due lettere apostoliche e una lettera indirizzata al Cardinal Parocchi, Vicario di Roma, che toccano il tema del Rosario, motivo per il quale si è meritato l’appellativo di "Papa del Rosario". Tutti i Pontefici che verranno avranno a disposizione sia Encicliche che lettere, nonché messaggi indirizzati a vari personaggi e comunità, specialmente a quella dei Domenicani, al fine di propiziare questa devozione e arricchirla con indulgenze. Giovanni Paolo II ci dice che ha voluto ricordare in maniera eccezionale Paolo VI, il quale, nella sua "Esortazione apostolica Marialis cultus sottolineò, in armonia con l'ispirazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, il carattere evangelico del Rosario ed il suo orientamento cristologico." (RVM 2).

Il Vicario di Cristo precisa nell’Introduzione che intende collocare questa lettera in riferimento a quanto ha scritto recentemente invitando l’intera Chiesa a proseguire nella dinamica del "camminare partendo da Cristo" all’inizio del terzo millennio dell’era cristiana, con la sua lettera apostolica Novo millennio ineunte. Al n.3 ci dice anche che "Recitare il Rosario, infatti, non è altro che contemplare con Maria il volto di Cristo" e proclama che l’anno che va dall’ottobre del 2002 all’ottobre del 2003 sarà l’"Anno del Rosario".

Similmente, ribatte alle obiezioni che sono state avanzate contro il Rosario, come quella secondo cui, avendo il Vaticano II raccomandato in maniera particolare la centralità della liturgia, la preghiera del Rosario rappresenterebbe un ostacolo. Il Papa dice infatti: " In realtà, come precisò Paolo VI, questa preghiera non solo non si oppone alla Liturgia, ma le fa da supporto, giacché ben la introduce e la riecheggia, consentendo di viverla con pienezza di partecipazione interiore, raccogliendone frutti nella vita quotidiana." (RVM 4). L’altra obiezione consisteva nell’affermare che questa devozione mariana avrebbe ostacolato l’opera ecumenica che tanto encomiabilmente si è sviluppata a partire dal Vaticano II. Per la precisione, il Santo Padre ricorda che il Concilio, nella Lumen gentium (VIII, 66) auspicava che la venerazione nei confronti della Madre di Dio si traduca in " un culto orientato al centro cristologico della fede cristiana, in modo che "quando è onorata la Madre, il Figlio [...] sia debitamente conosciuto, amato, glorificato" " (RVM 4).

Tanto all’inizio quanto alla fine della sua lettera circolare, il Pontefice ci invita a fare in modo che il Rosario costituisca una preghiera che si pronuncia in maniera particolare per la pace minacciata e per la non meno minacciata istituzione familiare (cfr. nn. 6 e 40-42).

Ma è nel n. 5 di questa Introduzione che ci fornisce la chiave del suo scritto: " Ma il motivo più importante per riproporre con forza la pratica del Rosario è il fatto che esso costituisce un mezzo validissimo per favorire tra i fedeli quell'impegno di contemplazione del mistero cristiano che ho proposto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte come vera e propria 'pedagogia della santità'": " C'è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell'arte della preghiera ". Mentre nella cultura contemporanea, pur tra tante contraddizioni, affiora una nuova esigenza di spiritualità, sollecitata anche da influssi di altre religioni, è più che mai urgente che le nostre comunità cristiane diventino "autentiche 'scuole' di preghiera"." (RVM 5)

Il Papa, dopo aver ricordato che nell’agiografia cristiana abbondano gli esempi di santi che si sono distinti per aver individuato nella preghiera del Rosario un autentico cammino di santificazione, passa al Capitolo I, intitolato: "Contemplare Cristo con Maria". Utilizzando una base neotestamentaria nel racconto della Trasfigurazione (cfr. Mt 17, 1-9) che aveva già utilizzato nella sua Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata, del 25 marzo 1996, ci dice che tale scena evangelica può essere considerata come un’" icona della contemplazione cristiana", poiché "Fissare gli occhi sul volto di Cristo, riconoscerne il mistero nel cammino ordinario e doloroso della sua umanità, fino a coglierne il fulgore divino definitivamente manifestato nel Risorto glorificato alla destra del Padre, è il compito di ogni discepolo di Cristo; è quindi anche compito nostro." (RVM 9) Infatti, per mezzo del cammino della contemplazione del volto del Trasfigurato, " ci apriamo ad accogliere il mistero della vita trinitaria, per sperimentare sempre nuovamente l'amore del Padre e godere della gioia dello Spirito Santo." In questo modo, come dice San Paolo, riflettendo quella gloria sempre più "veniamo trasformati in quella medesima immagine" (2 Cor 3, 18). 

