Teologia e spiritualità

Se la teologia non fosse anche spiritualità non potrebbe essere conoscenza adeguata e coerente del mistero della rivelazione. Essa è una mediazione che rende possibile il dischiudersi di un'infinita espressione della verità divina che si immette nei ricettacoli della vita quotidiana del credente. Una teologia che non avesse in sé la forza di condurre all'obbedienza della fede e alla contemplazione del mistero sarebbe priva della sua componente fondamentale che è, appunto, il saper coniugare riflessione e vita. Questa considerazione parte dal presupposto che esiste una profonda unità tra il sapere e l'esistenza e che solo nell'unità reciproca è possibile percepire la ricchezza di un sapere che si trasforma in vita e una vita che spiega perché sostenuta dalla forza della ragione. Nessuna meraviglia verificare come nei primi secoli della Chiesa i Pastori erano anche Dottori e grandi Santi. Ciò che fa di loro delle colonne della teologia e della sapienza pastorale, oltre a dei modelli di santità, è la piena unità che hanno raggiunto nella loro esistenza tra riflessione teologica e spiritualità. Se la loro riflessione permane fino ai nostri giorni carica di significato, questo è determinato dal fatto che insegnavano ciò che vivevano in un'unità talmente profonda da non permettere separazione alcuna. Sarebbe deleterio e quanto mai inutile pensare di poter dividere i loro scritti tra opere dogmatiche e opere di spiritualità; sarebbe un affronto all'intelligenza e di fatto un annullamento del loro lavoro teologico.

La dimensione orante rimane come l'unico atteggiamento realistico che possiamo porre dianzi al mistero di Dio che si rivela facendosi uomo. L'iconografia ha ben compreso questa dimensione quando, dinanzi a Gesù deposto nella mangiatoia di Betlemme pone sempre la Vergine Madre in atto di adorazione. La teologia dovrà sempre avere in se stessa questa dimensione mariana, come espressione di un'intelligenza del mistero che si fa comprensione nell'adorazione carico di un silenzio che sa accogliere in sé una conoscenza prima insperata, frutto dell'obbedienza della fede.

"Mai la conoscenza può allontanarsi dall'iniziale atteggiamento orante per applicarsi all'attività conoscitiva" (von Balthasar, Teologia e santità, 227); la conoscenza, infatti, non può mai andare oltre la fede, ma al contrario rimane sempre come una sua espressione e come una sua forma più onnicomprensiva. La teologia è chiamata sempre a pensare il contenuto della fede con la maggior profondità di argomentazione di cui è capace, ma lo dovrà sempre fare in conformità con l'oggetto che indaga e poiché questo è il mistero, richiede la meraviglia e lo stupore che non possono essere relegati alla sola sfera della ragione. Solo nella contemplazione, insomma, prende forma la più genuina forma di conoscenza teologica che sa fare del mistero della propria indagine l'azione vera di una prassi di vita che sa dare ragione della fede in Cristo.