Metropolita Tadeusz Kondrusiewicz
Videoconferenza del 29 gennaio 2003
Mosca – Congregazione per il clero, Vaticano
LA CORSA AGLI ARMAMENTI
"Si vis pacem, para bellum": così, ancora in un passato non lontano si definivano e, con grande disappunto, anche nel nostro tempo spesso si definiscono le relazioni internazionali e la stessa politica internazionale. L’umanità, dopo essere entrata nel terzo millennio con grandi speranze, si è scontrata con nuovi problemi da risolvere legati alla corsa agli armamenti, e di conseguenza con nuove minacce per la civiltà umana.
Eppure il Magistero della Chiesa in questo campo è chiaro e inequivocabile. La corsa agli armamenti, che per molti è un modo per prevenire o evitare azioni di guerra e per garantire la pace, è di per sé una cosa discutibile dal punto di vista morale, in quanto non soltanto non assicura la pace e non elimina le possibili cause di un conflitto bellico, ma contiene anche in sé la minaccia di un suo aggravarsi. Inoltre, le enormi spese per gli armamenti diminuiscono seriamente, o addirittura escludono del tutto, la possibilità di aiutare i poveri e i bisognosi dei paesi in via di sviluppo.
In questo modo la corsa agli armamenti per sua natura può soltanto aumentare le cause dei conflitti e il rischio della loro diffusione (cfr. GS 81; CJC 2315, 2316). L’escalation degli armamenti è una gravissima malattia dell’umanità, come una massa cancerogena che deve essere immediatamente curata.
Sia la storia dei conflitti bellici, sia gli avvenimenti mondiali a noi contemporanei, che minacciano possibili conflitti armati, testimoniano del dramma acutissimo della civiltà umana, del quale rimangono vittime enormi masse di persone, comprese coloro che non hanno colpa alcuna.
Proprio per questo il Papa Giovanni Paolo II ci richiama: "siamo tutti chiamati, sia nella vita quotidiana, sia nei momenti dei grandi avvenimenti della vita, a portare il nostro contributo all’opera della pace e a rigettare ogni appoggio alla guerra" (Lettera per la Giornata Mondiale della Pace, 1.01.1996, 4), poiché la guerra è una sconfitta dell’umanità (cfr. Discorso ai diplomatici accreditati presso il Vaticano, 13.01.2003, 4). Non nella corsa agli armamenti, bensì nella realizzazione della giustizia e nel perdono reciproco sta la via per la pace vera (cfr. Lettera per la Giornata Mondiale della Pace, 1.01.2002, 2).
L’assenza della ricerca di alternative all’uso della forza nell’epoca delle armi di distruzione di massa porta inevitabilmente alla minaccia verso l’umanità intera. Per questo anche oggi è attuale la preghiera della Chiesa: "Dalla povertà, dalla fame, dal fuoco e dalla guerra liberaci, o Signore".
La causa di ogni male, compreso quello che proviene dalla corsa agli armamenti, è il peccato. Esso tuttavia è stato sconfitto dal Signore, e quindi ogni sforzo volto alla cessazione della corsa agli armamenti e alla difesa della pace deve essere sostenuto dalla preghiera, affinchè si compiano le parole del profeta Isaia: "Forgeranno le spade in vomeri, le lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non impareranno più l’arte della guerra" (Is 2,4).
Quindi dal punto di vista morale, la tesi che produce la corsa agli armamenti "Si vis pace, para bellum", che afferma che la pace si afferma con la forza, per un cristiano è inaccettabile per principio.
Al suo posto noi dobbiamo accogliere una nuova regola: "Si vis pacem, para pacem" (cfr. A. Krasikov, A. Melloni, "Giovanni XXIII e il mondo contemporaneo", Mosca 2002, p.222), così che siano "beati gli operatori di pace, poiché saranno chiamati figli di Dio" (Matteo 5,9).