Nell’Esortazione sulla vita consacrata ci diceva: "L’episodio della Trasfigurazione segna un momento decisivo nel ministero di Gesù. È evento di rivelazione che consolida la fede nel cuore dei discepoli, li prepara al dramma della Croce ed anticipa la gloria della risurrezione. (…) Da questa luce sono raggiunti tutti i suoi figli, tutti ugualmente chiamati a seguire Cristo riponendo in Lui il senso ultimo della propria vita, fino a poter dire con l’apostolo: "Per me il vivere è Cristo!" (Fil 1, 21)." (VC 15). Più avanti, nello stesso numero, indica come le parole di Pietro: "Signore, è bello per noi stare qui!" (Mt 17, 4) ci "dicono la tensione cristocentrica di tutta la vita cristiana".

Maria costituirà pertanto un modello insuperabile della contemplazione, poiché " Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale. È nel suo grembo che si è plasmato, prendendo da Lei anche un'umana somiglianza che evoca un'intimità spirituale certo ancora più grande. Alla contemplazione del volto di Cristo nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Gli occhi del suo cuore si concentrano in qualche modo su di Lui già nell'Annunciazione, quando lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi comincia a sentirne la presenza e a presagirne i lineamenti. Quando finalmente lo dà alla luce a Betlemme, anche i suoi occhi di carne si portano teneramente sul volto del Figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia (cfr Lc 2, 7)." (RVM 10)

Nella prosecuzione il Santo Padre ci offre una descrizione degli sguardi di Maria su suo Figlio. " Sarà talora uno sguardo interrogativo, come nell'episodio dello smarrimento nel tempio; sarà in ogni caso uno sguardo penetrante, capace di leggere nell'intimo di Gesù, fino a percepirne i sentimenti nascosti e a indovinarne le scelte, come a Cana (cfr Gv 2, 5); altre volte sarà uno sguardo addolorato, soprattutto sotto la croce, dove sarà ancora, in certo senso, lo sguardo della 'partoriente', giacché Maria non si limiterà a condividere la passione e la morte dell'Unigenito, ma accoglierà il nuovo figlio a Lei consegnato nel discepolo prediletto (cfr Gv 19, 26-27); nel mattino di Pasqua sarà uno sguardo radioso per la gioia della risurrezione e, infine, uno sguardo ardente per l'effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (cfr At 1, 14)." (RVM 10).

Maria è quindi colei che conservava nel suo cuore tutti i ricordi del Figlio (cfr. 2, 19 e 2, 51), non un semplice ricordo che si limita a registrare, ma episodi che diventavano la sua "meditazione", andavano a costituire il "rosario" di Maria. Ne deriva che ogni volta che i suoi figli compiono un’ "anamnesis" dei misteri di Gesù, non fanno altro che collocarsi in comunione con quella memoria vivente della Madre (n. 11). Riteniamo pertanto che il Rosario rappresenti una supplica marcatamente contemplativa, e non interpretarlo in questa prospettiva rischia di porre la persona di fronte alla possibilità di articolare formule reiterative prive di senso.

Il Sommo Pontefice prosegue esplicitando " alcune dimensioni del Rosario che meglio ne definiscono il carattere proprio di contemplazione cristologica" (n. 12): ricordarne la memoria, comprendere, configurarsi a Cristo, supplicare e annunciare quanto si è contemplato.

Ricordare Cristo con Maria: indubbiamente, come afferma il Vaticano II e ci ricorda il Papa, la liturgia costituisce non soltanto il ricordo dell’azione salvifica di Dio in Cristo, ma anche l’attualizzazione di questo mistero; pertanto, il ricordare ciò di cui stiamo parlando è il ricordare biblico, quello di una memoria salvifica: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi" (Lc 4, 21). Ne consegue che il Rosario non intende andare a sostituire la ricchezza della sorgente liturgica, bensì proporre un ambito di preghiera in assenza del quale la celebrazione della liturgia non avrebbe la possibilità di apportare tutta la propria ricchezza. Così ci dice il Papa: " se la Liturgia, azione di Cristo e della Chiesa, è azione salvifica per eccellenza, il Rosario, quale meditazione su Cristo con Maria, è contemplazione salutare.", e auspica che quanto il Signore ha realizzato nella liturgia " venga profondamente assimilato e plasmi l'esistenza." (RVM 13) 

Comprendere Cristo partendo da Maria: dal momento che si tratta non di comprendere qualcosa, bensì di arrivare a comprendere Qualcuno, ci porterà necessariamente a invocare quel Maestro interiore che è lo Spirito Santo, e nessuno meglio di Maria può aiutarci a conseguire quella "conoscenza interiore del Signore (…) per amarlo di più e seguirlo" (S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 104). Maria senza dubbio ha accompagnato i discepoli dal primo segno a Cana fino alla Pentecoste, e ci può permettere di ottenere da quello stesso Spirito i doni necessari per assimilare il Mistero.

Configurarsi a Cristo con Maria: tutta la dinamica della spiritualità cristiana deve tendere a questo configurarsi a Cristo, come ci ricorda la dottrina paolina del Corpo di Cristo, o il Vangelo di Giovanni nell’immagine della vite e dei tralci.Tale configurazione potrà essere conseguita per mezzo di una frequentazione amicale con Gesù, ma Egli opera in rapporto con la sua sposa, la Chiesa, e quest’ultima non ha altro membro più configurato a Cristo che la stessa Vergine Maria, per cui " Ella è l'icona perfetta della maternità della Chiesa" (RVM 15).

Chiedere a Cristo con Maria: il fondamento dell’efficacia della preghiera è la stessa bontà del Padre che per Cristo, nello Spirito, consente che la nostra preghiera adempia la sua funzione di lode e di presenza trasformante del Signore in noi. Questa preghiera di richiesta si appoggia sulla preghiera di Maria. Senza sminuire in nessun modo l’unica mediazione di Cristo, Maria collabora in maniera particolare affinché la Chiesa si concentri sulla persona di Cristo che ci si manifesta nei suoi misteri.

Annunciare Cristo: un’adeguata presentazione del mistero di Cristo attraverso la recita del Rosario trasformerà quest’ultimo in uno strumento che otterrà più successi rispetto a una semplice esposizione del cristianesimo, poiché il fatto di mostrare il Signore in contemplazione farà sì che l’assimilazione del medesimo nella vita e nella prospettiva cristiana di colui che riceve il messaggio sia tanto più solida in quanto proviene da una comunione con Cristo nella contemplazione dei suoi misteri.

Giovanni Paolo II è il primo Papa che afferma che il Rosario è una preghiera contemplativa. Nella tradizione orante della Chiesa, si è fatto ricorso alla cosiddetta Lectio divina, che passando per la suddetta lectio deve elevarsi a meditatio, all’oratio e infine alla vera e propria contemplatio. Per alcuni, quest’ultima può arrivare ad essere considerata come un livello molto alto al quale risulta difficile accedere. Ci ricorda il Vescovo di Roma che, sempre mantenendosi nella prospettiva della tradizione cristiana, l’avvicinamento ai cosiddetti mysteria vita Christi non debbono essere considerati come una realtà inaccessibile per il cristiano, ma al contrario che la proposta semplice del Santo Rosario ci introduce soavemente ma sicuramente a guardare con gli occhi della fede, con lo sguardo di Maria, il Signore Gesù nel suo itinerario verso il Padre, come lo stesso Papa ci indica.

Infatti, ripetutamente e senza dubbio intenzionalmente, il Santo Padre utilizza la parola cammino, nel senso che non si può intendere in altra forma la spiritualità cristiana se non come sequela Christi, ma questa non è possibile se colui che segue non guarda, non contempla il volto del Maestro. La presentazione che fa il Papa nel Capitolo II: "Misteri di Cristo, misteri della Madre" ci ricorda, citando Paolo VI, che la trama delle Ave Marie forma come l’ordito in cui si sviluppa la contemplazione dei misteri, poiché " il Gesù che ogni Ave Maria richiama, è quello stesso che la successione dei misteri ci propone, di volta in volta, Figlio di Dio e della Vergine" (Marialis cultus, 46).

In quest’ottica il Papa propone, anche con la finalità di sottolineare il carattere cristologico del Rosario, che vengano incorporati i misteri che si riferiscono alla vita pubblica di Gesù a quelli che egli chiama i "Misteri della Luce", in maniera da poter asserire con maggior sicurezza che realmente il Rosario costituisce un "compendio del Vangelo"; così si può dire che questa preghiera è mirata a far vivere con rinnovato interesse la spiritualità cristiana " quale vera introduzione alla profondità del Cuore di Cristo, abisso di gioia e di luce, di dolore e di gloria" (RVM 19). Nel seguito, compirà un’analisi dettagliata di ogni singola fase.

Misteri della gioia: Se la supplica è effettivamente un dialogo tra Dio e l’uomo, questi deve percepire gli effetti di tale comunicazione; la tradizione cristiana ha verificato che la comunicazione vitale del Padre nella sua Parola produce un effetto immediato sull’uomo, di gioia, senza prospettive future per il collegamento con il peccato. Non diversa è la realtà del "Rallegrati, Maria", "il bambino ha esultato di gioia nel mio seno", "Vi annuncio una grande gioia; nella città di Betlemme…", "i miei occhi hanno visto", "lo hanno trovato". Ma il mistero cristiano nella sua integrità deve necessariamente essere caratterizzato non soltanto dalla realtà gaudiosa dell’incarnazione, ma anche da quella contrastante della Pasqua, del dolore e della gloria, così come avviene nella prospettiva pneumatologica trinitaria. Per questo avviene che Giuseppe non sappia cosa fare di fronte alla sua sposa incinta, che il Bambino nasca in estrema povertà, minacciato di morte e costretto a vivere l’esilio e l’esodo, ma allo stesso tempo venga riconosciuto e lodato dagli angeli e adorato dai Magi. Come ci ricorda il Santo Padre, viene indicato come segno di contraddizione e causa la pena dello smarrimento ai suoi genitori. D’altra parte, il mistero centrale dell’Incarnazione, motivo della profonda gioia, non si opera senza il volere della Santissima Trinità: "Verrà chiamato Figlio dell’Altissimo"; "lo Spirito Santo scenderà sopra di te". In questo contesto, Maria ci aiuta a " apprendere il segreto della gioia cristiana, ricordandoci che il cristianesimo è innanzitutto euanghelion, 'buona notizia', che ha il suo centro, anzi il suo stesso contenuto, nella persona di Cristo, il Verbo fatto carne, unico Salvatore del mondo" (RVM 20).

Misteri della luce: vengono proposti dalla prospettiva di colui che si autodefinisce "Luce del mondo" (Gv 8, 12), e anche in essi si ritrova al realtà dell’Incarnazione che accoglie quanto è già stato consolidato nei bagni lustrali o nei festeggiamenti per le nozze di Cana, seguendo un genere parabolico, essendo Lui stesso la Grande Parabola di Dio inserita nell’avvenimento teofanico straordinario e nella cornice della celebrazione della Pasqua giudaica. Similmente, però, è qui presente la dimensione pasquale della morte in funzione della vita. Dal punto di vista della stesura scritturale, l’unità tra battesimo e tentazione mette in evidenza l’esaltazione e l’umiliazione di colui che è sottomesso alla prova, precisamente in quanto Egli è il "Figlio prediletto", anche se non "era ancora giunta la sua ora", quella della sua autorivelazione definitiva. Colui che proclama la buona novella del Regno, ma che genera nell’istituzione un rifiuto che lo porterà sulla croce. Tale paradosso viene descritto con precisione da Gesù stesso nelle Beatitudini, che dichiarano felici coloro che sono considerati infelici dal mondo. Risulta chiaro che la teofania del Tabor e i testimoni dialoganti che riassumono in sé Legge e Profeti preannunciano quanto accadrà a Gerusalemme, la Pasqua, insieme alla severa proibizione da parte di Gesù di parlarne a chiunque fino a quando non sia risuscitato dai morti; come dice il Santo Padre, l’Eucaristia rappresenta l’espressione sacramentale del mistero pasquale.

Il riferimento trinitario e pneumatologico si trova anche in ogni mistero qui "contemplato". La teofania trinitaria battesimale, la forza dello Spirito che trascina nel deserto e la gloria che il Figlio dà al Padre, il solo che si deve adorare. L’episodio di Cana mostra l’autorivelazione di colui che è il vino nuovo, ma a sua volta il buon vino deve essere collocato negli otri nuovi della nuova fede, poiché è lì che Egli ha manifestato la sua gloria e i suoi discepoli hanno confermato la propria fede e hanno sperimentato che la sua sequela portava direttamente a Dio. Il referente del Regno è il Padre, che ha in serbo lo Spirito Santo come dono principale per colui che glielo domandi, ma questo presuppone un cambiamento nel modo di vedere la realtà, non guardando ai meriti dell’uomo ma partendo dalla gratuità dell’amore di Dio. La Trasfigurazione vista come teofania e come un tenere lo sguardo puntato verso la Pasqua e la Pentecoste per comprendere cosa significhi risuscitare dai morti, ecco l’argomento di cui discutevano tra loro i discepoli mentre scendevano dal monte. Forza e presenza dello Spirito nel Sacramento che si istituisce nell’Eucaristia, lode e accettazione della volontà del Padre, che vuole la consegna senza condizioni della vita di Gesù affinché il mondo abbia la vita.

Ci dice il Papa che, in questi misteri, la figura di Maria, con l’eccezione dell’episodio di Cana, non è in evidenza, ma da lì " diventa la grande ammonizione materna che Ella rivolge alla Chiesa di tutti i tempi: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2, 5)" (RVM 21).

Misteri del dolore: soltanto nell’ottica dell’amore e dell’obbedienza al Padre si può percepire la profondità ineffabile della croce di Cristo, che per Paolo è scandalo e stoltezza di coloro che non hanno fede, ma è forza e sapienza per coloro a cui Dio abbia rivelato la sua vera prospettiva d’amore. L’integralità del mistero pasquale ci spinge a guardare con attenzione le diverse fasi del Calvario di Gesù e della realtà della sua Risurrezione. La Parola che si fa carne, nel suo culmine, viene pronunciata nel contesto del silenzio del giustiziato, e il suo discorso non è altro che quello che Egli stesso aveva pronunciato nel corso del suo banchetto d’addio, nel Cenacolo: non esiste amore più grande del dare la vita per chi si ama. A sua volta, la prospettiva pneumatologica si concretizza nella passione del Signore, nella misura in cui Egli, che possiede lo Spirito senza misura, lo consegna ora al mondo e ai suoi: "Chinato il capo, spirò" (Gv 19, 30). In questo contesto, Giovanni Paolo II ci dice: " I misteri del dolore portano il credente a rivivere la morte di Gesù ponendosi sotto la croce accanto a Maria, per penetrare con Lei nell'abisso dell'amore di Dio per l'uomo e sentirne tutta la forza rigeneratrice" (RVM 22).

Misteri della gloria: il mistero di Cristo nella sua pienezza sarebbe incompleto senza la contemplazione dei misteri gloriosi, a cominciare dall’intervento del Padre, che accetta il consegnarsi senza condizioni da parte del Figlio, lo risuscita e lo glorifica, dandogli il nome che è sopra ogni altro nome (cfr. Fil 2, 11). Nell’ottica dell’incarnazione e benché si trovi nel numero corrispondente ai misteri del dolore, il Papa ci ha detto: " In questa abiezione è rivelato non soltanto l'amore di Dio, ma il senso stesso dell'uomo. Ecce homo: chi vuol conoscere l'uomo, deve saperne riconoscere il senso, la radice e il compimento in Cristo, Dio che si abbassa per amore "fino alla morte, e alla morte di croce" (Fil 2, 8)" (RVM 22). Partendo dalla profondità di tale uomo, Giovanni Paolo II ci presenta una considerazione antropologica del Rosario molto più radicale di quello che avrebbe potuto sembrare a prima vista, e ci ricorda il Vaticano II, il n. 22 di Gaudium et spes : " In realtà, il mistero dell'uomo si illumina veramente soltanto nel mistero del Verbo incarnato ". Infatti, seguendo l’itinerario della vita di Cristo, percepirà l’immagine dell’uomo vero: "Contemplando la sua nascita impara la sacralità della vita, guardando alla casa di Nazareth apprende la verità originaria sulla famiglia secondo il disegno di Dio, ascoltando il Maestro nei misteri della vita pubblica attinge la luce per entrare nel Regno di Dio e, seguendolo sulla via del Calvario, impara il senso del dolore salvifico. Infine, contemplando Cristo e sua Madre nella gloria, vede il traguardo a cui ciascuno di noi è chiamato, se si lascia sanare e trasfigurare dallo Spirito Santo. Si può dire così che ciascun mistero del Rosario, ben meditato, getta luce sul mistero dell'uomo." (RVM 25) Partendo dalla proposta che sto avanzando, mi azzarderei a glossare il Santo Padre dicendo che ogni mistero del Rosario ben contemplato ci fornisce la chiave cristiana di discernimento nello Spirito del Risorto per poter procedere sempre con criterio evangelico. 

Ho voluto trasferire quel che fa riferimento all’antropologia proposta da Sua Santità nel n. 25 e leggerlo nella prospettiva del n. 23, dal momento che è alla luce del Risorto che possiamo comprendere la dinamica a cui la Parola incarnata conduce l’essere umano.

L’intero dinamismo pneumatologico risulta attivo, dal momento che è attraverso la forza e il potere dello Spirito che si opera la Risurrezione; il corpo che per mano dell’"ombra dello Spirito" fu generato in Maria, adesso, per mezzo di quella stessa potenza e di quello stesso potere, viene trasformato in corpo pneumatico, come dice Paolo in 1 Cor 15, 44, e a sua volta viene donato alla Chiesa, che lo contempla nei misteri finali che si riferiscono alla glorificazione di Maria, come ci dice il Papa: " giungendo, per specialissimo privilegio, ad anticipare il destino riservato a tutti i giusti con la risurrezione della carne (…) anticipazione e vertice della condizione escatologica della Chiesa." (n. 23)

Tutto questo dispiegamento dei misteri della vita di Cristo nel Rosario non deve avere altra finalità che quella di partecipare al Mistero di Cristo. Citando la Lettera agli Efesini, il Santo Padre ci ricorda quale deve essere l’ideale di ogni battezzato: " Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di [...] conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio " (3, 17-19). In questa maniera, " Il Rosario si pone a servizio di questo ideale, offrendo il 'segreto' per aprirsi più facilmente a una conoscenza profonda e coinvolgente di Cristo. Potremmo dirlo la via di Maria. È la via dell'esempio della Vergine di Nazareth, donna di fede, di silenzio e di ascolto. È insieme la via di una devozione mariana animata dalla consapevolezza dell'inscindibile rapporto che lega Cristo alla sua Madre Santissima: i misteri di Cristo sono anche, in certo senso, i misteri della Madre, persino quando non vi è direttamente coinvolta, per il fatto stesso che Ella vive di Lui e per Lui" (n. 24).

Nel capitolo III: "Per me la vita è Cristo", svilupperà tutta una serie di suggerimenti concreti e pratici per arricchire la preghiera del Rosario e poter così ricevere tutta la ricchezza che tale pellegrinaggio, attraverso la vita di Cristo, offre alla sequela del Maestro.